Theriaké Novembre/Dicembre 2021

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Theriaké Anno IV n. 36 Novembre - Dicembre 2021

Theriaké [online]: ISSN 2724-0509

RIVISTA BIMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE GIOVANI FARMACISTI DI AGRIGENTO

JÉRÔME LEJEUNE La scoperta della trisomia 21 e la ricerca di una cura per la sindrome di Down di Pierluigi Strippoli

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL NASCITURO di Ignazio Nocera

LA NATURA ANTI-SOLIDARISTICA DELLA PROPOSTA EUTANASICA Il punto di vista bioetico di Giulia Bovassi

IL DIFFICILE COMPITO DI INSEGNARE LA CHIMICA di Margherita Venturi

CARAVAGGIO Introduzione al suo “enigma” (II parte) di Rodolfo Papa

EDUCARE ALLA BELLEZZA Scalata o iniziazione? di Ciro Lomonte

UNA NUOVA SALA DELLE STAMPE di Irene Luzio

LA SCOPERTA DELLA VITAMINA A di Giusi Sanci


Sommario

4 Genetica

JÉRÔME LEJEUNE

La scoperta della trisomia 21 e la ricerca di una cura per la sindrome di Down

10 Bioetica

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL NASCITURO

20 Bioetica

LA NATURA ANTI-SOLIDARISTICA DELLA PROPOSTA EUTANASICA Il punto di vista bioetico

30 Scienza & Didattica

IL DIFFICILE COMPITO DI INSEGNARE LA CHIMICA

40 Delle Arti CARAVAGGIO

Introduzione al suo “enigma” (II parte)

48 Cultura

EDUCARE ALLA BELLEZZA Scalata o iniziazione?

56 Cultura

UNA NUOVA SALA DELLE STAMPE

60 Apotheca & Storia

LA SCOPERTA DELLA VITAMINA A Responsabile della redazione e del progetto gra1ico: Ignazio Nocera Redazione: Valeria Ciotta, Elisa Drago, Rossella Giordano, Christian Intorre, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Carmen Naccarato, Silvia Nocera, Giusi Sanci. Contatti: theriake@email.it Theriaké via Giovanni XXIII 90/92, 92100 Agrigento (AG). In copertina: Michelangelo Merisi da Caravaggio, I bari. 1595-1596, Kimbell Art Museum, Fort Worth (Texas). Questo numero è stato chiuso in redazione il 19 – 12 – 2021 In questo numero: Giulia Bovassi, Ciro Lomonte, Irene Luzio, Ignazio Nocera, Rodolfo Papa, Giusi Sanci, Pierluigi Strippoli, Margherita Venturi.

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Collaboratori: Pasquale Alba, Giuseppina Amato, Carmelo Baio, Francisco J. Ballesta, Vincenzo Balzani, Francesca Baratta, Renzo Belli, Irina Bembel, Paolo Berretta, Mariano Bizzarri, Elisabetta Bolzan, Paolo Bongiorno, Samuela Boni, Giulia Bovassi, C. V. Giovanni Maria Bruno, Paola Brusa, Lorenzo Camarda, Fabio Caradonna, Carmen Carbone, Alberto Carrara LC, Letizia Cascio, Matteo Collura, Alex Cremonesi, Salvatore Crisafulli, Fausto D'Alessandro, Gabriella Daporto, Gero De Marco, Irene De Pellegrini, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù, Gaetano Di Lascio, Danila Di Majo, Claudio Distefano, Vita Di Stefano, Carmela Fimognari, Luca Matteo Galliano, Fonso Genchi, Carla Gentile, Laura Gerli, Mario Giuffrida, Andrew Gould, Giulia Greco, Giuliano Guzzo, Ylenia Ingrasciotta, Maria Beatrice Iozzino, Valentina Isgrò, Pinella Laudani, Anastasia Valentina Liga, Ciro Lomonte, Roberta Lupoli, Irene Luzio, Erika Mallarini, Diego Mammo Zagarella, Giuseppe Mannino, Massimo Martino, Carmelo Montagna, Giovanni Noto, Roberta Pacidici, Roberta Palumbo, Rodolfo Papa, Marco Parente, Fabio Persano, Simona Pichini, Irene Pignata, Annalisa Pitino, Valentina Pitruzzella, Renzo Puccetti, Carlo Ranaudo, Lorenzo Ravetto Enri, Salvatore Sciacca, Luigi Sciangula, Alfredo Silvano, Pierluigi Strippoli, Gianluca Tridirò, Emidia Vagnoni, Elena Vecchioni, Fabio Venturella, Margherita Venturi, Fabrizio G. Verruso, Aldo Rocco Vitale, Diego Vitello.

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Architettura in Farmacia

PROGETTO

PRODUZIONE

CONTRACT

PHARMATEKNICA è specializzata nella progettazione e produzione di arredamenti espositivi e tecnici su misura per la farmacia; partner WILLACH nella commercializzazione di cassetti per farmaci da banco e a colonna, utilizza superfici in HI-MACS, KRION, FENIX. I materiali utilizzati sono conformi agli standard ambientali. Oltre alla produzione di arredi, pharmateknica, si pone come interlocutore unico “general contractor” per la realizzazione o ristrutturazione della Vostra farmacia.

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Genetica

JÉRÔME LEJEUNE La scoperta della trisomia 21 e la ricerca di una cura per la sindrome di Down Pierluigi Strippoli*

Figura 1. Gruppo di ricerca del prof. Lejeune alla fine degli anni ’60. Seduta alla sinistra di Lejeune la prof.ssa Maria Zannotti.

C

hi cerca trova. Quando Jérôme Lejeune nel 1958, a soli 32 anni, si accorge che nelle cellule dei bambini con sindrome di Down c'è un cromosoma 21 in più e pensa: "Ho trovato!", ha trovato quello che in effetti stava cercando Win da quando sei anni prima, per aver preso la metropolitana di Parigi nel senso sbagliato, aveva perso l'esame per entrare nella scuola di specializzazione in Chirurgia e si era ritrovato in Pediatria, dove il suo maestro Raymond Turpin visitava molti bambini con sindrome di Down, chiamata all'epoca "mongolismo". Il giovane medico aveva intuito che bisognava capire "perché sono così", come aveva scritto alla futura moglie Birthe

poche settimane prima di sposarla, nel 1952. E sarà proprio lui a comprendere l'origine cromosomica della sindrome, all'epoca ancora attribuita, dalle persone comuni così come dagli studiosi, a problemi dei genitori: tubercolosi, siWilide, alcolismo, "immoralità". Lo storico articolo che dimostra la causa effettiva della sindrome di Down, la più frequente forma costituzionale di disabilità intellettiva, uscirà nel 1959, Wirmato da Lejeune insieme a Turpin e a Marthe Gautier. Nell'articolo viene dimostrato che le persone con sindrome di Down hanno una molecola di DNA in eccesso: possiedono tre copie del cromosoma 21 (trisomia 21), invece delle due normalmente presenti.

*Laboratorio di Genomica del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna.

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Genetica

Nato a Montrouge, presso Parigi in Francia, il 13 nel 1969 gli viene assegnato il Premio William Allan, Giugno del 1926, Lejeune, dopo la laurea in Medicina il più prestigioso riconoscimento nell'ambito della nel 1951, compì le prime osservazioni cliniche nel Genetica. reparto del prof. Turpin, specializzandosi anche in Il prof. Lejeune credeva fermamente nella possibilità Genetica e Biochimica. Nel 1952 sposa la danese di trovare una terapia per la sindrome di Down e per Birthe Bringsted, da cui avrà cinque Wigli. le altre forme di disabilità intellettiva di origine Con la scoperta del 1959 viene fondata la genetica cromosomica. La convinzione che la diagnosi fosse la medica moderna, in quanto per la prima volta un premessa per una possibile terapia lo porterà alla sintomo clinico viene correlato ad una speciWica emarginazione da parte del mondo accademico, in alterazione del materiale genetico. Inoltre la malattia cui prevaleva invece l'opinione che la diagnosi in età viene ricondotta ad una mutazione genetica prenatale fosse utile soprattutto ai Wini dell'aborto spontanea e imprevedibile che ha frequenza costante selettivo. Le riWlessioni del prof. Lejeune sulla in tutte le popolazioni della Terra, perdendo ogni sindrome di Down abbracciano un arco di più di 40 connotazione negativa di tipo "morale"; il termine anni, dalle prime osservazioni del 1953 sulle pieghe "mongolismo" viene quindi bandito dalla Medicina. cutanee delle palme delle mani dei bambini trisomici Diventa anche possibile studiare in dettaglio il Wino agli ultimi lavori del 1994. Da questa profonda meccanismo della sindrome, ossia come faccia il conoscenza del problema, clinica e scientiWica, cromosoma 21 in eccesso a determinare i sintomi, in scaturiva la ferma convinzione di Lejeune che una vista di un possibile intervento farmacologico di cura terapia in grado di attenuare la disabilità intellettiva dei sintomi. associata alla trisomia 21 potesse essere trovata. Nell'arco di pochi anni Lejeune descrive altre Sosteneva infatti: anomalie cromosomiche, « L a t r o v e r e m o . È tra le quali la sindrome i m p o s s i b i l e c h e n o n del cri du chat (sindrome «[…] per la prima volta un sintomo clinico a trovarla. È del grido di gatto), così viene correlato ad una specifica alterazione riusciamo una impresa intellettuale chiamata per il pianto del materiale genetico. Inoltre la malattia meno difWicile che spedire caratteristico di questi un uomo sulla luna. Se viene ricondotta ad una mutazione genetica neonati e dovuta alla trovo come guarire la spontanea e imprevedibile che ha frequenza perdita del braccio corto trisomia 21, allora si costante in tutte le popolazioni della Terra, del cromosoma 5. aprirà la strada verso la Nei tanti anni di attività, perdendo ogni connotazione negativa di guarigione di tutte le altre lo scienziato ebbe modo m a l a t t i e d i o r i g i n e tipo "morale" […]» di promuovere l'uso genetica». dell'acido folico per la p reve n z i o n e d e l l a s p i n a b i W i d a , u n a ra ra Continuò a studiare e lavorare a questo scopo, con malformazione della colonna vertebrale che colpisce poche risorse, scrivendo al riguardo molti lavori il feto. I risultati della sua ricerca clinica e scientiWica originali che conservano a distanza di decenni una sono documentati in numerose pubblicazioni su sorprendente attualità, anticipando temi quali la diverse sindromi cromosomiche (monosomie, applicazione della teoria dell'informazione alla trisomie, delezioni e traslocazioni autosomiche; genetica e la biologia dei sistemi. Tenne relazioni sindromi di Klinefelter, di Turner e X-fragile; scientiWiche e conferenze in tutto il mondo, mosaicismi). Alla guida dell'unità di citogenetica incontrando moltissime persone. I suoi contributi clinica dell'Hôpital Necker-Enfantes Malades di scientiWici riguardarono anche lo studio degli effetti Parigi, Lejeune esaminò, con il suo gruppo, oltre sulle radiazioni delle cellule. Fu consulente delle 30.000 cariotipi, seguendo più di 9.000 persone con Nazioni Unite come esperto sulle radiazioni atomiche disabilità intellettiva. Il prof. Lucien Israel, oncologo e incontrò Leonid Breznev, capo di stato dell'Unione dell'Università di Parigi, ebbe in seguito a dichiarare: Sovietica, per illustrare le conseguenze dell'uso delle «Era leggendario il rapporto che il prof. Lejeune armi nucleari. aveva con i suoi pazienti». Nel 1974 entrò a far parte della PontiWicia Accademia Nel 1964 viene creata all'Università di Parigi, e delle Scienze, mentre nel 1983 fu eletto afWidata al Prof. Lejeune, la prima cattedra di all'Accademia Francese di Medicina. Nel 1994 Genetica fondamentale. A motivo delle sue rilevanti Giovanni Paolo II, di cui Lejeune era molto amico, scoperte nell'ambito della genetica e della medicina, creò la PontiWicia Accademia per la Vita e chiese a Lejeune riceve lauree honoris causa, onoriWicenze e Lejeune di esserne il Presidente. premi. Nel 1962 riceve il Premio Kennedy dalle mani Vicino al compimento dei 68 anni, morì a Parigi il 3 del Presidente degli Stati Uniti John Kennedy, mentre Aprile del 1994 per un tumore polmonare. Durante il

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funerale, Bruno, un giovane con sindrome di Down, si impossessò del microfono per dichiarare: «Grazie, mio caro professor Lejeune di quello che hai fatto per mio padre e per mia madre. Grazie a te, sono Wiero di me». Si venne poi a sapere che era il bambino il cui esame dei cromosomi, trentacinque anni prima, aveva permesso a Lejeune di scoprire la trisomia 21. Il 25 Febbraio 1997 è stato aperto a Parigi il processo di beatiWicazione di Jérôme Lejeune. L'11 Aprile 2012 si è conclusa, nella cattedrale parigina di NotreDame, la fase diocesana del processo, ora trasferito a Roma. Il 21 Gennaio 2021 la Chiesa cattolica ha riconosciuto le virtù eroiche del prof. Lejeune, dichiarandolo Venerabile. La sindrome di Down è la più comune anomalia genetica umana, e si riscontra in 1 su 700 nati vivi. Le p e r s o n e c o n s i n d ro m e d i D o w n s o f f ro n o in particolare di disabilità intellettiva, sebbene affettività e socialità siano perfettamente conservate, anzi, è nota la loro capacità di suscitare intorno a sé un clima di intensità affettiva più grande del normale. Con la scoperta di Lejeune diventava anche possibile studiare in dettaglio il meccanismo della sindrome, ossia come faccia il cromosoma 21 in eccesso a determinare i sintomi, in vista di un possibile intervento, attualmente cercato da un numero limitato di gruppi di ricerca. Avevo già sentito parlare di Lejeune alla Wine degli anni '90, dalla prof.ssa Maria Zannotti dell'Università di Bologna, che era stata sua allieva a Parigi alla Wine degli anni '60. In una bellissima foto (Figura 1) lei è seduta alla sinistra del Prof. Lejeune, durante la riunione del mattino, foto che così lei ha commentato, restituendo il ricordo della Scuola creatasi intorno al grande genetista: «Il prof. Lejeune faceva il giro dei locali, ad esempio il locale di lavaggio del materiale di laboratorio, e salutava tutti per nome (“Bonjur Madame"). L’attività

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iniziava alle 9 del mattino. I tabelloni visibili nella foto, sul tavolo, sono di formica, in ognuno stavano appoggiati due fogli con i cariotipi ricostruiti da noi. Il giorno prima, tutti i frequentanti estraevano i cromosomi già ritagliati da carta fotograWica da un sacchettino, forniti dal Laboratorio FotograWico della Facoltà, posto nelle vicinanze, in Rue de l'École-deMédecine. Il Laboratorio era nell’Hôpital Enfants Malades, attiguo all'ospedale Necker. Tutti quelli che andavano ad imparare la citogenetica ricostruivano il cariotipo e Wirmavano il foglio. Al mattino faceva la correzione (“Perché questo l’hai messo lì?"), Winita la quale si procedeva all’incollamento passando una striscia di scotch opaco, che andava diselettrizzato prima dell’uso stroWinando la parte esterna sul mento, o avrebbe attirato i cromosomi. Noi stessi attaccavamo le Wile di cromosomi, anche lavorando sui cariotipi degli altri. C’era molto da fare. Non c’era ancora il bandeggio. Si lavorava solo su forma e dimensioni, e sul rapporto tra braccio lungo e corto dei cromosomi. Il prof. Lejeune faceva le correzioni tutte le mattine».

Insieme alla prof.ssa Zannotti avevo iniziato nel 1998 uno studio del cromosoma 21, tuttavia verso il 2010 lo stavo chiudendo, per mancanza di motivazioni e di fondi. In seguito alla partecipazione ad un congresso a Parigi nel 2011 ed alla riscoperta fortuita della vita e dell'opera di Lejeune, grazie all'amicizia con i ricercatori Ombretta Salvucci e Mark Basik, ho ricevuto il consiglio, direttamente dalla moglie del grande genetista e pediatra, di "vedere i bambini". Ho così avuto il privilegio di venire a contatto con la ricchezza costituita da queste persone e dai loro genitori, i quali testimoniavano come, dopo un comprensibile shock iniziale, il Wiglio si fosse via via imposto come il centro affettivo della famiglia, rendendola più unita, facendo riscoprire le cose essenziali della vita, diventando fonte di scoperte inattese ("Vedrà, vedrà", diceva Lejeune). Da qui la ripresa con tutte le forze della nostra ricerca scientiWica ispirandoci al pensiero scientiWico di Lejeune, che pensava che i problemi cognitivi originassero da un disturbo del metabolismo. Per questo passava dall'ambulatorio, dove lavorava al mattino testimoniando la accettazione senza riserve del bambino, così com'era, al laboratorio, dove nel pomeriggio faceva ricerca per trovare un trattamento che permettesse ai bambini con trisomia 21 di esprimere tutto il proprio potenziale frenato da un limite biologico, da un difetto di scorrimento di "ingranaggi" di natura biochimica. Abbiamo pertanto lanciato nel 2014 uno studio sistematico della sindrome di Down mirato alla integrazione di dati clinici, cognitivi, biochimici, genetici e bioinformatici allo scopo di identiWicare nuove possibilità di cura per la disabilità intellettiva associata a questa forma di trisomia. Il progetto costituisce, a nostra conoscenza, la più ampia ricerca

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scientiWica integrata clinico-sperimentale sulla sindrome di Down condotta in Italia, mirata a permettere la piena espressione delle grandi potenzialità delle persone con trisomia 21, la cui espressione è come "bloccata" da un meccanismo certamente innescato dal cromosoma in più. Lo studio riguarda al momento 230 bambini con trisomia 21, con ricadute possibili su tutte le persone con trisomia 21 (38.000 solo in Italia, 6 milioni nel mondo). Il nostro gruppo di ricerca opera nel Laboratorio di Genomica del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell'Università di Bologna, diretto Wino al Maggio 2021 dal prof. Mauro Gargiulo e attualmente diretto dal prof. Gianandrea Pasquinelli. La dott.ssa Chiara Locatelli, dell'Unità Operativa di Neonatologia - Policlinico S. Orsola-Malpighi, diretta dal prof. Luigi Corvaglia, è succeduta come referente clinico della ricerca al prof. Guido Cocchi dell'Università di Bologna. Il progetto è svolto in collaborazione con altri centri a livello nazionale ed internazionale. In particolare, le valutazioni cognitive sono svolte, in collaborazione con l'Università di Padova, dal gruppo del prof. Renzo Vianello e della prof.ssa Silvia Lanfranchi, che include le dott.sse Sara Onnivello e Francesca Pulina. Tante sono state le ricadute impreviste generate da q u e s t o p r o g e t t o : i n n a n z i t u t t o , u n a f o r t e

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collaborazione tra ricercatori e clinici, che ha anche portato al consolidamento dell'attività assistenziale svolta da quasi 40 anni dal prof. Guido Cocchi a favore di bambini e ragazzi con trisomia 21, provenienti dall'Emilia-Romagna e da tutta Italia, presso il Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna, attività che ora prosegue grazie alla dottoressa Locatelli. Dal punto di vista della ricerca sperimentale, si è formato un gruppo di ricerca costituito in prevalenza da giovani ricercatrici con forti competenze e grande dedizione a questo tema di ricerca: Lorenza Vitale, Maria Chiara Pelleri, Maria Caracausi, Allison Piovesan, Francesca Antonaros, cui si sono afWiancati dal Novembre 2021 i due dottorandi Beatrice Vione (sperimentale) e Giuseppe Ramacieri (clinico). Abbiamo così potuto sviluppare due intuizioni del prof. Lejeune, pubblicando i relativi risultati su riviste scientiWiche. In primo luogo abbiamo voluto veriWicare, studiando la trisomia 21 parziale, se tra i geni del cromosoma 21 ci fossero davvero "molti innocenti e pochi colpevoli", e abbiamo così osservato che in effetti la "regione critica" strettamente associata alla diagnosi di sindrome di Down corrisponde a meno di un millesimo dell’intero cromosoma 21 umano [1][2]. Inoltre, in accordo con l'ipotesi che la disabilità intellettiva sia essenzialmente conseguente ad uno

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squilibrio del metabolismo, abbiamo dimostrato, in collaborazione con il gruppo della prof.ssa Paola Turano dell'Università di Firenze, che nel plasma dei bambini con sindrome di Down vi sono speciWiche alterazioni metaboliche [3][4]. Secondo un'ipotesi più volte proposta da Lejeune, il ciclo dell'acido folico, facente parte del più generale ciclo dei monocarboni (one-carbon cycle), svolge un ruolo particolarmente importante come substrato biologico dell'intelligenza. Abbiamo potuto confermare questa ipotesi riscontrando una correlazione tra le alterazioni di alcuni metaboliti di questo ciclo e i punteggi ottenuti dai bambini nei test cognitivi [5]. Una alterazione del metabolismo dei monocarboni (ciclo del folato, ciclo della metionina, ciclo della transulfurazione) potrebbe in effetti essere all'origine del danno delle cellule nervose all’origine della disabilità intellettiva. Si apre ora la possibilità di stabilire un nesso tra i geni che rimangono da identiWicare nella "regione critica" del cromosoma 21 e le alterazioni del metabolismo speciWicamente dipendenti da tale sequenza di DNA, di cui cercheremo anche la correlazione con il livello cognitivo. Se questi rimangono gli obiettivi prioritari della ricerca sperimentale, i dati già ottenuti e gli studi di questi anni ci permettono di ipotizzare una possibile strada di terapia biochimica, riequilibrando il ciclo dei monocarboni, perché conoscere i meccanismi di azione associati alla “regione critica” potrebbe richiedere ancora anni: per questo, mentre continuiamo gli esperimenti tesi a chiarire i rapporti tra metabolismo e cromosomoma 21 nella sindrome di Down, vorremmo comunque iniziare a veriWicare l'ipotesi di condurre una sperimentazione clinica nel 2022, con la prospettiva di poter agire su basi razionali per il ripristino di un equilibrio delle alterazioni che abbiamo già dimostrato. A sostegno di questa logica viene ancora una volta in aiuto il pensiero del prof. Lejeune: «La Medicina ci insegna che gli uomini hanno scoperto che la chinina guarisce la malaria molto prima di conoscere la Chimica, e molto prima di avere costruito i l m i c r o s c o p i o p e r v e d e r e i l P l a s m o d i u m falciparum» (Lejeune, Conferenza a Firenze, Novembre 1987).

