La musicoterapia nella mente e nel corpo file unico pdf

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COLLANA DI EDUCAZIONE E RIEDUCAZIONE

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Eleonora Rossin Writer & Producer

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Eleonora Rossin

La Musicoterapia nella Mente e nel Corpo Depressione, Frustrazione, Sindromi, Psicosi, Dop, Schizofrenia Rapporti famigliari, Attachment Parenting, Sociologia SessualitĂ Repressa dall'infante all'adulto Autismo, Dislessia, Sindrome di Down Musica Handicap, Alzheimer, Pre-parto Musicoterapia, Terapie Ayurvediche

Writer and Producer: Eleonora Rossin

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La Musicoterapia nella mente e nel corpo Š 2013 Edizioni Music&Art di Eleonora Rossin Torino Italian Cultural Institute Associazione per la Cultura Italiana negli Stati Uniti

Selling Papery Book distributed by: Libreria italiana "La Feltrinelli" editore Amazon, Ilmiolibro, Unilibro, InMondadori, libreriaRizzoli, libreria Universitaria, Deastore, Bookrepublic, Hoepli store, Wester, Kobo.

APPLE STORE Ebook International [Original Language] University Bookstore USA: California (Los Angeles, San Francisco), Oregon (Portland), East Tennessee, West Virginia, Ohio, New York; Giappone, Brasile, Asia meridionale, Europa. Literary reserved ISBN Feltrinelli:

Contenuti ed elaborazione grafica: Eleonora Rossin Coordinatore Epub Apple: Luca Rubino Tavole illustrative: Norathep Dusit Dughera Copertina: Eleonora Rossin- Foto: Dusit Dughera 4


A tutti Voi cari colleghi musicisti, scrittori, artisti e docenti affinchè quella Solidarietà che un tempo ci univa, ci supportava senza mai lasciarci soli, in cui ciascuno svolgeva la propria mansione senza prevaricarci, senza ignorarci gli uni con gli altri permanga in noi con audacia e dedizione al nostro arduo lavoro. Reinventarci, Creare, Proseguire. Sappiamo cosa significhi la precarietà, la delusione, la rinuncia; abbiamo scelto di generare emozioni, di guidare, di educare. Questo ci da la grande Dignità di stare al Mondo. Non possiamo arrenderci nè ora nè mai. Art Forever!

It does not matter whether people believe in you or if you do not believe. If others appreciated you for Who you are or if they ignore you and hinder you to feel better than you. Even when we are worth less than a penny our values remain the same. What matters is our result. And this Book is my result for All of You who believed in me. Thanks!

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Eleonora Rossin conosciuta nell'ambito musicale come compositrice, cantante lirica e pianista, si è dedicata negli ultimi quindici anni allo studio della psicologia infantile e alla Musicoterapia specialistica. Laureata in scienze musicali e Lettere indirizzo pedagogico, nella sua ultima opera letteraria elabora un argomento tanto vasto quanto complesso, con una chiara visione e dialettica, trattando argomenti che spaziano dalle principali patologie del comportamento e dell'apprendimento, alla terapia music oterapeutica, spiegando le sue correlazioni pratiche con le tipologie di handicap più frequenti, sino alle malattie degenerative quali l'Alzheimer. La sua collaborazione presso le Università degli Studi di Torino, le Strutture per la Musicoterapia del Piemonte e della Toscana, l'hanno avvicinata sia alla medicina tradizionale che alla scienza Ayurvedica. Il suo percorso musicoterapeutico che iniziò a Los Angeles anni fa ha determinato il suo sviluppo didattico della Musica-Handicap approfondendo gli studi psicologici correlati alla pedagogia. Nel 2002 ha acquisito in Francia le sue prime esperienze nella Musicoterapia Pre-parto e le pratiche della medicina alternativa Ayurvedic. Fondatrice nel 2010 di Music&Art, Associazione Musicale e Culturale, gestisce corsi di perfezionamento vocale rivolti al ramo lirico e moderno, dedicando particolare interesse per le disfunzioni dell'apparato fonatorio. È docente di canto, pianoforte e musicoterapia. Dopo aver letto questo libro, così accuratamente elaborato per giungere con semplicità anche al lettore meno ferrato in materia psicoanalitica e musicoterapeutica, nonché proiettato e distribuito nelle migliori librerie americane (Apple, Amazon), nelle Università Italiane degli Stati Uniti, nei migliori bookstore internazionali ed italiani (LaFeltrinelli), esprimo la mia stima e gratitudine alla prof.ssa Eleonora Rossin per aver incanalato la psicoanalisi nell'ambito meraviglioso della terapia sonora e non solo. Augurandole un meritato successo di quest' opera letteraria, confido nella sua sagacia di proseguire su questo ramo miracoloso che si eleva sino alle più alte sfere del risveglio emozionale inconscio, senza limite di confine sociale, nè fisico o mentale, definito comunemente ma distintamente: Musicoterapia. Dr. Stefano Lucchetta

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INDICE Introduzione...............................................................................................13 PARTE PRIMA ORIGINI DELLA MUSICOTERAPIA Nozioni sulle origini musicoterapeutiche................................................15 La musicoterapia e Beethoven................................................................. 16 Musica e Civiltà.........................................................................................16 INTRODUZIONE ALLA MUSICOTERAPIA............................................19 Il musicoterapeuta e l'ambiente..................................................................20 L'analisi percettiva.................................................................................... 21 Transfer conduttivo.................................................................................. .22 Transfer emotivo ricettivo..........................................................................24 INTRODUZIONE AI DISTURBI DELLA PERSONALITA' Analisi e Psicoanalisi.................................................................................28 PSICOSI E SINDROMI LE PATOLOGIE E LE SINDROMI PSICO COMPORTAMENTALI La Psicosi. Che differenza c'è tra psicosi e nevrosi...................................34 L'autocommiserazione del nevrotico.......................................................35 Sindrome o Patologia?.............................................................................37 LA FRUSTRAZIONE; Le cause..............................................................38 LA DEPRESSIONE..................................................................................41 L'affetto immeritato e l'odio verso chi amano...........................................43 LA SINDROME BIPOLARE....................................................................46 La maniacalità............................................................................................48 L'ossessività; Ipomaniacalità......................................................................50 La fase depressiva.................................................................................... 51 Deliri maniacali..........................................................................................52 Deliri depressivi.........................................................................................53 I tipo bipolare.............................................................................................55 8


II Tipo bipolare..........................................................................................57 III Tipo ciclotimico....................................................................................60 L'autogiustificazione, un alibi comune....................................................61 Terapia......................................................................................................64 Episodio realmente accaduto....................................................................65 Il disturbo ossessivo compulso..................................................................70 Terapia......................................................................................................72 LA PARANOIA ORGANIZZATA: differenza tra paranoia e schizofrenia.......................................................73 LA SCHIZOFRENIA.................................................................................75 LA SINDROME DI ASPERGER..............................................................77 SEASONAL AFFECTIVE DISORDER.......................................................79 SINDROME DI PETER PAN....................................................................80 LA MITOMANIA......................................................................................82 LE SINDROMI DELLA DIPENDENZA Analisi del possesso................................................................................83 Analisi dell'onnipotenza..........................................................................84 Analisi della dipendenza affettiva (Love Addiction).................................85 La paura dell'abbandono..........................................................................89 La sindrome del passato..........................................................................92 Il partner sbagliato.....................................................................................93 Episodio realmente accaduto.................................................................102 La principessa triste...............................................................................104 Ansia e terapia.......................................................................................105 Il sorriso nella terapia depressiva.............................................................107 I DISTURBI AGGRESSIVI DELLA PERSONALITA' D.o.p.........................................................................................................110 Il disturbo esplosivo intermittente...........................................................112 La disperazione autolesionista e bivalente..............................................113 I RAPPORTI FAMIGLIARI Amare se stessi.........................................................................................116 L'attaccamento materno (Attachment Parenting).....................................119 I rapporti fraterni.....................................................................................125 Lo schema Therapy..................................................................................128 SESSUALITA' Il complesso di Edipo............................................................................. 131 9


La libido.................................................................................................132 Il complesso di Elettra..............................................................................138 LA SESSUALITA' NELLA FRUSTRAZIONE Il tradimento............................................................................................142 SESSUALITA' REPRESSA Il Masochismo: autolesionismo pasicologico..........................................148 Il Feticismo..............................................................................................150 Proiezioni feticiste...................................................................................152 L'Omosessualità...................................................................................... 157 SESSUALITA' PASSIVA Voyerismo................................................................................................159 Chat web e sessualità...............................................................................161 Brevi esperienze...................................................................................... 165 Conclusione..............................................................................................168 Flirtare......................................................................................................174 SOCIOLOGIA Le necessità primarie dell'individuo........................................................177 L'azione contraria o incoerenza................................................................179 Educazione sociale: maschilismo o diseducazione?................................184 Individualismo o egoismo?......................................................................188 Il Bigottismo sociale................................................................................191 . PARTE SECONDA I DISTURBI DELL'APPRENDIMENTO La sordità.....................................................................................................198 La sindrome di Down..................................................................................201 Disfunzioni cerebrali...................................................................................203 La dislessia...............................................................................................206 L'autismo..................................................................................................208 Come interviene la musicoterapia?..........................................................209 Correlazione tra autismo, schizofrenia e bipolarità.................................211 MUSICA-HANDICAP Musicoterapia e cecità.............................................................................215 Musicota e disabilità................................................................................217 Musicoterapia e malattia d'Alzheimer.....................................................219

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Obiettivi del setting musicoterapeuta......................................................219 MUSICOTERAPIA APPLICATA La motricitĂ ; sinestesia, suono movimento, impulso sonoro...................223 MotricitĂ sensoriale nei soggetti disabili.................................................225 Koch e la grafia.......................................................................................265 La raffigurazione sonora..........................................................................229 I suoni corporali.......................................................................................233 Stonare o non ascoltare?..........................................................................236 I gesti suono.............................................................................................238 L'ascolto sonoro.......................................................................................241 Le filastrocche..........................................................................................245 L'importanza dell'improvvisazione..........................................................246 Che ruolo ha il silenzio?..........................................................................245 La Musicoterapia Pre-parto.....................................................................248 L'udito fetale..........................................................................................249 PARTE TERZA Karl Orff..................................................................................................252 Lo strumentario Orff nel setting musicoterapeutico................................253 La semiologia musicale............................................................................260 La sinapsi musicale..................................................................................264 Il suono nella terapia musicale.................................................................266 Accenni di acustica..................................................................................266 LE TERAPIE SONORE AYURVEDICHE Le campane tibetane................................................................................268 Il letto sonoro.................................................................................................. 271 Conclusione.............................................................................................274 Commiato................................................................................................280

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Ho atteso anni prima di raccogliere la mia esperienza didattica musicoterapeutica in un libro, dopo aver elaborato argomenti pi첫 complessi, enigmatici quali lo Spiritismo e la scienza Paranormale (Oltre l'Arcobaleno, Ed. Sevilla 2009).

Ho avvalorato la mia pratica psicoanalitica collaborando con psicoterapeuti e medici molto competenti, esemplari sia per la dedizione al proprio lavoro che nell'interesse d' esplorare altri confini terapeutici, come la medicina Ayurvedic e la Musicoterapia.

La stessa sinestesia che intercorre tra suono e corpo si trasmette dal corpo allo spirito, attraversa onde sonore ed energie cosmiche, che si riflettono nella sfera emotiva umana fondendosi in un primordiale linguaggio:

la Musica.

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Prima parte       

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ORIGINI DELLA MUSICOTERAPIA, INTRODUZIONE AI DISTURBI PERSONALITA' PSICOSI E SINDROMI TERAPIE RAPPORTI FAMIGLIARI SESSUALITA' SOCIOLOGIA

DELLA


NOZIONI SULLE ORIGINI MUSICOTERAPEUTICHE Il primo codice del termine Musicoterapia, fu introdotto in Inghilterra verso la fine del '700 dal musicologo Richard Brockiesby. Il suo saggio presso la Royal Academy Music di Londra, denominato "Concepts and effects of bodysound", all'epoca si rivelò un vero e proprio polo di attrazione dalla nobiltà, che ricercava delle soluzioni alternative alle cure mediche, considerate inefficaci per alcune patologie mentali. Fu il medico naturalista e compositore slovacco Peter Lichtenthal che trasferitosi a Milano nella prima metà del '800, che scrisse diversi trattati scientifici e musicali, fra i quali spicca il suo “Trattato dell’influenza della musica sul corpo umano " del 1826, interamente pubblicato in italiano (edizioni Fontana, Milano). Ivi rielabora l'animo terapeutico della musica di W.A.Mozart, esplorandone le capacità armoniche correlate con le reazioni psico sensoriali di alcune patologie quali la depressione, la schizofrenia e l'autismo. Nell'introduzione del suo saggio Lichtenthal asseriva: “Degno d'esperiemento d'un medico è a parer mio, il ricercare quanta sia la forza dell'arte musicale sull'uomo, condotto da ragionamento filosofico, trarne uso talora nella cura delle malattie. Questa idea non fu onorata finora secondo la sua eccellenza...Io cerco di spargere un pò più di lume su di questo punto... Spero che questo trattato non sarà dìscaro ai medici dotti ” All'epoca non si definivano ancora certe carenze o disturbi di genere psico-cognitivo con termini medici appropriati e sovente il termine "pazzia" elaborava gran parte dei disturbi comportamentali. Il termine Musicoterapia associava un valido rimedio per la maggior parte delle instabilità mentali, cosicché il curare determinati sintomi e malesseri con i suoni e le melodie, indusse i numerosi compositori dell'epoca a trarne spunto per risvegliare l'inconscio umano. La musica ha significati diversi ed interagisce in modo differente sui ricettori esterni, per le varie condizioni sociali e fisiche degli stessi in vari momenti della loro vita. È metafisica ma il suo mezzo di espressione è puramente fisico, ed è grazie a questa coesistenza che la forza della musica penetra in stretto contatto con la dualità umana di conscio ed inconscio esprimendola attraverso le reazioni emotive e gestuali.

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La musicoterapia e Beethoven L'importanza di L.Van Beethoven nella storia della musica è principalmente dovuta alla natura rivoluzionaria delle sue composizioni, in quanto liberò la musica dalle convenzioni dell'armonia e della struttura che predominarono per tutto il settecento. Voglio soffermarmi sul suo profilo, non solo perché appartiene alla sfera dei miei compositori prescelti ma al fine di sottolineare il suo influsso benefico nelle attività di ascolto musicoterapeutico. Ritengo che Beethoven sia un genio psicologico, capace di creare con semplici elementi tecnici un tema principale stimolando l'esecutore al limite della propria espressività. Le sue composizioni impongono una prova di coraggio per quanto concerne l'interpretazione dinamico sonora trasmettendo grinta ed impulsi decisi quando incrementa il volume con un crescendo intenso, a cui fa poi seguire un piano improvviso, un passaggio più morbido che giunge inatteso producendo lo stimolo perfetto per interagire con il movimento sinestesico. La musica di Beethoven si muove dal caos all'ordine come se egli volesse rendere imperativa l'importanza dell'ordine nell'esistenza umana, ed è proprio questa costante che degli estremi e dell'equilibrio che risulta nelle sue opere. L'unico tratto umano che non è presente nella sua musica è la superficialità, anche quando diviene pacata come nel Quarto concerto per pianoforte oppure nella sinfonia “Pastorale”, possiede grandiosità. Il suo contrasto tra due poli opposti così come tra negativo positivo, cielo e terra, bene e male, trova chiara espressione nell' opera “Fidelio” e nella Nona sinfonia. Da pianista riconosco come Beethoven richieda ai musicisti di trovare quella che molti definiscono "linea di maggior resistenza" ed è lo stesso impulso gestuale che si trasmette attraverso il movimento, liberando le ansie e le inibizioni, predisponendo con estrema nauralezza l'orecchio al riconoscimento dinamico-sonoro durante l'ascolto musicale. Musica e Civiltà Volgiamo lo sguardo indietro, quando con Aristotele la musica veniva associata all'omeopatia, secondo cui un individuo sottoposto all'ascolto ed alla visione di una trama scenografica e musicale desunta

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dalle condizioni sociali attuali quotidiane, induceva il soggetto malato a ricercare in se stesso la radice del proprio trauma per condurlo alla prima fase del processo curativo, ossia la "presa di coscienza". Contrapposta era la terapia allopatica, nella quale si associavano la musica e le rappresentazioni visive nettamente contrastanti col tipo di patologia o disturbo psico emotivo dell'individuo, estrapolandone i conflitti interiori più nascosti che venivano considerati la causa primaria della fase evoluta di un disturbo. Le tragedie ed il ditirambo furono valide alleate delle cure psicoterapeutiche, utilizzate come “azioni d'urto” in cui i tragediografi ricreavano azioni reali, con lo scopo di aumentare la carica emozionale dell'individuo per poi liberarla (catarsi) attraverso la declamazione dei cori. Nella maggior parte delle patologie mentali e comportamentali, una componente basilare per instaurare la graduale guarigione è acquisire la “consapevolezza della malattia” al fine di accettare una regolare terapia. In alcuni stati depressivi l'individuo tende ad esaltare il proprio alter ego al fine di stimolare la propria autostima; questo accanimento genera una radice negativa nel soggetto, che in preda ad un'eccessiva autocoscienza artificiale o “alter ego stimolato” non è indotto all'autoanalisi ma al contrario, a farsi scudo con il proprio disturbo psico-fisico giustificandosi di fronte alle ripercussioni negative del medesimo. Ecco perché la musica sin dall'antichità si inseriva direttamente nella sfera più profonda dell'Io, le cui emozioni e sensazioni entravano in conflitto con ogni spiegazione razionale. In tal modo, anche il più ateo attraverso il pianto o l'euforia valutava le proprie azioni prendendone coscienza. Affrontare gli argomenti spirituali in un'epoca in cui la Filosofia primeggiava su ogni concetto oscuro era l'opera quotidiana degli eruditi, che non potendo dimostrare una correlazione scientifica tra musica ed emozioni, la inserivano nella sfera asemantica intermedia tra Spirito e corpo. Il medico definito anche sciamano conosceva il legame intrinseco tra musica ed energie cosmiche, curava tutti i disturbi correlati al fisico come una conseguenza dei blocchi energetici strettamente correlati con lo spirito, liberandoli tramite l'ausilio di melodie ripetitive accompagnate da strumenti idiofoni. Già presso i sacerdoti egiziani, l'emissione della voce era un processo che generava campi sonori e le vibrazioni si identificavano come il principio della Creazione. Nell'ambito della filosofia buddista ed induista, sorvolando sulle differenti scuole di pensiero e di pratica man -

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trica indiana o tantrica occidentale, l'energia che alimenta il corpo umano è direttamente proporzionale alla purificazione della medesima attraverso le esperienze umane, nonché influenzata dalle vite passate di ciascun individuo, da cui dipenderebbero molte problematiche e sofferenze della nostra vita attuale. Nella tradizione africana, specie nelle terre dell'Uganda, si usano i canti rituali per allontanare gli spiriti maligni utilizzando lo chékere, uno strumento a sonagli tradizionale così denominato dal suono che produce. Lo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung, collegava lo stato emotivo non riconducibile alla spiegazione logica a quello di “autosuggestione”. Come il concetto Jung esprime: “La psicologia deve abolirsi come scienza e proprio abolendosi come scienza raggiunge il suo fine scientifico" ; così tutti quei benefici che la musica genera interagiscono con mente, corpo, inconscio alimentando le aspettative di guarigione nel paziente, a prescindere dai farmaci (effetto placèbo). In Francia ed in Svizzera, la ricerca sulle vibrazioni canore e sonore ha osservato dei processi di bio-risonanza a cui poter correlare i principi di medicina quantistica ed elementi di psicologia Vedica sulla natura del suono. La Musicoterapia, intesa come metodologia di supporto terapeutico, permette di comunicare attraverso un codice alternativo a quello verbale che trova origine nell'ISO (identità sonora individuale); tale linguaggio acquisisce la sua forma proprio dalla musica, dalle sonorità, dal ritmo, dal movimento corporeo, per aprire i canali di comunicazione definiti "energetici" con l'inconscio dell'individuo. Grazie alla sua capacità multi sensoriale che coinvolge sia l'aspetto emozionale che cognitivo di ciascuno, essa viene impiegata come prevenzione, supporto e riabilitazione, per ristabilire un buon equilibrio psico-fisico, per migliorare la capacità di comunicare attraverso se stessi. Arthur Shopenauer nell'ottocento espresse chiaramente la poliedricità sonora unita all'immagine proiettandola aldilà di ogni concetto artistico: “La musica oltrepassa le idee è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, semplicemente lo ignora, e in un certo modo potrebbe continuare ad esistere anche se il mondo non esistesse più: cosa che non si può dire delle altre arti. La musica è infatti oggettivazione e immagine dell'intera volontà, tanto immediata quanto il mon-

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do, anzi, quanto le idee, la cui pluralità fenomenica costituisce il mondo degli oggetti particolari. La musica dunque, non è affatto, come le altre arti, l'immagine delle idee, ma è invece immagine della volontà stessa, della quale anche le idee sono oggettività: perciò l'effetto della musica è tanto più potente e penetrante di quello delle altre arti: perché queste esprimono solo l'ombra, mentre essa esprime l'essenza”. INTRODUZIONE ALLA MUSICOTERAPIA Nell'attuale didattica scolastica, dalla scuola materna alla scuola primaria, la musicoterapia è strettamente correlata alla propedeutica musicale, perché ne associa le metodologie di apprendimento per il ritmo e l'espressione grafico sonora. Spesso mi trovo a discutere con certi colleghi sulle pratiche che esulano dalle normale didattica nozionistica, messe a frutto da anni di collaborazioni specialistiche e non improvvisate. La prima volta in cui esposi un saggio di Musicoterapia improntato sul ritmo, sui gesti suono e sul canto accompagnato unicamente dai sonagli e tamburelli, ricevetti il dissenso di alcune maestre che ritennero inutile tale pratica al fine educativo musicale e comportamentale, nonché criticando l'assenza di un cd con le basi registrate, ritenuto molto più divertente e d'impatto uditivo per i genitori. La situazione cambiò notevolmente quando videro l'entusiasmo di quest'ultimi unito a quello dei bambini, che interagivano con sincronia ritmica e dinamica unendo la gestualità e la voce; dunque non un limite circoscritto alle solite canzoncine bensì una progressiva interazione musicale e sonora. Mi proposero in seguito di gestire per un intero biennio una serie di corsi d'aggiornamento per gli insegnanti di scuole elementari e medie. Scavalcare il ruolo di uno specialista in Musicoterapia è controproducente; talvolta anche alcuni genitori si permettono di dissentire su certi esercizi perché, a detta loro sia ben chiaro e non di un esperto, non sono adatti al figlio come ad esempio farlo cantare se è stonato. Spiegare come interagisca il canto sulla sfera emozionale aldilà dei parametri d'intonazione, equivarrebbe ad iniziare una terapia parallela

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rivolta ai genitori stessi perdendo di vista le finalità del proprio lavoro. Voglio in seguito richiamare l'attenzione sulle patologie comportamentali più comuni distinguendole dalla sfera handicap, in quanto correlate ad un quadro psicoanalitico e non prettamente fisico. È assai noto che i disturbi comportamentali sono strettamente dipendenti dall'apparato genetico - ambientale, dalla sfera sessuale – infantile; lo studio e l'approfondimento di tali causali si è rivelato un essenziale ausilio durante i miei settings musicoterapeutici ed un valido educatore non può ignorarne l'importanza al fine di un'accurata valutazione psico sensoriale ed emotiva. Il musicoterapeuta e l'ambiente La figura del musicoterapeuta in Italia non è ancora sottoposta a legislazione, poiché non esiste un codice deontologico e un albo professionale a cui iscriversi. Esistono alcuni corsi che non ne considerano la preparazione culturale e specialistica, il ché non è un vantaggio, in quanto un buon candidato in materia, dovrebbe anche aver approfondito degli studi pedagogici oppure psicologici. In Italia, a differenza che all’estero, si tende a distinguere i termini musicoterapeuta e musicoterapista; il terapeuta è colui che è già in possesso di un titolo (laurea in psicologia, pedagogia, conservatorio) e sceglie la musicoterapia come "specializzazione", mentre il terapista non ha alcuna precedente formazione professionale, è semplicemente un operatore che utilizza la musica a scopo terapeutico. L'intervento musicoterapeutico mira a sviluppare le funzioni potenziali o residue dell'individuo, al fine di migliorare le sue relazioni intra ed interpersonali migliorandone la qualità della vita. L'incontro terapeutico fondato sul linguaggio musicale rasserena, rassicura, risveglia vecchie emozioni infantili, attiva l'espressione di emozioni e la motivazione alla relazione, facilita il mantenimento dell'attenzione, la coordinazione dei movimenti, l'ascolto degli altri ed il rispetto per il prossimo, educa alla coerenza delle proprie azioni e ad affrontare le difficoltà con senso pratico ed emotivamente saldo, sfo-

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ga la rabbia repressa in modo creativo, insegna l'uso di nuove forme comunicative più profonde ed una riorganizzazione della “consapevolezza del sé”. La Musicoterapia non si pone alcun obiettivo rispetto all’acquisizione di competenze musicali specifiche, né ricerca dei risultati validi secondo i canoni estetici universalmente riconosciuti. L'ambiente deve essere ampio, spazioso, privo di ostacoli, con pareti colorate ed ampi specchi, organizzato con strumentario Orff fornito dalla sede oppure messo a disposizione dal musicoterapeuta, un pianoforte, un buon impianto sonoro. L'abbigliamento deve essere comodo, possibilmente a piedi nudi. Per le attività mirate all'ascolto sonoro e al rilassamento si consiglia un atmosfera a luci soffuse o, meglio ancora, con luci colorate ad intermittenza, ideali per la cromoterapia associata al suono. L'insonorizzazione dell'ambiente ha come finalità di ricostruire un stanza anecoica (totalmente isolata dai rumori), per favorire la concentrazione durante il silenzio. Si può disegnare sdraiandosi sul pavimento, non sono necessari tavolini o sedie, anzi, le attività di grafica sonora applicate soprattutto con i bambini si rendono più gradevoli a contatto con la naturale pavimentazione, ricoperta da una moquette o materassini. L'ambiente spazioso e colorato della Musicoterapia equivale all'ambiente coordinato e duttile Montessoriano, in cui si costruisce alla portata del bambino la riproduzione dell'ambiente di crescita al fine di educarlo al coordinamento, all'ordine e all'auto gestione. Il senso dello spazio influisce profondamente sul bambino, in quanto ne favorisce l'esplorazione e l'acquisizione dapprima liberatoria e poi coordinata; se consideriamo la costrittività organizzata a cui è sottoposto nella vita quotidiana, dall'ambiente di casa limitativo e sovente ridotto fino ai banchi di scuola che lo costringono all'immobilità, egli ha estrema necessità di sfogare il proprio senso di libertà gestuale, motoria ed emotiva in larghi spazi neutri e rassicuranti. Nelle terapie per i non vedenti l'ambiente privo di ostacoli diviene essenziale. La "rassicurazione" dell'individuo è alla base del primo incontro con la musicoterapia e deve proseguire per tutto il percorso didattico.

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L'analisi percettiva La prima tappa che ritengo fondamentale agli inizi di una terapia musicale, è l'analisi psico-emotiva di un soggetto. Si rende necessaria un'accurata analisi collaborativa con lo specialista psichiatrico "di fiducia", valutando con quest'ultimo le possibili varianti contrapposte, ossia le reazioni inaspettate che possono rivelarsi durante lo svolgimento delle sedute musicoterapeutiche. Talvolta, possono presentarsi nel corso della terapia delle vere e proprie sorprese, che io definisco "reazioni opposte allo status analitico". Alcuni musicoterapeuti, affrontano la terapia musicale con prevenuti concetti nozionistici, ossia rifacendosi ad esperienze passate e seguendo una logica schematica, che identifica i soggetti con differenti patologie psichiche oppure portatori di handicap, come "clichet" a cui attribuire un percorso comune. Non credo di convergere con questa metodologia seppur rispettando ogni spazio e libertà di pensiero, poiché sulla mia personale esperienza ho potuto constatare come anche l'alunno od il paziente più comuni presentino delle peculiarità differenti, che possono reagire anche negativamente alla terapia. È un paragone che spesso associo all'astrologia. Gli oroscopi generici che leggiamo ogni giorno sui quotidiani, altro non sono che un intrattenimento che spesso va a tentativi o casualità; a volte possono azzeccare le circostanze di alcune persone mentre per altre non hanno alcun significato concreto. La casualità spesso combacia con la coincidenza. Da un punto di vista astrale dovremmo valutarne tutte le variabili associate alle case planetarie, relative congiunzioni, opposizioni, trigoni, calcoli siderali, riferiti al singolo individuo. Ecco che si può in qualche modo creare un profilo dello stato caratteriale di una persona ma, sia ben chiaro, solo il "vissuto ambientale e sociale" di ciascuno caratterizza il rispettivo sviluppo psico cognitivo. Tornando quindi al discorso nozionistico e unilaterale della terapia musicale, credo sia molto importante non generalizzare o non costruire un percorso terapeutico predefinito; è invece più congeniale iniziare con una serie di esercizi preparatori che mìrino al rilassamento e procedere di volta in volta modificando le varie pratiche, talvolta partendo da una collettività che non necessariamente dovrà proseguirsi

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per tutta la terapia. Qualora notassimo delle reazioni incontrollate nel paziente od avverse a qualunque pratica sonora e strumentale, è bene consultarsi con il suo psicoterapeuta, per stabilirne un percorso più adeguato. L'apprendimento del “buon educatore” di musicoterapia deve essere dapprima introizzato per poi divenire "spontaneamente maturo" nello svolgimento dell'attività. Questo avviene dopo lunghi anni di pratica in cui si diviene previdenti e non prevenuti; dunque si impara a valutare il percorso terapeutico musicale come una continua variabile e modifica di percorso, che deve sempre adeguarsi al paziente. Non si deve pensare che la Musicoterapia sia solo ascolto di un brano o di una serie di brani, bensì il termine terapeutico per me più associabile è la "creazione di sonorità” partendo dall'improvvisazione estemporanea, espressa in assoluta libertà sia di scelta dello strumento da parte del paziente, così come la predisposizione istintiva nel porsi al medesimo. Il silenzio, la capacità di ascoltare ed ascoltarsi senza timore del vuoto intorno a sé, consapevolizza il soggetto bambino ed adulto a sentirsi padrone delle proprie emozioni senza rifuggirle o sentirsi minacciato dalla solitudine. Coerenza, senso di responsabilità ne conseguono. La World Federation Music Terapy (WFMT) afferma che: "La Musicoterapia è l'uso della musica strutturata e degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia, armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un utente singolo o con un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la relazione, l'espressione, la comunicazione, l'apprendimento, la motricità, l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi preventivo-terapeutico-riabilitativi, al fine di soddisfare i bisogni fisici, emozionali, mentali, sociali e cognitivi".

Transfer conduttivo (specialista-paziente) La forma emotiva che in alcuni casi coinvolge uno specialista nei confronti di un suo paziente, si cataloga come trasferimento inconscio cosiddetto transfer o perdita dell'obiettività terapeutica e del ruolo distaccato che essa impone.

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Come ogni terapeuta, anche lo specialista in musicoterapia deve attenersi al distacco emotivo e psicologico nei confronti di un paziente analizzandolo "a distanza", senza azzardare conclusioni affrettate. Al fine di condurre un buon percorso terapeutico, è necessaria un'autoanalisi al fine di valutare le condizioni emotive e psicologiche della guida specialistica, che deve mantenere un'obiettiva coerenza e consapevolezza. Mentre la psicoterapia analizza l'Io inconscio con ragione e concretezza, la musicoterapia ne elabora coscienziosamente gli stati emotivi e cognitivi. Non possiamo escludere delle reazioni contrarie alle nostre aspettative, in quanto durante un percorso analitico si possono riservare delle reazioni impreviste. Ci sono due tipi di inconscio: Cognitivo e Dinamico. “Inconscio cognitivo”: una modalità di immagazzinamento delle esperienze nella memoria a lungo termine che si basa sulla conoscenza implicita, non soggetta o poco soggetta all’elaborazione verbale. Esso non può essere rimosso, poiché è alla base delle prime esperienze vitali e dei loro contenuti. La rimozione implica un immagazzinamento delle esperienze sotto forma esplicita, attraverso l'ippocampo che inizia a maturare dopo il secondo anno di età. “Inconscio dinamico”: riguarda tutti i contenuti che hanno avuto accesso alla nostra coscienza ma sono stati rimossi grazie all'ippocampo e alla corteccia prefrontale; entrambi i componenti maturano lentamente durante lo sviluppo e aboliscono certi eventi spiacevoli o traumatici dalla memoria ma non dalla sfera inconscia. Se il musicoterapeuta non resta con i nervi ben saldi e concentrato sul proprio obiettivo, diviene vittima dello status disturbato del paziente interagendo con esso in maniera troppo ravvicinata, occludendo un'analisi coerente e talvolta lasciandosi addirittura influenzare dal paziente stesso. È assolutamente consigliabile in taluni casi, interrompere la conduzione terapeutica al fine di ristabilire il proprio equilibrio emotivo e psicologico con professionale responsabilità.

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Transfer emotivo ricettivo (musica-bambino) La nostra mente non è costituita da sezioni distaccate bensì tutto ciò che essa acquisisce si trasferisce in ogni aspetto cognitivo, caratteriale, emotivo e psichico dell'individuo. Ciò che i bambini imparano conoscendo la musica e praticandola, si trasferisce ad altri ambiti cognitivi. Ho constatato che i bambini di età compresa tra i cinque e gli otto anni, dopo un lungo periodo di educazione musicale da me iniziata già nella scuola materna, mostravano una spiccata e naturale predisposizione all'attività ed avevano prestazioni migliori se non addirittura superiori rispetto agli altri compagni, specialmente in una serie di abilità: stabilire rapporti, riconoscere regole, concentrarsi, fare ragionamenti logici, eseguire un' accurata analisi visiva e manuale, sviluppare la creatività e la flessibilità del proprio pensiero. Grazie alla musicoterapia si acquisisce il senso del "fenomeno sonoro", uno strumento di pensiero che aiuta a non lasciarsi travolgere dalla frenesia quotidiana, nel dare tutto per scontato, a proiettarsi prima su di sè motivando i propri giudizi, che non saranno istintivi ma ponderati. L' "intenzionalità", cioè il concetto pedagogico che la coscienza sia sempre intenzionale, che sia diretta ad un oggetto ed abbia un contenuto, è la caratteristica che contraddistingue i fenomeni psichici dai fenomeni fisici. Ogni atto psicologico ha uno specifico contenuto, è diretto a qualche cosa, così come ogni "credere o desiderare” ha un oggetto creduto o desiderato. La musica insegna ad esprimere le proprie emozioni non solo a provarle, induce a riflettere sul sentimento ed analizzarlo non solo ad esternarlo. Quanto si sbagliano coloro che credono sia la musica una perdita di tempo, un attività votata al fallimento o semplicemente poco costruttiva per lo sviluppo in senso fisico del bambino. La crescita non è solo muscoli bensì emozioni e creatività guidate dall'intenzione, per distinguere il giovane da una massa di incapaci a perseguire le relazioni umane, attraverso la coerenza dei sentimenti, l'analisi ed il giudizio rivolto a se stessi responsabilizzando le parole e le azioni, non a darle per scontate o recitarle "tanto per dire".

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E' da sottolineare che la musicoterapia si presenta come elemento efficace nella tenera età, contribuendo notevolmente al miglioramento comportamentale, cognitivo ed emotivo del bambino. Se le strutture europee inserissero di comune accordo una terapia musico sonora continuativa, dal periodo pre natale fino all'adolescenza, inserendola fra le materie principali all'interno delle scuole e delle strutture ospedaliere anziché considerarla un'attività ricreativa di volontariato, si potrebbe realmente dimostrare quanto la creatività sia fondamentale per affrontare un mondo ostile. Il saper gestire la propria coscienza del sé, l'ascolto del prossimo, del mondo circostante attraverso lo sviluppo emotivo e sensoriale, saper creare dal nulla e reinventare, acuirebbe il senso di autostima e di sopravvivenza ammortizzando le risonanze patologiche, che degenerano di giorno in giorno.

INTRODUZIONE AI DISTURBI DELLA PERSONALITA' Sovente si definisce "pazzo" un individuo che si identifica in modi diversi dalla massa comune per idee, concetti e costumi. Se la "pazzia" è sostitutiva, ossia non interferisce sulla resa fisi co-emotiva dell'individuo, può divenire un'indole creativa, artistica o rispecchiarsi in anticonformismo non invasivo. Se invece il disturbo è prettamente mentale, con sintomi e manifestazioni frequenti di stati depressivi od aggressivi, incoerenze disfattiste che incidono negativamente sulle condizioni di un individuo estendendosi anche alla sua sfera sociale, diviene patologia.

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Ad oggi è divenuto quasi un luogo comune definirsi pazzi, come un codice di genialità, un modo per sentirsi speciali o diversi dagli altri attingendo dalla vetrina spropositata, proiettata attraverso messaggi sbagliati che sovente i media trasmettono. Basti pensare ai casi di pazzia criminale attorno ai quali si costruiscono dei veri e propri gossip, rendendoli quasi degli atti eroici in gran parte giustificati, impu niti da una giustizia troppo lenta o in alcuni casi trasformandoli in opere editoriali. Per fortuna si è ampliamente superato il tempo della lobotomia, in cui un soggetto fuori controllo veniva sottoposto a delle vere e proprie castrazioni cerebrali o a sedute di elettroshock; è anche vero che la società del consumismo eccessivo, ha ridotto gran parte della frenesia ed ambizione sociale all'esasperazione. Se una volta si lottava per un pezzo di pane oggi si lotta per una macchina fuori serie o una borsa all'ultimo grido. Dunque la proiezione degli ideali, dei valori, diviene una sfera comune priva di distinzione prioritaria, nonchè sviluppa una costante frustrazione ed irrealizzazione sociale. Il lavoro fisso definito quasi utopia rende l'uomo un perdente di fronte alla massa che guadagna e si sostiene, così come la necessità di conservare un prestigio sociale scavalca ogni morale divenendo compromesso ed ipocrisia. Dunque il sentirsi “pazzi”, talvolta identifica le persone non adeguatesi a pari passo con la massa comune, non perchè potenzialmente insufficienti bensì perchè meno fortunate di altri, oppure hanno scelto settori poco riconosciuti a livello professionale. Prendiamo l'artista, sovente definito un “poveraccio fallito” che vive di idealismo; posso confermare e non per autogiustificazione, che in quanto artisti e musicisti siamo più facilmente abituati alla precarietà, alla rinuncia, al sacrificio dello stretto necessario. Perciò la dignità che salviamo all'onore del mondo, avvalorata dal diniego dei continui compromessi privilegiando la nostra libertà di pensiero ed azione, è forse luogo di irrealizzazione ma non certo di pazzia corrosiva. Piuttosto, la nostra proiezione realizzativa si identifica su una meritocrazia equa e sana, che ad oggi per raggiri sociali e politici diviene privilegio solo per alcuni. Però non demordiamo, ci rialziamo e proseguiamo, non temiamo la crisi in quanto privazione ma piuttosto in27


seguiamo la vana gloria di essere meritevoli di un successo che non arriva mai, non certo per mancanza di un impegno tenace o per mediocrità. Torniamo al settore psicoanalitico; esso interviene come ausilio e terapia ma troppo spesso è ritenuto inutile od effettuato con discontinuità. Chi realmente ha una psiche compromessa vive bene dietro alla propria corazza di “eterno incompreso” o “pazzo intermittente”. D'altronde cosa c'è di meglio che giustificarsi con la pazzia, l'infanzia traumatica, la situazione attuale critica, abrogandosi il diritto di essere incoerenti con il prossimo, prevaricando il rispetto dei sentimenti altrui, ritrattando ogni cosa, aggredendo il primo passante per strada o peggio ancora attuando veri e propri impulsi criminali? Le attenuanti sono lo scudo vitale per le persone depresse, oppresse e nevrotiche; quando poi sopraggiungono gli stati maniacali, deliranti ed ossessivi, niente e nessuno potrà distoglierle dalle proprie convinzioni. Un effetto dell'alter Ego? Diciamo che la psicosi unisce anche l'aspetto falsato di se stessi proiettato nella realtà che si è andata a creare. Sta di fatto che questi soggetti problematici si sentono in diritto di essere scusati, compresi, accettati. Le forme psicotiche intese come spettri disturbati della mente umana, si evidenziano attraverso comportamenti instabili e privi di logica; il livello di alterazione umorale o di infantilismo provocatorio diviene un continuo mordi e fuggi. E' stato appurato che questi soggetti però, trovano appiglio nelle persone deboli ed in qualche modo problematiche creando una sorta di dipendenza alla sopportazione ed al perdono. Difficilmente uno psicopatico non tornerà “con la coda fra le gambe” ma, se da un lato si avvale di un apparente senso di colpa, dall'altro detiene un potere dominante in cui sa di trovare rifugio. Questo non aiuta assolutamente il suo stato bensì ne acuisce la distruttività. Gli effetti della dipendenza affettiva si acuiscono notevolmente al cospetto di un depresso maniacale o mentalmente disturbato. Dunque la terapia psicoanalitica non riesce ad intervenire sui casi acuti o gravi se non trova la collaborazione del paziente, tantomeno può ricorrere ai ricoveri forzati se non in casi ritenuti dannosi per la società, devastanti per il soggetto e per l'ambiente famigliare a lui circostante. Purtroppo si rivelano condizioni che giungono ad una fase

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di miglioramento iniziale, per poi retrocedere se non addirittura ricominciare da capo. Risultato: il paziente interrompe la terapia, cambia sovente psicoanalista, non segue le regole e l'assunzione dei farmaci, mente durante le sedute oppure rivela solo ciò che gli fa comodo dire. Se poi dalle analisi risulta non avere assunto droghe nell'arco delle ventiquattro ore, lo si esenta dal ricovero. Stabilire fino a che punto trattasi di forme psicopatologiche non è competenza di un musicoterapeuta ma di certo l'ausilio della musica, in quanto terapia riflessiva e distensiva può intervenire in tutto il contesto mentale ed emotivo.

Analisi e Psicoanalisi I pedagogisti definiscono lo sviluppo cognitivo come un fattore correlato all'ambiente di crescita di un individuo; il suo livello culturale, però, non è direttamente proporzionale al suo equilibrio. Lo sviluppo intellettivo così inteso, non è sempre correlato con la buona educazione o l'equilibrio psicologico; talvolta ci troviamo di fronte ad individui laureati che sono incapaci di stabilire dei contatti sociali costruttivi, gestire i rapporti comunicativi ed affettivi con educazione e responsabilità. Quando si parla di sfera educativa, si intendono le molteplici barriere mentali e sociali dettate dall'ignoranza, dalla mancanza di valori, di esempi sostanzialmente validi, di stimoli educativi errati, quali le eccessive imposizioni, la coercività, l'intolleranza o l'estrema tolleranza, che vengono radicate nel nostro cervello sin dalla tenera età, attivamente e passivamente.

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Subire è come praticare, poiché l'istinto assimilato prevale sulla presa di coscienza individuale, cosicché un individuo agisce istintivamente seguendo i parametri che la sua mente ha elaborato ignorando ed inibendo l'aspetto autoanalitico e cognitivo, diminuendo la sua capacità di confrontarsi e considerare dei parametri o soluzioni diverse dal proprio contesto mentale. La coscienza è correlata con le sfere più profonde dell'Io e non sempre procede pari passo con la ragione, anzi, molto spesso ci marcia contro. La distinzione tra Io ed Alter Ego è radicale. Il primo interessa la sfera inconscia su cui lo psicoanalista opera, formata da contenuti rimossi investiti da forti pulsioni, regolati da proiezioni e meccanismi complessi ma specifici; l'Ego invece si correla al bambino ed al suo potere assoluto sul mondo nei primi anni di esplorazione. Le motivazioni psicoanalitiche si ricongiungono alla sfera affettiva ed ambientale - infantile, che hanno maturato nell'individuo le inibizioni ed i riflessi di autodifesa generando spesso atteggiamenti aggressivi, correlati alla mancanza di autostima e di consapevolezza. È appurato che il cambiamento e l'adattamento creino nell'individuo condizioni di inadeguatezza ed alterazioni nervose; la difficoltà di un psicoterapeuta risiede nel condurre il paziente a collaborare al fine di convincerlo a penetrare in se stesso, per affrontare le proprie paure e rivalutare la sua autostima. Il primo stadio curativo è la "consapevolezza", cioè riconoscere di avere realmente un problema, accettare l'ausilio dello specialista e seguirne regolarmente le sedute e le terapie; a questa fase deve conseguirne la convinzione della cura denominata “alleanza terapeutica”, che non deve divenire sporadica creando quella sorta di vittimismo a cui tutto è giustificato, rinnegando gran parte di sè. Sovente, l'ammissione al problema determina un'istintiva barriera difensiva nei riguardi della psicoanalisi, poiché mettersi "a nudo" di fronte al proprio inconscio affrontandone le debolezze ed i travagli, spoglia l'individuo della sua corazza morale e mentale. Inoltre, la mancanza di autostima acuisce il timore di fallire anche dopo le cure. Le reazioni sono differenti, possono risvegliare rabbia, aggressività, cinismo, vendetta, presunzione ed incostanza, così come totale abnegazione, apatia. Analizzare se stessi è un labirinto velenoso, in cui è facile perdersi quanto intimorirsi di ciò che si può ricordare.

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Spesso nella "pazzia distruttiva” costituita da una serie di atteggiamenti incontrollati, che feriscono nel profondo causando danni anche irreparabili, diviene assente la fase di autocoscienza. La difficoltà sta proprio nel ragionare con certi individui, poiché ogni sorta di dialogo è non solo rifiutato bensì frainteso o subìto passivamente. Quanti individui mentalmente disturbati incontriamo nella nostra normale quotidianità? Ce ne rendiamo succubi o ne interagiamo con indifferenza, per difendercene o rifuggirli, spesso giustificandoli. Entrare nel mondo di uno psicopatico è pressoché impossibile, soprattutto se questi non segue un'adeguata terapia; il rischio è quello di venire "risucchiati" in un vortice pieno di incoerenze, di contrasti emotivi che sovrastano l'equilibrio trasformando il "soccorritore" in un vero e proprio oggetto di sfogo, su cui riversare colpe, paure e rabbia. Io li definisco secondo la dottrina màntrica "vampiri energetici", ossia elementi che per la loro predisposizione al non miglioramento oppure all'incapacità di prendere coscienza di se stessi, risucchiano energie dalla nostra mente, condizionandoci ed assorbendo ciò che di positivo possiamo offrire loro. Spesso chi vive accanto a questi individui tende a divenire un loro riflesso isterico. Questo viene talvolta definito plagio inibitorio, che rende succubi ed influenzabili agli estremi coloro che seguono molto da vicino certi soggetti con disturbi mentali, siano essi di spettro depressivo o diversamente patologico. La comprensione diviene un senso di dovere assoggettato ai loro stati d'animo repentini ed avversi. Il sadismo inconscio di questi soggetti è da attribuirsi al fatto che vivono nel proprio contesto mentale e non comprendono di ferire gli altri, oppure giustificano sempre le proprie mancanze o gli stati aggressivi come un sintomo passeggero causato dagli altri e quasi mai da se stessi. La consapevolezza è determinata dal bilanciato equilibrio tra conscio ed inconscio ma in alcuni stati depressivi o di frustrazione prevale l'alter ego, che agisce con onnipotenza prevaricando le sfere più profonde della propria coscienza. La contraddizione umana proiettata dall'inconscio contrastante diviene la manifestazione frequente di volere ad ogni costo un qualcosa e nel contempo marciarvi contro. Talvolta è dettata dall'istinto di autodifesa, quando ci accorgiamo che la situazione stessa che perseguiamo ci sta rovinando e dobbiamo in qualche modo allontanarla; altresì diviene paura, timore di fallimento,

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inducendoci a liberarcene ad ogni costo per non assumerci le proprie responsabilità. Quando la patologia predomina la sfera emotiva difficilmente si ascolta l' ”Io” più debole incline al pentimento ed al miglioramento preferendo, invece delle attenuanti di superiorità per autoconvincersi di agire correttamente. Qualora si tenda alla costante giustificazione per se stessi non si produrrà mai un miglioramento bensì un alibi “up to date” oppure definito “energia avversa”. La Musicoterapia utilizza le energie sonore per migliorare gli stati emotivi e non solo, la scienza Ayurvedica interagisce attraverso le vibrazioni di un unico suono, mirato alla riabilitazione muscolare e neurologica. Spesso ci si trova di fronte a soggetti che non sono " certificati" mentalmente instabili ma, le componenti caratteriali che manifestano in modo brusco o negativo con gli altri, dipendono da una cattiva educazione ed evidenziano comportamenti simili al patologico. Come le patologie sono riconducibili all'ambiente di crescita ed al rapporto con i genitori, anche una cattiva educazione agisce sui riflessi mentali di un soggetto influenzando i suoi rapporti sociali, che a loro volta determinano dei contrasti emotivi e di rifiuto. Nei tempi odierni, con l'incremento a dismisura dei social media tecnologici, le carenze economiche insufficienti a mantenere il tenore di vita a cui la società d'oggi è abituata, l'educazione si rende indisposta al senso di rinuncia, sacrificio, responsabilità. Come il rispetto ed il senso dei valori umani si sgretola avendo sempre meno fonti esemplari da cui attingere, così l'incapacità di interagire con gli altri si acuisce alimentando gli stati d'ira, le nevrosi che sfociano in veri e propri raptus introizzati già nell'infanzia, sovente da genitori impreparati a tale compito. Diviene sempre più irresponsabile l'atto di procreazione, quasi una rivalsa agli affetti mancati o al sentirsi non edificati, tantomeno un mezzo per adeguarsi alla sfera socialmente comune. Anche il ruolo educativo dell'insegnante tende a scomparire; spesso viene considerato una figura marginale che si ritrova a giustificare il proprio ruolo come se fosse abusivo. La protettività dei genitori verso i figli è talvolta vincolante per un educatore, così come per il musicoterapeuta diviene difficile interagi-

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re con certe problematiche comportamentali, ritenute "passeggere" dai genitori stessi. Come un buon insegnante si ritrova spesso accusato da alcuni genitori per aver dato un brutto voto o rimproverato il loro figlio, allo stesso modo la Musicoterapia è quasi considerata una materia imposta o inadeguata; ammettere i problemi comportamentali o psicologici di un bambino equivale a confermare il fallimento del rispettivo genitore. Il termine Musica rende più accettabile la cura creativa ma quando si accenna a “terapia”, si incappa in un muro di pregiudizio ed offesa personale. Gli stessi insegnanti trovandosi talvolta condizionati nel proprio lavoro, tendono a mistificare certi atteggiamenti negativi di alcuni alunni giustificandoli o sminuendoli; in tal modo interagiscono negativamente con il ruolo del musicoterapeuta, che viene contraddetto se evidenzia dei disturbi più gravi. Purtroppo non si possono cambiare gli ambienti famigliari ma con il buon esempio ed una determinata consapevolezza del rispetto, si può dimostrare alle nuove generazioni che il “buon senso” permane ancora. Continuo a credere che il Rispetto sia un Dovere prima ancora che un Diritto e che non esista giustificazione nel dire “Sono pazzo” o “Sono malato”; è solo una scusante comoda per autogiustificarsi ed indurre a compassione il prossimo. La seconda occasione intesa come possibilità di miglioramento, viene accolta da certe persone come un diritto solidale da concedere solo a se stessi e non agli altri. Le cure esistono e sono messe a disposizione della comunità. E' la volontà unita all'impegno di “migliorare” che manca, così come la necessità di progredire affrontando i confronti più eruditi e complessi con la vita stessa. Egoismo puro. La “correttezza” è un pregio da coltivare quanto da difendere e come tale non giustifica l'incapacità di averne.

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Psicosi e Sindromi

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PATOLOGIE E SINDROMI PSICO COMPORTAMENTALI La psicosi La gravità della malattia mentale è di natura soggettiva in quanto il disturbo psichico da essa causato non è quantificabile in alcun modo. Generalmente i parametri che si scelgono per quantificare la gravità di una psicopatologia si basano sulla correlazione tra l'ammalato e la società; sovente questo non è sufficiente, perché certe nevrosi si scatenano più di frequente all'interno dell'ambiente famigliare, quali la schizofrenia o le fasi depressive maniaco-bipolari. Attraverso il rapporto con l'esterno, i soggetti patologici sono vincolati da una parte inibitoria quindi sono più controllabili, perciò l'inserimento sociale diviene plausibile mentre quello privato può degenerare in stato pericoloso. Gli stati psicotici separano completamente il malato dal mondo circostante respingendolo e proiettandolo in una realtà impenetrabile dagli altri; egli perde progressivamente i contatti con quanto lo circonda acuendo gli stati repressi e nevrotici, che sfociano in crisi manifeste anche molto aggressive. Che differenza c'è tra la psicosi e la nevrosi? È molto complesso stabilire dove finisce l'una ed inizia l'altra, perché sono spesso strettamente proporzionali ma dai recenti studi psicopatologici si è riconosciuto una soglia intermedia denominata "patologia Bordeline", ossia la linea di confine che stabilisce il limite di una psicosi e di una nevrosi; si valutano i limiti della personalità che rientrano nello stato patologico ma non sconfinano dal margine massimo. Ad esempio, uno stato che non comporta la perdita del senso di realtà come invece avviene nella psicosi, può divenire vacillante o saltuario mostrando però, altri sintomi molto gravi quali: tentato suicidio, condotte devianti, impulsi aggressivi allo stato estremo delinquenziale, tossicomania, difficoltà sessuali, ipocondria, anoressia, bulimia, difficoltà scolastiche. I predetti non devono necessariamente mostrarsi nel complesso bensì è sufficiente anche solo uno di essi per definire lo stato patologico. Le patologie "oltre il limite" di un quadro psicopatologico rientrano ne " l'Organizzazione Bordeline". 35


Bisogna considerare che una patologia mentale di stato depressivo, maniacale, convulsivo, diviene luogo di scontro con pazienti ostinati a seguire le cure e le terapie psicoanalitiche, salvo ricorrendo a rimedi estremi quali il ricovero forzato (TSO). Purtroppo, quando la psicosi degenera ai livelli di incapacità emozionale al punto da reprimere la coscienza, le conseguenze sono distruttive. Mi ripeterò sovente, durante il percorso descrittivo di alcuni patologie psico comportamentali, sull'ostilità alle cure da parte di chi ne è affetto protendendo verso l'autogiustificazione. Il rifugio mentale che serve alla maggior parte dei depressi patologici al fine di rassicurarsi attraverso un'infanzia sbagliata, a seguito di matrimoni o relazioni fallite, altro non è che un involucro giustificativo, che li ritiene troppo spesso in diritto di ferire ingiustamente gli altri incolpandoli di realtà e fantasmi che appartengono solo a se stessi. Incoerenza e millanteria sopraggiungono nel delirio ossessivo e maniacale, divengono dei veri e propri atti coscienti di volere qualcuno per poi rifuggirlo, allo stesso modo di vedere realtà immaginarie. Questi soggetti agiscono in funzione di se stessi, rendono gli altri dipendenti esprimendosi con azioni che solo loro possono mettere in atto, in quanto tutto ciò che è fuori dal proprio controllo diviene minaccia.

L'autocommiserazione del nevrotico E' l'aspetto più saliente di un soggetto nevrotico che indica quanto la sua personalità sia incentrata su se stesso. La fase consequenziale è il “rifiuto al cambiamento”, un effetto dipendente dall'autocompassione che genera uno schieramento da parte del nevrotico. Se non si pensa o non si agisce come lui vuole si diviene nemici acerrimi da distanziare; un comune “Se sei con me va bene, se sei contro di me vattene”. Ogni grado valutativo o di discernimento lascia spazio all'infantilismo, a quella sensibilità in cui ci si offende per nulla sentendosi incompresi, si acuisce il senso di inferiorità, di vittimismo, di idolizzazione delle persone e di censura nei confronti delle idee avverse o ritenute tali. Sia il bambino che l'adulto affetti da nevrosi hanno un forte senso dell'alterego, che non è assolutamente da correlare ad alcuna forma di autocontrollo od autostima, bensì il contrario.

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Entrambi si paragonano agli altri secondo il proprio concetto, che sarà sempre inferiore; quando il confronto è negativo (e lo sarà nel novantanove per cento dei casi) si sentono raggirati, non amati, offesi, disprezzati, trascurati rispetto ad altri. I difetti fisici sono degli ostacoli invalicabili, che nel bambino divengono incubi di rifiuto e nell'adulto complessi di impotenza virile. Il sentirsi inferiori comporta un rifiuto dagli altri, l'esclusione da un determinato gruppo sociale, ritenendosi degli emarginati convinti di non valere abbastanza. Dunque le carenze così reputate dagli altri generano veri e propri complessi. Le reazioni emotive sono: vergogna, tristezza, rabbia, solitudine e soprattutto autodisprezzo, che nell'adulto è difficilmente superabile. “Grasso, vestito fuori moda, zoppo, balbuziente, di colore”, divengono un sinonimo di “incapace, fallito ed inaccettato”. Le esplosioni di collera e rabbia si associano ad un senso di protesta, di rifiuto per se stesso, di ostilità e ribelle amarezza, sviscerando una sorta di autocommiserazione votata al sentirsi sempre vittima eterna di tutto e di tutti. Difficilmente un bambino o adolescente rifiutato si confida con qualcuno delle proprie mancanze, perchè si vergogna o si sente incompreso. Nell'adulto si sviluppa maggiormente il senso d' inferiorità e la propensione ad autocommiserarsi; l'isteria e l'insoddisfazione accompagna la sua nevrosi, non si sentirà mai adeguatamente realizzato o considerato, attuerà degli atteggiamenti infantili: attaccarsi alle cose, pretendere tutto e subito, lamentarsi per ogni cosa, detestare chiunque non si comporti secondo i propri canoni. Le delusioni prevaricano su ogni contesto; se ottengono un qualcosa devono subito perseguire qualcos'altro, fino a provare dei veri e propri dolori fisici, sensi di spossatezza, mostrando carenze da parte degli affetti e dal lavoro, lamentando ogni sorta di disagio che degenera spesso in malanno. L'ausilio psicoanalitico è il più indicato e richiede tempo. La Musicoterapia ha lo scopo di intervenire come cura palliativa, oppure prevenzione per gli stati depressivi; nell' adulto non si può interagire allo stesso modo come nell'infante, per via di inibizioni e contrazioni psicologiche che sovrastano la spontaneità con il mondo circostante. Quando si interviene sulla sfera emotiva si risvegliano altre componenti o fattori di un disturbo associato che non rendono mai sicuro al cento per cento un obiettivo finale, poiché le reazioni sono sempre differenti da soggetto a soggetto, specie nei casi psicopatologici. 37


Sindrome o patologia? Un disturbo psico fisico riconducibile ad una causa ben definita ed accertata, rientra nella malattia definita patologia (dal greco πάϑος sofferenza e λόγος discorso). Quando invece il disturbo è generato da una serie di sintomi differenti, correlabili con diversi quadri clinici o patologici che non lo riconducono ad un'unica causa, diviene sindrome. Il disturbo vero e proprio non dipende da comportamenti scorretti o dalla cattiva educazione; ogni correlazione con disturbi mentali e comportamentali, deve essere appurata e certificata. Sovente si confonde l'immaturità, l'aggressività o l'incoerenza dell'adulto con disturbo vero e proprio, specie se accompagnato da mille scusanti e problematiche. L'evidenza dei soggetti nevrotici o depressi combacia sempre con l'autocommiserazione e qualsiasi sorta di autogiustificazione, dai propri problemi fino ai turbamenti d'ogni origine derivanti dall'esterno. L'incapacità di gestire un rapporto umano con correttezza, di consolidare un'amicizia o un'entità relazionale adulta, diviene sempre più routine e diseducazione, legate all'egocentrismo sociale attraverso cui la massa guarda unicamente a se stessa, in funzione di ciò che più conviene alla medesima. Non si giustificano la scorrettezza, l'assenza di un aiuto o l'opportunismo quali sindromi patologiche, così come non si attenuano con la convalida di sentirsi sempre vittime giustificate. Sfortuna, carenza affettiva, disordine famigliare, stress, delusioni, raggiri, difficoltà economiche, sono sempre all'apice nella società odierna, pronte a colpire e demotivare ogni buon senso di collettività. Ciò dovrebbe indurre ad apprezzare ancora di più le piccole attenzioni ed il buon gesto di qualcuno, ancora in grado di mantenere salda la promessa o la solidarietà, anziché trarne vantaggio per dimenticarsene nonappena si aprono altre soluzioni. Operare il bene non è soltanto un dovere, tantomeno lo sono la lealtà e la correttezza; entrambi corrispondono ad un privilegio umano che tende a scomparire, deriso, usurato ed ignorato.

