EDOARDO VIANELLO
IL SUONO DELLE FONTANE DI ROMA
FONTANA DELLE NAIADI L’11 settembre 1870 le truppe italiane concentrate in Umbria varcarono il confine dello Stato pontificio e diedero inizio alla spedizione che, culminata dopo qualche giorno nella presa di Roma, avrebbe messo fine al regno temporale dei Papi. Solo poche ore prima Pio IX, Mastai Ferretti, aveva inaugurato la Fontana delle Naiadi, concepita come mostra della riconduzione a Roma dell’Acqua Marcia, che fin dal II a.C. aveva alimentato l’Urbe con le acque dell’Aniene. La fontana-mostra venne installata inizialmente a circa 80 metri di distanza dalla posizione attuale, in quella che allora era chiamata piazza Termini, tra la via delle Terme di Diocleziano ed il viale Luigi Einaudi. Nel 1885, ultimata la sistemazione della via Nazionale e la costruzione dei due palazzi di Gaetano Koch in corrispondenza dell’antica esedra delle terme, la fontana, in base al progetto di Alessandro Guerrieri, fu trasferita dove sorge oggi, al centro di quella che negli anni ’50 del secolo scorso è stata rinominata piazza della Repubblica, anche se molti romani continuano a chiamarla «piazza Esedra». La struttura della fontana era molto semplice: una serie di vasche poste ad altezze diverse e disadorne, tanto che in occasione della visita ufficiale dell’imperatore tedesco Guglielmo II, nel 1888, vi furono temporaneamente collocati, per arricchirla, quattro leoni di gesso. Nel 1901 lo scultore siciliano Mario Rutelli nonno di Francesco Rutelli, che sarà sindaco di Roma durante il Giubileo del 2000 realizzò le quattro ninfe acquatiche che le danno il nome: la Naiade degli oceani, la Naiade dei fiumi, la Naiade dei laghi e la Naiade delle acque sotterranee. Le giovani Naiadi, completamente nude e bagnate dall’acqua, per parecchio tempo furono ritenute offensive del pudore e additate dai nostalgici del governo pontificio come esempio della licenziosità dei costumi di coloro che lo avevano sostituito. Nel 1912 lo stesso Rutelli, che nella città eterna realizzò anche il monumento ad Anita Garibaldi sul Gianicolo, una delle Vittorie del Vittoriano ed il monumento a Nicola Spedalieri vicino alla Chiesa Nuova, completò la fontana con il gruppo del Glauco. La divinità del mare serra tra le braccia un delfino e, lasciandosi alle spalle la struttura fine ottocentesca dei palazzi del Koch, guarda verso la Basilica di Santa Maria degli Angeli, ricavata dal «tepidarium» delle terme imperiali ad opera di Michelangelo, quasi a sottolineare una contrapposizione tra mito e fede. Certo è che l’ispirazione mitologica rivela la volontà di marcare uno strappo netto con il passato; non a caso proprio nel periodo a cavallo tra ‘800 e ‘900 a Roma era assessore ai beni culturali Ernesto Nathan, un mazziniano nominato Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, che nel 1907 sarebbe diventato sindaco della città, facendone approvare il primo piano regolatore.
