UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE Facoltà di Architettura Dipartimento di Progettazione dell’architettura A.A. 2009/2010
“LA COMMENDA DI SAN GIOVANNI DE BUDES IN ACQUASPARTA”
Laureanda Pamela Bernardi
Relatore Prof. Marco Jaff
Alla mia famiglia...
INDICE INTRODUZIONE PARTE I Ricognizione storica e studio del luogo 1. LETTURA DEL TERRITORIO 1.1 Repertorio delle strutture identitarie dei Monti Martani 1.2 La via Flaminia e i suoi Ponti 1.3 La regione delle acque 2. ANALISI STORICA 2.1 Abbandono della via Flaminia, il Corridoio Bizantino e le Terre Arnolfe 2.2 Commende dell’Umbria meridionale APPENDICE: documentazione storica
PARTE II Il rilievo 3. LO STATO ATTUALE 3.1 Ricognizione e studio del luogo 3.2 Rilievo architettonico 3.3 Rilievo fotogrammetrico: le facciate
4. ANALISI DELLO STATO DI FATTO 4.1 Fenomeni di degrado che interessano la struttura 4.2 Ipotesi conclusive
PARTE III Il progetto 5. PROPOSTA DI INTERVENTO 5.1 Le invarianti: emergenze archeologiche, architettoniche ed ambientali 5.2 Ipotesi per un museo delle acque 5.3 Riferimenti 5.4 Filosofia di progetto 5.5. Materiali e tecnologie
CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA SOFTWARE UTILIZZATI CARTOGRAFIA VISIONATA INDICE DELLE TAVOLE
INTRODUZIONE Il complesso architettonico di San Giovanni de Budes sorge sull’omonimo ponte romano lungo il tracciato dell’antica via Flaminia che, per la sua particolare ubicazione, costituisce un’importante testimonianza di valenza urbanistica e architettonica della media valle del Tevere nonostante il suo stato di abbandono. Già da tempo la Regione Umbria, attraverso il “Patto per lo sviluppo dell’Umbria”, ha promosso un’azione strategica denominata “Tutela e valorizzazione della risorsa Umbria” all’interno della quale si inserisce il progetto per la conservazione del territorio, incentrato sull’asse dell’antica via Flaminia, rivolgendo l’interesse alle testimonianze pagane e cristiane con la consapevolezza del grande valore del patrimonio artistico, culturale, naturale e sociale di questo territorio. Il progetto, denominato “Parco della Flaminia Martana”, prevede una serie di interventi funzionali tesi al raggiungimento degli obbiettivi di tutela e conservazione dei beni ambientali, naturalistici, archeologici e artistici, di valorizzazione, promozione turistica ed economica del territorio preso in esame, partendo dalla rilettura della viabilità antica per arrivare alla riscoperta delle numerose realtà locali ad essa collegate. L’analisi ha permesso l’esatta individuazione del tracciato dell’antica via Flaminia a partire dai limiti comunali di San Gemini a sud, Acquasparta al centro e di Massa Martana a nord. Dopo aver individuato gli antichi percorsi viari e le testimonianze storico-artistiche, tali da ripercorrere idealmente gli itinerari della memoria, sono state allestite
quattro mostre a documentare questa indagine (Massa Martana Maggio 1997; Acquasparta Ottobre 1997 Perugia - Rocca Paolina Dicembre 1997, Gennaio 1998; Perugia S. Giuliana Settembre 1998). I promotori dell’iniziativa sono i Comuni di Massa Martana, Acquasparta e San Gemini con l’adesione della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, della Pontificia Commissione per l’Archeologia Sacra e l’Università degli Studi di Firenze – Facoltà di Architettura. A seguito dell’attenzione rivolta al progetto sia da parte delle istituzioni sia da parte dei mass media mi sono incuriosita al punto di proporre il complesso di San Giovanni de Budes come tema per l’esame di Rilievo dell’architettura. L’interesse per quest’opera architettonica è rimasto vivo nel tempo tanto da diventare l’argomento della mia Tesi di Laurea. Partendo da una lettura storica e territoriale ci siamo posti come obbiettivo il rilevamento di tutti i corpi che costituiscono l’intero edificato e di documentare il manufatto nel suo insieme per ricostruirne i processi di trasformazione. La parte conclusiva del lavoro consiste nella riorganizzazione generale del complesso attraverso la realizzazione di un Museo dedicato alle acque e di un centro di accoglienza inserito all’interno del più ampio progetto del Parco Archeologico della FlaminiaMartana, con l’auspicio che a San Giovanni de Budes venga restituita la sua antica importanza.
PARTE I Ricognizione storica e studio del luogo
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1. LETTURA DEL TERRITORIO 1.1 Repertorio delle strutture identitarie dei Monti Martani Il paesaggio si caratterizza per la morfologia valliva solcata principalmente dal torrente Naia. Dal punto di vista naturalistico emergono con forza le doline, le grotte e le voragini che denotano il fenomeno carsico di questa zona e le famose sorgenti di acqua minerale (S. Faustino, S. Gemini, Amerino, Fabia) dovute all’affioramento di una falda freatica nei pressi di Acquasparta. La presenza di importanti sorgenti minerali, già scoperte in epoca romana, è uno degli elementi di maggiore identità di questo territorio. La valle, alle pendici del massiccio dei Monti Martani, si caratterizza inoltre per il mosaico agrario complesso, dove si intersecano, ai campi coltivati, ampi lembi boschivi. I tre centri storici principali di San Gemini, Acquasparta e Massa Martana (vedi foto 1) sono storicamente legati dalla via Flaminia antica, che attraversa longitudinalmente tutta la valle e lungo il suo tracciato, per tratti ancora visibili, vi sono testimonianze importanti. Salendo da Sud verso Nord (vedi foto 2), la Flaminia che oggi coincide con la Strada Statale Tiberina, sale nel centro medievale di San Gemini e una volta superato si ipotizza che il suo tracciato fosse quello che attraversa l’attuale Stabilimento delle Terme di San Gemini e il relativo parco oltre il quale è possibile proseguire in direzione di Carsulae (vedi foto 3a-b). Quest’ultimo è uno dei siti archeologici più
importanti della regione Umbria, sede di un Municipio romano, poi abbandonato per problemi di instabilità del suolo. I resti, visitabili, sono rappresentativi della forma urbana antica, dove è ancora percepibile il foro, la basilica, i templi gemelli, l’arco di San Damiano. Il tracciato della via Flaminia antica è visibile anche per la pavimentazione a grandi lastre. Superata la città antica, prima di Acquasparta troviamo un ulteriore testimonianza importante: San Giovanni de Budes1 (vedi foto 4). Si tratta di una Chiesa romanica che poggia su un ponte romano a due fornici visibili successivamente interrato in seguito alla deviazione del corso del torrente Naia. Questo tratto ripercorre sostanzialmente l’attuale viabilità statale della S.S. Tiberina per poi lasciarlo in corrispondenza di Acquasparta e proseguire il suo percorso in un paesaggio agrario caratterizzato dall’alternarsi di morfologie dolci e salti di quota, per superare numerosi corsi d’acqua che scaturiscono dalle fonti minerali di cui la zona è ricca. Un’altra testimonianza è il Ponte Fonnaia (vedi foto 5) che presenta un arco con volta a botte ad asse inclinato. La Flaminia prosegue il suo percorso verso nord correndo lungo un rettilineo che trova la sua conclusione in un punto preciso dove ancora oggi si può visitare un’interessante chiesa del VII-VIII sec., Santa
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Maria in Pantano (vedi foto 6), costruita all’interno di un precedente edificio romano, una importante statio o mansio. Si trattava di un centro molto importante posto tra Narnia e Mevania, il vicus Martis Tudertium, il quale occupava lo spazio alle spalle della Chiesa di S. Maria in Pantano: doveva essere un grande edificio che assolveva ad una molteplicità di esigenze tra cui l’ospitalità dei viandanti, le funzioni di posta, di servizi termali, servizi medici e ospedalieri. Successivamente quando tornano ad essere prioritarie le operazioni di difesa, nasce più lontana e in posizione strategica l’attuale Massa Martana. Tutto il territorio finora descritto è caratterizzato dalla ricchezza di acque termali e sorgive. L’immagine simbolica del paesaggio è connessa sia alle sue origini antiche ma anche e soprattutto alla vocazione di città termali e delle acque minerali: la fonte Amerino, la fonte di San Faustino e le Terme omonime e le terme di Furapane, ne rappresentano esempi eccellenti.
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1.2 La via Flaminia e i suoi Ponti Già dai tempi dell’Imperatore Augusto, il vasto territorio dell’Italia centrale, oggi conosciuto come Appennino tosco-emiliano-umbro-marchigiano, presentava forti connotati di similarità. Quella che allora era denominata regio VI di fatto comprendeva territori, oggi inclusi in ben quattro regioni italiane: l’Umbria, le Marche, la Toscana e l’EmiliaRomagna. Nella regio VI si individuano facilmente due subregioni, separate dagli Appennini: ad ovest della catena montuosa l’Umbria propriamente detta, caratterizzata da ampie vallate fluviali, in particolare da quelle del Tevere e del Nera; ad est, lungo la costa adriatica, il cosiddetto ager Gallicus, che ha una conformazione assai simile a quella del vicino Piceno: una serie di montagne e colline digradanti in una stretta pianura costiera e solcate da sud-ovest a nordest dalle valli dei fiumi (vedi foto 7). La strada più importante della regio VI era la celebre via Flaminia la cui costruzione venne intrapresa nel 220 a.C. dal console Caio Flaminio probabilmente ricalcando percorsi assai più antichi. Essa aveva una funzione principale nella sua iniziale pianificazione, quella di raggiungere speditamente la costa nord adriatica, motivo per cui venne tracciata con andamento il più possibile rettilineo.
