Theriaké Anno III n. 28 Luglio - Agosto 2020
Theriaké [online]: ISSN 2724-0509
RIVISTA BIMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE GIOVANI FARMACISTI DI AGRIGENTO
IL RUOLO DELLA SCIENZA NELLA SOCIETÀ di Margherita Venturi e Vincenzo Balzani
COMPOSIZIONE E PROPRIETÀ DELLE MORE E DELLE FOGLIE DI ALCUNE SPECIE DI GELSO (MORUS SPP.) di Ignazio Nocera
IL RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO DI CARAVAGGIO di Rodolfo Papa
LA MORTE SUL CAMPO DELLA BATTAGLIA DI HIMERA di Pinella Laudani
RELIGIONE E TERRITORIO Viva Santa Rosalia e Palermo di Rossana M. Salerno
LE EPIDEMIE NELLA STORIA /2 La peste di Giusi Sanci
Sommario
4 Scienza & Società
IL RUOLO DELLA SCIENZA NELLA SOCIETÀ
54 Apotheca & Storia
LE EPIDEMIE NELLA STORIA /2 La peste
10 Fitoterapia & Nutrizione
COMPOSIZIONE E PROPRIETÀ DELLE MORE E DELLE FOGLIE DI ALCUNE SPECIE DI GELSO (MORUS SPP.)
22 Delle Arti IL RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO DI CARAVAGGIO
30 Cultura
LA MORTE SUL CAMPO DELLA BATTAGLIA DI HIMERA
38 Cultura
RELIGIONE E TERRITORIO
Viva Santa Rosalia e Palermo
Responsabile della redazione e del progetto gra1ico: Ignazio Nocera Redazione: Valeria Ciotta, Elisa Drago, Christian Intorre, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Carmen Naccarato, Silvia Nocera, Giusi Sanci. Contatti: theriake@email.it Theriaké via Giovanni XXIII 90/92, 92100 Agrigento (AG). In copertina: Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il riposo durante la fuga in Egitto. 1597, Galleria Doria Pamphilj, Roma. Questo numero è stato chiuso in redazione l’ 11 – 8 – 2020
Collaboratori:
Pasquale Alba, Giuseppina Amato, Carmelo Baio, Francisco J. Ballesta, Vincenzo Balzani, Francesca Baratta, Renzo Belli, Irina Bembel, Paolo Berretta, Elisabetta Bolzan, Paolo Bongiorno, Samuela Boni, C. V. Giovanni Maria Bruno, Paola Brusa, Lorenzo Camarda, Fabio Caradonna, Matteo Collura, Alex Cremonesi, Salvatore Crisafulli, Fausto D'Alessandro, Gabriella Daporto, Gero De Marco, Irene De Pellegrini, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù, Gaetano Di Lascio, Danila Di Majo, Claudio Distefano, Vita Di Stefano, Luca Matteo Galliano, Fonso Genchi, Carla Gentile, Laura Gerli, Mario Giuffrida, Andrew Gould, Giuliano Guzzo, Ylenia Ingrasciotta, Maria Beatrice Iozzino, Valentina Isgrò, Pinella Laudani, Anastasia Valentina Liga, Ciro Lomonte, Roberta Lupoli, Irene Luzio, Erika Mallarini, Diego Mammo Zagarella, Giuseppe Mannino, Massimo Martino, Giovanni Noto, Roberta Pacicici, Roberta Palumbo, Rodolfo Papa, Marco Parente, Fabio Persano, Simona Pichini, Irene Pignata, Annalisa Pitino, Valentina Pitruzzella, Renzo Puccetti, Carlo Ranaudo, Lorenzo Ravetto Enri, Salvatore Sciacca, Luigi Sciangula, Alfredo Silvano, Gianluca Tricirò, Emidia Vagnoni, Elena Vecchioni, Fabio Venturella, Margherita Venturi, Fabrizio G. Verruso, Aldo Rocco Vitale, Diego Vitello.
In questo numero: Vincenzo Balzani, Pinella Laudani, Ignazio Nocera, Rodolfo Papa, Rossana M. Salerno, Giusi Sanci, Margherita Venturi.
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Architettura in Farmacia
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PRODUZIONE
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Scienza & Società
IL RUOLO DELLA SCIENZA NELLA SOCIETÀ Margherita Venturi* e Vincenzo Balzani*
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on c’è aspetto del vivere civile che non sia in qualche modo connesso alla scienza e ai suoi progressi. Si potrebbero scrivere molte pagine sulle relazioni della scienza con la politica, il potere, la democrazia, la salute, l’educazione, l’etica, la fede, la letteratura, l’arte e discutere sul rapporto fra scienza e tecnologia e fra scienza e <iloso<ia, oppure esaminare come e quando è iniziata la scienza, come e dove si è sviluppata e dove ci porterà. Ovviamente ciò non è possibile in un breve contributo per cui ci siamo limitati a descrivere le caratteristiche fondamentali della scienza e della ricerca scienti<ica e come queste vengono percepite dal cittadino comune. SCIENZA E RICERCA SCIENTIFICA La scienza è un’attività umana che mira a conoscere le leggi della natura e ad usare la conoscenza acquisita per cambiare il mondo. Infatti, gli scienziati lavorano su due versanti: quello naturale e quello arti<iciale, quello delle “scoperte” e quello delle “invenzioni”; si scopre qualcosa che prima non si sapeva (ad esempio, si scopre il modo in cui l’energia solare viene convertita in energia chimica nel processo di fotosintesi delle piante) e si inventa qualcosa che prima non c’era (ad esempio, si inventa il modo di convertire la stessa energia solare in energia elettrica mediante celle fotovoltaiche). Figura 1. Odisseo e Leucotea. Illustrazione del XIX sec. Questo lavoro viene sinteticamente chiamato ricerca scienti+ica che, quindi, è il mezzo più importante che Gli scienziati, pertanto, possono avere una duplice abbiamo per conoscere “come” è fatto il mondo e, al veste: esploratori della natura e/o inventori t e m p o s t e s s o , u n o dell’arti<iciale. strumento potentissimo La scienza è l’attività umana che usa la Q u a n d o c o m i n c i ò a per cambiare il mondo. Il svilupparsi la scienza, gli ricerca per produrre conoscenza progressivo cambiamento scienziati erano pochi ed del mondo si attua tramite e r a n o q u a s i t u t t i l a t e c n o l o g i a , c h e è «[…] fatti non foste a viver come bruti, esploratori; poi, con il l ’ a p p l i c a z i o n e d e l l e passare del tempo, il loro scoperte scienti<iche per ma per seguir virtute e canoscenza» n u m e r o è f o r t e m e n t e Dante Alighieri, Inferno, canto XXVI, 119-120 cresciuto, l’esplorazione ottenere “cose” nuove, dove “cose” sta per tutto quello d e l l a n a t u ra h a fa t t o di arti<iciale che è sotto i nostri occhi ogni giorno, progressi giganteschi (pur essendo tutt’altro che dalla televisione al computer, dai farmaci alle materie <inita) e l’interesse della ricerca si è spostato sempre plastiche, dagli aerei alle centrali nucleari, ecc. più dal versante delle scoperte a quello delle
*Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” - Università di Bologna
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Scienza & Società invenzioni. Come conseguenza, con il passare degli anni, anche il lavoro degli scienziati è profondamente cambiato. Quando sorsero le prime università, le conoscenze scienti<iche erano molto limitate e ogni scienziato conosceva praticamente tutto quello che era conosciuto. Poi, grazie a nuovi studi e a nuove scoperte, il campo della conoscenza si è allargato e c’è stata una differenziazione della scienza in varie branche, cosa che continua ancora oggi in modo sempre più spinto. Per scoprire qualcosa di nuovo bisogna, quindi, operare ai con<ini fra quello che si conosce e quello che non si conosce: oggi questi con<ini sono sempre più estesi e, allora, uno scienziato deve essere sempre più specializzato, cosa che, se da una parte è ormai inevitabile, dall’altra è un pericolo perché può portare alla frammentazione del sapere e a dif<icoltà di dialogo fra le culture. Figura 2. Il carosello della ricerca scientifica. I L M O D O D I O P E R A R E D E L L A R I C E RC A SCIENTIFICA La ricerca scienti<ica nasce dalla curiosità perché lo più scendere perché, usando le parole di scienziato, che sa di non sapere, è una persona Sant’Agostino, anche se riferite ad un contesto curiosa, molto curiosa. Povero e stupito davanti alla diverso, «Cercano con il desiderio di trovare e complessità e alla bellezza del mondo che lo trovano con il desiderio di cercare ancora». circonda, per soddisfare la sua curiosità si fa delle La natura del sapere scientiBico domande, che poi rivolge alla natura sotto forma di In generale si può de<inire il sapere scienti<ico come esperimenti. Naturalmente devono essere domande un sapere rigoroso e oggettivo, perché basato su intelligenti, cioè esperimenti ideati con fantasia, osservazioni ed esperimenti; si tratta, però, di un preparati con cura ed eseguiti con rigore. Più sapere non dogmatico, perché le ipotesi o le teorie intelligente è la domanda più importante è la scienti<iche, particolarmente nei campi più risposta che dà la natura, tanto è vero che, secondo recentemente esplorati e nel caso dei fenomeni più l’opinione di qualche scienziato, le grandi scoperte complessi, non hanno un valore assoluto, della scienza saranno indiscutibile. Le teorie, risposte a domande che infatti, vengono spesso ancora non siamo in «Cerchiamo con il desiderio di trovare perfezionate e, a volte, grado di formulare. Fatto e troviamo con il desiderio di cercare ancora» completamente smentite l ’ e s p e r i m e n t o , l o Sant’ Agostino da nuovi esperimenti, scienziato si mette in capaci di stravolgere il ascolto di quello che la quadro delle conoscenze natura vuole comunicargli; si tratta di un ascolto acquisite. Ciò è avvenuto alla <ine del 1800: quando si appassionato, quasi da innamorato, anche perché, pensava che la <isica avesse raggiunto una sua come ha detto Albert Szent-Gyorgyi, Premio Nobel completa razionalizzazione, nacquero la meccanica per la Medicina nel 1937: «Ogni scoperta consiste nel quantistica, la teoria della relatività di Einstein e vedere ciò che tutti hanno visto e nel pensare ciò a altre idee che hanno radicalmente cambiato il modo cui nessuno ha mai pensato». Ascoltando le risposte di pensare, anche al di fuori del campo della scienza. della natura, cioè analizzando il risultato Le verità scienti<iche, quindi, sono sempre in divenire dell’esperimento, lo scienziato impara qualcosa che e, allora, avere “dubbi” deve essere una caratteristica prima non sapeva e la consapevolezza di aver fondamentale del ricercatore, anzi si può dire che il scoperto “cose nuove” genera meraviglia e stupore dubbio è davvero la regola aurea del ricercatore. da cui nascono altra curiosità; allora, lo scienziato riparte facendo nuovi esperimenti, che danno nuovi L’errore per progredire risultati, che creano nuova conoscenza e nuovo La ricerca scienti<ica è un’attività umana e, pertanto, stupore. Il sapere scienti<ico, quindi, si costruisce è possibile che chi fa ricerca commetta errori: errori attraverso questo carosello di domande e risposte concettuali, che hanno a che fare con l’ideazione non innescato dalla curiosità, una specie di giostra c o r r e t t a d e l l ’ e s p e r i m e n t o , l a s c e l t a inebriante dalla quale gli scienziati non vorrebbero dell’apparecchiatura non idonea o, addirittura,
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Scienza & Società scienti<ica per essere pubblicati e resi noti a tutta la comunità scienti<ica. Oggi le riviste scienti<iche sono decine o centinaia per ogni campo di ricerca. Quelle più quali<icate (Nature, Science, PNAS e altre, tutte in lingua inglese, perché l’inglese è l’unica lingua usata nella scienza che conta), quando ricevono un lavoro per la pubblicazione, lo sottopongono in via riservata al giudizio di esperti in base al quale l’articolo viene pubblicato o respinto. Questo metodo, pur con alcuni difetti, garantisce che i risultati più importanti pubblicati in campo scienti<ico siano validi e veri. Altre riviste meno quali<icate, invece, pubblicano subito e senza alcuna valutazione i lavori ricevuti, cosa che lascia qualche dubbio sulla loro validità. Di tanto in tanto accade che vengano pubblicati risultati inattesi e formulate nuove teorie: ecco allora che, se si tratta di una pubblicazione in riviste quali<icate, altri gruppi di ricerca si mettono ad Figura 3. Dal 1650 al 1960, cioè in oltre tre secoli, in tutto il mondo sono stati pubblicati indagare nella stessa area. Questi due milioni di lavori; attualmente lo stesso numero viene pubblicato ogni anno. nuovi studi servono per confermare Fonte: http://scienceisbeauty.tumblr.com o smentire il clamoroso risultato iniziale: se è confermato, quel risultato diventa il punto di partenza per altre più l’errata interpretazione dei risultati, ecc., ma anche importanti ricerche, mentre, in caso contrario, viene errori sperimentali, che riguardano la sbagliata considerato il frutto di un errore e viene dimenticato. esecuzione dell’esperimento, la non giusta lettura dei Ma può anche succedere che il risultato clamoroso, dati forniti dalle apparecchiature, il fatto di aver pubblicato su una rivista importante, sia un trascurato l’effetto di impurezze, o di agenti imbroglio portato avanti da ricercatori poco onesti; interferenti (ad esempio, aver svolto alla luce, l’imbroglio viene inevitabilmente smascherato dai anziché al buio, un esperimento in cui sono coinvolte colleghi che tentano di riprodurre il risultato e i sostanze fotosensibili). ricercatori autori della pubblicazione vengono Quindi, l’errore fa parte della +isiologia della scienza; squali<icati per sempre agli occhi della comunità in molti casi è il motore stesso del progresso scienti<ica. Casi di questo genere, purtroppo, si s c i e n t i < i c o , p e rc h é u n r i s u l t a t o “ s t ra n o”, veri<icano sempre meno raramente. potenzialmente sbagliato, richiama l’attenzione di C’è poi da considerare un altro aspetto; come si è altri scienziati che con il loro successivo lavoro non sviluppata in maniera esponenziale la ricerca solo possono correggere l’errore, ma possono anche scienti<ica, così è cresciuto in maniera altrettanto aprire strade di ricerca prima sconosciute. Uno esponenziale il numero delle pubblicazioni scienziato non deve vivere nel “panico dell’errore”, scienti<iche. Per capirlo basta considerare che dal anzi deve considerare l’errore come occasione di 1650 al 1960, cioè in oltre tre secoli, in tutto il ulteriore apprendimento. mondo sono stati pubblicati due milioni di lavori, La pubblicazione dei risultati: non è tutto oro mentre oggi lo stesso numero viene pubblicato ogni quello che riluce anno. Per quanto lo sviluppo scienti<ico e tecnologico Il ricercatore usa i risultati del suo lavoro per sia sempre più rapido, è dif<icile credere che produrre articoli che vengono inviati ad una rivista annualmente vengano fatte due milioni di scoperte che portano ad altrettanti tangibili avanzamenti nel
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Scienza & Società m o n d o s c i e n t i < i c o . L a spiegazione di questa mole di pubblicazioni è forse più verosimilmente da imputarsi alla pressione che subisce ogni ricercatore a pubblicare per avanzare nella carriera o, s e m p l i c e m e n t e , p e r f a r s i conoscere. La conclusione è che nessuno è in grado di leggere tutto ciò che viene pubblicato, anche solo nella sua ristretta area di lavoro, e, in questo modo, fra i molti risultati inutili magari perde quelli importanti per la sua ricerca. In<ine, un ulteriore aspetto che r i g u a rd a l ’ a t t u a l e r i c e rc a scienti<ica è quello delle mega- Figura 4. John Horgan, The end of science. John Maddox, What remains to be discovered. collaborazioni che sono tipiche della <isica nucleare, dove si fanno grandi ha la coscienza; quale è, ammesso che ci sia, la esperimenti con strumentazioni so<isticatissime e relazione fra l’universo e l’uomo. costosissime, come ad esempio l’acceleratore di La maggioranza degli scienziati non crede affatto che particelle (Large Hadron Collider) del CERN di il momento dell’aver scoperto tutto sia vicino; crede, Ginevra. Gli scienziati del CERN, <isici, ingegneri, anzi, che questo momento non si raggiungerà mai, chimici, informatici, tecnici di vario tipo, hanno perché chi opera nella ricerca scienti<ica sa che, di annunciato di aver <inalmente osservato l’elusivo regola, una scoperta, o anche semplicemente i bosone di Higgs in due pubblicazioni che vedono ben risultati di un esperimento importante, pongono più 20 pagine occupate dai 5000 autori e dalle istituzioni problemi di quanti non ne risolvano. In conclusione, coinvolte e solo 10 pagine di risultati scienti<ici. si conosce molto, sempre di più, ma sembra Pubblicare assieme ha l’ovvia conseguenza che la verosimile che non si conoscerà mai “tutto”, anzi più produttività aumenta, ma ci si può giustamente si conosce, più aumentano le cose che non si domandare: quanto quell’autore ha contribuito conoscono. Questo concetto è stato espresso in realmente alla scoperta? Quanto importante è stato il maniera mirabile da Joseph Priestley, il primo suo coinvolgimento? scienziato che ha indagato sulla fotosintesi: «Più grande è il cerchio di luce, più grande è il margine LA RICERCA SCIENTIFICA FINIRÀ? dell’oscurità entro cui il cerchio è con<inato. Ma ciò L’aumento delle pubblicazioni scienti<iche e, quindi, nonostante, più luce facciamo, più grati dobbiamo delle scoperte (immaginando che ogni lavoro riporti essere, perché ciò signi<ica che abbiamo un maggior un risultato importante) pone inevitabilmente la orizzonte da contemplare. Col tempo i con<ini della domanda: +inirà la ricerca scienti+ica prima che +inisca luce si estenderanno ancor più; e dato che la Natura il mondo? Cioè, si arriverà, divina è in<inita, possiamo prima o poi, a scoprire «[…] più luce facciamo, più grati dobbiamo attenderci un progresso t u t t o c i ò c h e c ’ è d a senza <ine nelle nostre essere, perché ciò significa che abbiamo un indagini su di essa: una scoprire? Questo tema è stato molto dibattuto da maggior orizzonte da contemplare» prospettiva sublime e q u a n d o n e l 1 9 9 8 è Joseph Priestley, Natural Philosophy, 1791 insieme gloriosa». Lo apparso un libro di John stesso concetto, anche se Horgan [1] che parla c o n u n a f o r t e proprio della <ine della scienza, seguito dalla connotazione sarcastica, si ritrova in una frase di pubblicazione, nello stesso anno, di un libro di John George Bernard Show: «La scienza ha sempre torto Maddox [2], che è in qualche modo la risposta al libro perché non risolve mai un problema senza sollevarne precedente; riporta infatti un lungo elenco delle cose altri dieci». Ovviamente, chi lavora in ambito che ancora non sappiamo: cosa sono realmente lo scienti<ico dissente totalmente dalla prima spazio, il tempo e la materia; come è iniziato e come affermazione, mentre la motivazione è perfettamente <inirà l’universo; come è iniziata la vita sulla Terra; condivisibile: a dispetto di Bernard Show, aprire come funziona il cervello; cosa è la mente; che basi nuovi orizzonti e far nascere nuove domande
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Scienza & Società rappresentano proprio gli aspetti più belli della scienza. È NECESSARIO PORRE DEI LIMITI ALLA RICERCA SCIENTIFICA? Il grande sviluppo della ricerca scienti<ica e il desiderio degli scienziati di estendere sempre più la conoscenza fanno nascere la seguente domanda: è opportuno, o addirittura necessario porre limiti alla ricerca scienti+ica? Se si considera che l’obiettivo della ricerca scienti<ica è “scoprire tutte le verità”, non sembra giusto porre dei limiti a questo pregevole obiettivo. I limiti, allora, non vanno posti alla ricerca scienti<ica, ma all’uso non etico dei suoi risultati, cioè alla tecnologia con <ini non bene<ici. Il problema, però, è più complesso di quanto appare perché la scienza non è solo sapere, è anche agire. Generalmente la ricerca scienti<ica viene suddivisa in “pura” ed “applicata” e si capisce subito che quando si dice “applicata” si deve anche speci<icare “a che cosa”. La ricerca applicata non è ancora tecnologia, è ricerca, è sapere che si pone dei “<ini”, è, cioè, sapere <inalizzato. Sulla ricerca applicata c’è quindi un giudizio morale che riguarda i <ini. Si potrebbe obiettare che questo problema non sussiste nel caso della ricerca pura, ma la ricerca veramente pura è molto rara: chi fa ricerca inevitabilmente pensa a sue future applicazioni. Per quanto riguarda l’ambito medico e le biotecnologie, c’è poi il problema legato a “su cosa/ chi si agisce”, perché ogni ricerca volta a studiare come funziona la vita implica una qualche manipolazione della vita stessa. Per sapere se un farmaco è ef<icace, bisogna giustamente provarlo, ma occorre domandarsi <ino a che punto e con quali modalità. È ovvio che ci vorranno delle limitazioni: non è certamente lecito provarlo su persone del terzo mondo e a loro insaputa, come hanno fatto certe multinazionali. C’è anche il problema dell’uso delle “risorse”, perché la ricerca scienti<ica costa, e costa molto. Anche quella de<inita “pura” costa molto e per capirlo bastano questi due semplici esempi: la ricerca nel campo della matematica non si fa più con carta e penna, oggi si usano calcolatori elettronici molto potenti e costosi; per portare l’uomo su Marte entro il 2025 (cosa che viene spacciata come ricerca pura, mentre è strettamente connessa ad applicazioni militari) si stima siano necessari circa 60 miliardi di dollari. I <inanziamenti che una nazione può dedicare alla ricerca sono ovviamente limitati, per cui se si privilegiano gli studi nel campo della <isica delle alte energie (vedi l’acceleratore del CERN), o quelli dell’Agenzia Spaziale Europea non si possono <inanziare altre ricerche, per esempio quelle per la cura dei tumori, o per combattere il cambiamento
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Figura 5. Leeds, Gran Bretagna. Statua di Joseph Priestley (Bristall 1733, Northumberland 1804), chimico, filosofo e teologo. Foto: Mtaylor848 - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https:// commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6512554
climatico. Anche questo è un problema etico: bisogna fare delle scelte e, quindi, porre delle limitazioni. In<ine, c’è il problema delle “conseguenze”. Chi fa ricerca applicata deve valutare molto bene le conseguenze, anche a lungo termine, dei suoi studi e porsi il problema di quello che ne potrebbe derivare. Da qui nasce un altro grosso problema: quando si fa ricerca scienti<ica, non si sa cosa in realtà si scoprirà. In conclusione, se non è lecito limitare la ricerca scienti<ica nel suo aspetto di “sapere”, è invece lecito limitarla nel suo aspetto di “agire” e, ancor più, limitare la tecnologia, che sostanzialmente è solo “agire”. Sarebbe ancor meglio se la scienza e la tecnologia fossero non limitate, ma piuttosto governate perché, se usate bene, permettono all’umanità di progredire in maniera formidabile. Sappiamo, però, che è sempre dif<icile governare e governare la scienza e la tecnologia lo è ancor di più, perché si tratta di un campo in continua e rapidissima espansione, perché il “controllo” dovrebbe essere su scala mondiale e perché il limite fra lecito e illecito non è ben de<inito e neppure ben de<inibile.