FONTANA DELLA BARCACCIA Piazza di Spagna è senz’altro uno dei luoghi più famosi al mondo. La sua vista tradizionale, quella dalla via Condotti, è chiusa in alto dalla chiesa della Trinità dei Monti, edificata nella prima metà del ‘500 per volere dei re di Francia, e in basso dalla Fontana della Barcaccia, installata nel 1629 da Pietro Bernini, coadiuvato dal figlio Gian Lorenzo, per volontà di papa Urbano VIII, Barberini, cui appartengono i simboli araldici del sole e delle api che la decorano. I due monumenti sono collegati dalla «scalinata» barocca, realizzata nel 1726 per eliminare i ripidi sentieri alberati che portavano al Pincio, il colle alle pendici del quale si apre la piazza. La realizzazione della fontana fu ostacolata dall’insorgere di difficoltà tecniche legate alla bassa pressione dell’Acqua Vergine. L’acquedotto, l’unico di epoca romana ancora in funzione, ha origine nei pressi di Salone, sulla via Collatina, a pochi chilometri da Roma; la leggenda ne riconduce il nome ad una vergine che ne che avrebbe localizzato le sorgenti. Realizzato da Agrippa per soddisfare le necessità del Campo Marzio, costeggia l’Aniene deviando, all’altezza della via Pietralata, verso i Parioli e, poi, su Villa Borghese, da dove scende al centro della capitale, alimentando appunto la Fontana della Barcaccia e andando per la via (dei) Condotti, che da ciò prende il nome. La vicinanza del bottino dell’acquedotto alla fontana spiega la scarsa pressione dell’acqua in quel punto. Queste difficoltà furono risolte ponendo la base della vasca al di sotto del piano stradale; la giustificazione architettonica a questa esigenza fu trovata dando alla fontana la forma di barca semisommersa, con zampilli d’acqua sgorganti da bocche di cannone poste a poppa ed a prua, originalmente simmetriche. L’ispirazione pare essere nata dalla presenza sulla piazza di una barca, portata fin lì dall’esondazione del Tevere del Natale del 1598, la più intensa che la storia ricordi. Quale ne sia il motivo ispiratore, nella fontana si coglie un’evidente allegoria della funzione della Chiesa: l’acqua, simbolo di purificazione, sgorga da bocche di cannone, destinate a diffondere fuoco, che però viene spento dagli zampilli; gli emblemi papali che adornano le bocche di cannone indicano il ruolo pacificatore della Chiesa universale, particolarmente caro ad Urbano VIII, il cui pontificato mirò ad una politica di equilibrio tra Francia e Spagna, che garantisse l’indipendenza della Santa Sede dalla Spagna e dall’Impero. E se la metà del grande spiazzo ove è posta la fontana fu denominata piazza di Spagna, per la presenza dell ’ambasciata spagnola, la metà su cui si immette la via del Babuino fu chiamata piazza di Francia, in onore dei sovrani francesi che avevano fatto costruire la chiesa della Trinità dei Monti.
FONTANA DI SANTA MARIA IN TRASTEVERE Narra una leggenda che nei pressi del luogo in cui sorge la fontana la notte in cui nacque Gesù sarebbe zampillata una fonte d’olio. Questo prodigio indusse i cristiani a chiedere all ’imperatore Alessandro Severo (III sec.) il permesso di erigere la prima chiesa dedicata a Roma alla Vergine, in prossimità della quale papa Adriano I, nel 795, fece costruire una fontana, sostituita poi da quella attuale, giunta a noi nella sua forma dopo avere subìto numerosi interventi di restauro nel corso del tempo. Si ignora la data esatta della costruzione, ma la sua esistenza è documentata nell’iconografia urbana soltanto a partire dalla seconda metà del XV secolo. Il primo restauro di cui si ha notizia è quello affidato, probabilmente al Bramante, sul finire del ‘400 dallo spagnolo Giovanni López, creato cardinale da Alessandro VI Borgia; il simbolo araldico che contraddistingueva i López è ancora presente nelle quattro teste di lupo in cui scorre l’acqua prima di gettarsi nelle conchiglie che la versano nella vasca centrale. Un problema risolto solo nel 1659 fu quello della scarsa pressione dell’acqua, che la fecero considerare un «vaso asciutto», fin quando non vi fu portata l’Acqua Paola da papa Alessandro VII, che affidò i lavori al Bernini, il quale ne curò pure lo spostamento al centro della piazza. Prima di lui era intervenuto sulla fontana Girolamo Rainaldi, che presumibilmente eseguì opere affidate in origine a Giacomo Della Porta. Il restauro più significativo, per ciò che attiene all’attuale aspetto, è quello realizzato nel 1694 da Carlo Fontana ispiratosi, in particolare per le conchiglie bivalva, alla Fontana delle Api del Bernini, oggi situata all’angolo di piazza Barberini con via Veneto. L’impronta architettonica di questo restauro risulta solo in parte alterata dall’intervento radicale del 1873, che si risolse nel rifacimento della fontana, effettuato utilizzando marmo bardiglio anziché l’originale travertino romano, ma conservando il modello di fine ‘600, improntato ad un barocco non ancora rifluito nell’aristocratico e mondano rococò. L’ultimo restauro risale al 1930, anno in cui furono portati a compimento lavori di consolidamento. Secondo la tradizione è questa la più antica delle fontane monumentali di Roma, tanto che la chiesa di Santa Maria in Trastevere era denominata dal popolo Sancta Maria in fontibus. È certamente l’unica situata in un quartiere povero, qual era fino a non molto tempo fa Trastevere. Forse non a caso i lavori a Carlo Fontana furono commissionati da papa Innocenzo XII, Pignatelli, un pugliese educato nel Collegio dei Gesuiti di Roma, che abolì il nepotismo e affermò: «I poveri sono i miei nipoti».
