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Scienza & Didattica

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Bioetica

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le risorse energetiche, il riscaldamento globale, sulle quali il cittadino dovrebbe essere chiamato ad esprimersi. Cosa fare allora per avvicinare gli studenti, che saranno i cittadini di domani, a questa disciplina? Il problema non è nuovo perché già nel lontano 1940 si cercava un modo per “somministrare la chimica attraverso iniezioni indolori” come, appunto, tenta di fare il gustoso volumetto del Dott. G. Gamberini (Figura 2) scovato in un mercatino di libri usati. Si tratta, comunque, di un problema non solo italiano e decisamente complesso, tanto è vero che nessuno sembra avere la soluzione in tasca neanche a livello internazionale. Certo è che nel nostro paese la situazione, soprattutto nelle scuole superiori, è particolarmente difMicile per il concorso di molti fattori: docenti poco gratiMicati, sia dal punto di vista remunerativo che di considerazione sociale, riduzione sempre più pesante delle ore di insegnamento della Chimica, abolizione dei laboratori, mancanza di corsi di aggiornamento seri, e chi più ne ha più ne metta. È anche vero che non ci si può afMidare solo alla metodologia didattica; come non esiste il catalizzatore universale capace di agire efMicacemente su qualsiasi reazione, così non esiste la didattica che va bene per tutti: ogni classe e, addirittura, ogni studente sono casi speciali che necessitano di interventi “personalizzati”. Ci sono, però, almeno due indicazioni metodologiche che possono aiutare: 1) affrontare temi collegati alla realtà quotidiana e al contesto sociale; 2) sfruttare una didattica di tipo laboratoriale.

Affrontare temi collegati alla realtà quotidiana e al contesto sociale

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Un corso di Chimica che si esaurisce nella descrizione, sia pure chiara e corretta, degli elementi, delle molecole, del legame e delle reazioni chimiche, senza affrontare i problemi che l’uomo incontra nella vita di tutti i giorni, manca il suo più importante obiettivo educativo. È, infatti, necessario che il linguaggio della Chimica sia utilizzato per approfondire la conoscenza della natura e per evidenziare il diretto coinvolgimento di questa disciplina nei grandi problemi dell’umanità: cibo, acqua, energia, salute, ambiente e informazione. Sono i grandi temi di oggi e, ancor di più, riguarderanno il nostro domani; sono inoltre gli argomenti di punta della ricerca scientiMica, basti pensare agli attuali studi sulle fonti energetiche alternative, alle indagini sui cambiamenti climatici e ai risvolti ambientali che ne conseguono e allo sviluppo della nanotecnologia, che permetterà di affrontare da un punto di vista completamente nuovo il problema della miniaturizzazione e di aprire orizzonti ancora inimmaginabili alla biologia e alla medicina. Sono temi che consentono anche di discutere in maniera critica il Mlusso di informazioni continuo, disordinato e spesso discordante proveniente da fonti eterogenee, cosa che è di particolare importanza in un’era come l’attuale in cui, a fronte dei progressi nelle conoscenze, la cultura comune appare sempre più afMidata a supporti tecnologici, che mancano spesso delle adeguate fonti informative; questo fa sì che siano sempre più diffuse conoscenze errate ed opinioni non scientiMicamente supportate. Sono temi che motivano gli studenti, sia perché sono vicini alla loro realtà, sia perché dimostrano che la scienza non è solo qualcosa da studiare sui libri, ma pervade ogni aspetto della vita; affrontare questi temi permette alla scuola di aprirsi al confronto con le problematiche vissute dagli allievi, a cominciare dal contatto con i contesti territoriali nei quali essi costruiscono ed esprimono le proprie esperienze. Offrono, inoltre, la possibilità di coniugare il locale con il globale, dove il “locale” fa riferimento ai saperi legati agli essenziali spazi di formazione dello studente, ai suoi tempi, ai suoi luoghi e alle sue

Figura 2. Copertina di un libro del 1940 dedicato alla divulgazione della Chimica.