Per dare vita a una strada i costruttori antichi, dopo averne stabilito la larghezza, scavavano due ampi fossati e operavano poi con sabbia e calce creando il pavimentum (vedi foto 8 e 8 bis), quindi ricoprivano il tutto con cura e precisione per mezzo di quattro strati di pietre via via più fini, a partire dai grossi conglomerati fino ai ciottoli fini e alla sabbia. Tracciare il comodo percorso che dalla capitale giungeva sino a Rimini, per permettere il raggiungimento della costa adriatica fu un lavoro lungo e difficile a causa delle difficoltà planimetriche che portarono alla progettazione da parte degli ingegneri romani di ponti, viadotti e gallerie realizzati nei secoli dagli operai, prevalentemente soldati. Nonostante gli ostacoli e le asperità del terreno, si riuscì a dar vita ad un tragitto nel suo complesso rettilineo. La lunghezza totale superò le 200 miglia romane, circa 300 km, ma soprattutto è da sottolineare le migliorie tecniche rispetto alle altre strade consolari, a segnalare la continua evoluzione del popolo Romano. Era talmente comoda che spesso, pur allungando di diversi chilometri chiunque fosse diretto a nord la preferiva ad altre vie, diventando l’asse fondamentale di collegamento con il settentrione. La via Flaminia usciva da Roma (vedi foto 9) dall’omonima porta e si staccava dalla Cassia attraversando il fiume
Tevere su Ponte Milvio e puntava dritta verso l’Umbria. È’ proprio in questa regione che rimangono forti preesistenze dell’antico tracciato e delle aree urbanizzate adiacenti, testimonianti la rilevanza del sistema relazionale prodotto dai flussi di comunicazione della via consolare. La strada penetrava nella regio VI all’altezza di Ocriculum (Otricoli) per poi dirigersi verso Narnia(Narni) scavalcava le gole del Nera, da qui biforcandosi partono due itinerari: quello più antico, il percorso occidentale, più diretto e agevole, corrisponde al tracciato primitivo della Flaminia che attraversa San Gemini, raggiunge Carsulae per poi far rotta su Acquasparta, Massa Martana e Mevania (Bevagna). Il percorso orientale, l’itinerario più recente, attraversa una zona più densamente abitata, passando per Terni (Interamna Nahars), superato il valico della Somma giunge a Spoleto (Spoletium), dove sono presenti testimonianze della via consolare, prosegue per Campello sul Clitunno, zona bonificata nota per le sue Fonti, per poi ricongiungersi con l’altro tracciato a Foligno (Forum Flamini). Salendo di quota (oltre 500 m s.l.m.) si arriva a Nocera Umbra per poi proseguire fino a Sigillo (Helvillo) situato alle falde del Monte Cucco. La Flaminia abbandona il paesaggio umbro dopo aver
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valicato il passo della Scheggia. Da lì entra nelle Marche per arrivare al mare Adriatico (Fano) e raggiungere poi Rimini (ager galligus). Il popolo romano ci ha lasciato in eredità significative opere di ingegneria frutto della sua capacità costruttiva di cui in Umbria abbiamo amplia testimonianza: i Ponti (vedi foto 10). Lungo il nostro itinerario incontriamo all’altezza di Narni il Ponte Augusto (vedi foto 11), restaurato in epoca agustea (27 a.C.) durante gli interventi di risistemazione e potenziamento della via Flaminia2, che hanno riguardato anche tutti gli altri ponti. L’imponente ponte realizzato in opera cementizia con grandi blocchi di travertino squadrati e bugnati posti di testa e di taglio secondo le tecniche edilizie del tempo, venne danneggiato da un terremoto nel 847 d.C. e successivamente da una grande alluvione nel 1053, che ne provocò la caduta parziale. Oggi delle tre presunte arcate possiamo ammirare la prima e i ruderi di due pilastri; il ponte aveva una lunghezza di 160 m e una larghezza di piano stradale di 8 m, mentre l’altezza dell’arcata rimasta in piedi è di 30 m. Il rapporto tra le due dimensioni evidenzia immediatamente un forte sviluppo verticale che genera l’effetto di grande imponenza del manufatto.
A 2,5 km a nord del ponte Augusto incontriamo il ponte Calamone (vedi foto 12) in parte distrutto dalla ritirata dei tedeschi: si presenta attualmente con due fornici, una originale in opera quadrata con ortostati e cunei bugnati, l’altra ricostruita in mattoncini dopo i danni subiti nella Seconda Guerra Mondiale. Successivamente troviamo un vero ponte romano con tutte le “decorazioni” del caso, nonostante dovesse superare un’insignificante fosso: il ponte Caldaro (vedi foto 13), formato da cinque arcate di misura crescente verso quella centrale realizzate in opera quadrata mentre la parte superiore è in laterizio; lungo 74.32 m, largo 7.90 m con una luce centrale di 9 m e laterale di 5.50 m, mentre quella degli archi piccoli alle estremità è di 3.50 m3. Circa 1 km prima di giungere ad Acquasparta, venendo da Roma si trova il ponte di San Giovanni de Budes di cui si possono ammirare due arcate in buono stato di conservazione anche se parzialmente interrate. Realizzato in opera quadrata di travertino di fattura piuttosto grossolana. Superato il centro storico di Acquasparta troviamo un monumento unico nella sua originalità che nessuna immagine fotografica è mai riuscita a rendere completamente: il ponte Fonnaia (foto 14) una poderosa costruzione ad una sola arcata a tutto sesto, innalzata
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con grandi blocchi di travertino squadrati e realizzato diagonalmente rispetto al corso del torrente Fonnaia affluente di sinistra del Naia. Misura 20 m in lunghezza, 10 m in altezza con il solito piano stradale di circa 8 m. A pochi minuti di camminata si trova un complesso dedicato all’inumazione dei corpi formato da quattro cunicoli che scendono sotto terra dentro i quali si trovano file di loculi sovrapposti, una vera e propria catacomba cristiana. Il nostro percorso si conclude qualche chilometro più avanti nei pressi di Santa Maria in Pantano limite nord dell’area presa in considerazione.
1.3 La regione delle acque L’Umbria è senza dubbio una Regione di grandi Acque, non solo perché lo stesso fiume Tevere scorre per tre quarti del suo percorso sul nostro territorio, ma perché moltissime sono le sorgenti di acqua minerale e le fonti termali (vedi foto15). Fonti antichissime, testimoni del passaggio della storia, dagli Umbri e gli Etruschi ai Cesari, da San Francesco d’Assisi ai giorni nostri. Sono siti di rilevante interesse naturalistico e ambientale, oltre che storico, custoditi come gemme preziose già in epoca romana. La Regione, che ha fatto della tutela del territorio la sua principale bandiera, guadagnandosi il titolo di cuore verde d’Italia, propone all’interno del progetto R.O.M.E.4 questo
itinerario, che si muove lungo l’asse della via Falminia, l’arteria principale dell’Umbria, e tocca alcune fra le più apprezzate sorgenti idrominerali. L’elemento unificante del paesaggio umbro è rappresentato dal sistema di basse colline e pianure alluvionali che attraversa la regione da nord a sud (valle del Tevere, valle Umbra), costituito per lo più dai fondali ormai emersi dell’antico “lago tiberino”, contrappunto e divisore delle principali dorsali montuose. Per le loro caratteristiche eterogenee e le diverse permeabilità, questi terreni assumono una grande importanza dal punto di vista idrogeologico perché funzionano da serbatoi di accumulo delle acque che si infiltrano nelle pianure e nei rilievi calcarei adiacenti. I depositi lacustri sabbiosi e ghiaiosi e i travertini presenti nel sottosuolo accolgono efficacemente le risorse idriche, le quali si mineralizzano acquisendo diverse peculiarità e, a volte, caratteri di grande pregio, in relazione alle caratteristiche delle rocce che attraversano, ai tragitti che compiono e ai tempi di permanenza nel sottosuolo; questo è quanto accade in maniera assai concentrata, nell’area fra San Gemini e Villa San Faustino, alle pendici dei Monti Martani. Le acque minerali naturali che si rinvengono copiose in questa area sono in parte alimentate dalle acque
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di infiltrazione diretta all’interno dei depositi lacustri (come per Fabia, Aura, Amerino) e, in parte, alimentate dalle grandi montagne calcaree carsificate che, aiutate dall’azione delle faglie e da complessi reticoli di fratture, nelle cavità del loro ventre ospitano autentici fiumi, condotte e laghi profondi. Queste acque provenienti dalle dorsali carbonatiche talvolta arrivano generosamente a giorno alla base dei versanti, con inaspettate note oligominerali dovute ai brevi tempi di contatto con le rocce che le contengono (come a Gualdo Tadino con l’acqua Rocchetta) - talvolta presentano maggiore mineralizzazione per i tragitti più lunghi che compiono - ed effervescenza naturale grazie alla risalita di anidride carbonica di origine profonda che, risalendo attraverso le faglie che bordano i massicci, si discioglie nell’acqua (come per la Sangemini e la San Faustino, vedi foto16).
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2. ANALISI STORICA 2.1 Abbandono della via Flaminia, il Corridoio Bizantino e le Terre Arnolfe Per fissare dei punti di riferimento e definire successivamente quegli eventi che hanno modellato il complesso di san Giovanni de Budes devo necessariamente fare una breve cronologia che parte dalla caduta dell’impero romano d’occidente nel 476 d.C. con le conseguenti invasioni barbariche (prima i Goti, poi gli Ostrogoti e successivamente i Longobardi) che hanno portato i Bizantini prima a difendere le vie di comunicazione che da Roma giungevano all’Adriatico, poi al consolidamento del cosiddetto “corridoio bizantino” per collegare Roma al nord passando per la Toscana. La via Amerina (vedi foto 17) che collegava Roma a Chiusi per poi arrivare a Firenze, realizzata in epoca romana ma di secondaria importanza rispetto alla via Flaminia per tutta la durata dell’Impero, divenne a questo punto un collegamento molto più sicuro. Altra data importante è quella del distruzione della città di Carsulae tra il 535 ed il 553 d.C. che contribuì all’allontanamento dei suoi cittadini che si rifugiarono nelle vicine San Gemini (Casvetum) e Cesi (Caesium): i Longobardi si impossessarono di questi territori e successivamente l’imperatore Ottone I di Sassonia infeudò tutta l’area ad Arnolfo, suo consigliere con il titolo di Conte e vicario Imperiale: iniziò così la storia delle Terre Arnolfe di cui Cesi ne sarà capitale fino al XVIII sec.
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Il primo documento che delimita, seppure come nome di uso, le Terre Arnolfe, è del 1042: atto con il quale Enrico II trasferisce alla Chiesa tutte le terre comprese tra Narni, Terni e Spoleto, anche se di fatto esse graviteranno nell’orbita del potente Ducato di Spoleto fino alla fine del XII sec. Al limite di queste terre si trovavano i territori di Acquasparta che confinavano e sconfinavano nel Ducato di Spoleto e nella Diocesi di Todi, ed è proprio in questo periodo che presumibilmente si fa risalire la costruzione della torre, eretta in prossimità del ponte di San Giovanni de Budes, come punto di osservazione strategica in corrispondenza dell’asse viario. La larghezza della torre è pari a quella stradale cioè 8 m, mentre la lunghezza è di 5 m per un’altezza complessiva di circa 15 m, situata all’ingresso sud del Ponte era percorribile attraverso due portali con archi a tutto sesto realizzati con conci di pietra.