FONTANA DI SANTA MARIA IN TRASTEVERE Narra una leggenda che nei pressi del luogo in cui sorge la fontana la notte in cui nacque Gesù sarebbe zampillata una fonte d’olio. Questo prodigio indusse i cristiani a chiedere all ’imperatore Alessandro Severo (III sec.) il permesso di erigere la prima chiesa dedicata a Roma alla Vergine, in prossimità della quale papa Adriano I, nel 795, fece costruire una fontana, sostituita poi da quella attuale, giunta a noi nella sua forma dopo avere subìto numerosi interventi di restauro nel corso del tempo. Si ignora la data esatta della costruzione, ma la sua esistenza è documentata nell’iconografia urbana soltanto a partire dalla seconda metà del XV secolo. Il primo restauro di cui si ha notizia è quello affidato, probabilmente al Bramante, sul finire del ‘400 dallo spagnolo Giovanni López, creato cardinale da Alessandro VI Borgia; il simbolo araldico che contraddistingueva i López è ancora presente nelle quattro teste di lupo in cui scorre l’acqua prima di gettarsi nelle conchiglie che la versano nella vasca centrale. Un problema risolto solo nel 1659 fu quello della scarsa pressione dell’acqua, che la fecero considerare un «vaso asciutto», fin quando non vi fu portata l’Acqua Paola da papa Alessandro VII, che affidò i lavori al Bernini, il quale ne curò pure lo spostamento al centro della piazza. Prima di lui era intervenuto sulla fontana Girolamo Rainaldi, che presumibilmente eseguì opere affidate in origine a Giacomo Della Porta. Il restauro più significativo, per ciò che attiene all’attuale aspetto, è quello realizzato nel 1694 da Carlo Fontana ispiratosi, in particolare per le conchiglie bivalva, alla Fontana delle Api del Bernini, oggi situata all’angolo di piazza Barberini con via Veneto. L’impronta architettonica di questo restauro risulta solo in parte alterata dall’intervento radicale del 1873, che si risolse nel rifacimento della fontana, effettuato utilizzando marmo bardiglio anziché l’originale travertino romano, ma conservando il modello di fine ‘600, improntato ad un barocco non ancora rifluito nell’aristocratico e mondano rococò. L’ultimo restauro risale al 1930, anno in cui furono portati a compimento lavori di consolidamento. Secondo la tradizione è questa la più antica delle fontane monumentali di Roma, tanto che la chiesa di Santa Maria in Trastevere era denominata dal popolo Sancta Maria in fontibus. È certamente l’unica situata in un quartiere povero, qual era fino a non molto tempo fa Trastevere. Forse non a caso i lavori a Carlo Fontana furono commissionati da papa Innocenzo XII, Pignatelli, un pugliese educato nel Collegio dei Gesuiti di Roma, che abolì il nepotismo e affermò: «I poveri sono i miei nipoti».