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Scienza & Società LA RICERCA SCIENTIFICA E IL CITTADINO: SPERANZE E TIMORI La gente vede la ricerca scienti<ica in modo ambiguo, con sentimenti che vanno dalle più grandi speranze ai più profondi timori. Le speranze riguardano la possibilità che essa possa risolvere i problemi che af<liggono il mondo e cioè che ci permetta di avere (i) cibo abbondante, o almeno suf<iciente, per tutta la popolazione del mondo (ii) medicine per vincere tutte le malattie, per vivere meglio e più a lungo, (iii) energia per alleviare la fatica, per vivere in maniera più confortevole e, in<ine, (iv) che ci difenda dalle catastro<i naturali e che salvaguardi l’ambiente e la bellezza del creato. Dall’altro lato ci sono i timori che nascono dalla convinzione che la ricerca scienti<ica nelle mani dell'uomo possa essere un pericolo. Le paure riguardano il cibo (modi<icazioni genetiche), la salute (eugenetica, clonazione), l’energia (la scoperta dell'energia atomica ci ha portato bombe più potenti, ma scarso aiuto nel fornire energia per uso civile) e l’ambiente (inquinamento crescente, effetto serra, ecc.). Ci sono poi altri problemi, forse più subdoli; ad esempio, ci accorgiamo ogni giorno di più che la televisione, oltre ad essere un grande mezzo di comunicazione, è anche uno strumento potentissimo per manipolare le opinioni e per imporre alla gente stili di vita impropri. Nel nostro mondo occidentale, prevalgono forse i timori sulle speranze. Sembra che la gente non si renda conto dei bene<ici che ha portato la ricerca scienti<ica e in particolare la chimica. A questo proposito basta pensare a come sarebbe più dif<icile la vita se non ci fossero i farmaci (ad esempio, quelli che ci tolgono il mal di denti), le materie plastiche, i fertilizzanti, l’acciaio, il cemento, il vetro, tutte cose prodotte dall’industria chimica. Ma veniamo ora ad un esempio molto recente come spunto per fare qualche ulteriore ri<lessione sull’atteggiamento ambiguo del cittadino nei confronti della scienza e della ricerca scienti<ica. L’attuale pandemia COVID-19 sembra aver risvegliato l’interesse delle persone per gli scienziati che, prima erano tenuti alla larga e che ora, invece, vengono continuamente blanditi e interpellati. Anche in questo caso, però, la comunità scienti<ica non viene capita <ino in fondo. Infatti, il cittadino è disorientato dalla diversità di opinioni espresse dagli scienziati e non riesce a comprendere che è proprio questa diversità il motore stesso della conoscenza. I con<litti e i contrasti, anche duri, a cui abbiamo assistito in questi mesi tra vari scienziati, rappresentano quanto abitualmente avviene durante le conferenze, i seminari e le normali interazioni tra singoli e gruppi di ricerca. Agli osservatori esterni tutto ciò può sembrare strano, ma la critica ha un ruolo centrale nell’avanzamento della conoscenza. Certezze rapide
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e incrollabili non sono proprie della vera scienza e, allora, il cittadino è deluso; non riesce a comprendere il travaglio interiore degli scienziati alla ricerca di una soluzione, o meglio di più soluzioni, che giustamente vengono presentate come possibili e non certe, perché le strade da battere possono essere diverse e alcune potrebbero essere senza uscita. È emblematico che in questo momento abbia attirato l’attenzione dei mezzi di informazione un lavoro apparso su un sito on-line in cui gli autori fanno subodorare un intervento umano nella creazione del Corona virus. Questa è stata proprio la risposta che il cittadino voleva ascoltare, fondamentalmente per due motivi. Il primo è che così ha potuto incolpare ancora una volta gli scienziati e la ricerca scienti<ica che complottano contro la società; il fatto poi che gli autori abbiano ritirato il lavoro, non è stato visto come chiara indicazione della sua non af<idabilità scienti<ica, ma come un complotto volto alla copertura della “vera verità”. Il secondo motivo è che il cittadino, accusando scienza e scienziati, si è sentito sollevato dalla responsabilità che, invece, ciascuno di noi ha per quanto è avvenuto; infatti studi scienti<ici seri dicono che il virus è passato da animali selvatici all’uomo a causa del nostro attuale e dissennato comportamento nei confronti del pianeta: esagerato uso delle risorse, degradazione dell’ambiente, crescente consumo di prodotti animali, esagerata antropizzazione del suolo, perdita di biodiversità e ricerca di cibo selvatico da parte delle popolazioni più povere. I virus sono in qualche modo “profughi” della distruzione ambientale causata dalla nostra aggressività. Stavano bene nelle foreste e nei corpi di alcuni animali, noi gli abbiamo offerto l’occasione di moltiplicarsi. Quindi il COVID-19 ha messo in evidenza ancora una volta quanto sia importante fornire al cittadino le basi scienti<iche che lo aiutino a capire come funziona il mondo, a comprendere il lavoro degli scienziati e a comportarsi in maniera responsabile nei confronti del pianeta e delle future generazioni, ma ha anche messo in evidenza quanto sia importante che la divulgazione scienti<ica sia seria, senza trionfalismi e al tempo stesso senza eccessivi allarmismi. In conclusione, è necessario investire in maniera massiccia ed ef<icace nella scuola, per formare cittadini preparati e bravi divulgatori, e nella ricerca, per avere scienziati sempre più in grado di affrontare le s<ide che ci riserverà il futuro. Bibliografia 1. Horgan J., The end of science: facing the limits of knowledge in the twilight of the scienti+ic age. Abacus, UK, 1998. 2. Maddox, J.R., What remains to be discovered: mapping the secrets of the universe, the origins of life, and the future of the human race. Free Press, USA, 1998.
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Fitoterapia & Nutrizione
COMPOSIZIONE E PROPRIETÀ DELLE MORE E DELLE FOGLIE DI ALCUNE SPECIE DI GELSO (MORUS SPP.) Ignazio Nocera*
Figura 1. Morus alba (gelso bianco), particolare del sorosio in diverse fasi di maturazione. Foto dal web.
G
li alberi di gelso (Morus spp.) sono originari dell’Asia e diffusi in Europa, Nord America, Sud America e Africa [1]. La storia della coltivazione di questi alberi si intreccia con la sericoltura. Il baco da seta (Bombyx mori) si nutre infatti esclusivamente di foglie di gelso; pertanto la produzione della seta ha comportato per millenni anche la diffusione e la coltivazione del gelso. La tecnica di produzione di questo Filato pregiato venne elaborata in Cina migliaia di anni fa, e per molto tempo riuscì ad essere tenuta segreta.
Carpito il segreto, la produzione della seta comincia lentamente ad estendersi in Occidente, soprattutto grazie ai Bizantini. In Sicilia la sericoltura era attiva già prima della dominazione islamica, probabilmente grazie ai monaci basiliani. In seguito Ruggero II d’Altavilla fece arrivare in Sicilia dalla Grecia tintori e tessitori, e la sericoltura in epoca Normanna conobbe un momento di notevole espansione, destinata a continuare — pressoché ininterrottamente — Fino alla Fine del Settecento. L’utilizzo di questa risorsa produttiva modiFicò il
*Farmacista
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Fitoterapia & Nutrizione
Figura 2. Mantello di Ruggero II, detto anche “mantella d’incoronazione”. Manifattura siciliana delle officine tessili di Palazzo Reale, Palermo (1133-34). Seta tinta di rosso vermiglio. Dopo l’asportazione dal tesoro reale da parte di Enrico VI, è stato indossato dagli imperatori del Sacro Romano Impero durante la cerimonia di incoronazione. Kunsthistorisches Museum, Vienna. Foto dal web.
paesaggio siciliano con la coltivazione del gelso, che si adattò benissimo, soprattutto nel nord-est dell’isola, da Termini Imerese Fino ai territorî etnei, attraverso le Madonie e i Nebrodi [2]. Il manufatto in seta del periodo normanno, che rappresenta verosimilmente l’apice della sartoria siciliana dell’epoca, è il mantello di re Ruggero II, chiamato anche “mantella d’incoronazione”, perché indossato dagli imperatori del Sacro Romano Impero durante la cerimonia di incoronazione. Realizzato nel “tiraz” — il laboratorio di tessitura voluto da Ruggero a Palazzo Reale — si trova oggi a Vienna presso il Kunsthistorisches Museum [3]. L’iscrizione sul bordo in caratteri cuFici tramanda con precisione l’origine del manto:
«[…] per quali vie dirette o tortuosi sentieri le opere eseguite nel laboratorio del Palazzo Reale di Palermo sono pervenute nei Musei chiesastici a Bamberg, a Bressanone, a Darmstadt o nei Musei di Vienna, di Monaco etc. è difFicile attestare. Le più dirette sono quelle che dal Palazzo Reale portarono gli oggetti dentro le tombe dei Re a Palermo, Monreale, Cefalù e quella che dal tesoro e dal guardaroba di Ruggero II, di Guglielmo II, delle Regine, delle Dame di corte e poi dalla stanza da letto di Tancredi e dalla tomba dello stesso Tancredi percorsero per arrivare a Trifels per volontà di Enrico VI onde formare nella piccola cittadina di provincia un tesoro simile a quello del Palazzo Reale di Palermo» [5].
«Lavoro eseguito nella Fiorente ofFicina reale, con felicità e onore, impegno e perfezione, possanza ed efFicienza, gradimento e buona sorte, generosità e sublimità, gloria e bellezza, compimento di desideri e speranze, giorni e notti propizie, senza cessazione né rimozione, con onore e cura, vigilanza e difesa, prosperità e integrità, trionfo e capacità, nella Capitale di Sicilia, l’anno 528» [4].
Fino agli anni ottanta del Settecento la seta grezza era il prodotto siciliano più esportato dopo il grano [6]. Si deve soprattutto ai mercanti genovesi l’esportazione della seta siciliana, molto apprezzata dal mercato europeo. Nell’Ottocento si assiste al declino della sericoltura in Sicilia ed al deFinitivo abbandono, principalmente a causa della concorrenza del nord Italia. Osserva De Welz:
Il mantello di re Ruggero fu asportato dal tesoro re a l e d i Pa l e r m o e p o r t a t o i n G e r m a n i a dall’imperatore Enrico VI, marito di Costanza d’Altavilla e padre di Federico II. Come annota la studiosa Maria Accascina:
Theriaké
«Un tempo la Sicilia traeva dai suoi gelsi numerosi una prodigiosa quantità di sete. Non riFlettendo che per l’utilità molto sensibile di questo genere essa sarebbe stata, ben presto, sorpresa da una concorrenza, nella quale una più
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Figura 3. Camice. Manifattura delle officine tessili di Palazzo Reale, Palermo (1181). Kunsthistorisches Museum, Vienna. Accanto: ritratto di Francesco II, ultimo imperatore del Sacro Romano Impero, con le insegne imperiali. Foto dal web.
accanita industria le avrebbe tolto il primato, per nulla si è occupata a migliorare le sue sete ed ad offrirle a buon mercato. I Piemontesi, i Genovesi, ed i Lombardi si sono destramente avvisati a farle, ed hanno preso tanto ascendente che quasi tutte le ricerche ad esse sonosi dirette, e la Sicilia è andata pressocché in dimenticanza» [7].
A partire dagli anni cinquanta del Novecento, con l’introduzione dei tessuti sintetici, la sericoltura tradizionale entra in crisi anche nel nord Italia e nel resto d’Europa. Oggi è del tutto abbandonata. Così i gelsi, ormai privi di interesse economico, ornano sporadicamente campi e giardini. Le specie più diffuse in Italia sono Morus alba (gelso bianco) e Morus nigra (gelso nero). In Europa il commercio dell’infruttescenza del gelso occupa una nicchia di mercato poco signiFicativa. In particolare il succo della specie nigra è adoperato in Sicilia per la preparazione di granite e gelati. Nel continente asiatico, soprattutto in Cina e a Taiwan, i frutti di Morus sono invece più diffusamente consumati sia freschi che essiccati, o trasformati in vino, succo di frutta, marmellata e cibo in scatola [8]. In letteratura scientiFica sono presenti numerosi studî relativi alla composizione e all’attività biologica
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delle diverse parti delle piante del genere Morus. Di seguito vengono riportati alcuni dei risultati più recenti, limitatamente alle infruttescenze ed alle foglie delle specie alba, nigra e rubra. Tassonomia Il gelso (Morus spp.) afferisce alla famiglia delle Moraceae. Alcuni autori inseriscono questa famiglia nell’ordine Urticales [9], altri invece, più frequentemente, la collocano nell’ordine Rosales [10] [11]. Il gelso mostra un portamento arboreo; la specie alba (gelso bianco) è un piccolo albero, mentre le specie nigra (gelso nero) e rubra (gelso rosso) possono raggiungere dimensioni considerevoli (15-20 m) [12]. Le foglie sono picciolate, semplici, con margini seghettati, apice acuto e nervature pelose [13].