Figura 3. Cattedra in legno di Galileo Galilei, conservata a Palazzo Bo (Padova).

radici, e dove il “globale”, invece, riguarda la partecipazione responsabile allo sviluppo della propria comunità e del proprio territorio, in una prospettiva di sostenibilità e di attenzione al futuro del mondo intero. Sono temi che possono essere affrontati a diversi livelli di approfondimento e, pertanto, sono adatti per sviluppare un curriculum verticale; sono inoltre tutti strettamente connessi per cui, indipendentemente dal tema dal quale si decide di partire, si possono affrontare, a ricadere, anche tutti gli altri. Sono temi complessi e, quindi, per essere capiti nella loro globalità necessitano di un approccio inter- e trans-disciplinare, coinvolgendo tutta la comunità dei docenti e utilizzando una didattica trasversale; un tale approccio abbatte steccati inutili fra le discipline, offrendo le chiavi di lettura diverse e complementari per interpretare la realtà, permette di far capire allo studente che la conoscenza è unica e che la realtà non può essere frazionata, motiva in modo particolare le studentesse, spesso non attratte dalle scienze dure quali Fisica e Chimica, e porta ad una beneMica e positiva riduzione della dispersione scolastica. Ad esempio, introdurre la storia della scienza permette di dimostrare che la Matematica, la Fisica e la Chimica non esistono da sempre e per sempre, ma che sono Miglie del loro tempo e questo le rende in qualche modo umane e più vicine. Fra l’altro, la Comunità Europea considera l’interdisciplinarietà uno degli aspetti fondamentali per Minanziare progetti di didattica; afferma, infatti, che imparare le scienze studiando le altre discipline e imparare le altre discipline studiando le scienze permette di rafforzare i rapporti e le sinergie fra scienza, creatività, impresa e innovazione. InMine, questi temi offrono la possibilità di andare oltre il teaching to the test, discutendo aspetti di tipo etico e sociale, quali la Ricerca e l’Innovazione Responsabile per affrontare l’attuale emergenza energetica e ambientale, le disuguaglianze sociali e di genere, il libero accesso ai risultati della ricerca, il coinvolgimento di tutti i partner (ricercatori, politici, cittadini) per un armonioso sviluppo tecnologico e sociale.

Sfruttare una didattica di tipo laboratoriale Tutti ne parlano, ma …

Per traghettare efMicacemente gli studenti nel mondo della Chimica, o in generale in quello della Scienza, non è sufMiciente affrontare temi di grande impatto scientiMico e sociale, è anche fondamentale utilizzare una metodologia didattica appropriata. Ultimamente tutti parlano di didattica laboratoriale, un termine diventato molto di moda che, quando ci si riferisce all’insegnamento della Chimica e delle Scienze, viene sempre “chiamato in causa”, un termine che, però, molto spesso viene usato a sproposito. Si identiMica, infatti, la didattica laboratoriale con laboratorio, esperimenti, dimostrazioni e allora, se così fosse, giustamente non ci sarebbe nulla di nuovo in questa metodologia, dal momento che l’uso degli esperimenti didattici va molto indietro nel tempo. Già alla Mine del 1500 Galileo Galilei, non a caso il padre del metodo scientiMico, era solito accompagnare le sue lezioni con dimostrazioni pratiche; per questo motivo, si era fatto costruire un’enorme cattedra in legno, conservata a Padova nell’atrio di Palazzo Bo, corredata di cassetti e scomparti, per ospitare gli strumenti necessari alle dimostrazioni, e dotata di ruote, in modo che potesse essere trasportata dentro e fuori l’aula di lezione (Figura 3). Poiché questa operazione richiedeva circa quindici minuti, pare che debba attribuirsi proprio a Galileo Galilei l’attuale usanza del quarto d’ora accademico.