2.2 Commende dell’Umbria meridionale La Chiesa promosse e protrae, fino ai giorni nostri, il riconoscimento degli Ordini militari e religiosi del Medioevo e istituì, nel corso della storia, nuovi Ordini onorifici. Per descrivere la presenza dell’Ordine Gerosolimitano di San Giovanni nell’Umbria meridionale, bisogna necessariamente fare riferimento ad un lavoro uscito nel 1985 ad opera di uno dei più grandi studiosi dell’Ordine, l’inglese Anthoni Luttrell, dal titolo “The Hospittalers around Narni and Terni 1333-1373”5. Si tratta di una puntuale ricostruzione mirata ad inquadrare gli articolati meccanismi con cui l’Ordine ha strutturato il suo reticolo di insediamenti nel XIV secolo in un territorio attraversato da diverse vie di comunicazioni e posto sotto l’egida del Gran Priorato di Roma. Le proprietà dell’Ordine nell’Umbria si dislocavano lungo la via Flaminia o nelle sue immediate vicinanze mettendosi in relazione, tramite essa, con zone dell’alto Lazio. Le ricerche svolte hanno offerto apprezzabili spunti documentari ed elementi che gettano nuova luce sulla antichità e la diffusione dell’Ordine fin dall’inizio del XIII secolo con terreni, ospedali e chiese: una realtà ben incardinata sul territorio nella quale l’Ordine è presente
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e attivo su tutte le vie di comunicazione e dove il suo consolidamento comporta la creazione di ospizi sempre pronti ad offrire ricovero al maggior numero di pellegrini. Il versante sud del comitatus di Todi offre degli spunti veramente interessanti per approfondire il ruolo svolto dai Giovanniti non solo in campo assistenziale ma anche politico, militare e diplomatico. Si tratta di un’area molto estesa, compresa tra Todi, Acquasparta, Portaria, Cesi e Terni che, di fatto, ripercorre anche i limiti delle antiche Terre Arnolfe6. E’ proprio su questo territorio, attraversato dal tracciato della Flaminia, che si concentrarono gli interessi dei Giovanniti fin dal 6 maggio 1230, “quando il Pontefice ordinò al Priore ed agli Ospedalieri residenti in San Basilio di rinunciare alle loro pretese sul monastero di San Damiano”7 posto all’interno di quella che fu la città romana di Carsulae. La zona in esame ebbe sempre una storia molto travagliata visto il ruolo strategico che trovava il suo epicentro militare nella Rocca di Cesi, cardine militare per fronteggiare le irrequietezze del ducato di Spoleto e le mire espansionistiche di Federico II. I continui cambiamenti di fronte resero le Terre Arnolfe e la Rocca di Cesi una sorta di nodo cruciale all’interno degli equilibri tra papato e impero in cui ancora una volta emerse come decisivo il ruolo della Sacra Religione. Nelle immediate vicinanze di Cesi e Portaria, ossia al ridosso
di Acquasparta, l’Ordine poteva contare su di una vasta area di proprietà che ruotava intorno alla chiesa fortificata di San Giovanni de Budes. Le terre della Precettoria8 si distribuivano attraverso i castelli di Mezzanelli, principalmente di Acquasparta e poi di Portaria. Del tutto particolare, se non unica, è la costruzione della chiesa realizzata proprio lungo la strada Flaminia tanto da poggiare le sue fondamenta su di un antico ponte romano che in origine attraversava il torrente della Naia. Un insediamento che, data la sua posizione, si immagina segnato da eventi, quali la distruzione della vicina città romana di Carsulae prima e gli scontri tra Longobardi e Bizantini poi, essendo l’edificio proprio all’interno del corridoio bizantino9. Di difficile spiegazione è anche l’etimologia del toponimo “de budes” che potrebbe far riferimento al cognome di un beneficiario eccclesiasistico (commendatario) a cui venne affidato l’usufrutto della Commenda10, successivamente il nome subì una variazione dialettale in “de buttis” o “de butris”. Il primo cabreo11, (foto 18) relativo a tale possedimento, che nel suo splendido frontespizio recita «Cabrevatio sive inventarium bonorum commendae Sancti Ioannis»12 fu redatto dal Commendatore Fra’ Giulio Bravi di Verona nel 1575. Il successivo cabreo fu realizzato sotto il commendatore
Fra’ Ridolfo conte de Puppis l’11 marzo 1731 con rogito del notaio di Todi Felice Antonio Mattiolli e alla presenza di un altissimo numero di testimoni interessati alla confinazione. Nel 1771 l’allora commendatore Fra’ Filippo Ancajani nobile di Spoleto13 aveva affittato tutte le terre di Acquasparta e Portaria, cosa che fecero anche i successivi commendatori Fra’ Antonio Resta patrizio milanese e, tra il 1783 ed il 1789, Fra’ Pietro Zappata de Cardenas14, tanto che nel cabreo fatto compilare nel 1783 dal balì Fra’ Antonio Resta si constatava la dispersione di arredi sacri ed altri beni in seguito all’occupazione francese. Da questo momento in poi i successivi cabrei descrivono semplicemente lo stato di fatto del complesso senza apportare ulteriori cambiamenti. Anche dalla mappa del Catasto Gregoriano(1819-20) e relativo brogliardo non si evince nessun cambiamento planimetrico. Il 10 dicembre del 1862 il commendatore Fra’ Giuseppe Ferretti aveva ottenuto il “Beneficio apostolico per la vendita dei beni della commenda di Acquasparta”, alienazione che avvenne in favore del Signor Filippo Santini di Acquasparta, già enfiteuta della commenda, per la cifra di 7000 scudi con atto stipulato il 22 gennaio 1863.
Da questo momento in poi non si hanno più documenti né lettere, nulla sembra voler ricordare questo complesso nonostante esso abbia una sua indiscutibile imponenza nel paesaggio, purtroppo è un luogo che ha perso parte della sua memoria. A conclusione di questo rapido excursus si propone una schematizzazione della documentazione per giustificare lo schema abbastanza esplicativo su quello che deve essere stato il percorso di formazione e crescita del complesso.
NOTE PARTE I Capitolo 1 1. Pianegiani, Bonaventura, Prontuaro Alfabetico Delle Cappelle di Ius Patronato esistenti nella Diocesi. Lascite Pie per disposizioni testamentarie. Relazioni storiche della Madonna di Castel Vecchio, Del Beneficio delle Grotti a Collepepe. Erezioni in Parrocchia Pian di Porto. Case di Mascio, Grutti e Sismano, ed inoltre Interessanti notizie come al fine del presente indice, 1867, p.29. 2. www.comune.narni.tr.it, 19 aprile 2010 3.di M. Gaggiotti, D. Manconi , L. Mercando Guide archeologiche Laterza: Umbria. Marche, Laterza, Roma-Bari, 1993 4. Acronimo di: Roman, ancient greek and amber routes, innovative Methodologies and measures connecting Europe – ROME, progetto di protezione e sviluppo della viabilità intesa come patrimonio culturale, patrocinato dall’Unione Europea.
Capitolo 2 5. A. Luttrell, The Hospitallers around Narni and Terni:1333-1373 in “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria” (Bdspu) LXXXII (1985), pp. 5-22. 6. Per quanto attiene alla storia delle Terre Arnolfe e ai cambiamenti politico istituzionale avvenuti nel corso dei secoli si rimanda agli ultimi studi e pubblicazioni E. Martinori, Terre Arnolfe, a cura di Marta Bartoli, Biblioteca della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria N.1 Perugia 2005; P. Rossi-C. Feliciani, Cesi, Capitale delle Terre Arnolfe, Terni 2004; R. Nobili, Cesi nel Medioevo, Terni 2004; P. Rinaldi, Le Terre Arnolfe, in “Memoria Storica”, n.1 marzo 1992 pp. 107-117; Cesi, cultura e ambiente di una terra antica, Todi 1989; E. Martinori, Terre Arnolfe, in Bdspu XXX (1932); A. Milij, Carsoli rediviva ovvero storiche ricerche intorno all’antichissima città di Carsoli nell’Umbria; F. Contelori, Memorie historiche della Terra di Cesi, Roma 1675. 7. In E. Martinori, Terre Arnolfe cit. pp. 30-32 8. Sede dell’Ordine Templare dislocata sul territorio. 9. Il Corridoio bizantino e la via Amerina in Umbria, a cura di E. Menestò, Spoleto 1999. 10. Dal latino com insieme e mandare affidare designando un beneficio ecclesiastico affidato ad un secolare usufruttuario che ne godeva la rendita (alla sua morte il bene tornava alla Chiesa) 11. Dal latino cabreum-cabrevium, indica l’inventario dei beni delle grandi amministrazioni ecclesiastiche e l’insieme dei documentiche li formavano: elenco dei diritti e delle servitù e mappe delle singole particelle. La realizzazione veniva affidata agli agrimensori o ai notai se venivano redatti per atto pubblico. 12. Am, San Giovanni de Budes. 13. F. Bonazzi di Sannicandro , Elenco dei cavalieri cit. vol. II, p. 8. 14. F. Bonazzi di Sannicandro, Elenco dei cavalieri cit., vol. II, p. 236.