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Fitoterapia & Nutrizione celtidifolia, M. insignis, M. rubra, M. mesozygia. Composizione del sorosio Il sorosio fresco delle specie alba, nigra e rubra ha un peso che varia da 2 a 4 g [26] [27], e un contenuto di acqua del 70 [28] - 80% [29] circa. L’acidità di nigra e rubra è paragonabile (1,40% e 1,37% rispettivamente), mentre i frutti della specie alba hanno un sapore più dolce, un valore di pH più elevato e quindi un valore di acidità più basso (0,25%) [30]. I carboidrati totali (principalmente glucosio e fruttosio) sono il 13-14% e le proteine 0,96-1,55% [31]. I lipidi rappresentano lo 0,48-0,55% [32], ma in un altro studio vengono riportati valori più elevati: 0.85% (rubra), 0,95% (nigra), 1,10% (alba) [33]; l’acido grasso più abbondante in tutte e tre le specie è l’acido linoleico, seguito dall’acido palmitico, mentre l’acido oleico è stato osservato solo in rubra [34]. Basso è il contenuto di riboFlavina (vitamina B2), 0,088 mg/100 g per alba e Figura 4. Morus nigra (gelso nero). Differenti fasi di maturazione del sorosio. Foto dal 0,040 mg/100 g per nigra; e niacina web. (vitamina B3), 3,10 mg/100 g per alba, La mora di gelso è una particolare infruttescenza 1,60 mg/100 g per nigra [35]. chiamata sorosio [14]. Questo è un insieme di Il contenuto in acido ascorbico (vitamina C) pseudo-drupe che derivano da un’inFiorescenza in osservato da Ercisli e Orhan è di 22,4 mg in alba, 21,8 cui il perianzio dei Fiori diventa succulento [15]. mg in nigra e 19,4 mg in rubra per 100 ml di succo La tassonomia del genere Morus è assai controversa, [36]. anche a causa della sua ampia distribuzione La quantità di minerali presenti non dipende geograFica, e di numerosi ibridi tra le diverse specie soltanto dalla specie, ma è fortemente inFluenzata [16]. La prima classiFicazione di Morus venne proposta da Linneo nel 1753 [17], in seguito Bureau, sulla base delle caratteristiche del pistillo e delle foglie, descrisse cinque specie, diciannove varietà, e tredici sottovarietà [18]. Nel 1917 in Cina, Schneider descrisse una nuova specie, Morus notabilis CK Schneid [19]. In seguito Koidzumi [20] ha classiFicato Morus in 24 specie e una sottospecie, Leroy [21] in 19 specie e Hotta [22] in 35 specie. Invece Zhou e Gilbert [23] hanno descritto 16 specie. Per questo motivo l’International Plant Index [24] riporta per Morus 260 nomi validati. Nel 2015 inFine Zeng e coll. [25] hanno proposto di classiFicare Morus in otto specie identiFicate mediante l’analisi delle sequenze di rRNA: M. alba, M. nigra, M. notabilis, M. serrata, M. Figura 5. Morus rubra. Differenti fasi di maturazione del sorosio. Foto dal web.
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K
Ca
Na
Mg
Fe
Zn
Cu
Mn
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
M. alba
1668
152
60
106
4,2
2,8
0,5
3,8
M. nigra
922
132
59
106
4,2
3,2
0,4
4,2
M. rubra
834
132
61
115
4,5
3,2
0,4
4,0
Ercisli S., Orhan E., Chemical composition of white (Morus alba), red (Morus rubra) and black (Morus nigra) mulberry fruits. Food Chem, 2007;3:1380-1384.
K
Ca
Na
Mg
Fe
Zn
Ni
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
(mg/100g)
M. alba
1731 ± 11,50
576 ± 7,37
280 ± 3,50
240 ± 3,90
73,0 ± 2,60
50,20 ± 1,93
2,20 ± 0,15
M. nigra
1270 ± 9,36
470 ± 6,95
272 ± 5,32
240 ± 3,51
77,6 ± 1,98
59,20 ± 2,25
1,60 ± 0,11
Imran M., Khan H., Shah M., Khan R., and Khan F., Chemical composition and antioxidant activity of certain Morus species. J Zhejiang Univ Sci B. 2010 Dec; 11(12): 973-980. Tabella 1. Composizione minerale del sorosio, confronto dei risultati ottenuti da Ercisli e Orhan (in alto) con i risultati ottenuti da Imran e coll. (in basso). Nello studio di Imran e coll. non viene considerata la specie rubra.
dalle condizioni di crescita della pianta, dalle condizioni geograFiche e climatiche, e dalla composizione del suolo [37]. In Tabella 1 vengono confrontati, a titolo di esempio, lo studio di Ercisli e Orhan con lo studio di Imran e coll.; dal confronto emerge la variabilità ponderale della composizione, e la netta prevalenza del potassio in tuti i casi. Il dato più interessante è rappresentato dalla notevole presenza di fenoli e Flavonoidi. La quantità totale di fenoli, calcolata in milligrammi di acido gallico equivalente, è di 181 mg GAE/100 g in M. alba, mentre è sensibilmente maggiore in rubra (1035 mg GAE/100 g) e in nigra (1422 mg GAE/100 g) [38]. La quantità totale di Flavonoidi, calcolata in milligrammi di quercetina equivalente, è di 29 mg
QE/100 g in M. alba, e, anche in questo caso, risulta essere assai più abbondante in rubra (219 mg QE/ 100 g) e in nigra (276 mg QE/100 g) [39]. Da un punto di vista qualitativo i composti (poli)fenolici presenti nei frutti di gelso sono acido g a l l i c o , a c i d o p r o t o c a t e c u i c o , c a t e c h i n a , epigallocatechingallato, acido caffeico, epicatechina, acido p-coumarico, rutina, acido ferulico, gossipina, esperidina, resveratrolo, quercetina, narigenina, idrossiFlavina [40]. In M. rubra sono state isolate le seguenti antocianidine: cianidina-3-glucoside, cianidina-3rutinoside, petunidina-3-glucoside, petunidina-3rutinoside e malvidina-3-rutinoside [41].
Acidi fenolici acidi idrossibenzoici acidi idrossicinnamici
Derivati dello stilbene
acido gallico
acido caffeico
resveratrolo
acido protocatecuico
acido p-coumarico acido ferulico
catechine
Flavonoidi Flavonoli Flavoni Flavanoni antociani
catechina
rutina
epicatechina
quercetina
epigallocatechingallato
gossipina
esperidina
cianidina-3glucoside
petunidina-3rutinoside
naringenina
cianidina-3rutinoside
malvidina-3rutinoside
petunidina-3glucoside
Tabella 2. Composti (poli)fenolici presenti nel sorosio.
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Cenere
Umidità
Lipidi
Fibre
Proteine
M. alba
8,91 ± 0,51
5,3 ± 0,2
6,57 ± 0,23
10,11 ± 0,37
18,41 ± 1,36
M. nigra
9,12 ± 0,41
6,7 ± 0,3
5,13 ± 0,19
12,32 ± 1,18
19,76 ± 2,12
M. rubra
11,73 ± 1,09
4,5 ± 0,2
4,24 ± 0,11
8,17 ± 0,89
24,63 ± 0,86
Tabella 3. Composizione della foglia. Iqbal S., Younas U., Sirajuddin, Wei Chan K., Sarfraz R.A., and Uddin Md.K., Proximate Composition and Antioxidant Potential of Leaves from Three Varieties of Mulberry (Morus sp.): A Comparative Study. Int J Mol Sci, 2012; 13(6): 6651-6664.
Contrariamente a quanto detto per la composizione minerale, la quantità e il tipo di fenoli e Flavonoidi dipende principalmente da fattori genetici [42]. Nella specie alba fenoli e Flavonoidi si concentrano soltanto negli strati più esterni del sorosio, mentre in nigra e rubra si concentrano uniformemente in tutte le cellule delle pseudo-drupe; ciò spiega la maggiore presenza di queste sostanze nei frutti delle ultime due specie e il sapore più aspro ed astringente di questi [43]. La concentrazione di fenoli, Flavonoidi e antociani è massima nel periodo di piena maturità del frutto [44]. Composizione della foglia La composizione delle foglie delle tre specie di Morus qui considerate è riassunta in Tabella 3 [45]. Anche nelle foglie si riscontra la presenza di fenoli e Flavonoidi. Il contenuto totale di fenoli stimato da Iqbal e coll. è di circa 16 mg GAE/g per M. alba, 24 mg GAE/g per M. nigra e 20 mg GAE/g per M. rubra [46]. Mentre il contenuto in Flavonoidi espresso in mg di rutina equivalente per g è risultato essere di 26,4 per M. alba, circa 29 per M. nigra, e 31,2 per M. rubra [47]. Il contenuto più elevato di acido ascorbico è stato trovato nelle foglie di M. alba, seguito da M. nigra, mentre il contenuto minimo è stato osservato in M. rubra [48]. Sánchez-Salcedo e coll, hanno identiFicato 4 composti fenolici nelle foglie di alcuni cloni di M. alba e M. nigra: acido neoclorogenico (3-CQA), acido
clorogenico (5-CQA), acido criptoclorogenico (4CQA), e acido clorogenico isomero (1-CQA); e 10 c o m p o s t i p o l i f e n o l i c i : q u e r c e t i n - 3 , 7 - O - β glucopiranoside, quercetin-3-O-β-glucopiranosil(1⟶6)-β-glucopiranoside, quercetin-rutinoside isomero, kampferol-3,7-glucopiranoside, quercetinrutinoside (rutina), quercetin-3-O-glucoside, quercetin-3-O-(6-malonil)-β-glucopiranoside, quercetin-3-O-6”-O-acetil-β-glucopiranoside, kampferol-3-O-6”-O-acetil-β-glucopiranoside, kampferol-3-O-(6-malonil)glucoside [49]. Attività biologica L’elevato contenuto di fenoli e Flavonoidi conferisce sia alle foglie che ai frutti una notevole attività antiossidante, oggetto di numerosi studî. L’attività radical scavenging dell’estratto metanolico dei frutti di M. alba e M. nigra è stata valutata da Imran e coll. utilizzando il radicale libero 2,2difenil-1-picrilidrazil (DPPH˙) [50]. M. alba ha mostrato un’attività scavenging più elevata di M. nigra; non è stata dunque osservata una correlazione tra l’attività scavenging contro DPPH˙ e il contenuto totale di fenoli [51]. L’attività antiossidante delle foglie studiata da Iqbal e coll., con il metodo DPPH, è pressoché uguale in tutte e tre le specie, leggermente maggiore quella di M. nigra, seguita da M. alba e da M. rubra [52]. Differenze statisticamente signiFicative si osservano invece utilizzando il metodo ABTS˙+ [2,2′-azinobis(3ethylbenzothiazoline-6-sulphonic acid) diammonium
Derivati dell’acido caffeico acido neoclorogenico
acido clorogenico
acido criptoclorogenico
acido clorogenico isomero
Derivati della quercetina e del kampferolo quercetin-3,7-O-βglucopiranoside
quercetin-3-O-βglucopiranosil-(1⟶6)-βglucopiranoside
quercetin-rutinoside isomero
quercetin-3-O-6”-Oacetil-β-glucopiranoside
quercetin-rutinoside (rutina)
quercetin-3-O-glucoside
quercetin-3-O-(6m a l o n i l ) - β glucopiranoside
kampferol-3,7glucopiranoside
kampferol-3-O-6”-Oacetil-β-glucopiranoside
kampferol-3-O-(6malonil)glucoside
Tabella 4. Composti (poli)fenolici presenti nella foglia.
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salt]: M. nigra (9,89 mM Trolox eq.) > M. rubra > M. alba (6,12 mM Trolox eq) [53]. Mentre la capacità di ridurre lo ione ferrico (Fe3+) a ione ferroso (Fe2+) è maggiore per l’estratto di foglie di M. alba, seguita da M. rubra e da M. nigra [54]. Confrontando i dati relativi alla composizione delle foglie con l’attività antiossidante, gli autori osservano una correlazione tra l’alto contenuto in lipidi e l’alto contenuto in acido ascorbico. Così come maggiore è la presenza di proteine maggiore è la presenza di Flavonoidi. Le specie che hanno un maggiore contenuto in Fibre presentano una maggiore attività contro DPPH˙, e una moderata attività contro ABTS˙+ [55]. L’attività contro ABTS˙+ aumenta all’aumentare della presenza di fenoli [56]. Ciò dimostra che le proprietà antiossidanti di un estratto vegetale andrebbero valutate rispetto a più metodi di analisi, e non possono essere ricondotte esclusivamente alla presenza di acido ascorbico, fenoli e Flavonoidi, ma risentono anche della presenza di molti altri Fitocomposti [57].
Figura 6. In alto: Morus nigra. In basso: Morus rubra. Foto dal web.
Studî in vivo su modelli animali, e in vitro In uno studio del 2018 Lúcio e coll. hanno osservato una diminuzione della risposta inFiammatoria nella sepsi indotta da lipopolisaccaride (LPS) in topi pretrattati con polpa di frutti o estratto di foglie di M.
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nigra [58]. Nello studio i topi sono stati suddivisi in quattro gruppi: controllo, sepsi, sepsi indotta in animali precedentemente trattati con estratto di foglie, e sepsi indotta in animali precedentemente trattati con la polpa dei frutti. Ai membri di ciascun gruppo sono stati somministrati per ventuno giorni 100 μL del rispettivo trattamento. Al ventunesimo giorno è stata indotta la sepsi mediante iniezione intraperitoneale di LPS. In seguito ad eutanasia, sono stati analizzati i Fluidi di lavaggio broncoalveolari e il siero. I risultati mostrano una riduzione signiFicativa del numero di leucociti nei Fluidi broncoalveolari, e dei livelli sierici di TNF negli animali di entrambi i gruppi che avevano ricevuto il trattamento con M. nigra. Inoltre, il quadro relativo allo stato redox ha fatto registrare un decremento signiFicativo dell’attività dell’enzima glutatione perossidasi negli stessi animali. Negli animali trattati con la polpa dei frutti si è anche osservata una riduzione dell’attività della metalloproteinasi di tipo 2 (MMP-2) [59]. In generale quindi sono stati osservati una riduzione del danno e un miglioramento dei parametri che risultano maggiormente alterati dalla sepsi [60]. Tu b a ş e c o l l . h a n n o o s s e r va to , m e d i a n te elettrocorticogramma, una signiFicativa riduzione delle frequenze di picco delle convulsioni, dovute
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Figura 7. Esemplare di Morus nigra. Fonte: http://giardinaggio.com.
all’attività epilettiforme indotta da penicillina G, in ratti trattati con i frutti di M. rubra; ed una altrettanto signiFicativa riduzione dei livelli di malonilaldeide (prodotto Finale della perossidazione dei lipidi di membrana) [61]. Nessun effetto si osserva invece sull’ampiezza dei picchi delle convulsioni [62]. Anche nel caso di discinesia indotta da levodopa (LID) si può trarre giovamento da una riduzione dello stress ossidativo. La LID è un disordine del movimento, causato dall’uso continuativo di levodopa da parte di pazienti affetti dalla malattia di Parkinson. Fahimi e Jahromy hanno indagato gli effetti del succo dei frutti di M. nigra in topi affetti da Parkinson indotto da 1-metil-4-fenil-1,2,3,6tetraidropiridina (MPTP) [63]. I risultati indicano una riduzione della LID alle dosi di 10 e 15 ml/kg per una settimana [64]. Turgut e coll. hanno dimostrato che il trattamento con estratto di foglie di M. nigra è in grado di ridurre nei topi il danno ossidativo del DNA, e di prevenire il deterioramento cognitivo indotto da D-galattosio [65]. In particolare quest’ultimo dato è stato valutato mediante il test del “labirinto acquatico di Morris” che permette di determinare la compromissione dell’apprendimento spaziale e della memoria [66]. Nei topi trattati con M. nigra si è osservata una elevata conservazione della memoria. È stato inoltre riscontrato un incremento dell’attività degli enzimi superossido dismutasi (SOD) sia sierico che epatico,
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Figura 8. Esemplari di Morus alba. Foto dal web.
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catalasi (CAT), e glutatione perossidasi (GSH-Px), dovuto probabilmente alle condizioni proossidanti causate dallo stress a cui sono stati sottoposti gli animali [67]. È da tempo nota in letteratura l’attività antidiabetica di Morus spp. Somministrando per ventuno giorni un estratto acquoso di foglie di M. rubra a ratti con diabete indotto da streptozocina, Sharma e coll. hanno osservato un effetto dose-dipendente dell’estratto sul glucosio ematico [68]. In modo particolare il trattamento con 400 mg/kg di estratto ha determinato una riduzione signiFicativa dell’emoglobina glicosilata, ed un concomitante incremento dei livelli plasmatici di insulina e peptide-C [69]. Inoltre l’assetto lipidico — notevolmente alterato nel gruppo di controllo — è migliorato in seguito all’assunzione dell’estratto [70]. I risultati sono in accordo con quelli osservati da Zeni e coll. per M. nigra su ratti iperlipidemici [71]. Nei ratti trattati con estratto di foglie di M. nigra (100, 200 o 400 mg/kg) si è determinata una riduzione dei livelli di colesterolo e trigliceridi, e una normalizzazione delle lipoproteine [72]. I n u n a l t ro s t u d i o S h a r m a e c o l l . h a n n o somministrato un estratto acquoso di foglie di M. rubra a ratti con diabete indotto da streptozocina e sottoposti ad un regime dietetico in grado di aumentare il rischio aterosclerotico [73]. La somministrazione dell’estratto per trenta giorni alla dose di 100, 200 e 400 mg/kg ha prodotto un calo signiFicativo della glicemia a digiuno, in modo dosedipendente. Il trattamento alla dose di 400 mg/kg ha migliorato il peso corporeo, i valori di colesterolo totale, HDL, LDL, VDL rispetto al gruppo di controllo [74]. L’estratto di foglie di M. nigra sotto forma di soluzione alcolica è stato adoperato da Montenote e coll. in topi in cui è stata indotta la malattia di Chagas, una parassitosi causata dal protozoo Trypanosoma cruzi. È stata osservata una riduzione della parassitemia, e nella fase cronica una migliore a t t iv i t à d e l l e d i f e s e a n t i o s s i d a n t i e u n a minimizzazione del processo inFiammatorio [75]. Gli estratti di M. rubra hanno mostrato una moderata citotossicità selettiva nei confronti di cellule tumorali umane di colon [76]. In un articolo pubblicato ad aprile 2020 sulla rivista Molecules, Thabti e coll. hanno testato in vitro l’attività degli estratti di foglie di M. alba, M. alba var. rosa, e M. rubra nei confronti di un coronavirus umano (HCoV 229E) e alcuni virus appartenenti alla famiglia dei Picornaviridae, osservando una riduzione del titolo virale e della citopatogenesi. Si noti che in questa ricerca l’attività antivirale è stata testata utilizzando cellule polmonari embrionali umane: L-132 cell line (ATCC CCL-5) [77].
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Conclusioni Le more e le foglie delle specie di gelso qui esaminate — attualmente poco utilizzate — possono essere c o n s i d e r a t e u n’ o t t i m a f o n t e d i c o m p o s t i antiossidanti. Il consumo delle more tal quali o sotto forma di succhi, e delle foglie come estratti o tisane, può essere considerato valido sotto il proFilo nutrizionale e in grado di apportare beneFici alla salute [78]. Gli estratti dei frutti e delle foglie possono altresì essere considerati di interesse per lo sviluppo di integratori alimentari e medicinali Fitoterapici.