Anche la pratica del laboratorio didattico è abbastanza “vecchia”; se ne hanno chiare testimonianze a partire dalla metà del 1800, come l’immagine di Figura 4 che mostra un gruppo di studenti intenti a fare esperimenti di Chimica: è interessante notare che, a parte un unico rappresentante maschile, sono tutte ragazze quelle presenti nel laboratorio, cosa abbastanza strana per quei tempi. La ricchissima letteratura, sia scientiMica che pedagogica, oggi a disposizione ci dice che didattica laboratoriale non è questo, è un qualcosa di totalmente diverso; è un approccio che va ben oltre il semplice toccar con mano, perché si è capito che il contatto con la realtà pratica del laboratorio non è sufMiciente per ottenere un apprendimento della Chimica e delle Scienze consapevole e duraturo. Si è capito che la comune prassi di spiegare la teoria e poi proporre agli studenti un’attività pratica, che di solito consiste nel replicare pedissequamente una ricetta elaborata dal docente, non dà i frutti sperati per apprendere in modo efMicace. Infatti, questo contatto con le “cose”, guidato e Miltrato dall’insegnante non è formativo, viene passivamente subito dallo studente perché non c’è nulla da scoprire: si conosce già il risultato che, fra l’altro, è quello indicato dall’insegnante e non ammette repliche. Gli esperti di didattica delle scienze e i pedagogisti dicono che occorre interfacciarsi in modo nuovo con la classe, che insegnare non signiMica dare giuste risposte, ma far nascere negli studenti giuste domande, dove giuste sta ad indicare domande capaci di coinvolgere emotivamente gli studenti stimolando la curiosità di sapere, la voglia di conoscere. È importante che scatti questo desiderio perché il sapere e la conoscenza non possono passare dal docente allo studente come se fossero uniti da un Milo immaginario; ammesso, poi, che questo Milo esistesse, non servirebbe a nulla, dal momento che il sapere va conquistato in maniera attiva e autonoma: solo così si raggiunge un sapere consapevole e duraturo nel tempo. Il suggerimento degli esperti, in deMinitiva, è quello di far entrare lo studente nel mondo della Chimica e delle Scienze con lo stesso approccio che usa la ricerca scientiMica dove, appunto, tutto nasce dalla curiosità.

Figura 4. Un laboratorio didattico del 1896 Il ricercatore, infatti, per soddisfare la sua sete di sapere si pone delle domande che poi esprime sotto forma di esperimenti. Naturalmente devono essere domande giuste e, quindi, anche gli esperimenti devono essere giusti, nel senso che devono essere ideati con fantasia, preparati con cura ed eseguiti con rigore, perché più intelligente è la domanda più importante è la risposta che dà la Natura, cioè il risultato dell’esperimento. Allora, il ricercatore, fatto l’esperimento, deve mettersi in ascolto di quello che la Natura vuole comunicargli: è un momento di grande tensione in cui deve mettere in gioco tutte le sue capacità per riuscire ad interpretare il risultato che, spesso, si traduce nell’arrivare a conoscere qualcosa che prima non sapeva. Poiché la conoscenza, sia che si tratti della struttura dell’universo o di una semplice reazione chimica, crea un senso di soddisfazione, di commozione e di stupore, nasce nuova curiosità che porta a fare nuovi esperimenti, ad ottenere nuovi risultati e nuova conoscenza. Si tratta di una giostra inebriante, la giostra della curiosità (Figura 5), dalla quale il ricercatore non vorrebbe più scendere, perché cerca con il desiderio di trovare e trova con il desiderio di cercare ancora, per usare le parole del grande Sant’Agostino. Si potrebbe pensare che questa giostra di domande e di risposte ad un certo punto Minisca, ma non succederà perché chi lavora nella ricerca sa che ogni scoperta genera più domande di quelle a cui dà risposta. La scienza si espande giorno dopo giorno,

Figura 5. La giostra della curiosità che alimenta la ricerca scientifica.

mese dopo mese, anno dopo anno e avviene quello che ha scritto J. Priestley (1733 – 1804) (Figura 6), lo scopritore dell’ossigeno e il primo scienziato ad aver studiato la fotosintesi:

«Più grande è il cerchio di luce, più grande è il margine dell’oscurità entro cui il cerchio è conMinato. Ma ciononostante più luce facciamo, più grati dobbiamo essere, perché ciò signiMica che abbiamo un maggior orizzonte da contemplare. Col tempo i conMini della luce si estenderanno ancor di più; e dato che la Natura Divina è inMinita, possiamo attenderci un progresso senza Mine nelle nostre indagini su di essa: una prospettiva sublime ed insieme gloriosa».