APPENDICE: documentazione storica 1575 Cabreo della Commenda di san Giovanni de Budes nelle terre di Acquasparta Foto 19
Il primo cabreo di San Giovanni de Budes relativo a tali possedimenti fu fatto dal commendatore Fra’ Giulio Bravi di Verona che si avvalse di un suo procuratore, Fabrizio Delfini, unitamente agli agrimensori Benedetto Aureli e Francesco Bondini e dei procuratori di Isabella Liviani Cesi “domina et patrona” di detta terra di Acquasparta. Al termine della definizione di tutti i confini i due periti agrimensori passavano alla spiegazione e descrizione delle tavole dei cabrei dichiarando la loro metodicità nell’avere disegnato “ogni via, ogni fiume, ogni fossato che è pubblico e serve per condotto alle acque sopravvenenti, così per maggiore manifestazione di esse terre, come perché se il corso loro cessasse (il che può occorrere) i vicini non potessero convertire tali siti comuni in uso privato.” Archivio del Sovrano Militare Ordine di Malta - Roma 1620 carta geografica prospettica del territorio di Todi e di Acquasparta La carta raffigura il tracciato della via Flaminia lungo il quale sorge la chiesa di san Giovanni; oltre il corpo torre e la chiesa non appaiono ancora ulteriori annessioni. Foto 20 Archivio Storico del Comune di Todi - Pg -
1731 Cabreo della Commenda di san Giovanni de Budes nelle terre di Acquasparta Commenda dell’illustrissimo Signor Commendatore Fra’ Ridolfo conte de Puppis (rogito dell’11 marzo 1731 del notaio Felice Antonio Mattiolli di Todi) descrizione minuziosa della chiesa con due porte di cui la principale è verso tramontana sopra la quale è una pietra con la seguente iscrizione: “D.O.M. ac Divo Johanni Baptiste Patrono Ordinis Hierosolomitani” e sopra la detta iscrizione vi è un tondo con grata per illuminare, sopra il tetto vi è un campanile piccolo con la sua campana con la seguente iscrizione Fra’ Camillus Barattus eques hierosolimitano anno domini MDCXXXX. Nella detta chiesa vi è un solo altare e nel muro vi sono dipinte le infrascritte immagini cioè in mezzo Santa Maria Maddalena, san Giovanni Battista e sopra l’Annunziata, San Francesco e Sopra l’Angelo Gabriele con le seguenti iscrizioni Nicolaus Johanne
Mattheo comite ductore et procurante e un’altra iscrizione ancora Lucretius Ventura Patritius Senensis eques hierosolimitano aere proprio 1602 e vi sono dipinte due arme dove sopra sono due rose in mezzo una sbarra e sotto un’altra rosa e sopra la croce di malta. Sopra l’altare appeso al muro vi è un crocefisso di legno vecchissimo di gran venerazione, altra iscrizione vicino all’altare recita frater Rodulphus comes de Puppis eques hierosolimitano aere proprio fecit a.d MDCCXXXI, tra i ricchi arredi e paramenti abbiamo anche due lampade con la croce di malta dipinta, vi era ancora un altro quadro raffigurante San Giovanni battista con cornice di nero”. Alla chiesa erano annesse altre stanze ad uso di pollaio, colombaio, stalla e cucina. Foto 21 Archivio del Sovrano Militare Ordine di Malta - Roma -
1751-56 Stato della venere compagnia della città di Todi cioè le Cinque Terre dagli Atti Ecclesiastici della curia di Todi n° 38 pp 722-743 minuziosa descrizione di tutti i possedimenti della Commenda attraverso rilievi effettuati dall’agrimensore Bartolomeo Polini di Valentano foto 22 e 22 bis Archivio della Curia Vescovile di Todi - Pg -
1780 indice generale delle visite ecclesiastiche delle Cattedrali di Todi effettuate dal maggio 1747 al settembre 1780 da Hieronimo Formali che descrive la chiesa di “Joannis de Budes” ed il buono stato in cui è mantenuta. Archivio della Curia Vescovile di Todi - Pg 1783 Cabreo della Commenda di san Giovanni de Budes nelle terre di Acquasparta Fatto compilare dal balì Fra Antonio Resta in un periodo in qui tutte le terre di Acquasparta e Portaria venivano affittate (tra il 1783 ed il 1789 fu commendatore Fra’ Pietro Zappata de Cardenas): si constatava la dispersione di arredi sacri ed altri beni in seguito all’occupazione francese. Archivio del Sovrano Militare Ordine di Malta - Roma 1803 Processo dei Miglioramenti della Veneranda Commenda di san Giovanni de Budes Dal processo di miglioramento avviato sotto Fra’ Nicola Buzi dal 1803 si evince che la chiesa aveva al suo interno un altare con un baldacchino contenente un grande crocefisso, un paliotto davanti all’altare, tutti gli arredi opportuni ed un quadro grande rappresentante San Giovanni Battista con cornice nera, due grandi credenzoni neri per contenere i paramenti sacri. 1809 Cabreo della Commenda di san Giovanni de Budes nelle terre di Acquasparta Iniziato nel 1807 per volontà di Fra’ Nicola Buzi e realizzato per opera del perito di Todi geometra Paolo Mosconi e del notaio Filippo Corsetti Fanelli descrive la commenda e l’elenco delle spese effettuate: non si evidenziano significativi interventi relativi alla chiesa ed agli spazi adiacenti di cui vi è una dettagliate descrizione e da cui si evince che non c’è stata nessuna variazione rispetto ai contenuti del cabreo del 1756. Archivio del Sovrano Militare Ordine di Malta - Roma 1819-20 catasto gregoriano mappa palazzi riquadro IV, IX mappa Foto 23 e relativo brogliardo foto 24 Archivio di stato di Terni
1824 Processo dei Miglioramenti della Veneranda Commenda di san Giovanni de Budes Un ulteriore processo di miglioramento della Commenda di spettanza al commendatore Fra’ Filippo Buzi viene intrapreso nel 1824 ad opera del commissario visitatore delegato S.E. il commendatore fra Carlo Candida Ricevitore del Gran Priorato di Roma. Il visitatore incominciò ad esaminare il cabreo della proprietà fatto nel 1808: La visita ebbe inizio nella chiesa di san Giovanni de Budes che fu trovata in ottimo stato “decentemente tenuta e ben fornita di sacri arredi”, anche gli annessi e le case coloniche furono trovate in buono stato, essendo state costantemente risarcite e curate così come i terreni che ottennero il medesimo giudizio anche in virtù dell’ottima pulizia dei fossi e della regimentazione delle acque che attraversavano i beni della Commenda.
PARTE II Il rilievo
Foto 25
3. LO STATO ATTUALE 3.1 Ricognizione e studio del luogo Tappe fondamentali per l’evolversi dello studio del luogo sono state le diverse ricognizioni (sopralluoghi), da queste giornate di fotografie ed analisi del manufatto sin nei suoi particolari sono emerse tante considerazioni di ordine storico, tecnologico e progettuale che hanno posto le basi cognitive per le operazioni di rilievo, di documentazione e per lo sviluppo dell’idea di progetto. L’edificio si raggiunge percorrendo la S.S. Tiberina arrivando così da sud rispetto alla planimetria del complesso apprezzandone subito l’amplia volumetria (vedi foto 25). Tutto il complesso è in pietra locale, eccetto la chiesa e il ponte, probabilmente rifinito ad intonaco poiché ne restano alcune tracce visibili (comunque solo lo strato del rinzaffo) che ci permettono comunque di riconoscere una muratura ad opus incertum. Sommariamente si tratta di una muratura povera tipica delle costruzioni di campagna e comunque riscontrabile in edifici situati nei dintorni. L’apparecchio murario si profila come strumento fondamentale di lettura e di identificazione del complesso del quale non si riesce a ricostruire una storia ben precisa. Il complesso oggetto di studio è situato nel comune d’Acquasparta, provincia di Terni, in località San Giovanni de Butris (dati catastali: foglio 42 part. 157) ed è costituito da due lunghi corpi di fabbrica distinti e tra loro prospicienti che per chiarezza indicheremo con le lettere A e B (foto 26
Foto 26
planimetria catastale). L’immobile A costituisce un esempio unico di architettura ecclesiastica realizzata in sovrapposizione alle strutture archeologiche di un ponte di epoca romana, lungo l’asse della Via Flaminia vetus ed è evidente come anche i corpi di fabbrica in oggetto, facenti parte integrante dello stesso complesso monumentale sono riferibili alla stessa dinamica storico-evolutiva. In effetti, le numerose tracce osservabili e riferibili a strutture edilizie della Strada Consolare ed ai successivi interventi di epoca medievale oltre agli elementi e conci di spoglio presenti nelle apparecchiature murarie del fabbricato, confermano tale dinamica. Per tali valori storici-testimoniali l’intero complesso edilizio, comprendente un volume a torre di tre piani (13,5 m di altezza) un fabbricato rurale di due piani ed un blocco minore sempre di due piani normale ad esso oltre alla chiesa romanica da cui prende il nome la località, risulta vincolato indirettamente alla L 1089/39 in seguito all’inserimento da parte del comune di Acquasparta nell’Elenco degli immobili sparsi nel territorio aventi carattere di bene culturale così come previsto dalla L.R. 31/97. L’immobile B è costituito da un fabbricato principale disposto su due livelli con destinazione ad abitazione
e sui lati corti contigui due locali annessi ad un livello destinati ad uso agricolo ed un essiccatoio, i manti di copertura sono a doppia falda in coppi e controcoppi eccetto quello dell’essiccatoio che è coperto con tegole. Gli immobili in oggetto, siti in zona agricola, la cui proprietà è estesa anche ai terreni che la circondano si trova inserita tra la vicina Via Tiberina ad ovest, la Strada E-45 ( futura autostrada, su indicazione del P.R.G del comune di Acquasparta del 2008) ad est, il torrente Naia e la rete ferroviaria regionale FCU a nord. Gli edifici del complesso si trovano in stato di abbandono da numerosi anni, per questo lo stato di degrado è abbastanza avanzato tanto da risultare ormai irrimandabile un intervento di restauro generale degli edifici a partire dalle coperture, al fine di mettere in sicurezza la staticità e garantirne la sopravvivenza. Solo di recente la Soprintendenza ai beni architettonici, è intervenuta nel restauro della Chiesa per di salvaguardarne la conservazione. L’edificio di proprietà del Sovrano Ordine di Malta15 è sotto la protezione del F.E.C.16. Procedendo in ordine cronologico il primo manufatto da descrivere, e forse anche quello più affascinante, è proprio il ponte (vedi foto 27) dato che le due
arcate visibili sono parzialmente interrate e siccome non è mai stato eseguito uno scavo non possiamo farne una ricostruzione filologica, ma ispirandoci ad altri esempi reali possiamo ipotizzarne la presenza di una terza arcata ormai perduta. Gli archi visibili sono disposti obliquamente di circa 15 gradi ognuno rispetto all’asse della chiesa. Tenendo conto dello sbieco la larghezza del ponte è di 8 m e la larghezza del passo ai parapetti di circa 7.50 m, considerando un parapetto mediamente largo 0.60 m, la lunghezza del manufatto è di circa 9 m; l’ampiezza delle luci degli archi, a livello del terreno, va da circa 3.17 a 3.77 m, l’altezza da terra va da 1.10 a 1.30 m. Gli archi su cui poggia la rampa di accesso alla chiesa hanno rispettivamente, quello ad est 6 file di conci e quello ad ovest 10 file; nelle altre due arcate sono presenti 7 file di conci, le ghiere a tutto sesto si presentano costituite di cunei piuttosto grandi, lavorati grossolanamente, con un lieve bugnato e talora smussati agli angoli. Sono di dimensioni abbastanza costanti, con una larghezza all’intradosso variabile da 0.45 a 0.70 m ed un’altezza media di 0.70÷0.80 m, nell’intradosso delle volte i cunei sono lisci. I muri verticali sono formati da blocchi posti soprattutto di taglio, alti da 0.45 a 0.60 m, disposti in corsi orizzontali quasi ondeggianti. I filari superiori, che fungono da basamento alla chiesa, sul lato ovest sembrano essere stati reimpiegati