Bibliografia e note 1. Cfr. Huang H.P, Ou T.T., Wang C.J., Mulberry (桑葚子 Sang Shèn Zǐ) and its Bioactive Compounds, the Chemoprevention Effects and Molecular Mechanisms In Vitro and In Vivo. Journal of Traditional and Complementary Medicine, 3 (2013) 7-15. 2. Cfr. Laudani S., «Li posti della mangani» Note sulla seta siciliana tra Sette e Ottocento. Meridiana, 1989, n. 6, p. 111. 3. Cfr. Hamel P., Nobiles ofOicinae. Kalós, anno XVI n. 1 gennaio/ marzo 2004, p. 39. Le ofFicine di Palazzo reale erano chiamate nobiles ofOicinae in latino, tiraz in arabo, o in greco ἐργαστήριον. 4. Traduzione di F. Gabrieli. L’anno 528 dell’Egira corrisponde al 1133-34. 5. Accascina M., OreOiceria di Sicilia dal XII al XIX secolo. Palermo 1974, p. 21. 6. Cfr. Laudani S., op. cit., p. 110. 7. Saggio sui mezzi da moltiplicare le ricchezze della Sicilia del Signor de Welz. Corredato di note aggiuntive e di un esame critico dal dottore in medicina Giuseppe Indelicato. Palermo 1882, p. 107. 8. Cfr. Huang H.P., op. cit. 9. Cfr. Maugini E., Maleci Bini L., Mariotti Lippi M., Botanica farmaceutica. IX ed. Piccin, 2014, p. 420. 10. Cfr. Mauseth J.D., Botanica. Fondamenti di biologia delle piante. IV ed. Idelson-Gnocchi, 2020, pp. 764-767. 11. Cfr. Zeng Q., Chen H., Zhang C., Han M., Li T., Qi X., Xiang Z., and He N., DeOinition of Eight Mulberry Species in the Genus Morus by Internal Transcribed Spacer-Based Phylogeny. PLoS One, 2015; 10(8): e0135411. 12. Cfr. Maugini E., et al., op. cit., pp. 420-421. 13. Cfr. ibid. 14. Pasqua G., Abbate G., Forni C., Botanica generale e diversità vegetale. IV ed. Piccin, 2019, p. 319. 15. Ibid. 16. Cfr. Zeng Q., et al., op. cit. 17. Linnaeus C., Morus Species Plantarum. Stockholm Impensis Laurentii Salvii, 1753, pp. 968. 18. Bureau L.É., Moraceae In: De Candolle A.P., editor. Prodromus systematis naturalis regni Vegetabilis. Paris, Tuettel e Wurtz, 1873, pp. 211–288. 19. Schneider C.K., Moraceae In: Sargent C.S., editor. Plantae Wilsonianae: an enumeration of the woody plants collected in western China for the Arnold arboretum of Harvard university during the years 1907, 1908, and 1910. Cambridge, The University Press, 1917, pp. 293–294.
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Fitoterapia & Nutrizione
20. Koidzumi G., Taxonomical discussion on Morus plants. 1917, Bulletin of Sericultural Experimental Station 3: 1–62. 21. Leroy J.F., Les Muriers sauvages et cultives. La sericiculture sous les tropiques Rev. 1949, Revue Internationale de Botanique aaplique'e et d'agriculture Tropicale 29: 481– 496. 22. Hotta T., (1954) Fundamentals of Morus plants classiOication. 1954, Kinugasa Sanpo 390: 13–21. 23. Zhou Z.K., Gilbert M.G., Moraceae In: Wu Z.Y., Raven P.H., Hong D.Y., editors. Flora of China. Beijing, China & Saint Louis, Missouri: Science Press & Missouri Botanical Garden Press, 2003, pp. 22–26. 24. International Plant Index: http://www.ipni.org/ 25. Zeng Q., et al., op. cit. 26. Lima Rodrigues E., Marcelino G., Torres Silva G., Silva Figueiredo P., Silva Garcez W., Corsino J., Avellaneda Guimarães R. de C., and Freitas K. de C., Nutraceutical and Medicinal Potential of the Morus Species in Metabolic Dysfunctions. Int J Mol Sci, 2019 Jan; 20(2): 301. 27. Ercisli S., Orhan E., Chemical composition of white (Morus alba), red (Morus rubra) and black (Morus nigra) mulberry fruits. Food Chem, 2007;3:1380-1384. 28. Ibid. 29. Imran M., Khan H., Shah M., Khan R., and Khan F., Chemical composition and antioxidant activity of certain Morus species. J Zhejiang Univ Sci B. 2010 Dec; 11(12): 973-980. 30. Ercisli S., et al. op. cit. 31. Imran M., et al., op. cit. 32. Ibid. 33. Ercisli S., et al., op. cit. 34. Ibid. 35. Imran M., et al., op cit. 36. Ercisli S., et al., op. cit. 37. Ibid. 38. Ibid. 39. Ibid. 40. Huang H.P, et al., op. cit. 41. Cfr. Wang H., Rapid Quantitative Analysis of Individual Anthocyanin Content Based on High-Performance Liquid Chromatography With Diode Array Detection With the pH Differential Method.J Sep Sci. 2014 Sep; 37(18):2535-44. 42. Cfr. Ercisli S., et al., op. cit. 43. Cfr. Ibid. 44. Cfr. Ibid. 45. Iqbal S., Younas U., Sirajuddin, Wei Chan K., Sarfraz R.A., and Uddin Md.K., Proximate Composition and Antioxidant Potential of Leaves from Three Varieties of Mulberry (Morus sp.): A Comparative Study. Int J Mol Sci, 2012; 13(6): 6651-6664. 46. Ibid. 47. Ibid. 48. Ibid. 49. Sánchez-Salcedo E.M., Mena P., García-Viguera C., Hernández F., Martínez J.J., (Poly)Phenolic compounds and antioxidant activity of white (Morus alba) and black (Morus nigra) mulberry leaves: Their potential for new products rich in phytochemicals. Journal of Functional Foods, 18 (2015), 1039-1046. 50. Imran M., et al., op. cit. 51. Ibid. 52. Iqbal S., et al., op. cit. 53. Ibid.
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54. Ibid. 55. Ibid. 56. Ibid. 57. Ibid. 58. Lúcio K.d.P., Silveira Rabelo A.C., et al., Anti-InOlammatory and Antioxidant Properties of Black Mulberry (Morus nigra L.) in a Model of LPS-Induced Sepsis. Oxid Med Cell Longev, 2018; 2018: 5048031. 59. Ibid. 60. Ibid. 61. Tubaş F., Per S., Taşdemir A., Bayram A.K., Yıldırım M., Uzun A., Saraymen R., Gümüş H., Elmalı F., and Per H., Effects of Cornus mas L. and Morus rubra L. extracts on penicillininduced epileptiform activity: an electrophysiological and biochemical study. Acta Neurobiol Exp, 2017, 77: 45-56. 62. Ibid. 63. Fahimi Z., and Jahromy M.H., Effects of blackberry (Morus nigra) fruit juice on levodopa-induced dyskinesia in a mice model of Parkinson’s disease. J Exp Pharmacol, 2018; 10: 29-35. 64. Ibid. 65. Turgut N.H., Mert D.G., Kara H., Egilmez H.R., Arslanbas E., Tepe B., Gungor H., Yilmaz N., Tuncel N.B., Effect of black mulberry (Morus nigra) extract treatment on cognitive impairment and oxidative stress status of D-galactoseinduced aging mice. Pharm Bil, 2016;54(6):1052-64. 66. Ibid. 67. Ibid. 68. Sharma S.B., Gupta S., Ac R., Singh U.R., Rajpoot R., Shukla S.K., Antidiabetogenic Action of Morus rubra L. Leaf extract in Streptozocin-Induced Diabetic Rats. J Pharm Pharmacol, 2010, Feb;62(2):247-55. 69. Ibid. 70. Ibid. 71. Zeni A.L.B., Moreira T.D., Dalmagro A.P., Camargo A., Simionatto E.L., Scharf D., Evaluation of phenolic compounds and lipid-lowering effect of Morus nigra leaves extract. An. Acad. Bras. Ciênc. vol. 89 no. 4 Rio de Janeiro Oct./Dec. 2017. 72. Ibid. 73. Sharma B.S., Tanwar R.S., Rini A.C., Singh U.R., Gupta S., Shukla S.K., Protective Effect of Morus rubra L. Leaf Extract on Diet-Induced Atherosclerosis in Diabetic Rats. Indian J Biochem Biophys, 2010, Feb;47(1):26-31. 74. Ibid. 75. Montenote M.C., Zuccaro Wajsman V., Konno Y.T., Ferreira P.C., Silva R.M.G., Silva Therezo A.L., Pereira Silva L., et al., Antioxidant effect of Morus nigra on Chagas disease progression. Rev Inst Med Trop Sao Paulo, 2017; 59: e73. 76. Demir S., Turan I., Aliyazicioglu Y., Kilinc K., Yaman S.O., Demir E.A., Arslan A., Mentese A., Deger O., Morus Rubra Extract Induces Cell Cycle Arrest and Apoptosis in Human Colon Cancer Cells Through Endoplasmic Reticulum Stress and Telomerase. Nutr Cancer, 2017 Jan;69(1):74-83. 77. Thabti I., Albert Q., Philippot S., Dupire F., Westerhuis B., Fontanay S., Risler A., Kassab T., Elfalleh W., Aferchichi A., and Varbanov M., Advances on Antiviral Activity of Morus spp. Plant Extracts: Human Coronavirus and Virus-Related Respiratory Tract Infections in the Spotlight. Molecules, 2020 Apr; 25(8): 1876. 78. Cfr. Sánchez-Salcedo E.M., et al., op. cit., p. 1045.
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Delle Arti
IL RIPOSO DURANTE LA FUGA IN EGITTO DI CARAVAGGIO Rodolfo Papa
Figura 1. Michelangelo Merisi da Caravaggio. Il riposo durante la fuga in Egitto. 1597, Galleria Doria Pamphilj, Roma.
I
l riposo durante la fuga in Egitto appartiene al primo periodo romano di Caravaggio, in quanto fu commissionata con molta probabilità da Donna Olimpia Aldobrandini tra il 1595 e il 1596. La tela passa poi nelle mani del fratello di Donna Olimpia, il cardinale Pietro Aldobrandini, e poi da questi a sua nipote Olimpia che nel 1647 la porta in dote nel matrimonio con il principe Camillo Pamphilij, il quale la inserisce,
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insieme ad altre opere di Caravaggio, nella grande quadreria di famiglia, e tuttora possiamo ammirarla in tutto il suo splendore appunto nella Galleria Doria Pamphilij. Abbiamo molte testimonianze su questo dipinto e anche molte descrizioni, e tra queste quella molto dettagliata presente nella biograHia di Caravaggio scritta da Giovan Pietro Bellori entro le Vite de’ pittori scultori et architetti moderni del 1672, dove
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Delle Arti Rodolfo Papa, pittore, scultore, teorico, storico e Hilosofo dell’arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Docente di Storia delle teorie estetiche presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant’Apollinare, Roma; il Master di II Livello di Arte e Architettura Sacra dell’Università Europea, Roma; l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; la PontiHicia Università Urbaniana, Roma. È Accademico Ordinario della PontiHicia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Presidente della Accademia Urbana delle Arti. Tra i suoi scritti si contano circa venti monograHie e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; …). Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San PanHilo, Sulmona; chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma …).
l’opera viene ricordata nella sua collocazione nel palazzo del Principe Pamphilij: «dipinse in un maggior quadro la Madonna, che si riposa dalla fuga in Egitto: Evvi un Angelo in piedi, che suona il violino, San Giuseppe sedente gli tiene avanti il libro delle note, e l’Angelo è bellissimo; poiché volgendo la testa dolcemente in proHilo, và discoprendo le spalle alate, e’l resto dell’ignudo interrotto da un pannolino. Dall’altro lato siede la Madonna, e piegando il capo, sembra dormire col bambino in seno».
Il dipinto affronta, dunque, un argomento, quale quello della fuga in Egitto, che nel corso del tempo è divenuto un vero e proprio tema pittorico, caro a tutta la tradizione cristiana per lo spessore dei suoi signiHicati. Seguendo la narrazione evangelica di Matteo comprendiamo il senso più profondo di quella fuga, che ha lo scopo di salvare la piccola vita del Salvatore esposta immediatamente alla malizia e alla violenza del mondo: «I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là Hinché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13).
La fuga, inoltre, indica chiaramente la continuità fra l’antica e la nuova Alleanza, il compimento delle antiche profezie, come ancora il vangelo di Matteo pone in evidenza: «Giuseppe destatosi prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase Hino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato il mio Higlio”» (Mt 2, 14).
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Caravaggio deve mettere a tema, dunque, il lungo viaggio verso l’Egitto intrapreso dalla Santa Famiglia per sfuggire al complotto di Erode il Grande, che si risolse nella strage degli innocenti di Betlemme. Nel dipinto, noi sorprendiamo Giuseppe, Maria e il Bambino non in cammino, ma in un momento di sosta. Ciò che colpisce subito è la connotazione paesaggistica e l’indicazione temporale. Ci troviamo, infatti, lungo il corso di un Hiume o forse nei pressi di un’oasi lungo il tratturo irregolare di una via di comunicazione, che porta le carovane dalla Palestina Hin verso la terra del Nilo. I segni dei carri che passano di lì sono proprio tra i piedi dell’angelo e quelli di Giuseppe, tra i ciottoli spostati dal passo dei cavalli, dei cammelli e degli asini, tanto che sono visibili le orme degli zoccoli al Hianco di quelle più profonde delle ruote dei carri. Caravaggio, con una nota poetica, indica che quei carri sono passati da poco, viste le tracce fresche e ben nette nella terra bruna, ancora impregnata dell’umidità della notte. Già, la notte sta terminando: infatti, guardando verso destra, nel lato dove si scorge l’orizzonte, ci rendiamo conto che ormai sta per sorgere il sole, che con i primi raggi riscalda l’aria e l’abbraccio di Maria al bambino. Maria e il bambino riposano sul limitare della strada, sotto una quercia, tra i rami del lauro che sporgono quasi a cingere il collo candido della Vergine, mentre una pianta palustre come la canna si intreccia tra i rovi alle spalle del gruppo, poco sotto il gomito del braccio sinistro di Maria, con cui stringe al seno il piccolo Gesù. Ai suoi piedi si vedono piantaggini, alcuni cardi e una pianta più grossa e carnosa di tasso barbasso. Questa piccola e precisa teoria botanica è il degno contorno dei due santi dormienti; infatti il gruppo di piante che li attornia è un compendio magistrale di segni e di signiHicati capace di schiuderci
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Delle Arti molto diffusa, nella storia dell’arte con una funzione ben precisa. Infatti, alcuni artisti la pongono in dipinti che alludono tutti alla azione salviHica della incarnazione, morte e resurrezione di Cristo. Per esempio, Antonello da Messina la pone matura e Hiorita nella Croci<issione conservata alla National Gallery di Londra (Figura 4), e Giovanni Bellini nella Pietà Donà delle Rose delle Gallerie dell’Accademia a Venezia (Figura 5). In queste opere, come anche in una xilograHia che rappresenta il Paradiso Terrestre in una Cosmogra<ia Universale del 1559, la pianta è rappresentata matura con il signiHicato di alludere alla pienezza dei tempi, che è il centro della lettura cristologica della storia. Il tasso barbasso è all’apice del suo naturale arco biologico, in pieno rigoglio: di lì a poco, i Hiori, morendo, matureranno in frutto. Sia Antonello da M e s s i n a c h e G i o v a n n i B e l l i n i n e l l e l o r o rappresentazioni della morte di Cristo dipingono il tasso barbasso con i Hiori ma senza bacche, perché solo nella resurrezione si compie la maturazione dei tempi, con i frutti della salvezza. Erbari di epoca rinascimentale quali l’Herbario nuovo di Castore Durante, Medico e Cittadino Romano, del 1585, descrivono la Hisionomia botanica del tasso barbasso confermandone per certi versi il signiHicato
Figura 2. Silybum marianum L., cardo mariano.
innumerevoli erbari medievali e inHiniti trattati allegorici: quelle umili erbe fanno parte di una ricchissima iconograHia, capace di raccontarci tutta la storia dell’arte cristiana. La simbologia del ramo di alloro, che racconta della perenne verginità di Maria, si mescola ai simboli della passione di Cristo come la canna e le spine dei rovi, per poi giungere all’intreccio mirabile, per sintesi e per poesia, del cardo, ovvero il Silybum marianum, con il tasso barbasso, ovvero il Verbascum thapsus. Nelle leggende, Hin dai tempi più antichi del cristianesimo, il Silybum marianum è la pianta che parla di Maria proprio in relazione alla fuga in Egitto, in quanto si racconta che nel precipitare degli eventi e la frettolosità della fuga, alcune gocce di latte fuoriuscite dal seno di Maria caddero su queste umili piantine e le macchiarono di bianco, lasciandole così per sempre intrise del candido latte del seno della vergine. Il Verbascum thapsus appartiene alla famiglia delle Scrophulariaceae, è una pianta molto comune nell’area mediterranea ed è presente, sebbene non
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Figura 3. Verbascum thapsus L., tasso barbasso. Tavola ad acquarello di Mary McMutrie.