La didattica laboratoriale: la versione didattica della ricerca scientiIica

La ricerca scientiMica, quindi, è il motore per lo sviluppo scientiMico e della società, ma, come detto prima, è anche il modo per appassionare e motivare gli studenti a studiare la Chimica (e le Scienze); occorre, quindi, far entrare in classe (dalla primaria all’università) la ricerca scientiMica e ciò si ottiene utilizzando la didattica laboratoriale che è appunto la versione didattica della ricerca scienti4ica. Questa metodologia è basata sull’apprendimento per scoperta e viene anche detta Inquiry-Based Learning (IBL) [2], o metodo delle 6E, dal momento che consta di sei fasi che in inglese cominciano con la lettera E e che, in qualche modo, ripercorrono le fasi della ricerca scientiMica. La prima fase, quella del coinvolgimento (Engage), ha lo scopo sia di sollecitare l’interesse dello studente, sia di raccogliere informazioni sulle sue conoscenze pregresse relative all’argomento. L’insegnante ha il compito di introdurre situazioni problematiche che possano stuzzicare la curiosità degli studenti portandoli a formulare domande a cui cercheranno di dare risposta nella fase successiva che è quella dell’esplorazione (Explore). In questa fase gli studenti si impegnano personalmente alla realizzazione di attività di ricerca, sia sperimentali che teoriche; è bene notare che, nel caso di attività pratiche, non c’è mai una ricetta e gli studenti da soli devono ideare gli esperimenti, da soli devono trovare i materiali adatti e cercare gli strumenti più appropriati. In analogia con quanto visto prima per la ricerca scientiMica, il punto cruciale è saper osservare, cioè saper “guardare con attenzione”, in modo da mettere in evidenza particolari che altrimenti sfuggirebbero e Missarli così nella memoria. L’esplorazione sensoriale e il riconoscimento delle differenze percettive, la conoscenza della realtà concreta e le sue possibili trasformazioni permettono di consolidare la relazione tra processi e prodotti e stimolano la creatività come trasformazione del noto o dell’esistente in forme nuove e impreviste. L’osservazione attenta e controllata del mondo circostante è, quindi, il passo necessario per iniziare a comprenderlo. Gli esperimenti consistono, infatti, nell’esaminare un fenomeno in condizioni controllate ed eventualmente di riprodurlo più volte per essere certi dei risultati. Comunque, sia che si tratti di attività sperimentali o teoriche, la cosa importante è che mani e mente sono sempre in continuo e proMicuo collegamento e, proprio per il fatto che l’esperimento non è organizzato come una veriMica, gli studenti entrano spontaneamente nella fase successiva, quella della spiegazione (Explain): la necessità o meglio il desiderio di interpretare il risultato o i risultati ottenuti sono, infatti, una conseguenza diretta e immediata di come è stata strutturata la sperimentazione. Si tratta, quindi, di un momento di riMlessione per fare ordine fra le molte scoperte e per approfondire le conoscenze in modo organico, così da far emergere le prime regole della disciplina. Per quanto riguarda la Chimica è a questo punto che può essere introdotta la sua peculiarità di scienza a tre livelli, spiegando che i fenomeni osservati durante

Figura 6. Joseph Priestley (Birstall, 1733 - Northumberland, 1804).

gli esperimenti (livello macroscopico) trovano la loro interpretazione in termini di atomi e molecole (livello ultramicroscopico) e che è possibile rappresentare sia un livello che l’altro mediante un appropriato linguaggio creato dai chimici (livello simbolico). È un momento particolarmente delicato, soprattutto perché si chiede agli studenti di immaginare, con gli occhi della mente, l’invisibile e di andare oltre ciò che vedono gli altri; ad esempio, capire che le proprietà dell’acqua, che tutti conoscono, vedono e toccano con mano, sono il risultato delle caratteristiche di entità invisibili che compongono l’acqua, derivano cioè dalle proprietà della molecola d’acqua e dalle sue interazioni con altre molecole d’acqua. AfMinché il momento della riMlessione sia efMicace è anche molto importante assicurarsi che lo studente abbia assimilato concetti e non imparato solo parole [3]:

«Le parole possono isolare e conservare un signiMicato solo allorché esso è stato in precedenza implicato nei nostri contatti con le cose. Tentare di dare un signiMicato tramite la parola soltanto, senza una qualsiasi relazione con la cosa, signiMica privare la parola di ogni spiegazione intelligibile […]. Vi è la tendenza a credere che ovunque vi sia una deMinita parola o forma linguistica vi sia anche un’idea deMinita: mentre, in realtà, sia gli adulti che i fanciulli, possono adoperare formule verbalmente precise, avendo solo la più vaga e confusa idea di ciò che signiMicano».

