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Ero al Karl Alexander Gymnasium di Stoccarda, il liceo più famoso del Württemberg. Ero in classe, scarabocchiavo, mezzo addormentato, inseguendo le mie fantasie, quando si udì un colpo alla porta ed entrò il professor Klett, il direttore. I miei occhi e quelli dei miei compagni si posarono sullo sconosciuto che lo seguiva. Lo fissammo, ciò che mi colpi fu la sua eleganza. Il ragazzo che ci stava davanti era diverso da noi. I pantaloni lunghi che portava erano di ottimo taglio e perfettamente stirati, ben diversi dai nostri confezionati in serie. L'abito dall'aria costosa era ricavato in un tessuto grigio chiaro. La camicia azzurra e la cravatta blu a pallini bianchi facevano apparire le nostre sporche, unte e sdrucite. Non potemmo impedirci di provare invidia nei confronti di quella figura, che trasudava agio e distinzione. Herr Zimmermann, il nostro professore, si tirò su gli occhialini, esplorò la classe con occhi stanchi, scoprì un posto vuoto proprio davanti a me, scese dalla pedana e, tra la sorpresa dei presenti, accompagnò il nuovo venuto al banco che gli aveva assegnato Tornato alla cattedra, gli si rivolse dicendo: «Vorrebbe cortesemente comunicarmi il suo nome e cognome, e il luogo e la data di nascita?» Il giovane si alzò. «Konradin, conte di Hohenfels, nato a Burg Hohenfels, nel Württemberg, il 19 gennaio 1916,» annunciò. Poi si sedette.
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Fissavo lo strano ragazzo, che aveva esattamente la mia età , come se fosse giunto da un altro mondo. Seguivo affascinato ogni suo gesto: il modo in cui apriva la cartella tirata a lucido, quello in cui disponeva con le dita bianche e perfettamente pulite (cosÏ diverse dalle mie, che erano tozze, goffe e perennemente macchiate d'inchiostro) la penna stilografica e le matite dalla punta acuminata come quella di una freccia, il movimento con cui apriva e chiudeva il quaderno. Tutto in lui risvegliava la mia curiosità : la cura con cui sceglieva la matita, la posizione in cui stava seduto, la mano che passava sui capelli biondi. Cosa potevo mai offrire io, che ero figlio di un medico ebreo, nipote e bisnipote di rabbini e discendente da una famiglia di piccoli commercianti e mercanti di bestiame, a quel ragazzo dai capelli d'oro il cui solo nome bastava a riempirmi di tanta rispettosa ammirazione? Cosa poteva mai avere Konradin von Hohenfels in comune con me, Hans Schwarz? Per quanto possa sembrare strano, non ero l'unico a cui la sola idea di rivolgergli la parola provocasse un simile stato di agitazione. Anche gli altri lo evitavano, quando se lo trovavano davanti ammutolivano, assumendo un'aria imbarazzata Eppure non dava mai l'impressione di essere orgoglioso, vanitoso, al contrario di noi, era sempre estremamente gentile, sorrideva quando qualcuno gli rivolgeva la parola e teneva aperta la porta per far passare quelli che volevano uscire. Ciò nonostante i ragazzi avevano paura di lui
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Non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato. Fino al giorno del suo arrivo io non avevo avuto amici. Nella mia classe non c'era nessuno che ammirassi davvero o che fosse in grado di comprendere il mio bisogno di fiducia, di lealtà, nessuno per cui avrei dato volentieri la vita. I miei compagni mi sembravano tutti, chi più chi meno, piuttosto goffi. Non andavo mai a casa loro né loro venivano mai a trovare me. Un altro motivo della mia freddezza, forse, era che avevano tutti una mentalità estremamente pratica e sapevano già cosa avrebbero fatto nella vita, chi l'avvocato, chi l'ufficiale, chi l'insegnante, chi il pastore, chi il banchiere. Io, invece, non avevo alcuna idea di ciò che sarei diventato, solo sogni vaghi.. Volevo viaggiare, questo era certo, e un giorno sarei stato un grande poeta.
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Non c'era niente in Konradin che non mi piacesse, avevo finalmente trovato qualcuno che corrispondeva al mio ideale di amico. Lui però sembrava perfettamente soddisfatto di starsene da solo e di non mescolarsi agli altri. Come avrei fatto ad attirare la sua attenzione? Come potevo convincerlo che io e solo io avrei dovuto diventare suo amico? Avrei dovuto trovare il modo di farmi notare. Tutt'a un tratto cominciai ad interessarmi a quello che avveniva in classe. Di solito ero ben felice di essere lasciato in pace, in attesa che il suono della campana mi liberasse dalla schiavitù. Ma ora alzavo la mano ogni volta che mi pareva di avere qualcosa da dire. Riuscii a stupire anche i professori. La mia seconda prodezza ebbe luogo durante l’ ora di educazione fisica. Il professore di ginnastica si chiamava Max Loher, meglio noto come Max Muscolo. La sua lezione iniziava con una corsa attorno alla palestra, seguita da una serie di flessioni e di distensioni. Dopo questa prima fase destinata al riscaldamento, Max Muscolo andava al suo strumento preferito, la sbarra fissa, e si esibiva in alcuni esercizi che eseguiti da lui, sembravano facili come saltare alla corda, mentre alla prova dei fatti si rivelavano estremamente difficili. Questa volta, però, appena Max terminò la sua esibizione, mi feci avanti. Mi avvicinai lentamente alla sbarra, mi misi sull'attenti e balzai in alto. Mi protesi prima verso sinistra, poi verso destra, poi mi lasciai penzolare tenendomi con le gambe piegate e presi ad oscillare finché, con un ultimo slancio, tornai ad appoggiarmi alla sbarra. Tutt'a un tratto mi sollevai in verticale, mi lanciai oltre la sbarra, e... bum! Almeno ero tornato con i piedi per terra. Si udirono delle risatine, ma poi qualcuno batté le mani. Rimasi immobile e voltai gli occhi verso di lui. Inutile dire che Konradin non aveva riso. Per la verità non aveva nemmeno applaudito. Ma mi guardava. Qualche giorno dopo arrivai a scuola con alcune monete greche (collezionavo monete da quando avevo dodici anni) e appena vidi Konradin che si avvicinava al suo posto, cominciai ad esaminarle con la lente di ingrandimento. Konradin notò le mie manovre . Mi chiese il permesso di guardarle. Mi disse che anche lui collezionava monete. Mi sentivo felice. Era la prima volta che mi aveva rivolto la parola e io ero ben deciso a fare il possibile perché non fosse l'ultima.
