La Favola di Ercole

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“20/20 : la Visione contro le catastrofi” Napoli . chiamata alle arti per la costruzione del “Maggio dei Monumenti 2020” L'Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli dedica quest’anno il “Maggio dei Monumenti” al filosofo Giordano Bruno.

PROPOSTA TITOLO eventi: 1. La Visione secondo Bruno: il potere creatore del cuore 2. Oltre il velo: dal Cristo velato del Sanmartino al Figlio velato di Jago 3. il Tempio della Virtù perduto a Forcella articolati in 2 location: 1. Biblioteca “Annalisa Durante” 2. Sant’Agrippino ove è esposta la “Meridiana dell’Incontro”, opera donata dal Liceo Artistico “Felice Faccio” di Castellamonte (Torino), dalla quale trae denominazione il progetto intrapreso dall’Associazione “Annalisa Durante”. L’opera realizzata dagli allievi piemontesi delle prime classi, si inserisce nel programma delle attività creative giovanili condivise dalla comunità di Forcella non solo con le realtà dell’immediato hinterland, quali ad esempio, l’Istituto “G. Marconi” di Giugliano in Campania, o le associazioni e i laboratori sorti per iniziativa spontanea nei quartieri di frontiera – i ragazzi di Scampia, Barra, ecc … –, ma anche con molte città d’Italia coinvolte nel nostro progetto: L’Aquila, Roma, Taormina, Torino, Venezia. Hanno risposto con ammirevole slancio gli enti, le scuole, le associazioni da noi contattati nelle diverse occasioni di gemellaggio con queste città, al fine di far conoscere le azioni da noi intraprese nel nostro territorio notoriamente esposto ai rischi delle ingerenze malavitose; azioni mirate alla rinascita culturale e la riqualificazione sociale di Forcella. Il clima di amicizia propiziato dai reciproci scambi intrattenuti, ha permesso di far confluire rinnovate energie propositive alla nostra associazione. Di fatto, una nutrita rappresentanza istituzionale e associativa delle città gemellate ha partecipato fattivamente al Premio Nazionale “Annalisa Durante” dello scorso 19 febbraio, con creazioni e inedite composizioni musicali. L’estesa documentazione sul sito http://www.elvirolangella.com/lavori/meridiana-dell-incontro.php mostra in dettaglio come il progetto attuato in questi ultimi due anni abbia riscosso tra l’altro, entusiastica accoglienza presso artisti, uomini dello spettacolo, scrittori divenuti i veri testimonial del progetto. Tra questi, Tullia Matania, Renato Palmieri, Roberto De Simone, gli scultori Fratelli Scuotto; artisti del mondo dello spettacolo: Roberto Bolle, Carlo Faiello, Fiorenza Calogero; del teatro di animazione: Roberto Vernetti, Silvia Di Gregorio della “Libera Pupazzeria” a L’Aquila ecc …


1.

La Visione secondo Bruno il potere creatore del cuore

È significativo che l’autore degli Eroici Furori evochi il mito di Diana e Atteone per introdurci a quella straordinaria facoltà interiore alla quale aspira per sua natura, l’uomo sensibile, e in special modo, il filosofo. Il suo incondizionato amore per la vera Conoscenza lo rende degno di spaziare lo sguardo in quella speciale Visione che attraverso un percorso “eroico” gli consentirà, sia pure per un un solo istante, di spingersi oltre i limiti imposti all’intelletto umano che fanno velo alla contemplazione dell’infinità dell’universo. Proprio il tema di una tra le più note favole delle Metamorfosi di Ovidio, oggetto dell’opera filosofica del Nolano, sembrerebbe incarnare al contempo, una delle più illuminanti metafore del miracolo dell’ispirazione e della creazione artistica. Non a caso, la nostra favola è così spesso celebrata nelle arti. Vale la pena ricordare in proposito, il Parmigianino che nell’inviolabile intimità della segreta stanza di Paola Gonzaga nel cuore della Rocca di Fontanellato (Parma), ne dà la più raffinata interpretazione del tutto fedele al pensiero di Giordano Bruno. Diana, la «dea della contemplazione», rappresenta qui la natura infinita attraverso cui si manifesta la “divinità” assoluta, incarnata nella solare luce di Apollo. “Atteone significa l'intelletto intento alla caccia della divina sapienza, all'apprension della beltà divina”. Questo ci rivela Giordano Bruno. Ogni dettaglio della favola di Ovidio scrupolosamente da lui chiosato, più che narrare il mito sembra scandire la liturgia un rito sacro. Descrive questo perdersi nel riflesso della divina immagine fino al compimento definitivo e irreversibile della metamorfosi del cacciatore, ritrovatosi alfine, egli stesso preda; reo dell’incauta prurigine vojeuristica d’essersi spinto a spiare la nuda intimità del bagno della dea. Il fiotto d’acqua col quale lei adirata, lo inonda assume una funzione niente affatto accessoria del rito trasmutatorio. Proprio l’equoreo riflesso che riluce allo sguardo impudente di Atteone, sortisce d’un tratto l’esito del prodigioso rituale sapientemente officiato dalla dea. Si fa specchio in quel frangente, agli occhi del cacciatore e proprio al culmine del raptus della sua inappagabile brama predatoria, finisce ahimè, per contemplare la fatale trasformazione. La punizione per la sua sfrontatezza consiste nel disfacimento del suo avvenente aspetto virile. Così, reincarnato nelle sembianze ferine di un cervo, ha appena il tempo di accorgersi d’essere divenuto ora, egli stesso preda della muta dei suoi veltri e mastini avidi di dilaniarne le carni. Dietro il velame della favola, l’incontro con Diana e lo smembramento ad opera dei famelici cani trasformano in maniera radicale l’esistenza del mitico cacciatore, che da «uom volgare e commune, dovien raro et eroico». Proprio nella perdita della vita si configura l’inaspettata rinascita a nuova, luminosa vita: il «vivere intellettualmente» gli concede di accostarsi oltre i sensi ordinari, all’ineffabile bellezza della dea lunare dalle membra di puro alabastro.


Atteone come si è detto incarna l’amore per la Conoscenza che guida il filosofo a compiere tale eccezionale esperienza, animato dal profondo desiderio di ricongiungersi con l’Anima Mundi, di accordarsi all’armonia ancestrale delle Sfere celesti. Un percorso straordinario orientato verso l’unione indissolubile con la Natura, verso l’abbraccio con l’infinito che si rivela ahimè impossibile, giacché più si insegue la preda invano, più il desiderio dell’oggetto aumenta. Tanto più che il “furioso” si infiamma sì, per le cose conosciute e viste, ma posseduto dall’inestinguibile gene di Ulisse che è dentro di lui, anche per quelle ignote e mai viste. Il suo cuore è alato, e come la farfalla è attratto dal richiamo irresistibile della luce, della fiamma che può togliergli in ogni momento l’esistenza. Nondimeno, sembra non darsi pena per il destino che lo attende. Non teme di dissolversi nelle fiamme dell’ardore amoroso, avendo scelto “per guida quel dio che dal cieco volgo è stimato insano e cieco, cioè l'Amore”, il quale invece, può trasformare chi perdutamente ama nella creatura amata. In virtù dei poteri conferitigli dal cielo, il dio dell’Amore può espugnare le mura della prigione dove è arroccato in solitudine il nostro ego e trasfonderlo nell’altra natura alla quale intimamente aspira. Il nostro filosofo ci insegna come una tale facoltà della Visione quale esperienza interiore animata dalla sincera, disinteressata aspirazione alla Conoscenza, sia in grado di riaccendere quella scintilla divina che è già in noi, in quanto connaturata all’animo più nobile del genere umano. Una modalità della conoscenza che si affida a quell’istintiva empatia squisitamente umana, desiderosa di accordarsi al respiro intimo della Natura per poi perdersi nella sua infinitezza. Un’attitudine spirituale così sfuggente ed incontenibile che confina con l’esperienza di quell’estasi contemplativa alla quale solo l’artista ha accesso. Un’esperienza che può rivelarsi perfino perturbante, al punto da infiammare negli spiriti più sensibili, lo stato di trance indotto dalla Sindrome di Stendhal! Abbiamo parole adeguate per tentare di definire tali sconfinamenti? Torna oggi, di vitale importanza affinare la sensibilità artistica dei nostri giovani, coltivare l’espressione in ogni sua forma creativa sia coi mezzi tradizionali sia attraverso linguaggi a loro congeniali in linea con l’estetica dei new media; incoraggiare la familiarità e la frequentazione del prezioso patrimonio culturale che ci circonda. Un’inestimabile eredità della quale è necessario riappropriarsi, ancor prima che nella qualità di legittimi destinatari, di responsabili depositari, consapevoli di doverne garantire l’integrità, per consegnarla a loro turno, alle nuove generazioni. Nella convinzione che tornare a riallacciare il legame con la Storia fornisca anche un efficace impulso per liberare l’immaginazione. Proprio nell’ottica di contribuire a divulgare la conoscenza dei nostri siti d’Arte, va anche inquadrata la presentazione del libro “APPuntamento a Forcella”, tenuta nel corso della recente tappa del nostro progetto presso il Ministero dei Beni Culturali di Roma. Scritto da Valeria Alinovi e pubblicato da “Napoli pop-up” di Peppe Cerillo, è il primo libro in kirigami realizzato su Forcella, Maddalena e Capuana, e si pone l’obiettivo di far conoscere e sviluppare, in maniera sostenibile e responsabile, la zona del centro storico ad est di via Duomo, emarginata da decenni e impegnata in un percorso di rinascita culturale e sociale senza precedenti, grazie agli Enti organizzatori che ci operano da anni e alle reti che si stanno sviluppando in questi mesi sul territorio. E se la consapevolezza delle proprie radici storiche libera l’immaginazione, al tempo stesso, libera ogni slancio creativo mirato alla Visione di un futuro possibile da conquistare attraverso il proprio riscatto culturale, per rivendicare il legittimo diritto alla felicità cui ognuno intimamente aspira. Un tale scatto di reni si rende tanto più necessario nei nostri quartieri di frontiera, se condiviso nello spirito collaborativo di sempre più numerosi, auspicabili gemellaggi che l’associazione “Annalisa Durante” intende continuare a promuovere. Per noi la “Meridiana dell’Incontro”, dono dei ragazzi piemontesi ai loro coetanei di Forcella, esempio di “arte collaborativa” nato dalla giovanile fantasia creativa, incarna la più trasparente metafora del fattivo incontro tra realtà sociali che le distanze geografiche dalla Sicilia al Piemonte, fanno spesso apparire incolmabili frontiere tra mondi separati, l’uno estraneo al background, al retaggio culturale, alle tradizioni dell’altro. Una condizione che in assenza di una rete solidale di concreti scambi, non favorirebbe la reciproca condivisione delle problematiche dell’altro. Elviro Langella