Se le parole non sono rimaste tali, ma si sono trasformate in concetti è, allora, possibile fare un ulteriore passo avanti entrando nella fase dell’elaborazione (Elaborate), in cui lo studente costruisce in maniera autonoma il proprio modello di realtà. Si tratta di un modello che viene elaborato mediante osservazioni ed esperimenti, cosa che permette allo studente di capire che il sapere scientiMico è rigoroso e oggettivo, ma che può anche essere modiMicato attraverso esperimenti successivi pensati e realizzati per soddisfare nuove curiosità o per spiegare risultati inattesi. Allora lo studente capisce un altro aspetto importante e cioè che il sapere scientiMico non è dogmatico e che nella Chimica, così come nella Scienza, non esistono verità assolute, ma solo verità in divenire. L’incertezza, che quindi è insita nel sapere scientiMico, non deve, però, essere intesa come qualcosa di negativo, ma come un valore aggiunto, perché il dubbio fa sì che gli scienziati siano Mlessibili e pronti a lasciare vecchie strade per imboccare vie inesplorate dalle quali poi nasce il progresso. Gli studenti, che saranno i cittadini di domani, devono avere ben chiaro questo modo di procedere della ricerca scientiMica per continuare a riporre Miducia nella Scienza, anche quando rivede o rinnega concetti assodati e abbraccia teorie nuove. Altra cosa da notare è che nell’elaborazione del loro modello di realtà inevitabilmente gli studenti commettono errori; è importantissimo che questi errori non vengano puniti, perché hanno una valenza didattica fondamentale (che il “signor errore” sia sempre il benvenuto, diceva la Montessori) e rappresentano un trampolino di lancio per arrivare ad imboccare la strada giusta; infatti, se ci si pensa bene, ogni verità non indica una via da seguire, mentre è sicuramente vero che ogni errore indica una via da evitare. Alla fase dell’elaborazione, grazie al fatto che il lavoro in laboratorio è normalmente organizzato in gruppi, segue, ancora una volta in maniera quasi spontanea, quella dello scambio (Exchange) in cui ogni studente condivide con i suoi pari quanto ha acquisito ed

elaborato. Così, il fa’ e impara, proprio di questa metodologia, si integra perfettamente con il confrontati e impara, creando un ambiente in qualche modo assimilabile a quello della bottega rinascimentale, dove tutto partiva dalla sperimentazione creativa e nella quale gli apprendisti imparavano facendo e vedendo fare, comunicando fra loro e con i maestri, rubando con gli occhi quello che poi sarebbe diventato tecnica. Quindi, l’esperienza di apprendimento è vissuta in un contesto relazionale dove gli studenti imparano ad aiutarsi a vicenda e a sostenere chi ha difMicoltà di apprendimento [4]:

«Una pedagogia che propone l’integrazione deve avere come obiettivo, valore principale il rispetto delle diverse intelligenze, originalità e potenzialità cognitive ed affettive di ciascuno. Nel gruppo, in un rapporto di reciprocità, le difMicoltà di apprendimento degli “altri” divengono un problema che “noi” dobbiamo risolvere».