Un ulteriore importante sviluppo è consistito nella recente e innovativa istituzione a Bologna di un servizio di assistenza per gli adulti con sindrome di Down, estendendo l'esperienza guadagnata con l’attività pediatrica. Il servizio è svolto dal dott. Gian Luca Pirazzoli, sotto la direzione della dott.ssa Aldina Gardellini, Direttore f.f. della Unità di Geriatria dell’Ospedale Maggiore di Bologna. È stata preziosa in merito la collaborazione con il dott. Angelo CarWì,

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responsabile di un servizio di questo tipo presso il Policlinico Gemelli a Roma. In conclusione, tutta la nostra gratitudine va a chi ci ha permesso, sostenendoci concretamente, di lavorare in questi anni. Il Winanziamento di queste ricerche risente, da una parte, della scarsa disponibilità di fondi per la ricerca sperimentale, dall'altra, dell'indirizzamento di molti studi verso la diagnosi prenatale della sindrome, invece che verso la sua cura. Per questo ogni contributo è fondamentale per sostenere la nostra attività di ricerca: di fatto, in questi anni la nostra ricerca è stata sostenuta in larghissima parte da donazioni di privati, fondazioni, associazioni, famiglie, molto spesso in seguito ad eventi di beneWicenza e ad una serie di conferenze che sono state svolte in molte città italiane ed anche in Inghilterra, Stati Uniti, Svizzera ed Austria. Purtroppo il 6 Maggio 2020 ci ha lasciato madame Birthe Lejeune, i cui consigli e incoraggiamenti sono stati fondamentali per l’avvio e lo sviluppo della nostra ricerca. Conoscerla è stato per me un privilegio straordinario e a lei va la gratitudine di tutto il nostro gruppo di ricerca, impegnato a proseguire sulla strada del prof. Lejeune, che lei ha tanto contribuito a far conoscere. Siti web Link al progetto: http://apollo11.isto.unibo.it poi clic su "Le nostre ricerche sulla trisomia 21" (in basso). Link alle pubblicazioni del prof. Lejeune: http://publications.fondationlejeune.org/ CompleteListe.asp Bibliografia 1. Pelleri M.C. et al., Systematic reanalysis of partial trisomy 21 cases with or without Down syndrome suggests a small region on 21q22.13 as critical to the phenotype. Hum Mol Genet. 2016 Jun 15;25(12):2525-2538. doi: 10.1093/ hmg/ddw116. Epub 2016 Apr 22. PMID: 27106104; PMCID: PMC5181629. 2. Pelleri M.C. et al., Partial trisomy 21 map: Ten cases further supporting the highly restricted Down syndrome critical region (HR-DSCR) on human chromosome 21. Mol Genet Genomic Med. 2019 Aug;7(8):e797. doi: 10.1002/ mgg3.797. Epub 2019 Jun 25. PMID: 31237416; PMCID: PMC6687668. 3. Caracausi M. et al., Plasma and urinary metabolomic proRiles of Down syndrome correlate with alteration of mitochondrial metabolism. Sci Rep. 2018 Feb 14;8(1):2977. doi: 10.1038/s41598-018-20834-y. PMID: 29445163; PMCID: PMC5813015. 4. Antonaros F. et al., Plasma metabolome and cognitive skills in Down syndrome. Sci Rep. 2020 Jun 26;10(1):10491. doi: 10.1038/s41598-020-67195-z. PMID: 32591596; PMCID: PMC7319960. 5. Antonaros F. et al., One-carbon pathway and cognitive skills in children with Down syndrome. Sci Rep. 2021 Feb 19;11(1):4225. doi: 10.1038/s41598-021-83379-7. PMID: 33608632; PMCID: PMC7895965.

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Bioetica

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL NASCITURO Ignazio Nocera*

Figura 1. Leonardo da Vinci, Codice Windsor. Studî sull’embriologia. Collezioni reali del Castello di Windsor.

«Q

uando gli ultrasuoni all’inizio degli anni ’70 mi misero di fronte alla vista dell’embrione nell’utero, allora semplicemente persi la mia fede nell’aborto su richiesta» [1]. Così Bernard Nathanson, nella sua biograMia, racconta come cambiò idea, divenendo, da medico abortista, un attivista pro-life. Ciò che prima era nascosto, adesso

può essere visto, e la vista impone alla ragione di prendere atto. Come nella lingua degli antichi greci, οἶδα, ho visto e dunque so. Di fronte alla vista non si può più Mingere. Nathanson ebbe il coraggio di andare Mino in fondo, trovò la forza di fare una scelta che non prescindesse dalla logica. Tuttavia, non sempre è così. Si potrebbe dire infatti che, a volte, l’uomo non abbia Mino in fondo il coraggio di

*Farmacista, studente del ciclo di dottorato presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Ponti<icio Regina Apostolorum - Roma.

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Bioetica

conoscere, e soprattutto che non voglia fare i conti con quello che ha conosciuto. Il motto kantiano sapere aude potrebbe essere applicato alla scienza contemporanea, nel senso di avere coraggio di essere conseguenti, di avere comportamenti conseguenti di fronte all’evidenza dei fatti [2]. Sembrerebbe, piuttosto, che motivi di opportunità, o una qualche utilità, consiglino di asservire la conoscenza della re a l t à a l l a s o d d i s fa z i o n e d e l d e s i d e r i o o all’ottenimento di un determinato vantaggio. La possibilità tecnica di manipolare gli embrioni — di produrli in vitro, fuori dal corpo della donna, di crioconservarli, di utilizzarli per risolvere il problema dell’infertilità, come anche per destinarli alla ricerca e poi alla distruzione — è una presente realtà, con la prospettiva di nuovi ulteriori scenarî, che si aggiunge al problema antico e sempre attuale dell’aborto. Questioni antiche e nuove, dunque, che riguardano l’inizio della vita umana, ci interrogano su come considerare la vita prenatale dell’uomo, sul riconoscimento del suo essere vita umana, vita individuale, vita personale [3]. Ovvero se i concetti di dignità e di persona sono egualmente applicabili al nascituro (embrione-feto) così come al nato. Tali questioni hanno riacceso il dibattito MilosoMico sulla persona e si ripercuotono, con importanti ricadute, nel dibattito pubblico e giuridico, che culmina nella elaborazione delle leggi. Come considerare allora il concepito? Un “giovanissimo essere umano” [4], come lo deMinì il genetista Lejeune, o un “mucchio di cellule” che solo in potenza è un essere umano? EMBRIONE-FETO, “QUALCOSA” O “QUALCUNO”? AfMinché si possa formare un essere umano, è necessario che due cellule chiamate gameti — l ’ ovo c i t a e l o s p e r m a to z o o — , a l t a m e n te specializzate e teleologicamente programmate, si fondano [5]. La fusione è seguita da una fase molto rapida, detta singamia, durante la quale la testa dello spermatozoo si introduce nel citoplasma dell’ovocita [6], così da ristabilire il corredo diploide di 46 cromosomi [7]. Le attività che seguono indicano chiaramente che i gameti non si comportano come entità indipendenti, ma operano come unico sistema funzionale [8]; questo nuovo ente che si è venuto a formare prende il nome di zigote, o embrione ad una cellula. Alcuni autori spostano la formazione dello zigote soltanto al termine della duplicazione del DNA e dell’unione dei cromosomi materni e paterni sulla piastra metafasica [9], e riferiscono con il nome di “ootide” l’ovocita fecondato dallo spermatozoo, con i corredi cromosomici materno e paterno ancora separati [10]. Tale distinzione appare tuttavia

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speciosa, perché sembra voler introdurre il concetto di “pre-zigote”, ovvero di un ovocito fecondato — dunque costituito in unità funzionale — ma da non considerarsi ancora zigote [11]. Come nota il Comitato Nazionale per la Bioetica, la continuità di sviluppo è un principio che va applicato immediatamente dopo la penetrazione spermatica, in quanto vi è una compartecipazione dimostrata di fattori provenienti dall’ovocito e di fattori spermatici alla realizzazione di un processo di sviluppo evidentemente orientato [12]. Essere umano Lo zigote è dunque un ente unitario che evolve secondo un orientamento intrinseco e determinato dal suo genoma [13]. Il corredo genetico conferisce a l l o z i g o t e u n a p r e c i s a i d e n t i t à u m a n a , un’incontestabile appartenenza al genere umano in modo singolare, cioè distinguibile da ogni altro zigote umano [14]. Ogni istante che segue alla singamia rappresenta una fase dello sviluppo graduale di un essere già in atto, capace di autocostruirsi in base al genoma che contiene [15]. Geni posizionali permetteranno alle cellule di posizionarsi lungo gli assi; geni selettori regoleranno la produzione di fattori di trascrizione che, attraverso dei meccanismi di attivazione o di inibizione, andranno a modellare le strutture in formazione; geni realizzatori agiranno nel tempo e nello spazio a formare i tessuti [16]. Il succedersi Minemente regolato di ogni attività biochimica esprime la caratteristica della coordinazione [17]; e non potrebbe esserci coordinazione se non ci fosse unità dell’essere, ovvero se l’embrione fosse un mero aggregato di cellule distinte [18]. La successione degli eventi è altresì continua e graduale, procede cioè senza interruzioni e gradualmente verso la forma Minale, seguendo una legge teleologica intrinseca di sviluppo [19][20]. Non si tratta pertanto, come sostiene Norman M. Ford, di: «un grappolo di cellule individuali distinte, ciascuna delle quali è un individuo vivente centralmente organizzato o una entità ontologica in semplice contatto con le altre» [21].

In un articolo pubblicato nel 2002 sulla rivista Nature, dal titolo Your destiny from day one, si afferma chiaramente che l’embrione precoce non può essere considerato dai biologi come un informe mucchio di cellule: «What is clear is that developmental biologists will no longer dismiss early mammalian embryos as featureless bundles of cells» [22].

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Figura 2. Jérôme Jean Louis Marie Lejeune (Montrouge 1926 - Parigi 1994).

Individuo Pur ammettendo la natura umana dell’embrione nelle prime due settimane — Mino cioè alla comparsa della stria primitiva —, alcuni autori ne contestano il carattere di individuo. Nel 1986 l’embriologa Anne McLaren — che aveva preso parte ai lavori del Comitato Warnock — dichiarò alla rivista Nature che l’uso del termine embrione per il concepito prima del quattordicesimo giorno è improprio, in quanto Mino a quel momento l’embrione non esisterebbe affatto, e suggerì l’uso del termine “pre-embrione”: «[…] the embryo does not exist for the =irst two weeks after fertilization. […] Alternative terms for this mass of cells, and any earlier stage back to the fertilized egg, include conceptus, zygote, pre-embryo and pro-embryo» [23].

Come nota il genetista Angelo Serra, tale affermazione è in sé contraddittoria, infatti: «[…] sulla base di una logica induzione dai dati, non c’è affatto un primo ciclo di 14 giorni di un essere vivente anonimo, geneticamente umano, che termina allo stadio di disco embrionale, seguito da un secondo ciclo di un reale essere umano dal disco embrionale in poi. Al contrario c’è una ininterrotta e progressiva differenziazione di un ben determinato individuo

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umano, secondo un piano unico e rigorosamente deMinito che inizia dallo stadio di zigote» [24].

Vale la pena, a tal proposito, ricordare anche quanto dichiarò Jérôme Lejeune durante il processo di Maryville: «Noi non avevamo alcun bisogno di una sottocategoria deMinita pre-embrione, perché prima dell’embrione non c’è niente. Prima dell’embrione ci sono lo spermatozoo e l’ovulo ed è tutto. E lo spermatozoo e l’ovulo non possono essere un preembrione, poiché non si potrebbe dire quale embrione si otterrà dal momento che non sappiamo quale spermatozoo penetrerà in un dato uovo. Ma una volta che ciò è avvenuto, voi avrete uno zigote che si divide e diventa embrione. È tutto. Credo che questa precisazione sia importante perché alcuni potrebbero ritenere che un pre-embrione abbia un signiMicato diverso da quello dell’embrione. Al contrario, la prima cellula ne sa di più ed è più specializzata, se così posso dire, di qualunque altra cellula che si troverà più tardi nel nostro organismo» [25].

Il parere prevalente nel Comitato Warnock era quello di ritenere l’embrione nelle prime due settimane

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Bioetica difMicile, tuttavia, notare la mancanza di consistenza di questa tesi, dato che è dimostrato che lo scambio di informazioni con la madre inizia prima; inoltre, come dimostrano le stesse tecnologie in vitro, l’individuo embrione può essere formato e svilupparsi anche fuori dal corpo della madre. Per di più, come nota ancora Serra, non si capisce perché debba essere il contatto con la madre a determinare l’appartenenza alla comunità umana [31].

Figura 3. Hugo Tristam Engelhardt Jr. (1941 - 2018).

come un essere umano, ma di non riservare ad esso un rispetto assoluto, bensì da porre in relazione ai beneMicî eventualmente derivanti da un suo utilizzo nella ricerca [26]. Andando ancora oltre, con le affermazioni di McLaren, si giunge al tentativo evidente di inserire un termine ambiguo, preembrione appunto, che, riferito ad una massa di cellule, ne permettesse una più facile manipolazione, priva di implicazioni di carattere etico [27]. L’obiezione più forte mossa al carattere individuale dell’embrione, prima della comparsa della stria primitiva, è legata al fatto che Mino a quel momento è possibile che si veriMichi il fenomeno della gemellanza omozigotica. Sebbene le cause di questo eccezionale fenomeno non siano del tutto chiare — errore indotto geneticamente o dall’ambiente —, esso è simile ad una gemmazione, cioè alla comparsa di un secondo piano di sviluppo, seguito da un deMinitivo distacco del nuovo embrione [28]. Ma è del tutto evidente che il secondo sistema si è originato dal primo, e il primo non ha mai interrotto o mutato il proprio ciclo di sviluppo, conservando la propria individualità [29]. Secondo un’altra opinione, l’embrione non sarebbe individuo Mino al suo impianto in utero, perché, come sostiene Abel, al momento dell’impianto si acquisisce l’informazione proveniente dalla madre, e la coesistenza con essa sarebbe indispensabile per l’appartenenza alla “comunità umana” [30]. Non è

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Persona Da quanto esposto Minora, è possibile affermare che a partire dalla singamia si è venuto a formare un nuovo individuo umano, originato dai gameti parentali, ma del tutto nuovo e unico, che procede nel suo sviluppo senza soluzioni di continuità Mino alla morte. Il suo accrescersi e modiMicarsi è un aspetto che riguarda il divenire e non modiMica la sua essenza; afferisce all’ordine della quantità e non della qualità. Se la qualità dell’essere non muta, e ci troviamo cioè di fronte allo stesso essere [32] — embrione ad una cellula, a quattro cellule, feto, infante, adolescente, adulto, anziano —, allora il suo status di persona emerge Min da subito. Tuttavia, non pochi tra i MilosoMi, i medici e i teologi sono restii a considerare l’embrione appena formato e non ancora impiantato come persona a tutti gli effetti, al pari di un essere umano adulto, perché l’embrione non agisce come quest’ultimo [33]. Nel dibattito contemporaneo sulla persona, molti autori sostengono che un essere umano diventi persona, allorché siano osservabili determinate funzioni minime [34]. La scelta di quali funzioni, tuttavia, Minisce sempre con l’essere arbitraria; e corrisponde, sotto l’aspetto pratico, come sostiene Palma Sgreccia, alla «possibilità di disporre della vita dell’essere umano nelle prime fasi del suo sviluppo» [35]. Fino ad arrivare ai casi più estremi (travalicando la vita prenatale), come l’accusa di “specismo” — cioè di razzismo verso le specie non umane —, mossa da Peter Singer, nei confronti di chi sostiene che gli esseri umani abbiano una dignità speciale rispetto agli appartenenti ad altre specie animali [36]. O, altresì, la ricerca di signa personae [37] fatta dai funzionalisti come H. Tristam Engelhardt Jr., che nel suo noto Manuale di bioetica afferma: «Ciò che distingue le persone è la loro capacità di essere consapevoli, razionali e interessate a meritare la lode e a evitare il biasimo. […] D’altra parte, però, non tutti gli umani sono persone. Non tutti gli umani sono autocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità del biasimo e della lode. Feti, infanti, ritardati mentali gravi e malati o feriti in coma irreversibile sono umani, ma non sono persone. […] Per queste ragioni, in termini laici generali non ha senso parlare di rispetto dell’autonomia per feti,

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Figura 4. Robert Spaemann (Berlino 1927 - Stoccarda 2018).

infanti o adulti gravemente ritardati che non sono mai stati razionali» [38].

[…] non si dà alcun passaggio graduale da “qualcosa” a “qualcuno”» [41].

In questa prospettiva, diventa fondamentale la distinzione tra essere umano e persona [39], e l’essere umano è chiamato a dimostrare di essere a n c h e p e r s o n a , a t t rave r s o l a c a p a c i t à d i autocoscienza e di concepire la possibilità di biasimo e di lode. La distinzione tra esseri umani e persone — anche quando non giunge a conclusioni così drastiche — costringe a mantenere una linea piuttosto ambigua, come nel caso di Michael J. Sandel. Il Milosofo statunitense, infatti, se da un lato sostiene che gli embrioni non siano inviolabili, dall’altro ammette che essi non siano da considerarsi cose a nostra disposizione, ritenendo che si tratti di persone potenziali, ma non ancora in atto [40]. Così facendo però, il rispetto e la tutela, che egli chiede per l’embrione umano, conservano un fondamento piuttosto fragile. E si potrebbe obiettare: come “qualcosa” diventerebbe “qualcuno”? Come osserva il Milosofo Robert Spaemann:

Nella visione personalista ontologicamente fondata, l’uomo è persona Min dall’inizio, a prescindere dal dato quantitativo fornito dallo stadio di sviluppo, o dalla effettiva manifestazione di capacità e funzioni [42]. Viene cioè riconosciuta la presenza di un principio sostanziale, determinato dalla unicità e continuità dell’essere; senza andare alla ricerca di funzioni che, in fasi precoci dello sviluppo, o anche più in là, a causa di impedimenti temporanei o permanenti, mancano. Secondo il personalismo ontologico, è semplicemente “l’esserci” a comunicare la presenza del soggetto, che è già persona in atto con la sua conseguente dignità [43]. Tale impostazione deriva dalla classica deMinizione di persona data da Boezio nel Liber de Persona et Duabus Naturis: «Persona est naturae rationalis individua substantia». In questa deMinizione, la razionalità viene ancorata alla natura della sostanza, e non legata alla capacità di eseguire operazioni [44], questa capacità anzi segue dalla natura dell’essere. Ne deriva che ogni essere umano è persona, e non vi sono esseri umani non-persone. Come nota Spaemann, il termine persona ha avuto, sulla scia di Boezio, il valore di nomen dignitatis, e sulla scia di Kant ha giocato un ruolo centrale nel dare fondamento ai diritti umani [45]. Mentre oggi il

«Per l’appartenenza alla famiglia umana non importano qualità empiriche. O questa famiglia è Min dall’inizio una comunità di persone, oppure il concetto di persona come “qualcuno” che è tale di diritto non è stato ancora scoperto o di nuovo è caduto nell’oblio.

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Figura 5. Natalia Levi Ginzburg (Palermo 1916 - Roma 1991).

suo ruolo si è rovesciato; cioè il concetto di persona è utilizzato per distruggere l’idea che gli uomini possano avere dei diritti in quanto uomini, per sostituirla con l’idea che si abbiano diritti solo se, oltre ad essere uomini, si è anche persone [46]. In questo modo, si può pensare che ci siano vite umane a disposizione, strumenti e non Mini in sé stesse. Riassumendo Non riconoscere come persona l’essere umano a partire dal primo istante della sua esistenza comporta, di necessità, l’introduzione di un criterio di graduale acquisizione di valore della vita umana. Chi porrà l’accento sul momento dell’annidamento dell’embrione, sarà portato a ritenere di poco o di nessun valore l’embrione non impiantato; e dunque eticamente irrilevanti l’uso della contraccezione d’emergenza, la produzione di embrioni in vitro (e i p e r i c o l i a c u i q u e s t i s o n o e s p o s t i ) , l a crioconservazione, o anche l’uso di embrioni a Mini di ricerca. Chi sposterà più in là la soglia minima della dignità umana, o la legherà alla autocoscienza e alla espressione della razionalità, accetterà la possibilità di soppressione del feto, o ne sminuirà il valore. Tutti comunque sono accomunati dall’idea di embrionefeto come persona potenziale, con una dignità in =ieri separata dalla natura umana. MANIPOLAZIONI DEL LINGUAGGIO «Trovo ipocrita affermare che abortire non è uccidere. Abortire è uccidere. Il diritto di abortire deve essere l’unico diritto di uccidere che la gente deve chiedere alla legge» [47].