3. il Tempio della Virtù perduto a Forcella Deve far riflettere il fatto che, secondo studiosi come il Capasso e, prima di lui, il Pontano, in questa zona sorgesse un tempio dedicato ad Ercole. Non è forse il mitico eroe anche per il famoso bivio presso il quale deve operare una scelta assai difficile tra virtù e vizio? (Martin Rua)

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Trovo interessante che la “Meridiana dell’Incontro”, la scultura inaugurata nella chiesa di Sant’Agrippino a Forcella lo scorso maggio, donata dagli allievi piemontesi del Liceo artistico di Castellamonte (Torino), e divenuta icona dell’omonimo progetto, abbia inteso celebrare le origini di Napoli, traendo originali spunti iconografici per ambientare lo sfondo scenografico, dalla ricostruzione dell’atto di fondazione del prof. Renato Palmieri – documentata sul sito http://www.elvirolangella.com/extra/renato-palmieri/ –, all’interno del quale prendono vita figure classicheggianti ispirate ad un famoso capolavoro del nostro Museo Archeologico. Commentando tale singolare scelta compositiva col preside Antonio Balestra del Liceo artistico “Renato Cottini” di Torino, curatore del progetto della scultura, verificavamo con sorpresa, scorrendo le tavole in mostra per decidere il soggetto definitivo, come la fantasia degli allievi fosse stata fortemente stimolata dall’interpretazione in chiave archeoastronomica suggerita da Palmieri 1 – incentrata in massima parte sulla Geometria sacra pitagorica riassunta nella Tetraktis –. Altrettanto accattivante doveva essersi rivelato agli occhi dei ragazzi, il soggetto della scultura dell’“Orfeo ed Euridice” conservato al MANN, celebrato dal poema di M. Rainer Rilke. Le due cose avevano in fondo, un denominatore comune: esercitavano entrambe sui giovani allievi l’irresistibile magnetismo dell’esoterismo, che in forma certamente più prosaica, imperversa nel genere fantasy propinato dai new media contemporanei. Il mito di Orfeo divenne addirittura oggetto di approfondimento nel corso dei loro studi, come abbiamo voluto documentare raccogliendo gli interessanti commenti dei ragazzi nella nostra pubblicazione: “Solstizio d’Estate a Piazza Forcella” (2018). https://www.youtube.com/watch?v=QZgzfV87eYE&feature=youtu.be


Prescindendo dalla disposizione creativa e dalle preferenze personali di ogni partecipante, forse, anche l’influenza della tradizione esoterica fortemente radicata nel loro territorio (Torino, perfino i vicini “Templi dell’Umanità” di Damanhur) doveva aver giocato favorevolmente nella disposizione degli allievi verso l’intrigante soggetto dell’opera che avrebbero poi, modellato nella terra rossa di Castellamonte, determinando così, la conseguente ricaduta formativa del progetto per l’entusiastica partecipazione alla creazione di un’opera collaborativa.

(1) nota alla “Chiave astronomica della fondazione di Neapolis” di Renato Palmieri 1

Già nelle passate tappe del nostro progetto avemmo modo di far riferimento alla centralità di Forcella desumibile fin dall’atto di fondazione di Neapolis, sulla scorta degli studi del Prof. Renato Palmieri che nonostante i suoi 96 anni, ha tenuto a garantire la sua presenza in qualità di testimonial. Egli ha il merito incontestabile di non essersi fermato al valore metaforico della simbolica Y interpretata dal Petrarca e da Lattanzio mille anni prima, come esplicita allusione al bivio tra virtù e piacere. Bisogna dargli atto di aver saputo saldare in modo persuasivo il simbolo pitagorico al dato concreto della datazione di Neapolis, risalente al Solstizio d’Inverno del 472 a. C. Un dato oramai acquisito e facilmente verificabile da ognuno, mediante la diretta osservazione della singolarità naturale della localizzazione geografica di Napoli, qualora al mattino di un 22 dicembre si ponga attenzione al sorgere del sole dalla certosa di San Martino situata sulla collina di Sant'Elmo, verso cui è orientato il decumano di Spaccanapoli. Quel primo raggio che poco dopo le 7 e trenta, tracima dai Monti Lattari forma un angolo di 36 gradi con l'est astronomico. In tale valore angolare si troverebbe espressa l’inequivocabile misura “aurea” dei pitagorici che ispirò l’atto di fondazione. E tale valore angolare misura di fatto, l’esatta divaricazione di Forcella dall’orientamento di Spaccanapoli, spina dorsale e asse parametrico dell’intero impianto urbanistico originario di Neapolis. “Via Forcella, che con quello stesso angolo diverge dalla "plateia" di fondazione, si rivela, dunque, come l'atto di consacrazione pitagorica di Napoli alla divinità che presiede all'ordine matematico dell' Universo”. (Renato Palmieri)

Che il dato astronomico solstiziale assumesse un’indubitabile rilevanza nel disegno originario ideato dai fondatori cumani, fornendo un riferimento imprescindibile al sapientemente orientamento del tracciato dell’impianto urbanistico dell’antica città, oltre ad accreditarle fuor di metafora, il titolo Città del Sole e di Partenope, trova ulteriore conferma in nuove pubblicazioni dell'Università di Napoli Federico II. Il lavoro pubblicato sul Journal of Historical Geography, da due professori del Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Ambiente e delle Risorse (DISTAR) dell'Università di Napoli Federico II, Nicola Scafetta e Adriano Mazzarella, dà conferma di come la Neapolis greca è stata progettata per essere appunto, la Città del Sole e di Partenope.

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In questa nuova fase del progetto, pensiamo utile richiamare l’attenzione su ulteriori fonti che facendo capo alla toponomastica, identificano la Regione Furcillensis con la più antica Regione Ercolense, caratterizzata dalla presenza del Tempio d’Ercole, suffragata da molte fondate testimonianze storico-archeologiche. ( NOTE 2 / 3 / 4 ) Crediamo che Forcella oltre a conservare traccia della tradizione esoterica pitagorica, nell’accezione assegnata dal Prof. Palmieri, in virtù del singolare assetto viario ( la biforcazione della strada principale, via Vicaria Vecchia, che a un certo punto si divide in via Forcella e via Giudecca Vecchia ), possa riscoprire al contempo, un ulteriore attestato delle sue luminose origini proprio nelle vestigia consacrate al culto di Ercole testimoniate da più fonti.


L’antico sito sembra non smettere di fornirci inesauribili indizi che tornano a ribadire nelle eloquenti tracce della storia fin dalla sua fondazione, l’ineludibile memoria del mito del semidio chiamato a dar prova, prima ancora che della sua proverbiale forza fisica, di ben altra dote morale di disinteressata abnegazione e sacrificio di sé, scegliendo senza indugi, dinanzi al bivio obbligato tra la virtù e il vizio, la strada più impervia intrapresa dai veri eroi destinati all’immortalità tra i luminosi astri del Pantheon greco. E così, inaspettatamente, evocato dalla sapienza etica del mondo antico, sembra che il nostro eroe torni a rimarcare l’identica esortazione incisa al bivio di Forcella: “Ad bene agendum nati sumus”. Tra gli autori che hanno tentato di risalire all’originaria ubicazione e di ricostruire un attendibile modello architettonico del nostro tempio di Ercole, è Domenico Romanelli: “Presso il Ginnasio, l’Anfiteatro, e le Terme era situato il tempio d’Ercole, siccome presso i Greci era costume. Noi ne prendiamo argomento secondo il nostro poeta Stazio. Risappiamo da lui, che il suo amico Pollio aveva presso Sorrento dedicato un tempio ad Ercole, dove faceva celebrare i Giuochi quinquennali; ed aggiunse che Pollio avesse voluto imitare le greche istituzioni nella nostra Partenope, nella quale si rendeva ad Ercole il medesimo culto non lungi dal Ginnasio. Or sapendosi per certo il luogo, dove il Ginnasio Napolitano insieme colle Terme era piantato, cioè nella regione Termense, e Furcillense, noi veniamo ancora a risapere il sito del tempio Erculeo, che non poteva dal primo esser lontano. Questo punto di storia patria è stato molto rischiarato dal nostro Lasena, senza darci però idee chiare, e precise, del sito, dove questo tempio si alzava. Noi attaccati alle osservazioni fatte dal canonico Celano confiniamo il tempio di Ercole nel preciso sito de’ due vichi contigui oggi appellati de’ Chiavettieri, e delle Colonne a Forcella. Attestò questo autor diligente, che in detti luoghi si scavarono de’ più rispettabili pezzi di antichità, a’ tempi del vicerè De Rivera, e specialmente molti tronchi di colonne, ed una intiera di verde antico, che avea 20 palmi di lunghezza. Il vico stesso delle Colonne non altronde acquistò questo nome, che da tre colonne antichissime, che vi restavano all’inpiedi per aver sostenuto qualche edificio. Lo stesso autore ci narra di aver veduto in questo vico una sotterranea apertura, che conduceva ad un atrio con bellissime vestigia di fabbricazione laterizia tramezzata da’ marmi riquadrati, ed una specie di volta, che volgeva sotterra per la strada di Forcella verso la chiesa di s. Maria piazza. Dopo di questi riscontri affermò il lodato scrittore, che qui alzar si doveva il tempio di Ercole, e certamente che non ha errato. Si conferma dal nome rimasto ad una ben antica cappella in fondo del vico, che si appellava s. Maria Ad Herculem, ed oggi conosciuta col nome s. Eligio de’ Ferrai, che non ci dà luogo a poterne dubitare. Dal Carletti fu definito questo tempio di forma periptera esastila, che conteneva nella pianta la scalinata, il pronao, la cella, il portico, e le due ale in giro, che determinavano il numero di 30 colonne del sacro edificio”. (Napoli antica e moderna 1815 )