Il laboratorio è allora il luogo e l’ambiente per maturare competenze sociali, perché durante un lavoro cooperativo entrano sempre in gioco abilità comunicative, di leadership, di soluzione negoziata, di gestione dei conMlitti e soprattutto di soluzione di problemi. Sfruttando queste abilità lo studente impara a comunicare sia per sé che per gli altri, dove gli altri sono gli studenti del proprio gruppo, della propria classe e di altre classi, ma anche le famiglie e il pubblico in genere, cosa che può essere ulteriormente potenziata coinvolgendo gli studenti in attività di tipo informale, come la preparazione di festival della scienza, mostre ed exhibit. Queste attività sono caldamente suggerite dalla Comunità Europea e sono parte integrante di molti progetti didattici di Chimica e di Scienze, perché si è visto che stimolano gli studenti, soprattutto quelli che generalmente non hanno prestazioni scolastiche buone, e permettono di sviluppare nuove competenze quali autonomia e creatività; viene anche potenziata la capacità critica e autocritica dal momento che, inevitabilmente e spontaneamente, gli studenti sono portati a dare una valutazione sia del proprio lavoro che di quello dei compagni. L’ultima fase è quella della valutazione (Evaluate); anche questa fase deve essere vista in modo nuovo perché, adottando la didattica laboratoriale, studenti e insegnanti rivestono ruoli che invertono le idee guida della tradizione didattica trasmissiva: lo studente-protagonista è al centro della relazione e del processo di insegnamento-apprendimento, mentre il docente si colloca in secondo piano, quale organizzatore, guida e facilitatore nei percorsi didattici. L’insegnante è il regista che deve saper creare la giusta atmosfera e allestire un appropriato palcoscenico didattico all’interno del quale ogni studente è invitato a mettere in gioco tutte le sue risorse di razionalità, creatività e ingegno, esattamente come fanno i ricercatori impegnati nel risolvere i loro problemi complessi. Deve essere discreto, ma al tempo stesso attento a cogliere e promuovere le idee degli allievi, ricordando, come ha detto Seneca, che «c’è un duplice vantaggio nell’insegnare, perché, mentre si insegna, si impara». Fermo restando che la valutazione tradizionale da parte dell’insegnante è imprescindibile ed ha un fondamentale ruolo formativo e di stimolo per gli studenti, con questo tipo di didattica valutare signiMica “guardare” i propri allievi a tutto tondo, non solo offrendo numerose occasioni di riMlessione sulle difMicoltà incontrate e sui risultati raggiunti, ma anche considerando la loro motivazione ad apprendere, la loro partecipazione ad attività informali e le loro capacità relazionali. È importante ricordare che la didattica laboratoriale non riguarda in modo speciMico le discipline scientiMiche, ma è piuttosto da intendersi come un approccio che, utilizzando la metodologia della ricerca e della risoluzione dei problemi, mira all’acquisizione di competenze invece che all’accumulo di nozioni. Il laboratorio, infatti, non va inteso solo come spazio chiuso e attrezzato, in cui poter svolgere con gli studenti un certo numero di esperimenti e dimostrazioni, ma come l’insieme di tutte le opportunità che consentono di esercitare osservazione, progettazione e sperimentazione. Si tratta, quindi, di un luogo in cui non solo si elaborano saperi, ma da cui si possono ricavare tutte le opportunità formative trasversali di carattere osservativo, logico e linguistico, utili per produrre nuove conoscenze e sviluppare nuove competenze nel pieno rispetto dei diversi stili di apprendimento. In questa prospettiva l’azione educativa si sposta dall’insegnamento all’apprendimento, cioè ai processi del far apprendere e del riMlettere sul fare, allo scopo di rendere gli allievi consapevoli del processo che vivono.

Poche cose ben fatte per stimolare la voglia di sapere

La grande potenzialità dell’approccio laboratoriale è molto ben descritta in un articolo della letteratura chimica americana di cui è protagonista un giovane ragazzo, Ira Remsen (1846 – 1927) (Figura 7), diventato poi un autorevole chimico, ben noto per la sintesi della saccarina, [5]. Nell’articolo Remsen scrive:

«Leggendo un testo di chimica arrivai alla frase l’acido nitrico agisce sul rame. Mi stavo stancando di leggere cose così assurde e allora decisi di vedere quale fosse il signiMicato reale di quella frase. Il rame era per me un

Figura 7. Ritratto di Ira Remsen con firma.

materiale familiare, perché a quei tempi le monete da un centesimo erano in rame. Avevo visto una bottiglia di acido nitrico sulla tavola dell’ufMicio del dottore dove mi mandavano per passare il tempo. Non sapevo le proprietà dell’acido nitrico, ma ormai lo spirito di avventura si era impossessato di me. Così, avendo rame e acido nitrico, potevo imparare cosa signiMicassero le parole agisce sul. In questo modo, la frase l’acido nitrico agisce sul rame sarebbe stata qualcosa di più che un insieme di parole. Al momento, lo era ancora. Nell’interesse della scienza ero persino disposto a sacriMicare uno dei pochi centesimi di rame che possedevo. Ne misi uno sul tavolo, aprii la bottiglia dell’acido, versai un po’ di liquido sulla monetina e mi preparai a osservare quello che accadeva. Ma cos’era quella magniMica cosa che stavo osservando? Il centesimo era già cambiato e non si poteva dire che fosse un cambiamento da poco. Un liquido verde-blu schiumava e fumava dalla moneta e l’aria tutt’intorno si colorava di rosso scuro. Si formò una gran nube disgustosa e soffocante. Come potevo fermarla? Provai a disfarmi di quel pasticcio prendendolo con le mani per buttarlo dalla Minestra. Fu così che imparai un altro fatto: l’acido nitrico agisce non solo sul rame, ma anche sulle dita. Il dolore mi spinse a un altro esperimento non programmato. InMilai le dita nei calzoni e scoprii che l’acido nitrico agisce anche sui calzoni. Tutto considerato, quello fu l’esperimento più impressionante e forse più costoso della mia vita. Fu una rivelazione e mi spinse a desiderare di imparare di più su quel rimarchevole agisce sul».