FONTANA DELLE RANE L’architetto fiorentino Gino Coppedè fu scelto nel 1913 dai finanzieri Cerruti, della società «Edilizia Moderna», per progettare e realizzare un grande complesso immobiliare a Roma, da edificare in quell’area che si estende tra la piazza Buenos Aires, chiamata dai romani «piazza quadrata», sede della chiesa nazionale argentina, e la via Tagliamento, sede del «Piper», la discoteca nota negli anni ’60 quale culla del pop adolescenziale. Il complesso, costituito da 26 palazzine e 17 villini, è da tutti ormai conosciuto come «quartiere Coppedè». Il suo stile è inconfondibile: un esasperato ornamentale ispirato ai dettami di un liberty che prelude all’art déco, ma rielaborati in modo del tutto personale, con variazioni sul medievale, sul rinascimentale, sul barocco, sul manierismo, confusi a richiami a motivi diversi, compresi quelli del classicismo greco. Tutto ciò attribuisce al quartiere un ’atmosfera fantastica, quasi magica, che lo ha reso, ad esempio, luogo ideale di ambientazione dei film dell’orrore di Dario Argento. Coppedè diresse i lavori fino alla morte, avvenuta nel 1927. Tre anni prima era stata installata al centro del quartiere, la piazza Mincio, una fontana la cui vista si gode dai due punti più caratteristici del complesso edilizio: l’enorme lampadario in ferro battuto che pende dall’arco che congiunge i due palazzi costruiti dal lato della via Tagliamento, e che segna l’ingresso principale del quartiere, e il Villino delle Fate, in posizione opposta all’arco e che, con la sua asimmetria, la sua confusione stilistica e la ridondanza di elementi decorativi, meglio di ogni altro edificio sintetizza la concezione creativa di chi l’ha progettato. La fontana è caratterizzata dalle rane che popolano le due vasche: le quattro ospitate nella conca inferiore, che versano l’acqua nella valva delle conchiglie sorrette dalle quattro coppie di figure, e le otto che, sul bordo della conca superiore, attendono di spiccare il salto verso lo zampillo centrale. L’opera sottolinea l’atmosfera ecletticamente fantastica, quasi magica, che pervade il quartiere, piena com’è di spunti decorativi e ricca di reminiscenze classiche, trasfuse nelle espressioni stilistiche della belle époque, al tramonto nel periodo di progettazione del complesso e spazzata via dalla prima guerra mondiale, che determinò anche la sospensione dei lavori di costruzione. Coppedè non dimentica di lavorare a Roma e per Roma: la grande ape realizzata sul bordo della vasca quadrilobata non può non richiamare alla mente il Bernini, quello della Fontana delle Api e della Barcaccia.
FONTANONE DEL GIANICOLO La Fontana di Trevi è la mostra dell’Acqua Vergine; la Fontana delle Naiadi è la mostra dell ’Acqua Marcia; la mostra dell’Acqua Paola, proveniente dal lago di Bracciano a seguito del ripristino dell’acquedotto traianeo, è il Fontanone del Gianicolo, voluto da papa Paolo V, Borghese, e realizzato tra il 1610 ed il 1614. Nella sua costruzione furono utilizzati marmi sottratti al Foro, mentre le sei colonne ioniche provengono dall’antica basilica di San Pietro. L ’aquila e il drago scolpiti nel timpano sono i simboli araldici dei Borghese. La realizzazione del monumento fu affidata al ticinese Giovanni Fontana, progettista di Palazzo Giustiniani, oggi utilizzato dal Senato, e fratello del più noto Domenico, cui Roma deve il Palazzo del Laterano e l’innalzamento degli obelischi in Piazza San Pietro, Piazza del Popolo, Piazza Santa Maria Maggiore e Piazza San Giovanni in Laterano. Inizialmente l’acqua si riversava in cinque piccole conche, sostituite nel 1690 per volere di papa Alessandro VIII, Ottoboni, dalla grande vasca di marmo bianco che ancora oggi si ammira; nello stesso anno fu creato davanti alla fontana l’attuale piazzale. Il Gianicolo è sempre stato considerato importante per la difesa di Roma, proprio perché posto in alto fuori del pomerio, il confine sacro dell’Urbe, così da essere una postazione idonea a garantirne la sicurezza.. Su questa collina, nel Casino Savorelli, proprio accanto al Fontanone, nel 1849 Garibaldi, impegnato nella difesa contro le truppe francesi chiamate in soccorso da Pio IX contro la neonata repubblica romana, pose il suo quartier generale; i repubblicani, dopo due mesi di scontri sanguinosi, si rassegnarono alla resa, che mise fine al triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi. Si narra che durante l’assedio le truppe francesi avrebbero interrotto il flusso idrico verso la città e che nelle ore calde si riparassero dal sole cocente sdraiandosi nella grande vasca del Fontanone, all’ombra della loggia retrostante. Oudinot, il generale francese, venuto però a conoscenza dell’intenzione dei repubblicani di risalire le condutture prosciugate per avvicinarsi a lui, diede l’ordine immediato di riaprirle senza preavviso; l’acqua sgorgò nuovamente dalla fontana, inzuppando gli zuavi che dormivano nella vasca. Accanto al Fontanone, tra i garibaldini immolatisi per la repubblica romana, è sepolto anche il genovese Goffredo Mameli dei Mannelli, autore delle parole dell’inno nazionale, morto per le conseguenze di una ferita accidentale a soli 22 anni. L’inaugurazione del Fontanone da parte di Paolo V suggerì a Pasquino questi versi: «Il miracolo è fatto, o Padre Santo / con l’acqua vostra, che vi piace tanto; / ma sarebbe il portento assai più lieto / se l’acqua la cangiaste in vin d’Orvieto».