Foto 27
per la costruzione del monumento medievale. Non vi sono tracce di elementi metallici nel ponte. Il secondo elemento oggetto d’analisi è la torre probabilmente di origine alto medievale e successivamente trasformata in torre colombaia e di difesa per il controllo dei campi. Il manufatto è comunque precedente alla chiesa, data la presenza di un portale di conci di pietra, ora murato, in ambo i lati della torre in asse con la via Flaminia, da far supporre un passaggio, sotto la torre prima del ponte, controllato per il pagamento del dazio o gabella. «Entro la varietà delle forme insediative umbre.... una tipologia di particolare interesse è quella della casa-torrecolombaia..... tale struttura entra a far parte delle forme di insediamento sparso del XVI secolo. La colombaia così importante nell’economia rurale tanto da essere teorizzata nella trattatistica trecentesca... appartiene e apparterrà ancora nel secolo seguente alle strutture turrite che hanno un primario carattere difensivo, nascendo insieme al corpo della torre, sovrapponendosi ad una torre preesistente o trasformandosi in edificio prettamente agricolo-produttivo in fortezza, a seconda delle necessità imposte dai tempi e dalle circostanze. E’ nel 400 che, con l’inizio di una più marcata diffusione dell’insediamento sparso nella campagna, i contratti mezzadrili d’ora in poi accompagneranno la costruzione di nuove case nei poderi,
Foto 28
la presenza delle colombaie quali edifici prettamente agricoli sia isolati che abbinati alle dimore contadine si fa più consistente, ma soprattutto a partire dal 500 che il fenomeno prende uno sviluppo accelerato. Molte case coloniche crescono aggregando vari campi intorno ad un originaria torre isolata; altre sviluppano ex novo un impianto simile»17. La chiesa (vedi foto 28) di origine medievale, la cui documentazione è stata trattata nella prima parte, è costituita nella parte basamentale dagli stessi blocchi di travertino romano utilizzati per la costruzione del ponte. Di pianta rettangolare ad aula unica poggia quasi completamente su di esso, l’interno è povero di arredi: tutto ciò che rimane (in cattivo stato di conservazione) è un altare addossato al muro contiguo della torre e resti parziali di un’affresco posto al di sopra dello stesso. Le mura perimetrali hanno uno spessore di 1 m, mentre l’impianto interno ha una lunghezza di 13 m e una larghezza di 6 m, la copertura è a due falde a doppia orditura lignea che poggiano su tre archi in muratura che scaricano il peso sui muri portanti. L’altezza di colmo è di 6.62 m mentre la linea di gronda è a 4.74 m. Il manto di copertura è in coppi e controcoppi. Con ogni probabilità l’edificio religioso, antecedente al 1300, che ha un lato in comune con la torre,
venne dapprima realizzato per scopi difensivi e successivamente riadattato e destinato a luogo di culto18. Dalla lettura della trama muraria si possono comunque distinguere due diverse fasi di costruzione e/o ricostruzione a conferma delle considerazioni sopra riportate. È interessante rilevare che a tutt’oggi la chiesa è un luogo sacro in quanto non è mai stato emanato un atto di sconsacrazione da parte delle autorità ecclesiastiche competenti
3.2 Rilievo architettonico Partendo da un inquadramento generale dell’insieme si percepiscono forme e proporzioni, da cui posso impostare i segni fondamentali di contorno dell’edificio: gli assi principali della composizione, le linee primarie, i rapporti tra altezza e larghezza e le linee di terra. Una rappresentazione schematica chiara e definita per inserire successivamente tutti gli elementi principali all’interno: gli assi secondari, gli allineamenti delle finestre e delle porte, l’individuazione del tipo di copertura e le inclinazioni delle stesse, i materiali e la presenza o meno di elementi decorativi di arredo. È stato individuato un semplice schema volumetrico
Riferimenti alle tavole del progetto
che permette il controllo globale della forma e della composizione: il complesso è costituito da due lunghi corpi rettangolari quasi paralleli tra loro in un contesto isolato che ha reso necessaria la realizzazione di un semplice ma efficace reticolo esterno costituito da una serie successiva di punti fissati sul terreno a distanza di 10 m l’uno dall’altro per poter effettuare le trilaterazioni perimetrali, dopodiché sono passata all’interno edificio per edificio, stanza per stanza eccetto quelle poche parti ostruite o pericolanti di cui si poteva intuire la disposizione dato che fortunatamente si tratta di semplici forme geometriche. La complessità di ogni edificio è strettamente relazionata a una molteplicità di fattori che sono imprescindibili al fine della comprensione e del suo sviluppo: un edificio può ritenersi “un complesso a sviluppo diacronico”, quando “presenta fasi di crescita episodiche, per parti dotate di relativa autonomia costruttiva e architettonica, rispetto al nucleo originario. Nonostante il tentativo di uniformare le facciate attraverso l’apposizione di uno strato d’intonaco, per altro oggi andato per la maggior parte perduto, sulle facciate è possibile leggere la discontinuità delle strutture di elevazione ed individuare le probabili cellule originarie. L’edificio è stato costruito con materiali tipici dell’edilizia storica: le murature sono costruite con pietrame sommariamente squadrato e possiedono una profondità
che varia tra 0.5 m e 1 m. Riprendendo la distinzione del complesso in due corpi individuati come edificio A e edificio B posso descrivere con più chiarezza le strutture orizzontali. Per il corpo A costituito dal volume a torre, il corpo di fabbrica centrale ed il blocco minore, le strutture di orizzontamento e di copertura sono costituite da solai a doppia orditura con travi principali in legno a sezione rettangolare e pianellato di sottofondo per i solai, sottomanto in pianellato e manto in coppi alla romana (coppi e controcoppi,) per i tetti, come osservabile dalle tavole grafiche, mentre nella navata della chiesa la copertura poggia su 3 archi in muratura. Il corpo B è costituito da due blocchi principali di due piani e un volume più basso destinato ad annesso coperto con tetto a due falde. Nel volume centrale le strutture di orizzontamento sono identiche a quelle del corpo A mentre le coperture sono sostenute da capriate classiche, secondo lo schema e le dimensioni riportate negli elaborati grafici, con sottomanto in pianellato e manto di copertura sempre in coppi alla romana; nel volume più recente, più alto rispetto agli altri e terminato in laterizio, il solaio di copertura è senza manto di sottofondo e la copertura è in tegole marsigliesi. Tutte le aperture sono architravate ma senza nessun
elemento decorativo di rilevante importanza, unica nota interessante è la presenza nel lato est del corpo A di un’apertura ormai murata realizzata con un arco a tutto sesto.
3.3 Rilievo fotogrammetrico: le facciate La restituzione migliore di un manufatto così complesso nelle sue complicanze storiche e nei suoi aspetti materici si ottiene solo grazie all’ausilio della fotografia19: infatti «la fotografia può, se correttamente utilizzata, rivestire una notevole importanza nella documentazione architettonica e costituire uno strumento insostituibile nel rilevamento architettonico ed urbano vuoi come documentazione di completamento ai grafici di rilievo, vuoi come strumento ausiliario nelle operazioni di rilievo»20. Nel caso specifico della facciata di un edificio, interpretata come una superficie verticale, la fotografia può essere manipolata attraverso il procedimento fotogrammetrico e raddrizzata fino a divenire una proiezione parallela, cioè un prospetto metrico corretto21. Si specifica a tal proposito che la «fotogrammetria architettonica risulta essere una
metodologia di rilevamento che permette di ottenere le informazioni morfologiche e metriche del soggetto fotografato; per cui la restituzione grafica diretta con fotogramma singolo permette di indagare e conoscere i contenuti geometrici e di genesi del soggetto fotografato attraverso l’applicazione di ciascun fotogramma dei principi della geometria proiettiva e di conseguenza delle proiezioni centrali. Per la fotogrammetria con fotogramma singolo si opera con l’applicazione dei principi della restituzione prospettica, la fotografia rappresenta una prospettiva e si può determinare la rappresentazione in proiezioni ortogonali del soggetto architettonico preso in considerazione e fotografato; oltre che la ricerca degli elementi fondamentali della prospettiva è necessario conoscere alcuni valori reali appartenenti ai lati di figure piane quali il rettangolo o il quadrato»22. Il procedimento del raddrizzamento fotogrammetrico necessita di immagini fotografiche realizzate seguendo criteri specifici (asse ottico il più possibile orizzontale per evitare la convergenza delle linee di fuga e la posizione di ripresa fatta in modo da evitare che il piano di facciata risulti di scorcio) e la conoscenza metrica degli elementi del soggetto architettonico. Realizzata come procedimento inverso alla prospettiva,
la fotogrammetria è oggi realizzabile in modo digitale attraverso software progettati sulla base della teoria delle proiezioni geometriche. Archis, il software creato dalla Galileo Siscam utilizzato nel presente studio,consente l’elaborazione del raddrizzamento attraverso due differenti approcci. Il procedimento analitico necessita delle coordinate di alcuni punti appartenenti ad un sistema cartesiano, quello chiamato geometrico è realizzabile invece con la sola conoscenza di elementi geometrici verticali ed orizzontali, e delle loro specifiche misure. Appare chiaro che il primo procedimento si usa quando si possiede un rilievo di tipo topografico, mentre il secondo può poggiarsi al rilievo diretto delle distanze necessarie. Il raddrizzamento del fotopiano si realizza attraverso la conoscenza delle coordinate cartesiane di almeno 4 punti complanari ed appartenenti al piano della facciata. In conclusione il raddrizzamento fotogrammetrico è stato lo strumento di approfondimento per la misurazione del complesso, infatti sulla foto raddrizzata è possibile disegnare gli elementi metrici e formali del paramento murario al fine di intraprendere una lettura della stratificazione storica su una base che restituisce la collocazione spaziale reale degli elementi.