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Tre giorni dopo, il quindici marzo - una data che non dimenticherò più - stavo tornando a casa da scuola. Era una sera primaverile, dolce e fresca. Davanti a me vidi Hohenfels. Rallentai, l'avevo quasi raggiunto, quando si voltò e mi sorrise. Poi con un gesto stranamente goffo ed impreciso, mi strinse la mano tremante. «Ciao, Hans,» mi disse e io all'improvviso mi resi conto che era timido come me e, come me, bisognoso di amicizia. Non ricordo più ciò che mi disse quel giorno, né quello che gli dissi io. Tutto quello che so è che, per un'ora, camminammo avanti e indietro. Sentivo che quello era solo l'inizio e che da allora in poi la mia vita non sarebbe più stata vuota e triste, ma ricca e piena di speranza per entrambi. Quando infine lo lasciai, percorsi in un batter d'occhio la strada che mi separava da casa. Ridevo, parlavo da solo, avevo voglia di piangere, di cantare, la mia vita era cambiata. L'incontro non fu senza conseguenze. Dormii male, perché temevo il momento del risveglio. Forse Konradin mi aveva già dimenticato. Forse era stato un errore fargli capire che avevo bisogno della sua amicizia. Forse aveva parlato di me ai suoi genitori che l'avevano messo in guardia dal diventare amico di un ebreo. Continuai a torturarmi per un pezzo finché sprofondai in un sonno inquieto.
6s Tutte le mie paure si rivelarono prive di fondamento. Appena entrai in classe Konradin mi si avvicinò e si mise a sedere vicino a me. Dalle sue parole capii che doveva aver dormito benissimo e che nemmeno per un attimo aveva dubitato della mia sincerità, tanto che mi vergognai dei miei sospetti. Da quel giorno fummo inseparabili. All'uscita della scuola tornavamo a casa insieme ( abitavamo nella stessa direzione ) e ogni mattina lo trovavo immancabilmente ad aspettarmi. All'inizio i nostri compagni rimasero stupiti, ma in seguito presero sul serio la nostra amicizia. I mesi che seguirono furono i più felici di tutta la mia vita. Con l'arrivo della primavera, la campagna si riempì di fiori, fiori di ciliegio e di melo, di pero e di pesco, mentre i pioppi si tingevano d'argento e sui salici spuntavano le foglie giallo limone. Il sabato Konradin e io prendevamo un treno per andare a passare la notte in una delle antiche locande rivestite in legno che abbondavano da quelle parti, dove, per una cifra modica, si trovavano camere pulite, ottimo cibo e vino locale. A volte andavamo nella Foresta Nera, dove i boschi scuri, odorosi di funghi e di resina, che colava dai tronchi, erano intersecati da torrenti ricchi di trote, sulle cui rive sorgevano le segherie. Di tanto in tanto ci spingevamo fin sulla cima delle colline da cui il nostro sguardo poteva giungere alla valle del rapido Reno, alle sagome color lavanda dei Vosgi e alle guglie della cattedrale di Strasburgo. Altre volte andavamo al Neckar o al Danubio. A volte sceglievamo l'Hegau, dove c'erano sette vulcani estinti, o il lago di Costanza, immerso in una atmosfera di sogno. Fissando lo sguardo sul paesaggio recitavamo la nostra poesia preferita: Carica di pere gialle E di rose selvatiche coperta La terra si specchia nel lago. Voi dolci cigni, Ubriachi di baci Tuffate il capo Nell'acqua sacra, sobria. Ahimè, dove potrò trovare I fiori nell'inverno Dove del sol la luce E della terra l'ombra? Le pareti si ergono Mute e fredde, nell'inverno Bandierine di ghiaccio tintinnano.
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Passarono i giorni e i mesi, e niente venne a turbare la nostra amicizia. Eravamo nell’anno 1932, sui muri di Stoccarda erano comparse delle svastiche, un ebreo era stato infastidito ma in generale la vita proseguiva come al solito. Faceva caldo, i vigneti erano coperti di grappoli e i rami dei meli si piegavano sotto il peso dei frutti in via di maturazione. La gente parlava delle località dove si sarebbe recata a trascorrere le vacanze estive. Insomma, tutto lasciava pensare che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. La politica riguardava gli adulti. Poi accadde qualcosa che ci turbò entrambi I miei vicini di casa, i signori Bauer, avevano due figlie, una di quattro e l'altra di sette anni, oltre a un figlio dodicenne. Una sera, mentre i genitori erano usciti e la cameriera era andata a fare una commissione, dalla casa di legno si alzarono le fiamme e l'incendio divampò con tale rapidità che, all'arrivo dei pompieri, i bambini erano già morti bruciati. Non vidi il fuoco né udii le grida della madre e della cameriera, ma appresi la notizia il giorno dopo, quando i miei occhi si posarono sui muri anneriti, sulle bambole carbonizzate e sulle funi bruciacchiate dell'altalena, che dondolavano come serpenti dall'albero accartocciato. Ne rimasi sconvolto, come mai prima di allora. Quale male avevano commesso i genitori di quei bambini per meritare tutto ciò? A cosa ci può servire un Dio che se ne sta nel suo paradiso e permette che accadano tragedie simili? Parlai con Konradin, mi sfogai con lui e riflettemmo su ciò che era successo. Io e Konradin amavamo parlare. Le nostre interminabili discussioni avvenivano per la strada o sulle panchine. Un giorno, mentre eravamo davanti a casa mia, mi venne in mente che Konradin non aveva mai visto la mia stanza, con i miei libri e le mie varie collezioni, e quindi gli dissi: «Perché non entri con me?» Konradin ebbe un attimo di esitazione, ma poi mi seguì dentro casa.
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La casa dei miei genitori, una villa modesta costruita in pietra locale, si trovava in un giardinetto pieno di ciliegi e di meli a Stoccarda, una delle città più belle e ricche della Germania, città circondata da colline e da vigneti. Stoccarda è piena di Höhenrestaurants, sulle cui ampie terrazze la gente trascorre le calde sere d'estate, bevendo vino del Neckar o del Reno e ingozzandosi di enormi quantità di cibo: insalate di carne e patate, trote della Foresta Nera, salsicce calde di fegato e sanguinaccio con i crauti,… il tutto seguito da una straordinaria scelta di torte farcite, guarnite di panna montata. Se i cittadini di Stoccarda si fossero dati la pena di alzare gli occhi dal piatto, avrebbero visto, tra gli alberi e i cespugli di alloro, la foresta che si stendeva per chilometri e chilometri e il Neckar che scorreva lento tra i dirupi, i castelli, i pioppeti, le vigne e le antiche città, verso Heidelberg, il Reno e il Mare del Nord.