FONTANA DEI TRITONI Papa Clemente XI, Albani, discendeva da una nobile famiglia di Urbino di origini albanesi. Il suo antenato Michele Laçi aveva combattuto contro i turchi a fianco di Scanderberg e nel 1464 abbandonò il suo Paese per l’Italia, dove venne accolto dal Duca di Urbino, quel Federico di Montefeltro le cui fattezze ci sono tramandate dal ritratto di Piero della Francesca. Alle sue origini sono legate le numerose iniziative del pontefice per contrastare l’abbandono delle tradizioni cattoliche nelle terre al di là dell’Adriatico, ormai assoggettate alla dominazione ottomana: e forse non è un caso, allora, se nel suo stemma risplende una stella ad otto punte, che nell’araldica ecclesiastica simboleggia Cristo, ma che è un simbolo presente anche nella tradizione islamica. L’architetto perugino Carlo Bizzaccheri nel 1717 riprese il motivo di questa stella progettando la vasca della Fontana dei Tritoni, collocata nell’antica zona del Foro Boario, dove fin dal tempo dei re di Roma si teneva il mercato dei buoi, di fronte all’Isola Tiberina, nella piazza che ha il nome dalla Bocca della Verità, oggi collocata nel portico della chiesa di Santa Maria in Cosmedin. L’occasione per l’installazione della fontana fu costituita dal livellamento della piazza, che sovrastava di circa due metri il piano attuale della chiesa, la quale ultima era afflitta dall’umidità, a causa dello sprofondamento seguito a successivi rinterri. Al centro della vasca, sopra degli scogli di travertino scolpiti da Filippo Bai, una coppia di tritoni in ginocchio e con le code intrecciate, opera dello scultore Francesco Moratti, sorregge un catino a forma di conchiglia, in cui si riversa l’Acqua Felice; il catino è adornato degli stemmi papali, con lo scudo in cui alla stella si aggiungono tre monti. Le colonnine che circondano la fontana erano situate originariamente in modo da consentire quattro accessi, in corrispondenza delle fistole da cui ci si poteva abbeverare. Nell’800 queste fistole furono soppresse, così come, in occasione dei lavori per la costruzione dei muraglioni del Tevere, fu divelto il fontanile, collocato dal Bizzaccheri a fianco della fontana e che fungeva da abbeveratoio per il bestiame. Di fronte alla fontana veniva eretto il patibolo in occasione delle condanne a morte. L’ultima esecuzione vi ebbe luogo nel 1868 ai danni di Monti e Tognetti, autori il 22 ottobre 1867 del fallito attentato alla caserma degli zuavi pontifici in Prati: due barili di polvere da sparo, fatti esplodere nelle fogne, avevano provocato la morte di 23 soldati francesi e di quattro civili. Pio IX pareva propenso a concedere la grazia, ma sembra che la stessa non fu neppure chiesta dai condannati, cui Carducci dedicò un’ode, considerandoli martiri dell’unità d’Italia.