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Una tale sconcertante sincerità — simile a quella contenuta in queste affermazioni di Natalia Ginzburg — è assai difMicile da trovare nel panorama intellettuale dei sostenitori dell’aborto. La strategia di comunicazione, usata per promuovere l’aborto — e rivelatasi vincente —, è stata, e continua ad essere, di segno opposto. L’uso di un linguaggio appropriato si è dimostrato di fondamentale importanza per normalizzare l’aborto e farlo accettare dall’opinione pubblica. Lo aveva già notato Pier Giorgio Liverani, utilizzando il termine “antilingua”, per indicare una lingua che asseconda «la paura che una parte della cultura odierna ha del signiMicato vero delle parole» [48]. Come sostenuto da Mario Palmaro [49], il primo passo è stato quello di cancellare il concepito. Termini come “uccidere”, “sopprimere” non vengono mai utilizzati e sono sostituiti da espressioni neutre e tecniche a partire da “interruzione volontaria di gravidanza”. Il concepito va espulso dal genere umano e considerato come materiale biologico non determinato. Se la gravidanza è voluta e il Miglio desiderato, è di uso comune l’espressione “aspettare un bambino” [50]; ma quando la gravidanza è indesiderata il bambino smette di essere tale e diventa “mucchio di cellule” o “grumo di sangue” o, c o n m a g g i o r t e c n i c i s m o , “ p r o d o t t o d e l concepimento” [51]. Si va cioè alla ricerca di locuzioni che allontanino dalla mente l’idea che si tratti di una vita umana: il concepito deve essere considerato “qualcosa”. Al contempo, occorre rappresentare l’aborto come “dramma della donna”, onde sottolineare che la

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Figura 6. Aldous Leonard Huxley (Godalming 1894 - Los Angeles 1963). 1957 Bettmann/Getty Images.

donna è l’unica protagonista [52] che vive un dramma e cerca di porre Mine alle sue sofferenze. In questa prospettiva, il diritto alla vita del Miglio deve essere negato («non si può essere costrette a partorire»), negata è l’esistenza del Miglio come tale, e l’aborto stesso diventa un diritto per la donna, in n o m e d e l l a s u a l i b e r t à e d e l l a s u a autodeterminazione. Madre e Miglio vengono posti l’una contro l’altro, ove i desiderî dell’una conMliggono con l’interesse dell’altro. E dopo essersi fatto strada, il concetto di “diritto di aborto” viene a rafforzarsi Mino a divenire inviolabile, perché segno del progresso della società, sebbene sia antitetico al diritto alla vita. “Dramma della donna” indica inoltre che la Migura del padre deve essere tenuta da parte [53], l’aborto è un problema che non deve riguardare il sesso maschile, ed è così in Italia anche di fronte alla legge. Si ricorre poi alle espressioni retoriche di “sconMitta per la società” e di necessità di “socializzare l’aborto”, che si esaurisce poi nell’esecuzione di un intervento a carico della sanità pubblica, senza che però si faccia nulla di concreto per rimuovere le cause dell’aborto. Semplicemente si distoglie lo sguardo, perché tutto si faccia con discrezione, nel silenzio, in strutture autorizzate. Perché infatti l’aborto non è visto come male in sé, è male solo se clandestino, non è un male se fatto a norma di legge [54]. L’atto compiuto è il medesimo, ma la valutazione etica dipende soltanto dal rispetto o meno della norma. Se fuori dalla legge

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è uno scandalo, un crimine, entro la legge non solo è possibile, ma va rivendicato come diritto [55]. E ancora, “contraccezione d’emergenza” o “contraccezione post-coito” indica l’assunzione di preparati attivi Mino a cinque giorni dopo il rapporto sessu a l e, qu indi come se p otesse esserci contraccezione anche dopo il concepimento. Oltre ai già menzionati termini di “ootide” e “preembrione”, sono numerosi gli esempi di come si possa manipolare utilmente il linguaggio per offrire una visione distorta o edulcorata della realtà. ABORTO COME “SALUTE DELLA DONNA” Come rilevato, l’aborto in molti Paesi non è giudicato come un male in sé, ma distinto tra clandestino e legale. Così, ad esempio, nei programmi della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nei quali aborto, strategie di contraccezione e contraccezione d’emergenza vengono associati al tema della salute della donna. Sovente, oggi, parlare di salute della donna signiMica proprio parlare di contraccezione ed aborto. Questo complica il dibattito pubblico, perché il contrasto all’aborto viene di conseguenza visto come un modo di attentare alla salute delle donne. Chi guarda alla vita del concepito, dunque, odia le donne. I programmi dell’OMS [56] sono volti a promuovere l’aborto “libero” e “sicuro”, inserito nel contesto più g e n e ra l e d e l l a c re s c i t a d i u n a m e n t a l i t à contraccettiva, e sono indirizzati specialmente ai

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Paesi in via di sviluppo. Malgrado quanto affermato in alcuni testi normativi — come anche all’art. 1 della legge italiana (194/78) — l’aborto è di fatto uno strumento di controllo delle nascite, rappresentando l’ultima frontiera della contraccezione. Aborto libero e contraccezione costituiscono i pilastri di quella che viene chiamata “procreazione responsabile”, e rientrano nell’agenda dei governi di molti Paesi, quali soluzioni al problema della sovrappopolazione. E che la sovrappopolazione desti notevoli preoccupazioni, ne è prova quanto si può leggere nell’ultima edizione italiana del Goodman & Gilman, il più autorevole testo di farmacologia: «Malthus aveva ragione. […] la scienza medica ha anche cominciato ad assumersi una parte della responsabilità della sovrappopolazione e degli effetti negativi che questo comporta. A questo scopo sono stati sviluppati farmaci sotto forma di ormoni e loro analoghi per controllare la fertilità umana» [57].

Sovviene il racconto distopico di Aldous Huxley, Il mondo nuovo, in cui le donne indossavano le cosiddette “cinture malthusiane” [58]. Durante la pandemia da COVID-19, inoltre, in molte parti del mondo, sono stati presi dei provvedimenti per facilitare ulteriormente l’accesso all’aborto, puntando soprattutto sulle tecniche farmacologiche. In Italia, ad esempio, l’accesso all’aborto farmacologico, dal 12 agosto 2020, è possibile Mino al 63° giorno, e non è più necessario il ricovero ospedaliero, mentre in precedenza era consentito Mino al 49° giorno, con l’obbligo di ricovero in ospedale «Mino alla veriMica dell’espulsione del prodotto del concepimento» [59]. Tanta apparente preoccupazione per la salute della donna denota la propria ipocrisia, allorché vengono nascosti i traumi che possono accompagnare e seguire l’evento abortivo. Infatti, oltre alle eventuali complicanze legate all’intervento chirurgico, e a quelle conseguenti all’assunzione dei farmaci [60], occorre ricordare la sindrome post-aborto [61]. Un disturbo che rientra nella categoria dei disturbi da stress post-traumatico — molto simile alla sindrome dei reduci di guerra, o dei sopravvissuti a calamità naturali — e che può presentarsi anche a distanza di molto tempo, con ansia, senso di colpa, depressione, ideazione suicidaria. Tali sintomi si riacutizzano spesso nella ricorrenza dell’anniversario dell’aborto, o anche in corrispondenza della probabile data in cui sarebbe dovuto avvenire il parto. Occorre molto tempo per superare questo trauma, ed è di fondamentale importanza ricorrere all’aiuto qualiMicato di uno specialista. I percorsi terapeutici si basano sulla elaborazione del lutto [62]; ma se l’embrione è realmente “qualcosa”, perché occorre elaborare un lutto?

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Figura 7. Copertina della prima edizione del 1932 disegnata da Leslie Holland.

Sono noti in letteratura casi in cui l’aborto di uno dei Migli ha determinato conseguenze psichiche sui fratelli già nati [63]. La sindrome post-aborto può colpire anche gli uomini coinvolti, sia che abbiano condiviso la scelta di abortire, sia che vi si siano opposti [64][65]. Va notato inMine che la decisione di abortire, anche nei casi in cui viene presa di comune accordo dagli sposi o dai Midanzati, spesso rappresenta la principale causa di frattura della coppia [65][66]. IL FIGLIO AD OGNI COSTO PianiMicare la propria esistenza, in nome della capacità di autodeterminarsi, può voler dire riMiutare una gravidanza inattesa, o — e converso — desiderare un Miglio a tutti i costi. Il legittimo e nobile desiderio di paternità e maternità fa i conti con l’incremento di incidenza di i n fe r t i l i t à e s t e r i l i t à , d ov u t o s o p ra t t u t t o all’innalzamento dell’età in cui si cerca di avere dei Migli. Le tecniche più frequentemente adoperate, come F I V E T e I C S I , c o m p o r t a n o l a fo r m a z i o n e dell’embrione in vitro, cioè fuori dal corpo della

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madre, ed un successivo trasferimento in utero. È inoltre necessario produrre un numero di embrioni superiore a quelli che verranno effettivamente trasferiti, per aumentare le probabilità di successo della procedura, invero piuttosto basse [68]. I problemi etici derivanti dal ricorso a questi interventi sono molteplici, a cominciare dal frequente pericolo di morte a cui è soggetto l’embrione prodotto. Vi è poi il dilemma riguardante il destino degli embrioni in eccesso, detti soprannumerarî, che vengono crioconservati sine die [69]. L’embrione crioconservato può morire al momento dello scongelamento, o anche durante la fase di crioconservazione, perché nel tempo tende a deteriorarsi [70]. Gli embrioni prodotti possono essere selezionati prima del trasferimento, attraverso una diagnosi preimpianto, in modo da scartare ed eliminare gli embrioni malati [71] — procedura di carattere eugenetico. Nessuna coppia che si afMida alla fecondazione in vitro accetterebbe di ritornare a casa con un Miglio malato [72], sarebbe un disservizio. Frequenti sono le gravidanze gemellari, i nati sottopeso e alto è il rischio di malformazioni a livello cardiaco e genito-urinario (soprattutto con l’uso di ICSI) [73]. Nella procreazione medicalmente assistita, si pone inoltre il problema dell’identità del nascituro, allorché si faccia ricorso ad una fecondazione eterologa o addirittura alla maternità surrogata. In questi casi, l’intimità e l’esclusività della coppia sono profondamente turbate dalla presenza di uno o più donatori di gameti, o anche di una madre surrogante. Possono darsi casi in cui le persone coinvolte nel processo di procreazione arrivino anche a cinque, ipotizzando due donatori, una madre surrogante e una coppia committente. In questa ipotesi l’identità del Miglio è chiaramente compromessa da una donna che ha portato avanti la gravidanza e due genitori biologici, con i quali non potrà avere rapporti, e i genitori che lo hanno voluto, ma che non hanno con lui alcun legame biologico. I soggetti che nascono in contesti analoghi presentano notevoli difMicoltà nella elaborazione del senso di appartenenza ad una famiglia, mancano cioè di radici, e non perché siano rimasti orfani a causa di una disgrazia o per abbandono, ma perché così sono stati chiamati alla vita. La surrogazione della maternità è utilizzata spesso — ma non esclusivamente — da coppie omosessuali. Nella surrogazione di maternità, la provenienza eterologa di entrambi i gameti instaura una gravidanza allogenica che può causare alla gestante le stesse reazioni di rigetto che si osservano nei trapianti d’organo [74]. Le donne che si prestano a questa pratica — attualmente vietata in Italia — sono in gran parte spinte dal bisogno e disposte a

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rischiare la vita. Se la procedura va a buon Mine, il Miglio appena nato viene loro tolto, come da contratto, non avranno più sue notizie e, inMine, negheranno a sé stesse di provare affetto per il bimbo che hanno tenuto in grembo. CONCLUSIONE Un malinteso senso della libertà, la volontà di autodeterminarsi possono spingere l’uomo a fuggire dalla realtà, e respingere le responsabilità che derivano dal suo agire. Come è emerso, i dati biologici offerti dalla buona scienza possono essere confutati dalla cattiva coscienza a Mini strumentali. L’amore per la verità è sostituito dall’ottenimento di un proMitto, dalla soddisfazione di un desiderio. La vita umana, al suo sorgere, non sfugge alla logica della produzione che sostituisce la procreazione. E quando non è voluta e intralcia il cammino la si elimina, non prima di aver riMiutato di riconoscerla come vita umana. L’unica via d’uscita sembra proprio quella di riconoscere l’uguale valore di ogni essere umano, l’uguale dignità di ciascuno dal concepimento alla morte naturale [75]. Con speciale riguardo per le fasi dell’esistenza più fragili e nascoste. Come nella lingua degli antichi greci, abbiamo visto, e dunque sappiamo, che l’embrione è uno di noi.

Bibliografia e sitografia 1. Nathanson B.N., La mano di Dio. Il viaggio dalla morte alla vita del famoso medico abortista che cambiò opinione. Tau 2021, p. 173. 2. Cfr. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano. Quando inizia l’«essere umano»?, in Lucas Lucas R., Sgreccia E. (edd.), Commento interdisciplinare alla «Evangelium Vitae». Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 575. 3. Cfr. Faggioni M.P., La vita nelle nostre mani. Manuale di bioetica teologica. EDB, Bologna 2016, pp. 273-274. 4. Lejeune J., L’embrione segno di contraddizione. Casa editrice Orizzonte Medico s.r.l. 1992, p. 51. 5. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano…, p. 576. 6. Ibid. 7. De Felici M. et al., Embriologia umana. Morfogenesi, processi molecolari, aspetti clinici. Piccin-Nuova Libraria, Padova 2020 3° edizione, p. 135. 8. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano..., p. 577. 9. De Felici M. et al., op. cit., p. 140. 10. Ibid. 11. Cfr. Navarini C., Etica della procreazione umana. Alcuni nodi fondamentali. If Press, Morolo (FR) 2012, pp. 69-75. 12. Cfr. Comitato Nazionale per la Bioetica, Considerazioni bioetiche in merito al cosiddetto “ootide”, 15 luglio 2005, 5. Cfr. Bompiani A., Il processo della fecondazione umana: considerazioni a margine del dibattito sul c.d. “ootide”, M e d i c i n a e M o ra l e 5 4 / 5 ( 2 0 0 5 ) , i n h t t p s : / / medicinaemorale.it/index.php/mem/article/view/377 13. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano..., p. 577. 14. Ivi, p. 578. 15. Ibid. 16. Ivi, pp. 586-587.

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49.

Ivi, p. 589. Ibid. Ivi, pp. 589-590. Cfr. Van Blerkom J., Extragenomic regulation and autonomous expression of a developmental program in the early mammalian embryo. Annals of the New York Academy of Sciences 442 (1985), pp. 58–72. Ford N., When Did I Begin?: Conception of the Human Individual in History, Philosophy and Science. Cambridge University Press, Cambridge Cambridgeshire; New York 1988, p. 139. Pearson H., Your destiny, from day one. Nature 418/6893 (2002), 14–15, p. 15. McLaren A., Embryo research. Nature 320/6063 (1986), p. 570. Serra A., L’uomo embrione. Questo misconosciuto. Cantagalli, Siena 2003, p. 48. Lejeune J., op. cit., p. 42. Serra A., L’uomo embrione…, pp. 48-49. Ibid. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano..., p. 593. Ibid. Cfr. Abel F., Nascita e morte dell’uomo: prospettive della biologia e della medicina, in Biolo S. (ed.), Nascita e morte dell’uomo: Problemi =iloso=ici e scienti=ici della bioetica. Marietti, Genova 1993, 256, pp. 37-53. Serra A., Lo stato biologico dell’embrione umano..., pp. 594-595. Cfr. Guardini R., Il diritto alla vita prima della nascita. Morcelliana, Brescia 2005, p. 31. Meyer J.R., The Ontological Status of Pre-implantation Embryos, in Eberl J.T. (ed.), Contemporary Controversies in Catholic Bioethics, Catholic Studies in Bioethics, Springer International Publishing 2017, pp. 17–34. Ibid. Cfr. Sgreccia P., Fondamenti storico-culturali della vita prenatale, in Larghero E., Lombardi Ricci M. (edd.), Venire al mondo tra opportunità e rischi. Per una bioetica della vita nascente. Edizioni Camilliane 2013, 15–42, p. 37. C f r. S i n g e r P. , S p e c i e s i s m a n d M o r a l S t a t u s . Metaphilosophy 40/3/4 (2009), pp. 567–581. Cfr. Faggioni M.P., op. cit., p. 279. Engelhardt H.T. jr, Manuale di bioetica. Il Saggiatore, Milano 1999, pp. 159-160. Cfr. Faggioni M.P., op. cit., p. 279. Cfr. Sandel M.J., Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria genetica. Vita e Pensiero, Milano 2007, p. 121. Spaemann R., Persone. Sulla differenza tra «qualcosa» e «qualcuno», ed. Allodi L., Laterza, Roma; Bari 2005 5° edizione, p. 234. Cfr. Sgreccia P., op. cit., p. 38. Ivi, p. 39. Cfr. Russo G. (ed.), Bioetica medica. Per medici e professionisti della sanità. Elledici, Messina: Leumannn (Torino) 2009, p. 127. Cfr. Spaemann R., op. cit., p. 4. Ibid. Ginzburg N., Corriere della Sera, 7 febbraio 1975, citata in, Palmaro M., Ma questo è un uomo. Indagine storica, politica, etica, giuridica sul concepito. San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo, Milano 1996 3° edizione, p. 125. Liverani P.G., Dizionario dell’antilingua. Le parole dette per non dire quello che si ha paura di dire. Collana Sagitta Problemi & Documenti nuova serie, n. 42, Edizioni Ares, Milano 1993, p. 14. Cfr. Palmaro M., Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta. SugarCo, Milano 2008, p. 153.

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50. 51. 52. 53. 54. 55.

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Ivi, p. 104. Ibid. Ivi, p. 97, p. 115. Ivi, p. 157. Ivi, pp. 110-114. Cfr. Liverani P.G., Aborto anno uno. Fatti & misfatti della legge 194. Dossier 2, Edizioni Ares, Milano 1979, pp. 21-33. «Abortion», World Health Organization, in https:// www.who.int/westernpaciMic/health-topics/abortion. Brunton L.L., Hilal-Dandan R., Knollmann B.C., Goodman & Gilman. Le basi farmacologiche della terapia. Zanichelli, Bologna 2019 13° edizione, p. 865. Cfr. Huxley A., Il mondo nuovo - Ritorno al mondo nuovo, Mondadori 2021. Agenzia Italiana del Farmaco, Determinazione AIFA n. 865/2020 di “Modi=ica delle modalità di impiego del medicinale Mifegyne a base di mifepristone (RU486)", in https://aifa.gov.it/-/determinazione-aifa-n-865-2020-dimodiMica-delle-modalita-di-impiego-del-medicinalemifegyne-a-base-di-mifepristone-ru486-. Cfr. Morresi A., Roccella E., La favola dell’aborto facile. Miti e realtà della pillola RU 486. Franco Angeli, Milano 2010 2° edizione. Cfr. Cantelmi T., Cacace C., Pittino E., Maternità interrotte. Le conseguenze psichiche dell’IVG. San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (Milano) 2011. Ivi, pp. 154-184. Ivi, pp. 162-165. Ibid. Cfr. Vanni A., Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile. San Paolo Edizioni, Milano 2013. Cfr. Cantelmi T., Cacace C., Pittino E., op. cit. Cfr. Vanni A., op. cit. Cf. Peris C., La Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) tra mito e realtà, in Larghero E., Lombardi Ricci M. (edd.), Venire al mondo tra opportunità e rischi. Per una bioetica della vita nascente. Edizioni Camilliane 2013, pp. 57–76. Ibid. Cfr. Lejeune J., op. cit. Cfr. Peris C., op. cit. Cfr. Brambilla G., Luci e ombre del potere biotecnologico nel tempo prenatale e perinatale, in Larghero E., Lombardi Ricci M. (edd.), Venire al mondo tra opportunità e rischi. Per una bioetica della vita nascente. Edizioni Camilliane 2013, pp. 185–204. Cfr. Peris C., op. cit. Ibid. Cfr. Casini M., I diritti dell’uomo, la bioetica e l’embrione umano. Medicina e Morale 52/1 (2003), pp. 67–110.

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LA NATURA ANTI-SOLIDARISTICA DELLA PROPOSTA EUTANASICA Il punto di vista bioetico Giulia Bovassi*

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DEFINIRE L’OGGETTO o m e s i d e 8 i n i s c e l ’ e u t a n a s i a ? Originariamente, nell’antichità, il termine veniva utilizzato prestando fedeltà assoluta all’etimologia, ovvero “buona morte”. Eutanasia cioè indicava l’auspicio o l’augurio di una morte serena, priva di violenza, sofferenza e non certamente priva di quella pace, di quella ritualità che si addicono per un evento trascendente l’umano controllo e l’umana comprensione. Il concetto di “buona morte” richiamava la dignità del morente nel suo saluto alla vita; richiamava, quindi, l’unitotalità dell’essere-per-la-morte come un fatto al di là dell’organico in quanto intrinsecamente parte di una signi8icazione antropologica, spirituale ed etica del morire connessa al rapporto intrattenuto dall’essere u m a n o c on l a p rop ria c a du c it à . I l p rim o insegnamento andato perduto nell’epoca postmoderna è la realtà peritura della persona, quale carattere originario della sua identità. A ben vedere, ciò è stato sperimentato nel dramma pandemico degli ultimi due anni in cui l’evento morte ha colto impreparati sia per la drammaticità propria del contesto pandemico, sia perché la morte o, in generale, il patire si è disvelato come un fatto costitutivo e di grande problematicità per la «società senza dolore» [1]. La metamorfosi della sofferenza, perciò della comprensione dell’individuo, ha subito la conversione da peculiarità umana a sintomo. La concezione eutanasica originaria, che venne conservata anche nella modernità, slittò da una connotazione qualitativa ad una assistenziale, ovvero di supporto/aiuto per una buona morte, sebbene ancora non vi fosse traccia del signi8icato prettamente uccisivo che invece detiene ora. Solamente con l’af8inarsi «di ben tre correnti di pensiero che si 8iancheggiano in un reciproco sostentamento: il tecnomor8ismo, il volontarismo, l’utilitarismo» [2], la liceità iniziò a combaciare con la possibilità: se è tecnicamente possibile allora è

moralmente lecito; se è giuridicamente lecito allora è moralmente giusto. Nasce contestualmente un 8ilone di approfondimento scienti8ico sull’eutanasia mutata nell’atto di uccidere effettuato nel contesto sanitario d a p ro fe s s i o n i s t i e s e c o n d o u n p r i n c i p i o “terapeutico” di sopperire ad un male incurabile, a condizioni psico-8isiche giudicate indegne, nonché a costi sociali incarnati da individui/gruppi bisognosi di assistenza speciale e inutili per la produttività/ benessere sociale il cui valore persona ritenuto sacri8icabile (utilizzando un concetto che oggigiorno si desiste dall’associare al problema eutanasico a causa del consenso e del panorama storico-culturale, è legittimo considerare il presente inquadramento eutanasico come “desacralizzazione eugenetica della natura umana”, cui esempio più eclatante il ben noto Protocollo di Groningen). Prende forma un poteresulla-vita con 8isionomia biopolitica, ovvero «quel paradigma — tipicamente moderno — che ritiene l’humanitas non un presupposto, ma un prodotto della prassi» [3]. Da qui, allora, la trasposizione de8initiva

*Associate Researcher presso la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani dell’Università Europea di Roma. Dottoranda in Bioetica presso l’Ateneo PontiBicio Regina Apostolorum - Roma.