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Nella mia casa c’era il riscaldamento centrale, quattro camere da letto, sala da pranzo, "giardino d'inverno" e una stanza in cui papà riceveva i suoi pazienti. La mia camera, al secondo piano, era stata arredata secondo i miei desideri. Alle pareti erano appese alcune riproduzioni di dipinti famosi: il Ragazzo con il gilet rosso di Cézanne, qualche stampa giapponese e i Girasoli di Van Gogh. E poi c’erano tanti libri : i classici tedeschi e la mia raccolta di opere francesi e russe. In un angolo c'era una vetrina contenente le mie collezioni: monete, coralli di un rosso rosato, ematiti e agate, topazi, granati, malachite, oltre ad un blocco di lava, al dente di un leone, a un artiglio di tigre, a un brandello di pelle di foca, a due frammenti di vetro romani (rubati in un museo), a una piastrella ugualmente romana e al molare di un elefante. Era il mio mondo, un mondo in cui mi sentivo totalmente al sicuro e che, ne ero certo, sarebbe durato in eterno. D'accordo, le mie origini erano ebree. E tuttavia sapevo che gli Schwarz vivevano a Stoccarda da almeno duecento anni, se non di più. Chi poteva escludere che fossero arrivati lì prima degli Hohenfels? Ma tutte queste domande erano di poco conto. Per me niente aveva importanza oltre al fatto che quello era il mio paese, la mia patria, senza inizio né fine, e che essere ebreo non era in fondo diverso che nascere con i capelli neri piuttosto che rossi. Eravamo prima di tutto tedeschi e poi ebrei. Perché mai avremmo dovuto pensarla diversamente, sia io che mio padre o mio nonno? Questo nostro essere di "origine ebraica" non aveva altre implicazioni oltre al fatto che una volta all'anno, e precisamente il giorno del Yom Kippur, mia madre andava alla sinagoga e mio padre si asteneva dal fumo e dai viaggi, non perché fosse un credente convinto, ma perché non voleva urtare i sentimenti altrui. Quando a mio padre chiesero se il nazismo non gli facesse paura, mio padre rispose: «Per niente. Conosco la mia Germania. Lei crede sul serio che i tedeschi si lasceranno abbindolare da queste sciocchezze?»
11 s
Mia madre aveva troppo da fare per preoccuparsi dei nazisti. Non le veniva neanche in mente che un essere umano dotato di buon senso potesse mettere in discussione il suo diritto di vivere e morire in quel paese. Una volta alla settimana si trovava con le amiche, per la maggior parte mogli di medici, avvocati e banchieri, per mangiare pasticcini alla crema e al cioccolato, bere innumerevoli caffè e spettegolare sulle servitÚ, le rispettive famiglie e gli spettacoli che avevano visto. Una volta ogni quindici giorni andava all'Opera e una volta al mese a teatro. Di rado trovava il tempo per leggere, ma di tanto in tanto veniva in camera mia, guardava con nostalgia i miei libri, ne toglieva uno o due dallo scaffale, li spolverava e li rimetteva a posto. Poi mi chiedeva come andava la scuola, ottenendone in cambio il mio solito "benissimo", borbottato con voce brusca, e infine mi lasciava, portando con sÊ gli eventuali calzini da rammendare o le scarpe da risuolare. A volte, con gesto impacciato, mi appoggiava la mano sulla spalla Solo quando ero malato riuscivo ad accettare la sua compagnia e mi arrendevo con riconoscenza alla sua tenerezza .
12 s
Quando Konradin entrò, lo guidai verso la scala con l'intenzione di condurlo direttamente in camera mia, senza presentarlo prima a mia madre. Ma nell'attimo stesso in cui mi accingevo a salire, mia madre, che doveva aver sentito il rumore dei miei passi, mi chiamò. Ero in trappola. Avrei dovuto presentarle il mio amico. Lo portai nel soggiorno, con il tappeto persiano, i pesanti mobili di quercia, i piatti azzurri in porcellana e i calici rossi e blu dal lungo stelo, in bella mostra su una credenza. Mia madre era seduta nel "giardino d'inverno" sotto un albero della gomma, intenta a rammendare un paio di calzini, e non parve affatto sorpresa di vedermi in compagnia di un amico. Quando annunciai: «Mamma, questo è Konradin von Hohenfels,» alzò gli occhi per un istante, sorrise e gli porse la mano, che egli baciò. Poi gli fece qualche domanda, sulla scuola, sui suoi progetti futuri, sull'università che intendeva frequentare, e infine gli disse che era molto contenta di vederlo in casa nostra. Si comportò, insomma, come meglio non avrei potuto sperare e io mi accorsi che Konradin era rimasto affascinato. In seguito lo condussi in camera mia, dove esibii tutti i miei tesori: i libri, le monete,… Tutt'a un tratto udii i passi di mio padre e, dopo un attimo, lo vidi entrare in camera, cosa che non faceva più da mesi. Senza lasciarmi il tempo di fare le presentazioni, mio padre batté i tacchi, si raddrizzò, mettendosi quasi sull'attenti, tese il braccio destro e proclamò: «Gestatten, Doktor Schwarz.» (Permettete signor Schwarz) Konradin gli strinse la mano, si piegò in un inchino appena accennato, ma rimase muto. «Sono molto onorato, signor conte, di avere sotto il mio tetto il rampollo di una famiglia tanto illustre,» proseguì mio padre. «Non ho mai avuto il piacere di incontrare suo padre, ma ho conosciuto molti amici suoi» mio padre cominciò a raccontare una serie di aneddoti riguardanti questi conoscenti che avrebbe avuto in comune con il padre di Konradin, finché si ricordò che, nel suo studio, c'erano dei pazienti ad aspettarlo. Batté i tacchi un'ultima volta e disse: «Spero, signor conte, che vorrà considerare questa come la sua seconda casa. La prego di ricordarmi al suo signor padre.» Dopodiché, raggiante di piacere e di orgoglio, mi rivolse un breve cenno del capo per mostrarmi la sua soddisfazione e lasciò la stanza. Come mi era sembrato ridicolo mio padre, si era mostrato ai piedi del mio amico, non so per quale motivo si fosse comportato in quella maniera. Konradin sembrava molto interessato ai miei libri, mi lasciò il tempo di riprendermi dalla figuraccia di mio padre e quando, cinque minuti dopo, si voltò e mi sorrise, gli ricambiai il sorriso . Trascorsi due giorni tornò. Senza farselo dire, appese il suo cappotto in anticamera e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si diresse verso il
soggiorno in cerca di mia madre. Lei lo salutò, alzando appena gli occhi dal lavoro, quasi che si trattasse di un altro figlio. Poi ci offrì del caffè e degli Streusselkucken e da allora in poi Konradin venne a trovarmi con regolarità, tre o quattro volte la settimana. Pareva felice e rilassato di essere con noi e solo il timore che mio padre potesse raccontare qualcun altro dei suoi terribili aneddoti gettava un'ombra sul mio piacere. Ma anche papà era più tranquillo e finì per abituarsi a tal punto alla presenza del ragazzo che smise di chiamarlo "signor conte" per passare al più familiare "Konradin".