LE FONTANELLE RIONALI DI PIETRO LOMBARDI Oltre alle fontane monumentali e a quelle ornamentali, a Roma sono installate circa 2.500 «fontanelle», a volte semplici becchi da cui sgorga l’acqua ed alle quali è possibile abbeverarsi. Sono famose le fontane cilindriche di metallo dette «nasoni», per via del tubo di acciaio ricurvo da cui sgorga l’acqua,. sul modello di quelle volute dal primo sindaco di Roma capitale d’Italia, il nobile e garibaldino Luigi Pianciani, che volle dotare di fonti pubbliche d’acqua potabile le nuove zone periferiche della città. A metà strada tra le fontane ornamentali ed i «nasoni» si possono collocare le fontanelle rionali che, in epoca fascista, il primo governatore di Roma, Filippo Cremonesi, commissionò all’architetto romano Pietro Lombardi, già collaboratore di Marcello Piacentini, che aveva vinto il concorso per la realizzazione della Fontana delle Anfore, realizzata in travertino e collocata nella piazza dell’Emporio a Testaccio, sul piccolo colle sorto dall’accumulo nel corso dei secoli delle anfore rotte provenienti dal porto fluviale di Ripa Grande. La realizzazione delle fontanelle gli fu assegnata con il vincolo di ambientare ciascuna di esse nello specifico contesto rionale, richiamando la caratteristica della zona o gli stemmi dei rioni. Ne sono state realizzate otto, nell’arco temporale compreso tra il 1926 ed il 1929. Oltre alla citata Fontana delle Anfore, la Fontana dei Libri, nella via degli Staderari, sede originaria dell’Università La Sapienza, caratterizzata da due coppie di libri poste ai lati di una testa di cervo, simbolo del rione, dalle quali pendono due segnalibri da cui sgorga l’acqua; la Fontana della Botte, collocata in via della Cisterna, luogo rinomato per le sue osterie, in cui l’acqua sgorga da una botte di vino e si versa in un catino da mosto, affiancato da due misure di vino da un litro; la Fontana delle Tiare, situata tra il colonnato di piazza San Pietro ed il Passetto di Borgo, con le sue tre chiavi papali sormontate da altrettante tiare pontificie; la Fontana della Pigna, posta di fronte alla basilica di San Marco, vicino al Vittoriano di piazza Venezia, nella quale due corolle di tulipani sostengono la pigna, che simboleggia il nome stesso del rione; la Fontana delle Palle di Cannone, situata in via di Porta Castello, nelle vicinanze della fortezza militare di Castel Sant’Angelo, in cui l’acqua sgorga da una mascherone posto al centro di una piramide di proiettili; la Fontana dei Monti in via di San Vito, che riproduce lo stemma rionale ispirato ai tre colli originariamente compresi nel rione (Esquilino, Viminale e Celio); la Fontana delle Arti di via Margutta, in cui è raffigurato un secchio di pennelli, con riferimento alle botteghe di artisti che sorgono nella zona; la Fontana del Timone, a ridosso del
FONTANA DELLE TARTARUGHE Quando la Congregazione delle Fonti stila l’elenco di nuove fontane da alimentare con l’Acqua Vergine, la cui progettazione è affidata a Giacomo Della Porta, grande fontaniere della Roma del ‘600, il nobile Muzio Mattei, appartenente ad una famiglia ducale di origine marchigiana che controlla l ’economia della riva sinistra del Tevere, protettrice della comunità ebraica confinata nel vicino ghetto, si accorge – siamo nel 1570 che la piazza dove sorgono i propri palazzi resta esclusa dal progetto. Inizia così ad esercitare sulle autorità una pressione che culminerà nella deviazione delle condutture dell’Acqua Vergine fino a «piazza Mattei» e nell’offerta di pavimentare, a spese della famiglia, l’intera piazza e di garantirne sorveglianza e pulizia. Fatto è che, alla fine, non solo viene affidata al fiorentino Taddeo Landini la realizzazione di una fontana, su progetto del Della Porta, da collocare proprio nella piazza di famiglia, ma al termine dei lavori, nel 1584, questa fontana, seppure ornamentale e non monumentale, risulta la più ricca, sotto il profilo scultoreo, tra quelle dellaportiane. Il progetto originario prevedeva che i quattro efebi, ideati in marmo ma poi realizzati in bronzo, avrebbero dovuto sospingere dei delfini nel superiore bacino di marmo africano; i