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LA FRUSTRAZIONE Si definisce "frustrazione" la condizione in cui l’organismo di un individuo è ostacolato in modo permanente o temporaneo, nella soddisfazione dei propri bisogni. L'ostacolo che causa blocchi mentali, esaurimenti nervosi e psicosi si identifica in:

Impedimento fisico sociale, che rende insormontabili le contingenze del percorso verso gli obiettivi prefissati.

Dilazione dei fabbisogni, corrisponde ad una sfera decisamente inferiore di frustrazione, dovuta all'incapacità di un individuo, di attendere il momento giusto per realizzare una determinata situazione.

Frustrazione da conflitto, in cui si pongono due obiettivi contrastanti, per cui raggiungerne uno implica l'abbandono dell'altro.

Frustrazione di tipo biologico: riguarda l’organismo ed una particolare condizione fisica, per esempio la statura, il peso; la situazione fisica in sé non è causa di un disadattamento, lo diventa se viene sottolineata al soggetto in modo frustrante.

Le Cause Le cause generanti la frustrazione sono molteplici ma principalmente interessano quattro sfere comuni derivanti da:

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ambiente sociale (lavoro inadeguato, disoccupazione, ambiente scolastico, malattie mentali, differenza di razza, vecchiaia, rapporti uomo e donna).

familiari (genitori iperprotettivi, ansiosi, indifferenza, trascuratezza o violenza famigliare, incoerenza educativa, disfunzioni genetiche e patologiche ereditarie, unioni inappaganti e costrittive).


ambiente fisico (cambio di locazione o luogo geografico, cambio di ambiente lavorativo, scolastico, ambientale).

personali (condizioni adolescenziali, difetti fisici, complessi di inferiorità e conseguenze correlate con l'ambiente famigliare ed il rapporto coi genitori, rapporti critici fra coniugi, delusioni sentimentali, bisogno di dipendenza affettiva).

Le situazioni frustranti sono molto comuni nell’esistenza di ognuno ai tempi odierni, poiché la continua necessità di adeguarsi alla società consumista e materialista, induce a non essere mai soddisfatti di ciò che si possiede oppure a sentirsi meritevoli per diritto. Da un lato la frustrazione ha un valore formativo, se è rivolta alla ricerca di migliorare se stessi rivalutando le proprie potenzialità in quanto spinta a ricominciare; se giunge ad uno stadio continuo di insoddisfazione, intolleranza verso se stessi e gli altri, l'aggressività che ne consegue può degenerare in anomalie psicologiche, quali l'inutilità che rende passivi e totalmente statici, così come il rifiuto di un aiuto esterno. Molti sociologi rapportano la situazione dei paesi più poveri, i cui popoli riescono a sentirsi davvero felici nell'avere lo stretto necessario per vivere e non il superfluo. È proprio quest'ultimo che nella società attuale è divenuto fonte di inadeguatezza e di errata spartizione sociale, in cui ad esempio la persona più comune diviene un vip televisivo guadagnando lautamente, mentre chi lotta per ottenere un giusto riconoscimento senza gloria e lustri, viene considerato inferiore se non addirittura un incapace da ignorare. La mancanza di meritocrazia ha acuito notevolmente il senso di inferiorità privilegiando la massa sociale che può ancora permettersi certi lussi, fonte di miraggio per molti altri meritevoli. Ciò diviene comunque forza causale della frustrazione comune, che si elabora e si espande a dismisura rendendo la società venalmente opportunista, incapace di interagire fra i propri simili senza strumentalizzarsi a vicenda, divenendo osservatrice dell'eccesso altrui riversando la propria mancanza su chi non ne può nulla. Alcuni psicologi sostengono, inoltre, che l'assenza di esperienze frustranti possa generare un blocco nel ricercare soluzioni al superamento delle difficoltà. Ciò è indotto sia dalla perdita di 40


autostima sfociante nell'incapacitĂ di rinnovarsi, che dal rifiuto di sottomettersi a scelte non appaganti accettando compromessi a cui non tutti siamo disposti a soggiacere. In ambo i casi si crea una staticitĂ o rifiuto di crescita, che induce a vivere nel riflesso delle amarezze passate proiettandole negativamente nei contesti presenti, restando intrappolati nei propri fantasmi interiori. Sebbene sia molto difficile cogliere ancora un buon senso di valori solidali e sinceri, non dobbiamo impedire alla nostra mente di credere fino in fondo alle nostre potenzialitĂ , che proprio nel momento in cui ci sentiamo invisibili possono rivelarsi un'inaspettata sorpresa.

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LA DEPRESSIONE affetto immeritato, aggressività, patologie L’aggressività è spesso associata a qualcosa di distruttivo ma se è intesa come valvola di sfogo negli ambiti consentiti, senza cioè ledere persone o ambiente, si può considerare un impulso istintivo positivo nelle relazioni interpersonali. Molto spesso, negli esseri umani è alquanto difficile scendere a patti con il proprio impulso aggressivo e perciò si sviluppa la parte inconscia repressa, in due differenti modalità: - repressione interna, che sfocia nel riversare l'impulso aggressivo verso il proprio Io, reprimendolo, rinnegandolo o attribuendolo ad altri, talvolta anche elaborando proiezioni di autolesionismo mentale; - aggressività manifesta o esterna, che si evidenzia nello stato di forme esplosive infantili, pericolose per gli altri e per se stessi. Spesso per gli esseri umani è difficile venire a patti con il proprio impulso aggressivo, perché la stessa aggressività è stata repressa cioè sfogata all’interno, contro il proprio "Io" oppure è stata rinnegata, attribuita ad altri, manifestata in forme esplosive e pericolose già durante l'infanzia. Nell'adulto le cause del malumore si attribuiscono a fattori traumatici, alle delusioni, agli agenti atmosferici oppure ambientali. Se ci si approccia con la maggior parte degli individui depressi spiegando loro che i sintomi che provano sono correlati all'inibizione o alla repressione degli impulsi aggressivi, otterremo solo dissenso, poiché è tipico del depresso determinare la causa primaria delle proprie frustrazioni agli altri o ai fattori esterni; interagendo con un'analisi generica sulla perdita degli stimoli e dei mordenti inerenti al loro ambiente privato, affettivo, lavorativo, si potrà invece iniziare una terapia di supporto psicologico e cognitivo. Spiegando anche la correlazione tra depressione e disfunzioni fisiologiche quali: candida intestinale, carenza di serotonina, intolleranze alimentari unite alle carenze affettive, famigliari fino alle origini infantili, diviene un buon punto di approccio per interagire con un soggetto depresso. La depressione assume una notevole quantità di variabili riguardanti gli sbalzi d'umore, passando dalla vitalità alla totale disperazione con reazioni diverse quanto imprevedibili. Nell'ambito psicoterapeutico si catalogano in termini specifici e differenti ma le patologie si 42


associano fra di loro, si accomunano ed è talvolta difficile riconoscerne la patologia e la relativa cura. La malinconia, che è il fattore comune dello stato depressivo, non è la componente scatenante della patologia ma subentrano altre condizioni quali il disturbo del sonno, la totale immobilità, l'apatia, la perdita d'interesse per se stessi, per il proprio ambiente lavorativo ed affettivo, risvegli improvvisi durante la notte, confusione, perdita di concentrazione e rallentamento delle funzioni cerebrali simili ad una demenza temporanea, perdita del tono muscolare, diminuzione del desiderio sessuale con conseguenti proiezioni maniacali e complessi psicologici, eccessi d'intolleranza, irascibilità, diminuzione e perdita della propria autostima. E’ probabile che individui depressi possano appartenere ad un tipo genetico particolare ma non si può comprendere la depressione senza tener conto della sua storia, cioè del percorso di sviluppo dell’individuo sia nell’ambiente familiare che nei rapporti con le persone per lui più significative. E’ stato largamente dimostrato che la depressione si accompagna tanto nell’essere umano quanto negli animali, ad una severa inibizione dell’impulso aggressivo. Le delusioni di varia entità, quelle affettive, lavorative, il sentirsi respinti o inappagati acuisce di gran lunga i sintomi depressivi, così come la perdita di una persona cara, un lutto doloroso. Si pensa erroneamente che queste situazioni alquanto comuni ed elaborate seppur in forma differente, non incrementino la fase aggressiva. Un lutto riversa lo stato di rabbia e dolore con un impulso represso verso il mondo esterno, proiettato sempre verso l'Io generando sensi di colpa e senso di impotenza. La perdita di una persona cara, così come la perdita di un amore o di un rapporto importante, generano una repressione inibitoria della sfera affettiva ed aggressiva, poiché la persona amata che era presente nella propria vita rappresentava sia il lato amorevole che aggressivo; il sentimento d'amore è bivalente, unisce la tolleranza e la passione alla sfera aggressiva e all'odio. Ciò nonostante, nella profondità del nostro essere esiste una componente aggressiva che è un fattore indispensabile per la nostra sopravvivenza, nonché un freno necessario ad una smisurata e reciproca dipendenza tra coloro che si amano. Quando i due poli affettivo ed aggressivo si accentuano oltre misura subentrano le patologie, che trovano la radice nello sviluppo infantile, al mancato superamento con il distacco materno o paterno. Se la madre ha assunto un ruolo dolce, rassicurante, presente, il bambino crescerà sicuro di sé, avrà autostima e sfogherà in maniera costruttiva la propria aggressività; avendo assorbito una buona figura materna, sarà più reattivo agli attacchi esterni proiettando la solidità amorosa ricevuta. Al contrario, nel caso di una madre inadeguata, assente, 43


instabile sia emotivamente che affettivamente, il bambino crescerà insicuro, privo di autostima, aggressivo, incapace di amare in modo costruttivo, sarà esposto al fallimento perché emotivamente instabile, sarà insoddisfatto e vittima della propria rabbia repressa, non avendo i parametri solidi a cui fare riferimento e da cui attingere. I suoi rapporti sociali da adulto saranno votati ad accusare gli altri dei propri sbagli e nelle sue relazioni sentimentali, riverserà sul partner gli aspetti negativi, vivendoli come deterrente nei confronti delle avversità. Tali individui avranno difficoltà a tollerare i momenti di nervoso e nel contempo non ammetteranno di essere adirati o risentiti; la rabbia che reprimono all'interno esploderà in ira incontrollata o crisi disfattiste, di fronte alle situazioni in cui si sentono minacciati o delusi.

L'affetto immeritato e l'odio verso chi amano La convinzione di essere immeritevoli di affetto, è una componente comune dei soggetti depressi; ciò li induce a ricercare l'amore con la paura di essere invadenti o aggressivi e con lo sfrenato bisogno, soprattutto iniziale, di dipendenza. Sono individui che faranno sempre molta attenzione a non irritare od offendere la donna, così come facevano con la madre nell'infanzia, al fine di ottenerne attenzioni ed affetto. Questa stessa attenzione diviene poi odio ed aggressività quando sono emotivamente ed affettivamente coinvolti, perché la loro personalità è soggiogata alla repressione e mirata alla difesa di se stessi contro i sentimenti fortemente ostili, generati dalla carenza materna affettiva sofferta da piccoli. La loro tendenza è quella di odiare quelli che amano, perché non riescono ad ottenere da loro ciò di cui hanno realmente bisogno, per di più sentendosene immeritevoli rovesciando l'ostilità contro se stessi, torturandosi, piangendo, disperandosi fino a scatenare impulsi violenti e scene di odio, infliggendo cattiverie a chi amano. Anche l'aggressività che sopraggiunge a seguito di una separazione o di un'indipendenza improvvisa è molto simile a quella dell'odio verso lo stato di frustrazione; entrambe divampano in improvvisi raptus che sovente inducono al suicidio. La frequenza della depressione che si estende anche nella sfera materna è riconducibile sia all'incapacità di soddisfare i bisogni dei propri figli, che all'ostinazione nel volerli indipendenti prima del

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tempo. Il senso maniacale diviene possessività, che direziona il futuro della prole sulle proprie volontà o irrealizzazioni, così come avviene nei confronti del partner; qualora la situazione sfugga di mano non realizzandosi secondo le proprie aspettative, può scatenare impulsi violenti incontrollati ed i raptus omicida. La maniacalità è un elemento ripetuto nei soggetti depressi, specialmente nel quadro patologico che andrò a descrivere tra poco. Essi hanno come luogo comune la mancanza di autostima ed il loro ostacolo primario è il confronto con se stessi e con la realtà, che si trasmette attraverso reazioni differenti nella misura con gli altri: senso di superiorità, presunzione alternato al senso di rifiuto, aggressività ed incoerenza. Sovente nella sindrome bipolare la scarsa autostima diviene frustrazione, senso di fallimento accompagnato dal timore dell'abbandono e dalla paura di deludere gli altri. Coloro che non riescono a misurarsi con le proprie potenzialità sia per delusioni che per continui fallimenti, vivono una diatriba interiore molto repentina; ogni sorta di complimento o apprezzamento altrui diverrà una bugia mirata a raggirarli o a possederli, così come ogni obiettivo prefissato risulterà invalicabile o lasciato a metà. La proiezione mentale del soggetto depresso è irreale, produce in se stesso un senso del giusto e dello sbagliato che segue parametri completamente opposti alla realtà, in cui vedrà tutto nero o tutto bianco; giungono alle soglie di un traguardo e ne fanno marcia indietro proprio per timore del fallimento anziché valutarne una possibile vittoria. Distoglierli dal loro mondo e dal loro contesto mentale è una lotta contro i fantasmi, che spesso induce chi li segue da vicino con amore e dedizione, a consumarsi ed autocolpevolizzarsi. Entrare in un vortice mentale di un soggetto depresso, che potenzialmente può offrire molto ma si ostina a rifiutare un qualsiasi ausilio, è una risultante comune; rinnegano qualunque cosa, rifuggono il meglio perché vittime del proprio peggio, di quel senso di inadeguatezza in cui si riflettono e nel contempo si ostinano a permanere. Convergo con quanto affermano gli psichiatri, quando definiscono questa sorta di rifiuto come “un guscio dentro il quale rifugiarsi ma ignari di farlo”, poiché questo quadro di individui è abituato ad un contesto ridotto alla propria misura, segue una proiezione di sé e degli altri creata dalla propria mente; distoglierli da questo contesto significa procurare delle ferite enormi, dei disagi imprevedibili, che

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non si sposano facilmente con il comune concetto di miglioramento. Molte volte ho ascoltato le esperienze di coloro che vivendo accanto a dei depressi maniacali o bipolari, li descrivevano come dei tossici in preda a continue crisi di astinenza e vittime costanti di ricadute. Era come strapparli da una realtà in cui si riconoscevano per sistemarli in una quotidiana avversità, da cui dovevano scappare per ritornare al punto di partenza, accompagnandosi con insulti, accuse, pianti, risate isteriche, chiusura nel proprio silenzio e nel buio totale, egoismo, cinismo e menzogne. Ho visto famiglie e genitori distrutti a seguito di situazioni depressive nell'ambito privato, al punto da sentirsi cause difettose anziché vittime di una situazione L'autostima è la tempra vincente di un individuo, non esiste rimedio migliore se non credere nelle proprie potenzialità e non solo finché tutto procede bene; bisogna crederci fino in fondo, consapevoli che nella caduta si possa andare avanti e curare le proprie ferite. Arenarsi è indice di allarme che diviene in molti casi un contesto a cui adeguarsi per non sentirsi da soli o a rischio. Non si può definire quale sia la strada più giusta o meno indicata, però si può cercare una rivalutazione di sé, quell'energia rigenerante e riparatrice che ci spinge alla coerenza, alla responsabilità delle nostre azioni.

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LA SINDROME BIPOLARE Rientra nella categoria D.G.S (Disturbi Generalizzati dello Sviluppo), presenta similitudini con la D.S.A, ossia l'Autismo, la Sindrome di Asperger e la Schizofrenia. Anche alcuni effetti sintomatici della Sindrome di Peter Pan si evidenziano nel soggetto bipolare, tra cui promettere cose fantastiche celandosi dietro la menzogna, per rifuggire dalle loro responsabilità e dare la colpa agli altri per i propri fallimenti. Questa psicosi non è solo una fase depressiva ma coinvolge una serie di problematiche cognitive e sociali che rientrano nella sfera psichiatrica, unite soprattutto all'incapacità di affrontare la realtà entrandone in netto conflitto. E' più frequente come quadro depressivo nell'uomo, definita anche “psicosi maniaco depressiva” ed è caratterizzata dall'alternanza di due condizioni psichiche che vanno dall'eccitamento (mania) al disfattismo (inibizione). Nell'età infantile tale disturbo viene inserito nella diagnosi DOP (Disturbo Oppositivo Provocatorio) e si manifesta con cambiamenti di comportamento estremi nel bambino, esaltazione, azioni insensate, tristezza improvvisa, totale chiusura al dialogo. Il soggetto bipolare ha una malattia psico comportamentale definita anche "alterazione della personalità" e, secondo i recenti studi americani effettuati dal Center for Desease Control, questa sindrome colpisce almeno uno su ottantotto bambini ed adulti. Questi ultimi sono individui che hanno spesso subito nell'infanzia o in fase più adulta condizioni di distacco traumatico dai famigliari, di abbandono, sottomissione, rapporti affettivi emotivamente instabili specialmente con la madre, cambiamenti sociali ed ambientali repentini, che hanno generato nel soggetto delle forti delusioni, un senso di rifiuto sociale, inadeguatezza e complessi di inferiorità acuendo una rigidità emotiva ed affettiva che li induce a divenire maniacali, totalmente privi di autostima, anche se spesso mostrano un atteggiamento sostenuto. Dai recenti studi svedesi, il disturbo bipolare influenza la probabilità di autismo e schizofrenia nella prole, risultando un fattore genetico ereditario. La depressione, in questo caso degenera riproponendosi con una certa periodicità, sotto forma di malinconia alternata alla mania; la notevole variabilità psico emotiva di questi soggetti ha la spiccata capacità di confondere, ed è tutt'altro che semplice prevedere i loro cambiamenti d'umore. L'apparente pacatezza che mostrano, l'educazione e sovente la capacità di essere allegri ed ironici con la tendenza a sdrammatizzare i contesti e le situazioni, traggono in inganno. In questa fase l'individuo depresso nasconde un travaglio interiore superiore rispetto ad altri; se da un lato si rivelano 47


socialmente attivi e si sforzano di interagire col mondo esterno mantenendo una sorta di autocontrollo, dall'altro più privato, con cui si ritrovano a fare i conti con se stessi, divengono imprevedibili e sfogano una personalità duplice, totalmente opposta, che si correla con disturbi ossessivi e maniacali. La costante di questi soggetti, come nella maggior parte delle psicosi depressive è l”autogiustificazione”, unita all'egocentrismo ed allo stato di apatia che provano nei confronti di se stessi e verso gli altri. Consci di sentirsi "diversi" a momenti alterni e non nutrendo una propria autostima, rifuggono dalla realtà e dalle proprie responsabilità, in special modo quando queste irradiano prettamente il lato affettivo ed emotivo. Il momento maniacale in cui il bipolare è apparentemente sicuro di sé ha una durata variabile, comporta stati di iperattività, di smisurata eccitazione ed esaltazione, che nella fase depressiva vera e propria divengono contraddizioni e distruttività. Da un lato si sentono inferiori, sbagliati, inadeguati, dall'altro invece scatenano una reazione incontrollata, un senso di onnipotenza, che sfocia in atteggiamenti di superiorità aggressiva e di sadismo. Sono individui che ingannano se stessi e si rifugiano in una realtà mentale parallela, in cui sviluppano le proprie emozioni enfatizzandole e rendendole uniche, perfette, rifiutando di guardare in faccia la realtà. In questo modo se ne proteggono e ne restano distaccati, per poi subentrare in stato confusionale nel momento in cui si trovano a scontrarsi con i problemi reali, sia nella coppia che nella sfera sociale e lavorativa. Man mano che un obiettivo finale si avvicina iniziano a subentrare le angosce, che degenerano in millanterie e rinnegamenti; in questa fase il soggetto cambia idea ed opinione di continuo senza seguire un filo conduttore, lasciando libero sfogo alla fuga delle idee. La frustrazione che li pervade, oltre ad alimentare complessi e fissazioni, li induce a fuggire o allontanarsi dalle condizioni difficili e non trova sfogo sufficiente all'interno di un'attività culturale, fisica o creativa, se non adeguatamente sostenuta da un ausilio psicologico e psichiatrico. Sulla base del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (D.S.M.), i disturbi bipolari comprendono: il Disturbo Bipolare di I tipo, il Disturbo Bipolare di II tipo, il Disturbo Ciclotimico. I sintomi variano tra la fase “Up” e “Down” associando momenti maniacali, deliranti, ossessivi.

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La maniacalità È una costante nel soggetto bipolare di tipologia I e II si evidenzia con sbalzi d'umore manifesti attraverso il cambiamento radicale del medesimo, che diviene più elevato, eccitato, irritabile, variando per almeno una settimana. La mania è una condizione generata da euforia, estroversione, loquacità, estremo senso di benessere e fiducia pressochè illimitata in se stessi. Le persone maniacali parlano di continuo, hanno un'allegria contagiosa, spesso raccontano barzellette, fanno gli imitatori, scherzano e sdrammatizzano su tutto, risultando spesso esagerati ed inadeguati. Si sentono felici ma non sono sereni. Evidenziano la loro iperattività bevendo e fumando in modo smodato, così come mangiarsi le unghie, masticare gomme, mangiare di continuo, assumendo anche droghe o barbiturici. Molti di questi individui sono in sovrappeso. In questa fase alterativa si presentano almeno tre sintomi predefiniti: -

sonno ridotto, in cui il soggetto si riattiva dopo aver dormito due o tre ore, senza sentirsi stanco;

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la grandiosità o mitomania, l'individuo racconta fatti ed episodi esaltanti, non corrispondenti alla realtà, mitizzati, che riguardano la sua vita privata, lavorativa, attribuendosi delle scoperte importanti.

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estrema loquacità: egli racconta le cose più svariate, rielabora ricordi lontani esaltandoli in modo tale da farli sembrare incredibili, sebbene siano reali.

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l'eloquio o parlare ad alta voce senza interrompersi, caratterizzato da scherzosità, giochi di parole, demenzialità, alternando teatralità a drammaticità. Spesso il discorso procede per assonanze anzichè concetti ben definiti.

Se l'umore è più irritabile che non elevato o espanso, devono essere presenti almeno quattro dei sintomi successivi o addizionali:

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distraibilità: è impossibile che riescano a mantenere la concentrazione su un unico argomento;

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agitazione psicomotoria: la persona si muove continuamente e cerca sempre nuove attività, col rischio di ripetere le stesse


cose; aumentano le attività lavorative, sociali e sessuali;

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eccesso di emotività ludiche, con potenziali conseguenze dannose per l'eccessiva esposizione al rischio; queste si palesano nell'ottimismo sfrenato che induce il maniacale ad intraprendere investimenti avventati, fare spese al di sopra delle proprie possibilità, aumento della libido con attività sessuali promiscue e non protette, eccessiva fiducia e disponibilità nei confronti di persone appena conosciute, oppure molestie verso qualcuno per attirarne l'attenzione che diviene "fissazione".

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incapacità di critica e giudizio che rendono il soggetto avventato, come fidarsi di qualcuno senza conoscerlo, oppure prevenuto agli eccessi, considerando le persone bugiarde ed immorali;

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ideorrea o fuga delle idee, evidenzia un susseguirsi di eloqui accelerati, con bruschi cambiamenti di argomento che diviene incoerente e disorganizzato;

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aggressività verbale e fisica, che diviene provocatoria e può esplodere in vere crisi d'ira;

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sadismo, inteso in forma ludica, in cui il paziente provoca con azioni dirette o indirette generando dei veri e propri conflitti con gli altri. Solitamente, questa fase è attuata come risposta di un inconscio avverso a ciò che consciamente egli vuole; il ferire l'altro può essere intenzionale, inteso come provocazione di gelosia, oppure per manifestare la propria superiorità.

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rinnegazione, il soggetto millanta certezze che ritratta con estrema facilità; è un modo per accettare le proprie sconfitte, così come ritrattare una situazione diviene una fuga per non staccarsi da un contesto in cui si sente al sicuro.

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infantilismo, regressione, in cui il soggetto rifugge dalle responsabilità, elabora scusanti o strategie di inadempienza ai propri doveri, acuisce narcisismo ed arroganza, elabora vendette o provocazioni.


L'ossessività L'ossessione di un soggetto depresso degenera nella maniacalità di un controllo eccessivo, proiettato in bivalenza su se stesso o su un'altra persona. Si acuiscono nel soggetto maniaco depresso e bipolare le “ossessività compulse” di tipo dubitativo (vedi pag ) in differenti stadi, che egli può riconoscere oppure ignorare totalmente. Spesso nei soggetti bipolari si manifestano relazioni proiettate mentalmente prima ancora che si realizzino. A questo si associa l'ossessione di lentezza primaria, che rallenta le loro azioni evidenziandone l'eccessiva paura ed insicurezza. Essi non tollerano di essere sottoposti a giudizio e tantomeno di essere controllati da qualcuno prevaricando, però, sulle scelte del partner o sulle sue abitudini caratteriali e sociali, con la necessità di controllarle al fine di non sentirsi minacciati. Un soggetto depresso e deluso proietterà sugli errori degli altri ciò che in passato si è rivelato un proprio fallimento, con conseguente giudizio negativo e ripudio. Considerare l'atteggiamento compulso di un depresso patologico o bipolare è molto difficile, perchè si manifestano in svariate sfaccettature.

L'Ipomaniacalità L'individuo ha un netto cambiamento dell'umore che diventa elevato, espansivo ed irritabile, si distingue dal suo umore abituale e non da quello depresso vero e proprio, perdura in modo persistente per almeno quattro o cinque giorni. Durante l'episodio si riscontra anche un cambiamento nel modo di agire usuale dell'individuo, che insieme all'umore alterato, si rendono visibili anche all'esterno. In questo periodo devono essere presenti e persistenti almeno quattro dei sintomi già descritti per l'episodio maniacale. Spesso l'alterazione dell'umore è osservabile dagli altri, così il cambiamento del soggetto diviene evidente in tutti i suoi aspetti, appare differente dal solito ed irriconoscibile. Sebbene non si intervenga con il ricovero, si appura 51


che il soggetto non assuma droghe o eccitanti per poi indurlo alla terapia. Il senso di rifiuto alle cure è il sintomo "per eccellenza", in cui il bipolare attribuisce alle medicine l'acuire dei sintomi oppure ritiene inutile il prosieguo delle sedute psicoanalitiche.

La fase depressiva L'altro stato depressivo bipolare si contrappone alla fase di ipereccitabilità ed ai suoi sintomi, manifestando una fase "down" o ipoedonista, che comporta il calo del desiderio e della volontà di agire, l'insoddisfazione frustrante, l'incapacità di provare piacere sia nell'attività sessuale che nella gratificazione di compiere anche le attività più piacevoli. Tale contrazione d'interesse favorisce un blocco motivazionale, che può causare la perdita stessa delle attività così come dei rapporti personali e sociali. La caratteristica in questa fase è l'incapacità di prendere decisioni abbandonandosi alla più totale contraddizione. A questa forma di apatia sopraggiunge il rifiuto affettivo, che si evidenzia nella peculiare incapacità di provare emozioni, nella rigidità muscolare riflessa sulla riduzione dell'impulso emotivo, inerente a determinati avvenimenti affettivi e sociali; questo genera una spiacevolissima sensazione di inutilità e scatena profondi sensi di colpa, che riducono il soggetto al completo degrado di se stesso. L'isolamento diviene costante in questa fase e non tollerano nessuno, spesso creando problemi sociali elevati. Nei rapporti affettivi creano dipendenza, la stessa che riflettono verso gli oggetti materiali; nel rifiuto di questa, mantengono un distacco emotivo, rifiutano le effusioni, gli abbracci, mantenendo una rigidità muscolare di autodifesa. Questo influenza anche l'incapacità di provare piacere nell'attività sessuale, benché in fase di ipereccitazione la libido possa divenire maniacale e fuori controllo. La bivalenza affettiva verso la donna si palesa con la premurosità, la gentilezza e l'educazione verso la medesima (riflesso materno), serbandone contemporaneamente disprezzo se non addirittura odio e timore del rifiuto. Il bradipsichismo (rallentamento fisico) che si impossessa del soggetto in questa fase down, può divenire totale immobilità; a questa si associa un forte pessimismo, disfattismo e rancore generati dai continui ripensamenti o elucubrazioni, che lo allontanano e lo 52


inducono alla fuga. I temi ricorrenti di questa meditazione pessimistica sono: autosvalutazione, indegnità d'amore e comprensione correlate alla totale perdita di autostima, senso di sconfitta, di fallimento e miseria, che spesso esplodono in manie suicide o costanti pensieri di malattia e morte; senso di disprezzo per se stessi, in cui il soggetto si sentirà sempre inferiore e meno abile rispetto a chiunque, per di più accusando di essere deriso, non realmente amato ed entrando in conflitto con il mondo circostante. L'autoconvinzione che emerge in questa fase è maniacale, in cui il soggetto si fissa e si convince irremovibilmente sui suoi riflessi mentali; la fissazione autodistruttiva verso se stessi diviene pari a quella in cui vogliono a tutti i costi ottenere qualcosa o le attenzioni di qualcuno. Durante la fase depressiva si manifestano gli Episodi Maniacali che non sono più solo sintomi, bensì divengono veri e propri deliri.

Deliri maniacali La fase delirante implica una realtà ideata ed esente da ogni giudizio o possibilità di cambiamento. Essa vive e si identifica concretamente nella sfera della “convinzione” del paziente maniacale e bipolare. Si dividono in due tipologie deliranti maniacali, a seconda dello stato Up o Down del paziente depresso. Nella fase di eccitazione saranno esaltazioni all'estremo Ego, mentre nella fase depressiva diverranno distruttivi. A questi si associa la paranoia. - l'Esaltazione o edonismo, ossia il paziente ritiene di avere doti e capacità superiori ad ogni altro, manifesta atteggiamenti di onnipotenza, millanta fatti ed episodi attribuiti a se stesso. La mitomania rientra in questa sfera. - la potenza, il paziente si identifica con personaggi geniali o al pari di persone molto influenti; - l' inventore, ossia quando il soggetto si attribuisce delle scoperte che hanno contribuito ad azioni importanti ; 53


- il mistico, quando l'individuo bipolare si crede in stretto contatto con Dio e con i Santi, ritiene che ogni sua preghiera sia esaudita. A questa forma idilliaca si accomuna la credenza di essere più puro e perfetto di altri manifestando veri e propri atteggiamenti bigotti; - l' amore immaginario in cui il paziente si illude di essere amato da un sesso opposto, oppure enfatizzando o idolizzando un'infatuazione innamorandosi della proiezione mentale che costruisce verso qualcuno. In alcune fasi maniacali diviene “accanimento affettivo”, in cui il soggetto si fissa su una determinata persona divenendone dipendente pur non avendola mai frequentata. - tradimento ed infedeltà, il soggetto si fissa sulla convinzione sebbene non comprovata di essere tradito, non sufficientemente amato, immeritevole d'amore, abbandonato, raggirato.

Deliri depressivi - senso di colpa ed autoaccusa, in cui il bipolare si sente responsabile di cause esterne da lui non dipendenti ma comunque correlate, si autoaccusa per mancanze economiche o aiuti non elargiti; - senso di miseria e povertà, quando il paziente lamenta di non essere in grado di sostenere se stesso o la famiglia, si autoconvince di non essere all'altezza delle situazioni, non potendo assolverle economicamente e lavorativamente; - senso di rovina, inteso come la totale disperazione autodistruttiva del soggetto bipolare, in cui crede di perdere tutto, di essere licenziato, di ridurre se stesso e la famiglia alla fame, di cadere in disgrazia; - senso della malattia, ossia il paziente si crede a rischio di malanni, di gravi problemi di salute che lo rendano totalmente inutile, orribile e rifiutato. A questo si unisce anche il terrore delle malattie, nella più totale paura di ammalarsi o infettarsi proiettando la sua maniacalità sessuale incontrollata nella fase "Up" o ipomaniacale. - ipocondria, in cui il soggetto depresso si preoccupa in modo smisurato per la propria salute, per quella degli altri, agitandosi e 54


perdendo il controllo su se stesso; - rinnegazione e sfiducia, il soggetto manifesta totale sfiducia nel prossimo e rinnega fatti e situazioni. Si distinguono tre stadi di gravità maniacale, identificati in :  euforia, iper eccitabilità, iperattività (1 stadio);  psicolabilità, stati di delirio, agitazione (2 stadio);  disorganizzazione, disordine mentale, comportamenti strani, comportamenti incontrollati (3 stadio).

[ vedi schema seguente]

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I Tipo Bipolare Può presentarsi già in età preadolescenziale, proseguendo in età adulta con patologie avanzate del medesimo stadio, inserendo sintomi di ritardo o rallentamento fisico cognitivo, se non curata adeguatamente. I soggetti hanno subìto frequenti cambiamenti e distacchi famigliari, sociali, ambientali, rendendo la loro personalità incapace di stabilire un netto contatto con la realtà quotidiana, rifugiandosi in un contesto mentale proprio, sovente creato per occludere le emozioni negative, i dispiaceri e rimuovere i traumi subiti attutendo l'aggressività repressa. Difficilmente si riescono a sbloccare le inibizioni di questi individui, poiché al primo stadio di cedimento alle emozioni tendono a reprimerle o a ritrattarle con estrema superficialità; per cedimento intendo il rapportarsi con il mondo reale, nel momento in cui i riflessi mentali che si sono costruiti, si riversano sul concreto con tutti i difetti e le difficoltà annesse, ponendoli di fronte a delle scelte responsabili che non sono in grado di affrontare e soprattutto, creano in loro delle paure inconsce al fine di rifuggire l'azione concreta. Ciò non significa che siano incapaci di provare emozioni, al contrario sono vittime primarie delle proprie ma nel contempo le rifuggono, non disposti a subirle per timore del confronto con se stessi, ritenendosi inadeguati; questa mancanza di autostima genera la fase maniacale ipoedonistica, che alimenta complessi fisici, psicologici e sociali. La maniacalità, inoltre, si manifesta con la fissazione vera e propria per un contesto sociale, materiale o personale, su cui proiettano la propria insistenza e frustrazione. Spesso si fissano sulle persone, proiettando sentimenti bivalenti, che vanno dall'amore platonico al disprezzo. Sovente l'ambiente famigliare in cui crescono è teso, fonte di violenze psicologiche, repressioni, esempi di personalità disturbate già nei genitori o in un componente di essi, tant'è vero che per alcuni psichiatri, tale patologia trova già origine da alterazioni cromosomiche. Spesso il problema conflittuale avviene nei confronti materni e, nel corso degli anni il soggetto maschile, si identifica negativamente nei confronti del sesso opposto. E' frequente che il bipolare attinga forza da un membro famigliare che tenda a giustificarlo, facendolo sentire "speciale" senza realmente responsabilizzarlo, poiché incapace di infondergli un valido esempio di personalità coerente. Nella sindrome infantile, il contenimento materno che è fondamentale per rassicurare il bambino al fine di 56


proteggerlo dalle frustrazioni delle prime esperienze di vita, è stato travagliato, interrotto o assente. Perciò egli si rifugia nel proprio mondo infantile, rivelandosi incostante nel portare a termine i propri impegni defilando le proprie responsabilità. Inoltre, la patologia depressiva conduce alla regressione, cioè alla visione infantile della sfera prettamente concreta. Sono profondamente egoisti, proprio per la visione distaccata e pessimista che hanno del mondo, anche se sovente si dichiarano ottimisti, fingono di adeguarsi alle situazioni e si mostrano convincenti nel loro atteggiamento. Non permettono a nessuno di organizzare o condizionare il loro modus operandi o status vivendi ma divengono esigenti nel farsi' che gli altri si adeguino ai loro. Come avviene nel soggetto depresso ed ossessivo, tutto ciò che converge a se stessi è tollerabile ma sono alquanto intolleranti verso il mondo; ciò perchè hanno una maniacale necessità di tenere sotto controllo le situazioni, indi per cui ogni contesto che non venga gestito da loro è luogo di critica e di pericolo. Sono incapaci di rapportarsi con coerenza, dimostrano interessi e curiosità iniziali che generano in loro un entusiasmo sfrenato (ipomaniacale) verso persone o cose, che tendono presto a lasciar svanire o ad allontanare quando subentra il senso pessimistico. La mancanza di autostima li induce al rifiuto per se stessi, nonché ad attribuire al prossimo le colpe dei propri fallimenti alimentando un'aggressività rivolta al proprio Io, che non li fa sentire all'altezza delle situazioni. Sono tendenzialmente perfezionisti ed è proprio questa condizione che li rende maniacali bivalenti, cioè tutto deve seguire un ordine preciso ed esasperato nella fase maniacale, così come diviene totale caos nella fase passivo depressiva. Anche il disordine mentale, che si associa a quello ambientale, diviene fra i sintomi più manifesti accompagnati da stati confusionali, difficoltà nell'apprendimento, sporadici stati di amnesia ed irascibilità sfocianti in atteggiamenti provocatori, scontrosi ed aggressivi. Sentono la forte necessità di dipendenza, scegliendo figure amichevoli che seguono con accanimento, oppure ricercano una figura affettivamente forte, determinata, che sia in netto contrasto con la loro passiva indecisione, entrandoci poi in conflitto per il senso profondo d'inferiorità che li accompagna. Sono instabili nei rapporti affettivi, in quanto si sentono spesso immeritevoli dell'amore e della stima da parte del sesso opposto, creando conflitti e tensioni, atteggiamenti di odio e disprezzo per il partner, rinnegando ogni 57


forma di rabbia per se stessi. Non ammettono di essere arrabbiati, reprimono ogni fonte di alterazione che diviene una mina vagante; al primo stato di perdita del controllo può scatenarsi una rabbia esplosiva, con azioni di violenza anche fisica. La descrizione della fase I bipolare, non deve essere intesa come unicamente correlata al singolo livello patologico, perché in questo tipo di degenerazione depressiva, i sintomi si mischiano, si accavallano e si alternano tra il livello I e II. La maniacalità del primo livello bipolare si correla a quella del secondo, così gli effetti manifesti della sfera emotiva e cognitiva, con alcune peculiarità differenti.

II Tipo Bipolare Lo stadio delirante dell'onnipotenza si acuisce nella fase ipomaniacale di II tipo, in cui il soggetto crea condizioni provocatorie, assume toni aggressivi e volgari, ferendo volontariamente le persone vicine, come sorta di superiorità nei loro confronti. La cosiddetta provocazione del piede di guerra, in cui sfidano un ipotetico avversario per dover primeggiare o sentirsi ascoltati, li induce a compiere azioni mirate a creare intorno a sé dissensi e reazioni di rifiuto, al fine di allontanare chiunque intralci il proprio status. In questo modo, elevano il proprio alter ego, lo stesso che in fase depressiva li confonde rendendoli disfattisti ed indegni. La fase bipolare di secondo livello patologico, è la più complessa da analizzare, perché coinvolge oltre alle manie depressive, aggressive ed impulsive, anche alcuni sintomi della sindrome autistica, quali: il rallentamento fisico, la disconnessione con la realtà, l'incapacità di sorridere, di ascoltare, di manifestare slanci affettivi rifiutandoli. Proprio l'autostima, che nella sindrome perde ogni senso esistenziale, con conseguenti malumori, malesseri, la perdita del sonno, l'eccessivo pessimismo, ansie e paure di fallire, diviene in fase maniacale una totale presunzione che rasenta l'infallibilità'; il soggetto si sente padrone di sé, delle sue scelte, non accetta contraddizioni, rinnega di essere malato e si spinge al limite di ogni rischio; è totalmente incapace di gestire un autocontrollo sul denaro, sui rapporti personali, sessuali, sociali. Si mette al servizio degli altri con l'unico scopo di sentirsi valido ed apprezzato, nel contempo diviene intollerante, 58


suscettibile, non accetta di essere contraddetto o schernito, la sua insoddisfazione diviene caotica, inducendolo alla menzogna e alla totale incoerenza. Ecco perché, quando subentra la fase depressiva o ipoedonistica, il bipolare non recepisce altro che il proprio senso di colpa, il senso di rifiuto per ciò che era ed è, riconducendo tutto alla propria instabilità ed incapacità di essere, di comportarsi, di agire e di auto controllarsi. Sono soggetti distruttivi in questa fase ed è realmente difficile concedere loro un aiuto, poiché lo rifiutano divenendo vittime scontrose, impertinenti, contraddittorie, vulnerabili. Si coinvolgono spesso in situazioni sentimentali complesse in cui riflettono il loro stato depressivo ma nel contempo, non trovano soluzioni mirate al cambiamento radicale bensì ne restano passivi, proiettando nella propria mente gli eventuali fallimenti del rapporto stesso, in cui ogni minimo ostacolo diviene un grave problema ed una scusante per retrocedere. È una peculiarità comune per questi individui "subire" il rapporto con l'altro sesso, in cui ricercano un riferimento affettivo non costruttivo; il loro senso di costruttività è vissuto in maniera distaccata per timore di creare dipendenza dal legame. Ciò scaturisce in loro una rigidità muscolare negli slanci affettivi e respingono le effusioni da parte dei partner con un imbarazzo immotivato. Anche la loro sessualità subisce frequenti sbalzi emotivi, passando dalla sfrenata e maniacale eccitazione votata al rischio, alla totale apatia e frigidità. Questa tipologia detta "disclaimer", si evidenzia nel livello II, in cui il soggetto bipolare diviene vittima della scarsa autostima, si crea complessi di inferiorità, spesso rifiuta il proprio aspetto, ha costanti dubbi sulle proprie potenzialità, che si riflettono anche sui rapporti personali. Le cause infantili da cui spesso la sindrome trova origini, si palesa in una madre assente, che ha creato nel figlio repressioni e delusioni; nel caso in cui i genitori fossero separati, la madre che si è accoppiata con altri uomini è proiettata come rea ed i partner come rivali che l'hanno allontanata dal figlio. Così il soggetto riflette nella donna il senso dell'immoralità, sebbene la colmi di premure, gentilezze, serbandone inconsciamente il timore del rifiuto, l'odio ed il disprezzo, che fuoriescono al presentarsi delle prime liti. La bivalenza materna si riflette costantemente sulla partner, specialmente quando questa diviene un rischio di dipendenza affettiva, oppure se è emancipata, indipendente ed in grado di elevarsi socialmente acuendo nel soggetto bipolare il profondo senso di inferiorità ed inadeguatezza, che sopraggiungono nella fase depressiva ipoedonista. In quest'ultima si incrementano anche le 59


continue contraddizioni, l'incapacita di prendere decisioni e responsabilità, l'incostanza di portare a termine un percorso completo, oppure a mantenere quanto stabilito in precedenza. Le relazioni nel bipolare II divengono un' àncora di salvataggio senza troppe aspettative; sono dei “punti di riferimento affettivi” che non devono prevaricare un determinato limite, proprio per rifuggire alla dipendenza dal rapporto stesso. Il soggetto causa contrasti e deterrenti inappaganti e, se da un lato ricerca comprensione e complicità, dall'altro rifiuta il partner sino al punto di respingerlo o detestarlo; questo si palesa perché è il suo stesso senso di fallimento a divenire rifiuto, considerandosi indegno ed autodistruttivo. Proprio la sua dipendenza può dirigersi sulle cose materiali, di cui il soggetto diviene succube, come ad esempio un computer o un cellulare ed inoltre, nella fase di ipereccitazione, la stessa lo rende totalmente incontrollato nelle spese; qualora non ottenga quel determinato oggetto o lo smarrisca diviene scontroso, irascibile, sfogandosi con le persone più vicine affettivamente. Il rallentamento cognitivo che è tipico del soggetto depresso, diviene in un vero e proprio impedimento a compiere semplici azioni quotidiane, che esulino dalla normale abitudinarietà. Diviene paragonabile ad un bambino alle prime esperienze con il mondo esterno, “si perde in un bicchiere d'acqua” ma in modo così evidente da sentirsi realmente ridicolo. Questa tipologia di “ossessione compulsa” si evidenzia soprattutto nel timore di essere deriso, preso in giro, così come nel continuo bisogno di conferme. In questo contesto rientra la "fissazione", i soggetti credono fermamente in ciò che riflettono nella sfera immaginaria della loro mente, un reale stravolto e proiettato secondo le proprie esigenze affettive ed emozionali del momento. Dunque non vero in senso logico ma esistente in quello intrinseco, in cui elaborano concetti, situazioni irreali, enfatizzandole sia in positivo che in negativo. Ecco perché di fronte ai sentimenti, in cui non riescono a mantenere un controllo sul partner o non vogliono crearne dipendenza, si sentono decisamente inferiori, manifestano crisi di autocommiserazione sentendosi immeritevoli di amore, falliti nel rapporto prima ancora di sperimentarlo fino in fondo, serbandone un distacco o rifuggendolo di fronte alle prime difficoltà. Oppure divengono spregievoli ed irascibili, per sentirsi superiori al partner stesso, rigettando sul medesimo i propri fallimenti. Nella sfera femminile depressa, la donna può ricercare due differenti tipologie nel partner: il maschio autoritario da cui rendersi dipendente oppure quello caratterialmente debole e sottomesso. Lo 60


sbilanciamento della personalità duplice diviene incostanza ed eccessiva predisposizione al delirio, specie di gelosia morbosa o di tradimento passivo, che nell'uomo può esplodere in raptus pericolosi ed omicida mentre nella donna può acuire il desiderio di suicidio. Il sadismo si evidenzia nella fase di secondo livello bipolare, incrementando lo sfogo della rabbia repressa e l'insoddisfazione attraverso il linguaggio o l'azione provocatoria. Si manifesta con atteggiamenti scontrosi ed ingiustificati, in cui il soggetto provoca di proposito creando una vera e propria condizione di attacco e restandone poi soddisfatto; con la provocazione, che può manifestarsi in veste ludico psicologica, egli sfoga il disordine ed il caos proiettati nella sua mente e si crea degli alibi per giustificarli. Sceglie delle figure "nemiche" con cui agire in modo scorretto, spesso da cui può sentirsi affettivamente dipendente, mentre assume un provvisorio equilibrio con coloro da cui non si sente minacciato o coinvolto emotivamente. Il senso di colpa che ne consegue diviene per lui una conferma della propria indignità ma è solo momentaneo. Il soggetto depresso bipolare così come lo schizofrenico scatena le proprie paranoie e deliri sadico maniacali all'interno della sfera privata, costruendosi degli ambienti esterni che fungano quali alibi, per sentirsi migliori e giustificati. In genere in questi soggetti lo stato aggressivo viene represso; è difficile o pressoché impossibile che il depresso bipolare ammetta di essere in collera così come rinnegherà di essere geloso o possessivo, se non in casi di delirio passionale. Mentire a se stesso lo aiuta ad accettarsi; ogni contesto o situazione che gli generi dispiacere, viene in realtà sfogata sul proprio “Io” acuendo non solo la frequenza degli sbalzi d'umore ma può esplodere in stati violenti improvvisi, anche in contesti non gravi. L'autocommiserazione diviene scusante ed alibi nel contempo, giustificando se stesso attraverso il proprio senso di “pazzia”. La sua realtà immaginaria è l'unica in cui si riconosce. III Tipo, Ciclotimico La caratteristica principale del Disturbo Ciclotimico è la risultante di un'alterazione d'umore che alterna periodi maniacali a periodi depressivi, non sempre correlati alla depressione Bipolare vera e propria. Anche in questo caso i periodi maniacali si manifestano con euforia eccessiva, azioni incontrollate al rischio, scoordinamento ed ipereccitabilità associata ad edonismo, con periodi depressivi di totale disinteresse, perdita di piaceri e stimoli reattivi ed emotivi, 61


profonda tristezza, problemi di sonno e sessuali, accompagnati da un rallentamento motorio e gestuale. L'alternarsi costante e ravvicinato dell'euforia maniacale e della fase depressiva, crea una vera e propria oscillazione e scoordinamento tra sonno e veglia, appetito e libido sessuale, giudizio e critica, gestualità e coordinamento, eccitazione ed autocontrollo. Nella fase ciclotimica i sintomi non devono superare un intervallo di due mesi l'uno dall'altro; anche se la patologicità non diviene impedimento come spesso accade per la Sindrome maniaco depressiva, può compromettere un'attività lavorativa continua, così come la costanza nei rapporti affettivi e sociali.

L'autogiustificazione, un alibi comune Ho accertato nel corso degli anni in cui ho seguito soggetti mentalmente instabili, che il loro "nascondersi" dietro alla propria condizione patologica, sia una scusante considerata comoda al fine di sentirsi giustificati; il timore di ripetere gli stessi errori, di assumersi le proprie responsabilità a cui solitamente rifuggono, li induce a sospendere l'assunzione dei farmaci o a non seguire le sedute psicoterapeutiche. E' di fondamentale importanza, specie in questa fase, creare una vera e propria “alleanza terapeutica”, al fine di seguire il medesimo paziente dalla fase iniziale depressiva. Il repentino cambiamento del medico psichiatra è assolutamente improduttivo; è alquanto ricorrente nel soggetto bipolare, cercare delle scusanti per non essere costantemente seguito. Dunque, il percorso curativo si ritrova ogni volta a ricominciare da capo, senza un costante miglioramento. Egli conserva nella propria sfera inconscia, sia il timore di essere un fallito e dunque non riuscire a migliorare nonostante le cure, che il rifiuto a guarire, poiché sarebbe come privarlo di una corazza dietro cui proteggersi. E' importante non lasciarsi confondere dalla gentilezza ed educazione che questi soggetti riversano, specie rilegandomi a ciò che inizialmente ho spiegato in merito alla riflessologia materna. I soggetti maniacali depressi si mostrano ben disposti e premurosi con la sfera femminile ma inconsciamente rifiutandola ed odiandola; così avviene all'opposto, in cui lo stato depressivo femminile riflette la figura paterna con rifiuto ed odio. Bisogna assumere un atteggiamento distaccato nei momenti in cui li 62


sovrasta la crisi pessimista, soprattutto non cedere alle loro provocazioni. Ai famigliari è sempre consigliato di crearsi e seguire una vita autonoma, che li distragga ma soprattutto non li renda succubi, lasciandosi assorbire totalmente dalla condizione del soggetto malato. Ho conosciuto diversi famigliari di pazienti bipolari, che a loro volta sono caduti in profondo stato di esaurimento per causa dell'instabilità del figlio o del compagno, essendo la depressione bipolare più diffusa tra il sesso maschile. La “pena” che il depresso incute piangendo o disperandosi, diviene spesso l'arma di compassione per concentrare l'attenzione su se stesso. Lo stato confusionale alimenta la capacità di ferire e provocare fino a divenire distruttivo, con azioni reattive ed incontrollate. Diagnosticare il vero grado di disturbo bipolare depressivo è una ricerca alquanto complessa, poiché ci si trova spesso di fronte a soggetti capaci di raggirare le situazioni, di mentire costruendosi una falsa personalità, che solo dopo accurate e regolari sedute un buon psichiatra può riconoscere, stabilendone la cura. Il controllo del paziente in età adulta diviene molto più difficile e, se non si hanno punti di riferimento esterni specie nelle prime fasi della terapia, può presentarsi la possibilità di una diagnosi errata. Per esempio, mi ritrovai tempo fa in una condizione delicata con un paziente depresso bipolare, di cui né io e né lo psichiatra che lo aveva in cura da pochi mesi, riuscivamo a stabilirne lo stato di aggressività; ciò fu possibile con l'ausilio di un suo famigliare, che avendo subìto violenze da parte del paziente stesso, ce ne fornì una documentazione clinica. Come avviene anche nel soggetto schizofrenico, le manifestazioni aggressive del depresso avvengono all'interno della sfera famigliare. La Psicoterapia così come la Musicoterapia, dal punto di vista collaborativo devono viaggiare su correnti interdisciplinari, basandosi sugli stati emotivi comportamentali del soggetto o paziente, senza sottovalutare mai l'ambiente famigliare di provenienza. Il contatto con il mondo sonoro è l'ideale per i soggetti affetti da depressione e bipolarismo in ogni sua variabile, perché rivitalizza l'umore, riduce gli stati aggressivi, rieduca la memoria e migliora le proiezioni vitali, la cognitività ed il senso di autostima. L'ammettere una psicosi o un grado patologico sia esso depressivo che sociopatico, non significa giustificare la massa sociale. Sovente si attenuano molti crimini con l'alibi dell'instabilità mentale, che divengono condonati o condannabili a pena ridotta. C'è da considerare che la psicoanalisi non è stata approfondita con lo scopo di tutelare i delinquenti, nemmeno con il ritenere delle povere vittime coloro che depressi, frustrati, esauriti, si permettono di 63


giocare con i sentimenti delle persone, di ferire gli altri ritenendosi dei poveri pazzi. Il suo fine è quello di porre un rimedio, una soluzione positiva, un miglioramento visibile su alcune sfere mentalmente disturbate, per non degenerare il loro status oppure renderlo il più possibile innocuo. Dunque non rifiutiamo il concetto di malato mentale, così come non lo dobbiamo giustificare, poiché essendoci le cure adeguate ci si può rimettere in sesto o ripristinare una sorta di autocontrollo, impedendo azioni sfavorevoli a se stessi ed alla società. Le persone ossessive, maniacali, depresse, divengono realmente un muro di piombo, contro il quale gli unici a sbattervi la testa ed uscirne distrutti sono coloro che per affetto o mossi da un profondo senso di compassione, se ne rendono ausiliari e complici. Il malato riprende la sua vita normalmente, a seguito di ogni disastro emotivo, affettivo, poiché la sua mente scatena dei parametri di autocommiserazione che lo convincono di aver agito nel modo più giusto. Anche se interiormente soffrono, si disperano, il loro alterego li induce all'egoismo, alla proiezione del sè ed in funzione di se stessi. Non rinunciano a qualcosa perché lo ritengono immeritevole ma perché realmente non sono loro in grado di gestirlo. Ecco perché è fondamentale che colui riconosciuto mentalmente instabile o depresso, non permanga sulle proprie fissazioni di staticità, nel rifiuto costante delle cure e delle sedute da un buon esperto, il quale seppur ritenuto marginale da molti individui, permane una guida cosciente e ferrea per circoscrivere certe reazioni, analizzarle e migliorarle.

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Terapia La costante comune dei soggetti bipolari, così come nei casi mentalmente disturbati, è la mancanza di collaborazione, a cui qualunque valido psicoterapeuta deve far fronte agli inizi di ogni percorso curativo. Si è appurato che almeno il sessanta per cento dei pazienti ricade in depressione dopo brevi periodi, oppure manifesta scusanti di ogni sorta al fine di non prendere le medicine prescritte. Questo è importante soprattutto per l'ambiente familiare, sottoposto ad un enorme stress. Gli studi hanno evidenziato come l'espressione di questo stress, un atteggiamento ipercritico o ipercoinvolto siano fattori predittivi di successive ricadute. È basilare informare i famigliari più ancora che il paziente stesso, della gravità della sindrome patologica e delle probabili ricadute con i sintomi più manifesti, con lo scopo di preprararli e di indurli a seguire i pazienti. È anche vero che nei pazienti adulti, è molto difficile seguirne le operazioni quotidiane se abitano per conto proprio e distanti dal nucleo famigliare. Infatti nella percentuale maggiore, rientrano i soggetti nella fascia fra i trenta/quarant'anni. Il litio è considerato lo stabilizzatore per eccellenza ma non tutte le patologie hanno la medesima tipologia farmacologica. Esso infatti, funge da stabilizzatore dell'umore nei casi maniacali, aggressivi ma negli stati depressivi diviene alquanto inefficace; inoltre, richiede un lungo periodo di monitoraggio, che senza la stretta collaborazione del paziente diviene sporadico ed insufficiente al miglioramento. Per ritardare gli episodi depressivi, gli studi americani hanno appurato che la lamotrigina ha effetti a lungo termine, specie se associata ad altri farmaci quali la clozapina o l'olanzapina (strutturalmente simili), classificate come tienobenzodiazepina. Nella prevenzione delle ricadute, invece, si associa la carbamazepina, che influisce sul sistema neurotrasmettitore interagendo sullo stato emotivo del paziente, al fine di mantenerlo ad uno stadio di equilibrio cosciente e riflessivo. È sempre basilare valutare attentamente l'utilizzo degli antidepressivi durante una crisi, perché bisogna prima analizzare la gravità della condizione, al fine di non accentuare o provocare episodi maniacali o crisi ulteriormente ravvicinate. L'approccio musicoterapeutico, oppure l'integrazione con attività quali il canto o lo studio di uno strumento preferito, aiutano a superare le crisi depressive, alimentando l'entusiasmo e l'autistima nel compiere qualcosa di creativo ed emotivamente stimolante.

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Episodio realmente accaduto Gianni era un uomo di quarant'anni circa che seguiva i corsi di Musicoterapia nel mio centro didattico. Manifestava chiaramente i sintomi di un depresso bipolare, benché fosse una persona squisitamente educata e colta. Gli era stato diagnosticato uno stato depressivo di livello due bipolare, sin dal l'adolescenza. La sua vita era stata un repentino conflitto di relazioni fallite, perdite di denaro ed irrealizzazioni personali. Qualche tempo dopo conobbi la sua ragazza Elisa, che ignara di cosa significasse vivere accanto ad un soggetto depresso bipolare, cominciò a frequentarlo regolarmente. Dopo circa un mese, proprio costei mi chiese di aiutarla perché la sua vita era devastata. Gianni asseriva di curarsi ma in realtà non frequentava regolarmente le sedute e non prendeva i farmaci; passava repentinamente da uno stato d'animo all'altro in cui diveniva irascibile, sospettava della sua compagna, non credeva a nulla di ciò che dicesse; nelle crisi depressive si chiudeva in se stesso, non voleva parlare con lei e spariva per dei periodi di tempo che variavano da una o due settimane, per poi ritornare alla normalità, come se niente fosse accaduto. Nel contempo ogni approccio o tentativo della partner di avvicinarsi o cercare di capire il suo stato, scatenava da parte sua insulti, provocazioni di ogni sorta, linguaggio scurrile e gestualità aggressive; rinnegava ogni cosa, la accusava di tutto ed era maniacalmente ossessionato dalle malattie al punto che accusava la compagna di essere infetta. Inoltre disprezzava se stesso manifestando sensi di fallimento ed autodistruzione. Gianni era pieno di riguardi nei suoi confronti quando la sua fase Up lo rendeva ipereccitato, però spendeva in maniera vergognosa il suo denaro, comprava cose per sè e per altri, addirittura per persone che conosceva appena, senza alcun controllo. Proprio il medesimo non voleva in alcun modo che la sua privacy e la sua organizzazione di vita fosse ostacolata, però pretendeva che la compagna si adeguasse in tutto e per tutto alle sue abitudini. Appariva maschilista, arrogante, prepotente, bugiardo, diffidente ed asseriva di avere delle potenzialità al di sopra di tutti. Consigliai ad Elisa di prendersi del tempo ed allontanarsi, cosa che le

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diveniva difficile perché lui continuava a cercarla, alimentando in lei dei sensi di colpa e per di più mostrandosi profondamente pentito di ogni insulto o comportamento aggressivo nei suoi confronti. Una notte fu costretta a scappare di casa perché lui la aggredì fisicamente, minacciandola. Il motivo della lite risaliva al fatto che proprio Gianni, maniacalmente ossessionato dalle malattie, confidò alla compagna di averla tradita con una sconosciuta ed avere contratto un'infezione. Quando la partner raccolse le sue cose per andarsene via, lui perse il controllo e l'aggredì. Rimasero distanti per qualche tempo e Gianni riprese le sedute dal suo psicoanalista ma rifiutava totalmente di prendere gli psicofarmaci, perché attribuiva ad essi le cause dei suoi stati depressivi. La sua pazzia era una costante autogiustificazione. Nonostante ciò era pervaso dai sensi di colpa, crisi di pianto e disperazione, in cui riteneva di dovere tutto alla sua compagna ma nel contempo di non meritarla. Dopo qualche mese decisero di prendere casa insieme, perché a detta di Elisa, il suo Gianni era cambiato e migliorato, le sue crisi non si manifestavano più, era rientrato nella fase amichevole, premurosa e piena di progetti insieme a lei; le promise ogni sorta di impegno e totale dedizione, pareva convinto ed irremovibile sulla decisione di sposarla. Io non mi accorsi di questo miglioramento, sebbene costui non frequentasse più regolarmente le mie lezioni musicoterapeutiche. I suoi movimenti erano rallentati visibilmente, la sua andatura era alquanto impacciata e cambiava repentinamente opinione su diversi argomenti, senza seguire una logica. La compagna mi disse che aspettava un figlio. Gianni ne sembrava felice, la riempiva di premure e non smetteva un attimo di seguirla. Non li sentii per un paio di mesi. Un giorno mi giunse un'email, in cui la sua compagna mi scrisse che stava partendo per l'estero da sola e voleva salutarmi. Ci incontrammo per caffè e lei scoppiò in lacrime. Gianni scomparve dalla sua vita poche settimane prima del trasloco, a seguito di una crisi depressiva in cui il medesimo la accusò di infamie, riferendosi a scusanti fuori luogo e senza alcun senso per tirarsi indietro e non convivere più. La incolpò persino di averlo tradito, che il bambino non era suo e lui non avrebbe mai voluto figli; lamentava il fallimento, la perdita ipotetica del lavoro, la sua incapacità di gestire un rapporto, provocandola e ferendola ripetutamente. La cosa andò avanti per alcune settimane, in cui Gianni passava dallo stato di estremo cinismo e freddezza alle crisi di pianto, in cui necessitava di sentirsi rassicurato. La gravidanza non proseguì, la ragazza entrò in 67


un profondo stato depressivo e raggiunse i famigliari in svizzera, ove proseguì le cure antidepressive. Gianni tentò nel tempo di rifarsi vivo con lei, manifestava forti sensi di colpa, pianti, autocommiserazione, si sentiva indegno di avere una donna che lo amasse, sentendosi un perdente immeritevole dell'amore di chiunque. Dopodichè sparì nel nulla e nel più totale silenzio. I due non tornarono più assieme e Gianni riprese i corsi di musica dopo qualche tempo, come se nulla fosse successo. La sua gentilezza era disarmante ma si mostrava pieno di contraddizioni, compiaciuto del fatto che la compagna fosse felice lontano da lui e si fosse ricreata una vita, quella medesima che lui non sarebbe stato in grado di offrirle. Tutto era tornato al suo posto, niente più responsabilità, niente più rischio di fallire; la sua routine quotidiana, il suo lavoro, i suoi amici ma soprattutto "la sua realtà".