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Delle Arti Il giardino spontaneo posto ai margini della strada carovaniera e dipinto con abilità naturalistica, mentre il sole spunta a segnare la Hine della prima notte di viaggio, ha la funzione di richiamare misticamente alla contemplazione di Maria e del Bambino Gesù. Caravaggio riesce a comporre la tela con una maestria tale da commuovere il fedele che provi a contemplare attraverso essa i fatti narrati nei vangeli; infatti è talmente ricca di particolari, da stimolare tutti i nostri sensi, rispondendo a una tradizione diffusa in ambiente gesuitico e ascrivibile alle indicazioni proposte da sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi spirituali: «su queste contemplazioni si applicheranno i cinque sensi» (II settimana, II giorno). La forte componente teatrale presente nell’opera risponde, inoltre, oltre che alla plurisecolare tradizione delle botteghe italiane di artisti e artigiani, anche allo sviluppo della retorica operato dal gesuita Cipriano Soarez, che l’aveva organizzata come uno strumento efHicacissimo per l’oratoria e la pedagogia. Per molti versi, questi studi sulla retorica costituiscono un humus straordinario per la maturazione di alcuni aspetti dell’arte della pittura tra Cinquecento e Seicento, nella presa di coscienza del mezzo artistico come strumento di predicazione e nell’idea di una corretta citazione della tradizione cristiana. In questo sistema atto alla predicazione, Soarez sottolinea la necessità di una “drammatizzazione dell’oratoria”, distinguendo “actio” e “pronuntiatio”, precisando che la prima colpisce la vista e la seconda l’udito. L’azione drammatica e la recitazione divengono vere e proprie discipline che Figura 4. Antonello da Messina. Crocifissione. 1475, National Gallery, Londra. vengono insegnate agli scolari, che per i m p a r a r l e v e n g o n o d i r e t t a m e n t e impegnati in forme sceniche di tipo teatrale. Il teatro simbolico: «Dicono che, serbandosi i Hichi secchi nelle diviene teatro catechetico, come anche nell’ambiente frondi del tasso barbasso, non si putrefanno: e che oratoriano. L’aspetto teatrale, di rappresentazione circondando la pianta delle noci co’l verbasco, li si fa scenica, che notiamo nel Riposo durante la fuga in ritenere i frutti». Al tasso barbasso viene Egitto, e in altri dipinti di Caravaggio dello stesso riconosciuta, dunque, la capacità di trattenere la vita, periodo, è dunque effetto degli insegnamenti retorici di conservare, di preservare dalla putrefazione. E del Collegio Romano, ma anche delle diffuse “sacre ancora: «Et ungendosi le mani con il succo, e rappresentazioni” che aveva potuto conoscere nel mettendole poi nell’acqua, tirano a loro tutti i pesci»: periodo lombardo [1]. è ben noto il signiHicato dei pesci, che la tradizione Dunque Caravaggio fa proprie la simbologia botanica vuole essere cristologico, salviHico e apostolico. medievale, la tradizione delle sacre rappresentazioni, Caravaggio più di una volta pone nelle sue opere il i più recenti sviluppi dell’arte retorica e teatrale, ma tasso barbasso, utilizzandone il signiHicato la profondità del dipinto è dovuta soprattutto alla cristologico, e così fa anche nel Riposo durante la fuga ricchezza dell’esegesi biblica e in questo ambito si in Egitto.
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Figura 5. Giovanni Bellini. Pietà. Proveniente dalla Collezione Donà delle Rose, acquisito nel 1934 dalle Gallerie dell’Accademia, Venezia.
scopre il riferimento all’opera di Agostino, come spesso accade nelle pitture di Caravaggio. La stessa scelta di costruire un’ambientazione naturalistica, in cui il paesaggio e le piante costituiscono l’orizzonte nel quale l’azione scenica è narrata, va letta anche in questa prospettiva; essa, infatti, dopo una prima più immediata fruizione, corrispondente a ciò che direttamente è davanti ai nostri occhi, può svelare sotto forme allegoriche profondi signiHicati desunti proprio dagli scritti di Padri della Chiesa, quali sant’Agostino: «Si eleverà come un virgulto e come una radice in terra assetata [...] non aveva bellezza. Si mostrava uomo, mentre era Dio; ma era come una radice, la quale non è bella anche se nel suo interno ha la forza della sua bellezza [...] Quando guardi un albero, prospero, verdeggiante per le foglie, ferace di frutti, lo esalti. Ti piace staccare qualcuno dei suoi frutti, sederti alla sua ombra e ristorarti dal caldo: lodi questo complesso di bellezze. Se ti si mostrasse la radice, non vi troveresti alcuna bellezza. Non disprezzare ciò che è privo di appariscenza: da lì ha tratto
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origine tutto ciò che ammiri. Come radice in terra assetata. Guarda ora lo splendore dell’albero […] È cresciuta la Chiesa [...] Ecco, qui non c’è bellezza, ma nella Chiesa rifulge la gloria della radice» (Discorso 44).
Allora, emerge il senso del terreno che, brullo e arido nell’artiHicio della strada battuta dai carri, va sfumando gradualmente verso il luogo nel quale riposa Maria con il bambino, in un tripudio di piante che formano un giardino profumato, proprio per esaltarne tutta la sapida bellezza. Anche l’abbraccio di Maria al bambino si svela in tutta la sua pregnanza se letto contestualmente alle riHlessioni dei Padri della Chiesa, quali, per esempio, Cromazio di Aquileia che, con bellissime parole, scrive: «Il profeta, molto tempo prima, aveva però da parte sua già anticipato l’annunzio che Gesù sarebbe sceso in Egitto, allorché profetizzò: Ecco il Signore cavalca una nube leggera ed entrerà in Egitto. Con quest’espressione è stato da parte sua annunciato chiaramente il mistero
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Delle Arti dell’incarnazione del Signore» (Commento al Vangelo di Matteo).
Maria è la nube leggera che avvolge il Signore, ella è il tabernacolo che lo contiene e che nel viaggio verso l’Egitto lo custodisce, avvolgendolo di amore e tenerezza materna. M e n t re M a r i a e G e s ù s o n o ra p p re s e n t a t i addormentati in un sonno ristoratore, Giuseppe viene dipinto da Caravaggio mentre, con l’aiuto di un angelo, offre una musica per accompagnare il loro sonno. Giuseppe sorregge lo spartito musicale con le mani e, benché stanco anch’egli, veglia il sonno della sposa e del bambino Gesù; questo atteggiamento svela la reale dimensione del ruolo di Giuseppe, che assolve la sua vocazione familiare con una risposta affermativa fatta tutta di tenerezza e di discrezione. Giuseppe è padre davidico di Gesù, ed è realmente padre come mirabilmente spiega sant’Agostino: «Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della c a r i t à . C o s ì d u n q u e e g l i è p a d re e l o è realmente» (Discorso 51). Varii studi hanno individuato l’autore e il tema dello spartito dipinto da Caravaggio in questa tela; si tratta del brano di un musicista franco-Hiammingo operante a Roma, Noël Baulduin, pubblicato nel 1519 sul tema del Cantico dei cantici, e precisamente cantus in chiave di violino del mottetto Quam pulchra es et quam decora. Questo testo musicale ci pone in contatto con la generazione dei musicisti nord-europei che, trasferitasi a Roma tra la Hine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, introduce nuove pratiche e nuove formule nell’ambiente della musica sacra e di corte; questo rinnovamento costituisce un passo fondamentale per la rinascita della musica a Roma, che culminerà una generazione dopo con l’opera di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594), interprete geniale ed attento dei dettami artistici del Concilio di Trento e fondatore della scuola romana post-tridentina. Nella pittura di Hine Cinquecento, questi sviluppi musicali si fondono con il recupero in chiave archeologica della tradizione medievale, nella ricerca di dipinti capaci di muovere a sentimento i fedeli, entro un più generale recupero della tradizione cristiana, come stavano facendo, per esempio, i bollandisti per il culto dei santi. Il brano musicale adattato sul testo del Cantico dei cantici, che l’angelo suona per la Santa Famiglia nel dipinto di Caravaggio, fa emergere con chiara evidenza molti signiHicati allegorici sul tema della “sposa” e dello “sposo”: innanzitutto il legame sponsale tra Cristo e la Chiesa, in quanto Cristo è sposo della Chiesa sposa, ed inoltre una descrizione profetica della bellezza di Maria. Leggiamo infatti: «Caput tuum ut Carmelus, collum tuum sicut turris eburnea», e cioè il tuo capo è come il monte Carmelo e il tuo collo è come una torre di avorio.
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Caravaggio dipinge Maria traducendo pittoricamente queste indicazioni e realizzando un ritratto evocativo di signiHicati che vanno oltre l’immagine stessa, per gli occhi attenti di un suo contemporaneo, conducendo così il fedele nel luogo della contemplazione, con un gusto che è tanto nuovo quanto volutamente antico: il ritratto di Maria si arricchisce di tutte le allegorie e di tutti i signiHicati che nel tempo la spiritualità cristiana ha trovato nella Higura della Vergine. Un altro passo del mottetto recita «videamus si <lores fructus parturiunt», e Caravaggio sembra concepire il corpo di Maria con il capo reclino sul Higlioletto, proprio come se rappresentasse un Hiore tra i Hiori del giardino, ed il giardino stesso è immagine di Maria, hortus conclusus, ovvero giardino chiuso, sigillato dalla purezza della verginità. E proprio nel cuore di questo Hiore che è Maria, Caravaggio dipinge il frutto benedetto del suo seno, il Salvatore. Maria è il Hiore e Gesù è il frutto, nella realtà misteriosa dell’Incarnazione del Verbo divino. Giuseppe, quale sposo di Maria e padre di Gesù, viene rappresentato come loro umile servitore e custode, sveglio per sorreggere lo spartito nell’esecuzione del canto celeste, proprio come il sacerdote. Maria è invece la Chiesa vivente che, tramite l’azione dello Spirito Santo, diventa il nuovo tempio. Giuseppe è rappresentato come l’uomo giusto, come colui che amministra i misteri di Dio, come il custode del santuario, che è Maria che cinge in amorevole abbraccio il Verbo Incarnato. Giuseppe è l’archetipo del vescovo cristiano, secondo l’immagine che di lui hanno dato i Padri della Chiesa, meditando sui testi evangelici; a lui è afHidata la Chiesa-sposa, ma essa non è a sua disposizione e, infatti, nel quadro di Caravaggio, una Higura angelica li separa, cantando la bellezza e la purezza di Maria: Quam pulchra es et quam decora.
Nota 1. Cfr. Papa R., Una rappresentazione interiore. Il Cenacolo di Leonardo. ArteDossier, n. 119, gennaio 1997, pp. 27-30.
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Cultura
LA MORTE SUL CAMPO DELLA BATTAGLIA DI HIMERA Pinella Laudani*
Figura 1. Ricostruzione grafica del settore greco durante la battaglia di Himera, 480 a.C.
«G
rande fu la strage, e la battaglia oscillava di qua e di là, quando all’improvviso l’incendio delle navi divampò in alto, e alcuni diedero la notizia della morte del comandante. I Greci allora presero coraggio, e con lo spirito sollevato dalle grida e dalle speranze della vittoria, attaccarono con più ardire i barbari, mentre i Cartaginesi, spaventati e disperando della vittoria, si volsero in fuga. Poiché Gelone aveva dato l’ordine di non prendere nessuno prigioniero, fu grande la strage dei fuggitivi, e alla Bine ne furono uccisi non meno di centocinquantamila» (Diodoro Siculo XI, 20-23).
Una delle più straordinarie scoperte legate alle grandi battaglie combattute tra Greci e Cartaginesi
consiste nelle grandi fosse comuni messe in luce nella necropoli occidentale di Himera e relative ai soldati caduti nei due tragici eventi in cui si affrontarono, con esiti diversi, i due eserciti (Figura 1). Si tratta di nove fosse, otto delle quali riferibili alla battaglia del 480 a.C. e localizzate in una precisa zona della necropoli; scavate nello strato sabbioso, i soldati vi furono seppelliti uno accanto all’altro in posizione dorsale, con gli arti inferiori distesi, le braccia lungo i Bianchi e con il capo orientato a Est (Figura 2). Le analisi antropologiche sugli scheletri hanno accertato che si tratta esclusivamente di individui di sesso maschile di età compresa tra i 25 e i 30 anni. Molti scheletri documentano la presenza di traumi
*Archeologo, Ricercatore associato presso Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
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Cultura
Figura 2. Ortofoto con localizzazione del piano della battaglia.
violenti e di importanti lesioni dovute a ferite da armi da taglio o da lancio; numerose sono soprattutto le punte di freccia trovate in varie parti del corpo. La disposizione dei corpi, allineati come in uno schieramento di battaglia, ha probabilmente uno scopo celebrativo, trattandosi certamente dei soldati di parte greca caduti nel corso dei sanguinosi scontri. Il ritrovamento del campo di battaglia La scoperta del sito è avvenuta negli anni compresi tra il 2008 e il 2010, durante i lavori di scavo per il
raddoppio ferroviario della linea Palermo–Messina, condotti da Italferr, Società del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e il general contractor Cefalù 20 s.c.a.r.l.. Esattamente nella tratta FiumetortoOgliastrillo, furono riportate alla luce circa 9.500 tombe greche risalenti al VI-V sec. a.C. (Figura 3). L’area di scavo, localizzata in località Buonfornello, a circa dieci chilometri a est dell’odierna Termini Imerese, interessò le adiacenze della necropoli settentrionale dell’antica colonia greca di Himera, quest’ultima, già in parte nota e indagata dagli archeologi. Tuttavia, essa non fu la sola necropoli
Figura 3. Piana di Himera. Localizzazione topograBica.
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Cultura
Figura 4. Necropoli Ovest. Le fosse comuni ritrovate durante lo scavo.
presente nel territorio dell’antica Himera, ce ne furono altre: quella a oriente localizzata in Contrada Pistavecchia, sulla sponda destra del Biume Imera settentrionale, e situata oggi nel territorio comunale di Campofelice di Roccella; quella a occidente, posta nei declivi di Piano Tamburino (VI-V sec.) e inBine quella situata a Mezzogiorno, posta nelle adiacenze di Cozzo Scacciapidocchi (V sec.) (Figura 4). Pertanto, allo stato attuale, esse rappresentano le aree cimiteriali dell’antica colonia dorico-calcidese. Per l’eccezionale numero di sepolture rinvenute nella piana di Buonfornello, si trattò senza altro, di una grandiosa scoperta. Infatti, a detta dagli esperti della Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo che allora coadiuvarono i lavori, tale ritrovamento rappresentò quasi certamente un caso unico nella storia dell’archeologia: la più grande necropoli mai rinvenuta in tutta la Sicilia. Attraverso i reperti recuperati, una vera miniera di dati, gli studiosi potranno gettare nuova luce non soltanto sullo studio socio-economico e culturale di Himera, ma
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anche sui costumi funerari delle colonie siceliote in epoca arcaica e classica. La città Stato di Himera fu la più occidentale delle colonie greche posta sulla costa settentrionale della Sicilia, l’ultimo avamposto greco in Occidente. Fu fondata intorno alla metà del VII secolo a.C. e morfologicamente si presentava separata in due parti da un dislivello molto scosceso: la parte bassa e la parte alta della città, tanto da essere stata deBinita dal drammaturgo Ateniese Èschilo, “Himera dagli alti dirupi”. L’antica Himera rappresenta un sito archeologico di elevato interesse storico per essere stata sede di due importanti scontri tra greci e cartaginesi. Infatti, proprio a Himera nel 480 a.C. fu combattuta una delle più sanguinose battaglie del mondo antico, che vide di fronte gli eserciti greci di Gelone di Siracusa, Terone di Agrigento e le truppe Imeresi, contro i Cartaginesi di Amilcare Barca. Nello scontro, i greci ottennero una schiacciante vittoria e Amilcare vi trovò la morte. Settant’anni dopo ossia nel 409 a.C., il
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Figura 5. Ricostruzione dei rapporti fra la freccia e la colonna del soldato greco della tomba W2219. In alto a destra la punta di freccia conBiccata tra le vertebre.
cartaginese Annibale Giscone, nipote di Amilcare, al seguito di un potente esercito, pose nuovamente sotto assedio Himera, e dopo averla invasa e saccheggiata, si ritirò soltanto dopo averla totalmente distrutta. Himera da allora non fu più ricostruita e i sopravvissuti trovarono asilo nella vicina città di Termini. Al di là del sensazionale ritrovamento, un evento questo, che ha ridestato l’attenzione di ricercatori e scienziati provenienti da tutto il mondo, mi preme segnalare gli studi antropologici-medici condotti sulle cause di morte degli inumati rinvenuti.
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I primi dati dell’analisi antropologica hanno rivelato alcuni casi di traumi dovuti a impatto con oggetti che hanno provocato importanti lesioni delle ossa craniche o traumi da fendenti di armi da taglio oppure da frecce (Figura 5). Ma ancora più eloquenti sono dati che provengono dal cadavere di un ragazzo di ca. 20 anni, deceduto probabilmente per un colpo di lancia ricevuto dalla schiena, che venne sepolto con la cuspide di ferro ancora nella regione addominale, e di un altro morto anche egli per una colpo di lancia, la cui cuspide venne lasciata all’interno della cassa toracica (Figura
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6). Tante evidenze danno la c e r t e z z a d i f o s s e c o m u n i , destinate a vittime di scontri militari, dettate, quindi, dalla necessità di dare sepoltura in poco tempo a un ingente numero di morti, ma allo stesso tempo esse ci sembrano da ricondurre a modalità “celebrative”, con una d i s p o s i z i o n e o r d i n a t a e collettiva che sembra dare risalto e in qualche modo onorare il sacrificio di questi giovani. Un altro esempio sono le tombe c o n s e p o l t u r e a n o m a l e , caratterizzate dalla presenza alle caviglie di anelli di ferro (forse si trattava di schiavi) (Figura 7). Un contributo alla storia della m e d i c i n a è o f f e r t o d a l rinvenimento di 4 crani con fori dovuti a trapanatura chirurgica, operazione testimoniata solo in a m b ien te g rec o, a t t raverso l’impiego del trapano di Ippocrate (Figura 8). InBine, all’interno della fossa comune (fossa 9) riportata alla luce nella necropoli occidentale di Himera, sono stati rinvenuti 60 caduti nel corso della battaglia, tutti sepolti l’uno accanto all’altro e disordinatamente, forse in momento di grande tensione e difBicoltà (Figura 9). Seguendo la narrazione storica, sappiamo, infatti, che esercito e flotta cartaginesi, giunti a
Figura 6. Inumato con puntale di lancia all’interno del costato.
Figura 7. Sepoltura con schiavo (?).
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Figura 8. Crani con fori.
Palermo, avanzarono verso Himera, ponendo gli accampamenti probabilmente tra l’area della foce del fiume Torto e le zone collinari. Lo scontro finale avvenne tra gli accampamenti punici e la città e, quindi, anche sull’area della necropoli occidentale. Non ci troviamo, evidentemente, di fronte al “monumento” celebrativo della battaglia: ma queste sepolture collettive, realizzate per la necessità di tumulare con urgenza uno straordinario numero di morti, sono oggi il più vivo e toccante ricordo della vittoria dei Sicelioti sui barbari che più di ogni altra venne celebrata.
Bibliografia e note 1. Vassallo S., Himera. Necropoli di Pestavecchia. In Di terra in terra. Nuove scoperte archeologiche nella Provincia di Palermo. Museo Archeologico Regionale di Palermo, 1991, Regione Siciliana, pp. 86-97. Nel catalogo della mostra Di terra in terra, al Museo di Palermo, vengono date notizie preliminari sui primi scavi sistematici nella necropoli orientale di Pestavecchia, in proprietà RA. DE. O. 2. Vassallo S., Ricerche nella necropoli orientale di Himera in località Pestavecchia. Kokalos, XXXIX-XL (1993-1994), pp. 1243-1255. 3. Vassallo S., Himera - Indagini a Pestavecchia 1994-1996. Kokalos XLIII-XLIV (1997-1998), II2, pp. 731-744. 4. Cracolici E., Parello G., Parello M.C., Vassallo S., Himera. Necropoli di Pestavecchia. In Di terra in terra. Nuove scoperte archeologiche nella Provincia di Palermo. Museo Archeologico Regionale di Palermo, 1991, Regione Siciliana, pp. 99-112. Notizie preliminari sugli scavi in proprietà Royal Imera e annotazioni sulla topograBia della necropoli orientale e del paesaggio coloniale della piana di Pestavecchia.