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Naturalmente l’ipotesi che la biforcazione di Forcella coincida effettivamente proprio col bivio al quale allude Senofonte,5 si smentisce da sola, per l’ovvia ragione che già per sua stessa natura, una metafora letteraria, mutuata da una pura astrazione speculativa, non necessita affatto di essere sostanziata da alcun concreto riscontro. Non si fa fatica quindi, ad indovinare perché mai a Pietro Lasena, argomentando dell’Antico Ginnasio napoletano, risultasse risibile il perdurare di un tal diffuso fraintendimento in cui sono incorsi molti commentatori delle antichità della nostra città, influenzati dalle convinzioni di Giovanni Pontano espresse nel De bello Neapolitano. Pur riconoscendo “l’eccellentissimo ingegno” del Pontano, Lasena non esita infatti, a stigmatizzare il suo madornale errore quando afferma: che “Hercole vivente in persona avesse lasciato vestigia di sé in quell’angolo della città, e che perciò vi fosse rimasto il suo nome”. Sorvolando sull’evidente cantonata, è singolare però, che nell’imagerie di alcuni autori, il topos poetico, cioè l’invenzione del bivio favoleggiato da Prodico di Ceo, sia arrivato a sovrapporsi fisicamente ad un luogo di fatto esistente. Quasi che il messaggio moraleggiante contenuto nella favola mitologica mai avesse smesso di echeggiare tra le architetture grandiose e nobili della Regione Ercolense, richiamando ai valori esemplari della virtù eroica, una moltitudine dei nostri giovani che potevano un tempo, elevare la mente e il fisico all’ombra dei portici del Ginnasio napoletano. Il “Tempio dello Dio Hercole” lo definisce Lasena, rammentando come l’ameno sito


irrorato da abbondanti acque, risultasse ideale ad erigere, a vanto della città, il monumentale complesso urbanistico gravitante nell’area consacrata al mitico eroe. Vittorio Del Tufo segnala opportunamente una delle lapidi infisse a ricordo di quell’antica gloria, sulle pareti dei portici del Ginnasio, tuttora visibile nel complesso dell’Annunziata, accanto alla Ruota degli Esposti, in un androne contiguo all’antico portale originale del complesso. Ne troviamo conferma già nel 1758 in Alessio Niccolo Rossi (Delle dissertazioni intorno alcune materie della città di Napoli appartenenti ), che sulla scorta di quanto rapportato a riguardo dell’iscrizione, da Pietro Lasena e da Giulio Cesare Capaccio, così scrive: “... mezzo greca, e mezzo latina, che presso la Chiesa dell’Annunciata, e all’incontro al Monistero di S. Maria Egiziaca, posta si truova [...] chiaramente dimostra, che presso a’ que’ luoghi additati era il Ginnasio; essendo la stessa dalle ruine di questo cacciata fuori, come tutti i nostri consentiscono, e fu in tal luogo allocata”.

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È un vero peccato che niente ci sia pervenuto delle architetture di quel “Tempio dello Dio Hercole”, certamente all’altezza della magnificenza dell’intera Regione Ercolense. Diverse cause congiurano da sempre per la dissoluzione del nostro patrimonio storico, in ragione ora di un colpevole oblio, ora della mancanza di una cultura rispettosa dell’inestimabile lascito negato alle future generazioni. Tale dilagante incultura responsabile di inguaribili mutilazioni inferte al Paese, non risparmiò la città eterna nonostante i lodevoli propositi di spiriti illuminati come Raffaello negli anni della Restauratio urbis Romae. Potremmo oggi, sognare di ricostruire altrimenti il perduto tempio dell’Alcide se non favoleggiandone lo splendore con un volo di fantasia? Irrimediabilmente dissipata dall’incuria, non resta oramai, che constatare come sia negata per sempre ai posteri un’eredità tanto preziosa. Ci è dato al più, rincuorarci dalla nostra delusione provando ad immaginare quale fu la meraviglia del rinvenimento di quegli splendori portati alla luce nel ‘500, a seguito degli scavi condotti dal Vicerè Pedro De Ribera duca d’Alcalà. Riaffiorarono dal millenario oblio i reperti del tempio di Ercole, nei pressi delle fondamenta di Santa Maria a Piazza, in fondo al vicolo dove sorgeva la cappella dedicata a Santa Maria ad Herculem. Tra le numerose colonne di marmo rinvenute, una in pregevole verde antico, dovette risultare particolarmente gradita all’illustre Vicerè, che non esitò a trafugare il ghiotto bottino fuori dal Regno, in Spagna. Già … in Spagna. È lecito chiederci quale inaudito cataclisma avrà mai inghiottito in tempi remoti di cui si è persa memoria, tutte le gloriose meraviglie enumerate da Vittorio Del Tufo (nella sua Napoli Magica), sorte nel sito ameno della Regione Furcillense, attraversato un tempo dalle acque sorgive sacre ad Ercole. “Un tempo in cui non le paranze dei boss ragazzini che irrompono attualmente a Forcella, ma le gesta dei nostri atleti belli come eroi e dei del mondo classico, correvano nell’intero mondo fino allora conosciuto. Assieme alla fama di architetture grandiose e nobili come l’antico Ginnasio, dove si praticava l’educazione del corpo e dello spirito”. “Cos’è rimasto oggi di quell’incanto?” - con tali domande lo scrittore napoletano interroga oggi, le nostre coscienze - “C’è stato un tempo a Forcella, ed è un tempo di cui non dovremmo disperdere la memoria ...” Un impegno al quale non possiamo derogare, dal momento che a disperdere la memoria del nostro patrimonio di civiltà ha già fin troppo provveduto l’incuria e l’irresponsabile avidità di uomini privi di scrupoli. Sarò malpensante, ma riflettendo sui pregiati marmi del tempio di Ercole cari al Vicerè Pedro De Ribera, citato un attimo fa, mi riesce difficile rimuovere il sospetto che il nostro patrimonio rimanesse una volta ancora, senza controllo alcuno, alla mercé degli istinti predatori dei dominatori di turno. Tra i ricorrenti déjà-vu e i tanti barbari e Barberini che si sono coscienziosamente avvicendati alla dilapidazione dei nostri tesori e della memoria storica, mi balena alla mente l’episodio delle antiche colonne di alabastro fiorito spregiudicatamente sottratte nel '700 dal duca d'Elbeuf, principe di Lorena, ad un analogo tempio rotondo periptero, allora ritenuto di Ercole, riccamente ornato di statue monumentali, fra le quali una proprio di Ercole ritratto in nudità eroica, traslocato per fortuna nella Reggia di Portici.


Altre preziose sculture in marmo pare avessero in sorte un diverso destino, inviate in Francia in dono al Re o a suo fratello. Seguendo una spregiudicata, sistematica prassi di spoliazione di tutti i nostri tesori rinvenuti in circostanze fortuite lì ad Ercolano, altre invece, furono inviate in dono al comandante delle armate imperiali Eugenio di Savoia per adornare il Palazzo del Belvedere a Vienna, per essere poi, vendute al principe elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto III. Non so se può giovare di consolazione saperle oggi, vanto del Museo di Dresda.

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Cancellate per sempre dal nostro territorio, assieme alle sbiadite testimonianze di rari reperti degni di segnalazione, e al fievole eco aleggiante nella sopravvissuta toponomastica, le tracce del mito di Ercole ha continuato nonostante tutto, ininterrottamente il suo corso. Permeando sotterraneamente la fertile fantasia medievale, prefigurando talvolta addirittura il Cristo, rifiorisce infine, nella provvidenziale stagione della rinascita della nostra cultura umanistica, con inarrivabili capolavori delle Arti e delle Lettere. Già nel ‘300 ne cogliamo il preludio nelle eloquenti opere di Nicola e Giovanni Pisano, e persino nell’ispirazione della Commedia dantesca. Tornati ad attingere all’inesauribile sorgente dell’Antico, gli autori attualizzarono il mondo del Mito al punto da armonizzare il Pantheon pagano ai valori etico-religiosi del loro tempo. Tale visione mirata a dialogare col passato e a riappropriarsi delle profonde radici di civiltà, meglio non potrebbe essere espressa che con le parole del filosofo Bernardo di Chartres: “Siamo come nani posti sulle spalle dei giganti, di modo che possiamo vedere più cose di loro, e più lontane, non per l'acutezza della nostra vista ma perché sostenuti e portati più in alto dalla statura dei titani che ci hanno preceduto”. 6 In continuità con le azioni intraprese dal progetto “la Meridiana dell’Incontro” finalizzato a promuovere scambi creativi tra i nostri ragazzi e i coetanei delle città gemellate, col coinvolgimento di Enti ed associazioni sul territorio nazionale, la nuova proposta per l’edizione 2020 del “Maggio dei Monumenti”, mira a dar voce al Genius loci incarnato nel mito originario di Ercole che ancor oggi, torna a ribadire i valori etici peculiari nei quali aspira a riconoscersi pur faticosamente, la comunità resiliente di questo quartiere, esemplarmente riassunti nel motto dell’antico Sedile di Forcella: “siamo nati per fare il bene”. Crediamo opportuno offrire alla nuova generazione strumenti espressivi e conoscenze atte ad affinare la sensibilità per il nostro patrimonio artistico, per riconquistare una rinnovata visione umanistica e accendere una scintilla che liberi l’immaginazione creativa su futuri, possibili scenari propositivi, proprio riscattando il legame con le profonde radici del nostro territorio d’appartenenza.

La statua colossale dell’Ercole Farnese nelle Terme di Caracalla a Roma


Pensiamo possibile il raggiungimento di questo obiettivo incoraggiando la nuova generazione a familiarizzare con l’immagine e il mito dell’eroe, attraverso i capolavori del ricchissimo patrimonio che abbiamo la fortuna di fruire direttamente nei nostri prestigiosi musei napoletani. A nostro avviso, l’occhio educato a cogliere la Bellezza e i significati espressi nell’evidenza plastica di queste opere eternamente attuali, non tarderà a farne tesoro, accorgendosi come esse ancor oggi, continuino a raccontarci tutta la gamma di sentimenti di profonda umanità, e l’intensa vitalità creativa del mondo antico, che alla fonte del Mito ha saputo attingere linfa preziosa per dare alla luce gli immortali poemi epici della civiltà classica, offrendo inesauribile fonte d’ispirazione agli artisti di ogni tempo. In particolare, nella nostra proposta di partecipazione al “Maggio dei Monumenti”, abbiamo privilegiato a tal fine, la sterminata galleria di capolavori della Collezione Farnese, patrimonio inestimabile condiviso dal MANN e dal Museo di Capodimonte, per consentire ai giovani una riscoperta dei valori espressi nelle immagini dell’arte classica, restituendo dignità di studio alla cultura incarnata dal Mito nel mondo antico. Soprattutto, nella speranza che tale rinnovato approccio contribuisca a non disperdere la memoria originaria delle nostre peculiari radici che proprio in quella lontana civiltà classica trovano l’originario humus.