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Bipolarità: la dualità in una persona, un viso in ombra ad indicare un lato nascosto ed un altro viso che si mostra deformato, perchè non si sa mai se è la maschera o il vero Io.

Norathep Dusit Dughera, nato a bangkok ne 1981, consegue la luarea specialistica a Cuneo al corso di Restauro e Conservazione dei beni culturali. Tuttora svolge la professione di pittore e fotografo, è riconosciuto come uno degli artisti emergenti del canavesano, specializzato nella rappresentazione di figure dei corpi umani. Collaboratore di Eleonora Rossin e socio della Music&Art da lei fondata nel 2010, ha creato queste tavole appositamente per questo progetto letterario, cercando di interprentare secondo la sua visione le varie tematiche proposte.

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IL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSO Le idee, i pensieri, le immagini proiettate con insistenza generando ansie, paure, sensi di fallimento, divengono nel soggetto che tenta di reprimerle invanamente delle ossessioni. Spesso questi sintomi che sono ricorrenti in diverse forme di psicosi e di sindromi (tra cui in alcuni casi anche nel disturbo Bipolare), si associano le “compulsioni”, cioè i comportamenti ripetuti che sovente vengono definiti anche manie compulse quali: lavarsi continuamente le mani, toccare un determinato oggetto, pregare o contare insistentemente, sono azioni che sminuiscono temporaneamente l'ansia che qualcosa di brutto possa avvenire. Le ossessioni si associano comunemente al timore di prendersi malattie, di essere infettati persino nel medesimo habitat, così come evitare il contatto con qualsiasi agente esterno (maniglie, porte, etc...) procedendo con lunghi rituali di disinfezione. Queste paure, che nei soggetti maniacali e bipolari possono essere rasentate al limite del rischio nella fase di ipereccitazione, alimentano nella fase depressiva una condizione di maggior timore ossessivo, che si riversa anche sulle persone più vicine. A questa fase si inseriscono i ripetuti controlli di determinate azioni, come ad esempio controllare più volte di aver spento la luce, il gas, aprire e chiudere le porte di un frigorifero, spostare un oggetto, fino al controllo insistente di una persona. I rapidi riflessi mentali di ansia e paura si possono manifestare in modo molto rapido, come ad esempio credere che se non si ripetono quelle azioni per due o tre volte consecutive, accadranno cose spiacevoli o una certa cosa finirà male. Come ogni forma di disturbo maniacale ed ossessivo, per essere riconosciuto patologico deve interferire sulla sfera sociale e lavorativa di un paziente, che di solito si manifesta con evidenza in età adulta. Le ossessioni oltre che compulse (atti ripetuti) si evidenziano in “dubitative”, in cui il soggetto evita ogni cosa o situazione che possano indurlo a fare del male, per esempio: distanziarsi dai coltelli, dagli oggetti chirurgici, rifiutarsi di guidare, di affacciarsi alla finestra per timore di essere spinto o cadere, di entrare in chiesa per non essere punito o bestemmiare, di avvicinare i bambini per timore di ferirli o toccarli, così via. Un'altra ossessione dubitativa evidente nei soggetti maniaco depressivi è la paura di sentirsi presi in giro; considerano ogni

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complimento o azione benevola nei loro confronti come un “raggiro” rivolto con falsità. Una forma che diviene paranoia evidenziando la totale inaffidabilità. Questo si manifesta spesso nei pazienti bipolari, che non godendo di una propria autostima divengono vittime di questi riflessi dubitativi fino a convincersene. La forma ossessiva cosiddetta “primaria” è quella maggiormente evidenziata in alcuni soggetti Bipolari di II livello, cioè un rallenty eccessivo dei movimenti che vengono eseguiti con estrema paura, accompagnati dal dubbio, dall'enorme insicurezza che provano nello svolgimento delle proprie azioni, seppur banali o quotidiane. Una sorta di paralisi che si aziona con l'eseguire un'azione di pochissimi minuti in un periodo molto più lungo, addirittura ore. Un altro quadro clinico ossessivo compulso, evidenzia nei soggetti la mania di contare le mattonelle, gli alberi, oppure sommano le targhe automobilistiche, fotografano o riprendono gli altri di nascosto, oppure in ambito intimo riprendono se stessi per contrastare le proprie carenze sessuali. Si menzionano accanto ai Disturbi Ossessivi le tre fasi di reazione:

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Interferenza, in cui le ossessioni interferiscono con le attività quotidiane ed affettive. Il soggetto ne è dunque condizionato e non riesce a distinguere più il grado di ossessione. Insight, in cui il paziente si rende conto della propria malattia, consapevolizza il suo status e spesso lo usa per autogiustificarsi. Nei casi più gravi questa fase è totalmente assente. Resistenza, in cui il soggetto cerca di combattere queste ossessioni in modo variabile, sminuendone alcune ma acuendone altre.


Terapia I sali di Litio sono comunemente associati nel disturbo ossessivo Bipolare, mentre gli antipsicotici si utilizzano negli stati di deliri o allucinazioni. Le Benzodiazepine sono ansiolitici che vanno presi con parsimonia, poiché possono creare assuefazione e dipendenza. La terapia comportamentale è definita un valido ausilio nei Disturbi Ossessivi Compulsi, aiutando il paziente:  interrompere il pensiero ossessivo fornendo al paziente le direttive necessarie al fine di contrastarlo e rimuoverlo;  prevenzione di risposta compulsiva, guidando il paziente a presentare una condizione “dal vivo” di un fenomeno compulso ed impedirgli di agire ( per esempio di lavarsi le mani);  esposizione “immaginaria” della situazione ossessiva, se questa è proiettata su fenomeni non reali (per esempio la paura di uccidere o di una catastrofe). In quest'ultima fase si inserisce anche la Musicoterapia, che agisce sullo stato emotivo contenendo le ansie, lavorando sulla respirazione profonda e sulla proiezione attraverso particolari musiche, di un fenomeno ossessivo a cui rapportarsi mentalmente per superarne il trauma.

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LA PARANOIA ORGANIZZATA La paranoia, definita anche disturbo delirante è una malattia mentale caratterizzata da un delirio di tipo organizzato. Essendo quest'ultimo un'ideazione enfatizzata, produce un'alterazione del giudizio espresso su una realtà sfalsata, dunque non modificabile o realmente vissuto. Il soggetto si convince di cose del tutto inesistenti, quali complotti nascosti, raggiri, addirittura entità supreme, ufo; si sente un profeta che manifesta saggezza ed è pronto a salvare anime umane al fine di condurle alla verità. In quest'ultima fase si intercalano anche delle proiezioni mentali, in cui il soggetto sente delle voci o delle premonizioni che lo convincono di possedere un diretto contatto con il Supremo e di serbarne dei segreti. Il delirio diviene "Organizzato" quando segue una logica coerente. Non tutte le forme deliranti si manifestano con fuga delle idee o frasi sconnesse. Il chè diviene anche più ambiguo, perchè i soggetti paranoici attuano una sorta di plagio e rassicurazione, tali da confondere e convincere chi li ascolta della loro padronanza mentale. La capacità lessicale di questi soggetti è molto curata e forbita. Il paranoico appare come una persona “perfettamente a posto”, perchè il delirio è spesso coerente con la realtà ed attinge da essa seppur non sia concreto.

Differenza tra paranoia e schizofrenia La malattia paranoica è una sindrome delirante di tipo cronico che manifesta il delirio in maniera del tutto coerente, perciò definita nella psicoanalisi “delirio organizzato” che ha del sorprendente. Gli schemi che segue sono rigidi, immodificabili, lasciano pensare ad una disciplina oltre la quale non è ammesso sbagliare. La forma maniacale del depresso e del bipolare coinvolge queste fasi paranoiche, nella rigidità muscolare e nel senso di perfezione schematica entro la quale il soggetto vuole muoversi. La degenerazione di alcuni aspetti emotivi del paranoico sono il campanello d'allarme per riconoscerne l'identità:    74

mancanza eccessiva di fiducia; inclinazione al pregiudizio, alla critica; insicurezza nel gestirsi e nel muoversi;


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tendenza a drammatizzare le situazioni ed autocommiserarsi; eccessiva paura che si trasforma in sospetto e nella certezza di fatti non reali; vedere complotti e pericoli celati, il soggetto si autoconvince di qualcosa fino a crederci; incapacità di accettare le incertezze della vita; incapacità di accettare i propri limiti, di ritenersi “banali”, indegni di attenzioni o particolarmente interessanti; essere sospettosi di tutto e tutti.

A differenza della schizofrenia, la paranoia organizzata non mostra allucinazioni in alcun caso ma viene analizzata in base ai diversi contenuti deliranti, che sono molto simili a quelli schizofrenici. In molti contesti odierni, la paranoia diviene un sintomo comune nelle condizioni di difficoltà, che porta l'individuo a piangersi addosso, a giustificare ogni comportamento scorretto quale valido effetto, generato dai molteplici problemi socio privati. In tal contesto la psicologia umanistica, che nello specifico elabora le statistiche delle incoerenze comportamentali (gli sbalzi di umore, l'incapacità di affrontare le situazioni, l'inadempienza ed il rifuggire ai propri impegni, l'aggravare le situazioni, il cambiamento improvviso di personalità), detiene un'alta probabilità che non si tratti di nevrosi bensì di isteria convulsa, generata dalla forte necessità di sentirsi compatiti, ponendo gli altri in funzione di se stessi. Questa fase di egocentrismo si diffonde rapidamente quanto un virus letale, colpendo ogni fascia sociale adulta, acuendosi dopo i quarant'anni. Non per nulla, ci si ritrova con più frequenza di fronte ad incongruenze confluenti nella generazione più avanzata che non nella massa giovanile; quest'ultima funge da carta assorbente, assimilando come giusto o giustificabile, ogni atteggiamento nevrotico e privo di buon senso. Dunque nevrosi è il termine più consueto nella società attuale; che poi si identifichi come pazzia od esurimento cambia poco la sostanza, in quanto determina un'incapacità di self control, che indispone alla socializzazione ed alla fiducia reciproca. Il contesto del nevrotico funziona come lo status del depresso e del paranoico, circoscritto nel proprio mondo ovattato, simulando identità sfalsate che li rendano importanti. Quindi non speriamo in chissà quale rimorso o riflessione interiore, poiché nel loro meccanismo mentale, questo è il modo corretto su cui riflettersi ed agire.

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LA SCHIZOFRENIA La schizofrenia è una malattia cronica, grave e invalidante che colpisce il cervello in circa l’1 % della popolazione; come il bipolarismo, sebbene in minima percentuale, può determinare la presenza di soggetti autistici all'interno di un nucleo famigliare. Le persone affette da tale disturbo possono sentire delle voci che gli altri non sentono, possono credere che gli altri leggano le loro menti controllandone i pensieri o che complottino contro; questo rende gli schizofrenici nervosi, estremamente agitati e tremanti inducendoli a parlare in modo confuso. Possono stare seduti per ore senza proferire parola restando immobili, in totale stato catatonico, per poi divenire preda di allucinazioni che esplodono in delirio. I sintomi si presentano verso i trent'anni, raramente nei bambini e negli adolescenti, perché è difficile diagnosticare la schizofrenia a quell'età in cui i disturbi del sonno, la mutazione caratteriale, il cambio di amici, possono essere fattori piuttosto normali. Gli stati manifesti più riconoscibili della schizofrenia si possono distinguere nei modi seguenti: - sintomi positivi, quando il paziente avverte delle voci che parlano con lui o fra loro, senza fini autodistruttivi o lesionisti, vede persone o cose che non esistono, avverte odori che altri non sentono; - sintomi negativi sono associati ad interruzioni del normale stato emotivo e comportamentale. Questi sintomi sono più difficili da riconoscere come parte della malattia e possono essere scambiati per depressione o per altri disturbi. I più comuni sono la mancanza di piaceri nella vita quotidiana, l'incostanza di avviare e sostenere gli impegni, mancanza di capacità di avviare e sostenere le attività previste, scarsa comunicazione. Le persone con sintomi negativi possono aver bisogno di aiuto per le attività quotidiane, trascurano di base la propria igiene personale ed alternano momenti confusionali a totale stato di disinteresse. In questa fase somigliano al soggetto maniaco depressivo e bipolare. - sintomi cognitivi sono disturbi del movimento che possono apparire come dei movimenti agitati del corpo, ripetuti più volte fino allo stato catatonico. Nella fase più avanzata divengono convulsivi, accompagnati da spasmi e salivazione intensa.

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I soggetti con schizofrenia non sono in genere violenti; tuttavia alcuni sintomi sono associati a stati di violenza, come le manie di persecuzione. L’abuso di sostanze può scatenare la probabilità che una persona schizofrenica perda il controllo e se ciò accade, l'atto violento è di solito diretto ai famigliari e tende a manifestarsi in casa. I soggetti con questa patologia tentano il suicidio con molta più frequenza rispetto ad altri . I ricercatori sanno da tempo che la schizofrenia è un disturbo di carattere familiare; si presenta nell’uno per cento della popolazione generale ma si osserva nel dieci per cento delle persone che hanno un parente di primo grado con tale patologia, come un genitore o fratelli e sorelle, specie gemelli; meno frequente ma pur sempre riscontrabile da zii e nonni. La ricerca recente ha scoperto che le persone affette da schizofrenia tendono ad avere tassi più alti di mutazioni genetiche che interrompono lo sviluppo cerebrale e di un importante gene, su cui oggi si articolano gli studi scientifici. Una seconda causa si attribuisce allo squilibrio delle complesse reazioni chimiche del cervello che coinvolgono i neurotrasmettitori, ossia le sostanze che permettono alle cellule del cervello di comunicare l'una con l'altra, fra cui in questo caso la dopamina ed il glutammato. Alcuni soggetti che fanno abuso di droghe mostrano sintomi simili a quelli della schizofrenia, infatti alcuni soggetti schizofrenici possono essere scambiati per tossicodipendenti. Nella terapia musicoterapeutica si pone come obiettivo quello di migliorare la qualità della vita riducendo l’aggressività di questi soggetti, stimolandone la memoria, usando l'espressione corporea sinestesica come riabilitazione ed autocontrollo; i casi più gestibili riguardano la sfera preadolescenziale, che risponde maggiormente alle attività sonore.

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SINDROME DI ASPERGER E un disturbo pervasivo dello sviluppo comunemente imparentata come lo spettro autistico. Nel 1981 L. Wing studiò approfonditamente le correlazioni tra questa sindrome e l'alto funzionamento autistico, che talvolta si presenta con peculiarità associabili alle psicosi depressive. La diagnosi si esegue con maggior precisione nei bambini al di sopra dei cinque anni; spesso accade nella diagnosi di un adulto, che la risposta ai questionari sia sfalsata o condizionata, come avviene nelle sedute iniziali psicoterapeutiche in cui il paziente adulto costruisce uno schermo di autodifesa con l'analista. Alcuni, inoltre, presentano sintomi mentali ma non legati alle difficoltà di funzionamento, che normalmente sono prese in considerazione dalla diagnosi Asperger. I sintomi più manifesti sono:   

    

difficoltà nel controllo delle emozioni e nella comunicazione; profilo insolito nella difficoltà di apprendimento; capacità insolite nell'ambito linguistico che però non sono proporzionate al contenuto della conversazione, la quale appare immatura, pedante seppur con elevata esposizione lessicale. vittimismo bullistico e difficoltà nel fare amicizie; insoliti interessi per un qualche argomento, che divengono eccessivamente coinvolgenti; coordinamento dei movimenti goffo ed impacciato; sensibilità ai suoni, ai sapori e al tatto; attaccamento maniacale ad apparecchiature elettroniche, da cui i soggetti dipendono in continuazione.

I sintomi mentali (sovente non manifesti con le azioni) riguardano:  tendenza a considerare eccessivamente ogni parola che gli altri comunicano;  forma differente ed avversa all'autoconsapevolezza ed all'introspezione;

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 tendenza ad elaborare le informazioni sociali con la ragione anche quando non sia strettamente necessario, analizzando il contesto in tempi maggiori;  sfinimento fisico ed emotivo legato alla socializzazione, in cui il soggetto si sente provato dal contatto altrui;  onestà notevole, che di fatto non è da considerarsi negativa se non fosse associata al ritardo nel sviluppare i contesti di persuasione, compromesso, così come a risolvere i conflitti. Specie in questi ultimi, il soggetto alimenta le discussioni ed è incapace di attenuarle. Uno dei primi passi per interagire con la terapia diagnostica è il riconoscimento delle difficoltà reali, nel gestire alcune esperienze che solitamente sono semplici per gli altri ed anche piacevoli. A questo si unisce la capacità del paziente di accettare positivamente l'intervento altrui, anche come supporto, raggiungendo una maggior comprensione di se stesso (self-advocacy) e migliorando la sua capacità decisionale inerente al lavoro, alle scelte personali, alle amicizie, ai rapporti interpersonali. Il soggetto inizia ad avere una prospettiva migliore della sfera sociale, senza interagire con assidue critiche pessimistiche; in tal modo egli si sentirà meno stupido o pazzo.

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Seasonal Affective Disorder Si identifica come Sindrome Metereopatica, in cui i sintomi psicofisici sono generati dalle variazioni climatiche stagionali. I periodi in cui la SAD (Sindrome Affettiva Stagionale) si manifesta sono in genere quelli autunnali, invernali e primaverili. L'andamento di esordio e remissione oscilla nell'arco dei due anni, senza nessuna interferenza con altri sintomi depressivi; non devono verificarsi causali quali stress, disoccupazione, impegni scolastici o lavorativi particolarmente snervanti. Solitamente la Sindrome SAD si verifica più spesso nei soggetti affetti da Disturbo Bipolare, nelle donne più giovani o di mezza età, per motivi strutturali psico-biologici. Le temperature fredde dei periodi invernali e la carenza di luce solare, determina uno scompenso mentale più negativo, che agisce sul senso di spossatezza e di pessimismo. In alcuni casi si verificano dei sintomi più negativi, specialmente se si associa un lungo periodo di staticità o inattività. I sintomi si palesano in:  riduzione delle energie e della concentrazione;

sonnolenza;

 aumento dell'appetito;  diminuzione temporanea di interesse ed apatia  inappetenza;

sonno agitato;

 ansia, suscettibilità, calo sessuale ed intolleranza ai rapporti sociali.

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SINDROME DI PETER PAN Nel 1983 si adotta il termine patologico da un libro di Dan Kiley, intitolato “The Peter Pan Syndrome”: Men Who Have Never Crown Up. La sindrome di Peter Pan si identifica in quei soggetti incapaci o ostinati a crescere per non assumersi le proprie responsabilità. Presenta in questo dei luoghi comuni con il bipolarismo, poiché la poca autorevolezza e la scarsa autostima li induce a non voler operare nel mondo adulto, in quanto ostile ai suoi modus operandi, restando chiuso e proteggendo si nella fanciullezza, luogo in cui attinge fenomeni frivoli, illusori e privi di impegno mentale, emotivo e sociale. Normalmente queste persone sembrano sicure di se stesse e mostrano una certa arroganza; questa è solo una corazza dietro cui celare le loro insicurezze e l’incapacità decisionale. Queste persone si nascondono dietro le scuse e le menzogne con l’obiettivo di nascondere la loro incapacità di crescere; parlano normalmente di progetti ed affari incredibili, grandi avventure amorose, che fondamentalmente sanno di non poter realizzare. Queste fantasie permettono loro di sfuggire alle proprie responsabilità e poter così dare la colpa agli altri delle cose nega tive che accadono loro. Nella grafologia, se analizziamo un soggetto bipolare ed un soggetto affetto dalla sindrome Pan, rileviamo la tendenza nel primo di celarsi e ricercare una sorta di perfezione in se stesso, che lo rende instabile nelle proprie scelte; nel secondo, invece, la frivolezza e la leggiadria che non vuole rimuovere restando ancorato alla manifestazione infantile. Nel depresso bipolare si accentuano le lettere in stampatello, piccole e molto ravvicinate; nel soggetto Pan, invece, si alternano frasi in corsivo ed altre in stampatello, differenti come grandezza, ampie e distaccate. In entrambi i casi si evidenziano i sentimenti profondi ma immaturi, poiché di fronte alle scelte determinate temono il fallimento e la delusione. Qualora i soggetti affetti dalla sindrome di Pan si trovino di fronte al tentativo di crearsi rapporti stabili coerenti, impegni lavorativi e sociali fondati, cedono a repentine crisi esistenziali, paranoie, che possono talvolta degenerare in stati violenti e depressivi. In questa fase si evidenziano sintomi molto simili alla depressione maniacale e bipolare. Nella Musicoterapia, i medesimi soggetti interagiscono con naturale spontaneità esplorando il mondo sonoro, partecipando attivamente agli esercizi proposti volendo cambiare di continuo le attività; talvolta appaiono ritmicamente scoordinati, non per difficoltà di apprendi81


mento ma per destare disordine fra i compagni attirando l'attenzione su di sé ed istigarli al gioco. La sindrome non è citata nel Diagnostic and Statical Manual of Mental Disorders ma rientra comunque nella disfunzione dello sviluppo. Gli anni in cui J. M.Barrie elaborò il suo fortunato personaggio sono anche gli anni in cui Sigmund Freud pubblicò le sue opere più importanti . In Inghilterra la psicologia si mescolava spesso allo spiritualismo e alle ricerche extrasensoriali. La nozione di bambino in Freud e in Barrie sono simili, poichè entrambi vedevano i bambini come egoisti ed amorali. La personalità dei moderni Peter Pan, li spinge a recitare un ruolo, in cui per prima cosa essi mentono a se stessi, perchè preferiscono guardare ai loro lati positivi, trasformandosi in narcisisti ed individualisti arroganti. Essi vogliono che la loro compagna faccia loro da mamma, proprio come fa Wendy nella fiaba, sempre pronta ad assecondare il suo Peter. La causa della sindrome sta probabilmente nell’atteggiamento dei genitori, estremamente protettivi, che destano preoccupazione nel lasciare soli i figli sostenendo il contrario davanti a loro, quando invece sono estremamente in ansia. I figli conservano così una psicologia adolescienziale, fuggono le responsabilità, mancano d'impegno e continuano a cercare la madre in ogni donna che incontrano. Questi sintomi si presentano anche nei soggetti bipolari, che evidenziano nella fase depressiva.

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LA MITOMANIA Individuata come sindrome isterica, dal filosofo e psichiatra tedesco Karl Theodor Jaspers nei primi anni del 1900, può svilupparsi in un vero caso patologico, quando la tendenza abituale ad inventare bugie, a cui il soggetto stesso finisce col crederci, con lo scopo di destare lodevole ammirazione, compassione o comunque interesse negli altri, compromette la sfera sociale. Rientrano in questo ambito l'esagerazione, la millanteria, il falso ricordo, il rendersi protagonisti o fautori di fatti importanti, crimini, frequenti nei soggetti che necessitano di rassicurazione e di continue conferme, identificando gli altri al ruolo di spettatori incantati. Sovente è anche considerata un meccanismo di difesa, per cancellare le degratificazioni trasmutandole in ciò che meglio appaga il proprio essere, come successi, episodi interessanti, distorcendoli o esaltandoli per sopperire alla mediocrità. Avvalendosi della suggestione e dell'inganno, rifugge la depressione causata dalla vita reale, procurandosi delle situazioni tra il fantastico e l'onnipotenza. Nel profilo diagnostico viene inserita come disturbo di cluster B, al quale appartengono anche i narcisisti e gli istrionici. Nella sfera psicoanalitica, si riconduce all'idealizzazione infantile dell' Io, quello stato di Onnipotenza in cui tutto è possibile. La medesima si riflette nell'adulto per sentirsi più adeguato allo stereotipo sociale o per meglio difendersi dai pregiudizi, volendo apparire migliore e distinguendosi dalla banalità. La terapia, in entrambi i casi, riesce ad inserirsi solo quando il paziente entra in una fase depressiva; la cura può servirsi di antidepressivi oppure di stabilizzatori dell'umore se vi sono elementi di bipolarità, o con antipsicotici se le idee assumono carattere delirante. Questi interventi vanno abbinati alla psicoterapia di tipo cognitivo e alla Musicoterapia emotiva, che conduce al rilassamento; entrambe hanno come obiettivo quello di migliorare la qualità della vita, oltre a rivitalizzare l’umore riducono l’aggressività, costruendo l'autostima e stimolando la memoria.

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LE SINDROMI DELLA DIPENDENZA Analisi de “Il possesso” Ci sono alcuni elementi psicologici ben distinti, che unendosi trasmutano la manifestazione sessuale dell’individuo in esercizio di possesso nei confronti di altre persone. Sigmund Freud attribuisce la situazione di dipendenza del bambino alla paura di perdere l’amore dei genitori, che genera in lui una “sottomissione educativa”, la stessa che nell’adulto si trasforma nel timore di essere disapprovato dalla comunità, ossia una “sottomissione sociale”. Nel lungo periodo di dipendenza infantile, tipico della razza umana, sono da ricercare secondo Freud, le radici della socializzazione dell’individuo, del bisogno della religione, delle aspirazioni etiche e morali. Come il bambino è dipendente dai genitori, così la sua sessualità tende a far diventare dipendente l’oggetto o la persona che si ama. Sottomettersi ai genitori permette al fanciullo di apprendere e di crescere all’interno del mondo in cui è nato, ma dall'altro rende i genitori dipendenti dalla sua presenza . Non usiamo il termine “amore” ma parliamo di strategie di vita, d’esistenza, messe in atto al fine di mantenere intorno a sé la prole; queste strategie si fissano nella crescita del bambino e gli impediscono di crescere psicologicamente. Nella psicoanalisi, la possessività maschile si ricollega alla fase anale della prima infanzia proiettandosi nella figura materna e nel legame con essa; in questa fase il bambino non riesce a reggere le frustrazioni di questo legame che non rappresenta una relazione esclusiva. Nel possesso femminile si riflette la libido verso il padre, colui che viene conquistato e si proietta nel maschio scelto, controllandolo e dominandolo. La reazione in età adolescenziale si manifesta con la forte necessità di trovare un legame affettivo che sopperisca a quello mancato, considerandolo una proprietà da difendere e gestire con totale autorità, spesso attribuendogli le cause delle proprie mancanze o riversando su di esso la propria rabbia inconscia scaturita dal mancato rapporto famigliare. I soggetti possessivi divengono più incisivi nel rapporto sentimentale gestendo il partner sotto forma di “proprietà”, da educare alle proprie condizioni mentali e sociali oppure plagiandolo mentalmente, al fine di tirarlo dalla propria parte e condizionandolo a vivere come un riflesso di se stessi. Qualora ciò non si rendesse possibile perché la per84


sonalità del partner si ribella, si instaura il senso di rifiuto e di odio che può degenerare in raptus violenti. Lo stato possessivo si associa all'onnipotenza infantile ed adulta.

Analisi de “L'onnipotenza” Nella psicoanalisi viene desunta dal linguaggio teologico per descrivere lo stato di onnipotenza del bambino, che nella sua prima infanzia crede di poter dominare la realtà che lo circonda. Nella fase patologica con seri problemi psichici, il dominio sulle persone avviene privandole della propria autostima sia mentale che fisica. Solo in questo modo possono essere dominate e possedute sia carnalmente che mentalmente. Questa patologia correlata con l'educazione cattolica, viene fissata con schemi di imposizione, tesa a trasformare le persone in oggetti posseduti nei quali veicolare la propria ideologia e sessualità, sentendosi dominatori. La correlazione religiosa si intende come un canale di controllo mentale e fisico sugli altri, dovuto al senso di superiorità quasi divina che questi individui provano per se stessi; a questo si associa la capacità subdola di plagiare e manipolare le persone e le situazioni a proprio vantaggio. In genere questo avviene perché i soggetti maniacali di onnipotenza scelgono persone fragili, in contesti difficili che le rendono vulnerabili. Nella fase di crescita del bambino, questo sentimento dovrebbe placarsi a seguito della realtà ed esperienze frustranti che egli subisce ma, in alcuni casi si proietta nell'età adulta, con la pulsione sessuale del dio padrone, che si placa nelle relazioni sociali poiché esposte per emergere nella sfera sessuale ed affettiva privata. Ogni individuo si può identificare nel dio padrone proiettando una realtà di persone sottomesse a lui oppure a chi gli sta al di sopra. Secondo l'etica sociale, la riproduzione della sindrome di onnipotenza nelle relazioni affettive si attribuisce alla sfera educativa cattolica, che ponendo la famiglia come predominio assoluto impone come giuste ed indiscutibili sia la possessività che la necessità di dipendenza, generate all'interno del nucleo famigliare stesso. Nella sfera patologica maniacale affettiva questo degenera sovente in esplosioni aggressive ed omicide, poiché la donna o l'uomo possessivi divengono padroni di una "proprietà" del sesso opposto scatenando la propria insicurezza, il timore di non gestire le situazioni, di non tenere 85


tutto sotto controllo, divenendo aggressivi oltre lo stato limite fino ad uccidere. Imporre alle persone di veicolare l’espressione della propria sessualità mediante il possesso dell’altro, implica privare quest'ultimo della sua autonomia e della libertà con cui gestire il proprio corpo, la propria mente e la propria sessualità e realtà sociale. L'intervento terapeutico è prettamente psichiatrico, con lunghi periodi di isolamento del paziente allo stato socialmente pericoloso. Nella sfera di Onnipotenza e di attaccamento morboso, la Musicoterapia interviene in modo molto marginale; solitamente è mirata alla sfera emotiva, al fine di determinare il grado di occlusione ossia di rifiuto delle emozioni, attraverso l'espressione sonora o la rappresentazione di essa. Nel caso specifico dei bambini, il possesso si evidenzia spesso negli atteggiamenti autoritari, hanno reazioni aggressive, picchiano i compagni al fine di sottometterli e sentirsi migliori di loro. Ricordo un allievo adolescente affetto da sindrome di onnipotenza, associata ad altri disturbi psico comportamentali. In alcune fasi costui si atteggiava da superiore ritenendo il mio ausilio superfluo, contestando ogni sorta di consiglio e definendo banale ogni mia valutazione. Costringere il paziente in questi casi di avversità non produce alcun risultato, mentre sospendere la terapia sonora può aiutare a rivalutare certe pratiche ed analisi, sempre in confronto diretto con lo psicoanalista. In genere i soggetti affetti da sindrome onnipotente, sono privi di vera autostima, vivono profondi complessi di inferiorità e necessitano di sentirsi privilegiati rispetto ad altri nonché dipendere affettivamente da qualcuno più debole, su cui riflettere la propria egemonia. Analisi de “La Dipendenza affettiva” (Love Addiction) Si manifesta nei soggetti che sin dall'infanzia hanno subìto abbandoni o traumi affettivi, rapporti distaccati e trascurati con la madre od ambedue i genitori. Si correla ad altre patologie della sfera psico emozionale, quali la sindrome della crocerossina. In età adulta si identifica soprattutto nel sesso femminile, nella sua devozione amorosa intesa come la grande virtù che una donna debba possedere per sentirsi tale.

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Tale devozione non riguarda solo il marito od il partner ma anche un proprio genitore, i propri figli e parenti, da cui crea un vero e proprio senso di dipendenza. La fase più comune si identifica con la necessità di innamorarsi idealmente, cioè di ricercare legami con un maschio paradossalmente differente dal proprio ideale di uomo, costruendone delle proiezioni mentali immaginarie. In alcune peculiarità somigliano alle fasi di idolizzazione immaginaria del depresso maniacale, con la differenza che nella dipendenza affettiva, tali sintomi sono costanti e non periodici. Può succedere che subentrino nel soggetto dei veri e propri attaccamenti morbosi, che lo inducono a fissarsi o ad accettare un partner inadeguato, con l'intento e la speranza di migliorarlo sacrificando se stessi, curandolo e dedicandosi ad esso; nella sfera sociale, sente in dovere di aiutare chi soffre, è sempre pronto a dare una mano a chi glielo chiede, si dedica al volontariato, sacrifica tempo, energie e sonno per aiutare gli altri. Questi sintomi manifesti sono denominati in analisi psicologica sindrome della crocerossina (soggetto femminile), sindrome del buon samaritano (soggetto maschile). Il senso oblativo, ossia lo stato psicologico che porta un soggetto ad amare seppur non sia ricambiato, è rivolto anche a colui che necessita di essere ricambiato in amore a pari misura di quanto trasmette all'altro; non riuscendo a trovare questo tipo di sentimento riflette il proprio impulso amoroso su un partner che è solo passivo, non è gratificante tantomeno presente ma è comunque una figura concreta a cui potersi dedicare, su cui riversare la sfrenata necessità d'amore enfatizzandone i sentimenti o le poche attenzioni che presta. In questo caso si oltrepassa l'autoconsiderazione, così come avviene nell'amore incondizionato della madre verso il figlio. Queste condizioni psicologiche trovano origine nel rifiuto materno oppure nell'abnegazione paterna, rifuggendo la remota possibilità di affrontare le inibizioni sbagliate, che l'input mentale infantile ha registrato durante lo sviluppo; in tal modo diviene impossibile ricondurre il sentimento ad un transfer reciproco e non unilaterale. Il fulcro centrale di queste personalità risiede nell'incapacità di autonomia, nella mancanza di autostima e nel sentirsi inadeguati al ruolo di moglie e di madre, rilegati alla scarsa fiducia ricevuta da bambini. La sfera affettiva è vincolante da un lato ma costituisce una minaccia dall'altro. Determinare quale sia lo stato emotivo più incisivo non è catalogabile ma, nella maggioranza dei casi tende a manifestarsi con la possessività; i rapporti si "pilotano" verso la propria necessità e qualora non corrispondano alla propria pianificazione si allontanano. 87


Le persone carenti di affetto si “aggrappano” al contesto relazionale in maniera radicale e sottomessa, benchè non lo vogliano dimostrare. La loro necessità di stare con qualcuno non è amore quanto bisogno di sentirsi rassicurati e supportati da una presenza costante. Il chè li induce a cedere non solo al partner ma prima ancora con se stessi. Il dott. Lucchetta a riguardo esprime: “Spesso alcuni soggetti dipendenti usano scusanti del tipo - Non sono quello adatto te - Non sono nelle condizioni di darti ciò che meriti. La realtà è che la loro mancanza di autostima e sicurezza potenziale, diviene ricerca di qualcuno inferiore o più debole; avidi di affetto e totalmente prepotenti nell'esigerlo dagli altri, sono soggetti particolarmente predisposti al tradimento. Il rifiuto avviene solitamente con le partner* più forti caratterialmente od emancipate, con cui non potrebbero attuare una sorta di controllo o di confronto prevaricante; spesso la ostacolano per non sentirsi inferiori”. Dunque, nello spettro affettivo dipendente è alquanto manifesto dipendere da soggetti disturbati, contrastanti e conflittuali. Attraverso la diatriba, chi si rende dipendente da un rapporto ne diviene succube ed acuisce la propria vena masochistica, rendendosi un bersaglio raggirabile e potenzialmente instabile nelle decisioni di distacco. Il soggetto è apparentemente sicuro di sé, socializza e gestisce rapporti sociali anche di un certo rilievo, sa imporsi in determinati contesti. Nel momento in cui trova un partner con problemi simili oppure emotivamente più fragili, s'abbranca alla condizione dominandola; si crea più la necessità di controllare e pilotare l'altro al fine di ottenerne attenzione, che non il vero desiderio di creare un rapporto. Questo perchè essendo tendenzialmente carente d'affetto, il soggetto dipendente estrapola ogni sorta di considerazione, la stessa necessità che lo spinge ad insistere ed accanirsi fino agli estremi, per non chiudere una relazione seppure conflittuale o sbagliata. Il supporto psicoanalitico si rivela talvolta inefficiente; il paziente diviene una reale forma di “risucchia energie”, poiché ricerca sempre qualcuno che lo ascolti per ore, prodigandogli buoni consigli da cui esso attinge forza per poi tornare al cospetto del partner, riconoscendolo come inadeguato ma nel contempo assuefacendosene. La dipendenza maschile acuisce il senso di onnipotenza e possesso, originati dai conflitti e rifiuti materni. Il riflesso emotivo dell'essere umano dipende dall'emisfero destro e diventa dominante quando svolge processi e funzioni che l'emisfero opposto non è in grado di gestire in modo altrettanto competente.

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Il cervello non va inteso come scisso in due parti a se stanti; spesso le sostanze che il nostro organismo produce quando si è attratti emotivamente o sessualmente da qualcuno scatenano una sottile forma di paresi cerebrale, che consente all'emozione di prendere il sopravvento. L'incapacità di correlare la ragione è bloccata ed è sopraffatta da tutta una serie di paure, di ansie, di inferiorità che offuscano l'equilibrio affettivo; più grande è il bisogno di sentirsi amati, maggiore è la dipendenza da chi si ama. I soggetti maniaco affettivi rivelano una predisposizione a trasfigurare la realtà; in loro vige la visione di un legame eterno e votato al sacrificio che si trasforma in un reale platonico ricco di incoerenze. Nel sesso maschile l'insana dipendenza è riconducibile alla madre autoritaria o totalmente assente, per cui il maschio ricerca nella partner una dipendenza reciproca, aggrappandosi ad essa come al grembo materno ma nel contempo rifiutandola come atto punitivo. Egli vuole sentirsi indipendente, non permette alla partner di veicolare il proprio status vivendi ma di fronte ai rifiuti della medesima si rende disposto a modificare il proprio percorso per renderlo agibile ed accettabile. Il rifiuto o il concetto di perdita del rapporto, scaturisce nel soggetto uno stato confusionale, da cui può uscirne sentendosi onnipotente oppure rifuggendolo. Se da un lato vuole mantenere una propria libertà, dall'altro tende a mascherare facciate o contesti che possano renderlo inadeguato al partner. In entrambi i casi lo stato emotivo è compromesso e votato ad ulteriori fallimenti. La dipendenza affettiva è divenuta ad oggi una fra le sindromi più abituali, oltre alla depressione bipolare associata a varie forme di nevrosi. Non converge unicamente sul sesso femminile, benchè si presenti più frequentemente nella donna. Concludo questa analisi declamando la filosofia di Lucio Anneo Seneca : "Immergersi in un fiume tiepido e cullante trasporta ovunque ma chiudere gli occhi senza guardare dove può gettarti è folle distruzione".

Nota * Il termine è d'uso comune nella lingua italiana, dunque il plurale partner(s) resta invariato.

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La paura dell'abbandono Un comune denominatore che spesso si presenta tra le persone è la paura dell’abbandono, ovvero il timore di rimanere soli, privi di un legame affettivo, senza che nessuno si occupi di loro. Tutti possiamo sentire il timore di essere abbandonati, ma se mal gestita, questa paura può divenire sindrome manifestando forte disagio fino all’angoscia e alla depressione. Ne possono soffrire sia i bambini (soprattutto nei confronti della figura materna), sia gli adulti. Si ha paura che l’altro possa morire o andare via e si resta sempre della convinzione che nonostante le cose vadano bene prima o poi si finirà soli. Ci si sente emotivamente dipendenti dall’altro e non si tollerano le separazioni, anche brevi, a causa della paura di perdere il legame di intimità. Solitamente se ne attribuiscono le cause ad infanzie traumatizzate da precoci distacchi o abbandoni dalla famiglia, dai genitori, l'essere stati ignorati da essi, oppure un lutto di una persona cara. Nell’adulto che soffre di sindrome di abbandono è come se prevalesse una parte bambina che ha bisogno di cure e più o meno consapevolmente queste vengono richieste alle persone vicine. Quel bambino triste rappresenta la parte infantile che è stata trascurata emotivamente. Non ci si rende conto che le cure verso quel “fanciullo abbandonato” possono essere date dall’adulto che si è diventati, ossia da se stesso e dalla propria capacità di autogestione. Questi soggetti possono presentarsi nella duplice veste di “vittima” ma anche di “salvatore”: in effetti, entrambi i poli hanno la stessa problematica alle spalle e possono così incontrarsi generando una doppia personalità, di cui una rappresenta il bambino bisognoso e l'altra il genitore che lo accudisce. Entrambe le facciate sono dipendenti, non si accontentano di accudire e di sentirsi al centro dell'attenzione bensì si attaccano a qualcuno e si ostinano a cambiarlo secondo i propri schemi mentali. I soggetti in questione hanno paura di prendere decisioni per timore di contrastare il partner, ricercano continuamente consigli che poi non seguono, perché a loro interessa solo il supporto che ottengono dagli altri; infine, hanno la grande paura di lasciare le cose e soprattutto le persone rendendosene succubi fino agli estremi pur di non perderle, scambiando per amore esasperato questo atteggiamento, la cui vera causa è l'incapacità e la paura di tornare alla solitudine. 90


Da questa fragilità interiore si manifestano tutta una serie di comportamenti malsani, finalizzati ad esorcizzare l’abbandono da parte dell’altro: gelosia eccessiva, manipolazione, controllo eccessivo, ricatti morali, annullamento di sé e la perdita di obiettività nei confronti della relazione. Tutti indici che se non sono tenuti a bada portano inevitabilmente allo sfociare di una dipendenza affettiva, con tutte le conseguenze che ben conosciamo. In realtà il soggetto tipicamente represso o avido di affetto e di attenzioni ha la necessità di "farsi accettare", ed è proprio questa componente a renderlo estremamente tollerante con chi lo coinvolge affettivamente, lasciando subentrare la paura dell'abbandono. Gli effetti manifesti somigliano alla Sindrome di Stoccolma, cioè a quello stato psicologico che può interessare le vittime di un sequestro oppure di un abuso ripetuto, le quali cominciano a nutrire dei sentimenti positivi verso il proprio aguzzino, che passano dalla solidarietà all’innamoramento. Spesso nella sfera affettiva conduce l'individuo all'impotenza di lasciare il proprio partner subendone condizioni di sofferenza e di rifiuto, alimentando un autolesionismo psicologico ed un masochismo dipendente, sentendosi meritevoli di una punizione oppure immeritevoli del meglio. Si crea dunque, una dipendenza accentuata che induce il soggetto a rendersi succube di una situazione, non accettando il rifiuto ed il disagio del fallimento. Molti di questi individui appartengono al profilo dipendente, con le stesse crisi astinenziali che li inducono a subire un rapporto, non per amore bensì per estrema necessità di dipendervi. La terapia deve dare sostegno e supporto finché il soggetto non trovi dentro di sé la forza necessaria per affrontare le dinamiche emotive che tanto gli fanno paura e che teme di non riuscire a reggere. Il dottor Lucchetta, psicoterapeuta spiega chiaramente: “E' assolutamente necessario per queste persone avere dei progetti chiari su cui dirigere le proprie energie. Sono individui allo sbaraglio dei sentimenti altrui, nonostante l'apparenza sicura. In realtà se la raccontano consci del fatto di essere decisamente più banali di quanto non vogliano ammettere; ciò è dettato dalla necessità di sentirsi migliori e non accettare che altri possano esserlo più di loro. Lo dimostra il fatto che si attaccano a persone più fragili e sovente con problematiche esistenziali peggiori di quelle che attraversano. La cosa importante è che il soggetto comprenda il vero significato di vivere una relazione sana, dando alla propria identità la possibilità di manifestarsi e non di annullarsi per paura della solitudine e dell'in91


dipendenza. Deve consapevolizzare che un percorso più o meno lungo eseguito da soli non può che rafforzarlo, in quanto nessun parametro esterno all'individuo può realmente divenire un perno costante nella sua esistenza ma solo circostanziale. Un rapporto tende più ad interrompersi che a proseguire, così come si viene meno ai bisogni dell'altro; lo stesso vale per i figli, che sono esseri indipendenti e non bastoni per la vecchiaia”. Spesso chi è dipendente ha la convinzione di dover sacrificare i propri bisogni ed annullarsi per l'altro. Talvolta la sindrome si manifesta nel modo opposto; il soggetto privo di autoconsiderazione si lascia intimorire dalle proprie difficoltà siano esse economiche, sociali, ambientali, ritenendosi non idoneo o all'altezza di una determinata persona. Divenendo vittima della propria frustrazione e del conseguente timore di essere abbandonato, rinuncia ad ogni sorta di tentativo ponendo dei veri e propri ostacoli; allontana il proprio partner di proposito agendo da vittima sacrificale, che preferisce subire il fallimento ipotetico anzichè rischiare e consapevolizzarne le reali conseguenze. Ciò è molto diffuso nella sfera maschile dei tempi odierni, poiché l'uomo che in passato veniva proiettato verso la figura autonoma, protettiva ed economicamente salda, si ritrova nella condizioni di dipendere ancora dalla famiglia, oppure si considera alla stregua della categoria sociale più bassa interagendo negativamente sulla propria autostima, limitando le proprie potenzialità solo ed unicamente alle facoltà danarose. Creare le basi per una salda e maggiore autostima, consapevolizzando che dobbiamo essere i primi a prenderci cura di noi stessi, acuendo una maggiore cognizione di sé e delle proprie azioni, contribuisce notevolmente a superare il timore della perdita e progredire verso una fase più autonoma. La possibilità di poter contare su noi stessi, diventerà inversamente proporzionale alla paura di essere abbandonati e quindi alla dipendenza dall’altro. Abbiamo sempre un'altra scelta che dipende solo dalla capacità di metterci al confronto con la vita e con noi stessi. Il trattamento psicoanalitico considera la necessità d'intervenire su questi nodi profondi dello sviluppo cognitivo e la Musicoterapia ne affronta lo stato emotivo, con terapie mirate al rilassamento ed allo sfogo degli stati ansiosi. È molto difficile per chi subisce le proprie insicurezze saper dire "no" o rinunciare alle condizioni inadeguate,

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sia per la scarsa autostima che per senso devoto di migliorare chi hanno a fianco. È proprio il senso di irrealizzazione che sposta il proprio essere ad "appoggiarsi" ad un altro, con il rischio di cadere in un vortice di fallimenti sicuri, in quanto nessuna natura umana è stabile ed eterna. Così come diviene una condizione remissiva, insistere su una relazione al fine di migliorarla o condurla ad uno stato di funzionamento (accanimento affettivo). Non c'è solitudine peggiore che il sentirsi abbandonati seppur accompagnandosi con qualcuno.

La sindrome del passato (paura dei cambiamenti, scelta del partner sbagliato) Un atteggiamento costruttivo comporta la capacità di stare nel presente e di non ruminare eternamente su ciò che è accaduto. Le delusioni e i traumi lasciano duri strascichi registrati in pensieri ricorrenti, che però nel tempo si rimuovono dalla sfera emotiva permettendo di guardare avanti; restare attaccati al passato, invece, impedisce la ragionevole possibilità di cambiare. Pensare che le cose continueranno ad andare sempre male, che non ci saranno nuove occasioni nel lavoro, negli affetti, nell'amore, che tutto è destinato a ripetersi karmicamente, tiene intrappolati nel passato creando un malessere che rende le persone vittime di un circolo vizioso. Questa patologia che in America ho sentito definire "Idiot Bird Syndrome", è una vera e propria patologia, perché questo atteggiamento ricorderebbe il comportamento di un albatro del Pacifico, che volando con la testa rivolta all'indietro finisce spesso per sbattere e cadere al suolo privo di vita. La reazione naturale di sopravvivenza riporta a vivere nel presente, a correggere gli errori fatti nel passato e non rimuginare alla lunga sui propri fallimenti. In questa sindrome, invece, ogni volta che i soggetti si trovano a fronteggiare un cambiamento anche positivo della loro vita, per esempio cambiano casa, lavoro, partner, sono invasi da pen93


sieri automatici e ripetitivi che ne influenzano negativamente l'agire impedendone l'azione. Questa è una sindrome tipica della nostra epoca, presente in individui molto razionali che fanno del pensiero e della ragione il loro stile di vita, poco attenti alla vita emotiva; fino al secolo scorso si identificava soprattutto nella sfera maschile, poiché l'uomo è meno abile ai cambiamenti radicali, spesso viene identificato nella figura onnipotente ed erroneamente più forte, quindi è educato con questa mentalità per prevalere nella carriera, senza lasciarsi influenzare dalla sfera emotiva. Ad oggi sono colpite soprattutto le donne, sempre più alla ricerca di una propria identificazione sociale aldilà della famiglia, che è considerata al secondo grado della scala di realizzazione, mirata invece alla gratificazione più intellettiva e di carriera. Nelle relazioni d'amore, la sindrome trattata conduce a scegliere in modo ripetuto il partner sbagliato accumulando errori su errori. Il fenomeno è assai diffuso e alla base c'è la cosiddetta "coazione a ri petere"; si sviluppa in chi alle spalle ha relazioni sbagliate con persone importanti durante lo sviluppo psico affettivo, in pratica i genitori con i quali ha avuto conflitti subendo rifiuti, genitori poco presenti o affettivamente distanti, oppure più incisiva la perdita precoce di uno di loro se non di entrambi. Questa forma di attaccamento si identifica nell'adulto come "attaccamento affettivo insicuro" o "rifiuto di coinvolgimento", in cui il soggetto sarà incapace di relazioni stabili ed intense. Il partner sbagliato È molto frequente ascoltare le situazioni sbagliate in ambito amoroso di donne e uomini, che si ritrovano ogni volta a fare i conti con partner sbagliati. Una componente frequente in questi individui è la condizione trivalente: 1. paura di annoiarsi in relazioni con "bravi ragazzi/e" che inducono ad una vita normale, poco eccitante o stimolante; 2. il bisogno di avere un punto di riferimento affettivo su cui riversare ansie, paure, problemi, da cui sentirsi accettati per ciò che si è ma senza troppe aspettative. Il significato di 94


essere tollerati non implica quasi mai il fatto di tollerare ed accettare l'altro per ciò che è;

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necessità di "sistemarsi", di mettere in pratica il preconcetto sociale che un partner debba essere un'"accasamento", con cui formare famiglia e figli accettandone pregi e difetti al fine di concludere un disegno precostituito.

La necessità di dipendere da qualcuno che somigli per qualche peculiare genetica caratteriale a noi, diviene una sorta di clone dei nostri problemi conflittuali oppure un opposto a cui aggrapparsi. In ambedue i casi la vera problematica si riserverà un fallimento, perché il senso di dipendenza indurrà ad accanirsi sul legame volendolo dominare o cambiare secondo i propri canoni. Sottomettersi a qualcuno di più debole ma potenzialmente più mascalzone, è la reazione più frequente nell'ambito femminile; attualmente si sta diffondendo anche nella sfera maschile. La donna autonoma fornisce una sicurezza economica per l'uomo che non gode di un'autostima lavorativa e fondamentalmente esalta nella compagna delle potenzialità legate a questo fattore. Egli è disposto ad accettare una partner con problemi nevrotici, isterismi di ogni sorta e capricci, convinto di interagire con un elemento superiore a lui. Generalmente i conflitti materni dell'infanzia per questi individui sono abbastanza frequenti, dunque rispettano la donna ma fondamentalmente la odiano, la respingono ma se ne sottomettono. Il consiglio che sovente si accentua nella psicoanalisi è di prendersi del tempo, che non deve essere necessariamente di mesi ma anche di anni. Un periodo intenso per stare con se stessi, per imparare a conoscersi, ad approfondire le proprie potenzialità ed affrontare alla radice le cause scatenanti che stanno alla base della mancata autostima. Seguire una terapia psicoanalitica è sempre un percorso consigliabile per ritrovare un equilibrio inibito o reciso dalle delusioni traumatiche della vita; non è semplice e diviene un vero e proprio incubo. Prendiamo ad esempio i casi dei soggetti depressi e bipolari; il rifiuto alla psicoterapia è una costante e diviene una formula a ripetizione. Iniziano la cura, la sospendono, la riprendono, cambiano spesso psicoterapeuta, per poi ricadere sempre in un circolo vizioso ed abitudinario: l'autogiustificazione e l'autocommiserazione. In coloro che iniziano la psicoanalisi, talvolta la rilevanza di modificare e migliorare alcuni aspetti si contrappone all'incapacità di 95


superarne altri; nella sfera affettiva è molto comune ricercare un'ausilio mentale per non ricadere nella scelta dei partner sbagliati. Il motivo scatenante parte sempre da noi stessi e dai conflitti esistenziali che non abbiamo ancora superato; la mancanza di una solida autostima è la causa primaria, la rete a cui si impigliano le persone più problematiche, insicure e con lo stesso comune denominatore. L'autostima non è da intendersi solo come sicurezza di sé, perché di norma se si chiede ad un depresso o frustrato se ha stima di se stesso, la risposta sarà spesso positiva. L'infantilismo del soggetto depresso acuisce i capricci, le provocazioni, l'incapacità di prendersi le proprie responsabilità. La malattia sta nell'essere recidivi senza nemmeno rendersene conto. In questa dimensione si inseriscono i cosiddetti "salvatori", coloro che per una ideologia credenziale o per un eccesso di alter ego si sentono in dovere di aiutare i soggetti problematici, specie se affettivamente coinvolti. Questo perché hanno in se stessi un ostacolo insormontabile rilegato all'incapacità di accettarsi; scelgono dei partner con le stesse peculiarità d'insicurezza, componente comune per i soggetti che si ritengono inadeguati. Si misurano con persone superiori a loro per qualche fattore differente; mentre nel depresso il discorso tende al fallimento, perché rifugge il confronto con chi ritiene migliore di lui, nei soggetti "salvatori" si identifica un'esigenza maniacale di farsi accettare a qualunque costo. Mistificano ed idolizzano il partner, consapevoli che le potenzialità proiettate nell'altro sono il riflesso di ciò che vorrebbero rappresentare. La realtà comune in questi individui è l'altelenanza del rapporto: un continuo mordi e fuggi associato a conflitti d'intolleranza, tradimenti, incapacità di accettare l'abbandono e la fine del rapporto, subendolo fino all'estremo. In conclusione si rendono succubi del rapporto stesso senza rendersene conto, si sentono amati ma in realtà non sono accettati. L'accanimento affettivo in questo caso è bivalente; da un lato deriva dal partner dipendente e dall'altro converge sul soggetto stesso, che vuole pilotarlo secondo i suoi parametri. L'idolizzazione e la nevrosi si accomunano in un concepimento unilaterale, perché il soggetto vuole certe caratteristiche dal partner ma non può rinunciare a modificarne il carattere o le idee. Il proiettarsi nell'altro è lo sbaglio comune che diviene maniacale e da cui non riesce a staccarsi. Le insicurezze divengono controllo sull'altro, imposizione di scelte 96


vincolate, unite all' ostinata volontà di ritentare più volte il medesimo rapporto sperando che l'altro cambi; il cambiamento è inteso come un veicolo verso il proprio concetto di giusto o sbagliato, anzichè rispetto per la libertà dell'altro. Il principio di impedire ad un nostro simile di agire e muoversi secondo i propri canoni non è amore tantomeno equilibrio, bensì controllo finalizzato a colmare le nostre paure. Chi è dipendente da qualcosa o da qualcuno, ha delle forti carenze affettive dalle quali deve necessariamente scappare. La fuga diviene mentale, quando il soggetto accetta di restare fisicamente accanto a qualcuno a patto che questi assecondi determinate regole; nella fuga fisica invece, si identificano sia il tradimento vero e proprio che l'allontanamento dal partner. In quest'ultima fase, il soggetto scappa da un contesto perchè è incapace di misurarsene, celandosi nei propri conflitti interiori, rinnegando contesti e situazioni. La dipendenza porta al possesso e alla gelosia, all'invasività ed ostinazione, senza mai dare una motivazione logica. Le delusioni passate si riversano costantemente nel presente, inducono al sospetto ma nel contempo delimitano uno spazio entro cui muoversi da entrambe le parti. Talvolta chi vive accanto ad un soggetto dipendente si assuefà alla situazione agendo di nascosto, in quanto soluzione più appropriata per mantenere la tranquillità di coppia. La sottomissione all'altro diviene comunque una dipendenza parallela, che spesso sfocia in relazioni extraconiugali e necessità di evasione. Non si giustifica una condizione forzata nell'ambito della coppia se non con l'incapacità di organizzarsi un percorso indipendente, che nell'ottanta per cento dei casi è causata dalla paura del cambiamento o di restare soli. La condizione attuale porta molte donne a rendersi succubi dei maschi giustificandoli come stato di "uomini delusi" e dunque maternamente da accudire e comprendere. Al primo cenno esse corrono, si rendono disponibili, accettano ogni scusante come un valido alibi e soprattutto non chiedono nulla se non di sentirsi considerate e poter condividere delle cose insieme. Questo non ha un termine specifico nella psicoanalisi; lo si inserisce nella sfera della dipendenza affettiva ma il termine popolare è "geishe di mezza età". Terribile come definizione ma sostanzialmente non si sposta dal vero indice significativo del bisogno di un punto di riferimento affettivo, da cui non aspettarsi nulla, accontentandosi di poco e ponendosi al servizio della tolleranza estrema. Una proiezione monovalente, che 97


atipicamente si manifesta nella donna proiettando un senso del presente in cui non vuole più illudersi ma solo condividere fra alti e bassi. Questi ultimi sono eccitanti, perché quando ci si trova in basso affranti e delusi, la fase di tensione e frustrazione si acuisce; quando si risale in alto ed il partner finalmente mostra le dovute attenzioni o cede ai parametri mentali dell'altro, pare di essere in paradiso. Questo alimenta uno stato di vittoria sentendosi conquistatori in una grande avventura. Il conflitto sofocliano rende la coppia agguerrita e votata al predominio, perchè incapace di stabilire un percorso comune con idee differenti, progetti diversi e valutabili secondo il concetto di entrambi i partner. Si pensa erroneamente che nella coppia ci sia sempre uno che debba “cedere all'altro”. La tolleranza è un equilibrio che se diviene sbilanciato non costituisce un baricentro bensì un vortice di remissioni, a cui prima o poi ci si ribella. L'amore deve essere una conquista spontanea donata l'uno all'altro, pacificamente e con un dialogo rispettoso e votato al venirsi incontro, non un "wrestling quotidiano" o un accordo a periodi. Questa forma paradisiaca ed illogica di considerare un rapporto fra due persone necessariamente conflittuale; se non si soffre in amore non ci si sente edificati, non è amore vero, non è eccitante. Lo stesso concetto che si inculca nel bambino, in cui reprimergli i bisogni diviene un rafforzamento per la sua vita adulta, così come insegnargli a non piangere o manifestare i propri sentimenti, gli eviterà di apparire debole. La vita ha già molteplici armi puntate su ciascuno e proprio l'amore dovrebbe essere l'unico contesto rassicurante in cui rifugiarsi, sicuri di non venire giudicati, prevaricati, costretti a subire la funzione di “scaricabarile”. La sofferenza è una componente già implicita nel pacchetto vitale, non ha alcun senso procurarsene dell'altra per sentirsi vincenti o eroi da cartone animato. Di fatto, anche in una relazione sbagliata si ricevono dei vantaggi emotivi che si chiamano “vantaggi secondari”; questi però, devono servire all'autovalutazione ed al confronto di ciò che realmente meritiamo o vogliamo per noi stessi, non uno sfinimento mentale ed emotivo che ci induce a girare a vuoto, a reprimersi per poi ricominciare da capo. Spesso la necessità di dipendenza si evidenzia con l'andare degli anni, in cui si avverte quel senso di declino o di solitudine senile, che alimentano il senso di "rassegnazione". 98