13 s
Da quando Konradin era stato a casa mia mi aspettavo di essere invitato a mia volta, ma i giorni e le settimane passavano senza che questo avvenisse. Non riuscivo a capire. Era impossibile che lui, così attento a non ferire nessuno, così premuroso, si fosse dimenticato di invitarmi. Un giorno, davanti al cancello di casa Hoenfels, Konradin si voltò all'improvviso e mi disse: «Vieni dentro, non hai mai visto la mia stanza.» Senza lasciarmi il tempo di rispondere, spinse il cancello di ferro battuto. L'invito mi aveva colto alla sprovvista ed ero terrorizzato. Il coronamento dei miei sogni era giunto così inatteso che per un attimo provai la tentazione di fuggire. Avrei dovuto conoscere i suoi genitori così, con le scarpe impolverate e il colletto sporco? Ma non mi restava altro che seguirlo tremando. Così come gli avevo già visto fare sia nella realtà che nei miei sogni, alzò la mano destra e bussò piano alla porta che, obbedendo al suo comando, si aprì silenziosamente per farci entrare. Per un attimo ebbi la sensazione di sprofondare nel buio, poi, man mano che i miei occhi si abituavano all'oscurità, vidi una grande anticamera, le cui pareti erano coperte di trofei di caccia: corna gigantesche, la testa di un bisonte europeo, le zanne color crema di un elefante. Appesi il cappotto e lasciai la cartella su una sedia. Arrivò un cameriere e si inchinò. «Das Kaffee ist serviert, Herr Graf,» disse a Konradin. Questi rispose con un cenno d'assenso e mi precedette su per una scala di quercia scura fino al primo piano, dove intravidi una serie di porte chiuse e notai, sulle pareti rivestite in quercia, un quadro raffigurante una caccia all'orso, un altro che rappresentava un combattimento di cervi, un ritratto dell'ultimo re e la veduta di un castello. Da lì salimmo al secondo piano e percorremmo un corridoio dov'erano appesi altri quadri: C'era una porta aperta. All'interno vidi una camera da letto femminile con il piano della toilette zeppo di bottigliette di profumo e di spazzole. C'erano molte fotografie inserite in cornici d'argento, soprattutto ritratti di ufficiali; uno di essi somigliava in modo sorprendente ad Adolf Hitler, tanto che ne rimasi sconvolto. Non avevo tempo di indagare e, comunque, dovevo essermi sbagliato perché che senso mai poteva avere una foto di Hitler nella camera da letto di un Hohenfels? Finalmente Konradin si fermò. Entrammo nella sua stanza, che non era molto diversa dalla mia, se non per le dimensioni. Da essa lo sguardo spaziava su un giardino ben tenuto. Ma Konradin non mi lasciò il tempo di contemplare il paesaggio. Si precipitò verso un armadio e con una fretta che mi rivelò fino a che punto avesse atteso quest'occasione e gli occhi risplendenti al pensiero dello stupore e dell'invidia che stava per suscitare in me, espose i suoi tesori. Dal cotone idrofilo in
cui erano riposte estrasse le sue monete greche. Ma non era tutto qui: a queste seguirono altre rarità, ben più preziose delle mie: la statuina di una dea proveniente da Gela, una bottiglietta originaria di Cipro, dalla forma e dal colore simili a quelli di un'arancia e ornata di disegni geometrici, una coppa di vetro siriano, un vaso romano di colore verde pallido, e una figurina greca in bronzo raffigurante Ercole. Era commovente vedere quanto fosse felice di mostrarmi la sua collezione e di scorgere sul mio viso lo stupore e l'ammirazione. Il tempo passò con una straordinaria rapidità e quando, due ore dopo, me ne andai, non provai alcun rimpianto all'idea di non aver conosciuto i suoi genitori, né mi sfiorò il sospetto che avrebbero potuto essere fuori di casa.
14 s
Un paio di settimane dopo, Konradin mi invitò nuovamente a casa sua. Tutto si svolse esattamente come la volta precedente: chiacchierammo, osservammo, paragonammo, ammirammo. Anche stavolta, a quanto pareva, i suoi genitori erano assenti. La quarta volta che ciò avvenne, tuttavia, cominciai a sospettare che non si trattasse di una coincidenza e a temere che mi invitasse unicamente quando i suoi genitori erano via. Nonostante mi sentissi un pò offeso, non osai chiedergli delle spiegazioni . Poi un giorno mi tornò in mente la fotografia di quel tipo che assomigliava tanto a Hitler, ma subito mi vergognai di avere sospettato, anche per un attimo, che i genitori del mio amico avessero rapporti con un individuo del genere.
15 s
Mia madre mi aveva comprato un biglietto per il Fidelio, un’opera lirica , ed io ero già seduto in poltrona a teatro, in attesa che si alzasse il sipario. Ad un tratto, con sorpresa riconobbi in un giovane elegante, che indossava un abito da sera, il mio amico Konradin. Era seguito dalla contessa, sua madre, in un abito nero completato da una collana di brillanti e un paio di orecchini di brillanti. Per ultimo veniva il conte, suo padre, che vedevo per la prima volta, un uomo dai capelli e dai baffi grigi. Si fermarono un attimo, uniti, superiori, perché la gente li guardasse a bocca aperta. Finalmente decisero di occupare i loro posti in teatro. Il conte avanzò per primo, seguito dalla contessa, infine si mosse Konradin che, prima di sedersi, si guardò attorno, salutando con un cenno della testa le persone che conosceva. Tutt'a un tratto mi vide, ma fece finta di non riconoscermi. Mi vide, ne sono certo. Poi il sipario si alzò e nel teatro ci fu l'oscurità fino al primo intervallo. Appena calò il sipario, al termine del primo atto, senza attendere che smettessero gli applausi, andai nel foyer, un salone d’ingresso del teatro. Mi appoggiai a una colonna e attesi che arrivassero gli Hohenfels. Quando li vidi, tuttavia, provai il desiderio di fuggire. Ma non ne avevo la forza. Nel frattempo gli Hohenfels, con andatura lenta e maestosa, si facevano sempre più vicini. Avanzavano uno accanto all'altro e la contessa, che stava nel mezzo, salutava i conoscenti con un cenno della testa o agitando la mano ingioiellata. Anche il conte abbassava leggermente la testa per salutare e lo stesso fece nel vedere il Presidente della repubblica, il quale rispose con un profondo inchino. La folla si apriva al loro passaggio. Gli Hohenfels erano lontani ancora una decina di metri dal punto in cui li aspettavo. Tutt'a un tratto Konradin mi vide, sorrise, portò la mano destra al colletto della giacca come per togliersi un granello di polvere e... mi avevano già superato senza salutarmi. Continuarono a camminare con solennità. Quando suonò il campanello che annunciava l'inizio del secondo atto, non ritornai alla mia poltrona in teatro ma tornai a casa e me ne andai dritto a letto. Quella notte dormii malissimo. La mattina seguente andai a scuola, Konradin non era ancora arrivato. Mi diressi al mio banco dove rimasi seduto, fingendo di correggere un compito, e non alzai gli occhi nemmeno quando entrò. Anche lui andò dritto al suo posto e si mise a sistemare libri e matite, senza guardarmi. Quando suonò la campana che annunciava la fine della lezione, mi si avvicinò e mi rivolse qualche domanda, evitando tuttavia la più naturale, e cioè se mi fosse piaciuto il Fidelio. Al termine della giornata scolastica Konradin mi aspettò e ce ne tornammo a casa assieme come se nulla fosse