Figura 9. Fossa comune di soldati morti in battaglia.
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RELIGIONE E TERRITORIO Viva Santa Rosalia e Palermo Rossana M. Salerno*
Figura 1. Statua marmorea di Santa Rosalia di V. Vitagliano, 1745, posta al centro del planum ecclesiae della Cattedrale di Palermo. Foto di Rossana M. Salerno, 2020.
A
ffrontare il caso della festa di Santa Rosalia implica il ricorso ad una lunga serie di concetti elaborati da etnologi, antropologi e rivisitati dai sociologi. De9inire cosa si intenda per “territorio”, “spazio sociale”, “santuario”, “sacro”, “rito”, “religione”, “pellegrinaggio” e “devozione” è un’operazione metodologicamente indispensabile. Dinanzi ad un fenomeno come la festa di Santa Rosalia a Palermo, che raccoglie interessi molteplici e profondamente diversi, diventa necessario partire raccogliendo ed elencando i concetti necessari al
lavoro, nella loro complessità e nella loro articolazione interna. Ciascuno di questi si rende utile nell’analisi del complesso fenomeno della festa: dove rito e devozione, spettacolo e socializzazione, impegno associativo e presenza istituzionale, occasione economica e visibilità politica tendono a con9luire nello stesso contenitore. La messa a punto dei concetti di riferimento, appaiono come uno strumento necessario, per comprendere l’articolazione e l’ambivalenza delle variabili sociologiche in gioco.
*Sociologo. Membro dell’EASR - The European Association of the Study of Religions - e del SISR/ISSR - Societé Internationale de Sociologie des Religions and International Society for the Sociology of Religion. Cultore di Sociologia della devianza e Criminologia - Università degli Studi di Enna “Kore”.
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c u m u l a t i v a , h a n n o assegnato valori diversi alle d i f f e re n t i p o r z i o n i d i territorio: che trattasse di valori simbolici, sia di r i l i e v o t r a d u c i b i l e i n moneta. ‹‹Un territorio è s e m p r e c o s t i t u i t o d a posizioni speci9iche e non facilmente riproducibili, ciascuna dotata di un proprio valore, esito dei suoi caratteri naturali e del s i g n i 9 i c a t o c h e h a n n o a s s u n t o e n t r o u n a d e t e r m i n a t a c u l t u r a , p r a t i c h e s o c i a l i e individuali›› [2]. I te r r i to r i fo r te m e n te urbanizzati sono: ‹‹il campo di studio sul processo di selezione cumulativa e di costruzione dei valori, in Figura 2. Palermo, Planum ecclesiae della Cattedrale., la sera del 14 luglio. Foto di Rossana M. e s s i i p r o c e s s i d i Salerno, 2020. sostituzione, demolizione e r i c o s t r u z i o n e , La dimensione territoriale dei fatti religiosi. consolidamento e modi9ica di valori simbolici e DeGinizione di “territorio”. materiali sono più frequenti e documentabili nei Nelle diverse epoche e culture, i valori che sono nuovi manufatti rispetto a quelli preesistenti […]. Il a l l ’ o r i g i n e d e l l e ra p p re s e n t a z i o n i e d e l l e territorio ha costruito immagini forti e persistenti interpretazioni del territorio nelle quali ciascuna che, nel tempo, si sono dilatate, opposte e disciplina ha designato il paesaggio 9isico, sovrapposte. Rappresenta il luogo, dove nella economico, culturale, sociale, sono visti come l’esito gerarchia dello spazio s’instaura un sistema di valori di un processo di selezione cumulativa, di una lunga che privilegia la “verticalità" e "l’interiorità”›› [3]. successione di scelte di conservazione, di Il territorio richiama in questa sede a una modi9icazione e trasformazione delle sue parti. Come dimensione spaziale ampia, esso indica forme presupposto iniziale il territorio è il risultato relazionali che si sviluppano in uno spazio dell’impegno cosciente di una collettività, in un certo determinato: ‹‹il rapporto con lo spazio e il tempo stadio storico, per la conservazione, la valorizzazione sono costitutivi del modo di essere della società›› [4]. delle risorse e l’organizzazione di attività tra loro Si designa così come spazio delle relazioni, comporta conness e e differenziate. Nei proces si di delle regole di dominio, di controllo sulle aree non riproduzione sociale il territorio inteso come spazio organizzate. Il territorio de9inisce inoltre delle regole socialmente abitato appare come un’immensa politico-sociali, degli aspetti culturali e simbolici e strati9icazione di segni, che testimoniano dei processi in9ine dei fatti materiali che rendono possibili le di simbolizzazione, e di manufatti nei quali relazioni tra quanti vi risiedono. Si afferma quindi 9isicamente si condensa il lavoro delle diverse l’importanza del luogo come spazio dotato di un generazioni. In ogni territorio è possibile cogliere il signi9icato per l’uomo e dell’insediamento come persistere nel tempo di un itinerario potendo, infatti, spazio attrezzato per l’uomo: ‹‹la terra diventa rintracciare le forme di organizzazione dei principali territorio quando esso diviene tramite di processi di riproduzione sociale. ‹‹Ogni territorio è in comunicazioni, quando è mezzo e oggetto di lavoro, larga misura la storia di un processo di selezione di produzioni, di scambi, di cooperazione›› [5]. cumulativa, dove si accumulano immagini, trame Pertanto il territorio non è un dato, ma il risultato di simboliche, criteri di razionalità, teorie, criteri di diversi processi, sia naturali che umani. I tempi delle selezione e scelta che quest’ultime hanno modi9icazioni sono ovviamente differenti: costruito›› [1]. Nelle varie epoche le differenti rappresenta un prodotto materiale perché può società, attraverso il processo di selezione essere oggetto di costruzione, ma esso può essere
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Figura 3. Palermo, piazza del Sole (Quattro Canti). Processione del 15 luglio dell’urna argentea contenente le reliquie. Foto di Antonio Ferrante.
anche soggetto e oggetto di studio in quanto è portatore di signi9icati, di simboli. Organizzazione sociale dello spazio: dal territorio al sacro. La sociologia contemporanea analizza il problema dell’organizzazione sociale nello spazio distinguendo due fondamentali condizioni d’interdipendenza fra le p e r s o n e , d e 9 i n i t e r i s p e t t i v a m e n t e “ d a l l a compresenza e dalla separazione 9isica” [6]. L’organizzazione dello spazio è una traccia visibile della società che si organizza, prende forma e, nel fare questo, organizza, modi9ica, dà forma allo spazio stesso. Nell’interazione si coordinano le attività, si scambiano informazioni e s’in9luenzano aspettative e comportamenti: ‹‹l’interazione sociale è il processo nel quale due o più persone agiscono orientando reciprocamente e in sequenza le loro azioni›› [7]. Le distanze tra soggetti considerate opportune nei diversi tipi d’interazione variano da cultura a cultura: ‹‹un luogo antropologico è un ambito locale con funzioni specializzate, esso incorpora anche elementi
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simbolici. Esso è simultaneamente principio di senso per coloro che l’abitano e principio di intelligibilità per colui che l’osserva›› [8]. Michel de Certeau vede nel luogo: ‹‹l’ordine in base al quale gli elementi sono distribuiti in rapporti di coesistenza; e se esclude che due cose occupino lo stesso posto, se ammette che ogni elemento del luogo sia, a lato degli altri, in un punto proprio, egli de9inisce il luogo come una con9igurazione istantanea di posizioni›› [9]. In pratica lo spazio non è solo la risultante di un processo di organizzazione sociale, esso è anche un vero e proprio “contenitore normativo”: detta comportamenti, modelli e regole. Il soggetto diventa “altro” perché entra in un’area speci9ica dello spazio sociale che lo fa essere tale. Dunque, ‹‹praticare lo spazio signi9ica “ripetere” l’esperienza esaltante e silenziosa dell’infanzia: nel luogo si è altro, si passa ad altro›› [10]. La scoperta del sacro come categoria interpretativa dei fenomeni religiosi costituisce l’esito di un processo culturale che ha inizio nell’Ottocento: ‹‹nelle religioni tradizionali e antiche il sacro è,
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Figura 4. Palermo, piazza del Sole (Quattro Canti). Passaggio del fercolo con le reliquie. Foto di Rossana M. Salerno.
infatti, una qualità delle cose, variamente denominata, che designa una manifestazione di potenza (per cui, in queste religioni, non soltanto spesso il termine è assente, ma in genere il vocabolario del sacro appare variegato e complesso e dif9icilmente riducibile a unità). [...] Ne consegue che il sacro sostanzializzato si è trovato a essere de9inito in una maniera che, in un modo o nell’altro, riconduceva alle religioni tradizionali: circolo vizioso e tautologico, che soltanto la crisi di queste religioni ha provveduto a mettere de9initivamente in discussione›› [11]. Nell’opera Forme elementari della vita religiosa di Émile Durkheim pubblicato nel 1912 si evincono le caratteristiche fondamentali del sacro: fenomeno universale avente carattere di assolutezza e di irriducibilità. La dicotomia sacer et profanus deriva in questo caso proprio dalla sua irriducibilità. Il sacro è, infatti, una rappresentazione della collettività che classi9ica e ordina il reale. L’elemento principale che lo compone è culturale e sociale. Per Durkheim il sacro possiede un valore simbolico, esso non coincide con un determinato oggetto ma diviene simbolo del sacro e muta con il mutare della società.
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In quanto fatto sociale esso è indivisibile e contagioso, va sempre considerato nella sua totalità e inderivabilità: ‹‹l’essere sacro è in un certo senso l’essere vietato, che non si osa violare; ma è anche l’essere buono, amato, ricercato. [...] La personalità umana è cosa sacra; non si osa violarla, e ci si tiene discosti dai con9ini della persona — e nello stesso tempo è il bene per eccellenza, la comunione con gli altri›› [12]. L’interpretazione del sacro data da Durkheim si caratterizza per la sua sistematicità, in grado di far convergere al suo interno i vari aspetti della ri9lessione precedente sul sacro, uni9icandoli intorno all’idea che il sacro è il modo in cui la società classi9ica la realtà e l’esperienza che sta alla base di questa classi9icazione. Inoltre, ne sottolinea il carattere emozionale dell’esperienza del sacro perché in esso è contenuta la sua verità. François-André Isambert osserva come il provare un sentimento religioso ponga il ricercatore in sintonia con il credente: ‹‹le sense du sacré devient le fait religieux fondamental›› [13]. Lo storico delle religioni M. Eliade ri9iuta ogni interpretazione del sacro in senso d’interpretazione
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Figura 5. Palermo, piazza del Sole (Quattro Canti), carro trionfale del “festino” della sera del 14 luglio 2019. Foto di Rossana M. Salerno.
riduzionistica dato dalla corrente fenomenologica e da quella sociologica sottolineandone il carattere di realtà. Infatti, il sacro è un dato strutturale della coscienza umana, manifestato nelle ierofanie mostra la sua essenza nella profanità degli oggetti: «Questa paradossale coincidenza del sacro con il p ro fa n o , d e l l ’ e s s e re e d e l n o n - e s s e re , dell’assoluto e del relativo, dell’eterno e del divenire è quanto rivela ogni ierofania, anche la più elementare [...] questa coincidenza tra sacro e profano produce, di fatto una rottura di livello ontologico. Qualsiasi ierofania la implica perché ogni ierofania mostra, manifesta la coesistenza delle due essenze opposte» [14].
La corrispondenza simbolica tra il sacro e le sue differenti ierofanie dipende dalla struttura che esso possiede, il quale coincide con il rapporto dell’uomo con l’universo e con il suo fondamento vitale ed energetico. In entrambe le scuole di pensiero (fenomenologico e sociologico) la funzione etica permane come elemento signi9icativo. Il sacro coincide con ciò che, consacrando un oggetto o un principio etico, viene ad attribuirgli un valore assoluto in grado di guidare l’azione del singolo e della collettività: ‹‹il sacro è collegato al santo come dato etico›› [15].
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Date queste affermazioni si potrebbe presupporre un primato de9initivo della dimensione profana. Primato che condurrebbe la dimensione religiosa a non essere altro che una cornice strumentale, idonea a legittimare quella che non è alto che l’esaltazione della comunità di Palermo. Si potrebbe pertanto desumere che: la società palermitana durante il “festino” del 14 luglio esalta se stessa attraverso la realizzazione della festa g i u s t i 9 i c a n d o n e c o s ì l e sva r i a te fo r m e d i spettacolarizzazione. Inoltre, il sacro (rappresentato dalla 9igura della santa riproposta sul carro) verrebbe così ad essere “contaminato” dal fatto secolare costituito dalla società palermitana e dalle istituzioni laiche che la rappresentano. L’ipotesi è: società laica e società religiosa, sacro laico e valori civico-politici che restano compresenti e ingaggiano tra loro un con9litto permanente. Una tale ipotesi è tanto più plausibile quanto più, il giorno seguente al festino, la processione religiosa compie lo stesso percorso, portando con sé il sacro rappresentato dalle reliquie. Dunque, il territorio è attraversato da forme di rinnovata sacralizzazione, af9inché questo possa ristabilire il primato del riferimento religioso, pesantemente compromesso la sera precedente.
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Figura 6. Monte Pellegrino, Santuario di Santa Rosalia, acchianata del 3 e 4 settembre 1994. Foto di Antonio Ferrante.
Resta comunque il fatto, assolutamente evidente, di un contesto di secolarizzazione esplicita che, oggettivamente, pone il problema della reale consistenza del sacro. La corrente funzionalista pone in evidenza l’identità del sacro e la funzione che esso svolge, sia nei processi di socializzazione sia in quelli di formazione della personalità nei diversi contesti storico culturali. Lo spazio sacro è un luogo nel quale si organizzano gli spazi e si stabiliscono i punti nei quali in sacro è individualizzato: «In ogni caso la presenza del santuario implica un organizzazione dello spazio che potremmo de9inire, per continuare l’immagine desunta dalla 9isica, ‘anisotropa’, cioè strutturata, in modo che vi compaiano zone e punti di diversa composizione e densità simbolica in ordine ai comportamenti umani che ad essi si relazionano. La spartizione tra zone/punti sacri costituisce p e r a l t r o u n p r i m o m o m e n t o p e r l’individuazione dei Santuari. Una simbolica analoga del luogo sacro si ritrova nelle grandi civilizzazioni orientali, dove il tempio è costruito s u u n a t e r r a s a c r a , l u o g o s a n t o p e r eccellenza» [16].
Attorno al santuario e in relazione ad esso, sono sorte istituzioni, sia per l’ospitalità e l’assistenza dei pellegrini, sia per l’of9iciatura della chiesa o altri 9ini
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di culto, di bene9icenza o di pubblica utilità. In tal senso Carlo Prandi segnala che: «[…] l’edi9icio sacro costituisce uno spazio qualitativamente diverso, uno spazio sacro di una particolare sacralità: dove esso sorge ivi la divinità è apparsa o ha semplicemente ordinato la costruzione di un tempio in suo onore, oppure ha fatto trovare i segni inequivocabili del proprio passaggio […] la fondazione o l’individuazione dello spazio sacro precede la costruzione del santuario›› [17].
All’interno di questo speci9ico contesto può essere effettuata l’analisi del fenomeno anacoretico femminile e della vita d’eremitica condotta da Santa Rosalia. La 9igura dell’eremita si distingue da quella del pellegrino e dell’eremita dal carattere sacralizzante di quest’ultimo. I luoghi del santuario non sono privi di elementi simbolici. La carica simbolica e religiosa, quali9icante del luogo, risulta indispensabile nel de9inire il pellegrino quanto assolutamente non necessaria nel de9inire il secondo. Nel caso di Santa Rosalia la dimensione religiosa si sviluppa attraverso un percorso spirituale che permette al pellegrino di compiere un’esperienza penitenziale. Il luogo sacro, posizionato nel punto più alto del Monte Pellegrino, è il luogo di ritrovamento
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Figura 7. Monte Pellegrino, acchianata del 3 e 4 settembre 1994. Foto di Antonio Ferrante.
delle reliquie e costituisce lo spazio in cui avviene la venerazione della Santa. L a d i m e n s i o n e re l i g i o s a n e l te r r i to r i o : deGinizione di “rito” e di “religione”. La scuola sociologica francese di Émile Durkheim basa la classi9icazione sull’ambiguità del concetto di sacro. L’intelaiatura teorica del suo studio sulla religione degli Aborigeni in Les formes élémentaires de la vie religieuse (1912) è basata su una lettura in chiave sociologica dei comportamenti religiosi, in cui all’esperienza e all’azione viene assegnata la priorità sulle idee nella nascita e nella sopravvivenza della religione. La tesi sostenuta da Durkheim: ‹‹la società risveglia nei suoi membri la “sensazione del divino” ponendosi di fronte a essi come un dio di fronte ai suoi fedeli›› [18]. Secondo Durkheim: ‹‹i riti sono regole di condotta che prescrivono come l’uomo debba comportarsi con gli altri oggetti sacri›› [19]. Lo scopo che il sociologo si pre9igge è quello di spiegare l’origine della religione; anche nel suo caso, infatti, l’adozione della prospettiva evoluzionista fa sì che la comprensione dei fenomeni religiosi tenda a confondersi con la scoperta delle loro origini, cioè delle manifestazioni più arcaiche di adorazione del soprannaturale. Il rituale non è legato necessariamente a idee o motivazioni speci9icatamente religiose, il campo
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d’indagine si amplia notevolmente, includendo ogni attività caratterizzata dalla routine o dalla ripetizione e da regole esplicitate che ne stabiliscono le modalità di svolgimento. In questo passaggio le forme di ritualizzazione sono estremamente visibili nell’oggetto di ricerca attraverso l’uso del fuoco, visto come simbolo puri9icatore, durante la notte dell’acchianata (salita) al santuario. Questa forma di risacralizzazione del territorio avviene attraverso un “contatto” che l’uomo crea con il divino, attraverso l’incubatio, e ricorrendo alla gestualità ripetuta all’interno del santuario il 3 ed il 4 settembre da quando esso divine natalis dies della santa. Inoltre, il rituale prende forma all’interno di un contesto desacralizzato ed ha la funzione di sacralizzarlo, esempio, la benedizione della statua che viene posta sul carro durante i festeggiamenti civili. Questa ritualizzazione vede la presenza delle autorità civili e religiose che si riuniscono davanti al c a r r o e c e r c a n o d i d a r e u n a f o r m a d i “equilibrio” (seppur latente) al ciclo di feste che hanno come oggetto e soggetto allo stesso tempo la santa. I riti di passaggio identi9icati da Van Gennep [20] comprendono sia le pratiche religiose che le usanze sociali e cerimoniali. Lo studioso focalizza l’attenzione sulle similitudini nella forma dei riti e
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Figura 8. Uscita dell’urna argentea dalla Cattedrale. Foto di Antonio Ferrante.