Tra le opere commentate dai personaggi della nostra “Favola di Ercole”, figurerà la celebre tela, “Ercole al bivio”, di Annibale Carracci dipinta per l’impegnativa epopea degli affreschi del Palazzo Farnese di Roma. Il dialogo intrattenuto dal pittore, con l’erudito curatore della Collezione Farnese, suo consulente, e la committenza, evidenzierà quanto l’immagine e l’originario significato del mito di Ercole nel mondo antico, siano stati sviliti dalla narrazione fumettistica dei new media contemporanei, interessati soprattutto ad intrattenere il pubblico in fantasiose divagazioni. In fondo, non diversamente da quanto accade anche in quella discutibile divulgazione dei tesori della nostra mitica città, che indugia incondizionatamente nell’infausta fascinazione del mistero, avallando le strategie evidentemente redditizie di un certo marketing turistico. Torna indispensabile cercare di epurare l’immagine della città dai diffusi stereotipi, fioriti intorno alla cosiddetta “Napoli velata”, fonte di fraintendimenti generati dell’alone pseudo-esoterico aleggiante intorno a noti siti d’arte, che sembra esercitare un forte richiamo, considerato il dilagare dei tanti tour sul tema pubblicizzati dalle agenzie. Elviro Langella


NOTE

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“Dicesi Forcellense per la Piazza di Forcella. Altri vogliono dalle forche, che situate vi stavano per punire i malfattori. Altri dicono dalla scuola di Pitagora, che in questa Regione ne stava, e faceva per impresa la lettera Y, che anco servì per impresa della Piazza. Fu anco denominata anticamente, come da molte antiche scritture si ricava, Regione Ercolense, per l’antico Tempio d’Ercole, che vi stava.” [Carlo Celano 1625 - 1693]

(3)

“Infine da Ercole Egizio invitato dai nostri antichi popoli col di loro ajuto, e dei suoi stessi soldati fondossi Eraclea oggi Napoli, che primamente nella sua origine in brieve recinto chiudeasi. Fu l'antico suo sito la piazza detta Forcella, donde camminandosi verso oriente per colà ove sopra muro si dice giungeasi sin al castel capovano oggi la vicaria, indi volgeasi verso occidente insino alla chiesa di santo Stefano, dove al presente la strada de' Mandesi è chiamata, dalla quale per linea dritta giù calavasi presso la riva del mare là appunto da una rupe raffrenato, ove oggigiorno le chiese di San Severo, e di San Giorgio veggiamo, quindi per la marina costeggiava ed entro serrandosi i luoghi, che dei nostri dì la fonte dei serpi e il tempio di Santo Agostino contengono, terminava il circuito nella menzionata piazza di Forcella allora Ercolanese nomata”. Tommaso De Rosa, Ignazio De Rosa 1702 Ragguagli storici della origine di Napoli della campagna felice d'Italia ... “Questo nome di Eraclea maggiormente dimostra, che Ercole Egizio sia stato il primo edificatore della nostra bella città ... Inoltre tiensi per fermo che fu Ercole il primo costruttore della nostra famosa patria a cagion di che quella parte di Napoli, cioè Forcella, ove era l’antica città situata, sempre chiamossi e fino ai dì nostri con nome appellasi d’Eraclea”.

(4)

Riguardo l’ubicazione del tempio di Ercole afferma Giovanni Battista Chiarini:

“Tra i vichi de’ Tarallari e delle Colonne fino a S. Maria a piazza negli antichissimi tempi sorgeva il famoso Tempio sacro ad Ercole, situato tra gli edifizi pubblici del Circo, delle Terme, o de’ Bagni, e del Ginnasio. Giuste le regole della greca architettura fu di forma Periptera Esastile, e contenea nella pianta la scalinata, il pronao, la cella, il portico e le due ale in giro, determinate da trenta colonne. Le notizie forniteci dal nostro autore sulla scoverta dell’atrio, e d’una volta che estendevasi in direzione di S. Maria a Piazza; le molte colonne rinvenute in questo sito; i tronchi di esse osservati in tempo degli scavamenti fattivi dal vicerè Duca d’Alcalà [1583-1637, n.d.r.], e la famosa colonna di verde antico lunga palmi 20 da lui trovata in quell’occasione e fatta portare in Spagna, ad evidenza dimostrano che quivi fosse realmente stato il Tempio dal quale la regione trasse il nome.

(5)

La favola di “Ercole al bivio” del filosofo greco Prodico di Ceo è riportata da Senofonte nei suoi Memorabilia.

(6)

La frase di Bernardo di Chartres, chierico vissuto nel secolo XII, è riportata da Giovanni di Salisbury suo contemporaneo.


Programma dell’iniziativa : In sintesi, per il prossimo Maggio dei Monumenti intendiamo proporre una “Mostradocumento artistica” per la rigenerazione di Forcella, articolata nella teatralizzazione della descritta “Favola di Ercole”, a cui far seguire un commento storico da parte dello scrittore e giornalista del “Mattino” Vittorio Del Tufo (autore del libro “La Napoli Magica”, all’interno del quale si fa menzione della regione Furcillense/Ercolense e della “Y” di Forcella, quale bivio tra peccato e virtù) e la presentazione di una Mostra dal titolo “Restauratio Neapolis 20/20 . La visione contro le catastrofi”, a cura del prof. Elviro Langella. La Mostra consta di elaborazioni fotografiche digitali sulle origini astronomiche di Neapolis, sul mito di Orfeo ed Euridice, sul valore simbolico della “Meridiana”, sul mito di Ercole ed il Tempio della virtù, sulla collezione Farnese e su opere d’arte del centro storico di Napoli, attualizzate con messaggi riconducibili al tema della visione contro le catastrofi: dai lavori artistici realizzati dai giovani studenti, al richiamo alla rigenerazione a Napoli nell’opera di artisti contemporanei come Jago e Jorit; fino ad introdurre un’esortazione al superamento dell’attuale emergenza coronavirus, con la presenza simbolica di testimonial attivi e contemporanei che incarnano l’impegno del percorso che stiamo realizzando, quali Roberto Bolle, Fiorenza Calogero, Veronica Mazza. “La bellezza salverà il mondo” costituisce il messaggio promosso dalla Mostra nell’impegno alla rinascita, ancorato alla storia, convinti che essa rappresenti quell’inestimabile eredità della quale è necessario riappropriarsi e consegnare alle nuove generazioni. Seguirà, quindi, la visione di un breve videoclip sull’installazione della scultura “La Meridiana dell’Incontro”, avvenuta all’interno della storica Chiesa di Sant’Agrippino a Forcella, accompagnata dal sottofondo musicale dell’antico brano “E una so’ li stelle”, eseguito dal gruppo popolare napoletano dei Damadakà, per poi giungere alle conclusioni affidate all’assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli Eleonora de Majo e all’esecuzione del brano finale “Festa d’’o sole” (inno alla rinascita), ambientato nello Spazio Comunale Piazza Forcella, interpretato da Carlo Faiello e Fiorenza Calogero, accompagnati da due giovanissimi artisti: Fabio Esposito e Ivan Rottino, giovani partecipanti ai laboratori musicali di inclusione sociale della “Baby Song Annalisa Durante”. durata degli interventi : ________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

( 2’ ) ( 6’ ) ( 4’ ) ( 7’ ) ( 6’ )

( 2’ ) ( 3’ )

Introduzione: Veronica Mazza (attrice, moderatrice) e Giuseppe Perna (Ass. “A. Durante”) Teatralizzazione: “La favola di Ercole” (Giovanna Facciolo o altro attore de’ “I Teatrini”) Intervento: “Il tempio della virtù a Forcella” (Vittorio Del Tufo, scrittore e giornalista) Mostra: “Restauratio Neapolis 20/20. La Visione contro le catastrofi” (intervento del prof. Elviro Langella, pittore ed insegnante di Storia dell’arte) Video-documento: “La Meridiana dell’Incontro”. Gemellaggi socio-culturali ed artistici con allievi di diverse scuole e realtà italiane, per la promozione di Napoli e Forcella (focus sull’installazione nella Chiesa di Sant’Agrippino della scultura “La Meridiana dell’Incontro”, realizzata dagli studenti del liceo artistico Felice Faccio di Castellamonte - TO, donata al nostro quartiere per la rigenerazione di Forcella, con sottofondo musicale del gruppo giovani artisti “I Damadakà”) Conclusioni: Eleonora de Majo, Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli Canto finale ambientato nello Spazio Comunale Piazza Forcella: “Festa d’’o sole” (Carlo Faiello, Fiorenza Calogero e i giovani artisti Fabio Esposito e Ivan Rottino) ispirata al Solstizio d’Inverno, giorno della datazione della fondazione di Neapolis.



Pino carissimo, ti invio questa raccolta di tavole che andranno ad illustrare il progetto di cui abbiamo discusso in vista dell’imminente edizione 2020 del “Maggio dei Monumenti” a Napoli. La mia idea iniziale era di realizzare un breve docufilm ma ovviamente, tutto è purtroppo affidato agli imprevedibili sviluppi dell’emergenza in corso. In ogni caso, mi sembra che “la Favola di Ercole” possa chiudere degnamente i capitoli del libro già presentato alla Biblioteca in occasione della scorsa manifestazione del “Solstizio d’Inverno a Piazza Forcella”. Mi propongo dunque, di aggiornare una nuova edizione in un numero limitato di copie, nella quale in linea con la precedente, ripercorrerò le fasi del nostro progetto per rinfrescare la memoria di tanti comprensibilmente distratti dalle incombenti vicissitudini che attraversa il Paese. Talvolta fantasticando, mi capita di pensare che non vedrei neanche troppo azzardata in futuro, la proposta di estrarre da questo mio ultimo lavoro, il soggetto per un fumetto o un cartoon, semplice e di immediata lettura anche per il pubblico dei ragazzi. In fondo, ‘O fatteriello che ho inteso narrare in chiave mitologica mi pare si presti ad una tale riduzione, sebbene fin da principio, la mia intenzioni era orientata a scrivere una “favola” dai risvolti educativi. Una favola a dire il vero, alquanto atipica, con uno scrupoloso occhio di riguardo ai numerosi riferimenti culturali alla letteratura classica, alla storia dell’Arte. A ben riflettere, anche la “favola di Giacomino” scritta in linguaggio gergale perfino irriverente, e illustrata con le figure rubate alla tradizione del presepe rivisitata dagli Scuotto, si prestava ad essere adattata al genere popolare delle Guarattelle; un genere evasivo, di puro intrattenimento, anche se non privo di messaggi di importante ricaduta pedagogica. Roberto Vernetti docet! A mio avviso, l’aspetto pedagogico torna insistente in questa nuova favola ispirata al mito di Ercole. Per quanto ambizioso, il mio obiettivo mira attraverso il pretesto narrativo, a far conoscere e diffondere la sensibilità per l’inestimabile patrimonio artistico ed archeologico soprattutto dei musei napoletani. Proprio in questo momento di crisi generalizzata per l’immane catastrofe causata dal coronavirus, che azzera impietosamente le risorse e gli sforzi prodigati finora, non possiamo abbandonarci a leccarci le ferite e chiuderci in difesa dinanzi al destino precario di una crisi di portata globale; non possiamo affidarci fatalisticamente al puro istinto di sopravvivenza. Il rischio è che si finisca per