4. ANALISI DELLO STATO DI FATTO 4.1 Fenomeni di degrado che interessano la struttura Gli edifici del complesso si trovano in totale stato di abbandono da numerosi anni eccetto il corpo principale della chiesa recentemente restaurato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria al fine di salvaguardarne la conservazione. Nel corpo B le strutture di copertura sono fortemente degradate e nella zona nord del volume principale le stesse risultano mancanti a causa del crollo di un’intera porzione del tetto e del solaio sottostante. Gli elementi che costituiscono i solai sono generalmente sottodimensionati e presentano notevoli avvallamenti tali da determinare una generale precarietà statica con la necessità di intervenire urgentemente con opere di manutenzione straordinaria. Anche nel corpo A le strutture di orizzontamento e di copertura risultano in condizione di forte degrado, accentuato dal sottodimensionamento degli elementi (travi e correnti) e, per ciò che riguarda le coperture, dalle infiltrazioni delle acque meteoriche. Il volume della torre presenta profonde lesioni centrali in corrispondenza del passaggio della scala al solaio del primo piano tanto che l’Amministrazione Comunale di Acquasparta ha elaborato una relazione tecnica illustrativa, una relazione sullo stato delle fondazioni ed una relazione geologica e geotecnica per attuare degli interventi strutturali del solo corpo torre. Da tale documento
si evince che i corpi di fabbrica dell’intero complesso non presentano sintomi di cedimenti fondali e che gli interventi proposti non alterano in alcun modo le tensioni di contatto tra muratura e terreno che saranno eseguiti rispettando la conservazione o la riproposizione di tutti gli elementi estetici e tipologici presenti nel monumento23. Il degrado della struttura si riassume principalmente in attacchi biologici,vegetazione infestante, problemi legati all’umidità e distacchi proprio perché sito e stato attuale non creano presupposti per altri fenomeni aggressivi (foto 29a, b, c, d, e) Insediamenti paretali di licheni, muschi e piante sono tipici di ambienti non inquinati, caratterizzati da un ottimo soleggiamento, clima mite con temperature medio alte ed un alto tasso di umidità relativa, perché l’attività fotosintetica avviene senza incontrare alcuno ostacolo e consente deposito e sviluppo di sostanze organiche. La macroflora presente comprende piccoli arbusti e vegetazione erbacea rampicante, molto pericolosa perché le radici si insinuano in profondità tra leganti e pietrame aumentando sempre di diametro e producendo così un’azione meccanica negativa di pressione, favorendo infiltrazioni d’acqua ed innescando perciò fenomeni corrosivi e fessurativi. Il tipo di intervento per l’eliminazione può essere sia
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meccanico che a mezzo di biociti atti a provocarne il rinsecchimento: in questo modo risulta molto più semplice la rimozione con conseguenze minori sulla stabilità della muratura infestata. Una consistente presenza di muschi di colore perlopiù verdastro è rinvenuta nei punti dove ci sono infiltrazioni e in quelli non riparati (dove manca il tetto); non mancano attacchi sulla muratura soprattutto nel punto di innesto affioramento-muratura dove si riscontrano strisce continue. L’azione di degrado esercitata può arrivare a profondità di un centimetro corrompendo così la coerenza del materiale lapideo e o dei laterizi. Frequentemente per l’eliminazione dei muschi si ricorre a metodi meccanici altrimenti si adoperano prodotti alghicidi, lichenicidi o diserbanti. I biocidi che si possono utilizzare contro i muschi sono molti, bisogna sempre controllare che non vadano a danneggiare i materiali lapidei sottostanti, che siano quanto più tollerati dall’ambiente ed assorbibili (spesso i lichenicidi hanno effetto anche sui muschi e di conseguenza si usa un unico prodotto. Con rimando agli elaborati grafici sono stati individuate le diverse alterazioni e degradazioni dei materiali la cui classificazione è stata eseguita sulla base dei criteri delle tavole UNI Normal, nello specifico le Normal 1/88 –
Alterazioni macroscopiche dei materiali lapidei24.
4.2 Ipotesi conclusive Il complesso architettonico di San Giovanni de Budes è stato analizzato per fasi conoscitive e per acquisire le conoscenze necessarie a comprendere la complessità o semplicità dei manufatti storici e le relazioni tra le parti, nel complesso meccanismo urbanistico, architettonico ed evolutivo. Il lavoro si è sviluppato in 3 fasi di studio: la prima è quella dell’analisi storica in relazione al suo contesto ambientale e socio-politico, la seconda è quella del rilievo diretto (diretto e fotografico), indispensabile per la comprensione dello spazio e dei relativi rapporti ed infine la fase dell’analisi del degrado essendo ormai in stato di abbandono da numerosi anni. I dati raccolti sono stati interpretati ed elaborati graficamente per poter formulare una possibile ipotesi relativa all’evoluzione storica frutto dell’osservazione della realtà, della misurazione e soprattutto della restituzione grafica dell’oggetto stesso. La scelta di tradurre in termini grafico-spaziali la realtà storica complessa di San Giovanni de Budes ha costituito un valido aiuto per la comprensione
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dell’articolazione dello spazio e dei rapporti che legano le strutture dell’edificio ed ha reso più agevole la lettura delle trasformazioni nel tempo. A traduzione grafica ultimata, e soprattutto a formulazione delle ipotesi di evoluzione storica completata è stato possibile restituire l’immagine mutevole dell’edificio nel tempo dalle origini allo stato attuale. Il materiale esaminato ed elaborato nel presente studio non permette un ulteriore approfondimento ma l’auspicio è quello che possa costituire un valido punto di partenza per ulteriori indagini.
NOTE PARTE II Capitolo 3 15. Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta. Il Sovrano Ordine di Malta è un ente primario di diritto internazionale. L’Ordine – la cui sede è a Roma, in via Condotti – ha un governo, una magistratura indipendente, rapporti diplomatici bilaterali con 104 Stati, e possiede lo status di Osservatore Permanente presso numerose organizzazioni internazionali di rilievo come le Nazioni Unite. Le sue attività operative sono gestite dai sei Gran Priorati, sei Sottopriorati e da 47 Associazioni nazionali di Cavalieri presenti nei cinque continenti. L’Ordine rilascia passaporti ed emette francobolli, batte moneta e dà vita ad enti pubblici melitensi dotati di autonoma personalità giuridica. La vita dell’Ordine è governata dalla Carta costituzionale e dal Codice, entrambi riformati nel 1997. 16. Fondo Edifici di Culto, facente capo al Ministero dell’Interno che risale
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alla soppressione delle Corporazioni Religiose avvenute con le famose leggi eversive nella seconda metà dell’800, si tratta di leggi che hanno disciplinato a destinazione di tutti i beni mobili ed immobili di proprietà dell’asse ecclesiastico. 17. di Bernardino Sperandio da L’architettura popolare in Italia, Umbria. Laterza Roma, 1986 18. di U. Ciotti, Carsulae, territorio umbro altomedievale. Atti del III Convegno di studi umbri. Gubbio, 1965 19. M. Docci, D. Maestri, Manuale di rilevamento architettonico e urbano, Laterza, Bari-Roma, 2002, p.121. 20. Ibidem 21. R. Corazzi, Geometria “Scienza del Disegno” 2, le proiezioni centrali, la prospettiva, la fotogrammetria, Maggioli, Rimini, 1998 22. Ibidem Capitolo 4 23. Da “ Lavori di manutenzione straordinaria, strutture di copertura porzione di fabbricato in località San Giovanni de Butris” Comune di Acquasparta, provincia di Terni Settembre 2003 24. F. Gurrieri, G. Belli, C. Birignani, in Il degrado delle città d’arte, Raccomandazioni “Nor.Ma.L.”1/88-alterazioni macroscopiche dei materiali lapidei, pp. 236-264, Firenze, edizioni Polistampa Firenze, 1998.
PARTE III Il progetto
5. PROPOSTA DI INTERVENTO 5.1 Le invarianti: emergenze archeologiche, architettoniche e ambientali In un contesto suggestivo, come quello di San Giovanni de Budes, il progetto di recupero e rifunzionalizzazione del complesso architettonico è frutto dell’analisi degli edifici esistenti, con particolare riguardo alle tipologie edilizie, alle loro caratteristiche architettonico-formali e costruttive. Il programma di intervento tende a valorizzare e salvaguardare il patrimonio architettonico, considerato il fulcro su cui basare un corretto programma di rilancio e rivitalizzazione del complesso storico, tenendo conto che esso è inserito nell’elenco degli immobili sparsi nel territorio aventi caratteri di Beni Culturali, “zona di interesse archeologico”, secondo la L. 431/85, sottoposta a vincolo paesaggistico secondo la L. 1497/39 nn.3-4 dell’art. 1. Con questa ipotesi di intervento vengono rispettate le caratteristiche originarie dei tipi edilizi mantenendo inalterate altezze e volumetrie, valorizzando la figuratività attraverso un ipotetico restauro filologico dei fronti che prevede l’eliminazione di aperture incongrue rispetto all’impaginato architettonico, il recupero di quelle murate, il restauro delle attuali secondo le tipologie originarie rilevate in loco ed la lavorazione delle superfici con tecniche e materiali tradizionali. Altrettanto rigoroso sarà il trattamento delle strutture murarie, degli orizzontamenti, delle coperture e degli elementi di finitura, riproposti in accordo con quelli propri
della locale regola d’arte considerati parte integrante di un patrimonio culturale da salvaguardare e tramandare. Si opera attraverso interventi interni atti a creare i necessari collegamenti funzionali tra gli ambienti, lasciando il più possibile inalterati spazi e quote originali. Il criterio adottato privilegia la compatibilità con il contesto, tanto dal punto di vista dell’inserimento nel panorama urbano quanto per quello che attiene le scelte di dettaglio: i materiali impiegati propri della tradizione costruttiva risultano a mio avviso soddisfacenti anche dal punto di vista dell’impatto e della sostenibilità ambientale. L’attenzione filologica con cui sono trattati i manufatti si affianca e si lega al progetto di sistemazione urbana, dove viene studiata ed esplicitata una proposta per la riqualificazione della stessa, cercando di preservare quei segni, forti e silenziosi, che non possono andare perduti: il percorso dell’antica via Flaminia attualmente strada interpoderale in terra battuta ancora praticabile, e l’originario traccito del fiume, che legittima la presenza del ponte.