sull’esistenza di regole sociali standardizzata. I riti scandiscono il sistema delle relazioni sociali, il rituale è essenzialmente uno strumento di legittimazione e di rafforzamento dei valori normativi mediante i quali l’autorità morale della società agisce sugli individui per subordinarli alle esigenze collettive. Inoltre, riti che hanno la funzione di sancire pubblicamente le transizioni sociali. Sono riti di passaggio quelli che presiedono all’accesso materiale da un luogo all’altro, al passaggio di un individuo da uno stato all’altro di vita, da una situazione sociale a un’altra. Nel caso della festa di Santa Rosalia il vero strumento di legittimazione e di rafforzamento dei legami collettivi è espresso in tre distinti momenti: in primo luogo il coinvolgimento di tutte le categorie sociali, laiche e religiose, che si riuniscono per costruire e decidere insieme la “tematica” che segna l’espressività della festa (solitamente questo avviene nella seconda metà di giugno per poi consolidarsi il dieci di luglio di ogni anno nella sala del palazzo arcivescovile). In secondo luogo la forma di legittimazione sacrale è data dal rituale presieduto dall’arcivescovo
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attraverso la benedizione pubblica del carro e della statua che raf9igura santa Rosalia posta al centro dello stesso. In terzo luogo, il rafforzamento collettivo avviene attraverso la creazione dei così chiamati “festinelli”, ossia, la costruzione di altari ed edicole votive dedicate a Santa Rosalia. Questo passaggio comporta forme non solo di associazione e di socializzazione ma soprattutto di comunione di vicolo. Quest’ultimo caratterizza il fulcro centrale della devozione popolare che avviene attraverso una ritualizzazione ben precisa, organizzata dagli appartenenti alle confraternite, ad esempio la produzione del “pane” a forma di “carro” con sopra la santa che viene portato in processione e che assume una forma sacrale. Nel panorama antropologico del Novecento non mancano sviluppi teorici, che non hanno alcun legame con l’eredità dei pensatori che riprendono e applicano allo studio del rituale i modelli elaborati dalle scienze cognitive e dalla teoria della comunicazione. Per E. Leach: ‹‹il rito è spesso costituito da una serie di azioni lunga e complessa: un discorso scomponibile in paragra9i, frasi, parole, sillabe e fenomeni cioè un processo comunicativo
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14 luglio. Altro esempio tangibile è dato dalle abbanniate che risuonano per i vicoli e davanti le edicole votive “ad ogni passo ed ad ogni via, viva S a n t a R o s a l i a ”. D u r a n t e l a processione religiosa (il 15 di luglio) i l s u o n o d i u n c a m p a n e l l i n o scandisce il percorso dell’urna argentea contenente le reliquie, legame tra il canto delle donne presenti nella confraternita e quello d e i r e l i g i o s i c h e s 9 i l a n o silenziosamente prima dell’urna. Al pari delle usanze, i riti forniscono indicazioni esplicite su ciò che si deve e ciò che non si deve fare; un’altra caratteristica comune è data dal fatto che l’osservanza di riti e usanze è giusti9icata dall’appello alla tradizione. Il rito può includere enunciati verbali, come: formule, invocazioni, canti; così come può non includerli, e anche quando non li possiede esso, utilizza il medesimo meccanismo che utilizza nel linguaggio attraverso la gestualità. Così nel rito il messaggio non è trasmesso dagli oggetti, i quali sono manipolati dall’organizzazione interna della con9igurazione simbolica di cui Figura 9. Vicolo Brugnò. Altarino votivo. Foto di Rossana M. Salerno, 2020. fanno parte. Il rituale costituirebbe un processo di categorizzazione non verbale della realtà destinato a immagazzinare e basato su un codice le cui unità si articolano secondo trasmettere informazioni complesse. una logica combinatoria simile a quella del codice le La struttura comunicativa del rito è considerata lo cui unità si articolano secondo una logica strumento utilizzato per tramandare da una c o m b i n a t o r i a s i m i l e a q u e l l a d e l c o d i c e generazione all’altra un complesso di informazioni linguistico›› [21]. La maggior parte delle azioni concernenti la topogra9ia, il clima, e di nozioni umane che si svolgono in situazioni culturalmente riguardanti i rapporti fra individui, le regole, le de9inite hanno un aspetto tecnico — pratico, sia un proibizioni e la natura dei gruppi sociali. aspetto espressivo — comunicativo, fanno e dicono La ritualizzazione recide il legame implicito, diretto qualcosa allo stesso tempo. Tracciare un con9ine che si suppone esista normalmente tra le intenzioni e n e t t o t r a c o m p o r t a m e n t i s t r u m e n t a l i e le azioni di un attore. Attraverso il processo di comportamenti espressivi può essere individuato in ritualizzazione che il comportamento rituale qualsiasi tipo di azione ma nella tipologia rituale acquista un carattere speciale che lo distingue dal l’analisi degli elementi espressivi e simbolici comportamento ordinario. Dal punto di vista rappresenta il fulcro della distinzione. dell’attore, nel rito l’azione è eterodiretta: egli è e L’elemento di forza rituale nell’oggetto di ricerca non non è nello stesso tempo l’autore delle proprie solo è visibile attraverso la gestualità ma anche azioni, che sono prestabilite da regole costitutive e attraverso il linguaggio ed i suoni. Sussistono vincolanti imposte dalla società. Le convenzioni molteplici esempi, la 9igura simbolica del sindaco che 9issano i comportamenti ma non i loro signi9icati sale sul carro in sosta nell’incrocio dei Quattro Canti, originari. lungo il corso Vittorio Emanuele (il Cassero) e ripete É. Durkheim sostiene fermamente che la religione la frase rituale “Viva Palermo e Santa Rosalia”. rafforza i legami di solidarietà tra i membri. A tal L’applauso della folla sancisce e legittima così la proposito, la spiegazione dei riti va ricercata ben condivisione ma anche il risultato che si ottiene oltre la semplice osservazione metodologica, proclamando così la “riuscita” della festa la sera del
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In tutte le società si riscontra la tendenza a creare usanze e riti, proiettarne le origini nel passato e a considerarli o a renderli tradizionali. Alcuni studi empirici sulla trasmissione del rituale nelle società dimostrano come a signi9icative variazioni nel tempo possa associarsi la credenza che la tradizione sia stata rigorosamente conservata nel passato, anche se ora rischia di andar perduta. I riti possono essere considerati un veicolo per trasmettere idee ed esperienze ai membri di una comunità. Il rituale ha un ruolo importante nella conservazione e nella trasmissione della cultura. Riscontrabile e visibile nella mia ricerca sociologia ed etnogra9ica con la presenza di soggetti, bambine, che vestono ad immagine della santa. Ripercorrono la storia attraverso i cantastorie durante i Triun;i cantati davanti le edicole votive. Attraverso la partecipazione ai riti, i membri di una società apprendono valori e conoscenze importanti per la comunità e in questo caso il rito posto in analisi può essere considerato una forma di condizionamento sociale sia nelle percezioni, interpretazioni, che dei Figura 10. Mandamento Castellammare. Edicola votiva. Foto di R. M. Salerno, 2017. comportamenti individuali che si possono identi9icare nelle forme di riattraverso l’approccio funzionalistico/deterministico funzionalizzazione del territorio (ad esempio la che designa i riti come vantaggi adattivi e costruzione dell’edicola votiva sulla facciata trascurando il fattore che le idee, i sentimenti, le principale di una casa privata, che è differente ogni emozioni che creano associazionismo spontaneo — anno dal 2007 al 2015, ad esempio quella di via Gioia dunque all’auto tassazione ai residenti che si Mia e del vicolo Brugnò). associano — sono legati indissolubilmente alle I riti di passaggio segnano gli stadi e i mutamenti credenze e alle interpretazioni dei partecipanti principali nel ciclo della vita, sono identi9icati quasi stessi. Presupporre la conservazione intatta del rito universalmente; la classi9icazione di altri tipi di rito è signi9ica dedurre che vi sia una forma di stabilità resa più dif9icile dal fatto che le motivazioni, gli scopi, sociale, ma la storia fa notare i cambiamenti della gli accenti, tematiche, variano culturalmente. La società stessa e della cultura, le forme adattive e struttura drammatica del rituale viene utilizzata per quelle rivoluzionarie. Dunque, il rito muta non si comunicare un complesso di signi9icati. In questo conserva come era in origine ma si adatta al caso, l’utilizzo di oggetti concreti del rituale dalle cambiamento, come forma elastica si plasma. note di una partitura musicale organizzate in schemi Il linguaggio, il repertorio fatto di simboli e di o strutture al 9ine di evocare idee, atteggiamenti e metafore ed il signi9icato che questi assumono sentimenti, ad esempio propri dei cantastorie ed ri9lettono l’esperienza sociale. Nel caso posto in utilizzati nei Triun;i, ispirano la creazione degli altari analisi, il rito — sia del passaggio del carro, dell’urna, v o t i v i a q u e l l o a r t i s t i c o “ r i t m a t o” d e l l e e del cammino verso il santuario — conserva un rappresentazioni contemporanee come il ;lash mob complesso di signi9icati e di valori che hanno improvvisato per il Festino del 2012. contribuito a preservare l’identità culturale della La prospettiva malinowskiana pone l’accento sul sicilianità, ed in questo caso delle “manifatture” contesto rituale che non interviene su stati emotivi palermitane (dalla maestria del cesellatore, al preesistenti ma li genera: ‹‹I riti dovrebbero servire a ceramista, allo scultore — i quali creano e ricreano placare l’angoscia nelle società in cui gli individui simboli che attraverso i secoli hanno assunto un sono più esposti alle calamità naturali dove la vita valore tale da attribuirne valenza sacrale).
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Figura 11. Interno della Cattedrale, Cappella di S. Rosalia, particolare dei ceri votivi. Foto di Rossana M. Salerno, 2020.
quotidiana presenta un ampio margine di incertezza, quali: le malattie, la fame, la morte›› [22]. In questo caso la creazione apotropaica del primo “carro” raf9igurante la “peste” e del secondo della “cacciata” creati appositamente per il “festino” del 14 luglio del 2007, ci permette di ricollegare l’emozione appropriata e determina l’intensità con cui viene esperita dai partecipanti. Questo percorso creativo conduce ad un forte senso di legame identitario con il territorio. Ma in realtà il rapporto delle attività rituali con la sfera emotiva è ancora più complesso, perché molti riti non sono né la risposta all’angoscia provata dagli uomini di fronte all’ignoto, alla morte e ad altri eventi traumatici, né la causa di ansie e
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paure; i riti suscitano nei partecipanti degli stati di euforia e implicano un senso di appartenenza, di coesione e solidarietà. Non mancano i rituali in cui la componente emotiva è del tutto assente, riti così de9initi emotivamente neutri, ad esempio la preghiera o le offerte alle divinità. La presenza di diverse 9igure sociali che convergono sia all’interno che all’esterno dell’oggetto posto in analisi, conduce ad una forma di interconnessione al paradigma funzionalistico, ispirato al modello dell’organismo biologico, si basa sul fatto che la società costituisce un’unità e le sue istituzioni contribuiscono al mantenimento della coesione sociale. Gli studi più recenti mostrano che i membri
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Figura 12. Tradizionale volantino inneggiante la Santa. Foto di Rossana M. Salerno, 2020.
di una comunità sociale, in questo caso della società palermitana, creano simboli funzionali alla costruzione sociale del territorio attraverso forme rituali che convergono nella 9igura della santa, ne sono esempio gli altarini votivi ma anche il “quadro” che viene portato in processione durante la notte del pellegrinaggio. De9inire il termine di religione ha portato una serie di dif9icoltà tra i principali studiosi dei fenomeni religiosi [23]. Una delle ultime attribuzioni, data da Émile Durkheim si trova solo alla 9ine delle Forme elementari della vita religiosa: «[…] contiene qualcosa d’eterno, destinato a sopravvivere a tutti i simboli particolari in cui il pensiero religioso si è successivamente sviluppato. Non può esistere una società che ad intervalli regolari non provi il bisogno di conservare e rassodare i sentimenti e le idee c o l l e t t i v e c h e n e f a n n o l ’ u n i t à e l a personalità» [24].
L’analisi weberiana, sul ruolo dell’agire religioso dell’etica protestante, sfocia in un’analisi sul divenire della società moderna incentrata su una forza speci9ica: ‹‹il peso del fattore religioso è tale da costituire uno dei principali elementi di quel processo di razionalizzazione che, investendo i diversi campi dell’agire sociale, ha sancito la speci9icità dell’occidente rispetto agli altri processi di civilizzazione›› [25]. Inoltre, Weber, nel capitolo V di Economia e Società si ri9iuta di formulare qualsiasi de9inizione di religione: ‹‹una de9inizione di ciò che la religione “è” non può
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trovarsi all’inizio, ma, casomai alla 9ine di u n’ i n d a g i n e [ … ] n o n d o b b i a m o o c c u p a rc i dell’essenza della religione ma delle condizioni e degli effetti di un determinato genere di agire in comunità›› [26]. Al singolo individuo è lasciata piena responsabilità di condurre la propria vita in conformità con decisioni soggettive. La religiosità e il ruolo degli intellettuali a s s u m o n o u n ’ i m p o r t a n z a c e n t r a l e n e l l a ricostruzione weberiana della storia della religione in cui elemento fondamentale è l’esperienza dell’irrazionalità del mondo. Secondo Weber lo stesso intellettualismo che ha determinato il disincantamento del mondo può concepire gli dei trasformandoli in valori sublimati sulla base di una decisione soggettiva. La religione è dunque una funzione della società e quindi della vita pubblica: ‹‹Con Weber e Troeltsch si giunge all’irriducibilità del fenomeno religioso alle pure funzioni sociali di coesione e legittimazione ed esiste per entrambi la possibilità di un’autonomia del religioso all’interno dei diversi contesti sociali›› [27]. L’idea di religione, dunque, designa un carattere di stretta connessione con la società ma ancor più con le forme di religiosità visibili all’interno di una collettività: ‹‹L’idée de mystère n’a rien d’originel. Elle n’est pas donnée à l’homme, c’est l’homme qui l’a forgée›› [28]. Conclusioni. Per analizzare la dimensione sociologica è necessario cambiare registro ed analizzare il comportamento degli attori sociali: sia quelli istituzionali, sia quelli associativi, sia quelli costituiti dai gruppi informali di devoti. Intorno alla santa, infatti, non si realizzano solo eventi spettacolari, né solo atti devozionali: il ciclo delle tre feste principali dedicato a santa Rosalia, si evidenzia proprio per i diversi attori sociali che vi sono coinvolti. Per quanto formalmente tutti partecipino a tutto è evidente come si realizzi una vera e propria specializzazione delle partecipazioni, che porta il potere civile a sopravanzare in modo pressoché totale quello religioso la sera del festino. Il potere religioso a presiedere in forma totale la processione del 15 luglio, mentre sono le devozioni private a manifestarsi nei vicoli attraverso la costruzione delle edicole votive ed a rendersi visibili la notte del 4 settembre divenendo pellegrini. L’analisi della festa sotto l’aspetto sociologico, dal 2007 al 2015, richiede allora la necessità di osservare i movimenti quantitativi e qualitativi dei diversi attori sociali contemporanei. C’è certamente u n a u m e n t o d e l l e p r o f e s s i o n i c o i n v o l t e nell’organizzazione del festino e qui diventa importante sapere chi viene chiamato e chi decide chi chiamare. Rapporti di potere e 9lussi di lavoro
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Santa Rosalia debordi, dilagando non solo nel pellegrinaggio nella notte del 3 settembre e nel giorno del 4 settembre, ma anche nei vicoli della c i t t à , d a n d o v i t a a m o m e n t i devozionali che non sono — né vogliono essere — minimamente alternativi a quelli che si svolgono nelle strade del centro. Tali momenti devozionali registrano l’esigenza di espressione e di presa di posizione solenne da parte di una fascia estesa di popolazione che vuole, in qualche m o d o , p r e s e n t a r e l a p r o p r i a devozione, ed attivarsi intorno alla celebrazione di un elemento della propria cultura che percepiscono come perfettamente condiviso, uni9icante, ma anche capace di sottolineare, proprio in quanto elemento religioso, un legame con il trascendente che, tramandato dalla tradizione viene riconosciuto come oggettivo. La dimensione religiosa svolge così opera di legame sociale, c h e s i r i n s a l d a i n t o r n o all’organizzazione dell’edicola votiva, e in qualche caso anche della festa stessa, visto che in molte parrocchie, il giorno del 15 luglio viene scelto per la celebrazione della santa nel singolo quartiere. Un tale aspetto presenta ricadute estremamente rilevanti sul piano Figura 13. Interno del Santuario di S. Rosalia sul Monte Pellegrino. Foto di Rossana M. territoria l e. I l decen t ra m en to implicito che si produce in occasione Salerno. della festa. La “gemmazione” di questa in una serie di feste parallele che si svolgono distribuito sanciscono strategie ed alleanze, in simultanea nei vicoli e nelle altre parrocchie, chiamano a raccolta gruppi diversi, decidono il interrompe il processo di concentrazione in aree potere degli organizzatori. Ma accanto all’aumento privilegiate che determina, in gran parte delle altre delle professioni ed alle variazioni della loro aree d’Italia, la crisi degli spazi periferici. tipologia, ci sono anche le trasformazioni negli attori Pertanto se il culto speci9ico di Santa Rosalia non religiosi. La presenza dell’una o dell’altra sembra, almeno in linea di principio, apportare confraternita il giorno della processione, regola i signi9icative novità rispetto a quello degli altri santi rapporti all’interno dell’universo diocesano: si patroni diffuso in tutta Italia, e oggetto di particolare t e s t i m o n i a u n a v i s i b i l i t à , m a a n c h e u n a devozione nell’Italia Meridionale e con caratteri legittimazione. La scelta della curia su chi far s9ilare o propri nelle isole, tuttavia, a causa del rilevante meno, ma anche quella di non far s9ilare nessuno impegno e della forte attenzione mediatica, la festa data la numerosità delle associazioni, risponde ad della santa patrona di Palermo è al centro di una una costante ricerca di equilibrio da parte della serie di attività articolate, intorno alle quali Chiesa di Palermo. La centralità istituzionale della emergono attori sociali diversi. processione del 15 luglio, specialmente dopo i La conclusione è quindi la seguente: più si sviluppa probabili eccessi e le indebite sovrapposizioni della con gli anni la dimensione del contenitore, che sera prima, non può non alimentare la più solerte accoglie e metabolizza i problemi della città mediati delle attenzioni ed il più attento dei rigori. dall’istituzione politica, più si pongono problemi di Esauriti i momenti di visibilità per gli attori compatibilità con la matrice religiosa originaria. istituzionali, è interessante osservare come la festa di
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Bibliografia essenziale e note 1. Secchi B., Territorio, piani;icazione del. In Enciclopedia delle Scienze Sociali – Treccani, Roma, 1996, p. 582. 2. Ivi, p. 584. 3. Ivi, p. 585. 4. Bagnasco A., Spazio, organizzazione sociale dello. In Enciclopedia delle Scienze Sociali – Treccani, Roma, 1996, p. 272. 5. Cfr. Dematteis G., Le metafore della Terra. Feltrinelli, Milano, 1985. 6. Cfr. Bagnasco A., op. cit., p. 272. 7. Cfr. ivi, p. 273. 8. Augé M., Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité. Seuil, Paris, 1992, (trad. it. 2009 Nonluoghi – introduzione a una antropologia della surmodernità. Elèuthera, Milano), p. 59. 9. De Certeau M., Croire: une pratique de la différence, Document de travail. Centro internazionale di semiotica e di linguistica Università di Urbino, 1981, p.106. 10. De Certeau M., La faiblesse de croire. Seuil, Paris 1987 (trad. it. La debolezza di credere - Fratture e transiti del cristianesimo. Città Aperta, Troina (En), 2006, p. 164. 11. Filoramo G., Sacro. In Enciclopedia delle Scienze Sociali - Treccani, Roma, 1996, pp. 549-559. 12. Durkheim É., Le forme elementari della vita religiosa. Newton Compton ed., Roma, 1973. Ed. originale: Les formes élémentaires de la vie religieuse. Le système totémique en Australie. Presses Universitaires de France, Paris, 1973 [1912], p. 166. 13. Isambert F.A., Le sens du sacré. Fête et religion populaire. Minuit, Paris, 1982, p. 32-38. 14. Eliade M., Il Sacro e il Profano. Bollati-Boringhieri. Torino, 1984. Titolo originale: Le sacré et le profane. Gallimard, Paris, 1965, p. 36. 15. Ibid. 16. Ries J., L’homo religiosus, il sacro e il santuario. In, La Sacra Terra Chiesa e Territorio, (a cura di) S. Abbruzzese, F. Demarchi Rimini, ed. Guaraldi, 1995, p. 26. 17. Prandi C., Il Santuario: funzione, storia, modello. In, La Sacra Terra Chiesa e Territorio, (a cura di) S. Abbruzzese, F. Demarchi, Guaraldi, Rimini,1995, p. 50. 18. Durkheim É., op. cit., 1973 [1912], p. 228. 19. Ivi, p. 56. 20. Cfr. Van Gennep A., I Riti di passaggio. Boringhieri, Torino. 1981. (ed. or. Les Rites des passage. Nourry, Paris, 1909). 21. Leach E., La ritualisation chez l’homme par rapport à son développement culturel et social. Gallimard, Paris, 1971, p. 41. 22. Malinowski B., Argonauti del Paci;ico occidentale. Bollati Boringhieri, Torino, ed. or. 1922. 23. La lingua italiana attraverso la de9inizione di G. Devoto designa la parola religione, nell’avviamento alla etimologia italiana, come un derivato astratto di relegere, ossia raccogliere, composto di re-intensivo di leggere, raccolta selezionata di atti rituali (Devoto, G., Oli G. C., Il Devoto-Oli. Vocabolario della lingua italiana. Le Monnier, 2006, p. 352). Nelle scienze umane e sociali nelle religioni primitive predomina la credenza che le ricompense e le punizioni per la buona o la cattiva condotta siano sperimentate in questa vita. Il sociologo Émile Durkheim spiega il concetto di religione in “Les Formes Élémentaires de la Vie Religieuse Le Système Totémique en Australie”: ‹‹una religione è un sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre, cioè separate e interdette, le quali uniscono in un’unica comunità morale, chiamata Chiesa, tutti quelli che vi aderiscono›› (Durkheim É., Le forme elementari della vita religiosa, ed. Meltemi. Roma, 2005. Ed. originale : Les formes élémentaires de la vie religieuse. Le système totémique en
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Australie, Presses Universitaires de France, Paris, 2005 [1912], pp. 39-40). 24. Durkheim É., op. cit., 1973 [1912], p. 424. 25. Weber M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. BUR, Milano, 2006, p. 290. 26. Weber M., Economia e Società. Economia e tipi di comunità. Comunità, vol. II., Torino, 1999. Ed. org. Economie et Société. Librairie Plon, Paris, 1971, p. 105. 27. Abbuzzese S., Sociologia delle Religioni. In Enciclopedia Tematica “Religioni” Jaka Book. Titolo originale dei dizionari Dictionnaire des religions. Plon, 1990, p. 85. 28. Kippenberg H. G., Religione. In Enciclopedia delle Scienze Sociali – Treccani, Roma, 1996, p. 357.