resettare anche il cervello e restringere il campo della nostra Visione, che ora più che mai deve essere mirata a infondere speranza in un futuro vivibile per le nuove generazioni. Sarebbe un suicidio chiudere proprio in questo momento, il nostro orizzonte esistenziale limitandoci ad arare ognuno il proprio orticello. Non possiamo concederci il lusso di snobbare, quasi fosse una superflua sovrastruttura, l’attenzione alla Cultura e al patrimonio del Paese unanimemente riconosciuto unico al mondo. Anche se non manca chi lo avverte con fastidio come zavorra che appesantisce di pedanterie i corsi di studio dei nostri giovani. Laddove invece, rappresenta una risorsa spendibile a nostro favore. E qui … Alberto Angela docet! Non faccio mistero dell’aspirazione che coltivo con questo nuovo lavoro, e che credo di poter riassumere già nella didascalia alla prima tavola: “La bellezza salverà il mondo”.

“La bellezza salverà il mondo” Chi potrebbe mai smentire l’indubitabile verità racchiusa nella dichiarazione di Dostoevskij? Ma per quanto ineccepibile, essa pone un legittimo interrogativo: riusciamo noi tutti a riconoscere istintivamente la Bellezza? Ad abbandonarci alla contemplazione della bellezza dinanzi ad un’opera d’arte, ad inebriarci dell’atmosfera di una sinfonia o di un paesaggio, sia esso narrato dal verso poetico, dipinto in una tela o donatoci direttamente dalla natura?


Bisogna saper guardare le entusiasmanti epifanie di luce della natura perché esse non dileguino, passando inosservate all’occhio distratto. Per apprezzare e riuscire a goderne, dovremmo con grande umiltà riconoscere preliminarmente i limiti del nostro sguardo che si trova oggi a naufragare nell’universo virtuale dei media contemporanei, assuefatto all’incessante overdose di sollecitazioni subliminali, asservito alle sovrastrutture massmediatche. Per cogliere l’intima bellezza delle cose senza scivolare superficialmente nella banale esteriorità, l’unica via è tornare ad educare lo sguardo alla Visione, per spingersi oltre il velo di un estemporaneo gradimento dettato dagli effimeri orientamenti dei propri gusti individuali e delle mode. È essenziale affinare la nostra sensibilità per tornare ad intravedere la Bellezza e innamorarcene di quell’identico, incondizionato amore che nutre il filosofo per la conoscenza, A tale Visione dettata dal potere creatore del cuore, allude Giordano Bruno, favoleggiando di Diana e Atteone, l’inavveduto cacciatore che osa spiare impunemente la nuda intimità del bagno della vergine dea. E così, ai suoi occhi mortali la vista della luminosa Diana giunge insopportabilmente abbagliante al punto da spossessare l’incosciente Atteone del suo arrogante Ego. Da cacciatore è destinato dalla dea, a divenire preda ed essere a proprio turno divorato dalla sua famelica muta. Eppure, quale felice colpa la sua! Perché pur e spogliato a morsi voraci delle sue carni, brucia ora del fuoco sublime della sua passione per Diana, e per quanto incomprensibile a noialtri, non può che goderne, trovando inebriante l’“amor eroico” cantato da Giordano Bruno.

proposta di nuovi gemellaggi Come dicevo, non disdegno affatto l’ipotesi di possibili trasposizioni divulgative che rendano accessibili al pubblico più giovane i valori e la conoscenza del nostro patrimonio artistico attraverso forme di linguaggio ad esso congeniale (fumetti, cartoon ecc). Ritengo altrettanto interessante affacciare la proposta di estendere la nostra presentazione in concorso al “Maggio dei Monumenti”, al contesto allargato di un pubblico più variegato, magari in seno ad eventi nazionali. In particolare, sulla scia dei trascorsi gemellaggi che hai organizzato, mi sentirei addirittura di suggerire il coinvolgimento dell’assessorato alla Cultura in due possibili futuri incontri a Parma (Capitale della Cultura quest’anno) e a Roma. Questo in ragione dei numerosi riferimenti che emergono nel presente lavoro, sia all’inestimabile Collezione Farnese che arricchisce in tanta parte i nostri Musei di Capodimonte e il MANN, sia alla figura emblematica dell’artista parmense, il Parmigianino, che ho appena evocato nell’esegesi di Giordano Bruno al mito di Diana e Atteone. Le location che meglio si presterebbero a mio avviso, ad un tale incontro culturale sono: il “Camerino di Ercole” al Palazzo Farnese di Roma e la Rocca di Fontanellato presso Parma che detiene per tutto il 2020 il titolo di Capitale italiana della Cultura. Sempre nei pressi di Fontanellato in alternativa, il parco culturale “Labirinto della Masone” ideato dal famoso editore Franco Maria Ricci.


le tavole di accompagnamento al progetto per Maggio dei Monumenti Riducendole in formato pdf non ho trovato una soluzione migliore per mostrarti in anteprima la brochure, che dividere a metà le tavole. Scorrendole sul monitor così impaginate, ne avrai ovviamente una visione parziale, ma la pubblicazione finale si appoggerà, come per alcune mie precedenti pubblicazioni, al servizio web “Issuu”, creato appunto per la visualizzazione realistica dei documenti e la loro modifica. Questo al fine di un’agevole consultazione atta a consentire di sfogliare interamente le tavole come un libro o una brochure, col vantaggio oltretutto, dell’utilizzo di strumenti digitali e ipertestuali.


Corredate da didascalie, testi brevi, e un indice delle tavole nelle pagine introduttive, le immagini fanno riferimento ai due temi fondamentali del racconto, raccordandosi sia all’intero progetto la “Meridiana dell’Incontro”, in continuità con le tappe del percorso di rigenerazione finora attuate, sia alle testimonianze del tempio di Ercole nell’antico sito di Forcella, oggetto del racconto. Come per il commento all’“Omaggio a Raffaello”, suggerirei di affidare anche questa presentazione al nostro eccezionale testimonial che cura la sezione “Baby Reading”. Proporrei Veronica Mazza quale voce narrante della “Favola di Ercole”. Oltre a figurare come protagonista nel racconto del racconto, sarebbe la conduttrice nel docufilm. Spero tu sia d’accordo con me. A Veronica sarebbe assegnata l’animazione di un incontro da ambientare nella chiesa di Sant’Agrippino, coi giovani di Forcella. Magari, anche esteso ad altre scuole gemellate, tra le tante già ospitate dall’Associazione “Annalisa Durante”. La visita all’antica chiesa del quartiere offrirà una nuova opportunità di tornare ad illustrare il significato della “Meridiana dell’Incontro” realizzata dai loro coetanei piemontesi, ribadito dalla targa apposta all’inaugurazione, per riassume sinteticamente le finalità che essa ha inteso incarnare simbolicamente nello sviluppo del progetto complessivo. Ecco perché ho pensato di riproporre tra le tavole, una sequenza del montaggio della scultura ad opera di Nazzareno al fianco di Giovanni, quasi a riepilogare la cronistoria del progetto per quanti lo ignorano, cominciando dai momenti preparatori e dell’inaugurazione tenuta proprio nella scorsa edizione del “Maggio dei Monumenti”. Veronica riferirà a proposito, la cerimonia nella quale Tullia, prescelta nell’occasione come testimonial del progetto, è stata chiamata a inaugurare la scultura nella navata di sant’Agrippino al canto dei Damadakà. Indimenticabile la commozione del pubblico che avrebbe partecipato poi, al Premio Nazionale “Annalisa Durante” proveniente da tutte le città d’Italia gemellate alla “Meridiana dell’Incontro”: dalla Sicilia al Piemonte; dall’Aquila, a Roma, a Palermo, a Catania, in rappresentanza di quartieri di frontiera come Librino, San Berillo e San Cristoforo venuti a condividere l’identico dramma sociale vissuto dai nostri ragazzi di Forcella, di Scampia, Barra, la Sanità ecc. Nella sua esposizione, Veronica non potrà trascurare il vero significato della “Meridiana”, già efficacemente espresso appunto, nella targa. Scorrendo la legenda apprendiamo che i simboli e le figure rappresentati dai ragazzi di Castellamonte fanno riferimento alla fondazione di Partenope-Neapolis. Il profilo della Piramide svettante sullo sfondo del rilievo, funge poi, da intenzionale raccordo tra Napoli e la Sicilia.


Infatti, essa ripropone in scala le esatte proporzioni della Piramide 38° parallelo di Mauro Staccioli, meta del “Rito della Luce” annualmente festeggiato nel Solstizio d’Estate nel parco di “Fiumara d’Arte” presso Tusa, nel territorio di Messina. Oltre al simbolico valore simbolico che ricongiunge idealmente sul 38° parallelo, Tusa alle cinque città del mondo gemellate in un comune patto per la Pace universale, il motivo iconografico della Piramide ripropone in forma visiva, lo spirito per cui è stato composto l’inedito brano “U ciatu d’‘a Muntagna” eseguito dai giovani dell’orchestra giovanile siciliana venuti all’incontro. Un brano tanto più emblematico della loro isola perché intende suggerire all’ascolto le atmosfere dello Stromboli nello skyline delle Eolie. E proprio verso l’isola di Stromboli guarda la Piramide del “Rito della Luce”, intessendo sul pentagramma la musica segreta infrasonica del vulcano, a rimarcare l’armoniosa simbiosi paesaggistica con l’antico, solare Genius Loci del territorio, che ispira tutte le opere di Staccioli, in perfetta sintonia con l’intero progetto della “Fiumara d’Arte” di Antonio Presti.