successo. Poi, mentre il cancello di ferro di casa sua si apriva, mi voltai verso di lui e gli dissi: «Konradin, perché mi hai evitato ieri a teatro?» Konradin prima arrossì poi impallidì e prese a balbettare qualcosa del tipo che "non mi aveva affatto evitato", che "soffrivo di allucinazioni" e che "non aveva potuto lasciare i suoi genitori". Ma io mi rifiutai di accettare le sue giustificazioni. «Senti un po', Konradin,» gli dissi. «sai perfettamente che ho ragione. Credi che non mi sia accorto che le uniche volte in cui mi hai invitato a casa tua i tuoi genitori non c'erano? Sei davvero convinto che siano tutte allucinazioni? Ho bisogno di sapere come stanno le cose. Non voglio perdere la tua amicizia, lo sai... ma non posso sopportare l'idea che ti vergogni di me al punto da non volermi presentare ai tuoi genitori. Perché ieri eri così diverso? Avresti potuto rivolgermi la parola per un solo istante. Konradin, tu sei un altro in presenza dei tuoi genitori! Perché non hai voluto che li conoscessi?» Konradin ebbe un attimo di esitazione, poi disse : «Mia madre odia gli ebrei. Per secoli e secoli la gente come lei ha ritenuto gli ebrei inferiori ai servi, la parte peggiore della terra, una razza di intoccabili. E mia madre non solo detesta gli ebrei, ma li teme, anche se non ne ha mai conosciuto uno. Se stesse per morire e non ci fosse nessuno, tranne tuo padre, in grado di salvarla, dubito che si deciderebbe a chiamarlo. Vedi, Hans, mia madre non accetterà mai l'idea di conoscerti. Secondo lei, il fatto che mi si veda con te costituisce una macchia per il nome famoso degli Hohenfels.» Fino a quel momento era riuscito a non perdere la calma, ma tutt'a un tratto, travolto dall'emozione, gridò: «Non guardarmi con quegli occhi da cane ferito! Non sono responsabile di quello che pensano i miei genitori. Oppure credi che sia colpa mia? » Dopo questo sfogo, si calmò. «Mio caro Hans,» disse con grande dolcezza, «Non sopporto l'idea di ferirti. Cerca di capirmi e perdonarmi e, ti prego, non togliermi la tua amicizia.» Gli diedi la mano, senza osare di guardarlo negli occhi, per timore che uno dei due potesse scoppiare a piangere. Con gesto lento Konradin richiuse il cancello di ferro di casa sua e se ne andò. Konradin non mi invitò più a casa sua. Continuammo a frequentarci come se niente fosse successo e lui venne ancora a trovare mia madre. Ma sapevamo che le cose erano ormai cambiate e che quell'episodio era l'inizio della fine della nostra amicizia.
16 s Tornato a scuola dopo le vacanze estive, che avevo trascorso in Svizzera con i miei genitori, scoprii che la dura realtà era entrata all'interno del liceo Karl Alexander. La città era piena di enormi manifesti contro gli ebrei. I muri erano danneggiati da scritte con svastiche. Alla metà di settembre arrivò Herr Pompetzki, il nuovo professore di storia che era convinto della superiorità della razza ariana, la sua presenza cambiò da un giorno con l'altro l'atmosfera della scuola. Fino a quel momento non mi ero mai trovato a dover affrontare l’intolleranza religiosa o razziale. Ma una mattina, arrivato a scuola, udii, oltre la porta chiusa della classe, un suono di voci impegnate in una discussione. Non riuscii a distinguere altro che "gli ebrei", ma il termine si ripeteva di continuo. Aprii la porta e la discussione si interruppe . Bollacher ridacchiò e Schulz, tenendosi il naso come se avesse sentito una gran puzza, mi osservò con espressione di sfida. Ebbi un attimo di incertezza. Finalmente mi si presentava l'occasione di dare una lezione a quella testa di legno, ma capii che non sarebbe servito a migliorare la situazione. Troppo veleno si era ormai infiltrato nell'atmosfera della scuola. Mi diressi quindi al mio posto fingendo di dare un'ultima occhiata ai compiti, come Konradin, d'altra parte, che sembrava troppo impegnato per accorgersi di quello che stava accadendo. A questo punto Bollacher si precipitò verso di me. «Perché non te ne torni in Palestina?» urlò e, estraendo dalla tasca un foglietto di carta, lo leccò e lo appiccicò sul mio banco, proprio davanti a me. Sul foglio c'era scritto: "Gli ebrei hanno rovinato la Germania. Tedeschi, svegliatevi!" «Togli quella roba,» gli ordinai. «Toglila da te,» mi rispose. «Bada, però: se lo fai ti spezzo le ossa ad una ad una.» Eravamo arrivati al dunque. Tutti i ragazzi, compreso Konradin, si alzarono per vedere cosa sarebbe successo. Colpii Bollacher sul viso più forte che potei. Barcollò, poi mi restituì il colpo. Bollacher, nel tirarmi un pugno, inciampò andando ad incastrarsi tra due banchi nell'attimo stesso in cui il professor Pompetzki entrava in classe. Bollacher si rialzò. Con le guance segnate da lacrime di umiliazione mi indicò e disse: «È stato Schwarz a cominciare.» Il professor Pompetzki mi guardò da capo a piedi. «Perché hai aggredito Bollacher?» mi chiese. «Perché mi ha insultato,» risposi, tremando per la rabbia e la tensione. «Davvero? E cosa ti ha detto?» si informò il professore. «Mi ha detto di tornare in Palestina.» «Ah, capisco,» commentò il professore con un sorriso. «Ma non si tratta di un insulto, caro Schwarz! È un buon consiglio, un consiglio d'amico. E adesso sedetevi,
tutti e due. Se volete prendervi a pugni, fatelo pure, ma fuori di qui. E tu, Bollacher, ricorda che devi essere paziente. Presto tutti i nostri problemi saranno risolti. E adesso torniamo alla nostra lezione di storia. Quando venne il momento di tornare a casa avevo ancora una debole speranza che Konradin fosse rimasto ad aspettarmi, che mi avrebbe aiutato e consolato in quel momento di disperazione. Ma quando uscii, la strada era fredda e vuota, Konradin non c’era. Da allora lo evitai. Sapevo che il farsi vedere con me avrebbe costituito per lui motivo di imbarazzo. Ormai ero solo. Nessuno mi rivolgeva piÚ la parola. Nemmeno Max Muscolo, che aveva preso a portare una piccola svastica d'argento sulla giacca, non mi chiedeva piÚ di esibirmi di fronte agli altri. Persino i vecchi professori sembravano essersi dimenticati di me.