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[online]: ISSN 2724-0509

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Figura 1. Sarcofago in marmo di fanciullo, inizio II sec., Museo Archeologico Regionale Pietro Griffo, Agrigento.

in ciò che oggi viene comunemente interpretato con il termine “eutanasia”, ovvero “omicidio per pietà” oppure “omicidio del consenziente” (ammesso che vi possa essere libero consenso in condizioni di estrema vulnerabilità e, spesso, di disperazione) in cui abusivamente si sottende al medesimo termine (eutanasia) un signi8icato completamente diverso rispetto alle sue origini: da augurio per una morte serena, all’accompagnamento verso una morte inevitabile af8inché possa essere con minor sofferenze possibili, 8ino all’atto di uccidere per causare intenzionalmente la morte dell’altro. Oggi, evidentemente, il vero signi8icato di eutanasia appare stravolto: nessuno augura per sé o per altri l’eutanasia! Appropriazione semantica, quindi, indebita e fuorviante di un auspicio che rappresentava ben altro sostrato culturale, 8iloso8ico, spirituale ed etico circa la natura dell’essere umano inscindibile dalla sua caducità e tutt’altro simbolismo legato a morte, malattia e sofferenza di certo non assunti come accidenti empirici, quanto piuttosto come orizzonte meta8isico costitutivo della natura umana. Cavalcando narcisismo, secolarizzazione e paradigma tecnocratico ci si è ridotti invece al tabù della morte, l’ostilità verso il limite e la mancanza di una didattica della/alla contingenza [4]. Ogni signi8icazione dettata dal dolore, dalla sofferenza, dalla vulnerabilità è abolita nella società del benessere, del superomismo, del capitale umano, anti-antropocentrica e nichilista. Il ri8iuto dell’inevitabilità esistenziale della sofferenza, la negazione della morte come evento del ciclo vitale conducono ad una scelta eutanasica, all’accanimento terapeutico (per eccesso paternalistico — insuccesso terapeutico/professionale) e alla confusione tra

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morte e malattia, tra malato e patologia. La morte nella società contemporanea è motivo d’imbarazzo perché fa memoria che in un tempo di estrema so8isticazione, prevenzione e controllo noi, in realtà, restiamo disarmati. Eutanasia, allora, oggi si de8inisce come «quella azione (eutanasia attiva, ad es. iniezione letale) o omissione (eutanasia passiva, ad es. omissione di cure), che, per sua natura o nelle sue intenzioni, procura anticipatamente (rispetto al decorso naturale) la morte dell’essere umano, allo scopo di alleviarne le sofferenze. Si tratta di una azione o omissione per sopprimere intenzionalmente la vita di un malato terminale o inguaribile, ma anche di un neonato con gravi handicap, di un anziano o di un disabile, al 8ine di evitare sofferenze 8isiche e psichiche: il 8ine è quello di fuggire la morte (anticipandola o accelerandone il processo), perché si ri8iuta una vita ritenuta non dignitosa, non sopportabile e non desiderabile. In tal senso, l’eutanasia è sempre un’azione o omissione diretta, che intenzionalmente contribuisce a procurare la morte. […] L’eutanasia è l’abbandono terapeutico o l’astensione terapeutica quando la terapia, proporzionata rispetto alle condizioni reali del paziente, avrebbe ancora ragione di essere praticata» [5].

Altresì nota è la de8inizione presente nell’enciclica Evangelium Vitae la quale spiega come per atto eutanasico «in senso vero e proprio si deve intendere un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore» [6] e che essa «si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati» [7]. In tempi più recenti la posizione del Magistero che ri8lette i

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Figura 2. Byung-Chul Han (Seul 1959).

principi sostenuti dalla bioetica personalista ha ribadito con fermezza quale sia l’oggetto proprio dell’eutanasia de8inendola «un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente. La de8inizione di eutanasia non procede dalla ponderazione dei beni o v a l o r i i n g i o c o , m a d a u n o g g e t t o morale suf8icientemente speci8icato, ossia dalla scelta di “un’azione o un’omissione che di natura sua o nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore” […] La valutazione morale di essa, e delle conseguenze che ne derivano, non dipende pertanto da un bilanciamento di principi, che, a seconda delle circostanze e della sofferenza del paziente, potrebbero secondo alcuni giusti8icare la soppressione della persona malata. Valore della vita, autonomia, capacità decisionale e qualità della vita non sono sullo stesso piano […] L’eutanasia, pertanto, è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza […] Dunque, l’eutanasia è un atto omicida che nessun 8ine può legittimare e che non tollera alcuna forma di complicità o collaborazione, attiva o passiva» [8].

L’eutanasia viene quindi valutata in base alle intenzioni [9] e alle misure adottate per provocarla (rilevante al 8ine di impostare l’analisi sulla proporzionalità terapeutica). Ciò la distingue da altre nozioni spesso associate o confusamente equiparate all’eutanasia, soprattutto quando la cronaca mediatica vorrebbe informare l’opinione pubblica.

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Anzitutto si distingue dal suicidio assistito, procedura che vede il paziente agente principale dell’atto suicida e l’operatore sanitario come colui che aiuta la persona malata a suicidarsi (ad esempio dispone i mezzi). Il medico in questo caso non è eticamente neutro o preservato dall’illegittimità morale della sua partecipazione, anzi, proprio in q u a n t o c o m p a r t e c i p e , e g l i è m o ra l m e n t e corresponsabile nell’aiuto prestato per compiere un male morale, quello di togliersi la vita. Utile alla comprensione può essere un classico scenario esempli8icativo in cui una persona profondamente depressa, stanca di vivere, magari affetta da patologie 8isiche o psichiche, oppure da sofferenze dovute a disagi relazionali, sociali, economici, spirituali, si trovasse sul punto di gettarsi da un ponte e i soccorsi, anziché forzare una resistenza ad un male riconosciuto come tale in vista di un bene s u p e r i o re e i n a l i e n a b i l e c o m e l a v i t a , s i presentassero per aiutarla a buttarsi giù, legittimati dalla volontà della persona manifestata in quel momento. Esempio calzante in tutti i parametri, compreso il dato di fatto che l’omicidio o l’aiuto al suicidio non sono atti prettamente medici. È necessario distinguere, inoltre, l’eutanasia dalla distanasia: ulteriore modalità per intendere un comportamento sproporzionato e moralmente/ deontologicamente scorretto quale l’accanimento terapeutico, ovvero la «prosecuzione ostinata e senza scopo di un trattamento che risulti inutile per il paziente» [10]. Quest’ultimo è l’esito di una

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Figura 3. Egon Schiele, Agonia, olio su tela, 1912. Neue Pinakothek, Monaco di Baviera.

valutazione compiuta su molteplici fattori clinici oggettivi e sulla considerazione di elementi soggettivi di proporzionalità terapeutica e di straordinarietà terapeutica, formulando una valutazione rischi/bene8ici che dovrà corrispondere al buon senso e buon operato clinico, posto in dif8icili condizioni decisionali, a causa di nuove tecnologie sanitarie so8isticate, che rendono labile il con8ine decisionale quindi anche il discernimento bioetico. Ciò su cui non si basa la valutazione di “accanimento terapeutico” sono i parametri utilitaristi costi/ bene8ici individuali o collettivi, dove subentrano criteri impropri, arbitrari, di qualità della vita (QDV). Il criterio della QDV, di per sé, quando si rifà a dati clinici, risulta appropriato in sede terapeutica; accezione ben diversa, invece, è quella basata sul riduzionismo utilitarista della nozione di QDV intesa come percezione individuale/collettiva, eticamente e clinicamente rilevante, di quanto sia degno lo stile di vita condotto dal paziente in questione, oppure in che misura le condizioni in cui versa lo rendono

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utile/produttivo quindi — secondo questa mentalità — degno di una sussidiarietà socio-comunitaria. Altresì, la valutazione di proporzionalità esula da parametri individualisti in cui si esaspera l’autodeterminazione del paziente. È questo un secondo caso in cui non viene riconosciuta eticamente e giuridicamente la dignità intrinseca della vita umana, ma si pretende di conferirne dignità. È questo il caso in cui l’indisponibilità della vita umana diviene principio fondamentale di secondo grado rispetto all’autodeterminazione. Secondo tale visione libertaria, “accanimento terapeutico” è ogniqualvolta il medico predisponga misure terapeutiche non volute dal paziente o da chi lo rappresenta in caso di stato di incoscienza. Ciò eccede il legittimo e salvaguardato diritto al ri8iuto di cure sproporzionate (è bene ricordare che alimentazione e idratazione non sono terapie): «non si con8igura accanimento terapeutico quando, pur se gli interventi risultano essere aggressivi e

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Figura 4. Niccolò Dell’Arca, Compianto sul Cristo morto, 1463-1490, particolare. Chiesa di Santa Maria della Vita, Bologna.

intensivi, c’è una seria speranza di guarigione e quando l’imposizione di una sofferenza si ritiene accettabile per i bene8ici prevedibilmente ottenibili: in questi casi si ritiene deontologicamente ed eticamente doveroso continuare le terapie. La sospensione di terapie aggressive e intensive è ritenuta eticamente doverosa quando la spettanza di vita è breve, la prognosi sicuramente infausta (escludendo con certezza la reversibilità della malattia), le terapie futili e dannose (impongono al paziente gravi sofferenze, signi8icativamente maggiori rispetto ai bene8ici ottenibili), e di dif8icile accesso, con alti costi, scarsa disponibilità o possibilità di applicazione. In questi casi sospendere le terapie non è un atto eutanasico: semmai continuare le terapie sarebbe accanimento terapeutico. Ci si deve limitare a cure ordinarie o normali (idratazione e alimentazione, arti8iciali e non; aspirazione dei secreti bronchiali e detersione delle ulcere da decubito); persiste il dovere di cure palliative (per ridurre i sintomi della malattia e sedare il dolore), la vicinanza e l’accudimento umano. […] L’accanimento terapeutico non è l’uso delle terapie o r d i n a r i e , m a l a d i s u m a n i z z a z i o n e e proceduralizzazione della morte, con l’applicazione di terapie sproporzionate in condizioni di grande sofferenza […] La sospensione dell’accanimento terapeutico non deve essere confusa con l’abbandono terapeutico: una cosa è sospendere i trattamenti vitali sproporzionati nella misura in cui non sono più in grado di arrestare il processo di morte […] mantenendo le cure proporzionate; altra cosa è

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sospendere i trattamenti (sproporzionati e proporzionati) con l’intenzione di anticipare il morire (eutanasia). In quest’ultimo caso non è la condizione patologica a far morire, ma l’omissione di sostentamenti ordinari, sempre e comunque dovuti al paziente, nella prospettiva della difesa della sua dignità» [11].

In merito alla proporzionalità terapeutica occorre compiere un rapido accenno alla rinuncia terapeutica, che consiste nell’omissione (non inizio) o interruzione delle procedure terapeutiche che risultano evidentemente e oggettivamente sproporzionate dal punto di vista oggettivo e soggettivo al 8ine di non causare sofferenze ingiusti8icate. Questo è un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 32: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Ciò si colloca nel delicato con8ine tra evitare la distanasia ed evitare l’abbandono terapeutico, decadendo in azioni di tipo volutamente e direttamente uccisivo, poiché cagionerebbe la morte del paziente. A giusti8icazione di quanto detto vige la motivazione pre-giuridica che la vita è diritto

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primario giuridicamente tutelato e riconosciuto In ultima battuta, dal punto di vista deontologico poiché bene inviolabile; il medesimo valore che dà pratiche eutanasiche e di suicidio assistito sono allo Stato la responsabilità di porre in essere misure condannate con chiarezza dalla Professione in per preservare la vita di ogni essere umano, impedire quanto contrarie alla natura dell’arte medica, non che venga lesa o punire gli atti lesivi. Il ri8iuto (libero, tanto (o non solo) da un punto di vista confessionale attuale, consapevole, comprensibile e informato) e nemmeno in base al modello etico di riferimento, deve collocarsi entro l’alleanza medico-paziente in bensì in base a quanto sancito dal Giuramento cui il primo è chiamato ad agire in conformità con i Ippocratico (testo antico e testo moderno) e dal doveri deontologici e non come mero esecutore. Tra Codice di Deontologia Medica. In particolare, questi senza dubbio quelli di non porre in essere quest’ultimo recita: azioni volte a causare direttamente la morte, «Il medico, tenendo conto delle volontà espresse dal contribuire al suicidio, accelerare intenzionalmente paziente o dal suo rappresentante legale e dei principi la morte. Il ri8iuto, come giustamente sottolineato dal di ef8icacia e di appropriatezza delle cure, non Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), non è intraprende né insiste in procedure diagnostiche e tanto delle cure proporzionate ed ordinarie (le quali interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed includono sempre una valutazione della componente eticamente non proporzionati, dai quali non ci si possa oggettiva e soggettiva), ma di precise forme di fondatamente attendere un effettivo bene8icio per la trattamento terapeutico che possono risultare salute e/o un miglioramento della qualità della vita. Il intollerabili e/o sproporzionate nella fase 8inale della controllo ef8icace del dolore si con8igura, in ogni vita, cioè con morte imminente e vagliate dai criteri condizione clinica, come trattamento appropriato e procedurali imprescindibili del consenso informato. proporzionato. Il medico che si astiene da trattamenti La differenza sostanziale è non proporzionati non pone in essere in alcun tra causare la morte e caso un comportamento accettare di non poterla «La differenza sostanziale è tra causare la 8inalizzato a provocare la impedire, accettare che morte e accettare di non poterla impedire, morte» (art. 16). avvenga. Moralmente, un accettare che avvenga. Moralmente, un «Il medico, anche su conto è prendere atto che richiesta del paziente, non conto è prendere atto che un fatto — la un fatto — la morte — deve effettuare né favorire morte — debba accadere, mentre altra cosa debba accadere, mentre a t t i 8 i n a l i z z a t i a è procurarla intenzionalmente anche altra cosa è procurarla provocarne la morte» (art. intenzionalmente anche nell’omissione. Su questo si gioca l’essenza 17) [12]. nell’omissione. Su questo stessa dell’alleanza terapeutica […]» si gioca l’essenza stessa N o n s o l o , a n c h e dell’alleanza terapeutica l’Associazione Medica animata dal rapporto tra cura e giustizia, Mondiale nel testo adottato in occasione della WMA dall’umanizzazione della medicina, fondata sulla General Assembly (Tbilisi, ottobre 2019) ribadì con 8iducia nel riconoscimento reciproco della sacralità solenne convinzione che, a livello globale, di qualunque vita umana e dalla coscienza di avere la responsabilità di preservarla nel fare tutto il «the WMA reiterates its strong commitment to the possibile (razionalmente proporzionato), nel miglior principles of medical ethics and that utmost respect has to be maintained for human life. Therefore, the WMA is modo in cui è dato compierlo consapevolmente alla Birmly opposed to euthanasia and physician-assisted natura della vocazione medica e solo ciò che è giusto suicide. For the purpose of this declaration, euthanasia compiere (evitando accanimento): curare e is deBined as a physician deliberately administering a prendersi cura. Tale relazione, allora, non risponde al lethal substance or carrying out an intervention to carattere contrattualista: medico e paziente non sono cause the death of a patient with decision-making contraenti che avanzano pretese sulla propria capacity at the patient’s own voluntary request. volontà, né negoziano sulla vita o sulla morte delle Physician-assisted suicide refers to cases in which, at the persone e, soprattutto, il primo non è mero esecutore voluntary request of a patient with decision-making acritico e asettico del secondo; allo stesso modo il capacity, a physician deliberately enables a patient to paziente non è oggetto passivo a-decisionale alla end his or her own life by prescribing or providing mercé del sapere-potere medico. La deriva a cui medical substances with the intent to bring about death. No physician should be forced to participate in simili concezioni della professione sanitaria hanno euthanasia or assisted suicide, nor should any physician portato è uno dei problemi più lamentati e affrontati be obliged to make referral decisions to this end. trasversalmente dalla bioetica: esponenziale Separately, the physician who respects the basic right of disumanizzazione delle cure e la proceduralizzazione the patient to decline medical treatment does not act meccanica di quest’alleanza intima, solidale, unethically in forgoing or withholding unwanted care, asimmetrica e personale.

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even if respecting such a wish results in the death of the patient» [13].

ANALISI BIOETICA L’eutanasia è un atto umano soggetto a giudizio morale, alla pari di qualsivoglia atto umano condizionato e dettato da libertà (volontà), coscienza, consapevolezza e responsabilità. In q u a n to t a l e , e s s a d eve e s s e re s o t to p o s t a all’attribuzione di colpevolezza o pena una volta giudicato moralmente rilevante l’oggetto della valutazione in quanto ascrivibile agli atti umani. La moralità dell’atto che si con8igura nell’intenzione, nella 8inalità, nelle circostanze e nell’oggetto determina la responsabilità a cui la libertà si vincola inscindibilmente, sempre. L’eutanasia non è la scelta di qualcuno su una morte piuttosto che un’altra, l’una peggiore e l’altra migliore, ma tra lasciare in vita e s o p p r i m e r e : d u e a t t i m o ra l i c o n p e s o e responsabilità molto differenti, malgrado entrambi rispondenti all’esercizio della volontà. Se, come abbiamo dimostrato analizzando l’etimologia e il signi8icato odierno dei termini, possiamo asserire che eutanasia è una modalità con cui praticare l’omicidio volontario di un altro essere umano in condizioni di vulnerabilità o l’omicidio del consenziente (suicidio assistito), allora possiamo logicamente affermare che esso non è un atto medico. È un atto grave, che chiunque può compiere, ma non 8igura certamente una peculiarità della professione sanitaria, che non dedica decenni di studio, specializzazione ed esperienza per sopprimere il malato quando non può scon8iggere la malattia. In quanto omicidio esso è un delitto; e con la richiesta di un diritto eutanasico si ha la trasformazione di un delitto in un diritto. Anzi, eutanasia e suicidio assistito, sovvertono — come si è già detto — il principio fondativo della vocazione medica che non è solo guarire (“to cure” e non sempre possibile), quanto piuttosto l’agire mosso a empatica compassione nell’assistere alla sofferenza altrui (“to care”). Occorre ribadire a più riprese che la morte non è diritto da acquisire, bensì un evento ineliminabile di signi8icazione radicale per l’essere umano che gli appartiene per natura senza alcuna acquisizione e indipendente dall’uomo. Istituire un “diritto a morire”, inteso come diritto a rivendicare la possibilità giuridica di potersi dare la morte o essere uccisi, comporta un dovere per l’altro di uccidere. Si scivola inesorabilmente verso il «paradigma biopolitico, che pretende di gestire la nuda vita, autorizzandone l’esistenza o almeno sindacandone la stessa legittimazione sociale» [14], venendo meno alla considerazione dei presupposti di natura, fondativi e prepolitici. Su questa curvatura i desideri diventano diritti; la dignità viene posta anziché essere riconosciuta; i criteri QDV, secondo i quali il

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Figura 5. Karl Binding e Alfred Hoche, Il permesso di eliminare vite indegne di vivere, 1920.

valore “vita” non è inviolabile e incondizionato, ma condizionato da parametri arbitrari scelti da terzi. Alla base dell’attuale rinascita di correnti 8iloso8iche e modelli etico-culturali discriminatori vi è la convinzione che esistano parametri qualitativi, non scienti8icamente supportati, in grado di escludere alcuni esseri umani dall’essere persone. Visione che lacera i diritti umani basati sulla nozione comune di natura umana e sull’uguaglianza sostanziale che ne consegue, tradendo il signi8icato autentico di dignità umana, mediante il distinguo sintetizzato nell’accezione “vite non degne di essere vissute”, drammaticamente in uso. Giudizio di valore a r b i t ra r i o , d i s c r i m i n a t o r i o e m o ra l m e n t e inaccettabile. Conferire la morte per compassione è la perversione della compassione; così come non è carità togliere la vita a chi è esausto di essa anziché lottare con lui, ribadendo la sua unicità e il suo valore personale e sociale, nonostante quella vulnerabilità vissuta soffrendo, la quale testimonia il linguaggio universale dell’umanità. L’inversione applicata consiste nella contraddizione di pensare l’atto di uccidere un innocente, se in obbedienza al desiderio espresso, come una

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sfaccettatura della solidarietà. Dinanzi alla morte l’enigma esistenziale e ontologico umano raggiunge il suo apice, mentre la sofferenza agisce attraverso questa crisi che nell’uomo è ontologica, non solo carnale o psicologica. Il cosiddetto “diritto di morire” ha a che fare con la sofferenza, la quale può esserci anche laddove il dolore non c’è. Il principio solidaristico della sofferenza accorcia le distanze tra le singole vulnerabilità e la 8initudine dell’intero consorzio umano. L’af8lizione, cuore del dibattito sul 8ine vita, indica una richiesta di senso impossibile da soddisfare mediante la sola naturalizzazione del patire, del morire, cui esito diverrebbe la dissoluzione stessa della capacità di concepire l’umano in quanto tale, come singolo e come essere relazionale. Avviene, cioè, quanto Zygmunt Bauman non esitò a de8inire “decostruzione della mortalità” [15], quella per cui una società mostra il proprio collasso morale. LIBERTÀ E AUTODETERMINAZIONE La libertà è un bene fondamentale da proteggere, alimentare, tutelare e salvaguardare, ma essa non combacia con il principio di autodeterminazione o autonomia dell’individuo: non sempre l’agire libero, per il solo fatto di essere frutto di un atto di volontà, è un agire buono, giusto, rispettabile o conforme al vero bene della persona. Una p e r s o n a p u ò s c e g l i e r e l i b e ra m e n t e d i sottomettere se stessa ad atti di violenza (il famoso caso, ad esempio, del cannibale di Figura 6. Zygmunt Bauman (Poznań 1925 - Leeds 2017). Rotenburg) da parte di terzi dandone pieno consenso, ma ciò evidentemente non è suf8iciente per legittimare o rispettare quanto ella ha deciso di «esistono limiti all’autodeterminazione? […] Se la compiere come un atto moralmente ammissibile domanda viene posta in un contesto politico, la poiché frutto del volere libero del soggetto. risposta sarà questa: esiste un solo limite, la non Banalmente, la libertà in sé non basta senza una maleBicenza. Se la domanda viene posta in un contesto chiara visione del Bene. Se ne deduce che bioetico, la risposta dovrà essere un’altra: il limite l’argomento dell’autodeterminazione come possesso rispetto all’autodeterminazione è quello stesso del assoluto di sé, di disposizione della propria vita e rispetto verso la vita umana fragile e malata. Questa della propria libertà, è una forma di idolatria della vita va rispettata in modo inderogabile, perché essa volontà di potenza: liceità confusa per libertà, veicola un valore simbolico essenziale (oltre a veicolare, per i credenti, un valore spirituale): tutte le incapace di operare un discernimento tra ciò che è vite sono parimenti degne e la dignità di ciascuna vita possibile fare e ciò che si dovrebbe compiere. non può essere incrinata, diminuita e a maggior Invocare la libertà come un assoluto del potere di ragione “tolta” da qualsivoglia handicap, da disporre è una visione molto banale della libertà, qualsivoglia patologia, da qualsivoglia situazione di poiché incapace di coglierne la coesistenza fragilità. È su questa condizione che si regge una inscindibile con doveri positivi e doveri negativi (tra i società democratica; appena infatti si ritenga che sia quali il dovere di non male8icenza; in etica medica possibile sindacare la qualità della vita si apre “primum non nocere”), che parlano di libertà, inevitabilmente la questione di chi abbia il diritto di giustizia, etica e, in de8initiva, di responsabilità. Ciò operare tale sindacato e si 8inisce inevitabilmente per vale ancor più quando si tenta di applicare riconoscere tale diritto allo Stato […] L’abbandono l’autodeterminazione assoluta alla disposizione della terapeutico, anche se richiesto dal malato medesimo, tradisce in altre parole il principio costitutivo del patto propria vita, quasi quest’ultima fosse un oggetto di sociale» [16]. proprietà. Per concludere utilizzando ancora una volta le illuminanti ri8lessioni di D’Agostino:

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Figura 7. Francesco D’Agostino (Roma 1946).