Veronica: Correva il 21 dicembre dell’anno 472 avanti Cristo. Gli antichi Cumani, popolo di origine greca, fondavano la città di Neapolis. Era il Solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno. Da quel momento le giornate sarebbero diventate più lunghe e nei mesi successivi, la luce ed il calore del sole avrebbero risvegliato la natura. Quale momento più propizio per dare vita alla nuova città !? Affidandosi agli auspici divini, i Cumani risalirono il Colle di Sant’Elmo, dov’è ora la Certosa di San Martino, per attendere il sorgere del sole. Il primo raggio tracimato dai Monti Lattari intorno alle 7,30, con un’incidenza di 36 gradi rispetto all’est astronomico, guidò i Cumani nell’atto di fondazione. Spaccanapoli corre oggi, proprio sull’originario asse viario principale che, partendo dalle pendici della collina si estende nel sottostante pianoro fino a Forcella. Fungeva già da allora, da vera spina dorsale all’intero tracciato planimetrico di Napoli. Dell’atto di fondazione della nostra “città del Sole” ne dà minuziosa testimonianza Dicearco di Messina in un frammento ricostruito dallo studioso napoletano contemporaneo, Renato Palmieri, le cui ricerche incentrate sulle origini astronomiche di Neapolis, assegnano a Forcella un valore altamente simbolico per la consacrazione divina della nuova città. Forcella viene di fatto, a divergere dalla plateia di fondazione dello stesso angolo (36 gradi) che guidò deliberatamente il piano dei padri fondatori, generando un bivio a forma di “Y”, al quale si ispireranno i posteri nell’attribuire il nome di Forcella all’intera zona.

struttura della favola di Ercole Lasciamo ora, le inesauribili digressioni già sufficientemente discusse, sui simboli della nostra “Meridiana”, soprattutto in merito al diretto riferimento a Forcella e alla sua singolare topografia, che l’affabulata interpretazione di Renato Palmieri inserisce nel più ampio, disegno originario della fondazione di Neapolis. Ho concepito la “favola di Ercole” come una specie di matrioska, ove ognuna delle tre parti che compongono la struttura narrativa incapsula l’altra. Questo perché dovevo accostarmi per gradi all’oggetto immaginario del racconto: il tempio di Ercole. Immaginario perché una volta andate perdute le vestigia, è diventato purtroppo impossibile recuperarne la memoria. E allora, come illudersi di raggiungere l’isola che non c’è se non abbandonandoci al volo dell’immaginazione. Ho pensato che poteva rivelarsi un buon escamotage allenare per gradi il lettore a spiccare questo volo; ad esercitare la sua intuizione fornendogli utili indizi sull’identikit del nostro Ercole, e riscoprire attraverso un’attenta ricomposizione dei pezzi del puzzle sulla scorta di attendibili testimonianze letterarie e iconografiche, la vera identità del mitico protagonista del nostro racconto.


Perciò, riepilogando i tre momenti salienti: 1a parte . Si parte dalla scena nella quale Veronica coinvolge i ragazzi in una singolare performance ambientata in Sant’Agrippino; commenta la “Meridiana” raccordandola alla storia di Forcella, alla creazione della Biblioteca e dell’associazione sorte in memoria di Annalisa per la rinascita del quartiere. 2a parte . La nostra narratrice accennerà poi, alle vestigia del tempio di Ercole che si supponeva a torto, dovesse trovarsi alle fondamenta della chiesa di Sant’Agrippino. Sarà questo il pretesto per dar corpo alla favola vera e propria che prende a spunto la figura di Ercole nella fantasia dei pittori e scultori dei grandi musei di Napoli. Ciò al fine di documentarne la genesi partendo fin dagli albori dei miti classici tramandata dai poemi epici, dall’arte, dal teatro antico. A cominciare dal famoso Ercole Farnese conservato al Museo Archeologico, tra i capolavori assoluti che ornavano un tempo la palestra delle Terme di Caracalla a Roma, recante la firma di Glicone. E proprio la collezione Farnese che nutre di inestimabili tesori i nostri musei napoletani, offrirà l’ulteriore spunto per approfondire il mito del semidio mai tramontato nella storia dell’Arte, ogni qualvolta gli artisti fossero chiamati a celebrare virtù e eroiche gesta per i loro committenti. Due personaggi della favola intratterranno il lettore intorno ad alcuni preziosi dipinti conservati al Museo di Capodimonte. Sono il pittore Annibale Carracci e Fulvio Orsini. quest’ultimo è proprio il curatore della prestigiosa collezione, tra i più eruditi connoisseur di antichità nel ‘600, responsabile anche delle nuove acquisizioni e delle opere commissionate agli artisti contemporanei che hanno goduto del mecenatismo dei Farnese. Proprio l’Orsini ispirerà quel capolavoro immortale oggi, al Museo di Capodimonte, “Ercole al Bivio”, che coronava l’intero ciclo pittorico al Palazzo Farnese al quale l’artista dedicò ben otto anni di ininterrotta attività. Questa grande tela adornava il centro della volta del “Camerino di Ercole”, l’appartamento privato del cardinale Odoardo nel Palazzo Farnese, ubicato a Roma sulla riva sinistra del Tevere. Tutti i numerosi affreschi mitologici ivi eseguiti dall’artista, incentrati quasi esclusivamente sulle gesta del mitico eroe, traggono ispirazione proprio dai reperti della collezione di antichità nata su volontà di Alessandro Farnese. Oltre alla sterminata galleria di famose sculture e dipinti, essa conta una miriade di altrettanto preziose gemme, medaglie, monete. È proprio dai soggetti riprodotti in quella raccolta, una delle più insigni del suo tempo, attingono a piene mani le innovative soluzioni adottate da Annibale Carracci per la ricchissima decorazione dell’appartamento del cardinale. Inaspettatamente, per l’“Ercole al bivio” l’Orsini suggerisce al pittore un’opera originalissima, un bellissimo rilievo romano di età augustea (copia di un originale greco) che fa parte della collezione di Villa Albani. Rappresenta Ercole tra le Esperidi. Un’interpretazione unica, del tutto inedita dell’undicesima fatica che ci svela l’identità segreta del nostro eroe errante. Per mostrarci la sua vera natura solare, il mito è sovvertito del tutto. Ercole ritorna improvvisamente ringiovanito e raggiante nel Giardino delle Esperidi, il luogo all’estremo orizzonte del mondo a noi noto dove nasce e riposa il Sole. A dispetto delle tante versioni della favola, intrattiene qui un rapporto idilliaco con le Esperidi. Anziché fuggire intimorite dalla sua incursione, sono esse stesse a donare di buon grado gli ambiti e meritati pomi, laddove la leggenda vuole li abbia rubat, incurante dello spregevole atto sacrilego. Né lo scultore si compiace di raffigurare il serpente Ladone posto a guardia dei sacri frutti, agonizzante ai suoi piedi, tramortito dall’impietosa clava; bensì ce lo raffigura acciambellato come l’Ouroboros, simbolo dell’Eternità, intorno alla bionda chioma inanellata. È la corona che consacra l’eroe uscito vittorioso dal sofferto Dodecathlon e divenuto oramai, incarnazione di Febo-Sole. Ercole poteva insegnare ai mortali come dovessero coltivare la prestanza fisica e incanalare le proprie energie, per ambire a cingere le tempie della meritata corona d’ulivo nei giochi olimpici, quale auspicio di fraterna pace tra i popoli che a lungo scongiuri odiosi, sanguinari scontri bellici.


3a parte . Sarà ancora l’Orsini infine, a spalancarci le porte dell’antico tempio di Ercole. Lo farà descrivendone con dovizia di dettagli la magnificenza, così come gli apparve ... in sogno! Dunque, una favola dentro la favola? Certo. Né potremmo mai immaginare di ricostruirne altrimenti le architetture irrimediabilmente andate perdute, pur documentate da fonti attendibili, essendo stata ahimè, negata ai posteri un’eredità così preziosa, dissipata dall’incuria e dal colpevole oblio, assieme a tutte le altre meraviglie dell’antica “Regione Ercolense”. Potremmo oggi, sognare di ricostruire altrimenti il perduto tempio dell’Alcide se non favoleggiandone lo splendore con un volo di fantasia? Irrimediabilmente dissipata dall’incuria, non resta oramai, che constatare come sia negata ai posteri un’eredità tanto preziosa, ed eclissati per sempre i paesaggi dell’anima del nostro passato. Ci è dato al più, rincuorarci dalla nostra delusione provando ad immaginare quale fu la meraviglia del rinvenimento di quegli splendori portati alla luce nel ‘500, a seguito degli scavi condotti dal Vicerè Pedro De Ribera duca d’Alcalà. Riaffiorarono dal millenario oblio i reperti del tempio di Ercole, nei pressi delle fondamenta di Santa Maria a Piazza, in fondo al vicolo dove sorgeva la cappella dedicata a Santa Maria ad Herculem. Tra le numerose colonne di marmo rinvenute, una in pregevole verde antico, dovette risultare particolarmente gradita all’illustre Vicerè, che non esitò a trafugare il ghiotto bottino fuori dal Regno, in Spagna. Già … in Spagna. È lecito chiederci quale inaudito cataclisma avrà mai inghiottito in tempi remoti di cui si è persa memoria, tutte le gloriose meraviglie enumerate da Vittorio Del Tufo (nella sua Napoli Magica), sorte nel sito ameno della Regione Furcillense, attraversato un tempo dalle acque sorgive sacre ad Ercole. “Un tempo in cui non le paranze dei boss ragazzini che irrompono attualmente a Forcella, ma le gesta dei nostri atleti belli come eroi e dei del mondo classico, correvano nell’intero mondo fino allora conosciuto. Assieme alla fama di architetture grandiose e nobili come l’antico Ginnasio, dove si praticava l’educazione del corpo e dello spirito”. “Cos’è rimasto oggi di quell’incanto?” - con tali domande lo scrittore napoletano interroga oggi, le nostre coscienze - “C’è stato un tempo a Forcella, ed è un tempo di cui non dovremmo disperdere la memoria ...” Un impegno al quale non possiamo derogare, dal momento che a disperdere la memoria del nostro patrimonio di civiltà ha già fin troppo provveduto l’incuria e l’irresponsabile avidità di uomini privi di scrupoli. Sarò malpensante, ma riflettendo sui pregiati marmi del tempio di Ercole cari al Vicerè Pedro De Ribera, citato un attimo fa, mi riesce difficile rimuovere il sospetto che il nostro patrimonio rimanesse una volta ancora, senza controllo alcuno, alla mercé degli istinti predatori dei dominatori di turno. Tra i ricorrenti déjà-vu e i tanti barbari e Barberini che si sono coscienziosamente avvicendati alla dilapidazione dei nostri tesori e della memoria storica, mi balena alla mente l’episodio delle antiche colonne di alabastro fiorito spregiudicatamente sottratte nel '700 dal duca d'Elbeuf, principe di Lorena, ad un analogo tempio rotondo periptero, allora ritenuto di Ercole, riccamente ornato di statue monumentali, fra le quali una proprio di Ercole ritratto in nudità eroica, traslocato per fortuna nella Reggia di Portici. Altre preziose sculture in marmo pare avessero in sorte un diverso destino, inviate in Francia in dono al Re o a suo fratello. Seguendo una spregiudicata, sistematica prassi di spoliazione di tutti i nostri tesori rinvenuti in circostanze fortuite lì ad Ercolano, altre invece, furono inviate in dono al comandante delle armate imperiali Eugenio di Savoia per adornare il Palazzo del Belvedere a Vienna, per essere poi, vendute al principe elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto III. Non so se può giovare di consolazione saperle oggi, vanto del Museo di Dresda.


