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Quando si aprirono le porte
Maristella Maggi
Milano, 20 luglio 1943
1. Chiamata alle armi
Il giorno in cui entrò in casa nostra l’avviso di chiamata alle armi, mia mamma non pianse e non si disperò. Certo, si vedeva che un po’ era commossa, ma scelse, come era sua natura, di non cedere alle lacrime. Si pulì le mani nel grembiule che teneva annodato in vita e si avvicinò a mio padre che aveva appena letto la notizia dal giornale della domenica.
“Sì Venanzio, devi andare – disse frugando la pagina con gli occhi – lo sapevamo, era solo questione di giorni.”
Io cercai il suo sguardo per capire cosa le passasse nella mente in quel momento, ma lei non me ne diede modo. Tornò ad occuparsi dell’insalata e non aggiunse altro, ma dalla velocità con cui riprese a tagliare, capii che era nervosa.
Io mi sentivo confuso. Sapevo che, come gli altri della mia classe, avrei ricevuto la chiamata me l’aspettavo, ma trovarmi di fronte alla realtà, fu un’altra cosa. L’impatto fu forte. Incollai gli occhi all’annuncio: REGIO ESERCITO ITALIANO – Chiamata alle armi classe 1924. Una chiamata alle armi in tempo di pace avrebbe fatto un effetto diverso, ma quelli, erano tempi di guerra.
Andare al fronte non è esattamente l’avventura che uno spera di vivere a 19 anni, e per l’esattezza io, a luglio, i 19 anni non li avevo ancora compiuti; questo, però, è solo un dettaglio.