IL PUNTO DEL TURISTA Tribù È buio. È davvero buio qui intorno; la pioggia di ieri che ha lasciato l’asfalto lucido di ghiaccio, le nuvole basse, il freddo intenso che gela le ossa. È buio. È buio e freddo. Non è la giornata migliore per decidere di fare qualunque cosa, figuriamoci per cimentarsi in una pedalata di un paio d’ore. Ma è deciso, e quando una cosa è decisa, è decisa. a cura di Massimo Della Pena
Non si può tornare indietro. E tu lo sai, mentre sei li, davanti alla finestra del bagno a fissare la magnolia che, infreddolita e spoglia, pare volerti sussurrare…
“torna a letto”. Ma niente, devi andare. Non è la volontà di ferro o la necessità assoluta di non mancare all’allenamento e nemmeno l’esigenza di sentirsi in forma (francamente non te ne è mai fregato nulla) e nemmeno la fregola della magritudine che pare abbia colpito l’italico popolo più del feral morbo. Non è neppure la necessità di non mancare alla parola data. È qualcosa di più profondo, di ancestrale, di viscerale, di inconsciamente collegato alla stessa essenza della vita: l’appartenenza alla tribù. Già, l’appartenenza alla tribù. Alla mia tribù, fatta di pochissime e selezionate persone (i miei amici veri… contandoli uno a uno non son certo parecchi, son come i denti in bocca a certi vecchi – direbbe il maestro di Pàvana), che necessito di vivere, di frequentare, cui voglio fortemente appartenere. Quindi, forza, vestiamoci. Per sfidare questo freddo ci vorrebbe un orso polare da sistemarsi bene sulle spalle. Oddio, l’orso lo si potrebbe anche trovare… il problema è costituito dal pedalare con l’orso sulle spalle e allora, allora forse potrei sostituire l’orso con una maglia termica, una maglia tecnica, ed un giubbotto antivento (speriamo che abbia anche il riscaldamento
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