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3a parte : il SOGNO

Nelle pagine del racconto, cogliamo gli scambi intercorsi durante i lavori al Palazzo Farnese, tra il pittore e l’umanista che gli fa da mentore. L’Orsini si mostra oltremodo esigente al punto che la pittura rischia finanche di soffrire della pedante consulenza che incalza con fastidiosa pedanteria. Le richieste di attenersi scrupolosamente alla descrizione mitologica del tema limitano l’estro inventivo dell’artista, nella comprensibile difficoltà di riuscire a tradurla con naturalezza nel proprio personale linguaggio pittorico. Nel finale del racconto, l’Orsini maniacalmente affascinato dalla sua materia che mette costantemente alla prova la sua abilità di investigare e risalire le fonti, di decifrare iscrizioni non di rado irrecuperabilmente compromesse, di catalogare e di sciogliere di volta in volta quesiti sull’antichità dei reperti, si imbatte ora, in un indecifrabile epigrafe che corre intorno al ritratto di un filosofo pitagorico. Si tratta di un motto tratto da un frammento assai enigmatico di Alcmeone impresso in una medaglia della sua collezione. Soltanto più tardi, ci confesserà in preda ad irrefrenabile entusiasmo, di essere riuscito finalmente a venire a capo del rebus. Era stato un sogno ad illuminarlo! Un sogno assai singolare, l’aveva trasportato indietro nel tempo. Pur non potendo attingere direttamente la soluzione dell’arcano dalle labbra del filosofo di Crotone, ritrovatosi per insperata fortuna, nell’antica Napoli, si era imbattuto nientemeno, in uno dei massimi studiosi delle immagini e degli artisti del mondo classico, Filostrato! Orsini: Chi avrebbe mai immaginato che lì a Napoli il provvidenziale incontro con Filostrato, il mio mito indiscusso, si rivelasse foriero di ulteriori fortune. Letteralmente travolti dalle tumultuose frotte in visibilio per i giochi partenopei in corso, contagiati dal dilagante spirito festoso, non perdemmo occasione per ammirare il Ginnasio e tutte le magnificenze che era dato visitare lungo le vie della Regione Ercolense.


Quale sorpresa sarebbe stata ritrovare alla fine di quell'istruttivo viaggio in sogno, proprio sullo stilobate del tempio di Ercole la soluzione all'insolubile enigma che mai aveva smesso di tormentarmi: ... per questo gli uomini muoiono, perché non riescono a ricongiungere il principio con la fine Declinato nella duplice lingua greca e latina, il motto di Alcmeone correva simmetricamente nelle epigrafi in caratteri capitali, separate da due losanghe, anch’esse incise nel marmo. p

Senza anticipare altro su quella scoperta che così tanto lo eccitava, per ragioni che credo sfuggano finanche al lettore più perspicace, Orsini prende a raccontare l’incontro: Mi ritrovai assieme allo scrittore greco, ad essere onorato dell’ospitalità di un affabile mecenate delle arti brillantemente avviato alle principali cariche pubbliche. Dimorava in una villa fuori le mura, in un sobborgo, che affaccia sul Mar Tirreno. Il portico rivolto al vento Zefiro, articolato se ben ricordo, sopra quattro o cinque solai, risplendeva di marmi lussuosi, ma soprattutto si fregiava di un gran numero di dipinti su tavola adattati alle pareti e scelti, a mio parere, con un certa competenza, visto che dimostravano l'indubbia maestria dei loro autori. Eravamo nel mese dei giochi in onore del dodeclathlon di Ercole. Ma come è noto, l'origine greca dei napoletani ne fa un popolo molto colto. L'infatuazione con la quale acclama le famose corse lampadiche dedicate alla dea sirena Partenope, non preclude affatto di appassionarsi al contempo, alla bellezza in tutte le espressioni, nelle lettere e nelle arti. Cosicché, finanche in un'occasione speciale come quella, c'era chi non avrebbe mai rinunciato ad approfittare di un incontro così ghiotto, per godere e far tesoro dell'ineguagliabile lezione di Filostrato. Pur consapevole della ritrosia del suo ospite a tenere conferenze in pubblico, infastidito dalle insistenze dei ragazzi che frequentavano la casa, il nostro anfitrione non aveva resistito alla tentazione di allestire in bella vista i suoi tesori, nella speranza che qualcuno di quei dipinti potesse riscuotere la sua attenzione. Attendeva che il maestro lo degnasse di un suo prezioso commento. Chi non sarebbe stato bramoso di ascoltare il fiorito eloquio che presto avrebbe reso parlanti le mute pitture? Filostrato da canto suo, mai avrebbe tradito le aspettative dell'amico Marcus Lucretius, riconoscendo quei quadri ben meritevoli di tesserne l'elogio. Non avrebbe tardato quindi, ad offrire un saggio dell'insuperabile arte retorica. Quanto in maestria, non è esagerato affermare che la sua lingua poteva gareggiare coi più vituosi pennelli e fare impallidire i colori dei più raffinati encausti. A rompere gli indugi fu la richiesta di un bambino, figlio del suo ospite. Meravigliava l'età ancora acerba; toccava appena il decimo anno, eppure già pendeva dalle sue labbra, anch'egli impaziente di abbeverarsi alla sorgente della bellezza dell'Arte. Per quanto ammaliato dal maestro che si prodigava ad illustrare le immagini della nutrita pinacoteca a cielo aperto, non potevo fare a meno d’essere rapito al contempo, dagli scorci e dalle fastose finte prospettive che scorrevano al mio sguardo, invitandomi a lanciare qualche occhiata indiscreta agli ambienti più appartati della domus.


Il padrone di casa chiede all’illustre ospite di aiutare il suo pubblico a scoprire il riposto significato di certi simboli di una scultura rimasta a lui stesso fino ad allora incomprensibili. Venire a capo dell’inespugnabile mistero risulta per Filostrato un gioco da ragazzi. Filostrato: L’opera elogia la più eccelsa Virtù dell'animo. Tutto in questo marmo ci parla dell'onore per il Decoro: fortezza, eroico coraggio, la resilienza così ben espressa nel fiore d'amaranto in mano al nostro gagliardo giovinetto, che in ogni tempo rifiorisce, a significare che il seme indomito che l'uomo virtuoso porta dentro rinasce caparbiamente dall'inverno più cupo. SIC FLORET DECORO DECUS. Ritroveremo la spiegazione di questo motto nell’Iconologia di Cesare Ripa alla quale si ispira l'artista, commentata con tale dovizia di approfondimenti da giustificare la mole elefantiaca dei cinque inespugnabili volumi corredati da alcune centinaia di acqueforti. Incuriosisce certo il nostro competente collezionista, la bizzarria di quell'unico sandalo al piede destro, ma non mi spingerei a cercare reconditi significati, talora oscuri, scomodando gli iniziati ai misteri di Eleusi così rappresentati nelle sculture greche, o piuttosto, le divinità che i nostri miti ci dipingono monocrepidi: Giasone, Dioniso, Teseo ecc. Ma qui la curiosa asimmetria del coturno e dello zoccolo, calzati entrambi dal fanciullo, va interpretata come “simbolo del Decoro Poetico”, a significare la sua duplice capacità dell'uomo virtuoso di farsi umile tra gli umili e nondimeno, mostrarsi coraggioso e altrettanto determinato nei confronti di chi esercita la forza per ostentare l'odioso predominio sull’altro. Per il riguardante intenzionato a rintracciare l'ispirazione dell'artista, sicuramente guidato dal suo sapiente mentore, non può non destare stupore che ad indicarci la strada per intraprendere l'impegnativo periplo orientato all'eccelsa Virtù sia affidata ad un personaggio qui raffigurato nelle sembianze di un tenero efebo dai riccioli d’oro. Ostenta la spensieratezza e la spavalderia dell’innocente fanciullezza, ma niente, a dire il vero, ricorda i palestrati eroi cantati dai miti. Ci saremmo aspettato, chessò, un impavido Argonauta; tra essi il più virile e virtuoso, Ercole, stando ad Aristofane. E a ben guardare, il ragazzino sembra accreditarsene indebitamente le celebrate virtù: la forza, il coraggio, sfoggiando la leontè, attributo di cui soltanto ad Ercole spetta il primato conquistato con le dodici fatiche. Dobbiamo dunque dedurre che la Forza alla quale allude l’emblema della pelle di leone nonché la colonna spezzata posta a sorreggerla, non deve intendersi una qualità strettamente muscolare? Lo scultore ci esorta evidentemente a cercare altrove quella qualità immateriale indispensabile ad elevarci, per intraprendere e procedere nel cammino di perfezionamento spirituale. La ricercata acconciatura a ciocche di capelli inanellati, che incornicia il viso imberbe non è che un vezzo, ma al contempo denota l’altezza delle sue nobili azioni