17 s Un giorno all'inizio di dicembre tornai a casa stanco, mio padre mi convocò nel suo studio. Era invecchiato negli ultimi sei mesi e sembrava che avesse qualche difficoltà a respirare. «Siediti, Hans, voglio parlarti. Ciò che sto per dirti rappresenterà per te un grande dispiacere. Tua madre ed io abbiamo deciso di mandarti in America, almeno per il momento, finché la tempesta nazista non si sarà calmata. A New York abbiamo dei parenti che si prenderanno cura di te e faranno in modo che tu possa andare all'università. Siamo convinti che questa sia la soluzione migliore. Non mi hai mai parlato di ciò che succede a scuola, ma immagino che non deve essere stato facile per te. All'università sarebbe ancor peggio. Quanto a tua madre e a me, abbiamo deciso di rimanere. Questa è la nostra patria, la terra in cui siamo nati e a cui apparteniamo e non permetteremo che nessuno ce la tolga. Ti prego di non opporti, di non discutere, per non renderci tutto ancor più difficile. » E così fu deciso. Lasciai la scuola a Natale e il 19 gennaio, giorno del mio compleanno, circa un anno dopo che Konradin era entrato nella mia vita, partii per l'America. Prima della partenza ricevetti una lettera. Mio caro Hans, questa è una lettera difficile. Prima di tutto voglio dirti quanto mi dispiaccia che tu stia per partire per l'America. Non dev'essere facile per te, che ami tanto la Germania, ricominciare una nuova vita in un altro paese e mi immagino l'amarezza e l'infelicità che devi provare. Tuttavia, questa è la soluzione più saggia, data la situazione. La Germania di domani sarà diversa da quella che abbiamo conosciuto. Sarà una nazione nuova, guidata da Hitler, io credo in quest'uomo. Lui solo è in grado di salvare il nostro amato paese. So bene che non sei d'accordo. Io ho incontrato Hitler a Monaco, dove mi ero recato con mia madre. Apparentemente è un ometto insignificante, ma appena lo si ascolta parlare si viene travolti dalla forza della sua convinzione, dalla sua volontà di ferro, dalla sua intensità. Quando lo lasciammo, mia madre era in lacrime e continuava a ripetere: «È Dio che ce l'ha mandato.» Non so dirti quanto mi addolori il fatto che, almeno per il momento non ci sarà posto per te in questa Nuova Germania. Ma non vedo ragione perché tu non possa tornare in futuro. La Germania ha bisogno di uomini come te e io sono convinto che Hitler farà una scelta tra gli ebrei di valore e quelli non graditi. Mi rallegro che i tuoi genitori abbiano deciso di restare. Nessuno li infastidirà, naturalmente, ed essi potranno vivere e morire qui, in pace e in serenità. Forse un giorno i nostri cammini si incroceranno di nuovo. Mi ricorderò sempre di te, caro Hans! Il tuo affezionato, Konradin v. H.
18 s E così me ne andai in America, dove vivo ormai da trent'anni. Quando arrivai, terminai gli studi superiori e poi mi iscrissi ad Harvard, alla facoltà di legge. Avrei voluto diventare un poeta, ma il cugino di mio padre non era disposto ad ascoltare simili sciocchezze. «La poesia, la poesia,» diceva. « Sai quanto guadagna un poeta? Prima studia legge e diventa avvocato. Poi, nel tempo libero, potrai scrivere tutte le poesie che vorrai.» E così studiai legge. A venticinque anni divenni avvocato e sposai una ragazza di Boston da cui ho avuto un figlio. Nel mio mestiere me la sono cavata piuttosto bene, anzi, molti sarebbero disposti ad affermare che sono un uomo di successo. Ho tutto quello che un uomo della mia età potrebbe desiderare: un appartamento che si affaccia sul Central Park, delle automobili, una casa di campagna. Ma purtroppo non ho mai fatto quello che mi sarebbe piaciuto fare: scrivere un buon libro e un'unica bella poesia. All'inizio mi mancava il coraggio di mettermi all'opera perché non avevo soldi, ma ora che i soldi li ho, il coraggio mi manca ugualmente perché non ho sufficiente fiducia in me. I miei genitori sono morti in Germania, durante il periodo nazista. Un giorno, mentre mia madre dormiva, papà, dalla disperazione, aprì il gas. Fu così che morirono. Da allora ho fatto il possibile per evitare qualsiasi rapporto con i tedeschi e non ho più aperto neanche un libro scritto in tedesco. Ho cercato di dimenticare. Com'era inevitabile, alcuni tedeschi hanno incrociato la mia strada, brave persone che erano finite in prigione per essersi opposte a Hitler. Tuttavia, prima di stringere loro la mano, mi sono sempre informato sul loro passato. Bisogna fare attenzione prima di concedere la propria fiducia a un tedesco. Come si fa a essere certi che l'uomo con cui si sta parlando non abbia immerso le mani nel sangue dei vostri amici o dei vostri parenti? Ma anche con loro fingevo di avere qualche difficoltà a parlare tedesco. È una specie di facciata protettiva che uso quasi senza rendermene conto quando devo parlare con un tedesco. In realtà mi esprimo ancora perfettamente, ma non amo servirmi della mia lingua d'origine. Le mie ferite non si sono ancora rimarginate e, ogni volta che ripenso alla Germania, è come se venissero sfregate con il sale. Un giorno incontrai un uomo che veniva dal Württemberg e gli chiesi che ne era di Stoccarda. «È stata distrutta per tre quarti,» rispose. «E il Karl Alexander Gymnasium?» «È stato ridotto a un cumulo di macerie.» «E il palazzo degli Hohenfels?» «Anche quello.» Scoppiai a ridere, senza riuscire a fermarmi. « Perché tanta allegria?» mi domandò l'uomo, stupefatto. «Non vedo che cosa ci sia di tanto comico.» «Non importa,» risposi. «È vero, non c'è niente di comico.» Cos'altro potevo dirgli? Come fare a spiegargli perché ridevo, se io stesso non riuscivo a capirlo?