delfini, a causa di difficoltà tecniche insorte al momento della loro installazione, finirono però per essere collocati nella Fontana della Terrina, che oggi è situata in piazza della Chiesa Nuova. Al posto dei delfini, in occasione di un restauro voluto nel 1658 da papa Alessandro VII, Chigi, il Bernini (per altri fu Andrea Sacchi) aggiunse le tartarughe di bronzo che danno il nome alla fontana, sospinte dagli efebi ad abbeverarsi verso il bordo del bacino, nel quale si raccoglie l’acqua dello zampillo, che ricade poi nella vasca sottostante. Le tartarughe sono state oggetto di diversi furti nel corso dei secoli. Nel 1944 fu uno straccivendolo a ritrovarle ed a consegnarle al Comune; a seguito di un ennesimo furto perpetrato nel 1981, quattro copie hanno sostituito i tre originali residui, conservati ora nei Musei Capitolini. Una leggenda popolare vuole che il duca Mattei, per ristabilire di fronte al futuro suocero ed alla promessa sposa il prestigio compromesso dai debiti di gioco, li fece affacciare alla finestra del palazzo per ammirare la fontana, fatta realizzare in una sola notte; li stupì a tal punto da riuscire a concludere il matrimonio, che altrimenti sarebbe sfumato. Perché si conservasse memoria dell’accaduto, avrebbe fatto murare la finestra, che ancora oggi caratterizza la facciata del palazzo. Peccato che il racconto, anche al di là dell’iperbole della costruzione in una sola notte, non abbia basi reali: l’edificio, infatti, fu costruito diversi anni dopo l’installazione della fontana.
FONTANA DI TREVI La fontana barocca più famosa al mondo è anche fonte di solidarietà: le monetine lanciate dai turisti per propiziarsi un ritorno nella Città Eterna, come immortalato nella canzone Arrivederci Roma di Renato Rascel, sono donate dal Comune alla Caritas diocesana. Trevi è il rione ove è ubicata la fontana; il nome deriva probabilmente dal latino trivium, che indicherebbe la confluenza di tre vie proprio nelle vicinanze del monumento che, alimentato dall’Acqua Vergine, occupa l’intera facciata del palazzo che fu dei duchi di Poli; costoro inutilmente cercarono di resistere alla volontà di papa Clemente XII, Corsini, di sistemare definitivamente la piazza ricreando la grandiosa mostra d’acqua che era stata concepita, quasi un secolo prima, da Gian Lorenzo Bernini, con un progetto che venne lasciato cadere per mancanza di fondi. Sarà il romano Nicolò Salvi, che aveva perso il concorso per la realizzazione della facciata di San Giovanni in Laterano, l’incaricato di ricreare nella prima metà del 1700 le forme barocche del ‘600 romano; in questo concorso prevalse invece su concorrenti di fama, tra i quali Luigi Vanvitelli, discostandosi in parte dal motivo ispiratore della sua arte, tendenzialmente neorinascimentale. Il carattere monumentale della fontana è reso grandioso dal solenne fondale architettonico, costituito da un arco di trionfo, sormontato da una balaustra e da trofei militari, all’interno del quale è ricavata un’enorme nicchia in cui è collocato il Nettuno di Pietro Bracci. Ai due lati, nelle nicchie laterali, sono poste le statue della Salubrità e della Fertilità, opera di Filippo Della Valle, che collaborò pure alla costruzione del Palazzo della Consulta al Quirinale, oggi sede della Corte costituzionale. Nettuno è adagiato su un cocchio trainato da cavalli marini preceduti da tritoni, che corre su una scogliera scolpita nel travertino. Sulla destra della fontana è collocato un grande vaso, anch’esso di travertino, detto «asso di coppe», perché richiama la carta di questo seme, che si narra sia stato lì posto dal Salvi per disturbare la vista di un barbiere che, dalla bottega lì a fianco, si diffondeva in continue critiche al suo lavoro. Una volta l’acqua della fontana era considerata potabile. Una tradizione coltivata dalle giovani romane era quella di darne da bere un bicchiere al fidanzato che partiva da Roma, bicchiere che poi veniva frantumato con la promessa di fedeltà. Per questo motivo l’acqua della fontana, nella quale si tuffa Anita Ekberg nella più nota scena del film La Dolce Vita di Federico Fellini, è detta anche «acqua dell’amore».