Si tratta, in de8initiva, di chiedersi: che cosa, in quanto medico, sto facendo al paziente? Che cosa, in quanto parte della comunità, coopero moralmente a compiere (se a favore o indifferente alla legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito) contro coloro che attendono una risposta di carità sanante? L’oggetto del mio agire libero qual è? Il 8ine del mio agire libero in cosa consiste e dov’è orientata la mia intenzionalità? In base al tipo di risposta che saremo in grado di dare, diviene misurabile la capacità di accettazione, di accoglienza della condizione umana nel momento in cui il ri8lesso di noi stessi nell’altro, esausto, alla disperazione non saprà offrire il dono della speranza.

Bibliografia, sitografia e note 1. Byung-Chul H., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite. Einaudi, Torino 2021. 2. Vitale A.R., L’eutanasia come problema biogiuridico. FrancoAngeli, Milano 2017, p. 15. 3. D’Aostino F., Bioetica e biopolitica. Ventuno voci fondamentali. G. Giappichelli, Torino 2011, p. 52. 4. Bovassi G., L’eco della solidità. La nostalgia del richiamo tra antropologia liquida e postumanesimo. IF Press, Roma 2017, p. 145. 5. D’Agostino F., Palazzani L., Bioetica. Nozioni fondamentali. La Scuola, Brescia 2013, pp. 204-206. 6. Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae. Roma 1995, n. 65.

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7. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. sull’eutanasia Iura et Bona (5 maggio 1980), II: AAS 72 (1980), p. 546. 8. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Samaritanus Bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. Roma 2020, n. 1. 9. Questo è moralmente importante per distinguere l’azione volutamente eutanasica da quella di cura, qualora ciò provochi per effetto indiretto e non voluto un accorciamento della vita. In tal caso, per un sano discernimento bioetico, si applica il principio del duplice effetto, formato da quattro condizioni: 1. che l’azione sia in sé buona, o almeno moralmente indifferente; 2. l’intenzione del soggetto sia buona; 3. l’effetto buono non dipenda dal veri8icarsi di quello negativo e 4. che non vi siano azioni capaci di impedire l’effetto negativo, quindi la proporzione in cui quello buono deve essere maggiore di quello negativo. 10. Comitato Nazionale per la Bioetica, Questioni bioetiche relative alla Bine della vita umana, 14 luglio 1995. 11. D’Agostino F., Palazzani L., op. cit., pp. 194-196. 12. https://portale.fnomceo.it/codice-deontologico/ 13. https://www.wma.net/policies-post/declaration-oneuthanasia-and-physician-assisted-suicide/ 14. D’Agostino F., op. cit., p. 57. 15. Cfr. Bauman Z., Mortalità, immortalità e altre strategie di vita. il Mulino, Bologna 2012. 16. D’Agostino F., op. cit., p. 15.

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IL DIFFICILE COMPITO DI INSEGNARE LA CHIMICA Margherita Venturi*

Figura 1. La Chimica nascosta nella nostra vita quotidiana.

È

ben noto che la Chimica viene vissuta dagli studenti come una materia astrusa e per nulla associata agli interessi quotidiani; non ci si deve allora stupire se dalle poche nozioni che restano nella loro mente, che consistono spesso in formule o frasi fatte, imparate a memoria e recitate come una litania, scaturiscono idee distorte e luoghi comuni [1]. E, quindi, non c’è neanche da meravigliarsi se i giornalisti, i parlamentari, gli amministratori e perMino le persone generalmente

considerate colte esprimono sulla Chimica giudizi inappropriati. Questo è doppiamente grave perché il cittadino comune non arriva a comprendere il ruolo fondamentale che la Chimica svolge per la collettività (Figura 1) e, senza un minimo di conoscenze c h i m i c h e d i b a s e , d i v e n t a p r e d a d e l l a disinformazione diffusa. Inoltre, non riesce neppure a fare scelte personali e a dare un parere ponderato e coerente su alcune tematiche di grande impatto sociale, come ad esempio l’inquinamento ambientale,

*Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” — Università di Bologna. Presidente della Divisione di Didattica della Società Chimica Italiana.

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[online]: ISSN 2724-0509

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le risorse energetiche, il riscaldamento globale, sulle quali il cittadino dovrebbe essere chiamato ad esprimersi. Cosa fare allora per avvicinare gli studenti, che saranno i cittadini di domani, a questa disciplina? Il problema non è nuovo perché già nel lontano 1940 si cercava un modo per “somministrare la chimica attraverso iniezioni indolori” come, appunto, tenta di fare il gustoso volumetto del Dott. G. Gamberini (Figura 2) scovato in un mercatino di libri usati. Si tratta, comunque, di un problema non solo italiano e decisamente complesso, tanto è vero che nessuno sembra avere la soluzione in tasca neanche a livello internazionale. Certo è che nel nostro paese la situazione, soprattutto nelle scuole superiori, è particolarmente difMicile per il concorso di molti fattori: docenti poco gratiMicati, sia dal punto di vista remunerativo che di considerazione sociale, riduzione sempre più pesante delle ore di insegnamento della Chimica, abolizione dei laboratori, mancanza di corsi di aggiornamento seri, e chi più ne ha più ne metta. È anche vero che non ci si può afMidare solo alla metodologia didattica; come non esiste il c a t a l i z z a t o r e u n i v e r s a l e c a p a c e d i a g i r e efMicacemente su qualsiasi reazione, così non esiste la didattica che va bene per tutti: ogni classe e, addirittura, ogni studente sono casi speciali che necessitano di interventi “personalizzati”. Ci sono, però, almeno due indicazioni metodologiche che possono aiutare: 1) affrontare temi collegati alla realtà quotidiana e al contesto sociale; 2) sfruttare una didattica di tipo laboratoriale. Affrontare temi collegati alla realtà quotidiana e al contesto sociale Un corso di Chimica che si esaurisce nella descrizione, sia pure chiara e corretta, degli elementi, delle molecole, del legame e delle reazioni chimiche, senza affrontare i problemi che l’uomo incontra nella vita di tutti i giorni, manca il suo più importante obiettivo educativo. È, infatti, necessario che il linguaggio della Chimica sia utilizzato per approfondire la conoscenza della natura e per evidenziare il diretto coinvolgimento di questa disciplina nei grandi problemi dell’umanità: cibo, acqua, energia, salute, ambiente e informazione. Sono i grandi temi di oggi e, ancor di più, riguarderanno il nostro domani; sono inoltre gli argomenti di punta della ricerca scientiMica, basti pensare agli attuali studi sulle fonti energetiche alternative, alle indagini sui cambiamenti climatici e ai risvolti ambientali che ne conseguono e allo sviluppo della nanotecnologia, che permetterà di affrontare da un punto di vista completamente nuovo il problema della miniaturizzazione e di aprire

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Figura 2. Copertina di un libro del 1940 dedicato alla divulgazione della Chimica.

orizzonti ancora inimmaginabili alla biologia e alla medicina. Sono temi che consentono anche di discutere in maniera critica il Mlusso di informazioni continuo, disordinato e spesso discordante proveniente da fonti eterogenee, cosa che è di particolare importanza in un’era come l’attuale in cui, a fronte dei progressi nelle conoscenze, la cultura comune appare sempre più afMidata a supporti tecnologici, che mancano spesso delle adeguate fonti informative; questo fa sì che siano sempre più diffuse conoscenze errate ed opinioni non scientiMicamente supportate. Sono temi che motivano gli studenti, sia perché sono vicini alla loro realtà, sia perché dimostrano che la scienza non è solo qualcosa da studiare sui libri, ma pervade ogni aspetto della vita; affrontare questi temi permette alla scuola di aprirsi al confronto con le problematiche vissute dagli allievi, a cominciare dal contatto con i contesti territoriali nei quali essi costruiscono ed esprimono le proprie esperienze. Offrono, inoltre, la possibilità di coniugare il locale con il globale, dove il “locale” fa riferimento ai saperi legati agli essenziali spazi di formazione dello studente, ai suoi tempi, ai suoi luoghi e alle sue

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Figura 3. Cattedra in legno di Galileo Galilei, conservata a Palazzo Bo (Padova).

radici, e dove il “globale”, invece, riguarda la partecipazione responsabile allo sviluppo della propria comunità e del proprio territorio, in una prospettiva di sostenibilità e di attenzione al futuro del mondo intero. Sono temi che possono essere affrontati a diversi livelli di approfondimento e, pertanto, sono adatti per sviluppare un curriculum verticale; sono inoltre t u t t i s t r e t t a m e n t e c o n n e s s i p e r c u i , indipendentemente dal tema dal quale si decide di partire, si possono affrontare, a ricadere, anche tutti gli altri. Sono temi complessi e, quindi, per essere capiti nella loro globalità necessitano di un approccio inter- e trans-disciplinare, coinvolgendo tutta la comunità dei docenti e utilizzando una didattica trasversale; un tale approccio abbatte steccati inutili fra le discipline, offrendo le chiavi di lettura diverse e complementari per interpretare la realtà, permette di far capire allo studente che la conoscenza è unica e che la realtà non può essere frazionata, motiva in modo particolare le studentesse, spesso non attratte dalle scienze dure quali Fisica e Chimica, e porta ad una beneMica e positiva riduzione della dispersione scolastica. Ad esempio, introdurre la storia della scienza permette di dimostrare che la Matematica, la Fisica e la Chimica non esistono da sempre e per sempre, ma che sono Miglie del loro tempo e questo le rende in qualche modo umane e più vicine. Fra l ’ a l t r o , l a C o m u n i t à E u r o p e a c o n s i d e r a l’interdisciplinarietà uno degli aspetti fondamentali per Minanziare progetti di didattica; afferma, infatti, che imparare le scienze studiando le altre discipline e imparare le altre discipline studiando le scienze permette di rafforzare i rapporti e le sinergie fra scienza, creatività, impresa e innovazione. InMine, questi temi offrono la possibilità di andare oltre il teaching to the test, discutendo aspetti di tipo

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etico e sociale, quali la Ricerca e l’Innovazione Responsabile per affrontare l’attuale emergenza energetica e ambientale, le disuguaglianze sociali e di genere, il libero accesso ai risultati della ricerca, il coinvolgimento di tutti i partner (ricercatori, politici, cittadini) per un armonioso sviluppo tecnologico e sociale. Sfruttare una didattica di tipo laboratoriale Tutti ne parlano, ma … Per traghettare efMicacemente gli studenti nel mondo della Chimica, o in generale in quello della Scienza, non è sufMiciente affrontare temi di grande impatto scientiMico e sociale, è anche fondamentale utilizzare una metodologia didattica appropriata. Ultimamente tutti parlano di didattica laboratoriale, un termine diventato molto di moda che, quando ci si riferisce all’insegnamento della Chimica e delle Scienze, viene sempre “chiamato in causa”, un termine che, però, molto spesso viene usato a sproposito. Si identiMica, infatti, la didattica laboratoriale con laboratorio, esperimenti, dimostrazioni e allora, se così fosse, giustamente non ci sarebbe nulla di nuovo in questa metodologia, dal momento che l’uso degli esperimenti didattici va molto indietro nel tempo. Già alla Mine del 1500 Galileo Galilei, non a caso il p a d r e d e l m e t o d o s c i e n t i M i c o , e r a s o l i t o accompagnare le sue lezioni con dimostrazioni pratiche; per questo motivo, si era fatto costruire un’enorme cattedra in legno, conservata a Padova nell’atrio di Palazzo Bo, corredata di cassetti e scomparti, per ospitare gli strumenti necessari alle dimostrazioni, e dotata di ruote, in modo che potesse essere trasportata dentro e fuori l’aula di lezione (Figura 3). Poiché questa operazione richiedeva circa quindici minuti, pare che debba attribuirsi proprio a Galileo Galilei l’attuale usanza del quarto d’ora accademico.

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A n c h e l a p r a t i c a d e l laboratorio didattico è abbastanza “vecchia”; se ne hanno chiare testimonianze a partire dalla metà del 1800, come l’immagine di Figura 4 che mostra un gruppo di studenti intenti a fare esperimenti di Chimica: è interessante notare che, a p a r t e u n u n i c o rappresentante maschile, sono tutte ragazze quelle presenti nel laboratorio, cosa abbastanza strana per quei tempi. La ricchissima letteratura, s i a s c i e n t i M i c a c h e p e d a g o g i c a , o g g i a disposizione ci dice che didattica laboratoriale non è questo, è un qualcosa di totalmente diverso; è un approccio che va ben oltre il semplice toccar con mano, Figura 4. Un laboratorio didattico del 1896 perché si è capito che il contatto con la realtà pratica del laboratorio non è Il ricercatore, infatti, per soddisfare la sua sete di sufMiciente per ottenere un apprendimento della sapere si pone delle domande che poi esprime sotto Chimica e delle Scienze consapevole e duraturo. Si è forma di esperimenti. Naturalmente devono essere capito che la comune prassi di spiegare la teoria e poi domande giuste e, quindi, anche gli esperimenti proporre agli studenti un’attività pratica, che di solito devono essere giusti, nel senso che devono essere consiste nel replicare pedissequamente una ricetta ideati con fantasia, preparati con cura ed eseguiti con elaborata dal docente, non dà i frutti sperati per rigore, perché più intelligente è la domanda più apprendere in modo efMicace. Infatti, questo contatto importante è la risposta che dà la Natura, cioè il con le “cose”, guidato e Miltrato dall’insegnante non è risultato dell’esperimento. formativo, viene passivamente subito dallo studente Allora, il ricercatore, fatto l’esperimento, deve perché non c’è nulla da scoprire: si conosce già il mettersi in ascolto di quello che la Natura vuole risultato che, fra l’altro, è quello indicato comunicargli: è un momento di grande tensione in dall’insegnante e non ammette repliche. Gli esperti di cui deve mettere in gioco tutte le sue capacità per didattica delle scienze e i pedagogisti dicono che riuscire ad interpretare il risultato che, spesso, si occorre interfacciarsi in modo nuovo con la classe, traduce nell’arrivare a conoscere qualcosa che prima che insegnare non signiMica dare giuste risposte, ma non sapeva. Poiché la conoscenza, sia che si tratti far nascere negli studenti giuste domande, dove della struttura dell’universo o di una semplice giuste sta ad indicare domande capaci di coinvolgere reazione chimica, crea un senso di soddisfazione, di emotivamente gli studenti stimolando la curiosità di commozione e di stupore, nasce nuova curiosità che sapere, la voglia di conoscere. È importante che scatti porta a fare nuovi esperimenti, ad ottenere nuovi questo desiderio perché il sapere e la conoscenza risultati e nuova conoscenza. non possono passare dal docente allo studente come Si tratta di una giostra inebriante, la giostra della se fossero uniti da un Milo immaginario; ammesso, curiosità (Figura 5), dalla quale il ricercatore non poi, che questo Milo esistesse, non servirebbe a nulla, vorrebbe più scendere, perché cerca con il desiderio dal momento che il sapere va conquistato in maniera di trovare e trova con il desiderio di cercare ancora, attiva e autonoma: solo così si raggiunge un sapere per usare le parole del grande Sant’Agostino. consapevole e duraturo nel tempo. Il suggerimento Si potrebbe pensare che questa giostra di domande e degli esperti, in deMinitiva, è quello di far entrare lo di risposte ad un certo punto Minisca, ma non studente nel mondo della Chimica e delle Scienze con succederà perché chi lavora nella ricerca sa che ogni lo stesso approccio che usa la ricerca scientiMica dove, scoperta genera più domande di quelle a cui dà appunto, tutto nasce dalla curiosità. risposta. La scienza si espande giorno dopo giorno,

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Figura 5. La giostra della curiosità che alimenta la ricerca scientifica.

mese dopo mese, anno dopo anno e avviene quello che ha scritto J. Priestley (1733 – 1804) (Figura 6), lo scopritore dell’ossigeno e il primo scienziato ad aver studiato la fotosintesi: «Più grande è il cerchio di luce, più grande è il margine dell’oscurità entro cui il cerchio è conMinato. Ma ciononostante più luce facciamo, più grati dobbiamo essere, perché ciò signiMica che abbiamo un maggior orizzonte da contemplare. Col tempo i conMini della luce si estenderanno ancor di più; e dato che la Natura Divina è inMinita, possiamo attenderci un progresso senza Mine nelle nostre indagini su di essa: una prospettiva sublime ed insieme gloriosa».

La didattica laboratoriale: la versione didattica della ricerca scientiIica La ricerca scientiMica, quindi, è il motore per lo sviluppo scientiMico e della società, ma, come detto prima, è anche il modo per appassionare e motivare gli studenti a studiare la Chimica (e le Scienze); occorre, quindi, far entrare in classe (dalla primaria all’università) la ricerca scientiMica e ciò si ottiene utilizzando la didattica laboratoriale che è appunto la versione didattica della ricerca scienti4ica. Questa metodologia è basata sull’apprendimento per scoperta e viene anche detta Inquiry-Based Learning (IBL) [2], o metodo delle 6E, dal momento che consta di sei fasi che in inglese cominciano con la lettera E e che, in qualche modo, ripercorrono le fasi della ricerca scientiMica. La prima fase, quella del coinvolgimento (Engage), ha lo scopo sia di sollecitare l’interesse dello studente, sia di raccogliere informazioni sulle sue conoscenze

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p r e g r e s s e r e l a t i v e all’argomento. L’insegnante ha il compito di introdurre situazioni problematiche che possano stuzzicare la curiosità degli studenti portandoli a formulare domande a cui cercheranno di d a r e r i s p o s t a n e l l a f a s e s u c c e s s i v a c h e è q u e l l a dell’esplorazione (Explore). In questa fase gli studenti si impegnano personalmente alla realizzazione di attività di ricerca, sia sperimentali che teoriche; è bene notare che, nel caso di attività pratiche, non c’è mai una ricetta e gli studenti da s o l i d e v o n o i d e a r e g l i esperimenti, da soli devono trovare i materiali adatti e cercare gli strumenti più appropriati. In analogia con quanto visto prima per la ricerca scientiMica, il punto cruciale è saper osservare, cioè saper “guardare con attenzione”, in modo da mettere in evidenza particolari che altrimenti sfuggirebbero e Missarli così nella memoria. L’esplorazione sensoriale e il riconoscimento delle differenze percettive, la conoscenza della realtà concreta e le sue possibili trasformazioni permettono di consolidare la relazione tra processi e prodotti e stimolano la creatività come trasformazione del noto o dell’esistente in forme nuove e impreviste. L’osservazione attenta e controllata del mondo circostante è, quindi, il passo necessario per iniziare a comprenderlo. Gli esperimenti consistono, infatti, nell’esaminare un fenomeno in condizioni controllate ed eventualmente di riprodurlo più volte per essere certi dei risultati. Comunque, sia che si tratti di attività sperimentali o teoriche, la cosa importante è che mani e mente sono sempre in continuo e proMicuo collegamento e, proprio per il fatto che l’esperimento non è organizzato come una veriMica, gli studenti entrano spontaneamente nella fase successiva, quella della spiegazione (Explain): la necessità o meglio il desiderio di interpretare il risultato o i risultati ottenuti sono, infatti, una conseguenza diretta e immediata di come è stata strutturata la sperimentazione. Si tratta, quindi, di un momento di riMlessione per fare ordine fra le molte scoperte e per approfondire le conoscenze in modo organico, così da far emergere le prime regole della disciplina. Per quanto riguarda la Chimica è a questo punto che può essere introdotta la sua peculiarità di scienza a tre livelli, spiegando che i fenomeni osservati durante

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abbia assimilato concetti e non imparato solo parole [3]: «Le parole possono isolare e conservare un signiMicato solo allorché esso è stato in precedenza implicato nei nostri contatti con le cose. Tentare di dare un signiMicato tramite la parola soltanto, senza una qualsiasi relazione con la cosa, signiMica privare la parola di ogni spiegazione intelligibile […]. Vi è la tendenza a credere che ovunque vi sia una deMinita parola o forma linguistica vi sia anche un’idea deMinita: mentre, in realtà, sia gli adulti che i fanciulli, possono adoperare formule verbalmente precise, avendo solo la più vaga e confusa idea di ciò che signiMicano».

Figura 6. Joseph Priestley (Birstall, 1733 - Northumberland, 1804).

gli esperimenti (livello macroscopico) trovano la loro interpretazione in termini di atomi e molecole (livello ultramicroscopico) e che è possibile rappresentare sia un livello che l’altro mediante un appropriato linguaggio creato dai chimici (livello simbolico). È un momento particolarmente delicato, soprattutto perché si chiede agli studenti di immaginare, con gli occhi della mente, l’invisibile e di andare oltre ciò che vedono gli altri; ad esempio, capire che le proprietà dell’acqua, che tutti conoscono, vedono e toccano con mano, sono il risultato delle caratteristiche di entità invisibili che compongono l’acqua, derivano cioè dalle proprietà della molecola d’acqua e dalle sue interazioni con altre molecole d’acqua. AfMinché il momento della riMlessione sia efMicace è anche molto importante assicurarsi che lo studente

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Se le parole non sono rimaste tali, ma si sono trasformate in concetti è, allora, possibile fare un ulteriore passo avanti entrando nella fase dell’elaborazione (Elaborate), in cui lo studente costruisce in maniera autonoma il proprio modello di realtà. Si tratta di un modello che viene elaborato mediante osservazioni ed esperimenti, cosa che permette allo studente di capire che il sapere scientiMico è rigoroso e oggettivo, ma che può anche essere modiMicato attraverso esperimenti successivi pensati e realizzati per soddisfare nuove curiosità o per spiegare risultati inattesi. Allora lo studente capisce un altro aspetto importante e cioè che il sapere scientiMico non è dogmatico e che nella Chimica, così come nella Scienza, non esistono verità assolute, ma solo verità in divenire. L’incertezza, che quindi è insita nel sapere scientiMico, non deve, però, essere intesa come qualcosa di negativo, ma come un valore aggiunto, perché il dubbio fa sì che gli scienziati siano Mlessibili e pronti a lasciare vecchie strade per imboccare vie inesplorate dalle quali poi nasce il progresso. Gli studenti, che saranno i cittadini di domani, devono avere ben chiaro questo modo di procedere della ricerca scientiMica per continuare a riporre Miducia nella Scienza, anche quando rivede o rinnega concetti assodati e abbraccia teorie nuove. Altra cosa da notare è che nell’elaborazione del loro modello di realtà inevitabilmente gli studenti commettono errori; è importantissimo che questi errori non vengano puniti, perché hanno una valenza didattica fondamentale (che il “signor errore” sia sempre il benvenuto, diceva la Montessori) e rappresentano un trampolino di lancio per arrivare ad imboccare la strada giusta; infatti, se ci si pensa bene, ogni verità non indica una via da seguire, mentre è sicuramente vero che ogni errore indica una via da evitare. Alla fase dell’elaborazione, grazie al fatto che il lavoro in laboratorio è normalmente organizzato in gruppi, segue, ancora una volta in maniera quasi spontanea, quella dello scambio (Exchange) in cui ogni studente condivide con i suoi pari quanto ha acquisito ed

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elaborato. Così, il fa’ e impara, proprio di questa metodologia, si integra perfettamente con il confrontati e impara, creando un ambiente in qualche modo assimilabile a quello della bottega r i n a s c i m e n t a l e , d o v e t u t t o p a r t i v a d a l l a sperimentazione creativa e nella quale gli apprendisti imparavano facendo e vedendo fare, comunicando fra loro e con i maestri, rubando con gli occhi quello che poi sarebbe diventato tecnica. Quindi, l’esperienza di apprendimento è vissuta in un contesto relazionale dove gli studenti imparano ad aiutarsi a vicenda e a sostenere chi ha difMicoltà di apprendimento [4]: «Una pedagogia che propone l’integrazione deve avere come obiettivo, valore principale il rispetto delle diverse intelligenze, originalità e potenzialità cognitive ed affettive di ciascuno. Nel gruppo, in un rapporto di reciprocità, le difMicoltà di apprendimento degli “altri” divengono un problema che “noi” dobbiamo risolvere».