5.2 Ipotesi per un museo delle acque L’ipotesi di progetto nasce da una forte identità legata alla presenza, su tutto il territorio circostante, di fonti di acqua che funge da elemento connotante, ed è proprio questa tacita realtà ad aver suscitato in me interesse. Acquasparta sorge a circa 350 m sul livello del mare, su di un colle che domina la valle attraversata dal torrente Naia, un affluente del Tevere (Ortofoto). È nota fin dall’antichità per la natura benefica delle proprie acque minerali. Le proprietà terapeutiche delle sorgenti termali erano già utilizzate in epoca antica dai Romani, tanto che la cittadina era nata come piccolo centro dove soggiornavano le truppe dei soldati per ristorarsi dalle fatiche, infatti il nome deriva dal latino Ad Acquas Partas, per via della sua posizione tra 2 fonti, quella Amerino (nota come “Terme di San Francesco” in quanto sarebbero state benedette dal famoso Frate di Assisi) e quella di Furapane (le cui acque discendono dai Monti Martani fino al grande parco che si trova nelle vicinanze del complesso oggetto di questo studio. Sono acque ricche di sostanze carbonato calciche, caratterizzate quindi da un’azione stimolante per l’apparato digerente. Grazie ad esse nonché ai nobili parchi in cui sono
Ortofoto
immerse, il Paese, divenuto un’importante stazione idrotermale, è senza dubbio un gradevole e rilassante luogo di villeggiatura. Il bacino idrogeologico che custodisce queste acque preziose è costituito da rocce di travertino isolate rispetto alla superficie da massicci strati di argilla che conferiscono alla falda un perfetto grado di protezione naturale. E’ un’acqua fredda (sgorga fra i 13 ed i 15 gradi) e leggera che appartiene al gruppo delle medio-minerali e per la sua mineralizzazione in cui predominano gli ioni di sodio, potassio, magnesio e calcio, è da classificare tra le acque bicarbonato-alcaline-terrose che hanno origine per attraversamento di rocce calcaree e sono particolarmente indicate per migliorare la diuresi e curare le malattie gastroenteriche, urinarie, epatiche e biliari. Per queste sue caratteristiche è ottima per i bambini e per gli sportivi e può essere usata come acqua da tavola. Il progetto per un museo delle acque termali e sorgive ha lo scopo di valorizzare le naturali caratteristiche di questo splendido territorio. Innanzitutto l’idea è quella di definire una struttura che descriva l’acqua come filo conduttore che lega tra loro i molteplici aspetti del rapporto uomo-ambiente per conservare sia nella concretezza che nella memoria quanto la presenza e, nel contempo, la mancanza di
questa risorsa influisca sulla storia e sullo sviluppo del territorio e dei sui abitanti; promuovere la conservazione e la valorizzazione dei beni legati al rapporto uomo-acqua in riferimento alla morfologia del territorio, alla vita, al lavoro, al benessere, al divertimento e alla tutela della risorsa; diffondere la conoscenza del patrimonio acqua dal punto di vista scientifico, storico, sociale, artistico, promuovere e diffondere una cultura dell’acqua quale risorsa indispensabile e bene comune e non come merce. Il museo, inserito all’interno del edificio contiguo alla Chiesa, si sviluppa attraverso un percorso successivo di sale, ognuna dedicata ad una tematica specifica dell’acqua, raccontata attraverso semplici elementi espositivi che definiscono l’identità narrativa multimediale per rendere l’utente protagonista attivo dell’esperienza. Gli elementi pensati per raccontare e dialogare con il visitatore sono di due tipi: uno appoggiato a terra ed uno sospeso alle parete e si ripetono in maniera lineare e pulita in ogni ambiente. Per intenderci utilizzeremo come elemento a terra un modulo di dimensione 90x90 cm con faccia touch-screen, che permette la consultazione dei vari argomenti e la selezione del percorso da fare per rendere soggettivo l’approfondimento. E dei pannelli al muro pensati come cornici vuote, le cui dimensioni variano a seconda dell’ampiezza della sala, dove proiettare
dei video (exhibition) cosicché le immagini mostrate prendono forma direttamente sulla struttura che diventa a tutti gli effetti soggetto partecipe e non solo oggetto contenitore . L’intero complesso destinato ad accogliere il Museo delle Acque e la struttura ricettiva e di accoglienza è inserito all’interno del Progetto Albergo Diffuso compreso nel più ampio programma denominato Parco della Flaminia Martana, già citato all’inizio di questo studio. A fianco del museo si trova la parte di edificato da destinare a servizi ricettivi e pararicettivi. Al piano terra troviamo una reception di accoglienza, degli uffici per il coordinamento delle attività svolte nel complesso (mostre, conferenze, eventi, escursioni) ed un ristorante per la degustazione dei prodotti tipici locali (cibo, vino e ovviamente acqua) con annessi di servizio, mentre tutto il piano superiore è riservato a “locanda” richiamando così alla memoria il ruolo di ospitalità avuto nel suo illustre passato di Commenda.
5.3 Riferimenti Analizzando alcuni esempi complessi di rivalorizzazione e riuso di edifici «…con tanti anni di storia depositati pazientemente dal tempo sulla fabbrica…»25, quelli a cui ho fatto riferimento sono l’intervento di recupero dell’ospedale di Santa Maria della Scala a Siena di Guido Canali e quello del Neues Museum di Berlino di David Chipperfield. Santa Maria della Scala è uno dei più antichi luoghi di cura del mondo. Nato per dare assistenza e ristoro ai viandanti e ai pellegrini che transitavano sulla via Francigena, assunse successivamente la funzione di orfanotrofio e poi quella di centro per l’assistenza medica: la polifunzionalità della struttura ha determinato una complessa articolazione della fabbrica che rimase attiva fino all’entrata in funzione del nuovo polo sanitario alla periferia della città (tra il 1970 e il 1980). A questo vasto complesso doveva essere restituito un ruolo importante nella vita culturale dei cittadini sia per la ricchezza dell’architettura che per la collocazione strategica nel certo storico della città. L’intervento di recupero è partito da un’attenta analisi dell’imponente segno dell’edificio sul paesaggio, la differenza tre le due facciate e la difficile articolazione planimetrica, accettando la complessità frutto della storia delle
Riferimenti ai progetti di Canali, Carmassi, Chipperfield
vicende del fabbrica. Canali dunque opta per un restauro che rende possibile la lettura di tutte le trasformazioni dell’impianto attraverso un «restauro leggero»26 dove convivono in totale autonomia i segni contemporanei con le tracce depositate nel tempo. (foto canali 1 2 3) Proprio per conservare ed enfatizzare la ricchezza del complesso gli intervanti rispondono ad una necessità di sobrietà e leggerezza attraverso l’impiego di materiali come ferro, legno e vetro. La sensibilità di leggere e tradurre il passato attraverso la volontà di porre a fondamento del progetto un’ idea di luogo in relazione alla circostanza, cioè la costante valutazione del tempo inteso come «memoria che entra a far parte del progetto»27, con forme immediatamente comprensibili quali la tradizione costruttiva ed il carattere del luogo, sono proprie anche di Chipperfield che affronta il recupero dell’opera museale del Neues Museum con lo stesso approccio delicato nei riguardi del passato. (Foto schizzo di studio) Il Neues Museum, costruito tra il 1842 e il 1855 su progetto dell’architetto Friedrich August Stüler per ospitare la celebre collezione berlinese di copie, la sala etnografica, quella egizia e il gabinetto delle incisioni, venne realizzato con strutture portanti in ghisa ed in ferro adottando delle tecniche più all’avanguardia della più celebre biblioteca
di S.te Geneviève di Henri Labrouste28 . Segnato dalle distruzioni belliche è stato restaurato con l’intenzione di salvaguardare quello che resta, ovvero restituire il contesto solo in misura tale da rendere leggibile la struttura nel suo insieme e la sequenza degli spazi. Le parti mancanti sono state ricostruite, quelle sopravvissute restaurate, mentre la scale e gli spazi della corte sono state progettate mantenendo l’elemento di decadimento proprio dell’edificio. La lucidità con qui sono stati affrontati questi due interventi mi ha catturato l’attenzione sia per il piacere di vedere le cose belle ma soprattutto per imparare. Mi affascina la volontà di cogliere gli insegnamenti che derivano da un’attenta lettura dei segni, dei materiali e dalle tecniche essenziali per una riorganizzazione linguistica, per un uso in chiave moderna dando luogo a delle semplici ma allo stesso tempo complicate ricuciture di una trama interrotta ma esistente e testimone di un passato guida che non può e non dovrebbe essere ignorato. Fortunatamente di esempi di approccio all’intervento di recupero su manufatti storici realizzati con la stessa eleganza e sapienza ce ne sono abbastanza; come l’architetto Massimo Carmassi che con le Residenze a San Michele in Borgo a Pisa (1986-1992) e più recentemente con il Real Collegio Convento di San Frediano a Lucca
(1998-2002) valorizza la stratigrafia morfologica del luogo tentando di trovarne un naturale proseguimento attraverso un linguaggio comune ma contemporaneo.
5.4 Filosofia di progetto L’idea di progetto, come già più volte sottolineato, è legata alla forte identità tra il complesso e il territorio circostante. Pensando a tutte le relazioni e ai collegamenti che per secoli hanno attraversato queste terre offrendo una via sicura a tantissima gente (contadini, monaci, frati e chissà chi altri), il progetto vuole restituire una vita al complesso facendolo tornare ad essere una tappa, un luogo di scambio del quale si possa godere e si possa vivere a contatto con la terra ed i paesaggi. Un intervento che rispetti la morfologia e che lo esalti senza toccare o modificare l’impatto visivo che da sempre ha generato nel contesto: ciò non significa musealizzarlo, non voglio renderlo intangibile, ma una presenza con cui interagire, far notare il dialogo che ha con l’intorno, rendendo anche questo architettura. La progettazione perciò si fonde con la storia del luogo e con il rispetto della sua morfologia.
L’intento è quello di restituire una funzione, un uso, non una forma. La forma è e rimane quella che si è conservata nel tempo. Viene creata una funzione dentro di esso, realmente poi si ottiene una nuova immagine architettonica rielaborata ed evocativa perciò creazione di forma e non solo di funzione. La logica del progetto ben evidenzia l’importanza di colui che dovrà riempire questi luoghi, e dovrà sentirsi qui a suo agio, godere dei profumi, camminare all’aria aperta, degustare prodotti locali oltre ad avvalersi dell’esperienza del museo. Insomma un insieme di funzioni che conferisca vita all’insediamento e lo riscatti dal torpore dell’abbandono. All’attenzione filologica data al complesso si lega anche il progetto di sistemazione esterna che tenta di preservare i segni degli antichi tracciati, quali la via Flaminia antica e l’alveo del torrente Naia al tempo della costruzione del Ponte, nonché il Ponte stesso, attraverso l’uso e la differenziazione dei materiali di pavimentazione. La scelta dei prodotti impiegati è stata dettata da quei materiali naturali e facilmente reperibili perché del luogo. Per proteggere e mantenere l’antico sedime viario,
Dettaglio tavola 18, sistemazione esterna
attualmente in terra battuta, si è ipotizzata una nuova pavimentazione in cemento strutturale. Per rendere leggibile la traccia dell’antico letto si propone l’uso di due materiali naturali: una ghiaia di piccola pezzatura nella parte centrale tenuta insieme da un cordolo a filo e ai lati un manto erboso, un richiamo poetico al fiume e alle tre arcate del ponte. I due fabbricati saranno pavimentati esternamente con lastroni di travertino ad opus incertum posati a secco con una differenziazione cromatica soltanto perimetrale: delle linee guida che permetteranno l’individuazione dei percorsi e delle due piazze che raccordano e collegano i due corpi di fabbrica. Vorrei aprire una parentesi sul ponte poiché del manufatto originale non esiste nessuna documentazione e non è mai stato eseguito uno scavo essendo a tutt’oggi sommerso da materiale di riporto. In mancanza di un rilievo ho elaborato una ricostruzione credibile ispirandomi ad altri esempi reali e locali. Con ogni probabilità era costituito da tre arcate e quella mancante potrebbe essere andata perduta o essere completamente interrata o, ipotesi più plausibile, il materiale è stato asportato e riutilizzato per la costruzione o l’ampliamento dei locali successivi in considerazione del fatto che il letto originario del fiume si è spostato più a nord nei secoli.