Quanti di noi hanno un buon partner al proprio fianco, eppure non sono soddisfatti? Dunque cosa si ricerca realmente in un rapporto? La necessità di sistemarsi configurando la propria normalità sul rapporto di coppia, è la risposta primaria. Quando si è single, non per scelta bensì per sfortunate vicende, ci si sente spesso chiedere: " Non ti sentì sola? Lo sai che è brutto invecchiare da soli?". Spesso è importante osservare lo sguardo di alcune persone che si sentono protette da un rapporto famigliare, oppure sono alla disperata ricerca di una "seconda scelta", dopo una serie di fallimenti; convinte che la loro vecchiaia possa essere serenamente accudita adeguandosi ad un rapporto di routine, consigliano agli altri di affrettarsi a trovare qualcuno, quasi come una sorta di sistemazione preventiva all'ospizio. Se queste non fossero assorte dai propri problemi col marito ed i figli, non si sentirebbero socialmente adeguate; il loro parametro di vita gira intorno ad una staticità nella quale si sentono sicure, un modo per credere di andare avanti; mentre chi è da solo, viene considerato improduttivo o miseramente sfortunato. Proprio la stabilità ha una facciata nascosta della medaglia, poiché sovente vacilla per ogni situazione avversa al normale decorso, tanto da generare delle crisi frustranti o la ricerca di nuovi stimoli. Molte persone sono disposte a tutto pur di non restare sole, si accaniscono per non perdere qualcuno, si adeguano ad ogni situazione, benchè consapevoli che non ne valga così tanto la pena. Il timore della solitudine è accomunante, perché l'essere umano di natura non è nato per restare da solo. La necessità di dipendere da qualcuno per lenire delle incertezze o trovare stabilità, diviene ansia ed insicurezza, nonchè paura di far crollare un pilastro senza il quale si perderebbe l'equilibrio. Basta poco a sgretolare una certezza; è sufficiente ipotizzare che il nostro partner non viva quanto noi, oppure i nostri figli si trovino indisposti ad accudirci. Dunque il senso di riparo dalla solitudine è alquanto variabile e determina sovente, più lacune e timori della stessa. Ciascuno di noi sceglie dei contesti entro cui vivere ma in cui spesso non si riconosce. Adeguarsi alle circostanze per non restare soli, per convenienza, oppure sperando che la situazione conflittuale con il proprio partner cambi da un giorno all'altro, diviene una slot machine capace di ripresentare le solite figure illudendo ogni volta di aver raggiunto la vittoria; ma quelle monete mai usciranno dal forziere ed il gioco continuerà a truffare sempre gli stessi. 99


Andare avanti come i muli facendo finta di non vedere o non capire, adeguarsi ad un contesto per “farselo andare bene”, ha condizionato molto i rapporti odierni. Quante volte ho sentito dire:”Me lo faccio andare” riferendosi al proprio rapporto affetivo; ci si può “far andar bene” una macchina, un paio di scarpe ma non certo un rapporto privo di equilibrio o di realizzazione. Siamo sempre noi gli artefici delle proprie scelte ed esse devono appartenerci, non generarsi attraverso lo sprono altrui o sovvertite da schemi convenzionali. Alfine, si troverà sempre uno sfogo reale o virtuale, una spalla su cui piangere e consolarsi ma è il nostro interiore che definisce la qualità del nostro sorriso, della serenità che realmente proviamo. Il dottor Mènoret, sociologo relatore dell'Università di Parigi, mi spiegò: “L'amore non è un concetto del dovere bensì è inteso come donare per il bene dell'altro. Si ascoltano nelle relazioni di coppia sempre più frasi del tipo Devo fare questo perchè stiamo assieme anziché dire Voglio fare questo perchè ti amo e non chiedo nulla in cambio se non la tua felicità. Di fatto le coppie si sfaldano, divengono indifferenti l'un l'altro o si rinfacciano ogni sorta di bene reciproco donato. Si macinano maree di progetti rinviandoli a lunga scadenza, quando il rischio di mettersi in gioco specie in età adulta, dovrebbe convergere sul costruire il rapporto in maniera più rapida. Trovandosi al bivio si hanno due scelte: scappare e darsi alla fuga, proprio perchè si attua il senso del dovere in quanto obbligo; se invece si sostituisse il Volere in quanto reale senso di interazione e crescita con l'altro, lo sviluppo di un rapporto averrebbe spontaneamente, non si acuirebbero il timore di perdere e di fallire bensì la volontà di rischiare. Lo stare insieme è divenuto più un supporto quotidiano che una vera necessità di convivio equilibrato, così come lo stare assieme definisce più una limitazione alla libertà dell'altro, un controllo entro cui sentirsi protetti se non addirittura dipenderne. Di fronte alle conflittualità di coppia ci si sente stimolati al predominio, dunque il litigio non diviene confronto bensì una sfida a chi cede per primo. Ricercare un'evasione è spesso correlata ad un'immagine libertina divenuta un habitué, in quanto si ricerca ciò che nel rapporto si ritiene proibito, evitato o consumato dalla noia e dalla routine. Il senso di unirsi con lo scopo di percorrere due strade ben distinte attingendo l'uno dall'altro qualcosa di stimolante e 100


costruttivo, non è quasi mai contemplato nella coppia moderna. La scelta del partner diviene una seconda scelta, con un piede al di fuori del confine. Si crede erroneamente, che sperimentare la maternità apporti una fase di responsabilità e di crescita nel giovane genitore ma non è così. Si acuiscono i timori così come le frustrazioni, il figlio diviene un dovere più che un piacere realmente vissuto in quanto tale. Così i rapporti si sgretolano, i figli divengono vitime di contesti sempre meno esemplari. La procreazione tempi addietro era considerata un suggello dell'unione, nonchè incremento sociale e produttivo. Le famiglie numerose davano un senso di prosieguo della stirpe specialmente con i maschi. Oggi diviene un impulso emozionale procreare; si vuole un figlio perchè si deve provare a fare il genitore prima ancora di aver imparato ad essere un buon partner per l'altro sesso. Ci si lascia con molta più rapidità ma il figlio resta una sorgente di appagamento, su cui riversare ciò che manca affettivamente a se stessi. I sentimenti sono divenuti così repentini che non si da nemmeno più il senso al termine amore. In America si dice I love you per definire genericamente un qualsiasi rapporto affettivo, sia esso amichevole che sentimentale. Si tende a riprodurre questo nella coppia attuale come una costante necessità di cambiamento, una folle passione che poi va a scemare lasciando i figli come testimonianza di ciò che è stato, piuttosto che comprova di ciò che continua ad esserci. Così facendo le relazioni, la dipendenza affettiva ed i fallimenti sentimentali si accentuano naturalmente, con più facilità rispetto ad una volta, in cui realmente un impegno famigliare diveniva uno sforzo di crescita reciproca. Non è necessario promettersi amore per accoppiarsi così come non è obbligatorio procreare per dimostrare di amare qualcuno. Il tutto è un concetto vincolato alla religiosità, alle proforme sociali che si imprimono sin da giovanissimi, alimentando la propria insicurezza; la ragione e la coerenza non trovano parametri equi, si tende sempre a lasciar andare l'emisfero emotivo che non razionale, sovvertito da un ego meccanico, secondo cui le cose vanno fatte senza riflettere o senza una reale spinta affettiva”. Se la frustrazione avvince l'individuo fino all'estremo limite di sopportazione, diviene molto difficile credere che molte vetrine di coppie felici siano realmente tali. Il “mulino bianco” è un'agorà in cui ciascuno vorrebbe identificarsi ma sottolineo il condizionale; c'è chi 101


può farne a meno e non per questo sentirsi irrealizzato, oppure chi si autoconvince di poter raggiungere quello stereotipo di felicità apparente. Anche il concetto di autonomia e consequente autostima dell'uomo si è persa per strada, la disoccupazione ha reso molti maschi economicamente instabili. Ciò ha acuito il timore di investire in un rapporto solido e di affrontare i sacrifici in comunione con l'altro. Credere nell'amore “per sempre”, è un sogno che spesso si paga a caro prezzo ma al quale molti non riescono a rinunciare. Per altri, invece, il rapporto è unicamente un convivio necessario per avere qualcuno accanto. Il senso della “brava ragazza” o del “ragazzo tranquillo”, sono la miglior condizione per sentirsi protetti; il lavoro sicuro, la capacità di badare alla famiglia seguendo una routine di normalità, restano ancora i princìpi del rapporto, che ben poco collimano con l'emancipazione. La partner intelligente ma non troppo, carina ma non appariscente, desta ancora un senso di tranquillità per quanto celi sovente un'arma a doppio taglio, rifacendosi al detto “L'acqua cheta nasconde il pattume”. Anche per la donna si acuisce maggiormente la necessità di avere qualcuno; il lato economico permane in primo piano e spesso va aldilà della ricerca di un buon padre per i propri figli. Il senso dell'indipendenza è carente in entrambi i sessi, erroneamente si pensa che sia l'uomo maggiormente bisognoso di trovare qualcuno. Nella statistica recente, la percentuale di donne che accettano relazioni inappaganti è maggiore rispetto ai maschi, non per senso materno o devoto, quanto per interesse economico o timore di gestire da sole le situazioni. Per molte di noi questa ipotesi sarebbe da rivedere ma fondamentalmente, sono anche aumentati i maschi che permangono in famiglia o che vivono ancora legati al grembo materno. In ambo i casi, “la genetica del bisognoso” affonda le radici in un terreno ben concimato. Nitzche espresse un prezioso ausilio sulla dipendenza psicologica: “Gravido di conseguenze è il fatto che l'individuo non sia stato capito dalla scienza e dunque imprevedibile in ogni suo contesto. La fondamentale volubilità dell'esistenza umana provoca la ricerca di un Assoluto e non di un simile a cui rivolgersi come tale. In se stessi vige il solo ed unico equilibrio, da cui dipendere ed attingere per non ridursi alla solitudine interiore”.

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Episodio realmente accaduto L'esperienza riguarda un soggetto femminile ma non è indicativa, in quanto simili stati dipendenti possono manifestarsi in ambo i sessi. Ho sostituito il nome della protagonista ma la delineazione dei fatti è assolutamente reale. Seguii per qualche mese Francesca, una ragazza di trent'anni che si era perdutamente innamorata di un uomo possessivo e violento. In realtà quell'amore che in lei creava una forte dipendenza, altri non era che masochismo e profondo conflitto d'inferiorità. Trattandosi di un'insegnante di scuole superiori, la sua vita era un continuo mentire per nascondere una realtà in cui si era volontariamente calata e sottomessa, continuando a giustificare e perdonare i continui stati di possesso, gelosia estrema, controllo maniacale ed esplosioni aggressive del marito. Costui proveniva da una vita conflittuale, famiglia disastrata, da cui aveva maturato un alter ego di onnipotenza ed arrogante presunzione. Più volte i due bambini da lui avuti erano stati affidati ai nonni materni, per allontanarli da scenari di violenza e liti minacciose. La donna non aveva minimamente la forza di staccarsi da quella condizione e le scusanti erano molteplici: insicurezza e totale senso di fallimento, incapacità di andare avanti da sola, frustrazione interiore se lontana dal proprio partner, senso di colpa verso i figli, speranza che lui potesse cambiare perché sembrava sincero ogni volta che si pentiva. Era entrata in analisi ripetutamente ma senza risultati, poiché non accettava la soluzione più logica e responsabile, ossia lasciare quell'uomo. Un giorno andai a trovarla in ospedale. Inutile raccontare i dettagli così sprezzanti di quel ricovero, in cui la donna si ritrovò con una coltellata al ventre, spergiurando tra lacrime amare di aver finalmente capito e deciso di lasciare quell'uomo. Lo denunciò e si allontanò per un mese circa, al fine di proteggersi. Prese con sé i figli ed iniziò un calvario non indifferente. Il marito era una persona molto educata e distinta, addirittura si definiva contrario alla violenza sulle donne; al di fuori del contesto famigliare nessuno poteva credere che potesse diventare così violento. Entrambi erano profondamente religiosi e questo attuava in Francesca il senso di colpa ed il timore di venire meno alla propria dottrina evangelica. Purtroppo, nonostante le esperienze passate e la totale incapacità di rifiutare qualsiasi approccio di riconciliazione da parte del partner, si ritrovò a distanza di qualche tempo allo stadio 103


iniziale. Le lacrime del marito profondamente pentito, che ogni volta ritornava con scene patetiche e a dir poco sconvolgenti, la trascinarono nuovamente nel baratro della sottomissione. Per Francesca la gelosia ed il senso di possesso estremo da parte del consorte erano vissute come amore immenso verso di lei, votato alla follia, che la rendeva un'epica eroina rassicurata e costantemente desiderata. Lo giustificava in ogni modo, benché ogni volta che si trovava piena di lividi e costretta a scappare da casa, giurava sui figli che era l'ultima volta. Questa situazione andò avanti per anni, finché i figli le furono tolti, perse ogni fiducia da parte di amici che con amorevole solidarietà cercarono di aiutarla a venirne fuori, poiché mentiva anche a loro. Quando era vittima delle liti e delle violenze, si mostrava determinata a smettere, come una tossicodipendente di fronte all'ultima siringa. In realtà, ogni sermone che raccontava era un modo per autocommiserarsi ed autoconvincersi, consapevole che l'astinenza dal marito durava solo pochi giorni ed al successivo pentimento di quest'ultimo, lei tornava sui suoi passi. Per breve tempo le cose funzionavano e si dimenticava di tutti; era la dimensione in cui voleva stare e l'unica che realmente voleva meritarsi. Venne il giorno in cui il consorte la lasciò, dopo ben dieci anni definendola banale ed inutile. Da allora Francesca crollò in un abisso profondo, da cui non riuscì più a risollevarsi. Tentò il suicidio e fu ricoverata per lungo tempo. Entrò in una comunità religiosa e quello divenne il suo rifugio dalle sue frustranti esperienze, ricercando comprensione ed attenuanti per sentirsi tranquilla con se stessa. L'incapacità di ricostruire un futuro accanto a qualcuno era evidente nei sui continui conflitti interiori, odio, sospetti e rancori verso chiunque. Autogiustificazione. Il trauma era comprensibile all'inizio ma poi divenne il suo alibi per maltrattare e disprezzare ogni persona di sesso opposto, che bonariamente cercava di starle accanto. Decise di entrare in psicoanalisi e solo dopo un lungo periodo di assidua frequenza riuscì ad estrapolare le sue vere problematiche, volgendo lo sguardo in maniera differente al mondo. La Musicoterapia le fu di ausilio per un autocontrollo emotivo e degli stati ansiosi.

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La principessa triste Non esiste come categoria diagnostica denominata tale ma trattasi di un'espressione metaforica per indicare una condizione di isolamento dalle relazioni; come la "principessa" delle favole chiusa nel suo castello fatato, il soggetto femminile si sente al tempo stesso prigioniera e aspetta il "principe" che la verrà a liberare. Le associazioni mentali si rifanno ad un padre assente, oppure alla probabile idealizzazione di un padre perfetto, che si presenta per alcune peculiarità nelle sembianze del principe fiabesco, indomabile, irraggiungibile. Non sono solo uomini ad avere estreme difficoltà nelle relazioni d'amore o a trovare una relazione stabile. Ci sono ancora donne che sognano il principe azzurro, che le rapisca e crei con loro un legame solido e votato alla famiglia. Questa forma di mondo fiabesco crea una situazione di irrequietezza quando il tema verte sulle relazioni di coppia, perché questi soggetti femminili non si concedono la possibilità di un incontro importante, un incontro nel quale potrebbero innamorarsi e lasciarsi andare; sovente giustificano questo rifiuto con la mancanza di tempo dovuto ai troppi impegni, restano ancorate alle precedenti esperienze deludenti e non riescono ad incontrare un uomo interessante ed attraente che faccia al caso loro. La "principessa triste" si lascia andare solamente nella sua immaginazione, vive in una situazione di parallelismo in cui idealizza una relazione densa di passione, sentimentalismo e di turbolenze che la rendano dipendente, votata verso il suo "principe", il quale a sua volta la renderà felice ed amata. A questa vita però, se ne contrappone un'altra fatta di diffidenza, di un blocco emotivo che le genera paura ogni volta in cui prova attrazione per un uomo; crea intorno a sé una forma corazzata per arginare qualsiasi sentimento o relazione nascente, non solo irrigidendo le proprie gestualità spontanee verso un partner per timore di lasciarsi andare e soffrire, bensì allontanandosi e fuggendo via. La sindrome può manifestarsi anche diversamente; il soggetto assume un tipico atteggiamento maschile, aggressivo, che reprime le proprie emozioni ricercando assiduamente degli incontri prettamente sessuali, per poi ritirarsi al primo segnale di coinvolgimento emotivo. Un comportamento totalmente opposto a quello precedente. In entrambe le versioni la causa è sempre la stessa, ossia proteggersi dalla possibilità di un eventuale coinvolgimento con un uomo. La Musicoterapia agisce sugli stati ansiosi, con l'approccio al canto, il rilassamento corporeo, l'esplorazione sonora. 105


La terapia psicoanalitica è di valido ausilio al fine di ripristinare uno stato emotivo bilaterale, non mirato alla proiezione emozionale del reale immaginario ma alla concreta capacità di un confronto diretto e coerente.

ANSIA e TERAPIA La cura per tutte le sindromi e gli stati ansiosi depressivi é una ristrutturazione cognitiva, che interviene direttamente sulle emozioni usando la “dose” e la “probabilità” come armi di autocontrollo dell'ansia e quindi dei pensieri distruttivi. Per esempio: ho un impegno urgente in ufficio, quindi mi assoggetto all'ansia, all'aumento dello stress con conseguente nervoso. Per prima cosa mi "misuro" l'ansia e decido di dosarla ad un grado limite inferiore, tipo da 1 a 100 = 50. A questo punto analizzo cosa sto pensando, che nel caso specifico sarà spesso disfattista e rassegnato: << Non ce la farò mai ad arrivare in ufficio, perderò una grossa occasione, è sempre così...>> ed è qui che devo intervenire con la probabilità ossia << Non sono partita bene, cerco di fare meglio, non ha senso agitarmi, saprò tenere testa alla situazione, non sono una stupida e ho stima di me stessa >>. In questo modo la mia ansia scenderà ulteriormente. Nella sfera affettiva e quotidiana, il restare fermo nelle proprie situazioni o scelte per paura del rischio, della delusione, facendo riferimento non solo ai propri fallimenti ma anche a quelli degli altri, tiene gli individui rinchiusi all'interno di una gabbia, a riascoltare un disco rotto che ripete solo fallimento e costringe a non agire sul cambiamento. La miglior cura è la psicoanalisi, la quale affonda le sue radici nel passato che è stato la causa di certi nostri comportamenti, gli stessi che ad oggi ci condizionano con i nostri atteggiamenti fallimentari o ansiogeni. Le paure del passato hanno segnato un solco così profondo da potersi recuperare solo attraverso un difficile lavoro psicologico, affrontando con il paziente i suoi ricordi, che debbono diventare "consapevoli" per generare in lui quella forza necessaria a rompere la gabbia che lo imprigiona. 106


La tecnica sistemica nella psicoanalisi ha un buon riscontro in questi casi, proponendo alternative ad una situazione che per il paziente non ha vie d'uscita. Pongo un esempio: << So che temi di affrontare gli esami ma sfoga quest'ansia in modo costruttivo, fai esercizio fisico, yoga, stai con chi ti fa star bene, etc...>>. Ecco che si crea un'alternativa mirata a diminuire l'ansia ed induce il paziente a trovare degli alleati per la sua riuscita. Anche la delimitazione temporale è molto u tile, ossia indurre questi soggetti a dare una scadenza ai propri obiettivi,entro la quale definire un proprio percorso e fare una scelta, quindi ad assumersi delle responsabilità di cambiamento. Questa tattica mentale funziona anche per molti quadri depressivi, poichè induce alla reattività e alla scelta definitiva che viene sempre rinviata con molteplici scusanti. Come spesso avviene, la Musicoterapia interagisce con gli stati ansiosi proiettando attraverso suoni ed immagini la capacità di comunicare con se stessi, di sentirsi creativi e costruttivi. Ogni stato di rabbia ed ansia incontrollata si gestisce attraverso il respiro interagendo con il canto e la vocalità. L'autocontrollo unito alla libertà di espressione dei suoni, dei gesti effettuati senza giudizio od imposizione, diviene una liberazione dagli schemi mentali. Ciò è molto difficile nella sfera adulta, specialmente se il paziente ha delle forti radicalità di tipo sociale, religioso e conformista. Gli esercizi applicati sulla sfera emotiva e cognitiva si correlano con le attività canore, respiratorie, di ascolto. La categoria infantile comporta esercizi motori ed organizzativi mirati al ritmo, alla gestualità, che non sempre si esclude anche per l'adulto, specialmente se affetto da rallentamenti motori nelle fasi depressive, bipolari e schizofreniche. Il contenimento musicoterapeutico converge sugli stati aggressivi, d'ira e d'agitazione. La terapia musicale proposta ai pazienti adulti, si identifica con la Musicoterapia-Alzheimer.

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IL SORRISO NELLA TERAPIA DEPRESSIVA Ridere è un esercizio da imparare per sentirsi meglio, una vera terapia del sorriso che può aiutare molti di noi a fare meglio i conti con le difficoltà quotidiane della vita. Si è da sempre ritenuto che le barzellette nascessero dal nostro senso superiore rispetto agli errori degli altri, deridendo o imitando le gestualità altrui nelle situazioni difficili; questo a primo acchito potrebbe apparire sadico ma nella realtà, è proprio sulla derisione degli altri che la mimica e la battuta scherzosa hanno trovato le sue origini. Per farvi un esempio, se pensiamo al solletico di certo non genera nella nostra sensorialità una forma di piacere ma nel subirlo reagiamo ridendo, per esprimerne il nostro dissenso. Il riflesso incondizionato della risata sopraggiunge in extremis per aiutarci ad accettare il disagio dello stimolo repulsivo; sia ben inteso che non trattasi di soglia del dolore bensì di uno stimolo sovreccitato e quindi rifiutato in quanto incontrollabile. Il buon umore nelle commedie scaturiva dalla gloria improvvisa sugli altri; successivamente la risata scoppiava quando il conscio consentiva di esprimere i propri pensieri generalmente soppressi o vietati dalla società. Nella terapia guidata del sorriso vige sempre il rispetto della persona; si può ridere per le banalità, per nessun motivo particolare, per deridere una nostra delusione al fine di renderla più accettabile, ridere se ci accade una situazione spiacevole per non arrabbiarsi e contorcere il nostro sistema nervoso, producendo dunque tossine e stati emotivi che peggiorino la condizione. È un vero e proprio esercizio, specialmente imparare l'utilizzo del sorriso per "sfogare la propria aggressività"; ridere anziché tirare un pugno contro il muro è considerato folle ma lo è di più spaccarsi una mano o ferire chi ci circonda, scatenando un susseguirsi di cause ed effetti negativi intorno a noi. Lo stesso equivale a quando siamo presi in giro, ci sentiamo oppressi oppure subiamo un torto altrui. Se reagiamo con un risatina di scherno, acuiremo pena e compassione per coloro che godono nel ferire gli altri, mostrandosi insicuri e seriamente in conflitto con se stessi. Nel contempo ridurremo la nostra rabbia sfogandola positivamente. Nel dolore il pianto diviene il sorriso della sofferenza ma spesso accade il contrario, quando si sceglie di ridere di fronte alla dipartita di una persona cara, non intesa come crisi isterica ma come autodifesa istintiva, che sopraggiunge nella fase di incoscienza dell'accaduto.

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Chiediamoci dunque il "perché" anche nelle situazioni più tristi, in alcuni casi la risata precede il pianto. Il nostro corpo è un meccanismo preciso che produce da sé delle sostanze di sopravvivenza ed autodifesa, involontarie dalla nostra cognizione, poiché è nella sua natura provvedere a “l'automantenimento”, lottando fino all'ultimo per tenere in vita la propria struttura. Alcuni ricercatori dell’Università del Maryland, sostengono che ridere produce gli stessi effetti benefici di un’ora di aerobica, si attivano ben quattrocento muscoli, tra i quali anche alcuni dello stomaco; attraverso una risata, il nostro diaframma effettua un massaggio all’interno del corpo che aiuta la digestione ed evita la formazione di ulcere gastriche. Quando si ride la colonna vertebrale riceve degli impulsi energetici che alleviano le tensioni, accumulate proprio nella zona della cervicale e della colonna vertebrale. Una risata aiuta a combattere la depressione, l'insonnia e le paure, riduce il dolore e facilita la guarigione, perché il nostro organismo rilascia le beta endorfine e catecolamine, che sono i nostri analgesici naturali. Rifacendoci alla commedia greca in forma di satira, che desumeva episodi o personaggi reali imitandoli e schernendoli, l'obiettivo aveva un fine terapeutico di liberare lo spettatore dalla propria aggressività attraverso la risata, riflettendo se stesso in certe situazioni ed autoironizzandosi. Ridere di se stessi ha i suoi vantaggi, poiché il rendersi ridicoli al proprio ego induce a migliorarci e diminuisce il senso di infallibilità o perfezionismo, che induce alla frustrante alienazione. Ridere fa bene anche agli occhi lubrificandoli, riduce il cortisolo ossia l'ormone causante lo stress, ha effetti positivi anche sul sistema immunitario, perché aumenta il livello degli anticorpi nel sangue che preservano l'organismo da una serie di malattie come bronchite, raffreddore, allergie, eccetera. Ridere migliora l'umore e favorisce le relazioni interpersonali, influendo positivamente sull'autostima. Ecco perché l'individuo depresso e represso non riesce a ridere liberamente, accenna ad una risata ma ne reprime lo sfogo impulsivo. Ciò cosa produce? Un vortice distruttivo, l'incapacità di rischiare ed affrontare la realtà, perché ogni delusione e sofferenza verranno proiettate come un'autodistruzione, un fallimento dovuto soprattutto a se stessi reprimendo la sagacia, che è un fondamentale elemento per reinventarsi ed affrontare le difficoltà. 109


Secondo un meccanismo scientifico dimostrato, il nostro corpo non riconosce la differenza tra una risata spontanea ed una forzata e ne trae comunque il beneficio, per tutte le componenti neuro muscolari che attiva alimentando l'energia vitale positiva. Nella Musicoterapia, la capacità di creare un mondo in sintonia con se stessi si realizza con le attività di gruppo, lavorando sull'improvvisazione sonora e ritmica, liberando le attività gestuali senza coordinamento iniziale, per dare spazio al senso comico, autoironico e spesso demenziale che sostiene la risata spontanea, maggiormente liberatoria. Con i bambini questo è molto più frequente, sono spesso loro a trascinare lo stesso musicoterapeuta in giochi e mimiche divertenti. Nella sfera adulta invece, diviene molto più complesso, perché l'inibizione nel riprodurre una condizione liberatoria infantile, si presenta un deterrente frequente nelle terapie musicali del rilassamento; ciò induce un buon terapeuta ad agire con la dialettica espressiva del canto o della ritmica improvvisata.

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I DISTURBI AGGRESSIVI DELLA PERSONALITA' Il Dop La diagnosi di Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) si effettua sui bambiche manifestano ripetuti livelli di rabbia inappropriata, irritabilità, comportamenti provocatori ed oppositività, che causano delle vere e proprie problematiche nell’adattamento e nella funzionalità sociale. Un bambino che mostra tali sintomi, che si cominciano ad evidenziare intorno ai cinque o sei anni di età, in maniera persistente per almeno cinque o sei mesi causando menomazione nel funzionamento personale e sociale, può venire inserito in questa tipologia diagnostica. Anche il Disturbo della Condotta (DC), è inserito in questa categoria ma, a differenza del DOP, si manifesta in età scolare verso i nove anni, mentre in entrambi i casi la diagnosi effettiva specialmente nel DOP, vengono effettuate in età pre adolescenziale, in circa il settanta per cento dei bambini. I sintomi comuni e costanti si manifestano con: - capricci insistenti; - sfida provocatoria e disubbidienza verso i genitori; - irascibilità, suscettibilità eccessiva; - disturbo costante agli altri; - vendetta; - aggressività con conseguente senso di colpa; - deterioramento costante delle attività sociali o scolastiche Valutando le varie tipologie del disturbo comportamentale inserite nel MDM (Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali), i sintomi inerenti al disturbo della personalità trovano delle accomunanti, tra cui emergono l'aggressività, il senso di colpa, l'intolleranza eccessiva, la suscettibilità e la menomazione sociale. Nonostante le cause di questo disturbo siano ancora incerte, si attribuisce gran parte del problema alla difficoltà che il bambino incontra, verso i cinque- sei anni, nel distacco materno o dalla persona che affettivamente sostituisce la madre. Dunque i comportamenti negativi divengono un prosieguo di quel trauma, che si sostituisce alla condizione normale. Gli studiosi del comportamento invece, contraddicono questa tesi per avvalorare la condizione di repressione e frustrazione che il bambino 111


ha subìto dai genitori o figure sostitutive autoritarie. Alle origine di tali effetti, si elaborano i "rinforzi negativi" che vanno a discapito del genitore. In termini più specifici, sono le situazioni avverse che il bambino e l'adulto allontanano assumendo un certo tipo di atteggiamento. Nel caso del bambino, se piange perché vuole un giocattolo e la madre glielo nega, egli persisterà con tale atteggiamento sapendo che la medesima glielo comprerà. Una sorta di "presa per sfinimento" che obbliga il genitore a non opporre resistenza, subendo il rinforzo negativo e cedendo per porvi fine. Dunque, tornando alle cause comportamentali, il bambino richiama l'attenzione degli altri su di sé manifestando gli stessi atteggiamenti usati con i genitori. In altro aspetto, si considerano gli aspetti traumatici attribuiti alla separazione dei genitori, instabilità famigliare, che generalmente incidono in maniera irreversibile sulla prima infanzia e pre adolescenza. I disturbi oppositivi provocatori vengono probabilmente scatenati dal controllo che i genitori esercitano sul figlio, che possedendo un temperamento forte agisce con opposizione ed imposizione. Gli atteggiamenti stressanti, come il diniego di una determinata cosa, scatenano la provocazione. Agire con schiaffi o punizioni, rende l'infante maggiormente predisposto alla vendetta. Cedere lenisce momentaneamente lo stato di rabbia incontrollata ma non deve diventare l'abitudine; osservare le reazioni del bambino, senza giustificarlo in quanto piccolo o privo di comprensione, è la prassi più giusta da seguire, associandola all'ausilio di uno psicologo dell'infanzia. In molti casi il disturbo implica l'ausilio anche di uno psichiatra e della farmacologia, con degli inibitori selettivi che riassorbano la serotonina (ormone del buon umore, neurotrasmettitore del sistema nervoso) associati ad altri farmaci quali la atomoxetina, che funge come non stimolante, usata per il trattamento di sindrome da deficit di attenzione ed iperattività, ed in casi più gravi la risperidona.

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Il Disturbo Esplosivo Intermittente Caratteristica comune di questo disturbo psico comportamentale è la frequenza più o meno saltuaria di non controllare la propria aggressività. Il soggetto sviluppa delle azioni distruttive verbali, fisiche e materiali quali: colpire violentemente una persona ferendola, offende con insulti ripetuti, rompe di proposito degli oggetti che appartengono alla medesima o a se stesso; non è l'entità del danno a renderlo soddisfatto bensì il potere che assume impossessandosi di qualcosa fino al punto di distruggerlo. Ogni reazione violenta del soggetto in questione è spropositata al tipo di provocazione sociale o personale da lui subita anzi, talvolta questa è totalmente assente o da lui provocata. Di norma il Disturbo Esplosivo Intermittente si diagnostica a seguito di esclusioni da disturbo Antisociale di Personalità, Psicosi, Maniacalità, Disturbi di condotta, Deficit di attenzione o iperattività. Nelle fasi depressive di tipo bipolare si può presentare come crisi, a seguito di un forte disagio o situazione incontrollata. Si escludono le sostanze stupefacenti o farmacologiche potenzialmente ipereccitanti, comprese alcune condizioni quali Alzheimer e trauma cranico. Spesso i soggetti affetti da tale disturbo asseriscono di provare una forte aggressività o stato di ipereccitabilità prima di conseguire l'azione impulsiva; gli episodi esplosivi si scatenano sovente in seguito a sintomi affettivi o emotivi quali rabbia, rancore, fuga delle idee cioè incapacità di coordinare i pensieri in quanto si susseguono in modo troppo veloce. Alcuni sintomi nervosi si manifestano prima della crisi acuendo palpitazioni, senso di compressione alla testa, contrazione toracica. In seguito allo sfogo impulsivo e violento, il soggetto si sente in colpa e diviene vittima dei rimorsi. La fase del pentimento dura poco, perché tali soggetti attuano mentalmente una causale valida al proprio effetto, cioè attribuiscono agli altri le colpe delle loro azioni incontrollate. Umore depresso, imbarazzo, stanchezza, sono sintomi che compaiono a seguito dell'atto esplosivo.

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LA DISPERAZIONE AUTOLESIONISTA ED AMBIVALENTE Le persone affette dalla disperazione esistenziale, causa primaria delle maggiori patologie depressive ed ossessive, hanno livelli di autostima precari, soprattutto devono sempre sentirsi incoraggiate e sostenute dipendendo dalle approvazioni e dai riconoscimenti degli altri. Quando tali appoggi vengono meno, esse precipitano nella disperazione. Il trauma della frustrazione che ne subentra può essere minimo o grave; la condizione dell’"Io" può essere tale da non avere efficaci meccanismi di difesa o essere, in qualche modo compensata attraverso la creatività e la capacità di reinventarsi. Nella situazione di pericolo l'individuo attua tutte le risorse possibili al fine di proteggersi, però ne esiste una larga massa che non vedendo delle vie d'uscita adotta un sistema di difesa passivo che definisco "autolesionistico espiatorio", lasciandosi totalmente andare. Una sorta di tragedia euripidea, in cui si resta forzatamente vittime del fato senza risoluzioni umanamente possibili. Ad aumentare la disperazione entrano in ballo dei meccanismi di ambivalenza che hanno origine nella prima infanzia, epoca in cui il bambino ama la madre quando gli procura piacere ma nel contempo la odia quando gli infligge frustrazioni. Amare ed odiare contemporaneamente un qualcosa o una persona trova origine in questo riflesso fanciullesco, lo stesso che si riflette nel proprio " Io" amandoci e punendoci nel contempo, sopprimendo i nostri impulsi vitali ed emotivi. Gli input psicologici, sociali, sessuali, determinano le cause basilari dell'autodistruzione, però si differenziano in modo peculiare tra uomo e donna. Può accadere che un uomo si suicidi a causa di un fallimento economico, mentre una donna decide la morte perché si sente fallita come madre. È molto più raro che la figura femminile restando vittima di situazioni economiche disastrose, decida di suicidarsi; la proiezione del prestigio lavorativo e delle conquiste sociali coinvolge la figura narcisistica maschile, in modo molto più profondo e determinante. I figli invece, non costituiscono per la figura maschile la realizzazione del proprio narcisismo mentre, per gran parte delle donne il fallimento materno diviene lo status primario del proprio senso di nullità. Inoltre, l'orgoglio maschile non si basa sulla paternità; basti pensare come un crack finanziario o un fallimento lavorativo incida 114


sullo stato psico emotivo del maschio, che non il fallimento paterno. L'uomo è più soggetto rispetto alla donna al cedimento disfattista della propria autostima, a seguito di delusioni sociali, sentimentali, economiche; quindi diviene facilmente più depresso, devastandosi fino al limite per aver perso il proprio prestigio maschile. Difficilmente l'uomo ammette la propria depressione attribuendo il proprio stato alla stanchezza, all'esubero lavorativo; la nasconde sfogandosi nell'alcool, nell'abuso di droghe, nelle evasioni sessuali o talvolta accanendosi nello sport. La donna è più propensa ad ammettere i suoi stati di frustrazione rilegati alla famiglia, alla sua impotenza nel gestire la situazione con i figli, oppure cade in depressione se abbandonata dal marito, a seguito della morte di un congiunto, di una malattia che la rende incapace di essere autonoma e di poter far fronte ai doveri famigliari. Anche le discriminazioni sociali inducono gran parte delle donne a sentirsi inadeguate e deboli rispetto alla sfera sociale. Sta di fatto che la maggior parte dei suicidi femminili, si ricollegano al fallimento famigliare e materno. La moglie-madre diviene profondamente depressa e si ritiene totalmente inefficace a risolvere i problemi dei figli, che vogliono trascinare con sé nella morte per non deluderli e salvarli da un destino fallimentare (suicidi collettivi madre e figlio).

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Rapporti famigliari

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AMARE SE STESSI La solidità dell'amore per se stessi, non deve essere fraintesa con egocentrismo o narcisismo bensì come la capacità di "non dipendere" da altre persone potendo gestire la propria vita con due componenti radicali:

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l' Autostima, ossia la considerazione dei nostri valori e potenzialità, a prescindere dai nostri limiti ed imperfezioni che, in quanto tali possono migliorare noi stessi partendo sempre dalla coerenza. Questa appartiene alla "sfera dell'essere".

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la fiducia in se stessi o autoefficienza, cioè la convinzione che nelle situazioni di crisi ce la possiamo fare, che possiamo attingere alle nostre risorse e reinventarci. Questa consapevolezza si manifesta con l’attitudine all’azione ed appartiene quindi alla "sfera del fare".

Quando mancano questi due componenti fondamentali al nostro equilibrio, subentrano i riflessi del disadattamento: la "trascuratezza" per quanto concerne la sfera fisica; l' "immeritevole rispetto" in quella emotiva ed il senso di impotenza o incapacità di poter fare, che riguarda la sfera intellettiva. A causa della paura del "rifiuto", della critica, della delusione, la persona carente di autostima ha il timore di entrare in stretto contatto con un partner del sesso opposto; l'individuo resta prigioniero del proprio disagio, incapace di costruire relazioni a lungo termine e se ci prova si rivelano un totale fallimento. Si mostrano apatici ma nella realtà celano un grande bisogno di affetto, che rifiutano e rendono difficile a chi è disposto a darne loro. Lo psicoanalista John Bowlby osservò per lungo tempo i vari lati comportamentali dei bambini di dodici mesi, il loro attaccamento alla madre nella fase esplorativa. Il lavoro di studio eseguito da Bowlby si basava su una serie di test psicologici eseguiti col medesimo soggetto a partire dall'infanzia alla sua età adulta. Questo test è chiamato "Adult Attachment Interview " e si può riassumere nel modo seguente:

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1. ATTACCAMENTO ANSIOSO/AMBIVALENTE, il bambino è passivo, poco esplorativo, introverso, timido e richiede continue cure; è costantemente angosciato a causa dell’incostanza materna, presente in modo discontinuo, incoerente, aggrappandosi a lei per timore dell’abbandono. 2. ATTACCAMENTO EVITANTE, il bambino alterna la necessità materna ai momenti di indipendenza l'incostante o assente presenza della madre, non può contenere gli stati di rabbia e di dolore che procura al figlio, il quale riverserà sugli altri un comportamento aggressivo e ribelle, represso. L'aggressività è comunque riversiva verso se stessi e successivamente verso gli altri. 3. ATTACCAMENTO SICURO, il bambino sviluppa fiducia nella presenza stabile della madre, da cui si sente contenuto nelle emozioni negative, accolto e motivato alla esplorazione del mondo, senza sentirsi giudicato. E’ un bimbo sereno che si rispecchia in una madre presente ed affettuosa e ha maturato fiducia in sé e nelle proprie risorse. 4. ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO, trova origine dalle gravi mancanze della madre (violenza, maltrattamenti, rifiuti ed abusi) che generano personalità psicotiche. La violenza può essere subita psicologicamente dal bambino producendo gli stessi stati di rabbia e repressione del trauma fisico.

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Attaccamento Bivalente -

Result: incoerenza, autostima

irresponsabilità,

mancanza

di

Attaccamento evitante -

Result: distacco dagli stati affettivi, rigidità muscolare e rinnegazione.

Amare se stessi diviene la componente esistenziale per ricostruire una propria identità cognitivo-emotiva; il significato non si ricollega ad alcuna forma di egoismo bensì alla capacità di alimentare le proprie capacità d' indipendenza, d' interazione sociale autonoma. Nella sfera pedagogica una fra le principali spinte di forza è l“autogratificazione”, tramite cui ci si può premiare a seguito di una riuscita, di un impegno, senza attendere che il riconoscimento giunga dagli altri. Interagire con se stessi con elogi e compiacimenti, diviene nel giusto limite la migliore terapia per l'autostima. Lo stesso principio è basilare nella didattica di qualsiasi materia; elogiare l'allievo migliora la sua vena propositiva e lo rassicura sulle sue potenzialità.

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L'ATTACCAMENTO MATERNO Attachment Parenting L'attaccamento primordiale dei genitori al figlio e viceversa, altro non è che un naturale istinto protettivo che si innesca soprattutto nella madre, generatrice ed evolutrice del neonato sin dalle sue origini. La necessità di toccarli, tenerli in braccio e scambiare le prime sensazioni emotive e vitali è sinonimo di normale desiderio genitoriale. Qualora subentrino rifiuti o distacchi da questo tipo di istinto primario, si evidenziano dei disturbi psico emotivi che nei genitori bloccano questo contatto diretto. Fino al secolo scorso le generazioni venivano cresciute attraverso il "distacco", in cui la madre interveniva sporadicamente, il bambino veniva lasciato dormire da solo, se piangeva lo si lasciava sfogare abituandolo a seguire degli orari precisi per nutrirlo o addormentarlo. Ancora oggi la società e la cultura alimentano il "distacco" veicolando le emozioni ed i contatti fisici al timore di essere debole, facilmente predisposto al rischio istigando ad un modello umano di autodisciplina che predilige la"separazione", il controllo sull'altro o la subordinazione. La sfera adulta cresciuta con questo senso di impotenza e totale abnegazione, rinnegano le proprie repressioni e sofferenze subìte da piccoli, reputandole giuste ed attuandole a loro volta sulla prole. Si sentono minacciati da atteggiamenti che non rientrano nella propria norma educativa, non quella realmente giusta, bensì quella che loro hanno assimilato durante l'infanzia. Ecco che il "distacco" diviene una regola da seguire, perché imposta o comunque non direttamente proporzionale ai veri interessi del bambino; il genitore decide e sceglie ciò che è più giusto per lui, senza realmente osservarne le esigenze, talvolta segue le sue intuizioni che restano sempre vincolate all'esterno, alla società e a ciò che essa decide per lui. Spesso si considera la logica come una scusante per interagire su un qualcosa di prestabilito, senza discuterlo o contraddirlo; la verità è credere che né il bambino e né i suoi genitori, siano in grado di percepire le proprie esigenze e farne le dovute scelte. Ciò acuisce l'insicurezza genitoriale, che si manifesta nell'affidarsi o meglio affidare i propri figli alla guida di esperti, che sovente tali non sono; se si pensa che ormai è divenuto un continuo rivolgersi ai forum di neo mamme o a consulti via chat, con specialisti talvolta improvvisati. 120


È un po' come l'abitudine odierna di ricorrere ai social network per chiedere consiglio agli amici virtuali, che talvolta nemmeno si conoscono personalmente, perché parlandovi assieme costoro ci raccontano problemi analoghi, oppure ci fidiamo dei titoli di studio che dichiarano seguendo ciò che ci consigliano, dalle medicine, alle creme, pastiglie, rimedi vari, talvolta dannosi per la nostra salute o comunque non appropriati per il nostro caso. Non parliamo poi, delle riviste che propinano metodi semplici ed immediati su come crescere i propri figli. Oltre al senso di "incapacità" si evidenzia nei genitori il concetto dello "sbaglio costante" del bambino; se egli piange o si dispera sono principalmente capricci, pretese inappagate, così come se si agita, se gioca troppo, se manifesta un atteggiamento troppo eccitato è dunque problematico, rischioso e fastidioso. Lo si costringe a seguire determinate regole, che vanno dagli orari dei pasti e la merenda all'orario del riposo. Il definire "giusto" ed indiscutibile tutto ciò che concerne la regola che i genitori hanno acquisito a loro volta come valida, è un discorso bivalente, perché se da un lato vogliono rendere il figlio adeguato agli altri bambini per non farlo sentire diverso o rifiutato, dall'altro lo reprimono, lo obbligano, lo veicolano a seguire un senso del giusto imposto dalla loro proiezione mentale, così come dall'imposizione di essere normale solo se si comporta in un determinato modo seguendo la massa. Da qui si forma la "personalità condizionata" alla società, che nel mondo adulto diviene normalità perché appartiene allo standard comportamentale e sociale, che accetta i compromessi per sentirsi adeguato; mentre chi ha ancora il coraggio di essere se stesso, vivere e seguire ciò che si è senza pre costituzioni, viene considerato inadeguato e meritevolmente perdente. Questa è la base non dell'educazione sia chiaro, bensì della formazione di massa sociale a cui se non ti adegui raggiungendo un certo prestigio lavorativo, sociale o economico, se non ti vesti alla moda o non possiedi determinate cose, sei uno "sfigato". Sulla sfera impositiva del "giusto" vanno inserite le inibizioni mentali che il bambino introizza attraverso questo metodo di condizionamento, in cui gli si fa credere che tutto ciò che gli si impone sia per il suo bene, per il suo equilibrio fisico e psicologico; se per esempio non segue determinate regolarità nei pasti, nel dormire, nel vestire, così come nell'andare di corpo, lo si convince che in lui qualcosa è sbagliato, portandolo subito da uno specialista e 121


facendogli credere che se non segue quel modus operandi non sarà mai felice, sereno e sicuro di sé. Allo stesso modo il reprimere in lui certe ambizioni diviene giusto, perché è il genitore a decidere cosa è bene per lui, non curante di cosa davvero sia realizzante nel figlio stesso. L'equivalente è convincerlo a compiere determinate azioni o coltivare certe attività che sono passioni per il genitore, spesso irrealizzate dal medesimo ma proiettate sul figlio. In definitiva, il senso a cui il genitore vuol giungere è insegnare al figlio che la vita è dura, difficile, perciò bisogna adeguarsi alle condizioni sociali, saper accettare anche i compromessi, soffrire per crescere. In questo modo si veicolano anche i sentimenti ad una sorta di patire per sentirsi amati, sopportare per tenere in piedi una famiglia, essere tolleranti sempre e comunque. Questo può definirsi educativo? Da un lato lo assodiamo come "contenitivo", ossia un limite da considerare per non arrendersi alle prime difficoltà e non darsi per vinti. Dall'altra, però, si crea un condizionamento psicologico equipollente alla "scolarizzazione", pediatricamente definito "regolarizzazione del bambino", che potrà tramutarsi nell'adulto in modalità differenti:

 regola acquisita come "giusta", quindi non modificabile poiché mal giudicata. Essendo l'accettazione sociale correlata a quella adolescenziale all'interno di un gruppo, l'adulto manterrà determinati schemi, al di fuori dai quali si sentirà inadeguato;  irrealizzazione, repressione, masochismo, in cui l'individuo non riesce ad adeguarsi alle precostituzioni, dunque si sentirà avvilito ed oppresso manifestando le proprie irrequietezze in manifestazioni trasgressive o perverse, agendo di nascosto per timore del giudizio altrui;  anticonformismo individualista, in cui l'individuo rifiuta ogni schema o regola prefissata dalla società di massa rifiutando compromessi scomodi e sorvolando sul giudizio sociale. L'individualismo, in quest'ultima fase non è da considerarsi come menefreghismo sociale, bensì come autocoscienza ed autostima incondizionata. Il termine "frustrazione infantile", viene spesso utilizzato per

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giustificare le costrizioni o le disattenzioni nei confronti delle necessità primarie del bimbo, per imprimergli ciò che è socialmente "giusto" o "la regola". Ricordo bene, che in tutti i trattati studiati S.Freud non ha mai parlato di frustrazione come unica mediazione di crescita, tanto meno che il processo di quest'ultima divenisse forzato. Il rapporto "speciale" che si deve creare tra madre e figlio come naturale istinto, ha un'importanza fondamentale per il contenimento materno, in cui è la madre o la sua figura sostitutiva a fare da tramite tra il bambino ed il mondo esterno, ammortizzandone le paure e la rabbia colmando ciò che lo rende inadeguato. Spesso l'ansia o l'attaccamento esagerato che si riscontra in molte mamme, altri non è che un naturale senso protettivo istintivo, mirato a contenere il proprio figlio e di accudirlo al meglio. Nel secolo scorso alcuni studiosi europei ed americani, tra cui H. Holt, definirono negativo l'atteggiamento del "riguardo eccessivo" nei confronti del figlio, poiché causa di indebolimento, presunzione e cattive abitudini protese al vizio estremo, non più sradicabili. Queste idee furono avvalorate dai comportamentisti americani (behaviorismo), secondo i quali bisognava considerare solo il comportamento manifesto poiché le emozioni, i sentimenti o i desideri, non essendo visibili risultavano inosservabili, dunque non attinenti all'analisi comportamentale e non importanti. Essi ponevano lo "stimolo persistente" come riflesso condizionato, ossia ripetendo un il certo tipo di stimolo si crea l'abitudine; equilibrando gli stimoli piacevoli e sgradevoli si modella un comportamento equilibrato. Proprio questa pratica comportamentale ha generato le regole del "rinforzo positivo" sul bambino, per esempio, nel rifiutare di prenderlo in braccio quando piange per non abituarlo a piangere di nuovo, oppure obbligarlo a dormire da solo, al buio, eccetera. A sostegno della Teoria de "l'Attachment Parenting" opposta al behaviorismo, si palesa il concetto dei Rogersiani, secondo cui l'individuo sin dai primi anni di vita è perfettamente conscio di quali siano le proprie necessità, dapprima istintivamente ed in seguito razionalmente; dunque è l'unico in grado di stabilire cosa gli sia necessario e quando. Imporre al bambino di mangiare se non ha fame è frustrante quanto impositivo e non necessario se non ne sente il bisogno, così come forzarlo a dormire se non ha sonno. Quindi obbligare un principio di schema mentale e fisiologico è 123


prettamente socio dipendente, generato dall'educazione genitoriale che definendosi "all'antica", si abroga il diritto di decidere cosa il figlio debba fare o come debba agire per essere migliore e giusto. In realtà non fa altro che scaricare troppo spesso sulla prole, ciò che a lui è stato negato o le proprie inadeguatezze sociali. Quante volte mi trovo a discutere con i genitori che vogliono realizzare attraverso i figli le proprie passioni musicali mancate o impedite, per poi trovarmi di fronte ai falsi entusiasmi di questi ultimi, che non solo ostacolano il percorso didattico ma divengono delle vere e proprie lezioni ripetute all'infinito, in cui non maturano la creatività bensì la riducono solo al compiacimento del padre o della madre. Talvolta accade l'inverso, con gli alunni bambini o adolescenti che mi chiedono di convincere i genitori ad iscriverli ad un corso artistico musicale, perché proibito dagli stessi in quanto ritenuto inutile, oppure per timore che i figli ne facciano un obiettivo di vita divenendo dunque dei "falliti" o perdenti economicamente. Sostengo che molti genitori debbano anzitutto seguire dei veri e propri controlli mentali prima di procreare, poiché troppo spesso la maternità è vista come un "impulso affettivo riversivo" che considera i figli un punto di riferimento, oppure una realizzazione mancata di se stessi, un obbligo sociale, anziché degli individui indipendenti e liberi che al di fuori dell'utero materno sono esseri viventi abili di muoversi, di crescere, di agire e sbagliare seguendo un proprio percorso autonomo. Pilotare la loro vita per il loro bene o perchè dipendenti economicamente, dunque ligi alle regole genitoriali, è la forma più obsoleta di possesso. L'educazione non implica scelte forzate ed il rispetto deve essere reciproco; se si rispetta un figlio gli si infonde fiducia e buon esempio, al fine di pretenderne la stessa considerazione. Il corpo umano in quanto mente ed istinto di sopravvivenza, produce spontaneamente i propri impulsi necessari, sviluppa naturalmente ed individualmente le proprie potenzialità che non devono anzi, non possono essere uguali agli altri. Il pediatra inglese Donald Wood Winnicott elaborò un concetto di “Attachment Pareinting” giustificandolo attraverso le necessità primarie concesse, secondo cui il bambino è vincolato a periodi più o meno lunghi di maturazione ed elaborazione; perciò tutti i suoi bisogni iniziali sono urgenti e necessari; negargli o imporgli regole, orari, schemi fissi, genera nella sua mente dei riflessi frustranti che non è in grado di sopportare nè emotivamente nè biologicamente. 124


La perdita del controllo delle emozioni e delle percezioni con la realtà è molto simile a quella delle patologie mentali dell'adulto, poiché si riflettono anche nel bambino generandogli panico, ansia, senso di abbandono. Le esperienze negative correlate ai continui dinieghi genitoriali, indeboliscono il suo "Io" rendendolo psicologicamente labile, ritardando il suo adattamento alla realtà, prolungando anche il suo distacco materno. Nella fase adulta genera i soggetti nevrotici, psico labili, repressi ed insoddisfatti sebbene non manchi loro nulla materialmente o affettivamente. Applicando sia il concetto Rogersiano che Winnicottiano nella pedagogia moderna, si può riscontrare come entrambi favoriscano un attaccamento al figlio rispettando le sue necessità ed i tempi di maturazione individuali, nonché sostenendo positivamente il rapporto realizzante di madre e figlio, in cui la madre segue le richieste naturali e legittime del bimbo. In tal modo ella sviluppa una comunicazione ed una fiducia necessaria, al fine di evitare l'errore grave dell'imposizione e del giudizio genitoriale, che allontana il figlio rendendolo nella fase primaria di crescita succube ed emotivamente contrastato. "L'empatia materna", che sovente viene sostituita dalle figure parentali (nonni o zii), è la fonte primaria di protezione verso cui il bambino, l'adolescente e l'adulto ricorrono nei momenti complessi della loro vita; essa è priva di giudizio punitivo o critico, che viene sostituito con il dialogo affettivo, comprensivo, fiducioso ed amorevole nei confronti del proprio figlio o acquisito. Spesso la figura sostitutiva alla madre diviene predominante, idem per la proiezione paterna. Il senso di contenimento affettivo non è genetico bensì psicologico; ecco perchè sovente i legami più stretti e le associazioni affettive durante lo sviluppo, si correlano a nonni, zii, amici, insegnanti. Questo si acuisce notevolmente nei soggetti che vivono conflitti con uno o entrambi i genitori, oppure la coppia è separata. Ogni sorta di distacco affettivo genitoriale, per quanto conflittuale, detiene una radicale causa traumatica nel fanciullo; la stessa condizione però, diviene altrettanto disfattista nel suo sviluppo adolescenziale e mentale, qualora sia costretto a crescere in un ambiente litigioso, in cui si sente minacciato, ingiustamente punito da sbalzi improvvisi d'umore, grida e ripicche tra i genitori. In questo caso è il bambino a pilotare la condizione a proprio favore, interagendo sul genitore più debole; questo per sopperire a ciò che gli viene tolto e da cui si sente escluso. 125


I RAPPORTI FRATERNI La relazione fraterna proiettata nell'infanzia, è stato luogo di studio per molti anni, fino ad avvalorare l'importanza che questa imprime nella sfera emotiva del bambino ed adolescente. Tale legame, però, non è da intendersi correlato alla manifestazione affettivo comportamentale e cognitiva dell'adulto, poiché qualsiasi problematica del legame stesso, resta più circoscritta alla sfera fraterna, a differenza di quello genitoriale che è prevaricante nella tempra del carattere individuale. L'interdipendenza che sussiste tra fratelli o sorelle, si evidenzia maggiormente nelle figure gemellari, per una correlazione inconsciamente emotiva vissuta già in fase embrionale, che però si estende anche nella fratellanza consanguinea differenziata (fratelli nati a distanza di tempo l'uno dall'altro). Questi ultimi avranno comunque una interdipendenza psicologica, recepita maggiormente dal fratello minore, che assimilerà o rifiuterà le attitudini, i sentimenti, le reazioni emotive e comportamentali dell'altro, creando un percorso totalmente differente o pressoché simile. Si ritiene, dunque, che l'assenza prolungata di uno dei due, venga vissuta come un distacco provvisorio, da ricercare nei momenti di crisi. Nella vita adulta la fratellanza diviene più incisiva; si manifestano delle alleanze o condivisioni mentali e caratteriali, generate dall'evoluzione reciproca di entrambi, che resta comunque correlata fra di loro, per alcune peculiarità emotive, psicologiche. Ciò diviene, nell'ambito di una fratellanza acquisita o non del tutto consanguinea, influenzato da esperienze differenti precedenti al contatto fraterno, quando ad esempio, si uniscono due famiglie formate in precedenza o si generano figli con partner diversi formando una sorta di famigliarità allargata, che sovente viene vissuta in modo traumatico da alcuni dei figli, divenendo delle vere e proprie rivalità o repulsioni. Sebbene queste reazioni permangano inconsce, dunque si leniscano al fine di rispettare un senso del legame fraterno, permangono nell'influenza negativa che genera contrasti continui, distacchi ed indifferenze. Intorno agli anni sessanta, l'epoca correlata alla procreazione in massa definita "baby bum", la fratellanza numerosa all'interno di un nucleo famigliare compensava maggiormente il distacco di alcuni con la 126


solidarietà degli altri. Nell'età più matura, il settanta per cento dei fratelli consolidano il legame, il venti per cento rientra nella sfera del distacco sporadico ed il restante dieci per cento si correla al rapporto conflittuale o indifferente. Solitamente i fratelli avvertono più profondamente il legame con le sorelle, benché spesso non lo manifestino affettivamente; sentono la necessità di mantenere quel convivio e rituale contatto per lungo tempo. Si evidenzia maggiormente nelle donne la capacità di parlare in modo più spontaneo dei rapporti con i fratelli, poiché esprimono più facilmente i loro sentimenti ed emotivamente sono meno riservate. Gli studi sociologici, convergono sulla frequenza dei rapporti tra fratelli o sorelle più anziani di divergere su etiche, ideologie, preconcetti che separano i rapporti con più frequenza rispetto alle differenze economiche. Per esempio, in caso di difficoltà economica o sociale sarà più facile l'ausilio reciproco fraterno che non trovare la solidarietà o un appoggio su un determinato punto di vista o progetto sociale. Nella sfera sociologica fraterna si evidenziano differenti tipologie di rapporto:

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affettivo ammirevole, che aumenta nella fase adolescenziale divenendo più consolidato nell'età adulta, aumentando l'effetto fraterno sebbene i medesimi siano distanti logisticamente.

litigioso, antagonista e rivale, genera una prevaricazione o gelosia nei confronti di uno di essi correlata a proiezioni infantili o adolescenziali di inferiorità, così come ad evidenti manifestazioni di repressione psicologica in quello più debole, eternamente insoddisfatto. Si evidenzia in fratelli non consanguinei o parzialmente acquisiti.


I gruppi a cui si associano le evoluzioni fraterne in età adulta sono:

 supportivo, in cui i fratelli permangono in contatto poiché lontani geograficamente, sentendosi spesso sporadicamente, anche solo nelle occasioni importanti. Questo tipo di rapporto regge più per la distanza, che acuisce il senso di ritualità fraterna, mentre crea conflitti in caso di avvicinamento costante.

 bramoso, quando i fratelli creano un interdipendenza maturata nel tempo, il loro rapporto è sempre stato confidenziale ed affettivamente importante sin dall' adolescenza, evidenziandosi con maggiori manifestazioni affettive specie se sono distanti, desiderando molto l'uno per l'altro.

 apatico, evidenzia l'indifferenza fraterna dovuta a legami più volte deludenti o litigiosi, che creano in fase adulta un senso di distacco parziale-totale, spezzando l'interdipendenza.

 competitivo, che si suddivide a sua volta in due causali; nella prima è strettamente correlato alle gelosie o ai sensi di inferiorità e rifiuto di un fratello o sorella verso l'altro, mentre nella seconda si proietta sulla sfera famigliare, in cui i fratelli vivendo vicini, incontrandosi spesso, non sentono la necessità di manifestare desiderio reciproco, aumentando, però, il livello di critica e di competizione di entrambi o di uno verso l'altro.