Il laboratorio è allora il luogo e l’ambiente per maturare competenze sociali, perché durante un lavoro cooperativo entrano sempre in gioco abilità comunicative, di leadership, di soluzione negoziata, di gestione dei conMlitti e soprattutto di soluzione di problemi. Sfruttando queste abilità lo studente impara a comunicare sia per sé che per gli altri, dove gli altri sono gli studenti del proprio gruppo, della propria classe e di altre classi, ma anche le famiglie e il pubblico in genere, cosa che può essere ulteriormente potenziata coinvolgendo gli studenti in attività di tipo informale, come la preparazione di festival della scienza, mostre ed exhibit. Queste attività sono caldamente suggerite dalla Comunità Europea e sono parte integrante di molti progetti didattici di Chimica e di Scienze, perché si è visto che stimolano gli studenti, soprattutto quelli che generalmente non hanno prestazioni scolastiche buone, e permettono di sviluppare nuove competenze quali autonomia e creatività; viene anche potenziata la capacità critica e autocritica dal momento che, inevitabilmente e spontaneamente, gli studenti sono portati a dare una valutazione sia del proprio lavoro che di quello dei compagni. L’ultima fase è quella della valutazione (Evaluate); anche questa fase deve essere vista in modo nuovo perché, adottando la didattica laboratoriale, studenti e insegnanti rivestono ruoli che invertono le idee guida della tradizione didattica trasmissiva: lo studente-protagonista è al centro della relazione e del processo di insegnamento-apprendimento, mentre il docente si colloca in secondo piano, quale organizzatore, guida e facilitatore nei percorsi didattici. L’insegnante è il regista che deve saper creare la giusta atmosfera e allestire un appropriato

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palcoscenico didattico all’interno del quale ogni studente è invitato a mettere in gioco tutte le sue risorse di razionalità, creatività e ingegno, esattamente come fanno i ricercatori impegnati nel risolvere i loro problemi complessi. Deve essere discreto, ma al tempo stesso attento a cogliere e promuovere le idee degli allievi, ricordando, come ha detto Seneca, che «c’è un duplice vantaggio nell’insegnare, perché, mentre si insegna, si impara». Fermo restando che la valutazione tradizionale da parte dell’insegnante è imprescindibile ed ha un fondamentale ruolo formativo e di stimolo per gli studenti, con questo tipo di didattica valutare signiMica “guardare” i propri allievi a tutto tondo, non solo offrendo numerose occasioni di riMlessione sulle difMicoltà incontrate e sui risultati raggiunti, ma anche considerando la loro motivazione ad apprendere, la loro partecipazione ad attività informali e le loro capacità relazionali. È importante ricordare che la didattica laboratoriale non riguarda in modo speciMico le discipline scientiMiche, ma è piuttosto da intendersi come un approccio che, utilizzando la metodologia della ricerca e della risoluzione dei problemi, mira all’acquisizione di competenze invece che all’accumulo di nozioni. Il laboratorio, infatti, non va inteso solo come spazio chiuso e attrezzato, in cui poter svolgere con gli studenti un certo numero di esperimenti e dimostrazioni, ma come l’insieme di tutte le opportunità che consentono di esercitare osservazione, progettazione e sperimentazione. Si tratta, quindi, di un luogo in cui non solo si elaborano saperi, ma da cui si possono ricavare tutte le opportunità formative trasversali di carattere osservativo, logico e linguistico, utili per produrre nuove conoscenze e sviluppare nuove competenze nel pieno rispetto dei diversi stili di apprendimento. In questa prospettiva l’azione educativa si sposta dall’insegnamento all’apprendimento, cioè ai processi del far apprendere e del riMlettere sul fare, allo scopo di rendere gli allievi consapevoli del processo che vivono. Poche cose ben fatte per stimolare la voglia di sapere La grande potenzialità dell’approccio laboratoriale è molto ben descritta in un articolo della letteratura chimica americana di cui è protagonista un giovane ragazzo, Ira Remsen (1846 – 1927) (Figura 7), diventato poi un autorevole chimico, ben noto per la sintesi della saccarina, [5]. Nell’articolo Remsen scrive: «Leggendo un testo di chimica arrivai alla frase l’acido nitrico agisce sul rame. Mi stavo stancando di leggere cose così assurde e allora decisi di vedere quale fosse il signiMicato reale di quella frase. Il rame era per me un

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una rivelazione e mi spinse a desiderare di imparare di più su quel rimarchevole agisce sul».

Figura 7. Ritratto di Ira Remsen con firma.

materiale familiare, perché a quei tempi le monete da un centesimo erano in rame. Avevo visto una bottiglia di acido nitrico sulla tavola dell’ufMicio del dottore dove mi mandavano per passare il tempo. Non sapevo le proprietà dell’acido nitrico, ma ormai lo spirito di avventura si era impossessato di me. Così, avendo rame e acido nitrico, potevo imparare cosa signiMicassero le parole agisce sul. In questo modo, la frase l’acido nitrico agisce sul rame sarebbe stata qualcosa di più che un insieme di parole. Al momento, lo era ancora. Nell’interesse della scienza ero persino disposto a sacriMicare uno dei pochi centesimi di rame che possedevo. Ne misi uno sul tavolo, aprii la bottiglia dell’acido, versai un po’ di liquido sulla monetina e mi preparai a osservare quello che accadeva. Ma cos’era quella magniMica cosa che stavo osservando? Il centesimo era già cambiato e non si poteva dire che fosse un cambiamento da poco. Un liquido verde-blu schiumava e fumava dalla moneta e l’aria tutt’intorno si colorava di rosso scuro. Si formò una gran nube disgustosa e soffocante. Come potevo fermarla? Provai a disfarmi di quel pasticcio prendendolo con le mani per buttarlo dalla Minestra. Fu così che imparai un altro fatto: l’acido nitrico agisce non solo sul rame, ma anche sulle dita. Il dolore mi spinse a un altro esperimento non programmato. InMilai le dita nei calzoni e scoprii che l’acido nitrico agisce anche sui calzoni. Tutto considerato, quello fu l’esperimento più impressionante e forse più costoso della mia vita. Fu

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L’obiezione comune che viene fatta a questo tipo di didattica è che comporta una forte dilatazione dei tempi; la cosa è certamente vera, ma non deve spaventare per i seguenti motivi: è meglio affrontare meno argomenti in maniera approfondita, che molti argomenti velocemente e in maniera superMiciale; basta utilizzare un tale approccio in uno o due casi per far sì che lo studente impari ad apprendere personalmente; la didattica laboratoriale può essere efMicacemente combinata con le metodologie didattiche tradizionali, aspetto estremamente importante tenuto conto che non tutti gli obiettivi di apprendimento devono (o possono) essere perseguiti con l’approccio laboratoriale. Non deve neanche spaventare il fatto di non avere a disposizione in ambito scolastico un laboratorio opportunamente attrezzato, perché il problema può essere facilmente superato sfruttando tutte le opportunità che il territorio offre come, ad esempio, i dipartimenti universitari, i centri di ricerca e i musei scientiMici. Come già puntualizzato, la cosa fondamentale e più importante di questo approccio didattico è che l’azione educativa si sposta dall’insegnamento all’apprendimento, cioè ai processi del far apprendere e del riMlettere sul fare, allo scopo di rendere gli allievi consapevoli del processo che vivono. Tutto ciò si inquadra perfettamente in quelli che sono i compiti formativi della scuola: promozione dell’apprendimento (istruzione), ma anche e soprattutto accompagnamento al saper stare al mondo (educazione), ricordando che l’istruzione non può e non deve mirare ad essere enciclopedica e che, in accordo con quanto detto sopra, la regola dovrebbe essere quella di insegnare alcune cose b e n e e a fo n d o , n o n m o l t e c o s e m a l e e superMicialmente. In altre parole, il docente deve avere il coraggio di selezionare, scegliere, eliminare argomenti, anche operando tagli che a prima vista potrebbero sembrare dolorosi per la sua sensibilità disciplinare, avendo bene in mente il famoso monito dei MilosoMi greci: «Insegnare non è riempire un vaso, ma accendere un fuoco». Questo monito avrebbe dovuto guidare tutti i docenti durante il drammatico momento del lock-down dovuto alla pandemia COVID-19: mantenere vivo l’interesse degli studenti e stuzzicare la loro curiosità a distanza sono stati, infatti, gli scogli più difMicili da superare. Per quanto riguarda la Chimica, disciplina sperimentale per eccellenza, la limitazione o l’interruzione totale delle attività pratiche è stata sicuramente una grossa penalizzazione, ma si poteva fare di necessità virtù insegnando, assieme ai

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fondamenti, una Chimica “viva”, quella che permea ogni momento della nostra quotidianità e che, soprattutto se accoppiata alla metodologia IBL, è capace di risvegliare l’interesse degli studenti anche quando ascoltano da un monitor. ApproMittare, cioè, della situazione per discutere del perché ci siamo trovati relegati nelle pareti delle nostre case, della responsabilità dell’uomo in tutto quanto è successo, del rispetto che è doveroso avere nei confronti dell’ambiente, di sostenibilità e di economia circolare. Fra l’altro si può parlare di tutto ciò insegnando Chimica, perché la Chimica ha un ruolo fondamentale per attuare uno sviluppo sostenibile, per salvaguardare il nostro pianeta e anche per trovare le “armi” necessarie a limitare la diffusione dei virus e a combatterli. E si prendono anche due piccioni con una fava: si motivano gli studenti a studiare la Chimica e si formano futuri cittadini responsabili, maturi e consapevoli, perseguendo quello che è l’obiettivo prioritario della scuola di ogni ordine e grado. Per concludere: mai perdersi d’animo I docenti di Chimica sono maggiormente afMlitti da due preoccupazioni: la prima, legata alle poche ore di insegnamento, è quella di non riuscire a dare una risposta del tutto esauriente o conclusiva ai molti perché che emergono durante le lezioni, mentre la seconda, che forse rasenta più la frustrazione, riguarda il poco interesse che gli studenti hanno per la Chimica. Questi docenti, però, non devono perdersi d’animo: basta guardare la situazione con occhi diversi e trovare l’aspetto positivo anche quando tutto sembra remare contro. Infatti, l’impossibilità di affrontare in maniera esaustiva i molti perché della Chimica deve essere vista non come una limitazione penalizzante, ma come un’occasione utile per stimolare la fantasia e la curiosità dello studente e per spingerlo a cercare spiegazioni più rigorose in un livello superiore di studi. Un po’ più difMicile da superare è il secondo problema, dal momento che è duro “mandar giù” il fatto che la propria disciplina non sia amata; tuttavia, basta pensare che è inevitabile e forse giusto che ci siano discipline che interessano di più gli studenti e discipline che interessano di meno. Ciò succede in tutti i campi e in ogni momento della vita: continuamente esprimiamo preferenze e facciamo scelte. È, quindi, importante dire agli studenti che è un bene avere delle preferenze; è un contributo essenziale alla formazione della propria personalità che è il risultato di un costante processo di selezione. È, però, altrettanto importante far capire agli studenti che è fondamentale studiare, sempre e comunque, con impegno e caparbietà tutte le discipline, comprese quelle che non amano, perché un domani potrebbero

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riscoprirle e apprezzarle, o avere la necessità di usarle.

Bibliografia e sitografia 1. a) Balzani V., Venturi M., Chimica! Leggere e scrivere il libro della natura. Scienza Express, 2012; b) Balzani V., Venturi M., Reading and Writing the Book of Nature. Royal Society of Chemistry, 2014. 2. a) Bybee R.W., Scienti4ic inquiry and science teaching in Scienti4ic inquiry and nature of science: Implications for teaching for teaching, learning, and teacher education (Eds. L. Flick, N. Lederman), Springer, Dordrecht, 2006; b) Bybee R.W., Taylor J.A., Gardner A., Van Scotter P., Powell J.C., Westbrook A., Landes N., BSCS 5E instructional model: origins and effectiveness in https://bscs.org/resources/ reports/the-bscs-5e-instructional-model-origins-andeffectiveness/, 2006; c) Bybee R.W., The BSCS 5E instructional model and 21st century skills in https:// sites.nationalacademies.org/cs/groups/dbassesite/ documents/webpage/dbasse_073327.pdf, 2009. 3. Dewey J., Come pensiamo. La Nuova Italia, Firenze, 1994. 4. Cuomo N., L’altra faccia del diavolo. Apprendere ed insegnare in stato di benessere: un atteggiamento sperimentale. UTET, Torino, 1995. 5. Shakhashiri B.Z., Chemical demonstrations - a handbook for teachers of chemistry, vol. 1, p. XIV, The University of Wisconsin Press, Madison, 1983 (libera traduzione dell’autore del presente articolo).

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Delle Arti

CARAVAGGIO Introduzione al suo “enigma” (II parte) Rodolfo Papa

Figura 1. Michelangelo Merisi da Caravaggio, I bari. 1595-1596, Kimbell Art Museum, Fort Worth (Texas).

C

ome abbiamo già visto, intorno all’opera di Caravaggio [1], sembra addensarsi il confronto e addirittura lo scontro tra “bella maniera” e “imitazione della natura”: entrambi i contendenti sostengono una “parte” della verità. Se, infatti, volgiamo lo sguardo ai secoli precedenti, vediamo un lungo percorso di ricerca nel Quattrocento e nel Cinquecento, che trova espressione concreta ed eccellente nella teoria, complessa ma unitaria, di Alberti e di Leonardo, in cui arte e natura appaiono non contrapposte, ma piuttosto uniOicate. Successivamente, nella seconda metà del Cinquecento, questa unica visione dell’arte si separa in due concezioni della bellezza, che si distinguono e si fronteggiano. Le due posizioni sono,

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in realtà complementari e non antitetiche, visto che sono emiporzioni del medesimo discorso teorico, ma, nella volontà di ragionare più internamente al fare artistico, tendono ad isolarne l’elemento più intimo, ovvero la creatività dell’artista. Così per alcuni l’immaginazione, e quindi la creatività artistica, si concretizza direttamente nel disegno, inteso non solo come mezzo tecnico e di supporto, ma come Oine stesso dell’azione artistica, capace di migliorare, di aggiungere senso e quindi bellezza al dato naturale. Questa volontà di superare il dato naturale è già presente in tutte le teorie d’arte quattrocentesche e cinquecentesche, ma non isolato né esaltato come l’unico elemento determinante. Leonardo, per esempio, prescrive, all’artista la “conformità” alla natura, intendendo con questa non solo l’imitazione

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Delle Arti Rodolfo Papa, PhD. Pittore, scultore, teorico, storico e Oilosofo dell'arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Accademico Ordinario della PontiOicia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Docente di Arte Sacra, Tecniche Pittoriche nell’Accademia Urbana delle Arti. Presidente dell'Accademia Urbana delle Arti. Già docente di Storia delle teorie estetiche, Storia dell’Arte Sacra, Traditio Ecclesiae e Beni Culturali, FilosoOia dell’Arte Sacra (Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant'Apollinare, Roma; Master II Livello di Arte e Architettura Sacra della Università Europea, Roma; Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; PontiOicia Università Urbaniana, Roma; Corso di Specializzazione in Studi Sindonici, Ateneo PontiOicio Regina Apostolorum). Tra i suoi scritti si contano circa venti monograOie, molte delle quali tradotte in più lingue e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; “Espiritu”; “La Società”; “Rogate Ergo”; “Theriaké” ). Collaborazioni televisive: “Iconologie Quotidiane” RAI STORIA; “Discorsi sull’arte” TELEPACE. Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San PanOilo, Sulmona; Chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma; Monastero di Seremban, Malesia; Cappella del Perdono, SS. Sacramento a Tor de'schiavi, Roma …)

delle cose ritratte, ma l’imitazione delle leggi della divergenti, compiono un recupero della tradizione natura, quindi la riproduzione del mondo attraverso naturalista, quella proposta da Leonardo e dallo la pittura, in una posizione che non imita le cose ma stesso Michelangelo. il Oine delle cose di natura [2]. Nei trattatisti tardo Anche Armenini cita l’osservazione di Michelangelo cinquecenteschi, dunque, si fa largo una profonda che un uomo che segue un altro uomo non lo supera riOlessione sull’atto creativo, tesa a rivendicare mai, aprendo così di fatto ad uno svincolamento dagli l’autonomia del disegno come momento culminante stessi maestri presi come modello, e per certi versi conoscitivo ed artistico. In questo contesto teorico, la riproponendo la natura come oggetto di imitazione, “bella maniera” viene opposta alla semplice con la clausola però che il riferimento alla natura “imitazione della natura”, in una visione dell’arte, che avvenga solo dopo che l’artista abbia raggiunto una è manifestazione di un momento di crisi e di buona maniera. Così, in questi termini, si comprende difOicoltà, ma anche preparazione dei successivi come anche Annibale Carracci, in opere come La sviluppi artistici del primo Seicento. Infatti, bottega del macellaio o Il mangiafagioli, abbia guardando attentamente le opere realizzate da guardato al dato naturale e nella prima parte della diversi artisti tra la Oine del Cinquecento e i primi carriera si sia dedicato a ritrarre la realtà quotidiana, anni del Seicento, si assiste ad una sorta di Oiliazione attraverso il tema comico-morale, con uno sguardo e di espansione di direzioni divergenti, che prendono però linfa da un unico metodo formativo. La nozione di “bella e dotta maniera” proposta da Armenini si fonda sullo studio dei maestri attraverso la copia di modelli sempre più difOicili: prima disegni e incisioni, poi quadri in chiaroscuro e a colori, e inOine marmi antichi e il Giudizio Universale di Michelangelo. Questo percorso si può osservare in un disegno di Federico Zuccari che ritrae il fratello Taddeo che disegna nella Sistina. Come vedremo in seguito, questa è proprio la formazione che il giovane Caravaggio riceve nella bottega del Peterzano a contatto con la cultura lombarda di Oine Cinquecento. Anche Annibale Carracci, che secondo un certo tipo di critica sarebbe l’eterno rivale di Caravaggio, riceve una formazione eclettica, appunto manierista. Ma entrambi i due grandi Figura 2. Annibale Carracci, Il mangiatore di fagioli, 1583-1585, Galleria Colonna, artisti, con percorsi paralleli, ma Roma.

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Figura 3. Annibale Carracci, La bottega del macellaio, 1583-1585, Christ Church Gallery, Oxford.

beffardo e divertito che troviamo anche nelle opere Le posizioni di Lomazzo e Armenini, che tendono a giovanili di Caravaggio. regolamentare una salda e sicura formazione di In altre parole, i temi trattati e i riferimenti culturali maniera, fatta di mille precetti e regole, si risolvono che nutrono la pittura del primo Caravaggio sono gli nelle mani di un artista come Caravaggio in un stessi delle opere d’esordio di Annibale Carracci: si superamento e in una sintesi. Caravaggio ha evidenzia, in tal modo, una comune formazione costantemente presente l’esempio di Michelangelo culturale forgiata ai medesimi principi, ma con esiti Buonarroti, avendo una formazione “manierista”, ma diversi. rifugge dal plagio o dalla semplice sequela, mettendo L’imitazione della natura in atto una vera e propria si fa di nuovo largo nella assimilazione delle forme «Lo stile di Caravaggio prende b o t t e g a e dei modelli del grande gradualmente le mosse dalla visione tardocinquecentesca e si m a e s t r o , i n u n a dell’arte incline alla “maniera”, ma va però c o l l o c a a l O i a n c o produzione che ha come maturando una concezione che entra dell’antichità; del resto la e s i t o q u a l c o s a d i apertamente in gara con i maestri, ma maniera dell’artista è totalmente diverso e considerata “bella” nella nuovo. osando l’impossibile, ovvero superarli misura in cui si avvicina Lo stile [3] di Caravaggio proprio nella gara dell’imitazione della alle opere dell’antichità. prende gradualmente le natura, operando così una rifondazione Per certi versi si riapre m o s s e d a l l a v i s i o n e dello stesso linguaggio artistico, che non una gara con l’antico, che dell’arte incline alla sarà più di tipo eclettico, ma sintetico» ha come stimolo proprio “maniera”, ma va però i l s u p e r a m e n t o d e i m a t u r a n d o u n a modelli stessi. Come abbiamo già visto in Armenini, concezione che entra apertamente in gara con i l’idea del seguace che imita la maniera di un solo maestri, ma osando l’impossibile, ovvero superarli maestro viene con timore intesa come fallimentare, proprio nella gara dell’imitazione della natura, tanto da risolversi in un più sicuro atteggiamento operando così una rifondazione dello stesso onnivoro, che origina una formazione di tipo linguaggio artistico, che non sarà più di tipo eclettico, eclettico. ma sintetico.

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Delle Arti Con due penne, e due lingue i pregi tuoi Scriverem, canteremo, et egli, et io. Accanto ai detrattori della pittura di Caravaggio, esiste, dunque, anche un nutrito gruppo di intellettuali che non solo ne apprezza l’arte, ma addirittura la esalta Oino a mitizzarla. Il vero tratto leggendario di Caravaggio, allora, non è tanto dato dalla inclinazione alla violenza o alla dissolutezza, che pure tanto ha sempre attirato e ancora attira biograOi e romanzieri di ieri e di oggi, quanto piuttosto dal suo sconcertante talento naturale che, come narra in versi Marzio Milesi nel sonetto De medemo, “stupisce il mondo” e vince l’arte e la natura, superandole con facilità: Ammirate l’altissimo Pittore, ch’a quanti pria ne furo passa avanti; a celebrarlo venghan almo scrittore, degno ben di gran pregi, e sommi vanti. Stupisce il mondo, e viene a fargli honore con l’ingegni sublimi tutti quanti. Felice secol nostro, in cui si vede quel’che d’antica età si scrive, e crede.