Pur assorto nell’istruttiva lezione non sapevo trattenermi dal dirottare l'attenzione verso gli encausti che impreziosivano una cubicola. Gli ampi riquadri decorativi facevano cornice a quadri ricchi di raffinati rimandi degni dello status sociale del proprietario. Scene di ordinaria vita domestica si alternavano a luminosi soggetti mitologici. Una coppia di medaglioni con ritratti di fanciulli posti ai lati dell’ingresso suggerivano dovesse trattarsi della camera dei figli del proprietario. A fianco del tablino si apriva un piccolo cubicolo sulle cui pareti, di colore giallo ocra intenso, amorini in volo facevano da contorno a due scene che non avevo difficoltà ad identificare: da un canto, Narciso colto nell’attimo in cui ammira la sua immagine riflessa nell’acqua e se ne innamora. Non poteva trovarsi un’immagine più stimolante per le acrobazie del nostro Filostrato. Né sarebbe stato semplice indovinare chi sarebbe uscito vincitore dal singolare certame: l’insuperabile retore oppure l’artista chiamato a misurarsi nella resa del vero, con i due più virtuosi pittori che sia dato immaginare: la natura e lo specchio. La fonte dipinge Narciso la pittura dipinge ad un tempo la fonte e Narciso. Per quanto avvezzo a ricreare a parole i più inarrivabili capolavori dell’arte, non sarebbe risultato facile nemmeno per Filostrato dipingere un tal sottile gioco di rispecchiamenti. Sulla parete opposta Anfinomo e Anapia accorsi a mettere in salvo gli anziani genitori sfidando le lave dell'Etna. Più in là, la commovente scena di Pero che allatta in prigione il vecchio padre Micone. L’esempio di amore filiale era ulteriormente esaltato dai distici elegiaci appuntati sull'intonaco con uno stilo, un chiodo o qualcosa del genere. Non avrei trascurato di leggerli una volta ultimata la visita alla pinacoteca. Ancor più avrei apprezzato infatti, la sensibilità del nostro padrone di casa scoprendo lui stesso l'autore di quei versi a commento dell'amore della giovane per il padre divorato dai morsi della fame: Quegli alimenti che la madre offriva ai piccoli nati il destino ingiusto mutò in cibo per il padre. Il gesto è degno di eternità. Guarda: sullo scarno collo le vene senili già pulsano del latte che scorre, mentre la stessa Pero, accostato il volto, accarezza Micone. C’è un triste pudore misto a pietà. _________________________________________________________________________

Congedandomi a malincuore dalla premurosa accoglienza ricevuta in questa dimora di inaspettate rivelazioni, attraversai il vialetto racchiuso nel peristilio, attratto dai giochi d’acqua che si vedevano zampillare. Raccolto in un angolo appartato all’ombra di un oleandro, scoprii un piccolo sarcofago istoriato. Raffigurava una scena diversa su ogni faccia. Non risultava difficile identificare Klotho, Lachesis e Atropos, raffigurate nell’atto di decretare il destino di noialtri mortali, accanto alla meridiana, al globo celeste, con in mano il rotolo (volumen) che fissa per iscritto il decorso dell’intera vita interrogando gli astri. Erano lì intente a divinare il destino del bambino mentre le donne si prendevano cura di lavarlo in un bacile sotto lo sguardo riconoscente della partoriente. Dal canto opposto, hiudeva il racconto figurato l’ultima scena, nella quale un carro trainato da una coppia di caprette scortava il fanciullo in mezzo ad una moltitudine di amorini.


mentre la stessa Pero, accostato il volto, accarezza Micone. C’è un triste pudore misto a pietà. L’Orsini in compagnia di Filostrato e Marco Lucrezio si allontanano a piedi dalla casa a mare. Li ritroviamo nei pressi del Ginnasio. Una fitta rete di canalizzazioni convoglia le acque della vicina sorgente verso una fontana posta all’interno del complesso templare terrazzato. Il bacino doveva essere ubicato all’ingresso dell’area più sacra del santuario ed essere utilizzato dai fedeli per purificarsi prima di accedere al culto. Tanti onori tributati al semidio nell’imponenza monumentale che si dispiega ai suoi occhi, quasi lo persuade a ricredersi su quegli autori che eleggevano Ercole (Egizio) a primo fondatore di quell’antica Eraclea sorta in quel sito rigoglioso pullulante di sorgenti sacre all’eroe. Frastornato dall’ebbrezza di quegli ininterrotti spartiti architettonici in tutto fedeli alle auree proporzioni di Vitruvio, si accoda così, assieme al suo anfitrione, al corteo festante, mentre già prende a schierarsi in due ordinate ali ai bordi del campo, per acclamare i campioni in lizza per le gare in onore dell’Alcide. Il nostro sognatore è sorpreso scoprendo la familiarità intrattenuta dal suo ospite con due corridori che si apprestano alle rispettive postazioni di partenza, scambiandosi qualche frecciatina al vetriolo durante il riscaldamento preliminare. Uno dei corridori in gara, provoca Iatrocle in tono canzonatorio: … niente furbizie e subdoli inganni … cos’è che ti ciondola lì sotto? altro atleta: Non si sarà portato dietro gli ambiti pomi per distrarre la nostra campionessa? Giana: Dopo che avrai ingoiato la polvere del mio calcagno, temo mi toccherà sbranarti. Chiamami pure leonessa, ti azzannerò al cuore, mio sfacciato sfidante! Alle colorite parole, i corridori ridono sbeffeggiando in coro l’amico: Quali soavi fiumi di miele scorrono oggi, come balsamo nelle orecchie di Iatrocle… sarà forse, che alla dolce Atalanta stia prendendo la fregola di sedurre il nostro impavido compagno all’ombra delle colonne del santuario di Vesta? Giana: Non prima di aver strapazzato ognuno a suo turno, lumache striscianti!


Ben altro tono tiene Giana nei riguardi di Marco Lucio. Una premurosa complicità che porta a pensare intercorra tra i due un rapporto di parentela. Non tarderemo ad apprendere la tristissima storia della ragazza salvata da umilianti stenti e accolta nella famiglia del generoso patrizio, poco più che una bambina. Trovata in un pietoso stato di prostrazione, mentre annaspava sudicia, in mezzo alle fetide erbacce di un campo nei paraggi, poté essere riscattata e sottratta al destino di indicibili violenze subite da un padrone privo di ogni elementare sentimento umano. Nella circostanza di traboccante enfasi per i giochi, parve inopportuno entrare nel merito di quel delirio di degenerate costrizioni. La schiavetta era costretta ad assecondare ogni più turpe perversione fallica partorita dalla fantasia deviata del suo carceriere, obbligata a stare sotto il tavolo un tempo infinito, per compiacerne i sadici capricci. La trasgressione a tale tortura veniva punita a frustate con fermezza legislativa, anche nell’eventualità di legittime necessità fisiologiche o per una fanciullesca momentanea distrazione.

Una volta ancora assisteremo alla vittoria di Giana. Così, come si conviene ai riti antichi, a degna conclusione della cerimonia, acclamata dalla folla, l’atleta capeggerà il drappello diretto al tempio, per spalancarne la porte alle prime luci dell’alba e offrire la propria corona d’ulivo callistefano all’amato semidio, l’incontrastato Alcide eroe del dodeclathlon. Marco Lucio all’Orsini: … fugato il sonno che intorpidisce le menti degli uomini, Ermete, per ordine di Zeus, incalza Elio a riaccendere i fuochi solari al primo gemito del giorno … Così, nell’ora convenuta, al passaggio dei raggi che discendono dall’orizzonte dei Monti Lattari, il divino fiotto di nivea luce inonda l’occhio del cielo della cupola come una cometa. In un istante, il disco che vedi illuminarsi in terra sul lussuoso mosaico, lambirà lo zoccolo del Capricorno nella decima casa dello Zodiaco. Ed ecco accendersi l’aureo bronzo incandescente che veste il simulacro di Ercole, l’Infiammato! In tutto simile alla sfolgorante apparizione di Augusto sulla soglia del Pantheon, il 21 aprile, che segna appunto, il giorno della fondazione di Roma risalente a Romolo. Con uno spettacolare effetto scenico l’imperatore amava annunciarsi nella veste del nuovo fondatore della Città eterna, nel segno della pace. Di certo, l’eroe delle dodici fatiche avrebbe mostrato l’autorevole postura degli imperatori (Commodo, Traiano) che si compiacevano di essere ritratti nelle identiche impavide fattezze dell’Ercole ai Musei Capitolini (Roma), fregiandosi della pelle del Leone di Nemea e ostentando nella mano l’ambito tesoro dei tre leggendari pomi d’oro.


Rigenerato nelle giovanili fattezze del valoroso atleta dalla bionda chioma inanellata a denotare l’altezza delle sue nobili azioni, avrebbe incarnato in tutto il suo virile splendore, la “gloria di Hera” scritta dal luminoso destino, nel nome stesso di Ercole. fine del sogno fantarcheologico Il pittore sarebbe tornato ad interrogare l'Orsini sulle mirabolanti visioni che il sogno gli aveva rivelato, alquanto scettico a riguardo dell'effettiva esistenza di quel tempio e di quelle magnificenze architettoniche napoletane descritte con tale enfasi da passare come una delle sette meraviglie. Faceva specie che proprio il suo rigoroso, dotto consulente, sempre alla ricerca ossessiva di fonti certe nella sua disciplina, accordasse credito alle astrusità dei sogni. Orsini : Eppure, a ben riflettere, quanti fatti e personaggi della storia lasciano traccia del loro passagio esclusivamente attraverso la ricostruzione di cronache ed indizi, dei quali facciamo fatica a verificare la veridicità. Nondimeno, talvolta non rinunciamo ad inseguire quelle tracce sia pure inconsistenti, flebili, affidandoci spesso a orme sbiadite, spoglie, reliquie, variamente replicate e sparse qui e là per il mondo, o piuttosto confidiamo in testimonianze di fatti prodigiosi, non saprei quanto fededegne. Questo accade quando il messaggio contenuto in quelle testimonianze, ci parla di un personaggio particolarmente carismatico. Il messaggio diviene di capitale importanza per noi in virtù dei valori etici, culturali, spirituali che egli incarna. Siamo disposti allora, a sospendere ogni scetticismo, a moderare l’intransigenza con cui siamo soliti passare ogni cosa al vaglio dell'inconestabile obiettività della ragione. Non era vano a mio parere, l'elogio alla Virtù che gli antichi intesero celebrare nel culto di Ercole, orientato alla Luce e al Sommo Bene qual è raffigurato dall'Alberti con un Sole raggiante nel divino spartito delle sue architetture sacre. Confesso d'essermi ritrovato al ritorno dal mio viaggio, come Polifilo ebbro delle beatitudini contemplate in sogno, convertito assieme all'amata Polia all'antica religione ispirata alle incontrastabili forze della Natura, alla linfa feconda con la quale la Divina Madre Venere pervade il mondo, ai numinosi astri del pantheon delle divinità dai molti nomi, che tornano ad affacciarsi ancor oggi, magari anche in sogno, perché no, per risvegliare i sonnecchianti archetipi che albergano nell'animo di ognuno.


















Sebastiano Marsili, Atalanta e Ippomene Studiolo di Francesco I – Palazzo Vecchio (Firenze)

la dea Cibele al Museo Archeologico di Napoli (dal Palazzo Farnese alla Villa della Farnesina)






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