Dall’osservazione diretta si può notare come l’arcata il cui estradosso funge da ingresso alla Chiesa sia più grande dell’altra che invece si trova completamente al disotto dell’edificio religioso, ciò fa supporre che semmai ce ne fosse stata una terza dovrebbe trovarsi più a nord ed avere le stesse dimensioni di quella più piccola. Nel progetto viene espressa la volontà di riportare alla luce questo esempio di architettura ed al tempo stesso di ingegneria realizzato dal popolo romano attraverso una modellatura della scarpata, un vero e proprio taglio nel terreno, un intervento forte ma doveroso per quella parte di memoria che può ancora oggi essere preservata.
5.5 Materiali e tecnologie Da un’attenta analisi eseguita in sito, tramite l’ausilio fotografico e lo studio delle malte e dei materiali inerti impiegati e della struttura muraria, si è giunti alla conclusione che l’utilizzo del travertino e della calce spenta, sono di origine locale vista l’abbondanza di cave presenti nei dintorni. Pertanto si suggerisce, per un corretto consolidamento strutturale e conservativo degli edifici in oggetto, il riutilizzo degli stessi materiali con l’ausilio delle nuove tecnologie a nostra disposizione.
I materiali impiegati per solai e coperture, coppo e controcoppo alla romana, travetti e capriate, sono facilmente recuperabili e quelli ammalorati si possono sostituire senza difficoltà. Nonostante le relazioni tecniche eseguite dai periti del comune di appartenenza per quanto riguarda le eventuali fondazioni, si suggerisce un intervento di carotaggio per un analisi esaustiva sulla condizione delle medesime, ed infine un eventuale intervento di consolidamento strutturale considerate le condizioni di alto rischio sismico della zona. Per quanto riguarda le arcate interne alla chiesa sono apparse in ottime condizioni visto il recente restauro, mi preme sottolineare il fatto che tale intervento rimasto incompiuto, finalizzato esclusivamente alla Chiesa, può essere considerato vano poiché gli infissi esterni compreso il portone ligneo d’ingresso restano in condizioni fatiscenti facilitando l’ingresso a chiunque, piccioni compresi. Il sistema distributivo dell’edificio A presenta dei collegamenti verticali interni ed esterni, mentre l’immobile B ha solo una scalinata esterna. Partendo dalla volontà di mantenere e reinterpretare il tipico sistema di scale esterne di accesso alle abitazioni caratteristico dell’architettura rurale della zona (che
funge anche da via di fuga in casi di incendio, sisma o quant’altro) si recuperano le strutture esistenti mentre all’interno sono state predisposte delle strutture prefabbricate autoportanti in acciaio e vetro, che permettono di attraversare i volumi senza nascondere il contenitore. Tutti i collegamenti verticali del museo sono stati inseriti nel volume della torre così da mantenere visibile il perimetro originario e quindi la trama muraria di una delle costruzioni più antiche. Le pareti interne, previa sabbiatura ove necessario,saranno riportate allo stato originario. Gli impiantiti, laddove ammalorati, si sostituiscono con gli stessi o simili materiali invecchiati. Le chiusure esterne, composte prevalentemente da battenti e controbattenti e sporti in legno saranno integralmente sostituiti con le stesse tipologie. Si prevede anche la sostituzione integrale della copertura a marsigliese presente in una porzione del corpo minore con quella originale alla romana, coppo e contro coppo, per l’omogeneità dell’originaria copertura. Gli intonaci, prevalentemente composti di calce, privi di rifinitura a velo, verranno ripristinati tali e quali agli originali. La distribuzione viaria comprensiva del nuovo accesso
stabilito dal P.R.G. prevede l’eliminazione della strada interpoderale in terra battuta adiacente la Chiesa e la valorizzazione della vecchia via Flaminia, con la possibilità di utilizzare il tratto al di là dell’edificio per eventuali mostre all’aperto ed il tratto iniziale per raggiungere l’area dei parcheggi disposti in linea con l’asse longitudinale del tracciato preservato. Gli impianti di riscaldamento, igienicosanitari ed elettrici dovranno essere invece interamente realizzati.
NOTE PARTE III Capitolo 5 25. M. CALDAROLA, Guido Canali. La reinterpretazione per il riuso, in Equilibri n. 2/2000 26. Ibidem 27. In G. LEONI, David Chipperfield, Milano, Motta Architettura srl,2007 28. In Casabella n 4/2004, David Chipperfield, progetto di restauro e completamento del Neues Museum di Berlino, p 41.
CONCLUSIONI Giunta a questo punto mi rendo conto di essere arrivata al termine di un esperienza che mi ha fatto riflettere sull’importanza che ha in noi la memoria, intesa come punto di partenza; di quanto questo approccio, immediato ma non scontato, sia difficile da raggiungere senza essere banali o scontati. Partita da un’individuazione dell’edificio nel territorio per poi affrontare l’indagine storico-archivistica sono giunta alla fase del rilievo con conseguente analisi dello stato di conservazione con cui il manufatto è giunto fino a noi. Il passo successivo è stato quello di ipotizzare un recupero del complesso attraverso una rifunzionalizzazione dello stesso, ed è stata proprio in questa fase che ho trovato le difficoltà maggiori e che ho tentato di affrontare e superare analizzando interventi come quelli citati nel capitolo precedente. Il proposito era quello di non modificare l’impatto visivo di un oggetto così singolare, nato dall’interesse che sempre ho avuto per questo luogo con la speranza che un giorno non troppo lontano torni a vivere e ad essere vissuto.
Non so se ci sono riuscita completamente ma sono soddisfatta di questa esperienza. «L’architettura che non diventa tradizione, che non lascia un patrimonio culturale, che non favorisce uno scambio sociale tra passato e presente, che non lascia un segno della propria contemporaneità è un’architettura fragile e vulnerabile. L’architettura incorpora da sempre la nostra concezione del mondo, la sua struttura e il come intendiamo la struttura dell’universo nel mondo attuale. Dalla monumentalità delle civiltà antiche ai dettagli decorativi presenti in tutte le architetture vernacolari, lo spirito umano si esprime con creatività sul tessuto già costruito. È la nostra anima, la nostra mente, il nostro cuore: qui sono presenti i suoi battiti.» Lettera sulla forma architettonica a Walter Riezler 1927 - Mies Van der Rohe -
RINGRAZIAMENTI Ritengo un dovere e soprattutto un piacere ringraziare tutte le persone che hanno reso possibile attraverso la collaborazione ed il supporto, la stesura di questa tesi. In primo luogo il professor Marco Jaff, la cui ampia conoscenza delle tematiche trattate e la sua preziosa disponibilità e comprensione nei miei confronti mi ha permesso di portare a termine questo percorso. Un riconoscimento al dott. Filippo Orsini responsabile dell’Archivio Storico di Todi e don Alessandro Fortunati dell’Archivio della Curia Vescovile di Todi per il contributo per la parte storica e al geologo Stefano Liti per il materiale e la collaborazione sull’ipotesi dello spostamento del Torrente Naia. A mia sorella, l’angelo senza ali, per tutto ciò che rappresenta per me, per l’enorme supporto morale e fisico e per l’immensa pazienza nei miei confronti. Ai miei genitori, il mio punto di riferimento da sempre, per tutti i sacrifici che hanno sostenuto, e tutto l’amore che mi hanno sempre dato con la speranza di restituirgli un po’ di soddisfazione. Al sorriso di nonna Elena che mi accompagna in ogni momento,che ha sognato chissà per quanto tempo
di vedermi laureata. Al mio grande amico Tommaso (il mio Giampi) che ha sempre creduto in me, che mi è stato vicino anche quando non c’era fisicamente, per tutta la pazienza, il supporto morale e tutte quelle risate. Alla piccola Gina che mi ha fatto tanta compagnia soprattutto in quest’ultimo mese A Marco per tutto ciò che non può esseri scritto in due parole….
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SOFTWARE UTILIZZATI Microsoft Word 2003 per la redazione dei testi Adobe Indesign v CS4 per l’impaginazione della tesi Autodesk, Autocad 2006 per le restituzioni grafiche 2D Galileo Siscam, Archis v 3.2 per la fotogrammetria digitale Adobe Photoshop v CS per la gestione delle immagini Adobe Illustrator v CS3 per l’impaginazione delle tavole
CARTOGRAFIA VISIONATA Cartografia IGM (foglio 335 II; tavoletta 131 III-so) Cartografia Regione Umbria PUT (2000) e PPS (2004) PUT, Tav 23 Tav 25
centri storici, architettura religiosa e militare siti archeologici ed elementi del paesaggio antico
PPS Tav 8.06 quadro d’assetto delle emergenze paesaggistiche: paesaggio a dominante fisico-naturalistica, i monti martani Tav 10.12quadro conoscitivo, repertorio delle risorse identitarie, i monti martani Cartografia Provincia di Terni PTCP (2000) Tav 1
progetto di struttura
Tav 2A
sistema paesistico ambientale ed unita di paesaggio
Tav 5
emergenze di interesse storico archeologiche
Cartografia comune di Acquasparta PRG (2008) Tav S4 Tav 2
carta dei contenuti paesaggistici ed ambientali scala 1:10000
parte operativa, centro, scala 1:2000
Scheda di comparto T7 (zone turistico ricettive, di notevole importanza territoriale) Planimetria catastale Foglio 42 particella 157 scala 1:2000
INDICE DELLE TAVOLE 01. Lettura del territorio 02. Lettura del paesaggio 03. Rilievo diretto: piante generali scala 1:100 04. Rilievo diretto: piante piano terra scala 1:100 05. Rilievo diretto: piante piano primo scala 1:100 06. Rilievo diretto: piante coperture scala 1:100 07. Rilievo diretto: sezioni longitudinali e trasversali 1:100 08. Rilievo diretto: volume torre, piante sezioni e particolare costruttivo. 09. Rilievo fotogrammetrico: piante piano terra scala 1:100 10. Rilievo forogrammetrico: piante piano primo scala 1:100 11. Rilievo forogrammetrico: sezioni longitudinali e trasversali scala 1:100 12. Rilievo forogrammetrico: prospetti lato nord e sud scala1:100 13. Rilievo forogrammetrico: prospetti lato est scala 1:100 14. Rilievo forogrammetrico: prospetti lato ovest scala 1:100 15. Analisi del degrado: prospetti lato nord e sud scala 1:100 16. Analisi del degrado: prospetti lato est scala 1:100 17. Analisi del degrado: prospetti lato ovest scala 1:100 18. Progetto: sistemazione esterna scala 1:100 19. Progetto: piante piano terra scala 1:100 20. Progetto: piante piano primo scala 1:100 21. Progetto: sezioni longitudinali e trasversali scala 1:100 22. Progetto: render