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LO SCHEMA THERAPY La Schema Therapy è un approccio alla psicoterapia che interagisce con più sfere terapeutiche quali l'aspetto cognitivo, comportamentale, psicodinamico, gestalt al fine di potenziarne il limite. Ultimamente si è dimostrato efficace per alcune problematiche croniche di soggetti affetti da psicosi gravi difficilmente trattabili. Secondo lo Schema Therapy i bisogni emozionali cruciali non vengono considerati durante l'infanzia. Tali necessità primarie fondamentali si classificano in : - attaccamento sicuro, in cui il bambino necessità di protezione, rassicurazione, accettazione e stabilità. In questa fase la visione infantile dei genitori ipercritici, esigenti, esplosivi o violenti, aggressivi, assenti o repentinamente accompagnati con partner differenti, si riversa come una proiezione di sfiducia, intolleranza, incapacità di amare e di sentirsi adeguati ad essere amati e realizzati. - autonomia, in cui il bambino acquisisce la propria autostima, si sente rispettato per la fiducia che gli viene concessa, nonostante i suoi sbagli. Le famiglie impositive che bloccano questa esplorazione intervenendo con i sensi di colpa, i rimproveri assidui, gli impedimenti, oppure che creano dipendenza evitando al bambino tutto ciò che ritengono non sia in grado di fare, per estremo timore, gli renderanno un blocco mentale in cui non si sentirà mai abbastanza sicuro, in cui acuirà nella sua sfera adulta l'ansia e la paura di fallire in ogni suo contesto. - libertà di espressione, in cui il bambino potrà esprimersi con libertà di azione, di espressione delle sue emozioni e dei suoi bisogni, attiverà una proiezione adulta socievole, in cui l'autostima e la capacità di essere se stesso avranno la priorità. - spontaneità, ossia la possibilità per il bambino di agire attraverso il gioco con spazio e divertimento guidato con l'equilibrio del dovere e piacere, con genitori attivi nell'interagire con lui; da adulto attiverà il

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senso del dovere intervallato allo svago, con spontaneità. Al contrario, se nella famiglia il gioco viene ripetutamente proibito o ritenuto fastidioso ed inutile, sarà un adulto che reprimerà le proprie emozioni e gli slanci affettivi, divenendo vittima di queste mancanze. Le regole limitative si attuano mostrando al bambino con senso rassicurante i limiti attraverso cui può agire e muoversi, senza imposizione bensì con realismo. Spesso i fanciulli che non hanno avuto un contenimento in quanto regola, divengono adulti aggressivi, incapaci di contenersi adeguatamente; essa deve trasmettersi al bambino con esempi reali, per fargli comprendere il senso del limite non quale chiusura o timore di esprimersi bensì come equilibrio per non nuocere a se stesso ed agli altri, contribuendo ad uno stato di libertà di azione nel rispetto di sé e del prossimo.

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SessualitĂ

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IL COMPLESSO DI EDIPO Sigmund Freud nel suo saggio “Le mie opinioni sul ruolo della sessualità nell'etimologia delle nevrosi”, afferma che all'origine delle nevrosi c'è un trauma reale, riconducibile ad avvenimenti sessuali della prima infanzia, in cui è determinante l'elemento fantastico, illusorio ed infine reale nel ricordo. Freud scrisse i suoi saggi sulla sessualità infantile proprio negli anni in cui i vittoriani e la letteratura per l’infanzia, si ostinavano a negarla perché troppo spaventosa. Finché era in vita la regina Vittoria, si tendeva a rifiutare le idee di Freud come immorali e a censurare i suoi scritti in quanto osceni. Il padre della psicanalisi trovò dei paralleli alle sue teorie sull’inconscio proprio nei racconti popolari e nelle fiabe (letteratura per l’infanzia per eccellenza), in cui drammatizzò situazioni come l’amore incestuoso, la rivalità tra genitori e figli, lo svelarsi delle pulsioni sessuali. La sessualità naturalmente generata, viene preceduta da una sessualità infantile autonoma, finalizzata al piacere autoerotico. Sin dalla nascita il bambino è dotato di una energia sessuata, tant'è vero che gli impulsi sessuali infantili retrocedono di fronte alle barriere del pudore, del disgusto, della normalità, della moralità, che la società crea secondo canoni precostituiti. Ciò che appare patologico nell’adulto seguendo i presupposti educativi ed inibitori dell'infanzia, costituisce la normalità per il bambino. Nel caso in cui tale normalità' sessuale infantile abbia resistito ai processi inibitori, si esprimerà attraverso la perversione; ove invece la rimozione sia stata eccessiva, emergerà sotto forma di nevrosi acuendo nel bambino ed in seguito nell'adulto, ad andare oltre il limite dell'impulso sessuale oppure a rimanerne frenato. In entrambi i casi si creano degli impulsi ideati o affettivi rimossi, che devono trovare un'identità cosciente. Nella repressione infantile il naturale processo sessuale di sviluppo in età adolescenziale è stato inibito o soffocato, condurrà al complesso di impotenza o al ricercare nelle proprie doti fisiche, la carica erotica necessaria per sentirsi virilmente maturi. L'isteria che si genera dalla conflittualità con se stessi conduce alla scarsa considerazione e alla necessità di sentirsi adeguati, di ricercare continue conferme. Un conflitto da cui rifuggire, che insorge

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tra un bisogno sessuale eccessivo ed un esagerato rifiuto della sessualità. Tratterò l'argomento partendo dalla sua fase generativa, ossia la "pulsività". La pulsione è la rappresentazione psichica di uno stimolo endosomatico (percepito all'interno del corpo), strettamente correlata ai limiti dello psichico e del corporeo. Le pulsioni si differenziano tra loro e dipendono dal processo di eccitazione che si produce in un determinato organo; l'oggetto della pulsione è estremamente variabile, può essere interno ed esterno al corpo, ed è strettamente correlato con le zone erogene. Benché le pulsioni e della libido non rientrino nello studio prettamente psicologico, Freud se ne serve per determinare le origini della nevrosi. Secondo il concetto freudiano, la sessualità è già presente alla nascita, inconsciamente organizzata, come sostegno naturale dei processi vitali del neonato, che già nella prima infanzia ricerca il piacere per se stesso. Quando subentra il desiderio, aldilà del bisogno fisico, ecco che diviene piacere. Ogni parte del corpo può essere elevata al rango di zona erogena anche se vi sono zone predestinate, perché sono caratterizzate dalla mucosa, permeabile e sensibile, come la bocca, l'ano, l'uretra, i genitali. Il dito in bocca, per il bambino rievoca il capezzolo materno ed è il contatto con il corpo materno che genera nel maschio la scelta del sesso opposto; diviene lo stimolo nella ricerca di procurasi piacere da se stesso, ossia nella masturbazione con le prime forme infantili di autoerotismo. Ecco perché si tende a ricercare nei primi approcci genitoriali le principali cause delle nevrosi infantili, che possono fungere da inibitorie a depravatorie.

La libido Organizza un primo rapporto affettivo tra il bambino ed il mondo, differenziando le reazioni opposte del buono che viene assimilato ed il cattivo che viene espulso. 132


Inizialmente è orale, avviene attraverso il gusto del latte materno e del capezzolo; successivamente si concentra nella zona anale, manifestandosi nello stimolo naturale del bambino di trattenere le feci, solleticando la mucosa anale, provandone piacere e perciò offrirle alla propria madre come un dono amorevole, in quanto parte profonda di sé. Il bambino ama le proprie feci come manifestazione profonda, ecco perché ne va orgoglioso quando si sente elogiato dalla madre per la defecazione abbondante. È una reazione organica che si assimila nella mente del bambino come un qualcosa di buono, ed è rifiutata dall'adulto genitore, che ne creerà divieti ed inibizioni. Nelle "Teorie sessuali dei bambini" scritte da Freud nel 1908, espone come le prime curiosità sessuali si manifestino con gli impulsi esplorativi del proprio corpo e di quello altrui, partendo dai genitori. Il desiderio infantile di conoscere il proprio corpo si genera dall'istinto di curiosare ed oltrepassare gli schemi riservati degli adulti, dando libero sfogo alla fantasia del bambino, elaborando in esso idee e concetti. La masturbazione del pene che la madre opera amorevolmente durante il cambio o il bagnetto, appare determinante per lo stimolo di piacere erotico che la stessa infonde nella sensorialità sessuale del bimbo. Secondo lo studio freudiano, la correlazione tra pulsioni ed intelletto è avvalorata dal fatto che spesso il bambino, posto di fronte ad un compito troppo impegnativo, risponde con la masturbazione in quanto costituisce una carica energetica non indifferente, perciò si rende necessario controllarla. Le sculacciate sul sedere, per esempio, sono totalmente negative per il bambino, perché si sollecita il suo erotismo anale generando una sorta di masochismo passivo, determinante un trauma piacevole e non contenuto quando sarà adulto. Verso il terzo anno di età sorge una tipologia di pulsione genitale, con cui il bambino riconosce il suo principale oggetto nella figura materna, colei che lo accudisce, lo protegge e lo considera il suo oggetto privilegiato. In questo ciclo evolutivo, il padre è visto come un ostacolo, il divieto al contatto erotico con la propria madre, come colui che sovrasta, sottomette e quindi genera odio e competizione. La madre è il frutto proibito sessualmente parlando ed è identificata dal figlio sia come Giunone, la maternità forte, abbondante, protet-

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tiva, che nella figura dell'esile ancella, dedita e succube del rivale paterno. L'Edipo è una dimensione personale che fa parte di tutti noi, sebbene nella fase femminile il soggetto del desiderio cambi. Si distingue in semplice, quando si manifesta uno smisurato amore per il genitore di sesso opposto e rivale quando si riversa sul gene del medesimo sesso. Secondo Freud questo processo può tramutarsi in amore per il genitore dello stesso sesso manifestando rivalità verso quello opposto, un istinto deviato del riflesso infantile che può non avere un seguito. Mentre l'Edipo semplice decade con la proibizione dell'incesto materno, l'Edipo freudiano diviene proibitivo per l'omosessualità ma rivale nei confronti del genitore di medesimo sesso. Il bambino vive i suoi primi impulsi sessuali con un senso di colpa, timore di essere punito dal padre e spesso anche dalla madre. Nel caso specifico del maschio, l'infante subisce una "castrazione mentale", poiché rilega subito il proibitivo stimolo o impulso con il pene, se ne sentirà privato, ostacolato e non potrà più competere con la figura paterna a pari sfera. In questa fase il bambino assimilerà la figura del padre introizzandolo, cioè sviluppa un InterEgo che si identifica con il padre punitivo, sul quale riversare l'odio e non potendo combatterlo lo interiorizza. Nella realtà freudiana, tale identificazione o assimilazione avviene non con il genitore reale bensì con il suo Super Io paterno esaltato ed idealizzato dal figlio, che si proietterà nelle generazioni future sia come gene mentale che nella sfera educativa della prole. Questa primordiale rivalità determina i divieti, le proibizioni, le primordiali barriere sessuali e mentali che il piccolo si porterà dietro in età adulta. Con lo sviluppo questi stimoli e confronti svaniscono, distaccandosi dalla sfera famigliare per estendersi con il confronto esterno, in cui si sviluppano complessi di inferiorità oppure eccessi di virilità, strettamente correlati all'assumere inconsciamente l'autorità sessuale del padre. Con la pubertà gli impulsi sessuali si ripresentano e la sfera del padre assume una figura secondaria, che perde di prestigio ed imponenza sessuale iniziando a riversare la propria libido negli insegnanti, successivamente in figure parentali (zii, cugini) cercando di equilibrarsi durante l'adolescenza nei simili di sesso opposto, che richiameranno la sfera inconscia materna nel maschio. 134


L'età adolescenziale è il transito decisivo in cui il ragazzo forma la propria identità sessuale, continuando a proiettare il padre seppur in forma più remota e a stabilire una virilità che vada oltre il proprio genitale, che diviene componente importante ma non essenziale per sentirsi adeguato. Se questa fase è accompagnata da stimoli ambientali rassicuranti, costruttivi, il maschio diverrà virile nella propria autostima e non prettamente nella sua prestazione sessuale; viceversa attribuirà al proprio fallo un'importanza eccessiva, da cui far dipendere il proprio prestigio maschile. Per quanto concerne l'evolutivo distacco dell'Edipo, si possono verificare differenti reazioni che segnano in modo radicale l'aspetto comportamentale dell'adulto e l'insorgere di proiezioni mentali disturbate. Il non superamento della rivalità paterna o materna, diviene scontroso confronto o senso di impotenza quasi autolesionista, che si riflettono nel sesso opposto del maschio adulto. L'ambiente di riflesso è quello che causa le principali nevrosi e sindromi psicopatologiche, poiché influisce sulle inibizioni e le altera, si trasforma in coscienza ragionata o confusa.

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Edipo: un giovane che prende coscienza del suo corpo e dei suoi desideri piÚ intimi. Sullo sfondo c'è un triangolo bianco con la punta riversa verso il basso. E' un'estrema esemplificazione dell'utero materno, punto dove vertono i desideri sessuali del giovane verso la madre.

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IL COMPLESSO DI ELETTRA Sigmund Freud propone due tipi di femminilità: a. la madre, proiettata nella figura masochista, oblativa, realizzata nel suo oggetto e nella sua funzione, rappresentante il tipo "attivo"; b. l'amante, figura narcisistica, autoerotica, incapace d'amare ma pretende solo d'essere amata, definita il tipo femminile più duro, autentico e "passivo". La contrapposizione fra attività e passività determina i due poli, maschile (primo caso), femminile (secondo caso), che generano due personalità contrastanti creandone squilibrio ed incoerenza affettiva, passando da una sfera all'altra nella fase della frustrazione. Fu Carl Gustav Jung (1875 +1961) a trattare il Complesso di Elettra. La situazione vissuta dalle bambine è più complessa rispetto a quella dei maschi. Come per questi ultimi anche le femmine idealizzano la madre come primo oggetto d'amore nella libido infantile, cambiandone proiezione nello sviluppo. Elettra è costretta a giacere con un uomo che sostituisce la figura paterna e viene scacciata dalla madre omicida che ne rifiuta ogni legame per dedicarsi all' amante. Il suo odio non nasce dalla rivalità, secondo Jung bensì dal narcisismo che matura in se stessa per vendicare il rifiuto materno. Nella mitologia sofocliana Elettra istiga il fratello Oreste ad assassinare i due carnefici; ciò rivela che anche le bambine attraversano una fase d'odio per il genitore dello stesso sesso ed un'altra d'amore unito al desiderio sessuale per quello di sesso opposto, che determinerà la sua eterosessualità. Quando la bambina scopre le differenze tra i due sessi, sviluppa una istintiva predilezione ed invidia per il pene, iniziando ad odiare la madre rivale, ritenendola colpevole per la mancanza del genitale maschile. A differenza del maschio edipico, per cui la castrazione è un riflesso socio emotivo più angosciante poiché allontana la figura materna come desiderio sessuale, nella femmina è meno incisivo, in quanto il padre possiede ciò che a lei è stato negato genitalmente, proiettandolo nel soggetto sessuale a cui poter accedere e facilmente se-

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durre. Ecco perché nella donna si sviluppa secondo Freud, un "super Io" più debole. L'attrazione per il padre influisce sulle scelte relazionali del partner in età adulta, perché ogni donna a prescindere dai rapporti traumatici con la figura paterna, riflette quest'ultima nell'inconscio al fine di sentirsi protetta ed amata con il possesso, la gelosia e l'autorità. Se questa attrazione permane come sfera di confronto inconscio, si supera la fase di sottomissione ad esso e di dipendenza; al contrario, se permane la "fissazione" subentra la patologia affettiva, tipica della donna che non si sente sufficientemente amata, non trovando l'uomo che realmente la appaghi e la comprenda, agendo con insoddisfazione nei rapporti affettivi; ciò avviene per riflesso inconscio della figura paterna, che si ricercherà nel partner adulto. Correlata a questa sfera patologica si inserisce la "dipendenza", cioè il continuo bisogno di aiuto, di protezione che la bambina ricerca nel padre, divenendo in età adulta necessità di dipendere da qualcuno, rendersene succube al fine di non essere abbandonata, trovare un compagno per sentirsi accudita in quanto incapace di stare da sola ed affrontare le avversità socio vitali come "persona autonoma". La figura "protettiva" che la femmina ricerca, si proietta in due tipologie maschili: maschio dominante oppure maschio remissivo; nel primo caso si ricerca una figura maschile egemonica ed autoritaria, perciò capace di infondere sicurezza attraverso il possesso, mentre nel secondo caso, la scelta protende al maschio caratterialmente debole, succube, su cui rivendicare l'egemonia del padre e sovente anche quella della madre, qualora entrambi i genitori siano stati autoritari e proibitivi. Nella psicoanalisi i due complessi descritti (Edipo Elettra) interagiscono, poiché anche nello sviluppo della prima infanzia maschile possono presentarsi dei riflessi antagonisti od affettivi di quella femminile. Sta di fatto che entrambi i componenti vantano un ausilio radicale per l'analisi introspettiva dell'individuo, nelle fasi più avanzate del suo percorso di sviluppo.

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Elettra: una ragazza che accarrezza il membro maschile come se fosse l'amore che ha sempre desiderato, esaltando la figura del padre in quanto amante dapprima dominante ed in seguito da lei dominato.

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LA SESSUALITÀ NELLA FRUSTRAZIONE Il Tradimento Sorvolando sulle patologie di carattere maniacale distruttivo, sfocianti in raptus sessuali incontrollati e prettamente di vasta competenza psichiatrico cognitiva, tratterò una breve parentesi sulla tipologia comunemente detta "tradimento". Con questa denominazione nel campo sessuale emotivo, ci si riferisce al vero e proprio atto fisico con un partner differente da quello regolare. Spesso mi sono trovata di fronte a soggetti totalmente incapaci di reagire emotivamente alla terapia musicale, a seguito di un tradimento subìto, dimostrandosi addirittura più passivi di altri soggetti depressi o schizofrenici. Il mio percorso musicoterapeutico si è rivelato spesso inutile a regredire i loro stati d'ansia ed il rifiuto di abbandonarsi alla sfera emotiva, dovendo spesso interrompere le sedute, in quanto i soggetti erano così "distaccati" da non interagire col mondo sonoro, né emotivamente né gestualmente. Il contesto affettivo genitoriale, qualora non sia stato positivo o affettivamente realizzato nell'infanzia, può segnare un trauma meno incisivo nella sfera emotiva di un adulto, che assimilerà lo stato aggressivo verso se stesso ma lo valuterà anche in base al rapporto infelice con il genitore, provando meno sensi di colpa. Nell'ambito della scelta di un partner, invece, si mette volontariamente in gioco la propria fiducia e la volontà di appagarlo, di comprenderlo, di amarlo. Seguendo la sfera educativa e manifesta dell'ambiente in cui si cresce, l'indole infedele può trovare origine dai cattivi esempi o da un genitore che ha segnato con le sue infedeltà il clima famigliare, intese non prettamente come tradimento verso il consorte bensì come mancanza verso il figlio, trascuratezze ed umiliazioni. Il tradimento ripetuto o “seriale”, consente a chi tradisce di verificare la propria "efficienza sessuale"; oltreciò, avere relazioni simultanee con diversi partner, lo rassicura sulla propria "virilità" maschile o “seduzione” femminile. Il più delle volte si tratta di persone insicure alla ricerca continua di conferme sulle proprie capacità, ed anche se a volte subentra un senso di noia, di saturazione, il traditore seriale ha bisogno di continuare il suo cliché. Gli uomini identificano la moglie come la figura materna, mentre l'amante diviene l'oggetto del desiderio introizzato nelle prime libi142


do infantili; nel primo caso creano la famiglia ufficiale che li ha fatti sentire protetti nell'infanzia, nel secondo, invece, ritrovano la "seconda casa", quella clandestina, la figura trasgressiva con cui evadere e compensando ciò che manca dall'altra parte, ove regna una apparente etica morale e famigliare. Si reputano dei buoni mariti, perché provvedono alla moglie, non le fanno mancare niente e non la lascerebbero, anzi, spesso amano molto la propria compagna ma sono inconsciamente spaventati dall'intensità del legame; il tradimento consente loro una distanza di sicurezza per non rendersi del tutto dipendenti da quel rapporto, al punto da metterlo a rischio. L'indole sia maschile che femminile, può condurre a ricercare quel mordente che viene a mancare nella coppia dopo lunghi periodi assieme, perciò in certe situazioni si sceglie il tacito consenso rilegato al “sapere ma non vedere”, tradendosi a vicenda, oppure divenendo complici. Nello sfogo del maschio frustrato, si rendono vive le più nascoste fantasie che, trovandosi di fronte alla stessa partner raffigurante oltre la moglie anche la madre dei propri figli, ne identifica la figura dell'Edipo in un unico soggetto, rivendicando le oppressioni infantili. Perciò, si ricollega il “comune denominatore ambivalente”, che induce ad amarla così come ad odiarla o tradirla. Rientrando nel canale più tradizionale ed emotivamente più comune, il tradimento è un evento sconvolgente, minaccia la fiducia reciproca, è un venir meno alla privacy della fusione di coppia. Chi viene tradito rimprovera all'altro di muoversi da solo, trasgredendo l'unione, pilotandola verso il proprio egocentrico sfogo sessuale, oltreciò rilegandolo alla menzogna e all'inganno. “Un tradimento non è un atto accidentale, come può divenirlo una distrazione, bruciarsi un dito o inciampare. Ma non è un atto cognitivamente incontrollato "cadere dentro una vagina". Molti attribuiscono questa frase veritiera ad un saggio anonimo ma fu anticipata dal celebre scrittore francese Gustave Flaubert in una delle sue lettere adolescenziali. Talvolta mi diverte ascoltare le argomentazioni in merito, espresse da ambo i sessi; ricordo una scusante ricorrente, che emerse durante un mio seminario sulla sessuologia emotiva: "Può essere solo di passaggio, una momentanea caduta.. il problema eventuale è la ricaduta nello stesso luogo". 143


La versione cambiò quando invertii ipoteticamente i ruoli; molti dei presenti dichiaravano consciamente di accettare il tradimento anche in modo passivo, cioè subendolo oltre che metterlo in pratica; però dal loro dialogo emergevano le mentalità maschiliste e soprattutto il possesso, inteso nelle sfumature di moderata gelosia, distacco per non coinvolgersi. Una marea di scusanti che non trovavano radice. Posso concludere dicendo che non esiste il tradimento nello schema mentale del "rispetto". Se ci si giustifica dietro alle incoerenze dell'inconscio, potremmo anche giustificare le violenze sessuali od i raptus come "momentanei incidenti". Il fulcro è proprio in questo: "Conoscere il senso del rispetto verso chi si ama, poiché siamo liberi di scegliere” . Il partner ce lo scegliamo, per qualsiasi situazione nascosta dentro di noi, giusta o sbagliata che sia; possiamo ricercare un amore per trovare protezione oppure una provinciale sistemazione, per dipendenza affettiva, per venale interesse. Però è nella scelta vera e propria, intesa come confronto, fiducia, stima, crescita reciproche, in cui non si intercala facilmente il termine tradimento, poiché il rapporto non è vissuto quale obbligo. Molto spesso l'unione fra due individui è intesa come “unilaterale percorso comune”; accomunare due vite non significa renderle dipendenti l'una dall'altro. Il senso di dipendenza da un partner o di controllo su di esso, altro non è che carenza verso se stessi. Se prendiamo la costrizione all'interno di una coppia che induce uno dei due partner a cedere ripetutamente, per poi divenire così frustrato ed oppresso da sentire la necessità di svincolare con evasioni differenti, possiamo riflettere uno specchio alquanto comune nelle crisi affettive odierne. La veicolazione ad un unico contesto o modus operandi è indice di “induzione al peccato”, il proibizionismo acuisce la voglia di trasgredire, così come l'imposizione alimenta il diritto di imporsi a propria volta. Il senso di un vero rapporto mira alla crescita e all'equilibrio ma non necessariamente con obiettivi comuni su ogni fronte. Esiste la libertà di azione, di interazione, di socializzazione, di autonoma gestione del sé. Il timore di essere traditi dal partner vedendo come una minaccia ogni rapporto fra costui e l'altro sesso, indica debolezza e mancanza di fiducia ma sovente, diviene l'arma scatenante per anticipare un tradimento nel timore di subirlo.

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Inoltre, l'insicurezza che diviene ossessione o assoluto controllo, contribuirà a mettere dei “paletti” spingendo il partner ad agirvi contro, stimolando la sua volontà repressa di oltrepassare un confine a cui si deve adeguare forzatamente. La libertà di un rapporto è l'arma migliore per determinare il vero valore che abbiamo nella vita dell'altro, osservandolo ed analizzandolo con tranquillità, senza timore di essere raggirati o delusi; il rischio di mettersi in gioco prevede questa realtà amara, che può restare solo un'ipotesi, senza necessariamente indurla a concretizzarsi. La volontà di rinunciare ad un qualcosa per l'altro deve essere spontanea, naturale e soprattutto mai rimarcata. Se non è sufficiente alle proprie esigenze di amore o ai propri canoni di appagamento affettivo, non ha il minimo senso modellare una mente alle proprie sembianze ideologiche o morali. Il rapporto in quanto scelta non forzata od obbligata, necessita di possedere delle peculiarità inerenti alla crescita reciproca, infondendo quel senso di serenità che porta alla complicità d'unione, non alla prevaricazione sull'altro. Nel dolore si mette a dura prova la pazienza e la forza di un senti mento, così come nel quotidiano si interagisce con l'interesse verso l'altro; il tutto spontaneamente, senza forzature, senza provocazioni. Questo insegna a comprendere realmente fino a quale limite ci si possa spingere in un contesto affettivo, fino a che punto ci si possa fidare dell'altro e collaborarvi; soprattutto è il percorso ideale al fine di “imparare a farci davvero amare”. Se questa forza viene meno scatenando gelosie, ossessioni, manie di raggiro o disfattismo, impazienza ed incapacità di accompagnarsi nei momenti difficili, fuggendo o allontanandosi, può evidenziare un' incapacità di amare fatta di fantasmi, di paure riflesse. La netta differenza tra volere un “punto di riferimento affettivo” ed un “rapporto costruttivo” consiste nel proiettare un percorso ed una necessità di collaborazione con calibro diverso; nel primo si mira al contesto presente più che ai progetti futuri, mentre nel secondo si esige una maturazione comune nella coppia, che determini uno stare assieme con mente e corpo mantenendo ciascuno una propria identità. Ad oggi si tende a non fare più attenzione alla peculiare differenza interagendo con promesse ed attenzioni, che oscillano alle prime intemperie per poi svanire nel nulla. L'Osho orientale induce alla riflessione del rispetto suggerendo di: "Non toccare un sentimento se non sei in grado di ricambiarlo a ugual misura". 145


Spesso si è portati a formare una coppia per la paura della solitudine, per un bisogno di sicurezza e non perché realmente interessati all'altro. L'amore è un desiderio di concedere qualcosa di sé ma spesso si tramuta in pretesa di attenzioni, di cure dal partner senza concedere altro acuendo così la frustrazione di coppia. Questo è il tipico caso di chi ama soprattutto per colmare un vuoto, legato probabilmente a qualcosa che è mancato nel periodo infantile (protezione, rifugio, tenerezza, comprensione). Chiediamoci perché ci poniamo servili e preoccupati verso chi amiamo finché costui ci resta accanto, per poi ignorarlo nella difficoltà quando il rapporto finisce? Il limite di amore si riconduce ad un egocentrismo insano, che ci spinge a donare all'altro solo finché il sentimento gira intorno a noi stessi. Secondo Aristotele il sentimento amorevole umano è sempre egocentrico: "Poiché anche nell'altruismo ricerchiamo un appagamento personale, non definiamo l'amore come disinteressato, poiché sadico è limitare i propri sentimenti fino al limite in cui questi ci interessano, ritraendoli quando il mezzo si allontana". In poche parole, il vero amore dovrebbe andare oltre al termine di un rapporto, perché non si può smettere di amare qualcuno mancando nei suoi confronti, sebbene le due strade si separino. Viviamo un'epoca in cui i valori si sono affievoliti, anche per la mancanza di parametri da cui attingere, incitando sempre di più alla priorità materiale, alla prevaricazione del sé e delle proprie necessità sugli altri. Gli esempi sociali e politici che stiamo vivendo, lasciano trasparire totale incoerenza ed opposizione alla trasparenza morale, sviluppando una collettiva incapacità di vivere, di rischiare, di mettersi in gioco, benché l'incapacità di affrontare le delusioni, la sofferenza, siano componenti "essenziali" per crescere e maturare dentro di noi la consapevolezza; imparare dalle nostre azioni, dai nostri errori, che non devono precludere la capacità e la volontà positiva di "ricominciare". Il "voyeurismo" in quanto riflesso passivo, reprime ogni sorta di emozione, di confronti concreti con se stessi e con gli altri; si tende spesso a ritrattare i sentimenti, l'amore, il matrimonio, la fedeltà, 146


con un egoismo oltre il limite, in quanto rientra nella norma cambiare idea, ad ugual pari di una macchina oppure con l'estrema facilità del dire: << Oggi non esco più >>. I desideri inappagati, ossia quei confronti ed esperienze non vissute in precedenza ad un legame fisso, si manifestano nell'adulto con l'indipendenza, volendo provare quel proibito che non è mai stato concesso da bambini. Il senso di immaturità che si riversa nella schiera affettiva, altri non è che incapacità di impegnarsi unilateralmente, di sentirsi vincolati ad un unico contesto affettivo, nel timore di restarne delusi. Scappatella o tradimento si equivalgono. Se una scappatella investe la coppia, far finta di niente e imporsi di chiudere un occhio soffocando la propria natura istintiva, rischia solo di danneggiare ancora di più la relazione, trasformandola in una logorante sofferenza. Se una persona crede di aver perdonato la scappatella del partner e poi comincia a investigare su di lui, controllando tutte le sue azioni, i suoi spostamenti ed ogni aspetto della sua vita col timore di trovare qualche indizio, significa che il perdono è solo apparente, che il tradimento non è stato "accettato" e che non è stato possibile voltar pagina: chi è stato tradito continua a non voler leggere la realtà di coppia, poiché un sentimento ferito acuisce l'autodifesa naturale e l'inaccettablità. Da docente, ripeto sempre ai miei alunni di vivere concretamente ed imparare a sbagliare partendo dal proprio vissuto, non da quello degli altri; di interagire con il massimo rispetto per se stessi in proporzione a quanto concesso al prossimo, imponendo i propri valori. È importante non attingere da quegli stereotipi aggressivi, superficiali che la nostra società ci propina ogni giorno, per esempio mettendo al primo posto gli scandali privati dei personaggi televisivi, anziché alimentare e sensibilizzare gli animi con argomenti più incisivi, che inducano a riflettere sulla coerenza e correttezza umana. Il tradimento non implica solo la vita di coppia ma coinvolge l'amicizia fra adulti ed adolescenti, svelando incongruenze che feriscono e reprimono i sentimenti. Il vissuto di ogni bambino e ragazzo, è seriamente compromesso dal tradimento della fiducia concessa al miglior amico, così come alla persona amata. Il dna umano non prevede alcun tipo di tradimento genetico, se non correlato alla banale scusante umana di giustificare l'atto stesso quale derivante dai cromosomi xy. I sentimenti restano sacri, sempre e comunque. 147


SESSUALITA' REPRESSA Il Masochismo autolesionismo psicologico Il masochismo morale è un comportamento psicologico la cui causa emotiva è il senso di colpa non necessariamente esistente ma ricreato; questo, unito al panico, al senso di impotenza che i masochisti provano, alla totale abnegazione di sè, li spinge a ricercare la situazione di sofferenza pari ad una crisi di astinenza. I comportamenti di alcune persone e soprattutto nella sfera sentimentale di alcune donne, sembrano chiaramente autolesionisti, inutilmente portati alla sofferenza, oltre ogni ragionevolezza, all’umiliazione e al disprezzo da parte del partner. Questi comportamenti e atteggiamenti non sono ovviamente tutti della stessa entità; oscillano da sporadici tratti relazionali di sottomissione a veri e propri ‘stili’ comportamentali, in cui la persona sembra ricercare nel rapporto amoroso tutto ciò’ che la fa soffrire. Il termine venne inizialmente usato da Sigmund Freud nel 1905, nei "Tre saggi sulla teoria sessuale", per indicare alcune deviazioni sessuali, tra cui anche il feticismo, correlato all'incapacità infantile di vedere la madre come un'unica entità, frazionandone le varie parti del suo corpo e fissandosi su queste, per poi trasferirle anche ad oggetti esterni. S. Freud afferma che il soggetto masochista cerca e non solo accetta la sofferenza fisica e psicologica, come mezzo per ottenere il piacere. Successivamente, la sua analisi si dirige sulle fantasie inconsce, le quali precedono la sottomissione (1919,“Un bambino viene picchiato”), scoprendo che si tratta spesso di fantasie legate al desiderio edipico nella bambina, che vuole essere amata e sottomessa al padre rendendosi a lui succube, al fine di essere accettata e di non deluderlo, creando così’ le basi della personalità adulta del masochista nei confronti delle figure maschili (riflessi paterni) o che rivestano la stessa autorità caratteriale. Nella sfera affettiva adulta, questi soggetti vorrebbero trovare un partner adeguato a cui non sottomettersi e con cui vivere serenamente ma non ci riescono. La contraddizione tra il conscio ed inconscio, che induce l'individuo a volere coscientemente un qualcosa mentre nella sfera inconscia lo allontana fallendone l'esito, induce i

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masochisti a ricercare proprio quel tipo di esperienze o di persone da cui dipendere o per cui soffrire. Talvolta si presenta un masochismo di tipo affettivo controllato, generato dal bisogno di poter gestire la situazione emotiva dell'altro, per servirsene ai fini propri dipendendo da esso ma nel contempo rendendolo dipendente. Nel processo inconscio è un richiamo all'attenzione che la madre non ha avuto verso il figlio obbligandolo a creare in lei quelle premure non donate con spontaneità, rendendola succube con i sensi di colpa, fingendosi vittima per dimostrarle la sua incapacità di svolgere tale ruolo. Il soggetto masochista non si rivela necessariamente nel profilo quotidiano, in quanto si identifica spesso in persone influenti, acculturate e con un'ottima posizione sociale da cui gestiscono funzioni di leader. Il contesto di masochismo in senso bivalente diviene necessario; nel rapporto di coppia la scelta verge su un partner meno acculturato ed emancipato, fermo restando che il limite di scelta è vario; la mancanza di autostima diviene prevaricazione nel contesto privato e sociale con colui o colei che rappresentano il compagno di vita, mentre la sottomissione è subita esclusivamente da figure esterne e dominanti in quanto ruolo e natura. La madre autoritaria che punisce al di fuori della famiglia è in tal modo capovolta nella moglie o nel marito, succubi e facilmente gestibili in quanto non prevaricatori. La Musicoterapia rivela nel bambino specie nelle femmine, la predisposizione a sottomettersi alle proposte sonore dei compagni; sono poco propositive e temono di esporre un parere o un'azione che non sia accolta dai compagni maschi; cercano di soddisfare le volontà degli altri coetanei anziché mediare con le proprie idee sonore o con la guida del musicoterapeuta. Anche nella sfera gestuale subiscono spintoni e non reagiscono agli impulsi ritmici più incisivi, non per una difficoltà ricettiva del ritmo bensì perchè lo subiscono passivamente. Nella sfera adulta, il lavoro sonoro funge da ammortizzatore per gli stati di panico, ansia, nervosismo, tipici dei soggetti sia depressi che mentalmente masochisti. Questo resta comunque un palliativo da associare ad altre soluzioni psicoanalitiche.

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Il Feticismo Il termine feticismo deriva dal portoghese " fetico " significa “artificiale", indica una pratica religiosa che consiste nell'adorare un oggetto di culto. In sessuologia esso si identifica nelle persone che provano un desiderio sessuale per un oggetto, una parte del corpo o una situazione particolare. In alcuni casi la presenza di questo oggetto proiettando con il culto, è necessario per non dire essenziale all'eccitazione e al piacere sessuale. Considerato fino a qualche tempo fa una perversione malsana e da condannare; al giorno d'oggi il feticismo sta entrando nelle abitudini sessuali ed è molto diffuso. Oggetto del feticismo può essere tutto quello che appartiene alla persona desiderata, dalle stoffe ed i materiali come il cuoio, il lattice o il pizzo, i piedi, il seno, gambe e glutei, colore dei capelli, occhiali, fino alla sfera più legata all'aspetto emotivo materno e compassionevole, come le donne incinta, le persone obese, handicappate e addirittura anziane. Non essendo più riconosciuta come perversione, anche se nella sfera dell'ignoranza e del pregiudizio permane questa immagine, il feticista è assolutamente fra i meno depravati nella sfera sessuale, tant'è che persino Gabriele D'Annunzio ne esaltava i piaceri tramutandoli in versi poetici, oppure Il regista americano Quentin Tarantino, appassionato dei piedi femminili richiese alle attrici che volevano partecipare al nuovo film "A prova di morte" di presentarsi al casting con le infradito. Nei Tre saggi sulla teoria sessuale Sigmund Freud afferma che: "Un certo grado di feticismo è di regola proprio dell'amore normale, in special modo in quegli stadi di innamoramento nei quali la meta sessuale normale appare irraggiungibile, oppure sembra negato il suo adempimento. Il caso patologico subentra solo quando il desiderio del feticcio si fissa al di là di questa condizione e si sostituisce alla meta normale". In questo ambito, non tratterò dell'argomento in veste di musicoterapeuta ma prettamente in linea psicologica, avendo nel corso degli anni collaborato con validi psicoterapeuti. La massa media feticista si identifica con soggetti di elevata cultura, fascia lavorativa e sociale medio alta, con famiglia e prole, di natura eterosessuale, omosessuale o bisessuale. La terapia seguita da uno specialista ha lo scopo di "contenere" gli impulsi deviati affinché 150


non degenerino ma, la piena consapevolezza dei soggetti feticisti è ragionata quanto "liberatoria"; spesso si manifesta in giovane età e viene repressa fino all'età avanzata, oppure si esprime intorno ai vent'anni. Come possibile causa alla base di questo comportamento, vi può essere l'incapacità nella prima infanzia di percepire l'entità mterna come un'unità corporale: la madre rimane impressa come una serie d'impressioni separate l'una dall'altra; un seno che nutre, un capezzolo che si afferra con le labbra, una voce che consola, mani che dispensano carezze, una bocca che bacia, dei capelli che fanno il solletico, piedi curati che risvegliano i primi impulsi sessuali, indumenti particolari, ciabatte che sculacciano e così via. In questo modo l'adulto comporrà poi l'immagine del partner ideale e lo ricercherà come eccitazione nella sfera sessuale ed affettiva. Nei soggetti feticisti, la manifestazione erotica può soddisfarsi all'esterno (alloerotica) o all'interno (autoerotica), in modo passivo, cioè subendola da altri, in modo attivo usando da sé l'oggetto del desiderio, oppure nella modalità prettamente contemplativa, in cui si limita ad osservare la figura identificata con le sue fantasie o la serie di figure, traendone piacere. Ad oggi si tende a travisare il vero Fetish con il Bdsm, secondo la tradizione nordica; il vero feticista è colui che interagisce con una particolare estremità del corpo, ausiliato dagli indumenti quali calze di nylon, ciabatte, scarpe, prediligendo gli odori più o meno intensi, eccitandosi al contatto con gli stessi e limitandosi all'esaltazione di questo petting. Non rientra nella sfera feticista il sadomaso, intesa come pratica violenta e prevaricante ogni forma di cultura dominatrice.

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Proiezioni feticiste Nei Tre saggi sulla teoria sessuale Freud afferma che "un certo grado di feticismo è una costante proprio dell'amore cosiddetto normale, in special modo in quegli stadi di innamoramento nei quali la meta sessuale normale appare irraggiungibile, oppure viene negata. Il caso patologico subentra solo quando il desiderio del feticcio correlato alla meta ambita, si fissa al di là di questa condizione sostituendosi alla persona fisica e diventa unico oggetto sessuale. Proverò a descrivere il passaggio ad un feticismo patologico attraverso i seguenti stadi; 1. l'uomo vuole vedere inizialmente la moglie con una determinata biancheria intima o con un particolare tessuto, come ad esempio il latex, che la identifica nella figura dell'amante e della madre egemonica. 2. gli indumenti saranno l'unica valvola di eccitazione;

3. l'orgasmo subentrerà al solo guardare, toccare o indossare lui stesso gli indumenti femminili; 4. l'ossessione diviene maniacale, al punto che il piacere dipende solo dallo stimolo e non dall'atto di possesso. Quanto più è maniacale l'ossessione sessuale, tanto minore è il soddisfacimento ma se ciò avviene al contrario la patologia maniacale diviene eccessiva oltrepassando le sfere del limite. Tra le differenti tipologie di maniacalità feticista, si riscontrano spesso alcune costanti:

 Pigmalionismo : feticismo rivolto alle statue  Eritrofilia : attrazione sessuale per le persone che arrossiscono  Tricofilia : eccitazione sessuale provocata dai peli.  Brontofilia : essere eccitati dai temporali.  Agalmatofilia: essere attratti dai manichini nudi

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 Siderodromofilia: essere eccitati dai treni sino a trarne eccitazione sessuale.

 Dannunziana: desunta dalle molteplici perversioni e fellatio sessuali attribuite al celebre poeta Gabriele D'annunzio, correla l'adulto all'infantile contatto e adorazione delle proprie feci, che il bimbo dona alla madre come segno di gratificazione ed orgoglio. Perciò il fetish dannunziano si estende all'estremo dell'espletazione femminile capovolgendo il ruolo, cioè proiettando il bimbo ormai adulto al di sotto del controllo materno, come premio o punizione. Si concretizza con lo scat (feci) e pissing (urina), che vengono odorate ed ingerite. Le patologie maniacali riferite al feticismo possono solo contenersi con la psicoterapia, inibendo gli impulsi sessuali sfrenati ed operando sulla sfera emotiva del soggetto. Molti pazienti, nonostante seguano scrupolosamente le sedute dal proprio psicoterapeuta devono necessariamente sfogare il proprio impulso feticista ricorrendo a vere e proprie donne esperte del settore. Il feticista del piede, ad esempio, se non riuscirà ad esaudire questa necessità sessuale con la propria partner chiederà l'ausilio di una padrona o “mistress fetish”, che lo soddisferà dominando non solo la sua perversione bensì gli proporrà una serie di varianti, che lo indurranno alla vera e propria adorazione delle estremità femminili interagendo con altri componenti annessi quali le scarpe, i tacchi, le calze; oltre ciò, costei lo umilierà rendendolo succube delle sue volontà proprio attraverso i suoi piedi. Il fetish non è necessariamente correlato al bondage o alla fustigazione, al travestimento o al clinical. Ogni feticista ha una sua particolare dedizione ed attrazione verso alcune delle pratiche svolte da una “mistress” e ad oggi è divenuto un vero e proprio business che si estende oltremisura. Molte escort praticano il sadomaso improvvisandosi padrone e rovinando la vera etica di questo ruolo, creando delle lesioni gravi ai genitali maschili e femminili. La vera mistress ha una competenza ben precisa acquisita attraverso pratiche assistite da medici competenti, per l'utilizzo di determinati oggetti quali speculum, dilatatori anali e vaginali, aghi o cateteri e non interagisce con il rapporto sessuale vero e proprio; sovente nemmeno concede al feticista, che assume il ruolo di “schiavo o slave”, di toccarla. Si creano delle vere e proprie location attrezzate con l'arreda153


mento più disparato quale: croci in legno, gabbie, sedie chiodate, fruste e così via attuando le sessioni per lucro o per pura passione. Il senso della “dominatrice” definita anche “dea” trova origine dall'ambiente tedesco e cecoslovacco; vicino a Praga sono segnalati alcuni castelli in cui si praticano sessioni feticiste estremiste, gestite da vere e proprie figure competenti. Nella cultura nordica il feticismo si correla con il Bdsm (Bondage, Sadomaso); è una componente alquanto diffusa all'interno delle coppie moderne dei paesi nel nord Europa, in cui allo stato brado è la donna-moglie che funge da dominatrice. Il tutto è svolto con arte e competenza, dal bondage all'abbigliamento in latex, dagli accessori fino alle torture di ogni sorta. Talvolta sono anche concesse delle vere e proprie collaborazioni tra psichiatra e mistress, mirate al contenimento sessuale del paziente feticista. La dominazione è prettamente psicologica; si guida con la mente lo schiavo alle proprie volontà, con insulti ed umiliazioni ripetute, fustigazioni, sputi, calpestamento a piedi nudi o con tacchi, che divengono una richiesta esplicita del sottomesso, a cui la “dea” pone il suo dominio e disprezzo. Quando l'estremo diviene soglia del dolore o della violenza fisica, subentra la patologia sadomaso estrema, davvero rischiosa ed assolutamente da contenere. Si crea una vera e propria dipendenza mentale con la figura divina, così idolizzata dal soggetto sottomesso che ne riflette la madre e la donna perfetta; la versione femminile vede nel master l'educatore od il padre punitore. La necessità per alcuni individui di sentirsi sottomessi ed umiliati, acuisce il legame materno e paterno accentuandone le frustrazioni infantili subite, ripercorrendole con la mente da adulto. “Deviazione” e non perversione, ritengo sia il termine più giusto, poiché il riflesso sessuale non è così “oltre misura” quanto piuttosto proiettato su un componente fisico specifico; diviene eccessivo definirlo depravato bensì limitato e circoscritto per alcuni aspetti, quanto estremo per altri.

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Feticismo: l'ossessione per i piedi, latex, tacchi e dominatrici. La scelta del colore piatto è per concentrare maggiormente l'attenzione sul dominio, il rosso è il simbolo della sensualità ; la donna Dea, che esercita il dominio focoso sul suo schiavo.

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L'OMOSESSUALITA' Rientra nella sfera delle nevrosi e trova origine da un ambiente predisponente, da una madre autoritaria che lascia poco spazio al padre nella sfera educativa e famigliare del figlio; la figura paterna risulta sottomessa, passiva, svalorizzata e sovente umiliata di fronte ai figli. Quando si riscontra questa inversione dei ruoli, il distacco della madre diviene più difficile ed impedisce il graduale distacco dal figlio che gli permette di crescere. Sovente, questo attaccamento morboso materno impedisce l'avvicinamento della figura paterna, delimitandone non solo la virilità sessuale ma blocca il processo di separazione tra i due sessi da parte del figlio. Avviene così lo squilibrio naturale della proiezione freudiana, che nella sessualità e nella libido infantile è basilare per le proiezioni istintive, in quanto generano poi nell'adulto l'attrazione per il sesso opposto. Una disarmonia tra la madre ed il padre alimenta ansie e paure molto intense, che generano nell'adolescenza la necessità di ritrovarsi sessualmente attratti verso lo stesso sesso, al fine di evitare i dissapori traumatici genitoriali vissuti durante l'infanzia, non riuscendo a proiettare una buona unione fra due sessi opposti. Talvolta i figli di una coppia separata, in cui la figura paterna permane marginale o sottomessa, associano da adulti la bisessualità mantenendo attive le due componenti sessuali, proiettandole nel medesimo sesso. L'omosessualità che si sviluppa intorno ai quattordici o quindici anni, può ritenersi un passaggio transitorio, poiché si ricerca ancora una vera e propria identità sessuale; dunque il sesso è vissuto come gioco, esplorazione, curiosità condivisa con il sesso simile e non opposto, in quanto più rassicurante e meno invasivo. In realtà, la causale genetica non è contemplata nell'inclinazione attrattiva verso lo stesso sesso, come invece lo sono gli stimoli ambientali sia famigliari che scolastici o sociali. Considerando il periodo adolescenziale in cui questa univalenza è in fase sperimentale, se il ragazzo affronta rapporti sessuali con adulti del medesimo sesso, può scattare una violenza psicologica a cui resterà succube per tutta la vita incidendo sul suo istinto erotico e psicologico. Per la sfera femminile, invece, il rapportarsi con il medesimo sesso non subisce violenze così profonde come nel maschio; spesso la ricerca del

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rapporto sessuale con il medesimo sesso femminile scaturisce da una ricerca di curiosità, da un gioco monovalente, oppure da forti delusioni subite dalla sfera maschile, che inibiscono il desiderio etero per veicolare le emozioni tra amiche molto legate, al fine di sentirsi maggiormente comprese nell'intimità e nelle emozioni più nascoste. Nell'ambito psicoanalitico la correlazione della femmina al desiderio paterno diviene meno frustrante, perché è il maschio a subire la “castrazione mentale” rinunciando alla madre. Dunque non si stabilirà facilmente un rapporto tra due donne, in cui una non si presenti più mascolina, attivamente dominatrice e rappresentante il maschio. La definizione attuale non differenzia più l'omosessualità prettamente maschile bensì ne identifica entrambe le sfere, proprio per la presenza in ambedue i contesti dell'equilibrio uomo e donna seppur trasfigurato. Nella coppia gay ci sarà l'attivo ed il passivo e non necessariamente il primo avrà il ruolo dominante nella coppia; mentre in quella lesbo le proiezioni della femmina e del maschio sono più legate alla sfera sessuale che non mentale. Le ricerche scientifiche sui cromosomi x ed y risultano ad oggi ancora incerte, dunque non è stabilita la disfunzionalità genetica alla base di questa sessualità alterata; di certo si fa più affidamento sulle proiezioni infantili tra rapporto genitoriale e figli per interagire con un blocco e rifiuto verso il sesso opposto. Anche la bisessualità trova un profondo significato nella crescita dell'infante così come può ritenersi un momento transitorio, quale curiosità oltre l'estremo. Il vivere la bisessualità all'interno della coppia, ad esempio, può significare l'esigenza di apportare dei cambiamenti alla routine attraverso la trasgressione complice ed estrema, così come il bisogno di un cambiamento radicale tra i due partner. Lo stesso desiderio del trasgredire attraverso scelte sessuali inappropriate, può essere un sintomo di disagio relazionale. Tuttavia la bisessualità è più facile da accettare che non l'omosessualità, poiché nella prima espressione erotica l'individuo si manifesta in ambo le parti, potendo costruire da un lato la famiglia modello tradizionale e dall'altro soddisfare il suo lato più nascosto. Ad oggi, secondo i più recenti studi psicosessuali, si è rilevato un notevole incremento dei bisex e del transgender (uomo operato parzialmente o totalmente), così come si è acuita la coppia aperta, in quanto relazione trasgressiva condivisa sessualmente dai partner.

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SESSUALITA' PASSIVA Voyeurismo sesso passivo Sorvolando sulla sfera porno web, che aldilà di ogni argomento etico, sociale o psicoanalitico, resta uno sfogo fisico mentale a cui dover porre strette limitazioni e severi controlli nei social network, voglio dedicare una breve attenzione alla sessualità virtuale su richiesta di molti adulti, genitori e adolescenti, alla ricerca di un ausilio o di una mia opinione in merito a certe esperienze negative vissute da loro in chat. Consideriamo che ad oggi il mondo virtuale ha preso il sopravvento in modo smisurato, rendendo vittime del "voyeurismo" la massa sia giovane che adulta, alimentando sempre di più le insicurezze nei contatti sociali diretti, negli incontri faccia a faccia e nel mettersi in gioco con il rischio di restare delusi, nonché di reprimere le proprie emozioni per poi proiettarle su una sfera visiva e prettamente mentale, psico - erotica in questo caso. Si parla di voyerismo, cuckold e bull ponendoli sullo stesso piano ma spiegherò brevemente la differenza. Il voyeurismo è l'arte dello spiare eccitandosi e non sempre collima con l'impotenza sessuale maschile ma, trova origine in un riflesso materno che il maschio incanala in partner femminili diverse, che si accoppiano con altri uomini divenendo solo oggetto di desiderio tra più rivali, in cui l'osservatore resta passivo subendo l'intera azione con l'eccitazione mentale. Non necessariamente si spia la propria compagna ma può accadere anche questo. Normalmente il voyeur si nasconde ma oggi nella sfera delle coppie "aperte", ossia quelle unioni che ricercano una trasgressione comune in piena complicità sessuale, egli ama essere presente rappresentando il nostro più comune "guardone". In tutto questo non rientra la figura del "cuckold", il cui vero gioco sessuale nasce in complicità con la propria moglie o compagna. L'amante viene scelto dalla moglie che tradisce il marito in piena libertà decidendo con chi e come tradirlo, in sua presenza o separatamente, facendolo partecipare attivamente al rapporto oppure facendoglielo subire. Per fare qualche esempio, il marito potrebbe essere assente seppur consapevole, seguire il rapporto a distanza attraverso il telefono,

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vedendone i video o le foto, oppure restando all'oscuro ed immaginando ogni fantasia erotica eseguita dalla propria partner.Il vero cuckoldismo nasce come gioco di coppia, in cui l'amante entra solo attraverso i racconti che la moglie riporta al marito ma di fatto, amante e marito non si incontrano mai. Ad oggi si è modernizzato anche il maschio cuck divenendo presente, non sempre o quasi mai partecipe; nel caso contrario si intendono i giochi a tre oppure le "gang bang", con ruoli di moglie appagata da più uomini. Naturalmente è la coppia che sceglie di praticare il cuckoldismo ma alla donna sta la scelta di tutto. Il "bull" invece, è un ruolo maschile che assume una figura portante nell'evasione di coppia; è colui definibile "il toro da monta" ossia in grado di mantenere un rapporto sessuale attivo e costante a lungo. Per molti guardoni essere in presenza del bull e della propria compagna è un'esperienza masochista quanto eccitante, in cui riflettono la figura materna infantile negata sessualmente, oppure la madre egemonica o l'amica coetanea materna, la zia o anche l'insegnante su cui hanno proiettato le prime fantasie sessuali, che vengono dominate, assecondate oppure "possedute" e punite da un sostituto sessuale migliore di loro, nel quale si immedesimano. Accanto al “Voyerismo sessuale” consideriamo il “Voyerismo mediatico”, attraverso la proiezione dei sentimenti subiti dalla Tv o dai media, che li riducono ad una sorta d'infatuazioni fatte di apparenza, di liti infantili, di montaggi quotidiani che tutto danno tranne il vero esempio di rapporto solido e fondato. Basti pensare a come gli indici di ascolto convergano su certe trasmissioni televisive, in cui i sentimenti vengono messi all'asta attraverso personaggi impostati sull'immagine del tipo bello e fisicamente perfetto, che si innamora della “pin Up”; inscenano stralci di vita creati appositamente per l'audience, mostrando ai giovani un amore paradisiaco oppure conflittuale, fatto di schiaffi ed insulti. Il tutto studiato per farsi pubblicità, attraverso un pubblico pagato per intervenire con giudizi di ogni sorta ed “opinionisti” strapagati per fare altrettanto. Dunque un sentimento è inteso come perfezione, un'infatuazione è intesa come amore costruttivo, che poi si disperde di fronte ai primi problemi consolandosi fra le braccia di qualcun'altro. L'apparenza ed il denaro divengono le componenti basilari di un rapporto a cui il giovane dovrebbe aspirare.

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Chat Web e sessualità Molti tradimenti all'interno di una coppia si sono svelati attraverso i messaggi su internet, gli sms sul telefonino scoprendo le relazioni nascoste del partner in chat. L'invasione della privacy in una relazione, è sinonimo di insicurezza e mancanza di fiducia l'uno nell'altro, che non solo induce a compiere l'atto stesso del tradimento, quasi come una sorta di provocazione verso la sfiducia da parte del proprio partner (il quale a sua volta si rende sospetto del medesimo atto nel dubitarlo), per di più organizzandosi con indirizzi email nascosti, numeri top secret su cui farsi contattare e creandosi profili falsi nelle chat, per non rischiare di farsi scoprire. In tal modo si è anche organizzata una nuova forma di linguaggio in codice, fatto di abbreviazioni, di contenuti sintetici, che seguono determinate regole sia nella chat che nei messaggi privati del web. In chat il primo approccio avviene in prevalenza dal maschio, il quale si mostra spesso privo di inibizioni e pudore, manifestandosi apertamente con un linguaggio disinvolto, volgare e talvolta fin troppo esplicito, al fine di raggiungere un obiettivo di "baccaglio sessuale" o, simulando un tentativo amichevole, cerca di sondare sulla privacy dell'altra. Il rapporto virtuale trasferisce i bisogni che l'individuo necessita in un determinato momento, siano essi di amicizia, di sesso, di amore, di comprensione, di dialogo, di evasione. In questo senso le donne appaiono spesso più vulnerabili degli uomini, perché il loro bisogno d’amore sembra essere la molla emergente che le spinge a chattare, non necessariamente per trovare un compagno fisso o con cui evadere, quanto qualcuno che ascolti le loro delusioni amorose, le repressioni private e che le faccia sentire desiderate o comprese. Negli uomini, invece, prevale nettamente la motivazione sessuale, intesa come evasione dal rapporto di coppia o dal fatto di gestire da single, in modo più diretto e senza complicazioni, un approccio immediato con l'altro sesso, senza dover uscire di casa o sentirsi rifiutato pubblicamente. Il "bisogno di innamorarsi" porta ad immaginare, a fantasticare, a riflettere sulla comunicazione avvenuta in chat; purtroppo, chi è abile a leggere attraverso le frasi, le parole scritte, lo stato emotivo e la fragilità di un individuo, sa come raggirare la situazione a proprio

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vantaggio nascondendo le proprie realtà, creando menzogne e condizioni di verità raccontate solo a metà, rinviando l'incontro, fornendo solo informazioni marginali e, qualora ci sia l'incontro diretto, finire con una breve relazione che lascia delusi e sfiduciati. Il rischio è che le persone represse, depresse, insoddisfatte del proprio status sentimentale, stanche di sentirsi sole, si sfoghino sui sogni immaginari e le illusioni virtuali, mistificando o idealizzando una determinata persona, elaborandola in maniera migliore di come sia nella realtà, per poi scoprire in molti casi che era tutto un inganno. Per di più, quando sopraggiunge un interesse infatuato verso una persona virtuale, sopraggiungono delle delusioni quali, per esempio, attenderla per ore senza vederla collegata e quindi sospettare le cose peggiori, oppure divenire gelosi se chatta con altre amicizie, se scambia commenti o foto del tutto innocue travisandole con malizia; A questo si estende la volontà di esaudire ogni richiesta dell'altro al fine di piacergli e rendersi credibili, mostrandosi anche nudi, attuando dei veri e propri rapporti sessuali in cam, elaborando il tutto come un qualcosa di perverso ed eccitante quanto coinvolgente. Nessuna relazione può essere così perfetta come quella che si può immaginare, così come nessun rapporto sessuale può essere appagante o poco rischioso di quello vissuto con la propria mente, proiettandolo su un'immagine attraverso un monitor. Un modo per non rischiare, un mezzo per non coinvolgersi troppo, una condizione su cui proiettare le proprie fantasie più nascoste, così come appagare le proprie necessità affettive ed emotive. Non è semplice spiegare cosa macina nel cervello, quando si pone a confronto la virtualità illusoria con la sfera reale e tangibile, però è alquanto plausibile comprendere come una proiezione mentale sia evasiva, stimolante, fantasiosa, quando la realtà che ci circonda è monotona e deludente. Proverò a spiegarlo in maniera più semplice. La solitudine, la noia, la crisi di coppia, la monotonia di un rapporto, spingono uomini e donne a cercare una compagnia di sfogo, sia esso amichevole, amoroso o sessuale; non possiamo stabilire quanti ricerchino l'uno o l'altro ma, sta di fatto che il sesso on line riflette le fantasie più proibite, attraverso una voce nel microfono, un'immagine dapprima celata e poi rivelata, fotografie scattate o video ripresi nei

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momenti più intimi e poi scambiati con l'altro, alimentando desideri e passioni, che appartengono ad una forma di sessualità repressa, forse mai provata nel reale oppure superata con il partner quotidiano. Il fatto che la rende " stuzzicante" sta proprio nel fatto di proiettarsene all'interno con la fantasia, con l'esaltazione mentale, rischiando a distanza o agendo perché spinti da persone che al di là di un monitor vengono esaltate, portate quasi alla perfezione, che diviene amore platonico oppure infatuazione destinata alla delusione. Depravazione? Direi piuttosto incapacità di concretizzare, paura di interagire, di coinvolgersi, di farsi del male, oppure di trovare attraverso un corpo concreto la delusione del limite, che invece attraverso la fantasia si trasforma in idilliaca. Viviamo in un'epoca in cui si rincorre il tempo, ove le scelte quotidiane sono sempre più difficili, la sfera emotiva è sempre più banale, scontata, priva di quel pizzico di " pepe" in più, così come vige il timore dei sensi di colpa, di essere scoperti, delle malattie, che fornisce sempre di più un senso del distacco dal reale, della mente che prevarica la materia. Lo stesso Freud asseriva che per fare un buon sesso ci vuole l'immaginazione, dunque cosa poter sottolineare in questo? La necessità di trovare un compagno di giochi, un complice capace di soddisfare le nostre fantasie senza pregiudizi, senza farci sentire sporchi, potendosi permettere ciò che nel reale non ci è possibile ottenere. Io la definisco "alienazione", che oggi può manifestarsi attraverso Apple Macintosh o Microsoft, un pc o un iphone, di certo però, fa parte della natura umana divenuta così assente, così timorosa, così incapace di essere responsabile o di rischiare, così avvezza al dare tutto per scontato, sempre correlato alla "debolezza di esistere". Il mondo del web è certo uno stimolo fantasioso che non impone la conoscenza diretta, resta celato o semi scoperto, scaturendo una sorta di "vedo e non vedo" che stuzzica e rende il gioco o il sentimento riflessi in una vetrina. Sono davvero rari gli episodi in cui un incontro reale e concreto, nato in chat, sia scaturito in un sentimento costruttivo, come una famiglia, un matrimonio o una convivenza a lungo termine. Diviene sempre più usuale, invece, circoscrivere una chattata allo

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scambio prettamente sessuale, sia esso concreto che virtuale, il miglior modo per evadere direttamente dall'ufficio o da casa osservando un catalogo di persone, donne o uomini, con due parole di auto descrizione che nemmeno consideriamo. Dunque l'approccio concreto diviene la scoperta del mistero, da cui si attingono informazioni più dirette non per questo veritiere; se non si frequenta assiduamente una persona nel suo quotidiano, vivendoci assieme almeno un po' di tempo, diviene davvero difficile capire realmente il suo status vivendi, come interagisce con le sue abitudini e come soprattutto reagisce proporzionandole a noi stessi. Quante volte siamo rimasti delusi da persone che si mostravano in un determinato modo, che aldilà del monitor trasmettevano una parvenza seria, sincera, per poi scoprire nella frequentazione diretta che il loro era solo un profilo millantato, del "voler apparire e non essere"? Spesso ascolto le confidenze di amiche che si disperano per un amore in chat, convinte di conoscere realmente una determinata persona, di frequentarla attraverso una web cam, di sapere tutto o quasi del suo operato quotidiano, per poi cadere in depressione nel momento in cui vivendoci assieme anche solo una settimana, scoprono una persona totalmente diversa. Il tutto simula lo stesso procedimento della realtà passata, in cui si entra in un locale o in palestra, si incontra qualcuno di interessante, ci si lascia corteggiare ed infine si consolida un certo tipo di legame, di natura erotica o mirato ad un rapporto famigliare, a seconda di ciò che realmente si vuole. La chat propone la personalità nascosta di un individuo, nella sua bivalenza; un soggetto maschile o femminile, espone ciò che gli "conviene", nasconde le informazioni che non vuole far sapere, inserisce una privacy accurata sulle proprie foto, sul proprio status sentimentale, così come proietta se stesso attraverso un corpo nudo, seminudo, in posizioni provocanti , come a lanciare un messaggio in codice di ciò che è o ricerca. Oppure crea profili falsi al fine di non farsi riconoscere, inserendo informazioni puramente inventate e foto che non gli appartengono. L' azione più usuale è quella di "curiosare" in un profilo che appare interessante ai propri scopi. per attingere più informazioni possibili; si guardano le sue foto, poi si inizia a controllare ciò che inserisce o che

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scrive, per poi passare al dialogo in chat. Qualora il discorso sia finalizzato solo al virtuale è piuttosto facile da comprendere. Si ricercano contatti logisticamente più distanti, difficili da gestire concretamente, oppure ci si limita ad incontri sporadici a distanza eterna l'uno dall'altro, una sorta di riferimento affettivo o di evasione non compromettente; si compensa l'assenza fisica con l'incontro in audio cam, attraverso cui si riflettono non solo il dialogo ma anche le masturbazioni o le proiezioni sessuali più fantasiose, per poi regredire al primo distacco o timore di coinvolgersi troppo, se non addirittura di essere "traditi" con un'altra amicizia del medesimo sito o di uno differente. Diviene una vera e propria ossessione, molti cominciano a cercare informazioni, scartabellare profili, leggere tra le righe dei post pubblici, si creano più profili in contemporanea per richiedere l'amicizia alla stessa persona, per interagire con questa e scoprire la verità. Sebbene questa maniacalità repressa si evidenzi anche in relazioni non prettamente nate in chat, è comunque un controllo telematico che proprio il web offre. Brevi esperienze Ricordo che poco tempo fa avevo un'amica virtuale, conosciuta attraverso un famoso social network, la quale si presentava con un profilo studiato nei minimi dettagli, in cui esponeva foto reali ma poi rivelatesi non sue bensì desunte da una parente; dichiarava di lavorare presso un famoso teatro svizzero usando uno pseudonimo per non essere intercettata dal marito. La carineria di questa donna era stupefacente: mi seguiva da tempo nella mia carriera discografica, interagiva nei miei post pubblici, alimentava una grande stima nei miei riguardi. Più volte le proposi di vederci in webcam ma dissentiva sempre elaborando scusanti credibili e giustificabili. Mi chiese di scambiarci il numero di telefono per colloquiare del più e del meno; poiché era una mia fan da molto tempo, come negarglielo? Dopo mesi di dialoghi telefonici, fotografie speditemi della sua famiglia o dei suoi successi di creatrice scenografica, mi propose di accettare nelle mie amicizie una

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sua "collega", con cui mi raccontò di avere un legame fraterno. L'accontentai senza pormi troppi problemi, scambiai anche qualche email con la sua amica. Costei mi parlava sempre di un uomo di cui si era follemente innamorata ma che non aveva mai incontrato realmente; essendo lei sposata con figli, non voleva insistere su una relazione concreta per non creare scompigli famigliari, però era realmente "presa" di questa persona e si riduceva a fare tutto per lui. Notò, fra l'altro, che costui era proprio nelle mie amicizie del social network, iniziando a pormi domande insistenti in merito alla conoscenza che avessi con il sottoscritto. Si tranquillizzò quando le assicurai che rientrava nella schiera del mio fans club ma non sapevo nemmeno chi fosse realmente. L'uomo misterioso aveva un profilo celato, foto irreale e pseudonimo di un vecchio e famoso drammaturgo francese; scriveva anche poesie, perciò lo definii in modo ironico un "poeta maledetto", una brutta copia di Baudelaire. Per mesi il dialogo diretto telefonico avvenne solo con la prima amica virtuale, a cui darò il nome di Anna, mentre alla seconda (la sua collega) assegnerò Luisa. Un giorno Anna mi scrisse un messaggio firmandosi col nome di Luisa e, per rimediare al mio dubbio, mi spiegò che erano in vacanza assieme con i rispettivi mariti e figli; dunque si era trattato di un transfer confusionale del tutto banale. Luisa in quel periodo mi scrisse delle lunghe email, da cui emergeva la folle passione per il suo amante virtuale, per cui esaudiva tutte le sue fantasie erotiche più nascoste. Mi raccontò che dietro calda richiesta di costui, girò nuda per l'intera città con solo il cappotto indosso, nel mentre si eccitavano al telefono. Giunti a quel punto, le consigliai il numero di una stimata psicologa che opera nella sua regione e la sollecitai a contattarla al più presto. Pochi giorni dopo Luisa mi scrisse un lungo messaggio, spiegandomi che lei ed Anna erano la stessa persona; mi confidò anche di avere un terzo profilo, rimediati tutti e tre con l'unico scopo di "controllare" il suo amante temendo che la tradisse con un'altra. Spero sinceramente, che abbia seguito il mio consiglio. Chiudendo questa parentesi, intercalo ancora un breve episodio, dopodiché giungerò ad una conclusione.