Figura 4. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro. 1595-1596, Fondazione Longhi, Firenze.

Ma questa novità nutrita di tradizione non sempre viene compresa dai teorici dell’arte contemporanei di Caravaggio, e talvolta è fraintesa anche a motivo del suo grande successo. Il suo stile e la sua maestria furono, infatti, anche molto ammirati, come vediamo per esempio nei sonetti composti dal grande poeta Giovan Battista Marino. In un sonetto, in particolare, egli canta le lodi dell’arte di Caravaggio, perché gli aveva fatto un ritratto così somigliante da poter essere considerato non un ritratto, quanto piuttosto un doppio, e, riproponendo il concetto di deità dell’artista che sa imitare la natura, già proposto da Leonardo, paragona il Merisi al Creatore, avendo egli dato non solo le sembianze, ma anche l’anima al suo ritratto: Vidi, Michel, la nobil tela, in cui Da la tua man veracemente espresso Vidi un altro me stesso, anzi me stesso Quasi Giano novel, diviso in dui Io, che ‘n virtù d’Amor vivo in altrui Spero hor mi Oia (la tua mercé) concesso In me non vivo, hor ravvisarmi in esso, In me già morto, immortalarmi in lui. Piacemi assai, che meraviglie, puoi Formar sì nove, Angel non già, ma Dio, Animar l’ombre, anzi di me far noi. Che s’hor scarso lodarti è lo stil mio

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Milesi esprime non solo ammirazione per l’ineguagliabile talento artistico, ma esalta soprattutto il superamento dei maestri passati operata da Caravaggio, tanto da rendere quel momento storico, proprio grazie alla sua arte, capace di competere con l’antico e di superarlo. Il confronto tra Michelangelo Merisi e Michelangelo Buonarroti e la vittoria della pittura di Caravaggio sull’arte e sulla natura, è espressa in un altro sonetto

Figura 5. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Scudo con la testa di Medusa 1598 ca., Galleria degli Uffizi, Firenze.

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Delle Arti eccellenza, a partire dalla prima versione delle Vite del Vasari nel 1550. Dunque, il paragone tra M i c h e l a n g e l o e Caravaggio e la vittoria del secondo sul primo è la vera chiave di lettura del mito che si costruisce nel tempo sulla Oigura del Merisi. S i c o m p re n d e a n c o r m e g l i o c o m e n e i detrattori di Caravaggio la volontà di abbinare tale estremo talento all’enfatizzazione di un carattere difOicile e di una vita trasandata, trovi origine nell’invidia dei colleghi che si vedono b a t t u t i n e l c a m p o d e l l ’ a r t e e n e l l a progressiva perdita di c o n s e n s o p r e s s o i committenti. Soprattutto, la pittura di Caravaggio a p p a re d i f O i c i l m e n t e comprensibile da parte di quegli artisti che non riescono ad uscire dai problemi teorici ai quali si sono caparbiamente aggrappati. Lo sdegno e l ’ a m m i ra z i o n e ve r s o l’opera di Caravaggio Figura 4. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Bacco. 1596-1597, Galleria degli Uffizi, Firenze. sono spesso unite, come per esempio in Giovanni di Milesi, Michel Angiolo da Caravaggio anchor Baglione che, pur criticando la sua opera e l’inOluenza giovane: nefasta che questa ha sui giovani, però non può far altro che seguirlo egli stesso sulla medesima strada, Michel, Angel voi siete, e siete uguale Oinendo per essere quasi involontariamente, nel di chi fu al mondo tale, continuo gareggiare, proprio uno dei seguaci di ch’a ciascun fu maggiore, Caravaggio. e co’l nome, e con l’opre lui sembrate. Se tal in sì verdi anni vi mostrate Bibliografia che Oie in età matura? 1. Cfr. Papa R., Caravaggio. Le origini e le radici, Firenze 2010; Caravage, Paris 2009; Caravaggio. Lo stupore Da voi le gran maestre Arte, e Natura, dell’arte, Verona 2009; Caravaggio. L’arte e la natura, vinte si resteranno, collana “Grandi monograOie” Firenze 2008; Caravaggio. con vostro eterno honor, lor grave danno. Gli anni giovanili, Firenze 2005; Caravaggio pittore di Maria, Milano 2005; Caravaggio. Gli ultimi anni, Firenze Caravaggio viene, dunque, stimato capace di imprese 2004; Caravaggio. Vita d'artista, Firenze 2002. 2. Cfr. Papa R., Libro di pittura: dieci parole chiave, in artistiche leggendarie, ed è considerato come colui Leonardo, Trattato della Pittura, Firenze 2019, pp. 7-22; che è in grado di sbloccare l’empêche nella quale la Papa R., Leonardo. La tecnica pittorica, Firenze 2011; La cultura manierista si è andata a bloccare nel culto del scienza della pittura di Leonardo. Analisi del Libro di m o d e l l o i n s u p e r a b i l e d i M i c h e l a n g e l o , Pittura, Milano 2005. universalmente considerato il maestro per 3. Cfr. Papa R., Discorsi sull’arte sacra, Siena 2012.

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Delle Arti

CONVEGNO ON-LINE

1951-2021. L’ENIGMA CARAVAGGIO NUOVI STUDI A CONFRONTO Piattaforma ZOOM GIORNATA DI STUDIO: In attesa del Convegno- venerdì 15 ottobre 2021 ore: 10:00-13:00 Per vedere la video registrazione della I giornata: https://www.youtube.com/watch?v=Rvnxd0A3fWc

LINK PER ISCRIVERSI ALLE SESSIONI I GIORNATA SESSIONE MATTUTINA: Caravaggio e la Fede – mercoledì 12 gennaio 2022 ore 10:00-13:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_3QvdNQ1lQpaMB9oK6tx2vw I GIORNATA SESSIONE POMERIDIANA: Moralia – mercoledì 12 gennaio 2022 ore 15:00-19:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_DDtjwffSTZ-XV7Yi0r9kLA ___________________________________________________________________________ II GIORNATA SESSIONE MATTUTINA: Caravaggio ed il Mediterraneo – mercoledì 19 gennaio 2022 ore 10:00-13:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_6CGHYeB9SIeXFDcypNt2qA II GIORNATA SESSIONE POMERIDIANA: La diffusione di uno stile – mercoledì 19 gennaio 2022 ore 15:00–19:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_lv0FTF0cSYaB0w9IKFzuyQ __________________________________________________________________________ III GIORNATA SESSIONE MATTUTINA: Cultura e committenza – venerdì 21 gennaio 2022 ore 10:00-13:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_Lt8s3oGISNK22Djso4DbvQ III GIORNATA SESSIONE POMERIDIANA: Novità ed approfondimenti – venerdì 21 gennaio 2022 ore 15:00-19:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_B4VAUbRmSlGs7Saoc314PQ ___________________________________________________________________________ IV GIORNATA SESSIONE MATTUTINA: Artisti dei laghi ai tempi del Caravaggio - mercoledì 26 gennaio 2022 ore 10:00-13:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_tynNh-iSQk6ayr2tkDJ5RQ IV GIORNATA SESSIONE POMERIDIANA: Ricerche e documenti - mercoledì 26 gennaio 2022 ore 15:00-19:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_G7Sk9eQOQdiHoCDYwxgthA _______________________________________________________________________________

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Delle Arti V GIORNATA SESSIONE MATTUTINA: Itinerari diversi- venerdì 28 gennaio 2022 ore 10:00 – 13:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_9ppKl_YrTb6q3UxCoTmdIw V GIORNATA SESSIONE POMERIDIANA: Variazioni sul tema - venerdì 28 gennaio 2022 ore 15:00 – 19:00 https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_oB8ar_XvTnOcHBXwH8FTZA

Il programma completo è disponibile sul sito internet: https://caravaggio.info

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EDUCARE ALLA BELLEZZA Scalata o iniziazione? Ciro Lomonte*

Figura 1. Cratere a calice a fondo bianco (440-430 a.C.), attribuibile al pittore della phiale di Boston. Agrigento, Museo Archeologico Regionale Pietro Griffo. Foto di Ignazio Nocera.

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niziamo dall’epilogo della famosa Ode su un’urna greca di Keats, senza entrare nel merito del rapporto tra classicità e romanticismo in quest’opera.

«Beauty is truth, truth beauty, – that is all ye know on earth, and all ye need to know». «Bello è vero, vero bello, questo sol sapete in terra e saper vi basta» [1]. È uno splendido invito da rivolgere ai giovani di oggi, attratti dal mondo delle immagini e dei suoni, ma

senza un solido orientamento per l’educazione del gusto. La bellezza autentica ha fondamenta su rocce solide. Il testo è tanto più intrigante oggi in quanto attraversiamo un’epoca contrassegnata dal relativismo. La verità? Che cos’è la verità? La bellezza p e r d e s e n s o , a n z i n o n e s i s t e n e p p u r e oggettivamente, al di fuori della visione metaSisica, nella quale i trascendentali del vero, del buono, del bello, sono intrinsecamente parte dell’essenza di ogni cosa. D’altro canto da tempo si è veriSicato un cortocircuito ancora non riparato tra alcune teorie: la morte

*Testo dell’intervento pronunciato il 28 ottobre 2015 nell'ambito del convegno La s=ida educativa nel contesto postmoderno, organizzato dall’Associazione Aster.

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Cultura

Ciro Lomonte (Palermo 1960) è un architetto, personaggio pubblico e politico, esperto in arte sacra. Dopo la maturità ha studiato presso le facoltà di architettura dell’Università di Palermo e del Politecnico di Milano. Dopo la laurea ha iniziato a lavorare presso studi privati di architettura; in uno di essi conobbe l’architetto Guido Santoro, con il quale strinse amicizia e sodalizio professionale. Dal 1987 al 1990 ha partecipato all’elaborazione del piano di recupero del centro storico di Erice. Nel 1988 inizia le sue ricerche nel campo dell’arte sacra. Ha partecipato alla rideSinizione di molte chiese, in particolare Maria SS. delle Grazie a Isola delle Femmine, Maria SS. Immacolata a Sancipirello, Santo Curato d’Ars a Palermo ed altre. Attualmente, insieme a Guido Santoro, sta adeguando l’interno della chiesa di Santa Maria nella città di Altofonte vicino Palermo. Dal 1990 al 1999 ha diretto la Scuola di Formazione Professionale Monte Grifone (attuale Arces) a Palermo. Dal 2009 è docente di Storia dell’Architettura Cristiana Contemporanea nel Master di II livello in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Università Europea di Roma. Nel 2017 è stato candidato sindaco di Palermo per il partito indipendentista Siciliani Liberi. È autore e traduttore di numerosi libri e articoli dedicati alla architettura sacra contemporanea. Nel 2009, insieme a Guido Santoro, ha pubblicato il libro “Liturgia, cosmo, architettura” (Edizioni Cantagalli, Siena). dell’arte, la morte di Dio, la morte della speranza (come quando si dice, con Sartre, che l’inferno sono gli altri …). L’arte contemporanea si nutre di queste concezioni, a volte soltanto come titoli di capitoli da approfondire, senza preoccuparsi del loro reale contenuto. In fondo, ci dicono, l’esaltazione dell’orrido, del blasfemo, del violento, del macabro, non sarebbe giustiSicata dalle stesse Sacre Scritture? Gli artisti contemporanei hanno un gusto morboso e malizioso per la desacralizzazione della fede cattolica e attingono a piene mani ai testi della Rivelazione. Pensiamo alle impressionanti profezie di Isaia sul Servo di Yahweh, impressionanti per la brutalità dei supplizi descritti e per la precisione con cui si sarebbero avverate sette secoli dopo.

[5] Egli è stato traSitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. [6] Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada;

[2] ... Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. [3] Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. [4] Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato.

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Figura 2. Volto della Sindone. Foto by Haltadefinizione. https:// w w w. s i n d o n e . o r g / d i o c e s i t o r i n o / s 2 m a g a z i n e / c s s / 0 / sindone_2014/telo/index.html

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Cultura il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. [7] Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. [8] Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si afSligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte. [9] Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. [10] Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. [11] Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustiSicherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. [12] Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori [2].

Figura 3. Jean-Michel Basquiat (1960-1988), Warrior. Acrilico, olio e spray su legno, 1982. Collezione privata.

Com’era in realtà il Messia? Bello o brutto? È un tema che viene trattato per esempio nel libro di Joseph Tschöll, Dio e il bello in Sant’Agostino [3]. È anche un problema dello gnosticismo. Se guardiamo all’uomo della Sindone, vediamo in effetti una creatura imbruttita dagli atroci patimenti subiti. Eppure gli scienziati e gli esperti di animazione ne hanno tratto una messe sterminata di informazioni per ricostruirne la Sigura com’era prima della condanna alla Slagellazione e alla croce. Ne è emerso un uomo bellissimo, alto, ben proporzionato, atletico, di cui Leonardo da Vinci si sarebbe servito volentieri per disegnare la soluzione euritmica vitruviana [4]. Le Scritture non c’entrano niente con l’impasse attuale della creatività. L’arte contemporanea è in crisi profonda, da decenni, per ben altri motivi.

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Bacon, Basquiat, Rainer, Schwarzkogler, si sono accaniti sul corpo umano, facendolo a pezzi sul lettino di un obitorio. Persa di vista l’anima o fraintesa la sua effettiva natura, hanno cercato nelle lacerazioni della materia e nella merciSicazione delle immagini in decomposizione il senso di un’armonia contraddetta dagli orrori del secolo breve [5]. La loro potrebbe forse essere considerata autentica ribellione. Tale non può dirsi quella dei furbi che continuano a lucrare sulla “trasgressione”, che era già, ai tempi della rivoluzione sessuale, molto più conformista di quanto si volesse far credere. Il noto pubblicitario Erminio Perocco sostiene che, per fare uno spot, solo chi è a corto di risorse creative ricorre alle donne nude. Afferma che ai concorsi internazionali di settore queste pubblicità non vengono neppure presentate. L’unica mostra contemporanea che Sinora mi sia piaciuta, quindici anni fa, è opera di un artista

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Figura 4. Scaffalature del Monte di Pietà S. Rosalia. Palazzo Branciforte, Palermo.

francese di origini ucraine, Christian Boltanski, che sistemò gli immensi locali del Monte di Pietà S. Rosalia — con le scaffalature di legno superstiti — in modo da far rivivere l’angoscia della gente povera che doveva impegnarsi persino la biancheria intima per sopravvivere [6]. Ma era un’installazione, non era bella di per sé. Suscitava emozioni e faceva interrogare il pubblico sulla storia di un luogo. Non era neppure arte, in senso stretto. L’arte contemporanea in realtà non è arte e non ha per oggetto la bellezza. È capacità della critica, non

Figura 5. Christian Blotanski. Palazzo Branciforte, Palermo.

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del creativo, di dare un signiSicato compiuto alle trovate originali. Solo l’intelletto ne può trarre un qualche godimento, se non altro per la sorpresa momentanea. E solo all’interno di una tribù elitaria, che si compiace delle regole da essa stessa codiSicate. Dicevamo che la metaSisica riconosce alcuni “trascendentali” dell’essere, qualità inscindibili dalla stessa essenza dell’ente. Giovanni Paolo II ha dedicato un’attenzione speciSica ad essi, seguendo il criterio dell’urgenza di affrontare le più gravi patologie del pensiero contemporaneo. Prima ha scritto la Veritatis splendor, enciclica del 6 agosto 1993, sul trascendentale del bene. Poi la Fides et ratio, enciclica del 14 s e t t e m b r e 1 9 9 8 , s u l trascendentale del vero. Sul bello ha scritto uno splendido testo nel 1999, la Lettera agli artisti, in cui si legge: «La bellezza è in un certo senso l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metaSisica della bellezza» [7]. Scriveva S. Tommaso d’Aquino: «Il bello e il bene sono nel soggetto la medesima cosa, perché si fondano sulla stessa

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Figura 6. Roger Scruton, Why beauty matters. Documentario trasmesso dalla BBC nel 2009.

realtà, cioè sulla forma, e perciò il bene è lodato come bello. Ma essi differiscono concettualmente. Infatti il bene riguarda propriamente il tendere verso: è infatti buono ciò a cui tendono tutte le cose. E così esso dice relazione a un Sine, infatti il desiderare è quasi un certo moto verso una cosa. Invece il bello riguarda la facoltà conoscitiva: infatti sono dette belle le cose che, una volta viste, piacciono. Da ciò deriva che il bello consiste in una debita proporzione, perché il senso si diletta nelle cose debitamente proporzionate, come in cose simili a sé; infatti anche del senso vi è una certa armonia, e una capacità conoscitiva del tutto. E poiché la conoscenza avviene per assimilazione e la similitudine riguarda la forma, il bello propriamente riguarda il concetto di causa formale» [8].

A l l a p e r c e z i o n e d e l b e l l o c o n c o r r o n o fondamentalmente i sensi e le due facoltà dell’animo umano, l’intelletto e il volere. Nell’atmosfera di pessimismo gnoseologico in cui siamo immersi prevalgono due tipi di approccio. Il primo, quello più di massa, fa leva sulla percezione sensibile. Forse sarebbe meglio dire sensuale. Si tratta di un edonismo materialista ed emotivo. Lo studioso Rodolfo Papa sottolinea la sovraesposizione dei corpi nella luce, sia nella pubblicità che nella pornograSia: sono immagini immateriali che galleggiano in una voluttà liquida [9]. L’altro approccio è quello intellettuale, tipico dei circoli artistici elitari, che assecondano i pruriti più cervellotici. Sono forme di spiritualismo gnostico, molto pervasive.

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In entrambi i casi manca la pienezza dell’esperienza del bello, in cui sono coinvolti non solo i sensi e la ragione, insieme, ma anche la volontà, la grande assente nei due approcci appena descritti. C’è qualcosa di più profondo, di più stabile, di più coinvolgente, nel bello. C’è passione operosa nell’arte, non soltanto emozioni efSimere! C’è desiderio, c’è amore, nella bellezza! Il guaio è che oggi bellezza, arte, artigianato, vogliono dire due, tre, inSinite cose diverse tra gli uomini della nostra epoca, che non sanno se è possibile conoscere la verità, ammesso che essa esista. Il principio di immanenza, il cogito ergo sum, ha provocato una sconfortante intraducibilità dei concetti tra le varie visioni del mondo [10]. Per riSlettere su questi argomenti è molto efSicace Why beauty matters, un documentario della BBC del 2009, curato dal Silosofo Roger Scruton. Molto denso e sanamente provocatorio è anche il suo libro sulla bellezza apparso nella versione italiana nel 2011 [11]. Scruton, citando Oscar Wilde, ripete con insistenza che la bellezza è inutile, non si può valutare con parametri economici o pragmatici. Ho ritrovato questo concetto, espresso in altri termini, in una tesi di SilosoSia piuttosto brillante discussa il 14 ottobre scorso in questa Università [12]. Se si tornasse a cogliere la gratuità della bellezza, anche in un gioco come il calcio, oggi deturpato dalle derive utilitariste della Sinanza, il nostro mondo ne trarrebbe enormi beneSici. La dimensione ludica della vita, intesa alla

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Cultura luce di una corretta visione antropologica, contribuirebbe più radicalmente alla salute Sisica e psichica degli esseri umani. Sulla natura dell’arte cito un articolo del prof. Rodolfo Papa: «La tradizione classica ci offre una deSinizione reale di ars, secondo genere e differenza: ars est recta ratio factibilium, ovvero l’arte è la corretta ragione delle cose da fare. Dunque il genere è la “recta ratio”, e la specie viene differenziata dal riferimento ai “factibilia”, alle cose da fare, da produrre. L’arte viene così posta tra le virtù dianoetiche, cioè tra le perfezioni dell’anima razionale; inoltre è strettamente connessa con la conoscenza e con la fabbricazione di oggetti; potremmo esempliSicare che arte è un “saper fare”. Si tratta di una deSinizione ampia, che tiene insieme tutte le modalità di “saper fare”: dal costruire tavoli allo scrivere poesie, dal dipingere al cucinare, purché siano fatti bene, con recta ratio. Entro questo concetto così vasto, facilmente si pone una distinzione tra le arti connotate principalmente da bellezza e le arti connotate principalmente da utilità. Si tratta di una distinzione non escludente, nel senso che anche un tavolo, che è utile, può essere bello ed anche un monumento, che è bello, può essere utile, tuttavia l’opera d’arte bella è arte perché è bella, mentre l’opera di arte utile è arte perché è utile. Entro le arti belle, notiamo una grandissima varietà di operazioni e funzioni, che delineano i vari ambiti delle discipline artistiche. Proprio a questo livello si pone la problematicità di una deSinizione comune. Mi sembra che il modo migliore di procedere per contribuire alla deSinizione dell’arte sia cercare, adesso, una deSinizione delle diverse discipline artistiche. Una tradizione che risale a Plinio, ripresa anche da Leonardo, dice che la prima disciplina artistica è la pittura, da cui sono seguite poi la scultura e via via tutte le altre. Sappiamo che nel Rinascimento si è riSlettuto molto sul “paragone delle arti”, e cioè sulla valorizzazione degli aspetti comuni e soprattutto di quelli diversi, al Sine di capire quale fosse la regina delle arti. Ciò ha contribuito a una valorizzazione degli aspetti speciSici delle singole discipline, con una forte consapevolezza dei percorsi tecnici, cui sono stati dedicati molti trattati e manuali, come per esempio il già citato Libro di pittura di Leonardo. Mi sembra che questa strada sia molto proSicua, perché proprio partendo dalla pratica della pittura, della scultura, dell’architettura … si arriva a deSinire cosa siano ciascuna. Ed è anche importante che tale riSlessione sia provenuta e provenga dai medesimi artisti, cosa che evita il senso di scollamento tra le arti e la teoria delle arti, così frequente nella contemporaneità» [13].