19 s Tutto questo mi tornò alla memoria poco tempo fa quando mi giunse, del tutto inattesa, una richiesta di fondi da parte del Karl Alexander Gymnasium, accompagnata da un libretto contenente una lista di nomi, per l'erezione di un monumento funebre alla memoria degli allievi caduti durante la seconda guerra mondiale. Non so come fossero riusciti a rintracciarmi. Il mio primo impulso fu quello di buttare tutto nel cestino della carta straccia: cosa importava a me della "loro" morte: non avevo più niente a che fare con "loro", proprio niente. Quella parte di me non era mai esistita. Avevo eliminato diciassette anni della mia vita senza chiedere niente e adesso avevano la sfrontatezza di venire a chiedere a me un contributo. Ma alla fine cambiai idea e lessi l'appello. I ragazzi morti o dispersi erano stati ben quattrocento. Seguiva l'elenco dei nomi in ordine alfabetico. Gli diedi un’occhiata, evitando di soffermarmi alla lettera H. "ADALBERT, Fritz, caduto in Russia nel 1942." Sì, c'era qualcuno che si chiamava così nella mia classe, ma ai miei occhi doveva essere stato altrettanto insignificante in vita quanto lo era in morte. Lo stesso valeva per il nome seguente, "BEHRENS, Karl, disperso in Russia, presunto morto." Si trattava, comunque, di giovani con cui ero stato per anni, che un tempo erano stati vivi e pieni di speranza, che avevano riso e sofferto come di me. "MÜLLER, Hugo, caduto in Africa." Anche lui me lo ricordavo. Chiusi gli occhi e dalla mia memoria emerse l'immagine vaga e indistinta di un ragazzo biondo con le fossette. Ed era morto. Poveretto. Non fu questo il commento che feci leggendo "BOLLACHER, morto, sepoltura ignota." Se c'era qualcuno (e sottolineo se) che meritava di morire, questi era lui. E lo stesso valeva per Schulz. Eccome se si erano meritati di morire, sempre che qualcuno se lo meritasse. Esaminai l'intera lista, saltando tutti i nomi che iniziavano per H e, giunto alla fine, scoprii che ben trentasei sui quarantasei studenti che componevano la mia classe avevano perso la vita. Deposi la lista e attesi. Aspettai dieci minuti, poi mezz'ora, senza lasciare con lo sguardo quelle pagine stampate. Lavoricchiai, feci qualche telefonata, dettai un paio di lettere, senza riuscire a buttare via l'appello, né a trovare il coraggio di cercare l'unico nome che mi ossessionava. Afferrai l'opuscolo con l'intenzione di stracciarlo ma, all'ultimo momento, mi trattenni. Facendomi forza, quasi tremando, lo aprii alla lettera H e lessi. "VON HOHENFELS, Konradin, implicato nel complotto per uccidere Hitler. Giustiziato."
CAPITOLO 1 1. Cerca sul vocabolario i significati delle parole in grassetto e trascrivili sul quaderno. 2. Fai almeno due frasi con ognuno dei vocaboli cercati sul dizionario 3. Che scuola frequenta il protagonista ? 4. In quale città? In quale nazione si trova questa città ? Cercala sulla carta dell’Europa. 5. Cosa succede in classe una mattina ? 6. Descrivi il nuovo compagno di classe 7. In che cosa è diverso dagli altri il nuovo compagno di classe? 8. Come si chiama il professore ? 9. Dove viene fatto sedere il nuovo compagno di classe ? 10. Come si chiama il nuovo compagno?
CAPITOLO 2 1. 2. 2. 3. 4. 5. 6.
Cerca sul vocabolario i significati delle parole in grassetto e trascrivili sul quaderno. Componi una frase con ognuno dei seguenti vocaboli :tozzo, acuminato, ammutolire. Quali sono i gesti del nuovo compagno che interessano tanto il protagonista? Quali sono i nomi dei due ragazzi ? Di che religione è Hans? Come si comportano i ragazzi con il nuovo compagno? Quale è il comportamento del nuovo compagno?
CAPITOLO 3 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Cerca sul vocabolario i significati delle parole in grassetto e trascrivili sul quaderno. Fai almeno due frasi con ognuno dei vocaboli cercati sul dizionario Cosa desiderava Hans? Perché Hans non aveva mai avuto amici in classe ? Cosa desideravano i compagni di Hans per il loro futuro? Cosa sognava Hans per il suo futuro?
CAPITOLO 4 1. Cosa voleva fare Hans? 2. Come si comportava in classe prima dell’arrivo di Konradin? 3. Come si comporta ora che c’è Konradin? 4. Come si svolgeva solitamente la lezione di educazione fisica ? 5. Cosa fa Hans durante l’ora di educazione fisica ? 6. Come reagisce Konradin? 7. Come reagiscono gli altri compagni di classe ? 8. Quale passione accomuna Konradin e Hans? 9. Come lo hanno scoperto i due compagni? 10. Cerca sul dizionario il significato delle parole - prodezza - protendersi Scrivi sul quaderno la definizione e fai almeno 2 frasi per ogni vocabolo
CAPITOLO 5 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
Cosa accade il 15 marzo? Come è la serata? Cosa fa Konradin? Cosa fanno Hans e Konradin insieme? Cosa ha avuto inizio il 15 marzo? Quale è lo stato d’animo di Hans nel tornare a casa? Come dorme Hans quella sera? Perché? Cerca sul vocabolario i seguenti termini: - goffo - impreciso - conseguenza - inquieto Scrivi sul quaderno la definizione e fai almeno 2 frasi per ogni vocabolo
CAPITOLO 6 1. Cerca sul vocabolario i seguenti termini: - tingere - modico - intersecato - rapido - sagoma - giglia - estinto Scrivi sul quaderno la definizione e fai almeno 2 frasi per ogni vocabolo Cosa succede la mattina dopo l’incontro di Hans e Konradin? Di cosa aveva avuto paura Hans? Perché le sue paure erano sbagliate? Cosa facevano sempre all’uscita della scuola? Come furono i giorni che seguirono? Cosa facevano il sabato i due ragazzi? Quali luoghi andavano a visitare ? Cerca sulla cartina la Foresta Nera, il Reno,il Neckar, il Danubio,il lago di Costanza,l’Hegau, i Vosgi, Strasburgo 10. Fai una cartina della Germania dove ci siano solo gli elementi della domanda 9 11. Cosa facevano i due amici guardando il paesaggio? 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
CAPITOLO 7 1. Cerca sul vocabolario i seguenti termini e riporta le definizioni sul quaderno: - turbare - commissione - divampare - rapidità - commettere - esitare Scrivi sul quaderno quale significato hanno le frasi tratte dal libro : - niente venne a turbare la nostra amicizia - la cameriera era andata a fare una commissione - l’incendio divampò con rapidità - quale male avevano commesso i genitori di quei bambini… - Konradin ebbe un attimo di esitazione 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
In che anno si svolge la vicenda ? Di cosa parlava la gente ? Cosa turba Hans? Come si sfoga Hans? Cosa piace fare ai due amici? Dove? Cosa fa Hans un giorno davanti a casa sua? Cosa risponde Konradin?
CAPITOLO 8 1. Cerca sul vocabolario i seguenti termini e riporta le definizioni sul quaderno: - modesto - locale - dirupi - crauti Scrivi sul quaderno quale significato hanno le frasi tratte dal libro : - La casa di Hans era una villa modesta - La casa di Hansera costruita con pietra locale - Il Neckar scorre tra dirupi, castelli, pioppeti … - …mangiare crauti 2. 3. 4. 5. 6.