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Mi contattò una donna, sempre sul medesimo sito, asserendo di essere la ex moglie di un funzionario comunale della provincia di Roma; dichiarò nome e cognome, entrambi da me verificati attraverso l'ausilio di un mio caro amico finanziere, abitante nel Lazio. Costei, che chiamerò Elena, mi perseguitò per mesi implorandomi di impartirle degli ordini, di farla sentire una schiava perversa, perché lei amava sentirsi dominata ed insultata. Ignorandola, la eliminai dalle amicizie. Dopo qualche giorno mi giunse una richiesta nella friendship virtuale da parte di una ragazza di diciotto anni, la quale mi chiese molto carinamente di ascoltarla. Mi raccontò di essere la figlia di Elena, di avere seri problemi con la madre ma nel contempo di esserne gelosamente rivale; mi spiegò di aver vissuto le sue prime esperienze sessuali perverse insieme a lei e con più uomini contemporaneamente. Mi chiese di parlarci in cam, perché era molto tormentata. Dopo svariate insistenze accettai di darle quest'opportunità; aveva creato una vera e propria dipendenza da me, al punto che iniziò a chiamarmi "mamma". Una volta appurata la veridicità del soggetto, volli vedere in cam anche la madre per assicurarmi che fossero reali entrambe e così avvenne. Mi raccontarono di amare la perversione tra madre e figlia, di scambiarsi frequentemente gli amanti, di combinare degli incesti con il padre ex marito, che proprio grazie alla nomea di cui godeva in paese, nessuno avrebbe mai sospettato capace di giungere a tanto. La figlia era innamoratissima del padre e mi assicurò di essere stata lei stessa a sedurlo. Intervenni con diniego e disgusto chiudendo ogni contatto. Come si dice "il marciume se è troppo esteso contagia il terreno" ed infatti, il giorno dopo mi giunse un messaggio filtrato dal padre, il quale mi spiegò che essendo candidato ad una carica ufficiale nel proprio paese, voleva chiarire un malinteso. Era una persona molto garbata, con linguaggio forbito; mi spiegò che lui aveva regolarmente rapporti con la figlia, iniziati per soddisfare le richieste di una sua ex, la quale si eccitava ad osservarli. Mi confidò che lui non era il padre naturale della ragazza, dunque non si sentiva punibile per questo; asserì che era un fermo credente nonché un assiduo praticante domenicale, ligio al buon dovere cristiano. Aveva una relazione bisessuale con un gioielliere della sua zona, un tipo molto in vista, sposato con figli e che godeva di un'ottima reputazione. Mi inviò una richiesta di colloquio in webcam per scusarsi

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personalmente di avermi importunata. Accettai di vederlo, al fine di smascherare ogni dubbio che si trattasse di una montatura perversa delle due donne, identificatesi come madre e figlia; con mia grande sorpresa, costui si presentò aldilà del monitor assieme all'amante maschile. Entrambi ammisero le proprie perversioni ma nel contempo erano a dir poco terrorizzati del fatto che, anche solo un piccolo pettegolezzo su di loro trapelasse fra gli abitanti; ciò avrebbe rovinato la propria reputazione perdendovi prestigio e credibilità. Motivazioni di tutto ciò? A questa domanda risposero: “Noia, voglia di cose nuove e poi la vita è una sola, godiamocela”. Conclusi ogni tipo di dialogo, senza indugiare oltre e comprendendo che realmente si trattava di un ceppo deviato. Conclusione Sono giunta a quarant'anni senza più stupirmi di nulla. Aldilà del fatto che io lavori nell'ambiente artistico e dello spettacolo, in cui se ne vedono di tutti i colori, di perversioni ne sentiamo parlare tutti i giorni, dagli scandali che avvengono all'interno della vita politica, religiosa, sociale. Ho conosciuto coppie felicemente sposate che nella sfera privata attuavano processi insani di sopravvivenza, trasformando un gioco perverso di coppia in una vera e propria fonte di guadagno. D'altronde, basta scorrere le infinite pagine dei social network, spesso adibite a scambi sessuali mercenari da parte di persone non professioniste ma che fanno di necessità virtù, specie in questo arduo periodo di crisi. La libertà umana è sempre stata tale, soltanto più celata nei tempi pre internet; non si dava sfogo pubblico alle condizioni private della gente, si potevano sospettare le perversioni più nascoste ma senza accertarne la veridicità. Inoltre, non c'erano neppure tutte queste condizioni di inadeguatezza, depressione, frustrazione, perché la necessità primaria era lavorare sodo al fine di guadagnare il pane badando nel contempo alla prole numerosa. E' anche vero che la donna era penalizzata in quanto considerata parte debole della coppia; però le condizioni sociali ed economiche non davano spazio al troppo pensare, nè al deprimersi per non avere più del

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necessario. Dunque perché stupirsi oggi, se aldilà d'un monitor ed attraverso le chat, le fantasie più nascoste prendono vita con estrema naturalezza, interagendo con dei perfetti sconosciuti senza provare il minimo imbarazzo o pudore? Non dimentichiamo come spesso anche i falsi agenti di spettacolo, manager fasulli usando pseudonimi di personaggi famosi, girano costantemente in rete per "adescare" giovani ragazze od artiste, con intenzioni ben differenti che realizzare con loro seri contratti professionali. Non estendiamoci poi alle truffe virtuali, per cui non basterebbe un intero dizionario nell'intento di descriverle. Eppure, quando le trasmissioni TV ce ne mostrano palesi prove, con testimonianze riprese anche da telecamere nascoste, si preferisce credere che siano dei montaggi televisivi oppure si cambia canale per non guardare una spiacevole realtà, che sebbene non sia educativa è comunque indicativa. Nonostante ciò, resto ancorata al mio pensiero ottimista del "vivere concreto" rischiando con saggezza; se volete qualcosa vivetelo in maniera ravvicinata e tangibile, perché la vita non aspetta e rimpiangere ciò che si è persi non serve a nulla. L'avvenire ci tormenta, il passato ci trattiene, il presente ci sfugge. Il mondo virtuale è la vetrina di quello che la realtà consumistica e capitalista ci riserva, anche celatamente. Riguardo al grande bisogno di amore, che spesso si riflette nella necessità di amare più che d'essere amati, chiedetevi quanto l'altro abbia paura di perdere Voi constatandone le azioni e la coerenza fino in fondo, anziché pesarne solo le parole o le frasi meravigliose che oltrepassano il cuore. "Ti amo" è un termine che avvolge e consola ma troppo spesso finisce nel giro di poco tempo; ormai usato per definire un'infatuazione quanto una forte attrazione ma quando l'azione lo mette a dura prova, diviene un segno dell'invisibile, di ciò che fino a ieri ci poneva al primo posto nel cuore di qualcuno, per poi inserirci nella lista dei trofei vissuti. Sappiate pretendere in amore quanto siete disposti ad offrire, non soffermatevi su un fiore, un gioiello, una lettera imbevuta di frasi profumate ma considerate l'azione nel bisogno, quando siete in difficoltà, ammalati, tristi e nervosi, perché è nel disagio che il vero

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sentimento emerge affrontando e superando i contesti avversi. E non è attraverso un monitor che si proietta questo, perché l'amore che immaginate così perfetto, plateale, che nella stregua più frustrante diviene piacere, possesso, gelosia virtuale, resta comunque troppo distaccato da una realtà densa di ostacoli e confronti difficili. Non è l'amore del gossip, in cui i cosiddetti vip appaiono in copertina quali sposi e genitori realizzati, si innamorano dall'oggi al domani procreando un figlio, per poi cambiare partner a distanza di pochi mesi aumentando la fila di lettori curiosi. Così come non deve intendersi quale conflitto di parti e di ruoli, oltrepassando il limite dell'equilibrio e stabilità d'unione. Ricordiamoci che il rapporto è una scelta non una condanna, così come il confronto fra adulti è dialogo, non offesa o pregiudizio. Il vero problema, spesso non è la coppia bensì i terzi che interagiscono con essa, intesi come persone, lavoro, società. Un mio caro amico di New York mi disse : "Le relazioni di oggi hanno meno durata della batteria di un iPhone". Possedendo quel telefono posso confermarlo ma ironicamente, se ne può davvero correlare l'essenza e l'autonomia limitata nel rapporto stesso. Riflettendo su ciò che è realmente concreto e su quello che invece è realmente mentale, possiamo immergerci in un oceano di contraddizioni, la cui unica salvezza è stare con i piedi ancorati al pavimento. È divenuta quasi una costante di vita per la massa giovane e meno giovane, proiettare su una chat ogni contatto umano o amichevole come un'unica fonte d'approccio e di sfogo emotivo, personale, soggiogando il vecchio e sano piacere del confronto diretto. Quando ero adolescente la sfera sociale era attivamente propositiva, capace di accettare il rischio così come di socializzare ai fini di un confronto, senza porsi le mille paure e timori che ad oggi sovrastano il concreto, divenendo sempre più voyeurismo e dissociazione. Non esisteva il computer nelle famiglie comuni, i telefonini erano un optional che molti ignoravano perché troppo dispendioso o comunque, preferivano il contatto diretto e la capacità di interagire con un confronto costante e responsabile. Era difficile annoiarsi, ci si gestiva con quel poco che si aveva e soprattutto si creava il vero senso dell'amicizia e della solidarietà, nel rispetto reciproco o nella “parola data”.

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Ci stupiamo di quanta frustrazione ci sia in giro, al punto che dubitiamo di tutto e di tutti per timore di restare ingannati. Convergo che il rischio sia un approccio concreto quanto pericoloso ma è comunque più giustificato, che non chiudersi dentro ad un container per timore di soffrire riducendo al mondo virtuale ciò che per complesso d'inferiorità, timore di delusione, incapacità di espressione emotiva, non si è più in grado di affrontare. Anche le emozioni che si scatenano nel web, spesso buone e propositive, mirate a mostrare una facciata così solidale, altruista, umana, si trasformano nella realtà in indifferenza, egoismo, ipocrisia. È la necessità di mostrarsi per ciò che non si è oppure di svelarsi aldilà di un monitor sentendosi più protetti? Entrambe le causali sono equivalenti ma non producono crescita, socializzazione e confronto. È sempre più difficile interagire con i nostri simili senza incappare nel rifiuto, nella diffidenza, nella critica o nella delusione, però non stupiamoci se i giovani sono sempre meno avvezzi alle responsabilità, alla capacità di confrontarsi e migliorare i valori umani. Le stesse famiglie sono sovente un esempio di contraddizione, di superficialità e di leggerezza nell'educare i figli, così come lo è giustificare o definire la nuova generazione come progresso, quando sovente altro non è che passività, apatia ed assenza d'inventiva. Dico questo da insegnante e da educatrice, che cerca attraverso il dialogo sonoro di tutelare le emozioni, così come prova a rigenerarne di nuove, in una massa sempre più allargata di bambini mentalmente disturbati, con comportamenti aggressivi od apatici. Si è giunti ad una "presa di diritto", in cui tutto è acquisito e non deve più essere conquistato, si è giustificati perché ancora giovani, così come lo si è perché adulti e delusi dal mondo e dalle persone. Le attenuanti di difesa inducono a reprimere le emozioni, al viverle in modo distaccato, rifiutandole o rendendole una valvola di sfogo delle proprie delusioni passate, delle proprie frustrazioni mentali e sociali. Consapevolizzare che le esperienze negative, i tradimenti umani, le menzogne e la falsità, rientrino nella sfera comune di un'umanità labile, volubile e superficiale, risulta devastante; se permettiamo a quella sfera di renderci altrettanto negativi, insicuri e diffidenti, progrediremo solo nell'isolamento, nella paura di soffrire e di crescere, consolandoci dietro a due parole virtuali fatte con chi sa chi, oppure esaltando il reale

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mentale costruendoci un mare di illusioni, che ci distaccano sempre di più dal concreto ostile. Tutto ciò sarà trasmesso ai propri figli, che già di per sé avranno di che dissentire e lottare con un mondo avverso; non necessiteranno di subire ulteriormente le frustrazioni famigliari o l'instabilità emotiva genitoriale. Quanti di noi sono ancora capaci di aprire le finestre al mattino, scorgere un raggio di sole e ringraziare l'universo per la meraviglia dell'esistenza? Oppure gioire delle piccole cose, senza lasciarsi oscurare dalla realtà terribile del non guadagno, dall'ansia di non poter far fronte alle spese, soprattutto agli imprevisti? Si ha bisogno di evadere, certo, ma se il mondo reale ci offre cose tangibili godiamole concretamente, viviamole "faccia a faccia", perché non è la vita sbagliata ma è la società frenetica, avida, insaziabile, egocentrica che la rende amara. Il rischio di affrontarla ci porta più al pianto ed alla disperazione che non al sorriso o all'appagamento però, quanto risolve in noi stessi l'agire ponendo i "paletti" al coinvolgimento? Fare un passo avanti per poi retrocedere come i gamberi, costruendosi "seghe mentali" che riducono l'autostima alla stregua di spazzatura, è timore di fallire o di essere abbandonati? Ed infine, perchè rifuggire promesse ed impegni con la scusante che "tutto è normale", noncuranti che forse in questo pianeta ci siano ancora persone meritevoli di fiducia e rispetto? La difficoltà nel riconoscere il buono o il cattivo sarà sempre maggiore, poiché la massa diffidente aumenta di volta in volta reprimendosi, lasciando spazio all'imbroglio ed alla contraddizione. Se ricerchiamo un vero amore o sentimenti sinceri, siano essi amichevoli o passionali, non potremo arrenderci alla solitudine ma nemmeno affrontarla come una condanna; stare da soli aiuta a scoprire delle potenzialità che ci rendono amanti di noi stessi, davvero consapevoli di ciò che siamo e soprattutto di ciò che meritiamo. Prenderci cura del nostro corpo e della nostra mente, attuerà un processo di serenità interiore tale da non permettere più a certi parassiti umani di interagire irrispettosamente nei nostri riguardi. Quindi, non saremo più in grado di accettare vincoli egoistici, tolleranze non ricambiate, continui conflitti infantili, insoddisfazioni, perché cercheremo un partner che ci equilibri, non un cagnolone da compagnia che ci renda succubi e dipendenti. Se invece si ricerca solo un appagamento sessuale od un'evasione, si

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mirerà ad una presenza complice nel gioco, nella passione fine a se stessa senza pretese o aspettative. Qualora si voglia una sincera amicizia, si valuteranno gli approcci mirati all'essere ascoltati ed al consigliarsi, benché ciò sia davvero difficile già nella sfera reale, figuriamoci nella virtualità. Spesso si reputano "amici" una massa di individui virtuali che nemmeno conosciamo personalmente, sono semplici conoscenze che nei nostri momenti difficili o quando a loro va tutto bene, svaniscono come il deodorante. L'importante è sapere ciò che si vuole, soprattutto bisogna essere in grado di ammetterlo, perché in un oceano così vasto come l'universo si condensano esseri simili e differenti, compensando il bello ed il brutto, il buono ed il cattivo. Chi ricerca la qualità dei valori non può assoggettarsi alla banalità; perciò non sentitevi diversi o sbagliati se mirate ancora allo spessore umano, inteso come valori e sani princìpi, coerenza e determinazione, responsabilità e coraggio. Quell'amore che il mio prediletto G. Flaubert definiva: “L'affetto profondo che somiglia alla donna onesta. Ha paura di essere scoperta e passa nella vita con gli occhi bassi”. Serbando nel cuore e nelle azioni questo valore, non per vanità di coscienza, rinuncerete ad un rapporto privo di mordente e di crescita reciproca, tantomeno vorreste viverlo virtualmente. Conservate sempre il sorriso più sincero per voi stessi, perchè ogni delusione, ogni lacrima versata lealmente, dimostra il coraggio di amare e mettersi in gioco fino in fondo, senza maschere o monitor. Fatene tesoro ed amate voi stessi. Alla stregua di tutto questo, vi accorgerete che non è colpa della chat.

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Flirtare Si flirta per noia e non per reale interesse. Secondo alcuni ricercatori della Northern Illinois University, i motivi per cui flirtiamo sono principalmente il divertimento, l'esplorazione del nuovo, la conferma della propria virilità, il puro piacere della conquista quindi il rafforzamento dell'autostima, l'insicurezza, la necessità di affetto e di sopperire a carenze nel rapporto presente o con se stessi. Il divertimento lascia all’immaginazione e non ha un fine preciso. Flirtare a voce, via mail, via sms, conduce ad un vezzeggiamento proteso a rendere più frizzante la propria giornata. Se invece incanaliamo il rafforzamento della propria autostima, la necessità è mirata all'uscita dal proprio stato di autocommiserazione, dal compiangere se stessi e sentirsi così inutili ed insoddisfatti da proiettarsi su relazioni fatte di intrigo, di appagamento sessuale, solitamente con partner che non interagiscano direttamente con la nostra vita privata se non per pura evasione. L'insicurezza si collega alla sfera della scarsa autostima con la necessità di rassicurare e confermare la propria virilità o sessualità, sentendosi appagati e desiderati. Guardandola dal profilo opportunistico invece, si flirta per ottenere ciò che si vuole. Questa tattica è divenuta un luogo piuttosto comune; c'è chi si maschera dietro ad un'amicizia o collaborazione di varia entità con il fine di conquistare una preda. Nella sfera di media età over cinquanta si identifica nel maschio, che timoroso del declino gioca a fare il demenziale giovincello per adescare le donne più giovani se non addirittura ragazze appena maggiorenni, per sentirsi padri amanti e guide fidate. Questa forma di repressione si associa ad una sindrome che in Olanda definiscono "plagio adolescenziale", in cui alcune giovani fanciulle sono sedotte dal padre per divenire delle perfette amanti. L'uomo più anziano, in questo caso, esegue perfettamente lo schema di seduzione fungendo da guida e consigliere, volendo interagire con le proprie esperienze al fine di affascinare e conquistare, il tutto fingendo di mantenere una sfera amichevole, mirata invece ad ottenere in cambio dei piaceri erotici, non necessariamente sessuali. Una forma di

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perversione che diviene maniacale con l'avanzare degli anni. La sfera dell'evasione, infine, abbraccia un po' quella del tradimento, con la differenza che sovente la conquista si ferma su masturbazioni esterne (petting) che non raggiungono il vero atto sessuale, proiettando il piacere reale nella fantasia erotica mentale, distaccandosi dal puro orgasmo fisico ed appagandosi cerebralmente. In conclusione, ogni forma di evasione sia essa virtuale che sessuale, comporta una ricerca di novità e d' apertura a nuove emozioni, generate nella maggior parte dell'analisi di coppia, alla repressione stessa del rapporto, che trattiene, appiattisce e soffoca. La predominanza sull'altro acuisce la volontà di oltrepassare la proibizione, risvegliando gli impulsi infantili dell'esplorazione aldilà dell'Off Limit, per sentirsi ancora liberi di scegliere e di vivere emozioni differenti dalla routine. Ciò nonostante, è sempre più frequente ricercare un rapporto con partner possessivi e gelosi, quale senso protettivo e rassicurante talvolta negato nell'infanzia, che pone la gelosia nei propri confronti come una garanzia di non essere mai traditi o abbandonati. Una deformazione che si trasforma nella maggior parte dei casi in tradimento o in fallimento. La mentalità del rapporto che induce al continuo sospetto dell'altro, è la base scatenante della ricerca di nuovi stimoli, perchè l'agire di nascosto è l'impulso regresso dell'eccitazione, che prende corpo attraverso nuove esperienze. Il medesimo processo che scatena nel voyerista il piacere di guardare, interagendo con l'occultazione della propria azione fisica, sentendosi spettatore impunito e rappresentato da una figura maschile migliore di lui, da cui attingere l'eccitazione sessuale. Viverla da regista guidando l'azione erotica secondo i propri schemi, è più appagante che viverla direttamente. Noia, routine, necessità d'indipendenza e di distacco, convergono sempre ad un unico risultato, che trova sfogo nelle espressioni erotiche più svariate, psicologiche, fisiche o virtuali.

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NECESSITÀ PRIMARIE DELL'INDIVIDUO Nell'ambito della psicologia statunitense di Abraham Maslow, l'individuo necessita di cinque primarie esigenze, suddivise in livelli di priorità. Nel primo livello poniamo le esigenze primarie fisiologiche, le quali se non soddisfatte implicano un impedimento consequenziale ai successivi livelli. Nel secondo si espone la sicurezza intesa come autostima e fiducia nell'andare avanti, affrontando e superando le avversità. Il terzo raggruppa i bisogni sociali di cooperazione, produttività, integrazione sociale e sentimenti ricambiati. Nel quarto si identifica il proprio Io esteriore, inteso come stima e rispetto da parte della società, riconoscimento produttivo ed economico. Nel quinto, infine, si riflette l'Io interiore, quale appagamento, gratificazione di se stessi e del proprio operato. Secondo Maslow i livelli sono interdipendenti e coordinati, dunque è essenziale percorrerli tutti senza saltarne nessuno. Il livello successivo a quello appena raggiunto deve servire da stimolo o punto di forza per proseguire. Qualora le vicissitudini della vita, gli ostacoli, le sconfitte morali, determinino un rallentamento o una retrocessione dal livello raggiunto, diviene più difficile risalire; ciò influisce sul gradi di depressione e disfattismo che incide sul sistema psico-fisico e psicosociale dell'individuo. Rifacendosi agli studi di alcuni sociologi sul soddisfacimento delle popolazioni africane, nei territori più poveri, Maslow giunse alla conclusione che laddove i bisogni primari sono appena sufficienti a determinare un grado di sicurezza, diviene più probabile attuare la spinta giusta al miglioramento ed al progresso. D'altronde non è forse vero che proprio il progresso si forma dal minimo grado di realizzabilità? Nella sfera sociale attuale diviene assai frequente incontrare nei giovani studenti condizioni disagiate, difficoltà di integrazione ed economica famigliare. È alquanto arduo per l'educazione o il docente interagire sulla loro psiche al fine di produrre una spinta motivazionale sufficiente al perseguimento di un obiettivo superiore. Dunque i primi tre livelli divengono un vero e proprio " stand still " 177


oltre il quale si rifiutano di proiettare propositi costruttivi, poiché non sanno riconoscerli. L'integrazione nel gruppo e soprattutto l'accettazione nel medesimo, diviene ancora il livello di blocco per molti giovani, perché determina paure, senso di rifiuto, totale disagio e senso di inferiorità. Questo trauma adolescenziale permane nella sfera adulta creando forti complessi di disadattamento sociale ma soprattutto nei confronti di se stessi, con scarsa autostima e disfattismo. Ciò ancora persiste e non solo in Europa, per quanto concerne i ragazzi stranieri extracomunitari, i ragazzi di colore. La realtà riflette una società individuale, egocentrica, in cui i rapporti sono distaccati, se un genitore anziano non è più utile diviene un peso così come un partner ammalato diviene un rifiuto. I soldi e la stabilità economica, intesa non come necessario bensì come benessere, hanno causato la maggior parte delle forme depressive maschili e nevrotiche femminili, ricercando sempre un surplus che non accontenta mai. I soldi divengono causa di liti, incomprensioni e separazioni, ci si scanna per un centesimo e così via. Il senso solidale si perde, non conta più l'essere umano e nemmeno il suo valore affettivo. Tanto di cappello a quelle rare famiglie in cui la priorità va ai figli, il marito è ancora l'unico a lavorare e non sanno cosa sia un tablet, un iphone, una vacanza di una settimana, un televisore al plasma e si accontentano di una scampagnata domenicale. Lo riconosco, perché proprio i figli di queste persone alquanto rare, sono i miei migliori allievi; praticano l'arte, frequentano corsi di musica con grande impegno, perché riconoscono il sacrificio monetario per le lezioni. Apprendono le regole e la disciplina, osservano i compagni di scuola forniti di tutto e del troppo, consapevoli di non poterlo chiedere ai genitori perché sarebbe un'eccessiva spesa. La reazione positiva è che si sentono spronati a conquistarlo con una buona promozione scolastica o a risparmiare sulle paghette, ricevute attraverso piccoli mestieri e lavoretti; dunque una stimolazione di crescita e di miglioramento, nonché di autoresponsabilità. Questo scorcio di realtà che ritengo una specie protetta, mai lamenta il peso dei figli o le rinuncie per essi, conosce l'arte dell'arrangiarsi ed è meno frustrata di tante altre.

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L' AZIONE CONTRARIA O INCOERENZA Riprendendo una frase che giorni fa mi scrisse una mia alunna: "L'incoerenza fa a pugni con la costanza della ragione, è quella mancanza di fermezza nei propositi, nelle aspettative, nei rapporti umani, che stravolge le nostre più intime convinzioni lasciandoci delusi e avviliti". Gli incoerenti sono coloro ke cambiano opinione ponendo sulla stessa stregua sentimenti e futilità e sovente senza avere alcun rimorso. Nei casi piu' patologici essa raggiunge la totale inaffidabilità di una persona ma, nei casi più normali, può divenire un qualcosa di positivo. Una persona "lievemente incoerente" è in grado di cambiare idea, di adattarsi a situazioni che non prevedeva, di non fissarsi ostinatamente sulle proprie prese di posizione. Di certo, restare chiusi al cambiamento per timore di sbagliare è immaturo e si rispecchia nel seguire delle costanti, delle regole da cui non sgarrare. In questo caso si parla di elasticità mentale più che incoerenza vera e propria. Raramente chi è incoerente è corretto, per non dire che è alquanto usuale non lo sia. Il chè potrebbe suonare come soggettivo, dipende cosa si intenda per corretto o meno; dire ad una persona una determinata cosa oppure prometterla ha lo stesso peso per molti individui. “Mica te l'ho promesso” s'intercala sempre come frase giustificativa ma è anche vero che la persona corretta e coerente prima di parlare ci pensa due volte, oppure attua il buon senso dubitativo “Non ti assicuro, ne riparleremo”. Dare una mezza conferma ad una parola data è già un mezzo impegno, figuriamoci elaborarlo nel tempo con apparente responsabilità per poi ritrattarlo con mille scusanti. La conseguenza di un'azione non mantenuta attua una serie di comportamenti alquanto comuni; elaborare delle scuse più o meno banali oppure scomparire per un lasso di tempo riemergendo come se nulla fosse, o fingendo di non ricordare la mancanza negando le apparenze. Credo che in entrambi i casi trattasi di un'epidemia sociale diffusa, basata sulla mancanza di un corretto rispetto e senso di responsabilità. 179


Fatto sta, che trovare anche solo due persone capaci di mantenere fino in fondo una parola data senza ritrattarla è davvero utopia. Capitano gli imprevisti, certo, è anche normale cambiare idea ma se l'intenzionalità è logica ragionata, dovrebbe conseguire il buon senso. La componente amara è da attribuirsi al menefreghismo, il sano modus vivendi del non prendersela e del vivere tutti felici e contenti. Peccato che se provassimo a trattare certe persone scorrette allo stesso modo, ci ritroveremmo in un mare di contestazioni. "Promettere e non mantenere", venir meno alla "parola da boy scout" è un cattivo esempio che viviamo ogni giorno e a cui la maggior parte degli individui assimila come “giusto” o “normale”, definendo intelligente cambiare opinione quando trattasi di giustificarsi di fronte alle proprie mancanze. Il senso di promessa diviene fallimento quando non lo si può mettere in atto ma il vero disfattismo riguarda l'intenzione, ossia promettere ciò che sostanzialmente si prevede di non riuscire a realizzare. Cicerone definiva la promessa: "Un grande senso di responsabilità verso il nostro simile, che delinea il nostro status maturo e consapevole del rispetto altrui, nonché lauta coerenza con noi stessi ". Sottolineava in questo nobile concetto, che esiste una grande differenza tra il "cambiare opinione" ed il "non mantenere una promessa", considerando come nel primo caso ci possa essere costruttiva intenzione al miglioramento mentre nel diniego di una promessa si tange la sfera emotiva, affettiva di un individuo, confondendo i suoi parametri di fiducia e stima nel prossimo. Quando si toccano i sentimenti non esiste giustificazione, poiché le scuse si accompagnano ad un perdono che troppo spesso si ritiene "dovuto" e non conquistato. Collaborando per anni accanto a psichiatri e pedagogisti ho appreso come l'incoerenza, intesa quale contraddizione, sia un sintomo acuito nei casi patologico mentali e sovente attribuito ai medesimi ma, sono pienamente convinta che ciò dipenda anche dalla cattiva educazione e dal menefreghismo, generanti nell'individuo la convinzione che tutto sia dovuto e troppo sia scontato. La genialità attribuita al cambiamento di idea e di valutazione in quanto progresso evolutivo del pensiero umano, non si sposa con l'intelligenza e tantomeno con il rispetto dell'individuo, quando tocca le sfere profonde dei sentimenti. Millanterie, illusioni, menzogne, per 180


quanto correlabili a manie depressive o nevrotiche, restano pur sempre una “bastardata” e non producono niente di evolutivo bensì destabilizzano il senso di fiducia nel prossimo ed in se stessi. Osservando da vicino gli adolescenti in qualità di docente e valutando le loro reazioni e confronti, ho appurato quanto siano ignari degli esempi di coerenza costruttiva, proprio a partire dall' ambito famigliare. Quante volte ho ascoltato il loro dissenso riguardo a false promesse e delusioni da parte dei genitori anteponendomi con il buon senso, cercando di ragionare insieme a loro sulle cause ma soprattutto sulle conseguenze di un'azione incoerente, che non deve generare discredito e mancanza di rispetto verso gli altri. Spesso la promessa è convalidata come un modo di dire od un normale “pour parler”, che può essere modificato a piacimento fregandosene di deludere il prossimo. Questo è egocentrismo, valutare solo ed unicamente le situazioni in base a se stessi o a ciò che interagisce unicamente con il proprio ego; nonchè individualismo estremo, in cui si bada solo a se stessi, ignari di ciò che le nostre contraddizioni possano generare intorno a noi. Una promessa è una convalida di impegno correlato all'assumersi le responsabilità delle proprie parole, così come delle proprie azioni. Maturità ed equilibrio mentale sono alla base dei parametri di responsabile coerenza ma la buona educazione e soprattutto il buon esempio famigliare e sociale, rende un individuo capace di “imitare il buon senso”. Come nella musica si imitano le gestualità o le sonorità proposte dal docente per indurre alla corretta esecuzione di un ritmo o di un brano, così l'individuo assimila ed imita le giuste e cattive azioni introizzandole. Non basta educare con la parola bensì è fondamentale "educare con il buon esempio". È da noi stessi che deve partire l'equilibrio, soprattutto la coerenza nel trasmettere il proprio pensiero seguito dall'azione. La dottrina buddista che interagisce sulla "coerenza dall'inizio alla fine" è la medesima che sprona l'essere umano a prendere coscienza di se stesso, delle proprie azioni, senza illudere bensì assumendosi le responsabilità del suo agire. Causa ed effetto sono correlati alle azioni che pratichiamo e diffondiamo, da cui spesso raccogliamo delusioni ed amarezze ma non devono distruggere i nostri parametri positivi. È fondamentale lavorare nell'ambito dello sviluppo, per sensibilizzare 181


ed indirizzare i giusti parametri di confronto nei ragazzi, perché devono elaborare concetti diversi da quelli a cui sono sottoposti ogni giorno. I media e la tv, il gossip e la popolarità di alcuni personaggi creati dal nulla, rende troppo diffusa l'idea che tutto sia possibile; basta accettare compromessi o avere i soldi ed i sogni si realizzano. Non si evidenzia più lo sforzo, il sacrificio, il duro lavoro che c'è dietro al vero talento o al successo conquistato con il sudore e la dignità. L'apparenza e l'inganno hanno preso il sopravvento; basti pensare a come molti adolescenti riflettano le proprie emozioni attraverso stereotipi fasulli, privi di spessore e soprattutto di correttezza e coerenza. Sorvolare le regole è sicuramente indipendenza ed innovazione ma se ciò diviene incostanza o rifiuto, contraddizione o rinuncia, coinvolge la sfera più intima ed emozionale del nostro prossimo; potrà forse conservarne una logica opportunistica ma di certo non è coscienziosamente corretto. Se davvero crediamo in qualcosa perseguiamolo coerentemente e pian piano le nostre scelte insicure diverranno "certezze". Lo stesso equivale al buon senso di essere coerenti con le proprie scelte e con tutto ciò che è inerente al rapporto col prossimo. Anche l'incapacità di chiedere “scusa” appartiene all'incoerenza, poiché chi non riesce ad ammettere i propri sbagli o a manifestarne un dispiacere sincero, non può essere mero con se stesso. Non ci si scusa per senso di superiorità od orgoglio, più ancora che per pura vergona; altre volte si utilizza l'alliterazione delle scuse per mettere a tacere una situazione e ripetere a breve lo stesso torto. Spesso l'incapacità di crescere è rilegata ad un contesto di ignoranza da cui non ci si vuole staccare. La consapevolezza è un segno di maturità, così come la volontà di confrontarsi e la sicurezza in se stessi, si acuiscono attraverso la vita vissuta unita alla sana cultura. Finché la popolarità girerà intorno all'effimero, all'esaltazione dell'aspetto fisico o dell'inganno sociale, non sarà così immediato recuperare un senso di "spessore interiore", specialmente nei giovani; sono pienamente convinta che il mio ruolo, così come quello di tanti colleghi insegnanti, sia una missione a cui non possiamo rinunciare, proprio per renderci partecipi alla riabilitazione emotiva di un giovane non restando passivamente spettatori. Un grande senso di responsabilità che a mia volta ricevetti dai miei 182


insegnanti e che segnò profondamente lo sviluppo delle mie scelte artistico-didattiche, nonché del mio principio educazionale. L'educatore dovrebbe ricoprire un ruolo fondamentale nella vita di ogni adolescente non ridursi al baby sitter di turno, come purtroppo avviene di questi tempi. Ricordo un caro luminare psichiatra che mi disse: ” Prendere un topo ed indurlo a cambiare percorso per raggiungere il cibo, è più semplice da gestire che non tentare di rieducare una mente adulta”. Aldilà degli esperimenti pavloviani, il culmine della frase converge sulla sfera del quid mentale medio, troppo spesso ricondotto al provincialismo ed al puro senso de “l'apparire”. Nonostante ciò, la cultura è “messa sotto i piedi” con esempi sempre maggiori di superficialità e facile conquista del potere. Se conservate il grande privilegio della coerenza e della correttezza, abbiate l'orgoglio di mostrarle sempre, diffidando chi ne sprezza il senso per ignoranza o convenienza. I giovani apprendono ciò che vivono e se non hanno parametri solidi seguiranno la massa ignorando una propria reale identità. Ricordiamoci sempre che: "Per Insegnare è necessario Conoscere ma per Educare è fondamentale Essere".

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EDUCAZIONE SOCIALE Maschilismo o Diseducazione? Il maschilismo non è un argomento da inserire nella sfera patologica bensì nella mentalità negativa ed obsoleta nei confronti femminili, oppure cattiva educazione. La definizione comune lo identifica come “un atteggiamento psicologico e culturale fondato sulla presunta superiorità dell'uomo sulla donna ed il comportamento conseguente a tale atteggiamento". In sostanza si intende la donna come ambito "generico" ponendo tutta la sfera femminile appartenente a luoghi comuni, ogni donna uguale all'altra, in senso svalutativo e limitativo. Definisco sempre un individuo in funzione unilaterale non universale, ossia, trovo totalmente ingiustificato generalizzare sulle costanti caratteriali, intellettive o comportamentali sia degli uomini che delle donne. Il concetto maschilista fa questo, applica un cliché sulla femmina, limitandone la personalità in funzione di tutte le sue simili. Quante volte abbiamo ascoltato la solita frase: "Voi donne siete così o pensate così”. Precisiamo sempre che nel nostro gentil sesso ciascuno di noi è "Una donna" non "La donna" ed in quanto tali ci muoviamo in un contesto soggettivo, forse simile fra di noi ma comunque “singolare”. È altrettanto noto che il maschilismo non deriva da alcun sistema di pensiero definito o accreditato ad una pratica ideologica, non si lega ad alcun personaggio della vita politica, culturale che ne abbia dato una giustificazione teorica o lo abbia posto a base del proprio impegno sociale e intellettuale. Uno psicologo durante una sessione, mostrò ai presenti un bicchiere d'acqua, senza porre alcun quesito; tutti si aspettavano che domandasse quanta acqua contenesse il bicchiere ma, con grande stupore di tutti, egli chiese: " Quanto peserà questo vetro?". Questo esempio è stato applicato in funzione del senso di "scontatezza" o "generalizzazione" che alimenta la presunzione umana, di anticipare o definire la mente, i pensieri, i concetti e la moralità degli altri, come un luogo comune alla maggior parte degli individui; il senso che spesso inseriamo nel “fare di tutta l'erba un 184


fascio”. Dunque, se dovessimo analizzare la polivalenza femminile, potremmo verificare concretamente il fattore che consente alla donna di proiettare nel medesimo tempo più componenti temporali e pratici; accomunare il presente, il passato, il futuro in un unico contesto mentale adoperandosi in più fattori contemporaneamente, rende la duttilità e la poliedricità più evidenti nella donna, così come la capacità di sviluppare il proprio cervello e contemporaneamente mostrare un bell'aspetto fisico. È svalutativo quanto diffuso pensare che una bella donna non sia in grado di essere contemporaneamente intelligente, una buona madre, una buona lavoratrice, una buona amante, una buona persona. Questo, purtroppo è il risultato di una società apparente, in cui la figura femminile viene esposta come oggetto da vetrina alimentando nelle adolescenti il concetto della donna obbligatoriamente “bella” per essere apprezzata, in funzione di ottenere dall'uomo ciò che vuole o che non ha voglia di procurarsi da sola. Questo concetto si sta fortunatamente superando, in parte perché l'uomo è divenuto più prevenuto in questo ricercando una figura meno appariscente ma più protettiva; se si limita solo all'aspetto fisico della compagna unicamente per un concetto di edonismo senza necessitare di valori, sani principi e spessore morale, apparterrà al contesto definito “da copertina”, in cui il rapporto si basa principalmente sull' estetica. Per l'uomo il fattore è più monovalente, proietta il suo quid mentale al limite della sfera presente con funzionalità ridotte ad un'azione alla volta; è molto difficile osservare un uomo alle prese con più cose contemporaneamente o a proiettare le sue situazioni vitali nel futuro. Vogliamo dunque definire il maschio limitato rispetto alla donna? Assolutamente no ma nemmeno superiore, senza contare che il medesimo uomo che accusa la donna di soffrire da “sindrome premestruale”, ne evidenzia più sintomi di quanti ne comporti la femmina stessa. E' molto più frequente la depressione di genere bipolare nell'uomo che non nella donna, benché egli rinneghi costantemente di esserne affetto trovando mille scusanti ripetute e banali; così come resta più incisiva nel maschio l'incapacità di accettare una donna più emancipata di lui. Non per niente la accoglie con garbo e finta adulazione per poi svalutarla o comportarsi da “superiore”, solo perché nel suo habitat cerebrale non sussiste la donna capace di concepire anche con la testa oltre che attraverso 185


l'utero. Come intendere nella società attuale la capacità di una donna di sapersi gestire autonomamente, coordinando le situazioni, dividendosi tra famiglia e lavoro, contesti problematici vari, da cui solitamente ne sa uscire da sola? Oppure, consideriamo quante donne hanno fatto la storia nello sviluppo scientifico, tecnologico, sociale e credetemi, non erano “aliene” bensì nostre simili. Duttilità, oppure nel concetto maschilista si suol dire: "È fortunata perché è donna e dunque trova ausilio ovunque". Niente di più sbagliato anche in questo, poiché se una donna mantiene dignità ed integrità morale, non è disposta a concedersi in cambio di aiuto oppure definendosi dipendente da un altra persona. Anche il “mobbing” trova origine da un concetto maschilista, che ritiene la donna lavoratrice avvezza ad accettare vili compromessi o soprusi, pur di mantenere un ruolo lavorativo e sociale; per certe stregue maschili la donna dovrebbe solo stare a casa tra fornelli e figli, perché realmente temono la sua evoluzione intellettiva e di autogestione. Ed è proprio questo a renderli così ostili nei confronti della medesima o a ridurla alla stregua di un feromone da monta. Gli stessi uomini sono incapaci di accettare un rifiuto da una donna; il maschio che non riesce a conquistare una femmina si sente messo in disparte, lo subisce come un torto alla sua virilità riversando la propria rabbia attraverso provocazioni infantili, insulti, stalking, disprezzando la “preda mancata” per fare il bullo di fronte agli amici. Immaturità, sconforto, mancanza di autostima? Diciamo che la parte femminile nascosta in ogni uomo e che si riflette sulla donna, è quella più insicura mascherata dall'orgoglio e dall'arroganza, che non tollera di incontrare un'energia più attiva di lui. Le due polarità maschile e femminile corrispondono al nucleo energetico positivo-attivo nel primo e negativo-passivo nel secondo ma, erroneamente a ciò che può sembrare, non significa che il primo di essi sia solo attivo ed il secondo solo passivo; hanno solo due differenti modalità di proporsi ma restano singolarmente “integri”. Lo “Yin” femminile, che rispecchia l'energia passiva come la notte, la luna, la stagione invernale, gli alberi, i fiori ed i frutti, si integra con lo “Yang”, la corrispondente attiva maschile, che riflette il caldo, il sole e l'estate. I frutti generati dallo Yin quali gli avocado, le arance, la papaya crescono nel clima caldo dello Yang unendosi nella 186


trasformazione. Quante volte al fianco di grandi uomini ci sono state grandi donne, il cui lavoro meno evidente ha contribuito alla realizzazione di grandi esempi umani e spirituali. Ne cito almeno tre: Gandhi, Martin Luther King, Daisaku Ikeda. Quindi calerei un “sipario pietoso” su questa mentalità espressamente insicura dell'uomo, purtroppo ancora presente seppur in banda più ristretta rispetto agli anni addietro. Non mi voglio spingere sulla sfera culturale femminista, poiché ritengo che in ogni contesto umano, uomo o donna non debbano pretendere o acquisire dei diritti solo in funzione del proprio sesso. Un uomo così come una donna devono sapersi rispettare, confrontare a pari misura o comunque in maniera civile. Troppo spesso la donna passa per parte debole subendo repressioni e soprusi ma è anche vero, che viene altresì giustificata o trattata in maniera eccelsa, considerandola intoccabile. Non convergo su questo fronte, specie quando osservo alcune donne aggressive, capaci di manipolare, ferire, sminuire od autorizzarsi ad atteggiamenti di superiorità rispetto all'uomo, per poi passare da vittime giustificate nel momento in cui questi reagisce negativamente. Perseguo sul mio concetto aristotelico: "Il rispetto si conquista e si pretende al pari misura di quanto si concede".

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Individualismo o Egoismo? Che l'uomo moderno sia votato nella sua maggioranza all'individualismo è un piatto servito quotidianamente, ancora più prevedibile che non la solita pastasciutta col ragù. Un passo indietro nella storia ci riporta alla figura degli artisti, immersi nella propria solitudine e rapiti dalla follia creativa, così come ad altri individui che vivevano distaccati dai propri simili, mirati all'introspezione; era comunque un individualismo psicologico che non creava alcun danno sociale, era soggettivo ma non invasivo. Il suo "gemello moderno" invece, è prettamente ideologico, prende spunto non solo dalla nostra democrazia ma è ampiamente influenzato da quella americana, che elargisce rigidamente, con intolleranza, veicolando la società in funzione della stessa e dettando legge per un territorio su cui l'uomo interagisce, secondo gli schemi prestabiliti e forzati restandone di gran lunga limitato. La produzione capitalista ha contribuito ad incrementare lo spirito individualista, che induce l'essere umano a pensare in maniera singolare ed egoistica, limitandosi ad osservare le disgrazie altrui, mostrandosi anche risentito ma, alfine di ciò, si rinchiude dentro le mura domestiche, si lamenta in modo brutale, aggressivo e poi soggiace alle pretese dello Stato stesso, perché ne ha timore e ne soggiace. Nel contempo, si abroga "il diritto" di intervenire direttamente per se stesso ed in funzione di se stesso, generando anche nella prole il "diritto di acquisizione", secondo cui le priorità sono dovute, il superfluo è dovuto, il rispetto è dovuto, il servigio è dovuto. "Dovere" prevaricante su tutto: sul rispetto umano, sui valori della civiltà, persino sulla vita umana. Una sorta di “I don't care” rivolto al pensare in positivo, finchè tutto va bene per se stessi. Nella frenesia americana il compromesso sociale deve funzionare, in virtù dell'apparenza e della funzionalità, che devono assolutamente coesistere nei rapporti amichevoli e civili. Ogni condizione o situazione deve essere estremamente funzionale e logica, interagendo però, con una realtà differente dalla nostra, in cui l'egoismo e l'individualismo sono correlati al senso conservatore, difficile da oltrepassare per certi aspetti ma anche evolutivo per altri. Una società americana individualista procede per se stessa, ognuno vive per se stesso e se avanza del tempo o nelle situazioni di emergenza, ce n'è 188


anche per gli altri; questo perchè è un dovere più che una condizione di vita. Ciò diviene una sorta d'incapacità nel gestire i rapporti umani con slancio e passionalità; tutto deve funzionare, dai rapporti sociali alle amicizie, dal rapporto famigliare al contesto lavorativo, in maniera razionale e schematica. Filantropi per noia più che per necessità di scambio o per vero interesse affettivo, vivono la passione a temperatura di congelatore, leniscono l'incapacità di stare soli con qualsiasi banale rapporto. In quel contesto, nevrosi e depressioni rientrano nella “Usual american society” e la privacy diviene un muro piombato, che costringe ad adeguarsi alle abitudini di quella realtà, al di fuori della quale resti solo un intruso. Quando abitavo in America sentivo spesso definire l'opportunismo italiano come una sorta di “prendi e fuggi”. Consideriamo che per America si intende spesso ”l'open mind” dei film polizieschi, in cui tutti agiscono in funzione del prossimo, vestiti alla perfezione, interagendo con passionalità e generosa coerenza. Nella mera realtà invece, ci si trova spesso a fare i conti con una veste sfalsata, in cui provincialismo, ligia apparenza, stupido bigottismo, razzismo, opportunismo, cinismo e maschilismo, meglio si identificano con la schiera sociale d'oltreoceano. Però funziona, in qualche modo si avanza, ci si rialza, si vive un distacco superficiale che ben si rispecchia con la società consumista del progresso, incline alla funzionalità economica piuttosto che a quella umana, le cui emozioni sono tendenzialmente soppresse o ridotte al minimo indispensabile. La forma individualistica della nostra attuale società europea, poco si discosta da certi aspetti de “l'American life” ma è una veste di opportunismo al contrario, perchè non produce, non avanza ma usa e basta. La passionalità e l'altruismo che per secoli ha reso la nostra nazione così generosa ed aperta al prossimo, ha trasformato l'individualismo in una maschera rafforzativa dell'ipocrisia, favorendo le differenze sociali, razziali, l'incapacità di gestire un rapporto amichevole sincero o di soccorrere chi è in difficoltà. Il pensare per se stessi, “tirare l'acqua al proprio mulino”, ha reso statici e diffidenti, quanto opportunisti e calcolatori restando fermi solo su se stessi. Dunque, non sempre dovremmo porre le cause dell'egoismo, dell'incoerenza e della contraddizione umana alle repressioni infantili, bensì anche a quelle sociali che interagiscono sulla crescita del bambino attraverso i genitori, l'ambiente scolastico, i compagni, gli 189


amici, i social media, la Tv virtuale. A questo si correla l'indifferenza, l'opportunismo spietato, in cui si agisce con lo scopo di ricevere in cambio qualcosa, altrimenti è tutta fatica sprecata. Il senso della generosità? Si evidenzia con la solidarietà pubblica di fare una buona offerta in chiesa, d'intervenire con un euro in beneficenza attraverso un sms, quando poi si ammazzerebbe un cristiano di botte perché ruba una mela dalla disperazione, oppure si ignora totalmente un pezzente che chiede la carità. Questo fondamento genera la regola: "Ce n'è per tutti o non ce n'è per nessuno tranne che per se stessi" ed ancora "Se vuoi qualcosa vediamo prima cosa hai da offrirmi". Anche il sistema di sfruttamento lavorativo si riflette su quello sociale giungendo ad una forma di "luddismo al contrario", che anziché lottare contro l'inserimento dei macchinari nelle industrie, tra un po' combatterà per eliminare del tutto i lavoratori. Dunque frustrazione, irrealizzazione, rabbia, aggressività, depressione, si proiettano sull'individualitá; il pensare per se stessi diviene un istinto di sopravvivenza, sebbene non giustificabile in quanto cinismo, opportunismo e menefreghismo. Per alcuni sociologi, a questo si correla l'opportunismo, l'interazione per diritto, cioè intervenire sul prossimo dando tutto per scontato. Mi sovvengono a tal proposito, alcuni sterotipi di individui che riappaiono nella nostra vita dopo un lungo tempo, con cui magari abbiamo avuto degli screzi; si presentano come se nulla fosse accaduto e ci fossimo salutati soltanto il giorno prima. Non ti chiedono nemmeno come stai, però ti domandano subito un favore accogliendoti con un sorriso smagliante quanto ipocrita. Questo stile di opportunismo è correlato in qualche modo all'acquisizione del diritto, in quanto definire questa gente pazza o esaurita, ben poco si concilia con la totale spavalderia che mostrano, convinti di agire nello standard umano consueto e procedendo con la massima indifferenza. Resta il fatto che ai tempi odierni, il saper gestire una condotta rispettosa diviene sempre meno frequente, generando continue delusioni in coloro che sono cresciuti con altri princìpi e che conservano una forte sensibilità. In questo caso l'individualismo diviene una forma autoprotettiva, più che una vena egoistica ed opportunista. Comunque lo si definisca, esso determina sempre un distacco umano, una sorta di allontanamento dal sociale e dal rapporto fra simili, che soprattutto in questi tempi è controproducente. 190


IL BIGOTTISMO SOCIALE Il Bigottismo si affilia alla grande religiosità unita ad altrettanta intolleranza e mancanza di flessibilità, ad esempio, affermare che i dogmi e la fede siano verità assolute indiscutibili, perciò questo eviti di affrontare l'argomento religioso con flessibilità di pensiero e razionalità , o porre alla stregua dello "sbagliato", tutto ciò che non viene contemplato dalla medesima religiosità. Ma valutiamone l'aspetto razionalmente psicologico. Il bigottismo genera la frustrazione, in quanto reprime ciò che l'individuo serba realmente in se stesso, concettualmente, moralmente, emotivamente, al fine di seguire una condotta stereotipata, che socialmente lo identifica nella normalità o nella correttezza sociale. Ciò è nascondersi dietro a concetti precostituiti che fondamentalmente non ci appartengono, che generano la frustrazione, l'incoerenza del sé, il timore di mostrarsi e di affrontare a testa alta la propria individualità. La sfera umana si nasconde dietro al bigottismo, per gravi mancanze verso se stessi, per senso di insicurezza, soprattutto perché spesso ci si sente inadeguati, o per invidia che a sua volta genera il disprezzo, con la necessità di considerarsi migliori, una valida scusante per sentirsi più puliti di ciò che si è. Il bigottismo porta al giudizio, al preconcetto, al pregiudizio; dietro a queste maschere d' ipocrisia, si celano coloro che ogni domenica vanno in chiesa, si credono dei perfetti fedeli, per poi confrontarsi con ipocrisia, falsità e pettegolezzo. A questi si uniscono coloro che definisco “professorini”, intenti ad osservare la vita ed i comportamenti altrui, prodigando lezioni di etica morale, perché si reputano migliori in base alle proprie esperienze. Che nella vita esistano i buoni consigli ed i cattivi consiglieri è alquanto assodato, però di santi od esemplari di saggezza e coerenza non ne ho ancora incontrati. “Insegnare la vita” è un arduo mestiere che può essere svolto solo da lei medesima, attraverso le esperienze che ci propone direttamente ed indirettamente. Dietro a questo preconcetto predomina l'insicurezza; mostrare l'immagine di ciò che non siamo è abrogarsi il diritto di sentirsi giusti, quando invece si è l'esatto opposto. Questo è il bigottismo mentale, la paura del confronto con gli altri, non inteso alla pari ma assoggettato ad una massa sociale la cui maggioranza è ipocrita, mente a se stessa e si cela dietro a schermi protettivi. Il timore maggiore non è tanto 191


quello di essere mal giudicati, quanto di venire "messi da parte" da una massa pressoché scontata, provinciale e soprattutto incapace di mascherarsi con la verità di se stessa. La mancanza di autostima è ciò che rende l'uomo incapace di affrontare se stesso, la paura della solitudine è ciò che rende l'uomo incapace di essere se stesso. Nel mio piccolo mondo mi son sempre impegnata a mantenere saldi i miei princìpi esprimendo ciò che sono, che sento, che faccio, soprattutto ciò che vivo e come lo affronto; talvolta venendo mal giudicata, perché in quanto artista sono esposta alle critiche, alle invidie, posta alla stregua dei "poco di buono" oppure della "donna facile", capace di comporre e di creare solo con l'ausilio di droghe o di “svendersi” per la carriera. Questo perché la massa bigotta guidata dall'ignoranza, pone sulla medesima stregua calze e mutande, considerandole biancheria intima senza distinguerle. Non ho mai assunto droghe e, qualora lo avessi fatto sarei fiera di non esserne mai dipesa; non so cosa significhi essere "facile", poiché se così fosse avrei sicuramente raggiunto una solidità economica ed una popolarità decisamente più copiosa, accettando compromessi vili o calpestando il prossimo. Bando all'autoedonismo, guardiamo la realtà. Il bigottismo induce sempre a giudicare le apparenze, perciò non stupiamoci se in quanto donne piacenti e capaci di mostrare qualche vezzoso belvedere, siamo reputate delle "prede facili" o spaventiamo i poveri ometti, che ci reputano "non abbastanza serie da presentare ai genitori". Basti considerare quanti uomini siano traditi dalla propria "moglie perfetta o puritana", che sotto sotto ne combina peggio di tante altre. E' proprio la sfera femminile insicura, complessata, irrealizzata, che si presenta di fronte alla propria simile evidenziandone i difetti e ripetendo un disco rotto: << E' immorale, é una pessima madre, chissà cosa fa per vivere, é volgare, guarda come si veste, chi si crede di essere, eccetera...>> anzi, penosamente eccetera. La massa che si schiera nel ceppo dei buoni e giusti, che hanno bisogno di non sentirsi sporchi, si evidenzia molto chiaramente in questa ridicola messa in scena antagonista. La solidarietà femminile, che dovrebbe riversare la maggioranza su quella maschile, diviene lo specchio della rivalità. Proprio queste “rivali” si nascondono reprimendo ciò che vorrebbero esprimere di se stesse, che è stato loro inculcato come sbagliato od 192


immorale. Se vivessero anche per un solo giorno la propria perversione interiore liberamente, prive di repressioni sociali oppure religiose, diverrebbero decisamente peggiori della schiera di chi erroneamente considerano acerrime peccatrici. Si sposa bene in tal contesto la frase: ” Sono tutta casa e chiesa ma è il tragitto che mi frega”. E' poi facile per chi necessita di sentirsi “migliore” di altri, paragonarsi alla stregua di chi socialmente, economicamente, moralmente e persino fisicamente stia peggio di lui. E' ovvio che se io mi paragonassi ad un paraplegico mi sentirei vincente fisicamente ma ciò non significa che costui, a sua volta, sia di gran lunga vincente rispetto a me in quanto mente, spirito e forza d'animo. Chi ha bisogno di definire un suo simile “fallito” solo perché non ha un lavoro “fisso” (che di questi tempi mantiene tale significato solo su Wikipedia), oppure perché vive secondo i propri schemi sociali e mentali senza nuocere a nessuno, ha realmente bisogno di ricercare una valvola di autostima criticando gli altri. L' excursus sociale è un continuo scendere a compromessi, senza i quali molti non riuscirebbero a ritrovarsi. Per chi affronta la vita con leale espressione di sé, aldilà di occhi critici e malelingue, rifiutando i compromessi che lo rendano continuamente succube o in dovere verso il prossimo, diverrà molto difficile sentirsi moralmente o socialmente in svantaggio, benché il suo frigorifero non sia stracolmo, la sua automobile non sia appena uscita dal concessionario, il suo guardaroba non sia firmato o la sua casa sia modesta e non da “maniacale copertina”. La grande capacità di “guardarsi allo specchio”, aldilà della propria immagine riflessa, è una metafora a cui tutti si sentono in grado di attingere; ebbene, se così fosse non ci sarebbe motivo di perdere il proprio tempo prezioso giudicando gli altri, per trovare un ausilio di vantaggio o prevaricazione, che possa colmare la propria insicurezza e la necessità di avere delle conferme. Consideriamo che oggi i veri stereotipi od eroi, sono proprio coloro che tutto hanno tranne che il buon senso, la coerenza, l'onestà, la sana moralità, la sincerità, osservando che dietro le disgrazie si creano dei veri e propri business. Dunque "chi " e "cosa" è davvero sbagliato? Avendo girato parecchio all'estero ho ammirato molti luoghi in cui, 193


per mancanza di una sede pontificale in loco o per varie condizioni e tipologie di vita differenti, ho conosciuto molte persone che ritenevano naturali certi atteggiamenti ed espressioni sociali, mentali e sessuali, senza alcuna vergogna o pudore estremo. Anche il senso del pudore è un concetto bigotto, prettamente correlato all'incapacità di "sentirci liberi con noi stessi" nel timore della punizione di Dio. Proprio quel Supremo che ci ha creati nudi, privilegiati da un libero arbitrio attraverso cui sbagliare ed imparare, senza mai disprezzarci o giudicarci. Siamo nati nudi, siamo stati concepiti nudi e la necessità di libertà dal pudore non è da intendersi come ostentazione o provocazione seduttiva-corporale bensì, come libera espressione della nostra mente e personalità. Spesso si ammirano i paesi stranieri, ove il progresso e l'"open mind" viaggiano a pari sistema ma nonostante ciò, sono altresì vittime di distinzioni sociali, preconcetti, falso moralismo, razzismo ed altra sorta di discriminazione. Dunque "tutto il mondo è paese", aldilà di ciò che molti credono. L'essere umano può nascere in qualsiasi luogo della terra con una propria identificazione, che trova origini non solo dalla sua infanzia e dall' ambiente di crescita ma anche dalla mentalità con cui sviluppa i propri concetti. E' anche vero che di 'sti tempi si bada al risparmio, si predilige il concetto del “solo pensare” perchè completamente gratuito, mentre il “riflettere” è ben più caro e mette in gioco la propria capacità intellettiva, troppo spesso trascurata od assente. Il bigotto è anche colui che riflette negli altri una richiesta di perfezione morale, il falso moralista o “buon predicatore”, che si pone alla stregua della correttezza giudicando gli altri e ponendoli ad un livello “sbagliato”, perché contrari al suo punto di vista, non corrispondenti ai propri canoni di sana condotta. Sovente sarà proprio costui, che nella sfera privata e lontano da occhi indiscreti, metterà in pratica le sue perversioni più nascoste rasentando gli estremi. Questo avviene perché il timore di manifestarsi è superiore alla “necessità e libertà di essere”. Mostrarsi per “ciò che non si è”, identifica una maschera per proteggersi da quel senso interiore d'inadeguata debolezza, causato dalla mentalità inculcata da bambini o a seguito di combinazioni traumatiche della propria vita, che impediscono la libera espressione ed azione di sé, acuendo il timore del giudizio altrui. L'incapacità di sentirsi protagonisti della propria vita alimenta la necessità di divenire 194


spettatori di quella altrui, non per confronto di crescita bensì per prevaricazione sull'altro, al fine di sentirsi migliori. Nell'ultimo stadio del bigottismo si inserisce la “maldicente ignoranza”, la quale più che dettata dal pregiudizio religioso e morale è prettamente correlata alla scarsa elevatura culturale, ad un ambiente mentalmente ristretto. Purtroppo, nonostante ad oggi sia ancora impensabile che anche il più disadattato economicamente non possa raggiungere un titolo di studio medio elevato, esiste ancora una gamma di persone che criticano con cattiveria e per il solo piacere di farlo. Le critiche che espongono non sono nemmeno degne di considerarsi tali, in quanto non solo questi individui si esprimono con frasi totalmente prive di senso logico ma si accompagnano anche ad espressioni di linguaggio scurrili e vergognosamente piene zeppe di errori, che nemmeno un bambino di sei anni alle prime frasi grammaticali si sognerebbe di scrivere. Aldilà di una “e” nn accentata o di un ”h” scappata alla tastiera di un cellulare o di un Ipad, mostrano orgogliosi la totale incapacità di comporre sintatticamente una parola, simulando risatine idiote ed accusando vergognosamente, senza nemmeno conoscere gli argomenti oppure i contesti su cui vanno a colpire; invidia folle, repressione totale, di tutto si può ricercare come causale ma di certo il virus è alquanto contagioso. Non sto parlando di distinzioni culturali bensì di un potenziamento espressivo, rivolto ad una realtà virtuale attraverso cui ciascuno si possa sentire importante ed autorizzato ad intervenire. Internet è divenuto la popolare TV di massa, ove si canalizzano tutte le sfere sociali che possedendo un computer od un telefonino, si possono collegare manifestando ogni sorta di scambio, sia esso culturale che aggressivo, denso di rabbia spropositata verso chiunque. Il popolo è una massa paragonabile ad un oceano in cui si pesca di tutto, dal pesce buono al meno commestibile, fino a quelli apparentemente innocui, che sott'acqua producono più danno di altri. L'unica soluzione plausibile in certi casi, ove l'ignoranza fa da padrona è la consapevole “indifferenza”, capace di far rodere dei poveracci per non essere riusciti ad ottenere la benché minima attenzione. Invidia? Assodato, quanto lo sia rispecchiare la propria mediocrità su chi invece si adopera per migliorarla, esaltando i difetti altrui per ammortizzare i propri. 195


La mia saggia nonna Ida mi ripeteva sempre: “E' meglio un cattivo intelligente che un buono ignorante”. Restare vittime del preconcetto rilegato ad un'occlusione di aperture siano esse mentali o sociali, diviene un limbo di sabbie mobili capaci solo di risucchiare la natura e le persone. “Il libero arbitrio” secondo I. Kant “determina una libertà di scelta, in quanto realizzazione della propria razionalità”. Si suol dire che “La libertà di ognuno finisce dove inizia quella dell'altro”, ribaltato poi dall'anarchico M. Bakunin: “Maggiore è il numero delle persone libere, maggiore sarà la libertà individuale”. Si pensa borghesemente che l'essere liberi determini la scelta di come vestire, come pettinarsi, quale auto comprare, quale programma televisivo guardare, quanti cellulari o case possedere, quale religione praticare, se sposarsi o divorziare. Questa non è libertà bensì un lecito consenso della democrazia in cui viviamo, che ci illude di sentirci liberi ma ci assoggetta a dei meccanismi giuridici precostituiti e socialmente imposti. Se l'universo è realmente così immenso, se esistono altre forme di vita largamente più evolute ed intelligenti, che oltrepassano ogni senso estetico e cerebrale, non posso pensare nemmeno lontanamente, che l'essere nati liberi di esistere ci rinneghi il diritto di restarlo nella mente e nell'anima, fino alla fine.