Due settimane or sono ho tenuto una lezione su “Due luoghi simbolici della liturgia medievale” ad alcune classi del liceo scientiSico Galilei, di Palermo. Erano presenti alcuni studenti di Isola delle Femmine, nella cui chiesa madre abbiamo fatto numerosi interventi architettonici dal 1992 ad oggi [14]. Loro

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Figura 7. Rodolfo Papa, pittore, storico e filosofo dell’arte.

conoscevano l’ambone e gli piaceva, ma non ne avevano compreso il signiSicato simbolico nella sua interezza. Ecco un altro aspetto della bellezza, da tenere in considerazione nell’educazione. Il bello è immediato! Ha una forza di attrazione intrinseca che di per sé non richiede spiegazioni. Ma possiede anche una complessità di contenuti la cui comprensione contribuisce al godimento estetico. Ci sono molteplici livelli di comprensione — sensoriale, intellettuale, volitiva — nel gustare un’opera d’arte. Bisogna predisporsi ad una scalata, raggiungere le altezze Sino alla vetta è garanzia di gioie gradualmente sempre più intense. L’arte contemporanea invece è esoterica, richiede la condivisione di regole interne, di solito contrarie alle più elementari norme del buon senso. La gioia che se ne può ricavare è efSimera, autoreferenziale, falsa. Dopo aver visto la satira cinica e puntuale che ne fa Paolo Sorrentino ne La grande bellezza del 2013 ha ancora senso parlarne? Mi riferisco a due scene del Silm, quelle relative all’esibizione della body-artist Talia Concept, non a tutta l’opera. La performance contiene tutti i luoghi comuni delle performance artistiche: la presenza di corpi nudi (che siano preferibilmente “bei corpi”); la preparazione di un set, possibilmente contaminando l’antico

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Figura 8. Paolo Sorrentino, La grande bellezza, 2013. Scena della performance artistica di Talia Concept, interpretata da Anita Kravos.

(l’acquedotto romano sull’Appia antica) con il contemporaneo (il palco di legno con tanto di segnaletica stradale); i riferimenti politici, meglio se internazionali (la falce e martello disegnata sull’inguine) e comunque sempre decorativi e innocui; la presenza di sangue; il silenzio rituale di contemplazione-attesa rotto dall’urlo improvviso dopo la capocciata; la parola striminzita che deve risultare ambigua e allusiva a chissà quale dramma (il grido Sinale “Io non vi amo!”). E poi c’è il pubblico, sul prato, ormai composto indistintamente da signori e signore dell’alta borghesia annoiata e dall’altrettanto annoiata gioventù pseudo-alternativa. La gente distesa sul prato che osserva attenta e concentrata la performance, e altrettanto diligentemente applaude, è un ritratto del vuoto esistenziale interclassista contemporaneo. La grande idiozia dell’arte contemporanea coinvolge ricchi e poveri, senza più alcuna distinzione, tutti uniti nel presentismo modaiolo, tutti alla disperata ricerca di qualcosa che li faccia sentire “diversi”, capaci di intendere qualcosa che gli altri non capiscono. Tutti privi delle facoltà, culturali, intellettuali ma soprattutto umane, utili a decifrare la palese truffa che si cela dietro la parola “arte”. La successiva intervista completa il quadro dell’Artista alla perfezione. Il dialogo tra i due è una

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vera tortura per la ragazza. La quale, per trarsi d’impaccio, prova subito a buttarla in confusione parlando di una misteriosa “vibrazione”, di natura extra-sensoriale. Quindi, non sapendo spiegare cosa sia quella vibrazione, se ne esce fuori con uno dei cavalli di battaglia di ogni sedicente “artista”: «Io sono un’artista, non ho bisogno di spiegare un cazzo». Gli artisti non devono spiegare ciò che fanno, sono artisti e basta. Ma Talia non demorde perché vuole quell’intervista su quel giornale che ha così tanti lettori: tenta ancora di deSinire la vibrazione come “radar per intercettare il mondo” e tira persino in ballo il suo Sidanzato, un artista concettuale che “rielabora palloni da basket con i coriandoli, un’idea sensazionale”. Ma Jep si spazientisce e deSinisce le parole della performer “fuffa impubblicabile”. L’intera scena si conclude abilmente con la risata della direttrice nana del giornale, risata che copre deSinitivamente di ridicolo l’artista e il mondo dell’arte che rappresenta. Anche per l’intervista la descrizione dell’artista è perfetta: il desiderio evidente e continuo di autopromozione; la consapevolezza di dover truffare il pubblico e quindi l’abitudine a parlare il meno possibile o il più possibile con termini vaghi e privi di senso; l’idea che i giornalisti siano complici della truffa, o perché anche loro ignoranti o perché a loro non sta davvero a cuore ciò che pubblicano. Talia

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Cultura Concept è sfortunata, perché Gambardella non è il solito g i o r n a l i s t a c r e t i n o e sprovveduto, ma uno che ha p i e n a c o n s a p e vo l e z z a d e l ridicolo che c’è dietro quelle performance e dietro il mondo dell’arte contemporanea. Talia Concept è solo una Marina Abramovic di provincia, più rozza e incolta e quindi assai meno pericolosa [15]. L’iniziazione, tipica dell’arte contemporanea, è una forma di educazione che non introduce ad altro che a sé stessa. Ancora di più, essa è una forma di rieducazione del buon senso e del buon gusto, che collabora alla decostruzione dell’uomo, all’affermarsi dei non luoghi, pieni di non arte, per le non Figura 9. Lavorazione dell’argento nei laboratori di Magistri Maragmae. persone cui mirano tante teorie inquietanti che imperversano 6. Boltanski C., esposizione Monte di Pietà (15 X – 26 XI oggi. La sete di bellezza dei giovani va soddisfatta con 2000), allestita negli spazi di Palazzo Branciforte di ben altre bevande. Palermo, curata da Sergio Troisi per la sezione arti visive Anche per questo abbiamo creato la Monreale School del Festival di Palermo sul Novecento, diretto da Roberto of Arts & Crafts. Perché un nome anglo-sassone? Per Andò. ancorarci ad una grande tradizione ottocentesca e 7. Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 4 aprile 1999, 3. 8. Pulchrum et bonum in subiecto quidem sunt idem, quia per lanciare un appello ai giovani di Sicilia e a quelli super eandem rem fundantur, scilicet super formam, et di tutto il mondo a riscoprire il valore di quella propter hoc, bonum laudatur ut pulchrum. Sed ratione creatività che ha fatto grande l’Occidente in passato e differunt. Nam bonum proprie respicit appetitum, est enim che, in un futuro non troppo lontano, può essere la bonum quod omnia appetunt. Et ideo habet rationem Rinis, base di una nuova civiltà della bellezza. Si tratta di nam appetitus est quasi quidam motus ad rem. Pulchrum autem respicit vim cognoscitivam, pulchra enim dicuntur investire sulle doti dei ragazzi, facendo in modo che quae visa placent. Unde pulchrum in debita proportione un rapporto ideale tra mente, occhi e mani li renda consistit, quia sensus delectatur in rebus debite capaci di entrare a testa alta nel mercato proportionatis, sicut in sibi similibus; nam et sensus ratio occupazionale. quaedam est, et omnis virtus cognoscitiva. Et quia cognitio Invito tutti voi a fare una piccola scalata per visitare Rit per assimilationem, similitudo autem respicit formam, pulchrum proprie pertinet ad rationem causae formalis. S. la scuola del Mons Regalis. Oppure almeno ad Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 5, a. 4, ad 1. entrare nel sito dell’Associazione, 9. Papa R., Discorsi sull’arte sacra. Cantagalli, Siena 2012, pp. www.magistrimaragmae.it 127-130.

Bibliografia e note 1. 2. 3. 4. 5.

Keats J., Ode su un’urna greca, vv. 49-50. Isaia 53, 2-12. Tschöll J., Dio e il bello in Sant’Agostino. Ares, Milano 1996. V. The real face of Jesus?. History Channel 2010. Cfr. Cecchetti M., Le valigie di Ingres. Congedi dall’ultimo secolo. L’Obliquo, Brescia 2003.

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10. Sulla intraducibilità dei concetti del pensiero immanentista (sia esso forte, sia esso debole) in quelli della metaSisica dell’atto di essere si veda MacIntyre A., Enciclopedia, Genealogia e Tradizione (Tre versioni rivali di ricerca morale). Massimo, Milano 1993. 11. Scruton R., La bellezza. Ragione ed esperienza estetica. Vita e Pensiero, Milano 2011. 12. Cicerone M., Estetica e antropologia del gioco, relatore prof. Salvatore Tedesco, Università degli Studi di Palermo, Scuola delle Scienze Umane e del Patrimonio Culturale, a. a. 2014-2015. 13. Papa R., È possibile deRinire l’arte?. Zenit, 4 ottobre 2010. 14. Alcune immagini sono disponibili su http:// lomontesantoro.jimdo.com. 15. Debbo queste folgoranti considerazioni ad Antonio Saccocci. http://liberidallaforma.blogspot.com/ 2014/03/la-grande-bellezza-e-la-grande-truffa.html

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UNA NUOVA SALA DELLE STAMPE Irene Luzio*

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er Natale, Fecarotta Antichità regala ai palermitani un nuovo spazio al piano superiore, dedicato alle stampe e incisioni antiche. È un gesto forte, che mira a salvaguardare un settore del commercio antiquario ormai scomparso a Palermo, a sollecitare l’interesse verso un campo così affascinante e poco battuto della produzione artistica, e soprattutto a promuovere la fruizione dal vivo delle opere esposte. La mediazione digitale

dell’oggetto d’arte — per quanto utile — ne c o m p o r t a i n fa t t i l a s m a te r i a l i z z a z i o n e , e inevitabilmente priva il fruitore della relazione diretta e sensibile con la concretezza dell’opera e con la sua irriducibile particolarità, Oinendo per spogliare l’esperienza estetica di quasi tutto il suo contenuto. Da Fecarotta Antichità, stampe e incisioni possono essere prese in mano: si può sentire il profumo della carta antica, saggiarne la consistenza e lo spessore, osservarne in controluce la Oiligrana, ammirare la

*Università degli Studi di Palermo.

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[online]: ISSN 2724-0509

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Oinezza e la straordinaria precisione delle immagini, e individuare tutti quei segni che permettono di ricostruirne il vissuto. La collezione, curata da Giuseppe Fecarotta, comprende stampe e incisioni di carattere religioso e laico, tra cui Oigurano diversi esemplari rari, databili tra il XVI secolo e i primi del XIX. T r a l e i n c i s i o n i d i c a r a t t e r e r e l i g i o s o (particolarmente interessanti in periodo natalizio), tre incisioni tratte da un messale romano cinquecentesco In Nocte Natalis Domini, (o Nativitas Christi), In Aurora Natalis Domini (o De Pastoribus) e Adoratio Magorum e una serie di incisioni di carattere devozionale popolare, come la calcograOia in rame della Madonna della Favara (Oine XVIII-inizio XIX sec.), numerosi esemplari tardo-ottocenteschi di quelli che oggi deOiniremmo “santini”, e alcune incisioni di notevole Oinezza esecutiva, come l’acquaforte acciaiata di D.J. Pound (metà XIX sec.) che riproduce una Madonna con Bambino del Murillo. Della collezione fanno parte una serie di incisioni e stampe, per lo più relative alla Sicilia, ritratta sotto molteplici punti di vista: geograOico (cartograOie), naturalistico (paesaggi) e storico-artistico-sociale

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(vedute cittadine, monumenti e opere d’arte celebri, eventi istituzionali ecc.); queste opere sono di notevole interesse per la ricostruzione della storia dell’isola e dell’immagine che, attraverso i viaggiatori, ne giungeva in Europa. La serie di cartograOie della Sicilia è particolarmente ricca e affascinante, e testimonia come la conoscenza dell’isola, nella sua conformazione geograOica, si sia fatta nei secoli sempre più accurata. Altre incisioni, per lo più riconducibili alla curiosità enciclopedica di viaggiatori del Grand Tour, ci consegnano antiche vedute di città, paesaggi, scene di vita quotidiana o di eventi istituzionali, dove si possono riconoscere monumenti tuttora esistenti e altre opere perdute o efOimere. Di grande interesse sono anche le opere di celebri incisori del Settecento siciliano, come Francesco Ciché o Antonio Bova, e alcune opere originali — di cui un unico artista è ideatore, disegnatore e incisore —, come I primi abitatori della Sicilia attorno a Cerere e Sicano, del cav. Tommaso De Vivo (XIX sec). Nella sala delle stampe di Fecarotta Antichità, il tempo sembra invertire la sua corsa. Immagini di secoli ormai lontani restano incise nell’anima.

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Apotheca & Storia

LA SCOPERTA DELLA VITAMINA A Giusi Sanci*

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a vitamina A è una vitamina liposolubile che si trova in natura sotto diverse forme come il retinolo (vit. A1) e il deidroretinolo (vit. A2) e si forma nell'organismo a partire dai caroteni. La vitamina A si trova esclusivamente negli alimenti di origine animale e le maggiori quantità si trovano nel fegato, ma anche il latte, le uova, i formaggi, il burro e i pesci ne contengono quantitativi apprezzabili. Nei vegetali è presente sotto forma di β-carotene (appartenente al gruppo dei carotenoidi) un precursore che viene trasformato a livello intestinale in vitamina A. I carotenoidi sono responsabili della colorazione giallo-arancione di determinati tessuti vegetali. Particolarmente ricchi sono quindi i frutti e gli ortaggi di colore gialloarancione e gli ortaggi a foglia. La sua attività è legata alla sua struttura molecolare, per cui è importante proteggerla dall'azione dell'ossigeno atmosferico, nei confronti del quale è abbastanza sensibile. Anche il calore e i raggi UV favoriscono l'alterazione della sua struttura, con conseguente perdita della sua attività biologica, ed è per questo motivo che buona parte di questa sostanza viene persa durante i processi di cottura. Questa vitamina, sotto forma di retinale, ha una funzione fondamentale nel processo della visione, e in particolare nell’adattamento della visione nell’oscurità e nella percezione delle forme e dei colori. Risulta anche utile per i tessuti della cute, in quanto interviene nei processi di differenziazione cellulare degli epiteli ed ha un possibile ruolo nella stimolazione immunitaria. In Egitto, intorno al 1500 a.C., viene descritta per la prima volta una forma di cecità notturna che oggi sappiamo essere dovuta ad una carenza di vitamina A. All'epoca venivano consigliate applicazioni topiche di fegato arrostito o fritto. Ippocrate, secoli dopo, consiglia di mangiare fegato di bue per curare questo stato morboso. A metà del XIX secolo viene descritta per la prima volta in Brasile e in Africa, un'affezione degli occhi, che colpiva in prevalenza gli schiavi denutriti, la xeroftalmia, ovvero una secchezza della congiuntiva, che può portare a cecità per gravi lesioni corneali. Nel 1887 viene osservata una nictalopia (cecità notturna) endemica fra i cattolici ortodossi russi che digiunavano durante la Quaresima. In seguito viene

anche osservato che i lattanti di m a d r i c h e d i g i u n a v a n o t e n d e v a n o a s v i l u p p a r e u n a d e g e n e r a z i o n e s p o n t a n e a d e l l a cornea. A questo p r o p o s i t o c o m u n q u e dobbiamo risalire a u n a p r i m a i m p o r t a n t e osservazione fatta un anno prima, nel 1886, dal medico giapponese Inouje, il quale riferisce che molti bambini, tra il secondo e il terzo anno d’età, venivano colpiti da una strana malattia degli occhi, il cui tessuto connettivo, sfaldandosi e seccando, portava in breve tempo quei bambini alla cecità. In seguito, un’altra osservazione degna di nota, e dello stesso Inouje, riportava che i bambini guarivano facilmente se ad essi veniva somministrato del fegato di pollo. Nel 1913 si osserva che nei ratti alimentati con una dieta priva di grassi si veri_icavano alterazioni dell'occhio e che l'aggiunta nella dieta di burro, tuorlo d'uovo e olio di fegato di merluzzo impediva tale degenerazione. Durante la Prima Guerra Mondiale si accerta che la xeroftalmia nell'uomo è causata da una diminuzione della componente grassa del latte, ove si riscontra la presenza di una sostanza speci_ica identi_icata come vitamina e chiamata vitamina A. Fu appunto durante la Prima Guerra Mondiale che questa malattia, ancora sconosciuta nel nostro continente, si presentò anche in Europa. In questo periodo, il burro della Danimarca (la cui componente grassa era di origine vegetale e non animale) divenne un articolo prezioso e ricercato, tanto da indurre i danesi a cedere quasi integralmente la loro produzione ai consumatori dei Paesi belligeranti, che lo pagavano ad alto prezzo, e dato che la Danimarca era produttrice di grandi quantitativi di margarina, pensarono che questo succedaneo del burro potesse sostituire facilmente l’alimento stesso. Fu così, che qualche tempo dopo i bambini danesi, abituati a nutrirsi con forti quantità

*Farmacista

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[online]: ISSN 2724-0509

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a)

b)

c) Figura 1. a) retinolo; b) retinaldeide; c) β-carotene.

di burro, manifestarono i primi sintomi dei disturbi visivi già lamentati dai piccoli giapponesi. Si era nel 1917. Contemporaneamente nei vari fronti di guerra, questi sintomi fecero pure la loro apparizione, specialmente su quei soldati che non ricevevano i pacchi contenenti quei viveri casalinghi inviati dalle loro famiglie. I medici chiamati in causa misero in rapporto questo fatto con gli esperimenti di Stepp del 1909, e designavano col nome di fattore di crescenza liposolubile una sostanza che assicurava la regolare crescita degli animali e, nello stesso tempo, impediva la comparsa di certi sintomi patologici come la xeroftalmia ed il rachitismo, sostanza che doveva certamente essere contenuta nel burro. Oltre a ciò, venivano presi in considerazione anche gli esperimenti che Hopkins nel 1912 fece sul latte. In tali esperimenti egli designava col nome di fattore accessorio alla crescita una certa sostanza ivi contenuta. Si pensò quindi che, somministrando del burro o del latte fresco ai soldati ammalati, si sarebbe riuscito in breve tempo a guarirli completamente. Cosa che infatti avvenne. Nel 1913 E.V. McCollum e M. Davis dimostrarono che nel burro e nel tuorlo d’uovo è contenuto un fattore liposolubile essenziale per la crescita dei ratti. Nel 1916 McCollum indicava tale fattore con la lettera A, mentre con la lettera B raggruppava gli altri fattori essenziali idrosolubili. Nel 1917 Drummond dimostrò che nei bambini la carenza del fattore liposolubile A determinava disturbi sia della crescita che del processo visivo. La relazione esistente tra l’insorgenza di disturbi visivi (cecità crepuscolare) e una nutrizione non adeguata è nota sin dai tempi degli antichi egizi, com’è testimoniato dal papiro di Ebers (1500 a.C. ca.). Nel 1920 Drummond chiamò i due fattori di McCollum “vitamina A” e “vitamina B” e propose di utilizzare le successive lettere dell’alfabeto per ulteriori fattori nutrizionali essenziali. Nello stesso anno si osservò che il carotene possiede attività vitaminica A, e nel 1929 se ne capì il motivo

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quando von Euler-Chelpin e P. Karrer dimostrarono che nei ratti il β-carotene è convertito in vitamina A (von Euler, 1928; von Euler e Karrer 1931). L'isolamento e l’identi_icazione della struttura di questa vitamina avviene nel 1931 da parte dello svizzero Paul Karrer (premio Nobel per la chimica nel 1937) che, identi_icando sia la struttura dei carotenoidi che della vitamina A, mise in evidenza la stretta relazione esistente tra questi due gruppi di sostanze (von Euler e Karrer 1938). Tra il 1934 e il 1935 G. Wald isolò dalla retina una sostanza coinvolta nel meccanismo della visione e nel 1944 R.A. Morton dimostrò che questa sostanza è la forma aldeidica della vitamina A, che per questo motivo ha ricevuto il nome di “retinaldeide”. Nel 1946 J.F. Arens e D.A. van Dorp ottennero per sintesi un’altra forma della vitamina A: l’acido retinico. Nel 1968 D.S. Goodman e collaboratori isolarono una proteina in grado di legare e trasportare il retinolo (RBP). Sebbene il ruolo della vitamina A nel promuovere la crescita e la differenziazione cellulare sia noto da tempo, i meccanismi biochimici della vitamina A, o retinolo, sono rimasti sconosciuti _ino al 1987, quando M. Petkovic ha isolato proteine recettoriali nucleari che in seguito al legame con l’acido retinico regolano l’espressione genica. Mentre nei Paesi in via di sviluppo la carenza di vitamina A è assai diffusa specie nei bambini _ino a 6 anni a causa di un apporto del tutto insuf_iciente, in quelli industrializzati le manifestazioni carenziali sono rare e si osservano solo in particolari condizioni non tanto per mancato apporto quanto per diminuita utilizzazione della vitamina introdotta. Essendo una vitamina liposolubile, il suo assorbimento dipende dai processi di digestione e assorbimento dei lipidi e dalla secrezione di bile; quindi qualsiasi processo che compromette il metabolismo lipidico nel tratto gastrointestinale ne compromette di conseguenza il suo assorbimento e il suo utilizzo. Anche la quantità e il tipo dei lipidi

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Figura 2. Hans Karl August Simon von Euler-Chelpin (1873-1964), premio Nobel per la chimica nel 1929.

Figura 3. Paul Karrer (1889-1971), premio Nobel per la chimica nel 1937.

presenti nella dieta possono condizionare i livelli ematici di vitamina; infatti l’assorbimento della vitamina A richiede la sua incorporazione in micelle costituite da acidi grassi, monogliceridi e sali biliari. Quando la dieta è priva di grassi e/o in presenza di una ostruzione delle vie biliari, non formandosi le micelle, la vitamina non può essere assorbita, per cui i suoi livelli ematici risultano inferiori alla norma. Poiché l’assorbimento, il trasporto, l’utilizzazione della vitamina A sono strettamente legati all’attività di numerose proteine che agiscono da carriers o sono enzimi, è chiaro che la componente proteica della dieta, e quindi lo “stato nutrizionale proteico” dell’individuo possono condizionare i livelli ematici della vitamina. Anche nei casi di stress di qualsiasi origine si osserva una caduta dei livelli ematici di vitamina A; è probabile che la secrezione di corticosteroidi indotta da queste situazioni riduca le riserve di vitamina A, favorendone la sua eliminazione dall’organismo. I segni clinici della carenza si manifestano principalmente a livello dell’occhio, con anomalie funzionali della retina , con secchezza e atro_ia della congiuntiva e con opacità della cornea e ulcerazioni; a livello delle cellule epiteliali con cheratinizzazione d e l r i v e s t i m e n t o e p i t e l i a l e d e l t r a t t o gastrointestinale, respiratorio, urogenitale e della pelle. Oltre a questi segni speci_ici, in carenza di vitamina A si ha una maggiore incidenza di malattie di tipo infettivo; la maggiore esposizione alle

infezioni virali è da ricondursi al fatto che la barriera epiteliale, che gioca un ruolo importante nel meccanismo protettivo contro la colonizzazione batterica e le infezioni, è profondamente alterata nei soggetti carenti.

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