Come è la casa di Hans e dove si trova? Parla di Stoccarda raccogliendo le informazioni che si trovano in tutti i capitoli del libro Cosa faceva la gente nei ristoranti di Stoccarda? Quali piatti assapora la gente a Stoccarda? Cosa si poteva vedere da Stoccarda
CAPITOLO 8 7. Cerca sul vocabolario i seguenti termini e riporta le definizioni sul quaderno: - modesto - locale - dirupi - crauti Scrivi sul quaderno quale significato hanno le frasi tratte dal libro : - La casa di Hans era una villa modesta - La casa di Hansera costruita con pietra locale - Il Neckar scorre tra dirupi, castelli, pioppeti … - …mangiare crauti 8. Come è la casa di Hans e dove si trova? 9. Parla di Stoccarda raccogliendo le informazioni che si trovano in tutti i capitoli del libro 10. Cosa faceva la gente nei ristoranti di Stoccarda? 11. Quali piatti assapora la gente a Stoccarda? 12. Cosa si poteva vedere da Stoccarda
CAPITOLO 9 1. Cerca sul vocabolario i seguenti termini e riporta le definizioni sul quaderno: - patria - lasciarsi abbindolare (cerca abbindolare) Fai due frasi con i vocaboli. 2. Descrivi la casa di Hans 3. Descrivi la camera di Hans 4. Come si sente Hans a casa sua? 5. Cosa ensa delle sue origini Hans? 6. Quale è la patria di Hans? 7. Come vivono la religione Hans e i suoi familiari? Sono credenti? Sono praticanti? 8. Cosa pensa il padre di Hans a proposito del nazismo?
CAPITOLO 11 1. Cerca sul vocabolario i seguenti termini e riporta le definizioni sul quaderno: - innumerevole - rado (cerca tra i significati quello dell’espressione “di rado” - brusco - impacciato Fai due frasi con ognuno dei vocaboli. 2. La mamma di Hans si preoccupava del nazismo? Perché? 3. Cosa faceva una volta a settimana? 4. Cosa faceva ogni quindici giorni? 5. Che lavoro faceva suo marito, ossia il padre di Hans? 6. La famiglia di Hans è benestante o povera? 7. Cosa faceva di rado la mamma di Hans? 8. Cosa chiedeva la mamma ad Hans e cosa lui le rispondeva sempre? 9. Quando Hans si faceva coccolare più volentieri? 10. Secondo te come è la mamma di Hans?
CAPITOLO 12 1. Cerca sul vocabolario le seguenti parole : stelo rampollo raggiante
rammendare illustre
Componi una frase con ogni vocabolo. 2. Hans, dopo aver invitato in casa sua Konradin, dove lo vuole portare ? Perché? 3. Da chi vengono fermati? 4. Come è il soggiorno della casa di Hans? 5. Dove si trova la madre e cosa sta facendo? 6. Cosa chiede la mamma di Hans a Konradin? 7. Secondo Hans come si era comportata sua madre con l’amico? 8. Dopo l’incontro con la madre dove vano i due amici? 9. Chi sopraggiunge? 10. Come si comporta il padre di Hans? Cosa fa? 11. Secondo Hans come si era comportato sua padre con l’amico? 12. Che abitudini prese Konradin dopo quel primo giorno in casa di Hans? 13. Secondo te perché il padre di Hans si era comportato in maniera strana con Konradin?
CAPITOLO 13 1. Cerca sul vocabolario le seguenti parole : premuroso trofeo assenso scorgere
zeppo contemplare riporre
Componi una frase con ogni vocabolo. Cosa sia spettava Hans dall’amico? Un giorno, davanti al cancello di casa Hoenfels, cosa fa Konradin? Come si sente Hans? Quali timori ha? Descrivi l’anticamera della casa di Konradin. Dove viene portato Hans? Descrivi ciò che vede durante il percorso. Secondo te, nella stanza della mamma di Konradin, era possibile che ci fosse l’immagine di Hitler appesa alla parete? Perché? 8. Cosa era impaziente di fare Konradin? 9. Cosa possedeva Konradin? Che valore avevano questi oggetti? 10. Prima di andarsene dalla casa di Konradin , Hans aveva conosciuto i genitori dell’amico? 2. 3. 4. 5. 6. 7.
CAPITOLO 14 1. Cerca sul vocabolario le seguenti parole : paragonare coincidenza
ammirare individuo
Componi una frase con ogni vocabolo. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Quando Konradin invitò per la seconda volta Hans a casa sua? Cosa fecero i due amici? Cosa notò Hans? Cosa cominciò a sospettare Hans? Cosa poteva significare la fotografia di Hitler in casa di Konradin? Di che cosa si vergogna Hans?
CAPITOLO 15 1. Cerca sul vocabolario le seguenti parole : maestoso pallido temere
solennità detestare sfogarsi
Componi una frase con ogni vocabolo. 2. Hans dove incontra Konradin? 3. Descrivi la famiglia di Konradin ?(come erano vestiti, come camminavano, come salutavano) 4. Quando Konradin vede Hans cosa fa? 5. Perché Hans aspetta l’amico nel foyer? 6. Come si comporta Konradin nel foyer? 7. Il giorno dopo, a scuola, cosa succede? 8. Nel tornare a casa, cosa chiede Hans a Konradin? 9. Cosa risponde Konradin
CAPITOLO 16 Fare il riassunto scritto del capitolo CAPITOLO 17 1. Cerca sul vocabolario le seguenti parole : opporre amarezza Componi una frase con ogni vocabolo.
2. 3. 4. 5. 6. 7.
Il padre di Hans cosa gli comunica? Perché Hans se ne deve andare? Quando parte Hans? Cosa riceve Hans prima della sua partenza ? Cosa pensa Konradin di Hitler? Cosa si augura Konradin per il futuro?
CAPITOLO 18 1. Cerca sul vocabolario le seguenti parole : rimarginato Componi una frase con il vocabolo. Come è la vita di Hans, trent’anni dopo la partenza dalla Germania? Quali studi ha fatto Hans? Che lavoro fa e a cosa avrebbe voluto dedicarsi? Cosa è successo ai suoi genitori? Perché Hans, prima di stringere la mano ad un tedesco, si informa sul suo passato? Perché Hans finge di non parlare bene il tedesco? Al termine della guerra quale fu la fine di Stoccarda? E del liceo? E della villa degli Hohenfels? 9. Come si sente dopo aver avuto queste informazioni ? Perché? 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
CAPITOLO 19 1. Cerca sul vocabolario le seguenti parole : sfrontatezza vago complotto Componi una frase con ognuno dei vocaboli. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
Che richiesta arriva ad Hans? Perché? Cosa contiene la lista che giunge con la richiesta? Perché non vuole leggere i nomi con la H? Cosa pensa nel leggere sulla lista i nomi di Bollacher e Schulz? Perchè Alla fine cosa fa? Cosa scopre? Secondo te perché il libro si intitola “L’amico ritrovato”? Il nazismo e la persecuzione degli ebrei cosa hanno lasciato nella vita di Hans?