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Seconda Parte   

I DISTURBI DELL' APPRENDIMENTO MUSICA HANDICAP MUSICOTERAPIA APPLICATA

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I DISTURBI DELL'APPRENDIMENTO La sordità Pitagora elaborò il concetto che una corda tesa produce moti vibratori complessi, multipli del fondamentale; la sua ricezione è composta dal medesimo medesimo fondamentale ed i propri armonici. La fisica acustica è alla base dei fondamenti teorici della musicoterapia umanistica. Soltanto attraverso le leggi dell’acustica sono spiegabili i comportamenti dei sordi a contatto diretto con la musica e con gli strumenti musicali. L'orecchio umano può udire i suoni nell'intervallo dai 20 HZ ai 20 kHZ e questo limite si abbassa con l'avanzare dell'età, fino a 16 kHZ. L'intensità delle onde sonore è misurata in decibel (dB), che valuta il livello delle variazioni di pressione acustica relativamente alla capacità uditiva dell'orecchio umano (dB 0=livello minimo udibile a 1000 Hz; dB 135=soglia del dolore). La scala in dB è di tipo logaritmico in quanto variazioni di +3 dB raddoppiano e di -3 dB dimezzano l'intensità sonora. Il suono procede attraverso tre diverse sezioni dell’orecchio:

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l'orecchio esterno, che trasmette le onde sonore al timpano, posizionato nell'orecchio medio;

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l'orecchio medio, trasmette questi suoni attraverso tre ossicini che fanno vibrare un fluido nella coclea o chiocciola, posizionata nell'orecchio interno, la quale trasmette le vibrazioni sonore come impulsi elettrici al cervello; tali impulsi sono interpretati come suoni.

La qualità dell’udito dipende dalle condizioni dell’ottavo nervo cranico, situato nell’orecchio interno, dove il suono viene trasferito al cervello. Un blocco interno dell'orecchio causa la sordità da difetto di conduzione; un trauma ai nervi del canale uditivo genera una sordità percettiva, causata da rumori intensi e malattie quali: la sindrome di Ménière (aumento della pressione dei fluidi nel labirinto auricolare), pro198


blemi congeniti, lesioni, mastoidite, invecchiamento e disturbi causati da farmaci. La carenza delle vitamine del complesso B nella dieta, può essere uno dei fattori che causano la sordità percettiva. L'approccio di un soggetto sordo con uno strumento musicale avviene in modo creativo; è fondamentale osservare le espressioni del suo viso, la sua postura, si procede poi con l'improvvisare; il soggetto avvertirà per istinto le sonorità nel registro grave e procederà per imitazione per eseguire le altre. Nel mondo sonoro dell'audioleso tutto è più amplificato, la proporzione del forte sarà due volte più accentuata, i suoi continui scoordinamenti negli accenti delle parole, delle doppie, si limiteranno con il canto formando una linearità sonora più controllata. Nella mie svariate pratiche didattiche e musicoterapeutiche con bambini audiolesi, ho potuto constatare come le pulsazioni ritmiche unite al gesto molto scandito e preciso, determini una percezione immediata. Fissare negli occhi il sordo ed esprimersi con una pronuncia articolata, lo aiuta a recepire la guida vocale anche senza l'uso dell'apparecchio acustico; nell'approccio con uno strumento, la base del suo apprendimento dovrà sempre essere ludica, osservandone i movimenti, eseguendo delle sonorità gravi per scandire l'accompagnamento, raddoppiando i suoni in ottave, mentre con la mano destra si eseguono delle facili proposte melodiche che lui imiterà facilmente. Il miglior approccio musicale per un audioleso è il canto. Nel secolo scorso la pedagogista croata Zora Drezancic, dopo aver operato per lungo tempo sulla realizzazione delle due pedagogie del solfeggio chiamate " sol-fa System", contribuì alla didattica del medesimo con i ragazzi sordi, determinando che nel loro sviluppo vocale devono acquisire il controllo della propria voce e la capacità di frenarla, cioè di rispettare le pause o di prolungarne la sonorità, ai fini di un buon ritmo linguistico. La voce cantata è la più ricca di strutture armoniche, impegna a fondo le corde vocali ed obbligando a modulare la voce, ne induce la pienezza sulle vocali ritmizzate. Il timbro della voce dipende dalla capacità dell'audioleso di pronunciare in modo più o meno lungo, teso o rilassato. Seguendo il programma di base della Drezancic, per avvicinare il sordo al ritmo e al solfeggio si osservano le seguenti fasi:

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 sensibilizzazione all'ascolto delle proposte vocali, con movimenti labiali ampi e definiti;  imitazione attraverso la risposta vocale alla proposta;  associazione di stimoli vocali con gli oggetti scelti;  riconoscimento uditivo dei modelli già assimilati, associati ai medesimi oggetti;  emissione di vocaboli significativi, scandendone gli accenti con movimenti labiali.

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LA SINDROME DI DOWN La sindrome di Down è una condizione genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più nelle cellule: invece di 46 cromosomi nel nucleo di ogni cellula ne sono presenti 47, vi è cioè un cromosoma n. 21 in più. Da qui il termine Trisomia 21 libera completa, perciò in tutte le cellule dell’organismo vi sono tre cromosomi 21 invece di due, non essendosi disgiunti durante la meiosi (divisione delle cellule). È un problema genetico non ereditario, infatti nel 98% dei casi la sindrome di Down non è ereditaria. La conseguenza di questa alterazione cromosomica è un handicap cronico, caratterizzato da un grado variabile di ritardo mentale, fisico e motorio del bambino. Esistono tre tipi di anomalie cromosomiche nella sindrome di Down ma tutte conducono alla stessa causa, ossia, nelle cellule dei vari organi i geni del cromosoma 21 sono in triplice dose. Le cause che determinano le anomalie cromosomiche sono ad oggi ancora sconosciute, anche se alcuni studi hanno attribuito ad esse delle ipotesi chimiche quali agenti chimici, radiazioni, infezioni virali, alterazioni endocrine materne. Sta di fatto che le trisomie sono frequenti in circa il 9% delle nascite. Non si incontrano due bambini con sindrome Down uguali ma ognuno ha le sue caratteristiche soggettive e la loro spontanea inclinazione per la musica deve stimolarli a crescere, poiché imparano come gli altri bambini ma con i loro tempi di applicazione. Il linguaggio dei suoni va utilizzato in modo attivo perciò è di fondamentale importanza agire sul tono emotivo corporeo. Le teorie della musicoterapia umanistica definiscono il fare musica e cantare su base ripetitiva anche all’interno di un gruppo, soltanto un'attività ricreativa e non evolutiva per l'apprendimento. Ritengo che proprio il gruppo sia necessario al bimbo o ragazzo down, per sentirsi "insieme agli altri” e, soprattutto nella sfera emotiva il rapportarsi con il mondo esterno lo stimola a migliorare. Durante le mie lezioni ho appurato come i ragazzi down manifestino la necessità di cambiare spesso attività, alternando strumenti musicali differenti.

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La didattica prettamente pianistica, deve essere ludica e sovente intervallata da momenti di svago, perché il soggetto down è spesso iper eccitato, non contiene l'entusiasmo o le emozioni e deve essere gratificato per proseguire. È in grado di riconoscere i suoni dopo averli eseguiti ripetutamente e singolarmente, mentre la sincronia delle due mani diviene il passo più difficile. Come dicevo poc'anzi, ogni caso down è soggettivo, perciò si presentano dei soggetti più predisposti all'apprendimento ritmico e ad eseguire delle semplici melodie accompagnate ma, nei casi più complessi, il terapeuta dovrà agire da supporto suonando "a quattro mani" e pronunciando ad alta voce le note musicali. È di grande utilità scrivere delle semplici melodie, in cui le note si ripetano e procedano per grado congiunto, non più di due o tre suoni alla volta, nel tempo semplice di 4/4. Abituate il soggetto down a scrivere le note, perché non si accontenterà di suonare ad orecchio, ha le sue ambizioni, la voglia di adeguarsi e crescere, è molto sensibile, manifesto di affetto e dona tante soddisfazioni. Non dimenticate di gratificarlo; basta poco per renderlo entusiasta e stimolarlo nell'apprendimento.

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DISFUNZIONI CEREBRALI

Dopo aver trattato i disturbi del comportamento, strettamente correlati a traumi infantili o condizioni ambientali disadattate, consideriamo la sfera prettamente cerebrale comandata dal cervello, con rilievo agli handicap che possono insorgere qualora subentrino in esso delle lesioni o disfunzioni genetiche. 203


Farò seguire uno schema esplicativo che riassuma le conseguenze delle lesioni nei due emisferi cerebrali.

Emisfero destro

Emisfero sinistro

Lesioni Emisfero dx

Lesioni Emisfero sx

Intuitivo

allargato

Disturbi delle Disturbi immagini espressione linguistica

creativo

razionale

Disturbi delle Disturbi proporzioni scrittura spaziali

immaginativo

pratico

Disturbi della Disturbi creatività ragionamento, calcolo

istintivo

logico

Disturbi espressione emotiva

olistico

lineare

Disturbi ritmico

emotivo

analitico

Disturbi motricità

riflessivo

matematico

Disturbi giudizio senso

Il precedente schema si riferisce a stati di handicap più o meno duraturi, alcuni dei quali possono trovare rimedio con la crescita e le cure adeguate. 204


Tengo a precisare, inoltre, che queste conclusioni emisferiche sono da considerarsi con moderazione poichÊ l'emisfero malato può influenzare l'altro opposto, il quale assume la funzione di entrambi generando un'immaturità cerebrale. Le lesioni cerebrali che impediscono ad un musicista di seguire il ritmo, si associano alle medesime che gli rendono difficile il controllo dei movimenti e dei riflessi.

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LA DISLESSIA Disturbo dell'apprendimento DSA e si manifesta con una lettura scorretta o lenta, unita alla difficoltà di comprensione del testo scritto, indipendentemente dall'ascolto e dalla decodifica. Il bambino compie nella lettura inversioni di lettere e di numeri, oppure ne sostituisce alcune specie le consonanti, le raddoppia scrivendole due volte, ha difficoltà ad imparare degli schemi a sequenza, per esempio l'alfabeto, le tabelline, confonde i rapporti temporali (lettura dell'ora, mesi, giorni), quelli direzionali come destra e sinistra, così come ad esprimersi verbalmente, specie a voce alta; la sua difficoltà di apprendimento veicolato dalla lettura, lo rallenta molto come tempo di elaborazione, alimentato anche dalla sua difficoltà di ascoltare e prendere appunti, creandogli complessi e sensi di inferiorità rispetto agli altri. Un dislessico si stanca più facilmente, quindi necessita di più stacchi o pause tra le diverse discipline didattiche. Si evidenza già al primo anno della scuola primaria, quando negli obiettivi finali il bambino mostra evidenti difficoltà: il mancato controllo delle sillabe nella lettura, la confusione tra parola verbale e scritta, lettura molto rallentata, incapacità di scrivere in modo leggibile le lettere anche in maiuscolo. Ottenuta la diagnosi si possono mettere in atto aiuti specifici, tecniche di riabilitazione e di compenso, come ad esempio la concessione di tempi più lunghi per lo svolgimento di compiti, l'uso della calcolatrice o del computer. I dislessici hanno un diverso modo di imparare ma comunque imparano e sono alquanto avanzati come processo mentale. È fondamentale seguire il bambino nelle attività scolastiche (leggere ad alta voce), utilizzando strumenti alternativi alla lettura, quali video, CD, computer, poiché sono di più facile elaborazione e più diretti con l'aspetto cognitivo e visivo del dislessico. Nella Musicoterapia, il coordinamento tra suoni colori, suono movimento, avviene in modo più naturale e con meno problematiche. La successione delle note nella scala musicale così come per la metrica, viene acquisita tramite l'ascolto e quindi si assimila in modo alquanto rapido; unendo il canto e la vocalità, si sciolgono la tensione cerebrale e mandibolare favorendo una pronuncia più chiara e, come avviene 206


anche nel balbuziente, agevolando la pronuncia e l'espressione verbale. Voglio precisare che la balbuzia non è un disturbo cognitivo, bensì il risultato di un blocco del funzionamento fisiologico delle corde vocali; ciò genera un disordine nel ritmo della parola, nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire ma non è in grado di dirlo a causa di involontari arresti, ripetizioni o prolungamenti di un suono. La patologia dipende dal laringospasmo a livello delle corde vocali, che impedisce il normale flusso dell'aria, determinando una paralisi che interrompe il suono nell'espirazione, bloccando le vibrazioni necessarie alla sua formazione. Anche in questo caso, il canto favorendone un rilassamento orolaringeo, è il più indicato come terapia musicale, associando esercizi di allitterazione e dizione durante la tecnica vocale.

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L'AUTISMO Chiamato anche Sindrome di Kanner è fra il più grave degli handicap, perché pur accompagnandosi ad un aspetto fisico normale coinvolge diverse funzioni cerebrali e perdura per tutta la vita. L'autismo colpisce una persona su mille ma due persone su mille presentano solo alcuni sintomi riconosciuti nello "spettro autistico", quindi non è semplice rilevarne la presenza e spesso la si comprende a fase avanzata, a seguito di seri problemi comportamentali, spesso associati a disturbi neurologici come l'epilessia, o specifici come la sclerosi tuberosa, la sindrome di Rett o la sindrome di Down. Viene considerato dalla comunità scientifica internazionale, un disturbo pervasivo dello sviluppo che si manifesta entro il terzo anno di età con deficit nelle seguenti aree: - comunicazione; - interazione sociale; - immaginazione. L'autismo non ha una singola causa, possono interferire diversi fattori genetici ed ambientali quali virus o sostanze chimiche. I recenti studi su soggetti autistici hanno rilevato diverse anomalie cerebrali; da ciò si è dedotto che derivi da uno sviluppo precoce della struttura cerebrale, interrotto nella fase intrauterina. La caratteristica più evidente dei soggetti autistici è l'isolamento; spesso non rispondono al loro nome, evitano lo sguardo, si mostrano indifferenti ed inconsapevoli dei sentimenti altrui, opponendo resistenza agli abbracci ed alle manifestazioni affettive. Hanno risposte anomale agli stimoli sensoriali, sonori, al tatto, alla realtà che li circonda; manifestano una ridotta sensibilità al dolore e questo determina reazioni comportamentali votati all'autolesione. Elencherò in breve i principali sintomi manifesti del soggetto autistico:

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        

difficoltà a stare con altri bambini; impressione di sordità o difficoltà visive; difficoltà di apprendimento; incoscienza per i pericoli reali; opposizione ai cambiamenti; mancanza del sorriso e della mimica; iperattività fisica accentuata; incapacità di guardare negli occhi; attaccamento inappropriato agli oggetti, ruotandoli ripetutamente;  persevera in giochi strani;  atteggiamento fisico rigido. Quando si riscontrano almeno la metà di queste sintomatologie, si rende necessario il controllo di uno specialista. Negli USA sono stati raggiunti notevoli risultati inerenti alla terapia curativa della sindrome Kanner ma, tuttora insufficienti a determinarne un probabile successo. Le terapie vengono studiate intorno al singolo caso e ai rispettivi sintomi, comprendono interventi educativi e comportamentali in un ambiente adattato alle difficoltà specifiche dell'autismo, associati ai farmaci. Questi interventi non curano l'autismo ma conducono ad un miglioramento sostanziale.

Come interviene la Musicoterapia? Grazie alla musica, il mondo esterno riesce a penetrare nella mente del bambino autistico. Il terapeuta dovrà assumere un ruolo non direttivo e creare un ambiente che sia il più possibile tranquillo, in modo che i suoni possano essere compresi con una certa continuità e regolarità. Diversi studi hanno dimostrato che il bambino autistico mostra una certa propensione verso la musica e che il suono e il ritmo possono migliorare le sue capacità comunicative ed il suo rapporto con se stesso. 209


Nel corso degli anni, ho suddiviso le mie terapie in due obiettivi e tre tecniche di apprendimento:

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Obiettivo affettivo/relazionate: il terapeuta funge da spettatore, lasciando libero il bambino autistico di agire liberamente, con le proprie azioni ed approcci sonori.

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Obiettivo di acquisizione: il terapeuta interviene con l'induzione guidata, coordinando per quanto possibile le gestualità del bambino, al fine di apprendere uno strumento musicale di facile entità (il tubo sonoro detto comunemente bastone "della pioggia", ha un effetto calmante).

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Tecnica ricettiva, prevede l’ascolto di brani musicali differenti (è importante l'ascolto di breve durata e vario), osservando la reazione del bambino alla melodia;

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Tecnica attiva, strettamente legate alle precedenti unendo i suoni musicali con le parole.

Gli strumenti musicali utilizzati dal bambino autistico devono essere facilmente prensili, sono preferibili tra gli aerofoni i tubi sonori, i flauti coulisse e fra quelli a scuotimento, i tubi sonori, le maracas, i tubi a sonaglio. Sconsiglio di utilizzare triangoli o strumenti con battenti se non guidati dal terapeuta, mentre suggerisco come primo impatto strumentale il tubo sonoro, detto "il bastone della pioggia", perché ha un effetto calmante, specie se all'interno della plastica vi sono palline multicolore; gli strumenti colorati attirano molto il bambino e ne predispongono il contatto mentale. Il silenzio tranquillizza qualsiasi stato di handicap ed in particolare i pazienti affetti da sindrome Down. Il contatto diretto con lo sguardo dei medesimi è lo stesso metodo efficace per i sordi, poiché determina il controllo e la comunicazione non verbale ma espressiva.

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Correlazione tra Autismo, Schizofrenia e Bipolarità A prima vista, la schizofrenia, il bipolarismo e l'autismo potrebbero apparire come malattie completamente diverse, ma un esame più attento svolto dal dott. Mark Weiser della Aviv University‘s Sackler Faculty of Medicine e dello Sheba Medical Center rivela che hanno molti tratti in comune, in termine medico eziologia (aitia = causa logos = parola/discorso), tra cui la disfunzione sociale e cognitiva e una minore capacità di condurre una vita normale e adattarsi alla realtà. Secondo recenti studi svolti in Svezia e Israele, le persone che hanno un fratello schizofrenico hanno la probabilità dodici volte superiore di avere l’autismo. La presenza di un disturbo bipolare in un consanguineo presenta un' associazione analoga benché minore. I risultati raccolti presso the Archives of General Psychiatry, in collaborazione con i ricercatori della University of North Carolina, Karolinska Institute in Svezia, Kings College di Londra e l’israeliano Defense Force Medical Corporation dichiarano l'alta percentuale di probabilità che trattasi di un fattore ereditario genetico.

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Autismo: un uomo con testa appoggiata al muro dove si confonde con la sua ombra; sono le tenebre dentro di lui che non gli permettono una corretta interazione col mondo esterno. Timore, Buio, Oscurità , lo inducono a riflettersi nel proprio Io, sfogando su di esso ogni rabbia inconscia. Il mondo esterno è il nemico. D. D.

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Musica-handicap

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MUSICOTERAPIA E CECITÀ' La Musicoterapia offre ai soggetti non vedenti o con ipovisione l’opportunità di esplorare il mondo circostante in modo creativo, guidati dai suoni. La dimensione spazio - tempo si acquisisce attraverso la presenza delle onde sonore e dagli impulsi naturali che queste generano sul movimento. Attraverso questo, essi diventano più sicuri nel muoversi all'interno dello spazio circostante, imparano a relazionarsi con se stesso e gli altri, divenendo protagonisti nell'azione, nel giudizio e nel dialogo. Il coordinamento del corpo inteso come mani, piedi, orecchio, occhio, diviene estremamente importante nella cecità oppure nella ipovisione. Per il cieco udire ed ascoltare è sinonimo di vedere ed osservare; per il bambino non vedente può anche divenire un rifiuto ad osservare limitandosi solo a guardare attraverso il proprio udito, non volendo collaborare per apprendere l'orientamento dello spazio ed il linguaggio servendosi delle mani. Attuare un percorso didattico o musicoterapeutico con un bimbo cieco o anche un adulto in determinati casi, induce ad accettare più "no" che adeguamento o collaborazione, mentre per l'ipovedente, che ha un modo differente di vedere ed è differente dal cieco, la reazione è più entusiasta; chi è cieco elabora spontaneamente delle strategie per agire autonomamente nello spazio-tempo. Nella "reazione circolare", cioè il tipo di comportamento che costituisce per l'organismo che lo mette in atto, uno stimolo ripetitivo, è importante osservare e captare i messaggi del non vedente al fine di comprendere le strategie che usa per agire, elaborare ed introizzare. Molti ignorano che il linguaggio espressivo e verbale del non vedente, sia estremamente ricco di esperienze sensoriali e percettive conquistate e non acquisite per induzione, perciò denso di spessore e significato. Il canto è la valvola comunicativa più idonea e produttiva per il non vedente nell'ambito della Musicoterapia; nell'esplorazione sonora, come avviene per il sordo anche il cieco predilige un contatto con strumenti a percussione, poiché lo predispone all'impulso ritmico. Unendo canto e ritmo, si sviluppa nel non vedente la volontà di muoversi, di interagire con l'ambiente e definire la sua individualità visibile attraverso gli impulsi e le emozioni.

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Attraverso la melodia canora o strumentale, si può educare alla notazione musicale interagendo con dei manuali o schede pratiche create apposta per l'insegnante od il musicoterapeuta, attraverso cui possono apprendere i segni della notazione musicale in braille, trascriverli successivamente su dattilobraille per poi farli rielaborare dall'allievo non vedente, che ne avrà interiorizzato in precedenza la melodia. Dopo che quest'ultima è stata analizzata insieme seguendo degli schemi educativi specifici, viene letta e dettata utilizzando la scheda relativa, descritta in codice braille. Lo scopo del manuale è proprio quello di far apprendere al bambino il sistema musicale in braille, adottando la stessa prassi di quello alfabetico. Per quanto concerne l'interiorizzazione del ritmo ed il riconoscimento dinamico sonoro, sono eseguibili gli esercizi del movimento ma con alcune varianti. Durante una mia lezione aperta con i genitori, ho guidato i bambini non vedenti a camminare tenendosi per mano, imitando dei passi pesanti alternati a quelli leggeri, così come è esemplificato nei vari metodi di apprendimento musicale, che associa suoni e dinamiche agli animali. Dopodiché ho fornito loro dei sonagli, dei tamburelli e dei triangoli, inducendoli ad imitare alcune semplici cellule ritmiche da me proposte; inizialmente questo viene attuato da fermi, poi si sincronizza suono e movimento correlando i suoni forti all'elefante ed i piano al coniglietto. In seguito, avendo preparato a casa alcune figurazioni ritmiche incise sul cartoncino, le consegnai ai bambini; sul retro di ogni scheda, le perforazioni a punteruolo lasciavano la ruvidità dei disegni musicali, di modo che essi potessero riconoscerli. Il sistema braille è simile, però se alcuni esempi sono creati dal docente, diviene più semplice per il bambino non vedente correlarli al sistema da lui utilizzato. Consiglio sempre ai colleghi all'inizio della loro carriera didattica, di non iniziare mai una terapia musicale pensando di diversificare i soggetti. Ho imparato a non notare più le differenze fisiche, senza più pensare se un bambino ha un handicap o se l'altro è differente. In questo modo si proietta una serenità mentale ed una tranquillità rassicurante, facendo sentire tutti i presenti uniti, solidali e superando la barriera dell'impedimento. La musica è un diritto di tutti e nessuno è esentato dall'usarla.

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MUSICOTERAPIA E DISABILITA' Non rientra nella mia dialettica professionale il termine handicappato; preferisco menzionare con specifiche differenze le difficoltà che alcune persone hanno di interagire con il proprio corpo. Per esempio diversamente abile a camminare, a parlare, a sentire, a vedere, a comprendere velocemente, via dicendo. Per individuare una strategia ottimale nel lavoro con le persone disabili, il musicoterapeuta dovrà affrontare di volta in volta gli esercizi e le condizioni attitudinali dei pazienti. Un primo ostacolo comune che spesso si presenta è la manualità. In ogni pratica musicale l’uso delle mani è una delle componenti primarie dell’attività. Il fare musica è un fare manuale, bisogna compiere movimenti coordinati in cui le mani rivestono sempre un’importanza centrale. Si possono naturalmente proporre attività legate alla musica che non implichino un uso della manualità, ma si dovrà necessariamente spostare la terapia sonora sulla vocalità ed il canto o su uno strumento autocostruito (ad esempio uno xilofono), in modo tale da semplificare le operazioni, che possa utilizzarsi anche con il movimento dei piedi qualora il disabile non sia totalmente paralizzato. Un percorso interessante per il lavoro con persone disabili che abbiano la possibilità di usare le mani e dunque maneggiare gli strumenti musicali di qualunque tipo, è sicuramente l’improvvisazione musicale. Ad esempio, si può lavorare soltanto sul ritmo o solo sull’intensità sonora, si possono adoperare scale oppure note a caso, scegliere sequenze inventate; è proficuo proporre degli esercizi adattandoli alle possibilità che si hanno a disposizione componendo un percorso adeguato, eliminando gli esercizi troppo complessi che non favoriscono un rilassamento muscolare o agiscano negativamente sul sistema nervoso. Ho sempre constatato nelle mie sedute musicoterapeutiche, che il canto è un comune denominatore capace di soddisfare ed accomunare qualsiasi forma di handicap, anche quelli che a seguito di un ictus o un'ischemia, hanno reso quasi impraticabile l'ausilio della bocca. Non è certo pensabile che si effettuino dei miracoli sulle condizioni di questi

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pazienti ma lo stimolo canoro e la socializzazione li inducono a cooperare ed amalgamarsi emotivamente con gli altri componenti del gruppo, con conseguenti proiezioni positive sull'umore e sulla sensibilità delle parti paralizzate. Il canto è pura proiezione di immagini mentali, che raffigurano un suono discendente strettamente correlato all'appoggio diaframmatico; perciò la risposta riflessa dei muscoli addominali anteriori e posteriori interagisce di conseguenza, alleviando le tensioni nelle parti che sono atrofizzate. Molti disabili con paresi agli arti inferiori, dichiaravano che al termine delle mie lezioni di canto usando correttamente la respirazione diaframmatica, avvertivano un rilassamento addominale talvolta appena accennato. Nell'approccio con uno strumento musicale quale il pianoforte, il soggetto disabile interagisce con maggior difficoltà, poiché la tensione che acuisce attraverso l'uso delle braccia, delle spalle, la postura della schiena, diviene talvolta aggravamento di alterazioni ischemiche ed ipertensione. Consiglio di intervenire gradualmente con ripetute pause e lezioni non superiori alla mezz'ora, intervallando con attività canore o cambiando pratica strumentale.

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MUSICOTERAPIA E MALATTIA DI ALZHEIMER La malattia generata da una grave degenerazione dei neuroni cerebrali, coinvolge ad oggi, quasi il cinquanta per cento della popolazione anziana sopra i sessantacinque anni. I soggetti colpiti dall'Alzheimer perdono gradualmente le funzioni cosiddette “mnestiche”, che riguardano la memoria, l'orientamento, la cognitività soprattutto verbale, scatenando in fase avanzata l'ossessione da smarrimento, l'aggressività, l'ansia depressiva, l'apatia e l'ostinazione. Nel 2001 l’America Accademy of Neurology ha consigliato proprio la Musicoterapia come tecnica di miglioramento delle attività funzionali e dell'Alzheimer, poiché la musica giunge dritta al cuore dei malati che riescono, nonostante le difficoltà cognitive e funzionali motorie, a mantenere attive l'intonazione, il senso della tonalità, la sincronia ritmica. La Musicoterapia interviene sulle funzioni cognitive, affettive, interpersonali, con l'ausilio di tecniche attive e ricettive. Molte delle attività che andrò a descrivere, si utilizzano anche nei decorsi musicoterapeutici per curare gli stati depressivi, schizofrenici ed autistici. Obiettivi del setting musicoterapeutico Durante le sedute i pazienti sono guidati a cantare delle canzoni popolari, facilmente riconducibili alla loro memoria, danzano a suon di musica, coordinando dei semplici movimenti, si accompagnano con lo strumentario Orff più duttile e prensile, come ad esempio i tamburelli, e le maracas, senza alcuna richiesta particolare o superiore alle proprie possibilità. Nel cantare una canzone i malati ritrovano le proprie origini, i ricordi, le emozioni delle esperienze più significative della loro vita. Inoltre riabilitano la memoria, la correlazione temporale, riacquistano il senso ritmico, la capacità di comunicare attraverso il canto di gruppo, ciò che con il linguaggio verbale non riescono più a trasmettere. Ciò perché, ricostruire una canzone in tutte le sue parti, ritmo, melodia e testo, mantiene attiva la memoria, accresce la produzione linguistica, riabilita

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la logicità rispondendo agli stimoli musicali, allena la concentrazione; inoltre la pratica canora li distrae da un contesto aggressivo e grazie ad un attento controllo della respirazione conduce al rilassamento. Dagli studi ed analisi musicoterapeutiche si è riscontrato che i soggetti affetti da Alzheimer si disorientano e manifestano difficoltà spaziotemporali. Dunque è fondamentale che le sedute avvengano nello stesso luogo e spazio, alla medesima ora, con gli stessi educatori terapeuti; gli argomenti e le attività devono seguire un ordine di successione logico e coerente. Il dovere di incuriosirli all'attività musicoterapeutica è il medesimo punto di partenza per tutte le terapie sonore. Lo strumentario musicale deve essere estremamente duttile, perciò è consigliabile strumenti dalle superfici ampie come i tamburi; così facendo i pazienti non si sentono inadeguati e frustrati, si inseriscono facilmente nell’attività ritmico sonora. Quest'ultima è fondamentale per ripristinare l'impulso motorio, coordinando i movimenti e stimolando i processi cognitivi. Ogni situazione di smarrimento rientra nello spettro della malattia ed è assolutamente proibito scatenarla con qualsiasi senso di disagio. Spesso se la condizione lo permette, si possono intercalare dei balli popolari, al fine di coordinare meglio i movimenti e favorire la socializzazione. Il musicoterapeuta diviene un valido alleato, una persona rassicurante e capace di smuovere gli stati più piacevoli e reconditi. È stato appurato che la terapia sonora riduce notevolmente i processi degenerativi dei pazienti in fase iniziale, purché le sedute siano seguite regolarmente. Il contenimento aggressivo ed umorale è modificato notevolmente:  riduzione degli stati d'ira ed aggressività;  diminuzione e controllo degli stati d'ansia, depressivi e nevrotici;  miglioramento spazio- temporale, miglioramento mnemonico;  miglioramento cognitivo e motorio, coordinamento dei movimenti più lineare e sciolto, miglioramento dello stato Wondering (vagabondaggio scoordinato);  socializzazione spontanea e capacità di rapportarsi con meno 220


tensione muscolare;  aumento dell'autostima e della consapevolezza di sè;  riattivazione dello stato emozionale ed espressivo;  superamento dell'autocompassione, distraendo il paziente dal proprio stato somatico;  riattivazione propositiva e creativa attraverso le attività canore, musicali e gestuali;  empatia tra paziente e musicoterapeuta, basilare per rassicurare e seguire regolarmente le sedute. Le manifestazioni durante e al termine del setting musicoterapeutico evidenziano aspetti positivi: applausi, risate, urla di entusiasmo, contatti fisici e rilassamento nell'approccio personale, ricerca di formazione del gruppo e solidarietà; il Wondering si placa notevolmente cedendo alla tranquillità ed alla riflessione coordinata del movimento, l'aggressività trova sfogo nel canto, nel ritmo e nell'improvvisazione strumentale, acuendo l'autostima e la sicurezza in sé del paziente, che si sente creativo ed emotivamente espressivo. Il ricordo delle melodie e canzoni popolari, sia cantante che imitate attraverso la lallazione (alliterazione bisillabe), divengono un ottimo recupero mnemonico e di ausilio negli stati afasici, per il recupero della parola. Il soggetto si sente in grado di gestire il linguaggio sonoro, andando aldilà delle inibizioni, delle paure, liberandosi dal limite della parola.

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Musicoterapia applicata

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LA MOTRICITÀ L'elemento che determina una sinestesia rappresentativa, ossia visibilmente concreta è la naturale e spontanea capacità di seguire il linguaggio sonoro con le gestualità corporee, sia allo stato istintivo che guidato. Dal punto di vista musicoterapeutico ci interessa valutare il primo stadio motorio, ossia quello puramente estemporaneo; correlare suono a movimento non deve avere come obiettivo finale la giusta dinamica gestuale, bensì ha la funzione di liberare e disinibire la sensorialità ricettiva del paziente. Quando si tratta l'argomento motricità, si identificano in essa tutti i soggetti abili al movimento, cioè non diversamente abili o con disfunzioni fisiche non àtte al movimento. Sinestesia: suono movimento, impulso sonoro Seguire il suono con il movimento è la fase primaria dell'ascolto musicale, propedeutica alle differenti associazioni organizzate, che portano poi al l'analisi sonora, al riconoscimento ritmico e alla creazione musicale. Inizialmente la scelta di brani semplici e di facile ascolto, con ritmo incisivo alternato a melodie più tranquille, trascina il paziente a seguirne l'andatura con movimenti naturalmente attinenti alla linea melodica, specie nei bambini. Talvolta è possibile osservare come alcuni di essi si rotolino a terra, saltino e corrano, seppur ascoltando una musica armoniosa e pacata. Mi è capitato spesso durante la fase di ascolto de L'acquarium dal Carnevale degli animali di Camìlle Saint-Saëns, di osservare come alcuni bambini si eccitassero come se stessero ascoltando il can can. Il loro stato emotivo rispondeva a quella stimolazione sonora quale gioia, liberazione, come sentirsi in un film di Walt Disney ed associare già scenari immagazzinati in precedenza attraverso fiabe musicali, cartoni animati. Ecco che la loro mente in qualche modo suggestionata, li riportava ad imitare gestualità già vedute esprimendone le sensazioni emotive.

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La libertà gestuale è totalmente libera, non segue alcun condizionamento iniziale. Successivamente alla fase espressivo corporale, si cominciano ad associare immagini e colori ai suoni ascoltati o alle emozioni provate. Le caratteristiche soggettive che emergono a seguito di questa attività, sono davvero stupefacenti, capaci di rivelare un mondo totalmente nascosto, che non può comunicare in altro modo se non con l'espressione non verbale. Negli anni ho voluto codificarlo come linguaggio ermètico, poiché non riesce a trovare parole nel bambino; egli esprime attraverso un linguaggio estemporaneo e non condizionato dalla mente, quel tassello sottilissimo che appartiene allo strato più profondo del suo inconscio Colore, suono, gestualità, parola, un wortondrama wagneriano che conduce ad una fusione fra le arti espressive, al fine di raggiungere i vertici più profondi del nostro essere. Ecco a cosa attinge la Musicoterapia, nel lasciare libera espressione e riconoscere in essa la predisposizione a scegliere i propri mezzi comunicativi sonori, esplorandoli senza condizionamenti. Il processo sinestesico si riconduce proprio a questo, nel lasciare libero impulso gestuale, motorio, grafico, creativo, interagendo principalmente con la sfera emotiva e trascinando lo stimolo corporeo e l'immaginazione. L'uso del corpo unito al gioco, sia in Pedagogia Musicale che nell'ambito della Musicoterapia, prendono come riferimento il metodo dalcroziano, nato per finalità didattiche ma concepito alla luce della variegata complessità del linguaggio musicale. Émile Jaques-Dalcroze, pseudonimo di Emile Henri Jaques (Vienna, 6 luglio 1865 – Ginevra, 1º luglio 1950), è stato un pedagogo svizzero. La sua importanza nell'apparato didattico musicale, risiede nello sviluppo dell'euritmica, un metodo per insegnare e percepire la musica attraverso il movimento interiorizzando il ritmo sonoro con il corpo. Ritmo e movimento sono intimamente correlati, perché è proprio il movimento corporeo a generare nel cervello il senso ritmico. Lo psicologo pedagogista svizzero Jean Piaget, determinò come il bambino riesca a cogliere il senso della "durata" attraverso i gesti istintivi, come per esempio, alzare le braccia ed avvicinarle, interiorizzando istintivamente il senso della durata temporale.

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Una visione che si presta a ripercorrere gli obiettivi, i metodi e le attività attraverso le quali si sviluppa il lavoro di due discipline diverse per certi aspetti ma che lavorano simultaneamente, si definisce sinergia. Gli esercizi pratici delle Tecniche Corporee e dei giochi didattici ideati dal metodo Dalcroze completano le Metodologie Musicali, rendendo funzionale la formazione dei didatti e dei terapeuti. Motricità sensoriale nei soggetti disabili Il diversamente abile non potrà partecipare direttamente ad una seduta di motricità ma potrà recepirne la sensorialità, attraverso le emozioni e le gestualità espresse dai compagni fisicamente abili. Gli esercizi inerenti alla corporeità sinestesica saranno quindi assimilati passivamente, con il medesimo risultato. Sul piano ricettivo i migliori esercizi sono applicati con la vocalità, poiché è una componente che tutti, eccetto i disfonici con conseguente incapacità di emissione vocale, possono eseguire con spontanea facilità. Non mi riferisco in alcun modo all'intonazione, perché nell'ambito prettamente musicoterapeutico non si considerano le attitudini al canto ma la forma di catarsi o liberazione emotiva che esso genera. I suoni, le vocali, le allitterazioni sono liberamente espresse in modo alternato e non misurato, come una forma di linguaggio primordiale, rilegato all'infanzia. Urla, grida, risata unite al suono vocale, rientrano nell'espressività estemporanea. Nei casi di handicap che impediscono una corretta funzionalità dei muscoli facciali, si elabora un metodo di imitazione che in diversi casi mi ha facilitato il lavoro rieducativo, cioè, i medesimi soggetti posti di fronte ai compagni non con la medesima problematica, si sforzavano di imitarne nel modo più lùdico e naturale, la posizione mandibolare corretta. Non è sempre così ma, nella maggior parte dei casi la solidale emotività che coinvolge il gruppo nel canto libero e privo di parametri schematici, può realmente aiutare in queste patologie fisiche. Ho potuto, inoltre constatare nel mio percorso didattico in collaborazione con l'Università di Torino sezione disabili, che procedere con esercizi respiratori mirati all'uso del diaframma, sebbene i soggetti interessati

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fossero paraplegici e sostenessero notevole fatica nell'eseguire una corretta respirazione, ha reso possibile la percezione dell'apparato addominale abitualmente contratto e rilevandone benefìci da tensione, respirazione affannosa e dolori addominali. La consequenziale attività canora ha poi esteso questo benessere in tutto l'apparato psico emotivo rivelando miglioramenti anche da un punto di vista neurologico.

Koch e la grafia

Nel paragrafo successivo andrò a descrivere le attività raffigurative espresse attraverso il suono, così come il movimento ne rappresenta l'impulso ritmico e dinamico. Il riflesso grafico si rifà all'albero proiettivo di Karl Koch, un test psicologico comparso per la prima volta nel 1949, attraverso cui si rappresentano le proiezioni del soggetto stesso. Tra i metodi proiettivi rientrano i test eseguiti sul disegno e sulla psicografologica, tenendo conto della disposizione del foglio, delle righe marcate e dei colori associati. La discontinuità delle righe ed il pronunciarsi di colori molto scuri, così come una grafica poco lineare o repentina ai cambiamenti, possono associarsi a disturbi più o meno gravi della psiche umana. Correlando questa attività alla musica si riescono a proiettare le emozioni più nascoste, che talvolta nei soli test kochiani non si riescono a delineare con chiarezza.

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Musica e movimento: il movimento del corpo in una classica elevazione di danza; la musica ed i colori ne fanno da ombra. Il movimento, l'elevazione, lo slancio nel vuoto, acuiscono il senso di LibertĂ interiore, di predominio sul mondo, acquisendo padronanza del proprio corpo.

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LA RAFFIGURAZIONE SONORA L'espressione grafica è la libera manifestazione soggettiva delle proprie emozioni, che scaturiscono durante l'ascolto di un brano musicale. Intesa come attività pedagogica e musicoterapeutica, essa non deve in alcun modo divenire condizionata o guidata al fine di ottenere delle rappresentazioni prettamente sonore. Il suo fine è determinare l'immaginazione ed il grado di inibizione inerente sia alla sfera infantile che a quella adulta, con la variante che nel bambino le associazioni mentali saranno più correlate alle emozioni del presente, incondizionate ed estemporanee, mentre il soggetto adulto le esprimerà in modo più condizionato, considerate le barriere mentali e di autodifesa che ha sviluppato negli anni. L'associazione tra suono e grafia include diversi parametri musicali, primo fra i quali il timbro, inteso come una particolare qualità sonora che permette di valutare suoni differenti di uguale intensità e altezza. La differenza timbrica è più evidente nella voce, con differenti tipologie di emissione, a cui si associa la coloratura, cioè la peculiarità che 229


vocalmente differenzia il timbro stesso. Le analogie con il colore sono molteplici, soprattutto per la percezione visiva, infatti esso è designato come colore del suono (tone-colour) o (klangfarbe).

Disegno di un soggetto bipolare

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Disegno di un soggetto affetto da sindrome di Peter Pan

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Disegno di un soggetto con sindrome di Kanner

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I SUONI CORPORALI

Solo nel secolo scorso si è iniziato a prestare una grande attenzione al potere del suono e del canto. Nel 2001, le ricerche e gli studi condotti negli Stati Uniti dall’American Academy of Neurology, indicano il canto come possibile terapia per i casi di Dislessia, Autismo, Alzheimer e morbo di Parkinson. Le nostre funzioni mentali, emozionali e sensoriali sono codificate nella voce come lo sono le informazioni nei nostri geni. Canticchiare a bocca chiusa e cantare naturalmente "ripulisce il cervello", perché il suono, le sue vibrazioni e l'aria nel tratto orofaringeo, sono trasmesse parzialmente nel cranio, ed effettuano in esso una sorta di massaggio. Ciò permette una maggiore afflusso di liquido cerebrospinale attraverso il cervello, aiutandolo a rimuovere il cosiddetto materiale di scarto. Il canto quale tecnica vocale, si basa non solo sull'intonazione ma, per generare un bel suono e determinarne un buon controllo, utilizza l'appoggio con il diaframma; ciò è di notevole aiuto nella musicoterapia, alfine di inspirare la giusta dose di fiato ed espirando con esso tutte le tensioni del corpo. Alla nascita tutti respiriamo naturalmente con il diaframma, perdendone poi la percezione a causa degli stati emotivi, che creano contratture modificando il respiro naturale. La respirazione passa dunque da diaframmatica a polmonare e costale. È una tecnica su cui insisto molto, non solo nella didattica specifica del canto lirico o moderno, bensì la applico nella Musicoterapia, sia per controllare gli stati d'ansia che per interagire con i muscoli addominali paralizzati. L'ascolto attraverso l’orecchio quale strumento di percezione uditiva, è la principale guida nel canto, che può essere naturale oppure assoluto, cioè quando si identifica una nota musicale avendola ascoltata anche una sola volta, senza l'ausilio di altri parametri sonori. Non è affatto scontato che proporre di cantare venga accolto con semplicità: spesso usarne il termine incute paure, inibizioni, timori e ritengo sia meglio usare il termine voce.

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Nella mia carriera di cantante lirica, ho sempre cercato di sviluppare la didattica vocale, che ritengo sia fra le più complesse da trasmettere, perchè cercare di spiegare a parole ciò che in realtà appartiene alle sensazioni che variano da soggetto a soggetto, è un arduo lavoro. Sovente chi ha un dono naturale vocale, difficilmente riesce a trasmettere con l'insegnamento la didattica canora; talvolta si può ottenere un suono appoggiandolo o aprendo la bocca in un certo modo, ma solo la giusta percezione di come farlo determina la sua riuscita, perciò bisogna anche saperlo spiegare. Nella Musicoterapia, si tende spesso a trascurare l'impostazione della voce, ossia non si elabora l'emissione del suono "in maschera", non si insiste sulle tecniche canore prettamente definite "del belcanto", poiché non interessa ai fini emozionali. L'obiettivo finale di questa attività, è mirato a sciogliere le tensioni alimentando i circuiti bio energetici che agiscono direttamente sui geni cerebrali. Il coordinamento tra suono e parola è di ausilio primario per i dislessici, per i balbuzienti e particolare attenzione deve essere rivolta all'apertura della bocca, che funge da organo trasmettitore dell' emissione sonora; nella didattica del belcanto, essa è la regolazione del bel suono, usando un'apertura naturale ma che timbri la voce, ossia conduca gli armonici sonori nei risonatori facciali. La lingua è determinante nella posizione che definisco "a cucchiaio" e deve lasciare più spazio possibile alla cavità della bocca, che funge da cassa armonica. In coloro che hanno subìto un'ischemia facciale, insistere sui dettagli è alquanto inutile poiché non sentono le percezioni interne dei muscoli mastoidei; però ho constatato che in diversi casi, farli cantare per imitazione seguendo naturalmente il gruppo, si attua in loro un impulso nervoso che li induce ad aprire la bocca così come ad articolare le parole con più chiarezza. Con i disabili costretti sulla sedia a rotelle, insisto molto sulla respirazione, perché dai risultati ottenuti in quasi tutte le mie terapie musicoterapeutiche, le percezioni dei loro muscoli addominali e lombari si acuiscono notevolmente, oltre che generare un benessere psicofisico. Il ventre, che nella dottrina ayurvedica è il fulcro delle energie del prana (l'energia lunare che risvegliata interagisce con una "depurazione"

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delle energie negative, apportando calma, tonificando la mente ed il corpo. è portato in tutte le parti del corpo. Queste sensazioni sono dimostrate costantemente al termine delle mie terapie musicali, come ringraziamento e conferma della corretta esecuzione. Per i non vedenti, il canto è la comunicazione "per eccellenza"; non potendo concentrare le attività sullo spazio e sul movimento, il linguaggio sonoro esprime tutta la loro sfera sensoriale ed emotiva in modo più amplificato, tant'è vero che spesso ho avuto alunni non vedenti con l'orecchio assoluto ed una perfetta intonazione. Anche quest'ultima non è rilevante nella Musicoterapia, ma si può correggere procedendo per induzione, ossia indurre il soggetto all'ascolto della propria voce, registrandolo. Talvolta con l'imitazione di un suono prodotto correttamente, alcuni soggetti si adattano alla giusta frequenza correggendosi, mentre in altri casi si lavora sulla terapia del canto di gruppo. Secondo la disciplina canora non ci sono stonati ma soggetti ineducati al canto. Come ogni disciplina, se non viene coltivata sin da piccoli e in un ambiente adeguato, non si svilupperà, a meno che non possiedano un talento naturale. Posso confermare che dopo accurate tecniche di lavoro sul suono, ho ottenuto dei miglioramenti nell'intonazione di certi miei alunni ma, posso classificarli nella fascia tra i sette - sedici anni, dopodiché diviene ben più difficile. Questo è spesso rilegato ai freni inibitori del mondo adulto, specie per coloro che si approcciano allo studio del canto o di uno strumento in età adulta, nutrendo l'entusiasmo per la disciplina ma nel contempo vergognandosi o temendo di apparire ridicoli. Ripeto sempre che non esiste un'età limitativa per imparare uno strumento musicale, purché ci si renda consapevoli del limite di traguardo. Perciò suddivido i miei corsi didattici in amatoriali e ministeriali, in base alla fascia di età ed alla scelta personale, mirata alla tipologia di studio che si vuole intraprendere con uno strumento; in genere, chi inizia a studiare musica in età più adulta lo fa a scopo amatoriale, sebbene anche questo debba essere didatticamente valido e ben seguito.

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Stonare o non ascoltare? Agli inizi della mia carriera didattica non mi trovavo così d'accordo con il concetto pedagogista, secondo cui "non esiste un individuo stonato, bensì ineducato all'ascolto musicale e sonoro". Negli anni, soprattutto applicandomi come musicoterapeuta e docente di canto, ho constatato quanto sia corretto credere alla possibilità di educare un orecchio musicale, a qualsiasi età. Sin da piccoli, intercalare le attività canore nelle scuole, nei centri ricreativi e nello stesso ambiente famigliare, forma una capacità di riconoscimento sonoro nonché di espressività e socializzazione, che influenzano un buon sviluppo cognitivo e creativo. Sovente ci si trova a cantare in età adulta, più consapevoli dei propri limiti e più capaci di stabilire se un determinato suono emesso non corrisponda a quello proposto. La consapevolezza, anche in questo caso, è fonte di ausilio per migliorare ed indurre il soggetto ad ascoltarsi; nel caso in cui non ci si renda realmente conto della stonatura o differenza tra il suono vocale emesso e quello strumentale proposto, si possono ricercare delle cause di apprendimento, non necessariamente gravi ma che creano un blocco ricettivo da parte dell'emisfero cerebrale. Ogni qualvolta mi sia trovata di fronte ad alunni adolescenti o adulti, che durante la prima lezione di canto non riuscivano ad individuare il suono da me proposto al pianoforte, nemmeno cantandolo assieme a loro, riflettevo sfiducia e perplessità sui risultati futuri. Nel momento in cui ho iniziato ad interagire con la convinzione che fossero solo da "educare all'ascolto", ho iniziato ad ottenere dei buoni risultati, così come è avvenuto per coloro che possedevano una voce flebile; a seguito di un accurato lavoro didattico e tecnico, il loro volume vocale è aumentato, grazie anche ad un accurato controllo diaframmatico. Interagire con un alunno apparentemente stonato, è graduale e non deve divenire invasivo od impositivo, bensì "guidato". Talvolta si possono presentare delle varianti al problema della stonatura, per esempio in alcuni soggetti, si verifica la difficoltà a riconoscere solo i suoni più gravi, mentre quelli acuti si individuano con più facilità. Questo perché alcuni non riescono a percepire i suoni a frequenza minima 16 Hz o al di sotto di questa.

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Anzitutto bisogna insistere sulla respirazione diaframmatica, con esercizi basilari che sincronizzino inizialmente solo la voce parlata; procedendo a gradi, si avvicina la sincronizzazione tra respirazione, suono parlato e suono cantato, intonando una nota alla volta in modo prolungato per prendere coscienza dell' "appoggio", a bocca chiusa per sviluppare la sensorialità del suono "in maschera". Successivamente, gli stessi suoni che inizialmente si eseguono stonati, verranno indotti con la tecnica che io ho denominato " a sirena", ad incanalarsi sul suono giusto, lavorando di proiezione mentale; facendo sì che l'allievo figuri la propria voce come una sirena o un elastico sonoro, capace di allungarsi o restringersi passando gradualmente dal tono grave a quello acuto, troverà la giusta intonazione memorizzandola come corretta. Nella fase seguente, si inizia a pronunciare la vocale "A", con l'induzione guidata dal parlato al cantato, facendo notare la differenza nell'apertura della bocca, nel suono emesso tra "gola" e "maschera", accentuando la posizione della lingua riposta "a cucchiaio" verso il basso, con morbidezza mandibolare. Alcuni insegnanti di canto adottano la " i " come vocale più nasale o la consonante "m" o " n"; ritengo sia molto soggettivo per un didatta, quale vocale utilizzare o se partire dalle consonanti, a seconda del proprio schema propedeutico e in base al soggetto che ha di fronte. Quando si ripeteranno gli esercizi, dopo una breve pausa, si noterà come l'allievo riconosca il suono e lavori sull'emissione del medesimo, proiettandolo in modo più intonato ed alleggerendolo spontaneamente per avvicinarsi il più possibile a quello proposto. Cantare ad occhi chiusi, in questi casi è molto utile, perché aiuta a concentrarsi meglio e a proiettare il suono attraverso l'immaginazione. La proiezione sonora specialmente nel canto, si adegua perfettamente al corretto appoggio diaframmatico convergendo il suono più acuto verso il basso. Più si sale nella gamma sonora e più si pensa di scendere. Certamente, il risultato non sarà preciso ma, la sola consapevolezza del soggetto che si riconosce come intonato, pone le basi per la fiducia in se stesso e nell'impegno a migliorarsi. Il picchiettato è una tecnica canora alquanto faticosa, perchè implica l'ausilio del diaframma in modo “saltellante”; diviene talvolta divertente ma alquanto stancante e poco amata da chi frequenta un corso di musicoterapia. Inoltre è da attuarsi solo in determinati casi, in cui l'handi-

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cap non sia accentuato nelle zone lombari ed addominali, oppure in totale assenza di malformazione fisica. Le attività canore, il canto di gruppo, sono le tecniche riabilitative "per eccellenza" negli stati depressivi, nelle malattie quali l'Alzheimer e nell'handicap in generale. La pratica canora proietta l'aggressività sulle emozioni creative, permette un controllo della respirazione e quindi conduce al rilassamento.