Ulteriori approfondimenti bibliograGici Abbruzzese S., Catholicisme et territoire: pour une entrée en matière. Archives des sciences sociales des religions. n. 107, pp. 5-19,1999. Abbruzzese S., Il posto del sacro. In La via italiana alla postmodernità. Verso una nuova architettura dei valori, R. Gubert (a cura di), Franco Angeli, Milano 2000. pp. 397-455. Abbruzzese S., Demarchi F., La sacra Terra. Chiesa e Territorio. Guaraldi, Rimini, 1995. Adorno T. W., Introduzione alla sociologia della musica. Einaudi, Torino, 2002. Ariés Ph., Les grandes étapes et le sens de l’évolution de nos attitudes devant la mort. Archives de sciences sociales des religions, 39, 1, 1975 pp. 7-15. Augé M., Le sens des autres. Actualité de l’anthropologie. Fayard, Paris 1994, (trad. it 1994 Il senso degli altri. Attualità dell’Antropologia, Anabasi, Milano). Augé M., Le vie en double. Ethnologie, voyage, écriture. Payot, Paris 2011, (trad. it 2011 Straniero a me stesso. Tutte le mie vite di etnologo, Bollati Boringhieri, Torino). Augé M., Tra i con;ini. Città, luoghi, interazioni, Mondadori, Milano, 2007. Boudon R., La logique du social. Hachette, Paris, 1979. Boudon R., Metodologia della ricerca sociologica. Il Mulino, Bologna, 1970. Bourdieu P., L’objectivation participante. En Actes de la Recherche en Sciences Sociales, 150, décembre 2003. Cipriani R., Corpo e religione. Città Nuova, Roma, 2009. Cipriani R., La religione diffusa. Teoria e prassi. Borla, Roma, 1988. Cipriani R., Nuovo manuale di sociologia della religione. Borla, Roma, 2009. Cipriani R., Sociologia del fenomeno religioso. Bulzoni, Roma, 1974. Cipriani R., Sociologia del pellegrinaggio. Franco Angeli, Milano, 2012. Cipriani R., Sud e religione. Dal magico al politico. Borla, Roma, 1990. Demarchi, F., Il territorio come fornitore di referenti simbolici. In Sociologia Urbana e Rurale, 12, 1983, pp. 3-10. Durkheim É., Le forme elementari della vita religiosa. Meltemi, Roma, 2005. Ed. originale: Les formes élémentaires de la vie religieuse. Le système totémique en Australie. Presses Universitaires de France, Paris, 2005 [1912]. Eliade M., Images et symboles. Gallimard, Paris, 1952. Eliade M., Storia delle credenze e delle idee religiose. Sansoni, Firenze, 1990. Eliade M., Trattato di storia delle religioni. Matietti – Universale Bollati - Boringhieri, Torino, 1957. Titolo originale: Traité d’histoire des religions. Payot, Paris, 1948. Filoramo G., Le vie del Sacro. Einaudi, Torino, 1994. Lanternari V., Antropologia religiosa – etnologia, storia, folklore. Dedalo, Bari, 1997.
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Lanternari V., La grande festa – Vita rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali. Dedalo, Bari, 2004. Nesti A., Il tempo e il sacro nelle società post-industriali. Franco Angeli, Milano, 1997. Prandi C., La religione popolare fra potere e tradizione. Franco Angeli, Milano, 1983. Weber M., Sociologie des religions. Gallimard, Paris, 1996.
SitograGia www.comune.palermo.it www.comune.palermo.it/391_festino.php
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LE EPIDEMIE NELLA STORIA /2 La peste Giusi Sanci*
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econdo antiche testimonianze la peste esisterebbe da tempi immemorabili negli altopiani dell'Asia centrale, tra India e Tibet, c h e r a p p r e s e n t e r e b b e r o l a c u l l a dell'infezione. La prima pandemia di peste certa è quella cosiddetta di Giustiniano che nel VI secolo in@ierì nell'area del Mediterraneo causando la perdita del 25% della popolazione. Da qui si espanse in Oriente per poi colpire nuovamente il Mediterraneo nei due secoli successivi. La grande peste del Medioevo — la peste nera di cui narra Boccaccio — costituisce la seconda pandemia. Giunta dall'India si stabilì nelle regioni mediterranee da dove si diffuse tra il 1346 e il 1353 in tutta Europa, facendo circa 25 milioni di vittime. Fu proprio questa seconda ondata che ebbe effetti devastanti sulla popolazione mondiale. Il nome le fu attribuito per via delle macchie nere che comparivano sulla pelle del malato: si tratta di piccole placche cancrenose che si formano intorno alle punture delle pulci che iniettano nell'organismo il germe letale. Il secondo ciclo di peste continuò a causare epidemie che cessarono solo nel 1800. Se all'epoca medici e autorità sanitarie non possedevano conoscenze suf@icienti per identi@icare la causa e quindi i rimedi, oggi è risaputo che la peste è causata dal batterio Yersinia pestis trasmessa all'uomo dalla pulce (Xenopsylla cheopis) del topo che passando da mammifero a mammifero contribuisce alla diffusione. Il contagio può avvenire anche tramite contatto con @luidi corporei di animali o esseri umani infetti. Il bacillo della peste venne isolato da Alexander Yersin, un batteriologo francoelvetico, in contemporanea con Kitasato, a Hong Kong, nel 1894. Mentre Simson riscontrò il bacillo nei ratti morti e ipotizzò la trasmissione attraverso le pulci. La peste è arrivata in Europa in ondate successive seguendo le rotte del commercio delle pelli. L'origine sarebbe la regione detta "Terra delle Tenebre" sul @iume Kama, af@luente del Volga, nella Russia orientale, e centro importante di produzione ed esportazione delle pelli oltre che area endemica di Y. pestis. Nel Medioevo diverse rotte commerciali, sia via terra che via mare, collegavano questa zona con i principali porti del Medio Oriente, del Mar Nero e dell'Europa, rappresentando facili corridoi attraverso cui i ratti infetti che viaggiavano insieme
a l l e m e rc i , p o teva n o portare il batterio in Europa. La peste infatti colpisce in particolare i ratti: la trasmissione dell'infezione da animale ad animale e da questo all'uomo si veri@ica di solito attraverso le pulci dei ratti, che pungono l'uomo solo in mancanza del loro ospite preferito, di solito quando si veri@ica una moria di questi roditori. Già nell'antichità si sapeva che la moria o la sparizione di topi precedeva la comparsa della peste. Quando si veri@ica una grande moria di topi infatti molte e affamatissime pulci cercano nuovi ospiti su cui nutrirsi. Y. pestis si moltiplica molto rapidamente (circa 1h) causando una setticemia fulminante. Prima di morire l'individuo contagia con la tosse i familiari e col sangue le pulci. Dopo un periodo di incubazione di 3-12 giorni, si ha un'insorgenza brusca con brividi, febbre elevata (@ino a 40°C), vomito, diarrea, delirio, aumento di volume del fegato e della milza. Nell'uomo, secondo gli organi colpiti, si distinguono due forme cliniche: la peste bubbonica e la peste polmonare. La peste bubbonica, imputabile alla penetrazione del bacillo nell'organismo per via cutanea, è la più frequente e interessa in modo particolare le linfoghiandole cervicali, ascellari e inguinali che assumono l'aspetto di un grosso bubbone. Spesso il quadro si complica con una sindrome emorragica o setticemica. La peste polmonare, dovuta alla penetrazione diretta del bacillo attraverso le vie respiratorie, si manifesta come una polmonite estremamente contagiosa e grave, ed è responsabile di epidemie di proporzioni catastro@iche. In pochi decenni provocò tali danni che la popolazione dell'Europa diminuì con molta probabilità di circa un terzo. L'impatto della peste in Europa ebbe conseguenze psicologiche, economiche e culturali. Si sgretolarono rapporti sociali e familiari. In un clima di isteria collettiva si cercarono i "colpevoli" del contagio (solitamente fra gli emigrati, i diversi e gli ebrei). Durante l'epidemia i superstiti erano terrorizzati e vedevano in chiunque si avvicinasse un potenziale
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Apotheca & Storia pericolo. Spesso in quel clima di terrore anche madri, fratelli o @igli p o t e v a n o e s s e r e v i s t i c o m e pericolosi e quindi allontanati. C o m i n c i ò a s c a r s e g g i a r e l a manodopera, così i lavoratori (contadini, operai, artigiani) ottennero migliori condizioni di lavoro e salari più alti. Divenne più aspro l'antagonismo fra ricchi e poveri e si diffuse un risentimento sociale che pochi decenni dopo esplose in rivolte disperate. Visto il continuo presentarsi dell'epidemia, le autorità cittadine adottarono misure per prevenirle e per limitarne gli effetti. Milano fu una delle città a muoversi in tal senso, istituendo un uf@icio di sanità permanente nel 1450, e realizzando il lazzaretto di San Gregorio nel 1 4 8 8 . Ve n n e r e g o l a m e n t a t o l ' a c c e s s o a l l e c i t t à , l'approvvigionamento di cibo, di acqua e di altre merci; vennero previste norme per il seppellimento d e i c a d a v e r i e p r o i b i t e l e manifestazioni pubbliche e le processioni religiose; vennero chiusi i locali pubblici e gli esercizi sospetti. Ogni qual volta vi fosse u n ' a v v i s a g l i a d i u n a n u o v a epidemia, si prese l'abitudine di limitare il movimento di merci e di persone, istituendo quarantene, certi@icati sanitari e migliorando le condizioni igieniche delle città. Dal momento che le cause reali della Figura 1. Paulus Fürst. Il medico della peste. Acquaforte, 1656. m a l a t t i a e l e m o d a l i t à d i a tesa larga e un pronunciato becco di fronte a naso e trasmissione erano ancora ignote, si credeva che la bocca all'interno del quale venivano inseriti @iori trasmissione avvenisse dal cattivo odore emanato dai secchi, lavanda, timo, mirra, ambra, foglie di menta, corpi degli appestati. Durante i periodi di epidemia i canfora, @iori di garofano, aglio e spugne imbevute di medici erano in prima @ila, e quelli che prestavano le aceto. Tutti questi elementi costituivano un @iltro e loro attività nei lazzaretti erano più esposti al avrebbero dovuto ridurre al minimo il rischio di contagio e venivano mal visti dalla popolazione, contagio attraverso l'aria. L'inventore di questo perché considerati potenziali fonti di contagio. paramento protettivo che comprendeva appunto Durante i periodi di peste, il medico adottava mantello, guanti, cappello, lenti e bastone per toccare ovviamente misure di protezione individuale, tra cui da lontano gli ammalati, fu il medico francese Charles la maschera con il classico becco adunco, e un de L’Orme. vestiario che copriva la maggior parte del corpo. I medici della peste erano dei dipendenti pubblici Durante la pestilenza, il medico si teneva a distanza assunti dai villaggi o dalle città quando una dagli appestati e @iutava il pomus ambrae, spugna o pestilenza colpiva la popolazione. I loro compiti garza imbevuta di odori per puri@icare l'aria erano quelli di alleviare le sofferenze degli appestati respirata e contenuta nel becco. e compilare il libro pubblico con le ultime volontà dei L'abito del medico della peste era caratterizzato da m o r i b o n d i . M a e r a n o a n c h e c o l o r o c h e un lungo camice nero in tela cerata, guanti, cappello
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Apotheca & Storia
Figura 2. Bibbia di Toggenburg, 1411. Ammalati di peste.
trasmettevano la memoria storica degli eventi. Erano gli unici che potevano girare liberamente per le città, nelle quali vigeva il coprifuoco perenne con pena di morte. I malati venivano tutti trasportati nel lazzaretto, mentre tutti quelli che avevano avuto rapporti con loro erano messi in quarantena, molto spesso in uno spazio adibito e separato. Il terzo ciclo di epidemia di peste ebbe inizio alla @ine del XIX secolo con localizzazione ad Hong Kong e Bombay, ma non risparmiando i grandi porti internazionali come S. Francisco. Nel 1910 la peste era presente in tutti i continenti ad eccezione dell’Australia, e solo dopo il 1920, grazie al regolamento internazionale, il terzo ciclo fu messo sotto controllo. Attualmente si veri@icano casi sporadici, ma Yersinia pestis è considerato un potenziale agente per azioni di bioterrorismo. La peste fu utilizzata come arma biologica già nel 1346 durante l'assedio di Kaffa in Crimea, in cui venivano catapultati all'interno della città i corpi di individui morti di peste. Anche i giapponesi sperimentarono la peste sui prigionieri di guerra causando migliaia di vittime e diffondendo la peste in Cina, gettando pulci infette contenute in bombe di argilla. I russi inoltre riuscirono a
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Theriaké
preparare una forma aerosolizzata, che poteva essere lanciata anche con i missili intercontinentali.
Bibliografia e sitografia 1. Grande Enciclopedia. Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1976, pp. 98-99. 2. Ellis O., A Hystory of Fire and Flame. Kissinger, 2004, p. 202. 3. Martin S., The Black Death. Book Sales, 2009, p. 121. 4. Le malattie infettive nella storia dell'umanità. Istituto Italiano Edizioni Atlas: www.edatlas.it 5. Hatcher J., La morte nera, storia dell'epidemia che devastò l'Europa nel Trecento. Milano, Bruno Mondadori, 2009, p. 352. 6. Naphy W., Spicer A., La peste in Europa. Il Mulino 2006, p. 47.
Anno III n. 28 – Luglio – Agosto 2020
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