I GESTI SUONO Partendo dal dato di fatto che la musica è generata dal suono, dalle sue vibrazioni e dal ritmo, incrementa il microcosmo e macrocosmo di armonia. Il ritmo in musicoterapia è una delle componenti essenziali da assimilare; il soggetto che assimila il ritmo attraverso il corpo lo apprenderà più facilmente. Si parte dal metodo euritmico dalcroziano, che interagisce attraverso i canali degli arti superiori, inferiori, dagli impulsi che il ritmo genera sulle persone, inducendole a seguirne dei movimenti che possono essere coordinati o scoordinati. Inizialmente si pone sempre un soggetto all'esplorazione dello spazio, con esercizi psicomotori mirati a prendere confidenza con lo spazio circostante. Si possono associare alla camminata libera dei momenti di pausa correlati all'interruzione improvvisa di un brano musicale, al fine di rispettare il suono ed il silenzio, inserendo poi dei giochi ludici per risvegliare i riflessi, quali ad esempio i cerchi. Posizionando questi ultimi a terra, si indurranno i bambini ad impadronirsi del proprio cerchio ogni volta che il brano musicale verrà interrotto; se ne eliminenerà di volta in volta qualcuno per acuire la prontezza dei riflessi nel conquistare quelli rimasti. La sinestesia corporea si inserirà durante tutto il percorso spazio- suono, lasciando liberi i pazienti di esprimersi ed osservandone le reazioni attive, quali: gestualità più ampie quando il suono che cresce od il ritmo

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accelera, così come le reazioni passive, ossia quando il soggetto resta indifferente. Non bisogna confondere in queste attività pedagogiche, la timidezza o l'imbarazzo con sintomi patologici o antisociali. Nella fase successiva si applicheranno degli esercizi ad imitazione, cioè basati sulla proposta del terapeuta seguita dalla risposta identica dei bambini o ragazzi presenti. Il gioco può essere eseguito anche dai genitori, qualora seguano il proprio figlio durante la terapia. La finalità di questi ritmi motori mira alla sincronizzazione, al coordinamento degli arti superiori ed inferiori, poiché gli esercizi prevedono l'alternarsi delle mani e dei piedi in simultanea o separatamente, unendo la voce per scandire il ritmo con sillabe di TA e di TI. Percezione ritmica, memoria, concentrazione, sono strettamente correlati. Ê un'attività che eseguo spesso per premiare i bambini al termine delle mie lezioni, in quanto sono sempre entusiasti di eseguirlo. L'introduzione delle maracas, i sonagli, legnetti e i tamburelli conferisce un primo approccio di ritmo sincronizzato con lo strumento, seguito da un facile esercizio di "esplorazione sonora". Si può improvvisare un'orchestra, in cui tutti i bambini suonano uno strumentino a scelta diretti dal terapeuta o dal docente, che li indurrà con movimenti molto ampi, a suonare con differenti dinamiche (piano, forte), seguiti da altri più incisivi per differenziare la velocità ritmica (lento e veloce), trasmettendo le prime nozioni di dinamica ed agogica sonore. Il pugno indicherà il silenzio. Questo esercizio si può eseguire anche con le sole voci. Ho denominato questo esercizio "Il direttore d'orchestra", ed è sempre accolto con entusiasmo dai bambini, maestre e genitori. Tornando al ritmo, si comincia a sincronizzare le pulsazioni con l'induzione guidata, in cui si eseguiranno collettivamente degli esercizi abbinati ad un brano musicale seguendone il ritmo con l'ausilio di una pallina o di uno strumentino (quest'ultimo preferibile perché è più prensile). Si possono eseguire da fermi e successivamente camminando, per rendere la sincronizzazione degli impulsi ritmici più difficile, acuendo la concentrazione e sviluppando la capacità di eseguire movimenti diversi nel medesimo tempo. Alternare il passo marciato al saltello per eseguire il ritmo binario e ternario, sincronizzando il battito delle mani o il suono degli strumenti, ac-

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centua le pulsazioni ritmiche; seguendole con l'induzione guidata, cioè aiutato dal terapeuta, il soggetto ne sincronizza il movimento ed "interiorizza il ritmo". Talvolta ho potuto constatare che, aldilà della corretta esecuzione motoria o con gli strumentini, il fanciullo posto di fronte ad uno strumento musicale più classico (pianoforte, chitarra, etc), rivelava notevoli difficoltà a tenere il ritmo. Ciò perché l'impulso ritmico esterocettore, ossia generato da uno strumento esterno al corpo, viene eseguito con tecniche di apprendimento differenti e che coinvolgono manualità e gestualità differenti; tuttavia, chi ha interiorizzato da piccolo il ritmo attraverso il corpo, ha meno difficoltà ad "andare a tempo", coordina più facilmente le due mani e l'uso contemporaneo dei piedi, inserendo anche la voce, che nella propedeutica strumentale è di grande sostegno per l'apprendimento melodico.

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L'ASCOLTO SONORO Educare all'ascolto mira ad esprimere e consapevolizzare alcuni aspetti fondamentali del mondo sonoro. Per esempio, la distinzione dinamico sonora che il bambino e anche l'adulto non ferrati in materia musicale identificano come "alto" e "basso", sarà successivamente guidata alla definizione di "forte, mezzo forte, fortissimo" per le sonorità intense, oppure "piano, dolce, doppio piano" per quelle più ridotte. Lo stesso varrà per i suoni acuti e gravi, comunemente riconosciuti come chiari e scuri e, soprattutto nella sfera agogica (velocità del brano) si fa spesso confusione tra lento e piano, oppure veloce e forte. Quest'ultima fase la constato sovente nei miei alunni di pianoforte anche adulti, che al mio invito di eseguire più lentamente un brano lo suonano più piano in quanto volume. Nemmeno la sfera compositiva appartiene all'ascolto musicoterapeutico, ossia non è necessario analizzare l'armonia che genera un brano musicale per esprimerne l'aspetto emozionale.

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Si considera la musicoterapia un valido tramite propedeutico per l'apprendimento del linguaggio musicale e dei suoi principali componenti ritmici.

LE FILASTROCCHE Interiorizzare il ritmo attraverso il corpo ne elabora in maniera più rapida l'apprendimento ma se procediamo con attività propedeutiche, diviene più divertente per i bambini creare delle combinazioni differenti, alternando la gestualità e la voce. Questa attività pedagogica si esegue anche nelle sedute di Musicoterapia, come ausilio per migliorare le prestazioni durante la fase di acquisizione, di sincronizzazione dei riflessi. Utilizzare delle semplici filastrocche, che inseriscano l'ausilio delle mani, dei piedi, scandisce in maniera precisa le differenti metriche della parola o del suono, che possono essere successivamente raffigurate utilizzando dei semplici schemi. Nella fase pedagogica, questa attività è propedeutica alla vera e propria notazione musicale. Le filastrocche con un testo insensato definite popolarmente "non sense o senza senso" sono le più creative, nonché idonee per scandire ritmi differenti; ponendo in corrispondenza della rispettiva parola la sua scansione ritmica, si ottiene una breve composizione che può essere eseguita contemporaneamente con voce e corpo fino a raffigurarla, cioè riportando le figure ritmiche su una linea cartacea includendo delle alternanze ritmiche differenti. Un bambino può eseguire la prima riga relativa alla prima strofa della filastrocca e gli altri compagni ne eseguono le successive, alternandosi oppure sovrapponendosi, così da creare delle vere e proprie orchestre corporali; se a questo si associano dei piccoli strumenti Orff, il gioco diviene più educativo e ricreativo. Nella filastrocca "non sense" sono riportate le scansioni ritmiche delle parole. Ogni suono può successivamente identificarsi con allitterazioni quali Ta, Ti.

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Alternando i suoni corporali di voce, mani e piedi, possiamo introdurre anche gli strumentini quali tamburelli, legnetti, metallofoni, maracas, espandendo l'esecuzione degli stessi nell'accompagnamento di un semplice brano musicale. Spostando gli accenti delle parole si può creare un ritmo ternario, una successione di crome puntate e sincopi, assimilando con naturalezza i valori delle note e della loro durata.

Se nella terapia musicale si vuole raffigurare meglio il suono, le scansioni saranno in semiminime, minime, crome; ritengo, però, che questa fase sia piÚ propedeutica alla didattica musicale ma può essere utilizzata come stimolo mnemonico, raffigurando i valori ritmici e mischiandoli come un gioco di carte.

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Nella fase successiva si raffigurano le scansioni ritmiche sullo schema libero.

Suddividendo le varie voci o strumenti, si possono utilizzare dei colori differenti per aiutare la distinzione visiva delle diverse voci strumentali. In seguito si può elaborare uno schema analogo per rappresentare le diverse dinamiche sonore ed il silenzio. Un pallino piÚ grande o colorato per il forte, seguito da altri piÚ piccoli per il piano, la Z per il silenzio. Si possono distinguere gli strumenti in: acuto, medio, grave.

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L'IMPORTANZA DELL'IMPROVVISAZIONE Mediante l’improvvisazione al pianoforte il musicoterapeuta dà un senso alla gestualità, ad un movimento corporeo, ad un vocalizzo; si può improvvisare accompagnando una marcia, una serie di saltelli, lo scotimento di un sonaglio, di strumento idiofono, del silenzio, elemento fondamentale nella pratica musicoterapeutica. Le tecniche oche non prevedono esecuzione o improvvisazione hanno il vantaggio di essere ripetibili, dei veri standard favoriscono la sperimentazione di tipo quantitativo. In questa categoria si ritrovano moltissimi repertori da sottoporre all'ascolto sonoro e all'interpretazione. Ci sono altri metodi invece sottolineano senza mezzi termini la necessità che il musicoterapeuta sia un musicista e di ottime qualità. Improvvisare è come parlare, comporre, cantare, è necessaria correttezza armonica e ritmica, acuire l'ascolto della tonalità del brano, quindi sviluppare l'orecchio per chi di nozioni musicali non ne possiede. L’improvvisazione, spesso, è una qualche forma di organizzazione del caos, che può realizzarsi in tempo reale mentre si suona, oppure stabilendo anticipatamente delle regole (induzione guidata). Il musicoterapeuta dovrà seguire delle regole alquanto specifiche nella struttura improvvisativa: - accentare i tempi forti sul battere e suonare più piano nel levare, mentre per dare spessore e rimbalzo ritmico si esegue il contrario, così da evidenziare un ritmo ternario o puntato; - variare il fraseggio e creare melodie cantabili, desunte da temi di canzoni pop attuali o canzoni popolari. Quando si esce fuori dalla tonalità seguire determinati accorgimenti per esempio suonare alcune note esterne alla tonalità come di passaggio e farle risolvere sempre sulle note tonali più vicine tonica- dominante- tonica o brevi sviluppi di tonica - secondo grado - quinto - tonica, mentre per le tonalità in minore vale invece considerare i gradi salienti e cioè il primo ed il quinto (su cui si formano le principali cadenze più il quarto

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grado o sesto del modo minore) Per esempio: mi- la- si7 mi- rappresenta una cadenza I -IV - V - I nella tonalità di mi minore. - seguire una regolarità nel cambio di accordi, anche sono al di fuori della tonalità di origine del brano e non ripetere mai le medesime frasi musicali; - eseguire tutte e dodici le note specialmente se si suona in stile jazz o ragtime; - evitare virtuosismi, poiché più il ritmo è scandito e semplice e più giunge in maniera intelligibile all'orecchio dell'ascoltatore. Ricordate che un buon musicista è colui che "crea" partendo proprio dall'improvvisazione, poiché divenire solo un buon interprete di altri è alquanto limitativo; non è basilare per imparare la musica conoscerne prima le strutture, l'importante è gestire il proprio strumento musicale attivamente e non subirlo. Pensiamo a come vengono inseriti nell'ambito del mondo sonoro i bambini sovietici, giapponesi, francesi o americani, che già si approcciano al canto dai tre anni in poi e si divertono ad improvvisare al pianoforte su temi in diverse tonalità. La libertà del linguaggio sonoro è sinergico all'improvvisazione, sviluppa la capacità estemporanea di interagire con i suoni e le armonie, estendendosi anche su chi, per causa di una natura ingiusta, non può vedere con gli occhi o sentire attraverso le orecchie ma può recepire ed assimilare con estrema facilità, utilizzando gli altri sensi. E che ruolo ha il silenzio? La musicoterapia è l'arte di armonizzare i silenzi e le pause, per permettere la comunicazione aldilà della parola. Ascoltare è una funzione che si basa sul contrasto tra il silenzio e il suono. Un buon musicoterapeuta è colui che sa maneggiare il silenzio, perchè è la prima espressione del paziente quella di ascoltarsi, riconoscersi e riconoscere l'altro. Questo aiuta anche in campo psicoanalitico come "ascolto di sé e dell’altro" :

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non sovrapporsi al suono interno ed esterno ma imparare ad ascoltarlo e rispondere alla sua comunicazione. Le terapie sonore o analitiche trovano nel silenzio il punto di forza per aiutare il soggetto ad entrare nella dimensione dell’ascolto di se stessi, nella comunicazione "non verbale", in cui il linguaggio acquista significato soprattutto grazie al silenzio. La seduta musicoterapeutica che si svolge sul canto, adotta l'improvvisazione ed i giochi sulle vocali e consonanti, particolarmente adatte per i dislessici. Partire dalla parola, dal suo accento, dalle sue pause, dai suoi respiri; la sua importanza in musica è correlata agli accenti forti e deboli, alle suddivisioni binarie e ternarie, lo stesso procedimento che si attua partendo dalle filastrocche.

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LA MUSICOTERAPIA PRE PARTO

La Musica nell'ambito pre natale utilizza la comunicazione psico fonica che è molto similare a quella psico tattile, attraverso cui il feto già nella ventesima settimana può avvertire le carezze, gli stimoli piacevoli e dolorosi. La madre si avvicina al contatto diretto con il bimbo utilizzando la propria voce in maniera non convenzionale, non solo imparando ad impostare un suono dolce e rassicurante ma ad interagire con la respirazione diaframmatica; in tale modo allenterà gli stati d'ansia preparandosi al parto. Le canzoni si rifanno all'infanzia, all'adolescenza materna, fino alle ninna nanne e filastrocche. Se vi è anche una conoscenza seppur elementare di uno strumento musicale, lo si adotta in ambito terapeutico per creare melodie semplici accompagnate. Il setting pre parto si svolge di norma collettivamente ma spesso ho gestito le singole mamme che affrontavano in maniera specifica alcune pratiche, quali ad esempio la respirazione, il canto, la strumentalità. Le immagini che le future mamme proiettano attraverso l'ascolto musicale proposto, eseguito o graficamente rappresentato, sono le medesime che richiameranno alla mente durante il travaglio. Ho seguito diversi travagli negli ospedali francesi, in cui mi era

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consentito di utilizzare la musica durante le prime fasi delle contrazioni, cessandole non appena esse divenivano ravvicinate. Le mamme si proiettavano le situazioni sia sonore che respiratorie, riscontrando un notevole autocontrollo al dolore. Le musiche non devono assolutamente essere dissonanti, poco rassicuranti, bensì molto distensive. Certi colleghi musicoterapeuti convergono nel porre all'ascolto musiche di carattere ansiogeno, credendo di seguire la ritmicità concitata del battito cardiaco durante il travaglio ma lo sconsiglio vivamente. Le danze lente e strettamente correlate alla respirazione, sono considerate di valido ausilio nel setting musicoterapeutico fino all'ottavo mese, dapprima eseguite con libera gestualità e poi guidate secondo le ritmiche del brano. L'uso degli strumenti viene associato in base al tipo di proiezione che la madre riceve dalla musica e che provoca nel suo feto una risposta rassicurante. Scientificamente è stato appurato sui neonati le cui madri hanno seguito la Musicoterapia, una reazione più serena nell'impatto con il mondo, avvertono una sicurezza affettiva, sono più tranquilli, si addormentano rapidamente al suono della voce materna, che ripete le stesse melodie eseguite per lui all'interno del ventre; inoltre risultano più curiosi, aperti alle relazioni e all’adattamento. In alcuni ospedali del sud America, si organizzano delle vere e proprie mini orchestre, che suonano all'interno dei reparti maternità al fine di addormentare i neonati.

L'udito fetale Verso la trentesima settimana la percezioni uditive del feto sono sviluppate ed il bimbo recepisce i suoni esterni. Le pulsioni ritmiche, invece, si evidenziano già prima del settimo mese di gravidanza; studi approfonditi sul feto hanno rilevato delle risposte agli stimoli ritmici ed acustici fino a 500 Hz già nella venticinquesima settimana, stabilizzandosi alla trentaduesima. Verso la ventisettesima settimana lo sviluppo uditivo fetale è quasi del tutto sviluppato ed incomincia a discernere alcuni stimoli da altri,

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definito in termine scientifico "habituation acustico sonora" All'interno del feto si avvertono accelerazioni cardiache ed attività motorie già nella sedicesima settimana, che variano a seconda degli stimoli acustici ed addirittura delle armonie. È in questa fase che si incomincia il lavoro musicoterapeutico interagendo con le abitudinarietà fetali, che rilasseranno il bambino quando verrà al mondo. Altri stimoli ritmici interni sono captati dal feto prima ancora della venticinquesima settimana, quali il battito cardiaco della madre, rumori corporei, digestivi, vascolari, placentari e vocali. Le percezioni uditive sono legate all'orecchio medio che inizia già nel secondo mese e giunge a maturazione nell'ottavo. Alla trentesima settimana il feto è in grado di reagire perfettamente agli stimoli sonori. A partire dalla ventottesima settimana il percorso musicoterapeutico lavora anzitutto sul suono vocale, sonoro e sulla respirazione, in modo tale che il bimbo memorizzi i suoni che riconoscerà dopo la nascita e serviranno per rassicurarlo. È assolutamente sconsigliato specialmente nei primi mesi, sottoporre il feto a rumori intensi, poiché si acuiscono accelerazioni del battito cardiaco e dei movimenti fetali. È invece fondamentale procedere con musiche rilassanti, gestualità morbide e distensive. Gli studiosi convergono sul fatto che il fenomeno di riconoscimento ritmico e sonoro in età fetale formi il comportamento e l'apprendimento del bambino; recenti scoperte hanno attribuito all'esperienza sonora fetale la predisposizione di quest'ultimo alla familiarizzazione, alla spontaneità esplorativa del mondo circostante. In risposta ad ogni scetticismo a riguardo, si può sottolineare che ogni esperienza emotiva, sensoriale, uditiva vissute all'interno del feto, determinano un'esperienza di vita primordiale che per nove mesi si imprimerà all'interno del nascituro, restandovi per tutta la vita.

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Terza Parte    

STRUMENTARIO ORFF LINGUAGGIO SONORO TERAPIE AYURVEDICHE CONCLUSIONE

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CARL ORFF

Carl Orff (Monaco di Baviera, 1895 +1992), compositore tedesco e direttore d'orchestra. Nel 1924 fondò a Monaco, in collaborazione con la moglie, la Günterschule, una scuola di musica e danza basata sui principi di educazione musicale di E. Jacques-Dalcroze, dando vita alla metodologia pedagogico-musicale basata sull'unità di musica, danza e parola diffusasi poi in tutto il mondo. La produzione tipica di Orff è caratterizzata da una insistenza ritmica generata dall'uso prevalente di strumenti a percussione etnici e da una declamazione molto scandita, che hanno procurato una facile diffusione ai suoi lavori teatrali; tra i più famosi ricordiamo il trittico "Trionfi", composto dalle opere-cantate o opere-balletti (tutte in un atto), i Carmina Burana (1937), su testo di medievali "canzoni profane per cantori e cori da eseguire con sussidio di strumenti e di immagini magiche". Quello di Orff non è un metodo (come erroneamente è inteso in Italia) costituito da una serie di esercizi ritmici progressivi che portano a una determinata abilità, ma una linea pedagogica che concede spazio all'inventiva e alla creazione personale. Nel concetto Orff, "La musica si impara facendola traducendo in concreto il proprio bisogno di viverla fisicamente ed emotivamente, così che essa contribuisca alla nostra formazione e crescita globale". I primi quaderni dell'Orff Schulwerk, realizzati in collaborazione con Gunild Keetman e Hans Bergese, furono pubblicati, in via ancora sperimentale da Schott fra il 1931 e il 1934; i cinque volumi della Musik fur Kinder tra il 1950 e il 1954, servendo da modello per le versioni nelle diverse lingue occidentali ed orientali (22 edizioni).

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LO STRUMENTARIO ORFF NEL SETTING MUSICOTERAPEUTICO

IDIOFONI: Il materiale con cui lo strumento è fatto, produce il suono grazie alle sue proprietà naturali di durezza e elasticità. Si distinguono in tre categorie a seconda della modalità di suonarli: - a percussione Gli idiofoni a percussione vengono attivati grazie alla percussione tramite un corpo o un utensile afono (mazzuolo, battente, mani ecc.). - a raschiamento La vibrazione è prodotta mediante l'azione di raschiamento di una bacchetta o di una lamina su un corpo con la superficie dentellata. - a concussione Gli idiofoni a concussione sono strumenti costituiti da due o più elementi coordinati che vanno battuti l'uno contro l'altro.

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CLAVES Strumento idiofono costituito da una coppia di bastoncini cilindrici di legno. Per suonarlo si percuote un bastoncino contro l'altro. Lo strumento è originario dei Caraibi e del Brasile. CIMBALI Strumento idiofono a concussione costituito da due elementi uguali in metallo. Di forma leggermente convessa e proporzioni ridotte, si sorregge dai lacciuoli che partono dal centro della cupola e usati in coppia vengono sbattuti uno contro l'altro. CASTAGNETTE Strumento idiofono a concussione costituito da due elementi uguali in legno o plastica, incavati a forma di conchiglia e legati insieme ad una estremità con un cordoncino. XILOFONO Questo idiofono a percussione è l'evoluzione occidentale della marimba. Come la marimba infatti è costituito da una serie di tavolette di legno (dal greco Xulon = legno) percosse con mazzuoli. MARIMBA - BALAFON) Idiofono a percussione africano. La marimba è costituita da una serie intonata di tavolette di legno di diverso spessore e lunghezza disposte su un telaio a cornice sotto il quale sono fissate delle zucche vuote di diversa taglia con funzione di risuonatori. METALLOFONO Strumento idiofono a percussione, costituito da una serie di piastre di metallo intonate in scala diatonica o cromatica e poste su un telaio a cornice. Per l'attivazione si percuote con un mazzuolo.

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MARACAS Idiofoni a scuotimento latino-americano, costituiti originariamente da una zucca vuota riempita di semi secchi o granelli di sabbia e provvista di impugnatura. CABASA Il nome in portoghese significa "zucca". E' uno strumento idiofono a scuotimento e quello originale consiste in una zucca essiccata e svuotata rivestita di con una rete di perline colorate o semi. TUBO SONORO A SCUOTIMENTO Particolarmente idoneo nel setting musicoterapeutico per predisporre il paziente al rilassamento, specialmente indicato per i bimbi autistici. Si flette lentamente da sinistra a destra e viceversa, coordinando la lentezza del movimento affinché le palline colorate all'interno scorrano da una parte all'altra, producendo un fruscio simile al vento o alla cascata. Può essere sostituito dalla cabasa.

GLOCKENSPIEL Idiofono a percussione della famiglia dei metallofoni. Praticamente è un metallofono in miniatura con piastre di acciaio intonate. Può essere diatonico o cromatico. TEMPLE BLOCK Strumento idiofono di legno cavo a forma sferoidale, con una fessura anteriore, e di diametro variabile; solitamente si usano quattro o cinque Temple block insieme, percossi con bacchette da tamburo o simili.

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WOODBLOCK Strumento idiofono di legno cavo a forma di parallelepipedo, con una o due fessure. Quello più comune è l'occidentale, costituito da due cilindri di legno cavi, con fessura, uniti per la base da un segmento sempre cilindrico ma di diametro inferiore. SONAGLI Idiofono a scuotimento usato e prodotto in molte forme. Esistono cavigliere di vario materiale che raccolgono tre o più sonagli e ancora supporti in legno o plastica come quello illustrato con forma e numero variabile di sonagli applicati. TAMBURELLO A SONAGLI Idiofono a scuotimento della sotto categoria dei Sonagli a cornice. In questo strumento il corpo risonante (due piccoli cembali) è sospeso tramite un perno ad un corpo afono (il telaio ) e da questo eccitato. In commercio se ne trovano di vario materiale (telaio in plastica) e di varie forme (semicircolari). GUIRO Idiofono a raschiamento latino-americano ma di origine africana. Il modello più usuale è costituito da una zucca cava, di forma ovoidale, con tante piccole tacche parallele sulla superficie. Si suona raschiando la superficie con una bacchetta.

RAGANELLA Strumento idiofono di legno formato da una piccola ruota dentata fissata sopra un manico ed inserita in un telaio girevole con una lamina che va ad appoggiarsi ai denti della ruota. Facendo ruotare il telaio , l'estremità della lamina striscia lungo i denti della ruota.

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WOODAGOGO Strumento idiofono di legno formato da due cilindri cavi di legno di diversa altezza e spessore con una fessura laterale. La loro superficie esterna è dentellata come quella del guiro e possono essere sia percossi che grattati. AEROFONI: Questa è probabilmente la categoria meno usata in musicoterapia anche se non mancano le eccezioni. Tutti gli strumenti che hanno come vibratore primario l'aria, vengono attivati grazie all'apporto di fiato dell'esecutore e ciò rende più difficile il loro utilizzo e la loro "condivisione" all'interno di un setting musicoterapeutico, per motivi prettamente igienici. Una soluzione consiste nel far acquistare al paziente un proprio aerofono, flauto o armonica.

MEMBRANOFONI: Questa categoria rappresenta il serbatoio a cui il paziente si approccia maggior spontaneità. I membranofoni sono quegli strumenti il cui suono si origina dalla vibrazione di membrane tese. - tamburi tubolari La cassa di risonanza di questi tamburi presenta una varietà di forme tubolari, di altezza generalmente maggiore del diametro. Possono avere la pelle ad una estremità o ad entrambe. Possono essere attivati con le mani e con bacchette.

OCEAN DRUM Questo membranofono è piuttosto particolare perché sfrutta le membrane tese sul telaio circolare. È un tamburo bipelle e nello spazio vuoto

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tra le due membrane ci sono delle piccole sfere metalliche che rotolano da una parte all'altra della pelle producendo un suono per "sfregamento" molto simile al suono prodotto dalla risacca marina. Può anche essere percosso con un battente morbido.

CONGAS Le Congas fanno parte della famiglia dei membranofoni a barile dove il diametro a metà della cassa è maggiore che alle estremità. E' usato in coppia da in piedi o appoggiato sul supporto. Tra i membranofoni usati in musicoterapia le congas sono quelle che maggiormente si sviluppano in senso verticale; infatti nel setting il paziente che utilizza tale strumento deve stare in piedi coordinando l'equilibrio. Talvolta lo strumento viene anche coricato e suonato orizzontalmente. D'JEMBE' Il Djembé fa parte della famiglia dei membranofoni a calice dove la cassa ha un piedistallo cilindrico che si allarga superiormente in un ampio capitello. Se ne trovano sia con la cassa in legno e la pelle conciata sia con il fusto in fibra e la pelle sintetica.

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BONGOS Coppia di piccoli tamburi, ciascuno dei quali è formato da un fusto di legno (o di fibra) a tronco di cono. Le dimensioni dei due tamburi differiscono in modo da offrire due sonorità diverse. La facile trasportabilità lo rendono molto adatto e di conseguenza mai assente nella dotazione strumentale del musicoterapeuta. TAMBURELLI A chiavette permettono di regolare la tensione della membrana sul telaio tondo. Esistono anche non "intonabili". Ci sono poi dei tamburelli ai quali, nella profondità del telaio in apposite fenditure, sono stati inseriti dei piccoli piatti con perno centrale, i quali entrano in vibrazione scuotendo lo strumento. STEEL TANK DRUM ( batteria a serbatoio), è uno strumento metallico possedente delle vere e proprie "lingue d'acciaio", ognuna calibrata in modo da produrre una nota diversa. Il primo modello di steel tongue drum nacque nel 2007 dalla mente di Dennis Havlena, che lo ottenne sezionando un serbatoio da 20 lb di gas propano. Le scale possono essere intonate dall'esecutore sia in pentatoniche che in diatoniche. È uno strumento molto adatto per le terapie autistiche e depressive.

IL LINGUAGGIO MUSICALE

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LA SEMIOLOGIA MUSICALE La musica ed il linguaggio utilizzano la medesima materia sonora ma con materiale differente. Nell'ambito della sua comunicazione non verbale, si concepisce la musica come asemantica, ossia non rapportabile al concreto linguaggio verbale. Secondo l'australiano Richard Court (1971), la musica può essere un fenomeno sociale e, come tale, considerarsi semantica, ossia può identificarsi con il linguaggio sociale che è l'essenza del fenomeno sociale stesso, rapportandone elementi comuni come segue. a. Il linguaggio e la musica possono essere entrambi considerati come suono organizzato correlandoli in: LINGUAGGIO Intonazione Accenti Ritmo Timbro

MUSICA Altezza Intensità Durata Timbro

b. Linguaggio e musica comportano dei componenti comuni: Fonemi. Morfemi. Parole Proposizioni Frasi Enunciati

Note Temi musicali Frasi musicali Sezioni musicali Movimenti sinestesici Pezzi o brani

Analizziamo qualche comparazione secondo gli studi del semiologo russo Roman Jakobsòn, enunciati nel 1932 al circolo di Praga. La nota musicale è la cellula o unità sintattica del linguaggio musicale ed è comparabile con le parole del linguaggio verbale; non è quindi differente dal fonèma che costruisce la parola. Variando il sistema armoni-

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co melodico, si ottiene una differenza pari alla diversità fonetica di una lingua straniera, i cui accenti e pronuncia saranno altrettanto differenti. Valutiamo alcune semplici correlazioni tra linguaggio e musica, per chiarire il concetto. a. L'opera musicale per esprimersi utilizza un proprio codice (notazione, armonizza, valori, durate, dinamiche, etc). b. Attraverso l'opera l'artista si esprime. c. La musica suscita emozioni mentali che possono rappresentarsi attraverso la notazione musicale, una canzone, una poesia, nonché espanendosi ad arti grafiche, corporali. La semiologia musicale Ferdinand De Saussure, semiologo svizzero della seconda metà 1800, considerato il fondatore della linguistica italiana, asseriva che, se si vuole scoprire la vera natura della lingua, bisogna anzitutto comprenderne la correlazioni con tutti gli altri sistemi del medesimo ordine. In tal modo considerando i riti, i costumi come dei simboli o segni grafici, possiamo vederli sotto un altro aspetto, raggruppandoli nella scienza semiologica, che ha come obiettivo quello di spiegare la natura e, nell'ambito musicale, di descrivere i fenomeni di richiamo che la musica genera. Stabiliamo due criteri molto importanti: a. Un virtuoso privo di creatività, sarà un ottimo interprete di opere altrui ma il vero artista deve anche saper creare opere proprie, sviluppare sin dall'inizio, quella capacità di giocare o improvvisare la musica. b. Un musicista privo di tecnica limiterà sempre la propria musicalità e la propria creatività. Tuttavia, essa non deve essere un fine per colui che si approccia ad uno strumento, bensì deve essere quest' ultimo al servizio di chi lo vuole suonare. Il fine musicale non è il grado di virtuosi-

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smo necessario per suonare perfettamente l'opera bensì l'opera medesima condivisa. In sostanza, ridurre la musica alla sola pratica strumentale o al solo virtuosismo non raggiunge lo scopo finale di condivisione. La musica non deve ridursi alle sole note perfettamente eseguite, così come le parole non devono ridursi alla sola performance del narratore. Il musicista deve poter suonare senza leggere, improvvisando, esprimendo se stesso con uno sviluppo armonioso libero da ogni precostituzione. In quanto al solfeggio, in questo spirito libero ed estemporaneo, non necessità di codificazione. Basti pensare a quanti individui sono in grado di cantare e suonare, armonizzare ed improvvisare senza alcuna conoscenza precedentemente acquisita sul solfeggio. È la forma estemporanea che accompagnò il rudimentale jazz, la prassi improvvisativa di molte scuole russe, americane, francesi e giapponesi. L'analisi semiologica studia il processo dalla fase iniziale di un'opera sino all'ultimo fruitore. Jean Molino intorno agli '70 schematizzò questo processo in tre punti focali: la poietica, il livello neutro, il livello estesico. Poietica: riguarda tutto ciò che va dalla concezione alla realizzazione dell'opera musicale, quindi l'ambiente, il compositore, le influenze sociali, le condizioni di composizione, .... Livello neutro: è spiegato secondo le teorie di Jean-Jacques Nattiez (1976), come la fase in cui non si decide a priori se i risultati ottenuti saranno attinenti allo scopo dell'opera, perciò si identifica come neutro, procedendo fino alla fine di una procedura data, indipendentemente dai risultati ottenuti. Estesica: riguarda la facoltà di percepire l'opera nella sua totalità, dall'ascolto all'analisi (compositore, interprete, ascoltatore, musicologo).

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TAVOLA RIASSUNTIVA

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LA SINAPSI MUSICALE La sinapsi o giunzione sinaptica (dal greco toccare, connettere) è una stimolazione strutturale esterna che favorisce la comunicazione dei neuroni del tessuto nervoso con altre cellule sensoriali, muscolari o endocrine. Attraverso la sinapsi , l'impulso nervoso interagisce tra i neuroni o tra questi e le fibre muscolari-nervose. Farò un esempio per spiegare in termini elementari come e cosa genera una sinapsi. Nelle situazioni che non corrispondono al nostro abituale modus vivendi tendiamo ad ascoltare dentro di noi una voce precostituita, ossia il richiamo alla nostra educazione ricevuta, al nostro stato inibitorio spesso correlato dalle influenze esterne, dal preconcetto e dal pregiudizio. Quella voce che ci giudica, ci fa sentire in colpa, genera in noi quelle sinapsi (collegamenti neuronali), che abbassano la nostra autostima e la nostra capacità di vibrare su frequenze energetiche più sottili, quali l'ottimismo, la gioia, l'amore. Questa critica autodistruttiva trova origini dalla nostra infanzia, da qualche autorità a noi legata affettivamente o familiarmente che ci sgridava facendoci sentire sbagliati, inadeguati, incapaci. Questo si ê registrato nel nostro cervello come "giusto" benché non lo fosse, condizionandoci anche da adulti, lasciandolo emergere ad ogni occasione, senza però rendercene conto. Se quella voce ci sta insultando e ci fa sentire un perdente appena commettiamo uno sbaglio anche minimo, noi possiamo opporci e non accettare la critica distruttiva. Possiamo riconoscere l'errore se è dipeso da noi o valutare il confronto con chi ci ha indotto a commetterlo, ribadendoci che d'ora in poi faremo più attenzione ma, gentilmente far capire a noi stessi o a quella voce dentro di noi, che con le critiche e gli insulti nessuno ha mai ottenuto grandi risultati se non crearsi dei nemici e mangiarsi il fegato dalla rabbia. Quando una nostra buona azione ha prodotto un buon risultato, impariamo a lodarci da noi stessi, come se dovessimo lodare un caro amico che ha compiuto qualcosa di importante.

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Autolodarci ogni volta che ci sentiamo soddisfatti di noi stessi, creerà delle nuove sinapsi, che andranno a sostituirsi alle vecchie distruttive, con energie positive, costruttive ed abbattendo le nostre barriere emotive. Secondo i miei recenti approfondimenti sull' estetica aristotelica, la sinapsi è strettamente correlata con il nostro inconscio, dunque il mondo sonoro è abile a risvegliarne non solo gli effetti primordiali ma anche i retroscena dei nostri ricordi, dei nostri riflessi infantili e delle proiezioni attuate fin dalla prima infanzia: “Un suono generato dal cosmo viene matematicamente riprodotto nell'orecchio umano, con particolari processi materiali che stimolano la mente umana a sorvolare la propria errata natura infallibile, ossia indurla all'analisi del sé ed affrontarne le conseguenti amarezze e delusioni. Se ciò non scaturisce al fine educativo è totalmente improbabile che l'uomo progredisca come anima rimanendo vittima dei suoi preconcetti e costumi”.

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IL SUONO NELLA TERAPIA MUSICALE Ritenendo l’Universo come una grande organizzazione di vibrazioni, ed essendo anche l’uomo il risultato di una complessa somma di vibrazioni, sembra logico pensare che possano esistere frequenze sonore capaci di curare o di avere qualche benefica influenza sulla salute umana. L’esperienza e la cultura suggeriscono però che non è proprio così. Vi sono scuole di pensiero che partono dalla cimatica, e che ritengono possibile curare o comunque trasmettere benessere applicando particolari frequenze al corpo umano. Esistono anche liste di queste frequenze consultabili. E’ una cosa che può sembrare logica, basandosi su fenomeni fisici che si rifanno alla natura vibrazionale dell’uomo. 174 HZ favorisce il contatto con l' IO interiore 396 HZ libera dai sensi di colpa e dall'ansia 417 HZ favorisce ai cambiamenti, lascia andare il passato 480 HZ equilibra le funzioni della ghiandola pineale 528 HZ frequenza "miracolo", riequilibra il DNA utilizzata nelle terapie riabilitative. I canti gregoriani sono l'antico esempio di tale frequenza riequilibra animo e mente. 741HZ stimola l'Io interiore 764 HZ equilibra il sistema nervoso 852 HZ riporta l'ordine spirituale 963 HZ aumenta l'energia spirituale Oltre 928 HZ frequenza terapeutiche x DNA

ACCENNI DI ACUSTICA L'Acustica è quella parte della Fisica che studia la produzione, la propagazione e la ricezione del suono. Un'onda sonora sinusoidale emessa dai corpi in vibrazione, è percepibile all'orecchio umano ad una frequenza compresa da 16 a 20.000 Hz.

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Il Suono, è l'onda acustica generata da una vibrazione periodica. Il Rumore è l'onda acustica a cui manca una periodicità vibratoria. La Fisica sonora identifica il suono in base a: L'Intensità energetica, che si muove nell'unità di tempo attraverso una superficie perpendicolare alla direzione del suono. La Frequenza, ossia il numero delle oscillazioni che la sorgente compie nell'unità di tempo, misurata in Hz. La Struttura dell'onda, che dipende dal numero e dalla qualità delle sue armoniche. Le Caratteristiche sonore si definiscono in base alla tipologia di percezione, quali: L'Altezza o percezione uditiva, che distingue il suono in grave ed acuto e dipende dalla frequenza delle vibrazioni. I suoni più acuti emettono onde sonore caratterizzate da una maggiore frequenza. L'Intensità sonora, dipende dalla maggiore o minore ampiezza delle vibrazioni sonore; maggiore è l'intensità così ne consegue l'intensità energetica dell'onda. Il Timbro, strettamente correlato alla sensazione uditiva, distinguendo due suono di uguale altezza ed intensità. Esso dipende dal numero, dalla qualità e dall'intensità dei suoni generati da uno fondamentale. La Risonanza del corpo elastico, che sottoposto volontariamente ad un'oscillazione raggiunge la massima ampiezza, la quale sarà a sua volta, strettamente proporzionale alla frequenza propria del corpo che l'ha generata.

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LE TERAPIE SONORE AYURVEDICHE Le campane tibetane

Note anche come singing bowls, fanno bene al corpo e alla psiche, perché generano vibrazioni e suoni terapeutici che toccano le corde più segrete dell’anima sbloccando i sette chackra. Le più piccole emettono suoni acuti, mentre in quelle più grandi il suono è più potente e grave. Quelle comunemente usate sono in bronzo, mentre le tradizionali sono compiste da sette differenti metalli correlati ai sette pianeti:

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oro = sole; luna = mercurio; stagno = giove; rame = venere; piombo = saturno; ferro= marte; mercurio = mercurio. Provenienti dalle cerimonie buddiste dei monaci tibetani, si diffusero presto anche in Nepal ed in Cina, per ricongiungere durante la preghiera l'anima con la buddhità. Il loro benefico utilizzo nel mondo occidentale ha riscontrato numerosi consensi nella medicina Ayurvedica, creando delle vere e proprie tecniche di esecuzione per generare le vibrazioni curative delle singing bowls, direzionandole sui chackra bloccati. Tre fra i 72.000 nervi che attraversano il nostro corpo sono determinanti:

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Ida, l'energia lunare detta apana, che elimina le tossine rintemprando mente-spirito; il suo contrasto termico è piacevolmente tiepido.

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Pingàla l'energia solare detta prana, che dona energia, purifica corpo e mente donando calore. Prana ed apana generano l'Hata, che in sanscrito significa fusione tra sole e luna. Sushùmna, si genera alla radice della spina dorsale ed attraversa l'intero scheletro posteriore fino alla radice del settimo chackra, nella zona coronale e pineale (terzo occhio). Kundalini regna alla base della colonna lombare, è l'energia detta dell'equilibrio, che se alimentata da tutte e tre le energie diviene fulcro di flusso perfetto delle arterie e delle fasce nervose.

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Gli armonici del metallo di cui sono composte le singing bowls sono molto intensi, si uniformano con l'energia spiralica del corpo e ne consegue un benessere fisico mentale; quando uno o più chackra risultano bloccati, le vibrazioni risultano meno intense e prolungate. Se proviamo a riempire le bowls di acqua ponendole in vibrazione, si 269


evidenzieranno delle espansioni del liquido in forma differente, a seconda della tecnica sonora applicata. A scopo terapeutiche è d'uso tenerle vuote. . tecnica a percussione, si utilizza il batacchio in legno per le campane più piccole ed il battente con peltro per quelle più grandi, vengono poste vicino al corpo della persona, solitamente all'estremità del capo, all'altezza delle tempie; si lascia agire la vibrazione del suono fino alla fine, senza interagire con altri strumenti. Nella meditazione classica si associano anche altri effetti strumentali, generati da idiofoni, aerofoni e metallofoni. La terapia più indicata, però, prevede la disposizione di sole campane grandi o solo piccole, potendole alternare a seconda del tipo di disturbo che si va a trattare. Interagendo con i sette chackra, si prediligono quelle più grandi. . tecnica dello sfregamento, la campana viene sfregata al suo esterno, producendo un suono più sibilante; solitamente lo si alterna alla vibrazione continua. . tecnica corporale, le campane più piccole vengono poste in vibrazione direttamente sul corpo del paziente, in posizione supina o prona, in corrispondenza dei sette chackra. Il suono delle bowls si correla anche ai colori, infatti in molti centri musicoterapeutici dell'Oregon e della California si associano alla cromoterapia. Il colore azzurro, ad esempio, è intonato con la frequenza di 432 Hz in correlazione con il quinto chackra a 384.816 Hz. Le bowls in questo caso si intoneranno con la frequenza pronunciata dell'OM in autocontrollo respiratorio, sempre a 432 Hz. Ogni colore ha una sua frequenza specifica ed è associato ad uno dei sette chackra, con le relative tonalità. Il re minore è sempre correlato al secondo chackra definito Svadhishthana, localizzato all'altezza dell'ombelico; il mantra è “vam” oppure “o” correlate al Sole. Entrambi vanno intonati in re minore con controllo del diaframma.

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Il letto sonoro Ăˆ una pratica che viene utilizzata in alcune terapie musicoterapeutiche nei casi di morbo d'Alzheimer e di Parkinson. Il suono viene recepito non solo attraverso il canale uditivo ma si diffonde in tutto il corpo agendo direttamente sui tessuti e sulle cellule, attraverso i sette chackra energetici.

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L'individuo si sdraia in posizione supina su un asse di legno rialzata, sotto la quale sono poste le corde che il terapeuta suonerà simultaneamente ai movimenti del paziente, per stimolarne le fasce muscolari. Le corde suonano un monocordo, non si differenziano tra loro se non per la tiratura e la lunghezza, ciò perché la loro funzione non è correlata ad una melodia ma al massaggio sonoro ed all'impulso della vibrazione sonora diretti alla fascia nervosa e muscolare. Agendo sul medesimo suono si generano le vibrazioni secondarie, ossia gli armonici, che attraverso la cassa di risonanza composta dall'asse in legno vengono assorbite dal corpo del paziente, secondo la legge della risonanza. Un corpo dotato di frequenze viene posto in vibrazione da un onda sonora esterna e tale fenomeno non esiste solo nell'acustica bensì anche nelle frequenze non sonore, quali le luci, i colori, i minerali, eccetera. Nelle nostre azioni quotidiane scambiamo continuamente energia con l'ambiente, producendo un flusso continuo dall'interno all'esterno e viceversa. La frequente abitudine di attribuire agli altri la causa dei nostri malesseri fisici ed emotivi con i conseguenti fallimenti materiali, non è causata dall'ambiente ma dalla risonanza energetica sulla quale si sintonizza una determinata frequenza che esce dal nostro corpo; l'energia che rilasciamo con dubbi, paure, rabbia o rancori, vibrerà su frequenze ambientali basse e corrosive. Ecco perché il pensiero rivolto a persone od episodi che ci hanno fatto soffrire, ci genera malessere ed incorpora un meccanismo di scambio negativo con l'ambiente che ci circonda, impedendoci di sentire dentro di noi gli stimoli positivi e propositivi. Su questo concetto interagiscono le vibrazioni armoniche, agendo direttamente sulla colonna vertebrale che attraversa tutta l'energia di kundalini, cioè l'embrione delle nostre energie vitali. E' molto importante comprendere che per stimolare determinati muscoli, i movimenti del paziente devono essere precisi e coordinati con il suono emesso, perciò niente in questa tecnica terapeutica s'improvvisa. È possibile sostituire il letto sonoro con un pianoforte a coda sul quale si sdraia il soggetto, avendo come struttura le corde disposte orizzontalmente lungo tutta la tavola armonica. Ho constatato personalmente che in alcuni centri specializzati

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americani e francesi, adottano un sistema analogo sostituendo al letto sonoro o al pianoforte delle casse laterali poste ai quattro lati del lettino, che vengono monitorate all'esterno da una tastiera elettronica o un pianoforte amplificato. Questa pratica molto trendy non ha niente a che vedere con il lettino sonoro specialistico, bensì è una forma di rilassamento sonoro che si può effettuare comodamente a casa propria con delle musiche appropriate. In Italia si è creata una tecnica di registrazione e riproduzione attraverso un apposito microfono detto "olofono" che permette di riprodurre un suono in modo simile a come viene percepito in natura dall'apparato uditivo dell'uomo. Molti di voi ricorderanno The Final Cut dei Pink Floyd, registrato con tale ausilio. L'ambiente della Musicoterapia è sempre colorato e ampio per quanto concerne le attività motorie, così come per le terapie di rilassamento si predilige l'insonorizzazione e le luci soffuse, colorate fisse o alternate. La cromoterapia è fondamentale per l'ambiente musicoterapeutico, poiché il colore e le tonalità della luce irradiate verso una parte specifica del corpo, trasmettono le vibrazioni che riportano in equilibrio le energie, secondo la legge della vibrazione non sonora. Sul mercato è possibile reperire “letti sonori” realizzati con legno di betulla o di massello, muniti di 53 corde fino a 112 corde.

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CONCLUSIONE La musica è un canale incommensurabile per impiegare la nostra energia in modo creativo, capace di creare in ciascuno di noi quell'equilibrio mentale ed emotivo che ci induce a combattere, a confrontarci senza timore di sentirsi inferiori, ad accettare le nostre sconfitte partendo dal rischio di aver vissuto. Nessuno può vivere senza provare emozioni e chi le reprime, sia per paura che per ignara consapevolezza, diviene un satellite vitale nell'universo, che riflette le verità nascoste restandone escluso. Non ho certo la piû remota illusione che questo libro divenga un bestseller ma ogni giorno che ho dedicato a questo lavoro, mi ha rigenerata rimettendomi in gioco con me stessa, con gli orizzonti illimitati della mia volontà di creare. Ad oggi il "reinventarsi" è divenuta l'arma vincente per non arrendersi, specie per chi come noi artisti ha riflesso nella musica e nell'arte le proprie ambizioni e nemmeno per un attimo ha pensato di fare "marcia indietro". Arthur Miller asserì: " Meglio la certezza del fallimento che l'eterna incertezza del successo, che probabilmente non arriverà mai". Se da un lato questo pensiero negativo si rispecchia nella costante precarietà e nella carente sopravvivenza dei tempi attuali, la paura di privarsi del necessario e del superfluo scolpisce nell'individuo il senso di disfattismo e di staticità, intesa come paura di rischiare; la crescita di ciascuno matura attraverso le esperienze, specie quelle che devastano la nostra sfera umana più profonda. Non mi riferisco ad alcun tipo di autolesionismo o masochismo psicologico bensì, alla capacità ed alla sagacia di rimettersi in piedi, di mantenere salda coerenza anche quando ci si ritrova di fronte a quel bivio, in cui finalmente si crede di poter svoltare per la strada del successo ritrovandosi invece nel fango. Nella prima parte del mio libro ho accennato alla paura dell'inconscio che ci fa remare contro a ciò che vorremmo realizzare; in ugual modo nella sfera Ayurvedica, si considera l'energia generatrice di ogni individuo quale molecola primordiale, che lo conduce sul ciglio del

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precipizio e lo tira indietro nell'istante in cui la sua logica perde il controllo. Per farsì che il subconscio e la nostra energia divengano complici costruttivi, è radicale "imparare ad ascoltarsi" ma soprattutto ammettere di essere "semplicemente umani". Questa non deve intendersi come autogiustificazione od autocommiserazione bensì come spinta al miglioramento, affinché diveniamo pregi per noi stessi e per gli altri. Ricordate che "Non arrendersi è sinonimo di lottare ma per vincere bisogna saper rischiare". L'esperienza e la sconfitta enunciano la potenzialità di realizzare se stessi, correlando rischio e saggezza. Il timore di fallire, di sbagliare è una componente che rende la vita statica e perennemente ellittica; il rischio diviene una roccia tagliente ma la routine è decisamente più corrosiva. Il senso dell'insuccesso non dipende dal fallimento vero e proprio, poiché il significato di un'azione fallita è consequente al tentativo non effettuato. Provare a mettersi in gioco determina una sconfitta ma non una perdita fallimentare; ciò che spaventa è la delusione e la sofferenza ma nessun contesto vitale può astenerci da questa amara realtà. Ciascuno di noi è un riflesso dell'albero di K. Koch, considerato dagli psicologi un ottimo ausilio per la psicoanalisi e per comprendere gli aspetti più nascosti dell'individuo. L'invisibile, l'inconscio umano si proiettano nelle radici più nascoste dell'albero. Dunque ripetere a se stessi che “il passato è passato” per evitare di rimuginare situazioni spiacevoli, non può risolvere i nostri problemi futuri. Bisogna rifletterci e rimuoverli definitivamente, per impedire che la nostra mente ne attui delle forme difensive od aggressive, riconducendoci sempre nei medesimi errori. Resta il fatto che iniziare un percorso psicoanalitico comporta la massima trasparenza da parte del paziente; purtroppo questo manca, per l' incapacità di esporsi totalmente nei confronti di se stessi. Ecco perchè è fondamentale creare la giusta “alleanza terapeutica” con lo psicoanalista, la medesima che deve assolutamente realizzarsi con la figura del musicoterapeuta. L'autostima si accresce attraverso la conoscenza e la consapevolezza di riuscire a puntare i piedi per terra, anche quando la tempesta ci spinge verso la scogliera. Seneca asseriva: “Non esiste la genial fortuna bensì il contesto giusto”.

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Contesto e condizioni ambientali determinano una buona occasione ma se a questa non predisponiamo noi stessi al rischio del tentativo approfondito, non potremo valutare fino a che punto l'occasione sia proficua. Questo è alla base della crescita e dell'evoluzione. Se ogni volta che componiamo una canzone ci arrendessimo al primo inciso dichiarando a noi stessi il sicuro fallimento, ci impediremmo di creare e di sperimentare le nostre potenzialità. Consapevoli del fatto che nella vita non basta trovare le situazioni giuste ma, devono convergere in un contesto tutta una serie di coincidenze favorevoli, non possiamo definire un fallimento l'insuccesso del brano da noi composto. Sarà un concreto successo per noi stessi e per coloro che lo apprezzeranno nei momenti difficili della propria vita, accompagnandolo poi negli istanti felici. Riuscire a generare le emozioni o risvegliare i sentimenti degli altri, i loro pensieri più profondi, piacevoli e tristi, è un "miracolo di vita", il miglior successo di "gratificazione" per un'artista; senza quest'ultima, nessuno causerebbe un'azione concreta al fine di restarne inappagato. Anche se il nostro brano musicale non venderà le centomila copie donandoci fama e denaro, resterà nella storia della creazione musicale, specie nei tempi odierni in cui grazie al web e ai social network possiamo interagire con l'intero pianeta. A voi cari colleghi insegnanti, che quotidianamente ricercate un filo conduttore tra disciplina e collaborazione, lottando contro i sistemi ostili e superati di un meccanismo culturale, a cui apparite quasi superflui, porgo la stima e l'apprezzamento per l'arduo compito scelto, a cui mi associo fiduciosa di infondere attraverso la nostra conoscenza, quel senso di responsabilità logica ed emotiva nei futuri adulti. Frustrazione, depressione, nevrosi, sono sempre esistite nell'individuo; fino al secolo scorso si sudava per avere lo stretto necessario e non c'era tempo per badare all'effimero. Ci si accontentava di ciò che si aveva, si sognava attraverso le corde di una vecchia chitarra raccogliendosi attorno al fuoco per sentirsi uniti, solidali, capaci ancora di trasmettere quelle emozioni sincere che ancora molti di noi sentono pulsare, seppur con amarezza. Non c'era spazio per le crisi di pazzia o meglio, si internavano i casi più gravi e l'incapacità di intendere e volere non era un'attenuante così comune; chi era depresso si scuoteva per lavorare i campi, badare ai figli e chi si poteva concedere un po' di più, lo acquisiva attraverso il

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duro sacrificio. La parola valeva il proprio onore ed il rispetto vigeva sin da piccoli, come obbligo sociale. Ogni epoca ha avuto le sue problematiche ma mai come oggi si soggiace alle eterne giustificazioni, per sentirsi in diritto di oltrepassare ogni limite prevaricando il prossimo. Rimpiango i tempi in cui ci si stringeva la mano con sincera amicizia, ci si dava un appuntamento e ad ogni costo si giungeva puntuali, si comunicava a voce guardandosi in faccia, senza bisogno di occultarsi dietro ai monitor o ai messaggini in “codice velox”. La solidarietà di “una mano lava l'altra”, in cui ognuno condivideva quel poco senza pretendere niente in cambio; quell'unione fraterna che si creava anche tra noi artisti, quando ognuno poteva svolgere la propria mansione con rispetto e dignità, senza prevaricarsi l'uno con l'altro per mendicare due soldi. L'ipocrisia di coloro che ogni giorno espongono eventi musicali, dichiarandosi affermati ed equamente retribuiti, non fa altro che fornire un'apparenza sbagliata dell'artista. Il nostro arduo mestiere è divenuto meno valutato che un intrattenimento da fiera; si giustifica la crisi artistica con le mancate sovvenzioni, quando si potrebbe realmente collaborare tutti insieme, con lo scopo di unire le forze e dividere gli utili. Ma questa è utopia. Clientelismo politico, raccomandazioni, burocrazia, vili compromessi hanno sempre interagito privilegiando gli uni rispetto agli altri. Lavorando per anni accanto ai disabili, ai “meno fortunati” fisicamente parlando, mi ha dimostrato come la vita sia una sorgente da cui attingere aldilà di ogni handicap, perchè il vero malfunzionamento dipende dalla mente non dal corpo. Il senso di inferiorità o di differenza è creato dallo schermo umano, che proietta le condizioni vitali secondo i parametri precostituiti. Anzichè superare le barriere sociali si marcia contro di esse, ostacolando ogni sorta di riuscita, complicando le situazioni sempre e comunque; aiutare il prossimo significa ottenere un posto in Paradiso, un'indulgenza che a priori deve fornire un tornaconto. Ed è proprio quest'ultimo che pone un divieto alla solidarietà disinteressata. L'animo umano è una fonte di puro erotismo e meravigliosa lealtà, nell'aspetto più profondo delle sue radici; è divenuto un dimenarsi d'incoerenze, un po' come andare “a zoccole”, con la differenza che la veridicità di quest'ultime non collima con

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l'incapacità di valorizzare ciò che esso produce. Il continuo giustificarsi o il senso d'inadeguatezza, coabitano sovente in chi vive uno scalino al di sopra degli altri, perchè il vero valore dell'animo non conosce miseria. L'onestà, la lealtà, l'espressione del rispetto civile convergono con la nobiltà interiore, che rende agiato anche l'ultimo dei pezzenti. Concludendo voglio meditare su un episodio piacevole accadutomi poco tempo fa. Mi ricontattò dopo trentaquattro anni una mia carissima compagna delle elementari; fu una gradita sorpresa. Conversando assieme ricordammo con affetto e nostalgia i tempi della nostra infanzia, che nonostante i lunghi anni travagliati non avevamo entrambe dimenticato. Si rammentava come la musica ed il canto unissero tutti quanti, perchè le cose semplici e genuine erano parte integrante di ciascuno. Mi balzò alla memoria quel momento in cui, attraverso i tasti ingialliti di un vecchio pianoforte, eseguii per la festa di fine anno la sonata “Al Chiaro di luna” di Beethoven, commuovendo maestre e compagni. La mia cara amica mi congedò dicendomi: “Sono felicissima che hai realizzato il tuo sogno di essere una musicista ed un'artista; il tuo successo non dipende dal guadagno, che purtroppo in un paese così burocratico non tiene conto dell'arte pura; conta però il fatto, che tu sia diventata ciò che volevi, donando al mondo la purezza delle emozioni”. La musica è un'arma vincente nella vita, l'arte in generis è l'espressione di una sensibilità profonda ed innovativa. La musicoterapia lenisce gli stati d'ansia, di aggressività, insegna ad ascoltarsi e ad ascoltare il mondo intorno a noi, discernendo con coerenza analisi ed azioni. Chi vive realmente l'arte musicale non potrà mai sentirsi un perdente, nemmeno nei momenti più ripidi della propria esistenza terrena. Se la dipendenza umana conduce al crollo emotivo, dipendere dalla musica in quanto forza riparatrice, diviene un continuo evolversi e risollevarsi come l'araba fenice. Padroni di nulla ma schiavi di nessuno. Quando l'individuo umano giura amore eterno, ti tradisce con mille scuse. Quando la Musica ti giura Fedeltà, non trova scuse al fine di seguirti fino alla morte. La musica giura fedeltà sempre, è l'uomo a tradirla o a trascurarla. La fedeltà della musica è il giuramento che si instaura dal primo suono che emettiamo, dal nostro vagito primordiale che ci pone a contatto con il

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mondo, fino alla prima nota che eseguiamo attraverso uno strumento, qualunque esso sia. Il Giuramento di una simbiosi che si instaura tra musica ed animo, a cui nessun essere umano può pareggiare con la sola anima. Citando Charlie Chaplin: “La vita è come un’opera teatrale che non ha prove iniziali: cantate, ridete, amate, ballate e piangete; non abbiate remore o timore alcuno ma fatelo prima che cali il sipario della vita e tutto finisca senza applausi”. Molte volte ci sentiamo sgualciti, rigettati dalle persone in cui crediamo e dagli avvenimenti che ci sovrastano. Abbiamo la sensazione di non valere piú niente e di non concludere più nulla di buono; ma il nostro vero valore non cambierà mai, specie agli occhi delle persone che sanno davvero cogliere il bello di noi. Anche nei giorni in cui sentiamo di valere meno di un centesimo, i nostri veri valori sono sempre gli stessi. Difendiamoli.

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Commiato

Con grande affetto a tutti i lettori e collaboratori di questo progetto, ringraziandoVi per il sostegno e la stima, un breve saluto buddista: "Non pregate per una vita facile ma ogni giorno pregate per affrontare la vostra difficile. E’ un dono incontrare qualcuno che vi ami come siete e solo chi riuscirà ad ammirare l'opera d'arte che rappresentate potrà godere le sfumature del vostro Essere. Amare non significa essere immobili come il deserto, né scorrazzare per il mondo come il vento o vedere tutto da lontano. L’Amore è la forza che trasforma e migliora l’Anima del Mondo. Esso non è perfetto perché è un riflesso di tutte le creature, ha le sue guerre, le sue passioni. Siamo noi che alimentiamo l’Anima del Mondo e la terra su cui viviamo sarà migliore o peggiore a seconda se noi saremo migliori o peggiori. E’ qui che entra in gioco la forza dell’Amore, perchè quando amiamo desideriamo sempre crescere e migliorare. La forza del vero Amore migliora lo Spirito ma per far sì che il miracolo si compia, lasciate vibrare la musicalità meravigliosa del Creato dentro di Voi. Ogni suono capace di risvegliare un sorriso, una lacrima, di riaprire un sogno nel cassetto, diviene il miracolo che ha oltrepassato ogni cinismo umano riconducendolo alle sue origini innocenti e pure. Siate come il bambù, fuori duro e compatto, dentro morbido e cavo. Le sue radici sono saldamente confitte nel terreno e s'intrecciano con quelle di altre piante per rafforzarsi e sorreggersi a vicenda. Lo stelo si lascia investire liberamente dal vento e lungi dal resistergli si piega, perchè ciò che si piega è molto più difficile a spezzarsi". Namastè e Gassho

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