L’obiezione comune che viene fatta a questo tipo di didattica è che comporta una forte dilatazione dei tempi; la cosa è certamente vera, ma non deve spaventare per i seguenti motivi: è meglio affrontare meno argomenti in maniera approfondita, che molti argomenti velocemente e in maniera superMiciale; basta utilizzare un tale approccio in uno o due casi per far sì che lo studente impari ad apprendere personalmente; la didattica laboratoriale può essere efMicacemente combinata con le metodologie didattiche tradizionali, aspetto estremamente importante tenuto conto che non tutti gli obiettivi di apprendimento devono (o possono) essere perseguiti con l’approccio laboratoriale. Non deve neanche spaventare il fatto di non avere a disposizione in ambito scolastico un laboratorio opportunamente attrezzato, perché il problema può essere facilmente superato sfruttando tutte le opportunità che il territorio offre come, ad esempio, i dipartimenti universitari, i centri di ricerca e i musei scientiMici. Come già puntualizzato, la cosa fondamentale e più importante di questo approccio didattico è che l’azione educativa si sposta dall’insegnamento all’apprendimento, cioè ai processi del far apprendere e del riMlettere sul fare, allo scopo di rendere gli allievi consapevoli del processo che vivono. Tutto ciò si inquadra perfettamente in quelli che sono i compiti formativi della scuola: promozione dell’apprendimento (istruzione), ma anche e soprattutto accompagnamento al saper stare al mondo (educazione), ricordando che l’istruzione non può e non deve mirare ad essere enciclopedica e che, in accordo con quanto detto sopra, la regola dovrebbe essere quella di insegnare alcune cose bene e a fondo, non molte cose male e superMicialmente. In altre parole, il docente deve avere il coraggio di selezionare, scegliere, eliminare argomenti, anche operando tagli che a prima vista potrebbero sembrare dolorosi per la sua sensibilità disciplinare, avendo bene in mente il famoso monito dei MilosoMi greci: «Insegnare non è riempire un vaso, ma accendere un fuoco». Questo monito avrebbe dovuto guidare tutti i docenti durante il drammatico momento del lock-down dovuto alla pandemia COVID-19: mantenere vivo l’interesse degli studenti e stuzzicare la loro curiosità a distanza sono stati, infatti, gli scogli più difMicili da superare. Per quanto riguarda la Chimica, disciplina sperimentale per eccellenza, la limitazione o l’interruzione totale delle attività pratiche è stata sicuramente una grossa penalizzazione, ma si poteva fare di necessità virtù insegnando, assieme ai

fondamenti, una Chimica “viva”, quella che permea ogni momento della nostra quotidianità e che, soprattutto se accoppiata alla metodologia IBL, è capace di risvegliare l’interesse degli studenti anche quando ascoltano da un monitor. ApproMittare, cioè, della situazione per discutere del perché ci siamo trovati relegati nelle pareti delle nostre case, della responsabilità dell’uomo in tutto quanto è successo, del rispetto che è doveroso avere nei confronti dell’ambiente, di sostenibilità e di economia circolare. Fra l’altro si può parlare di tutto ciò insegnando Chimica, perché la Chimica ha un ruolo fondamentale per attuare uno sviluppo sostenibile, per salvaguardare il nostro pianeta e anche per trovare le “armi” necessarie a limitare la diffusione dei virus e a combatterli. E si prendono anche due piccioni con una fava: si motivano gli studenti a studiare la Chimica e si formano futuri cittadini responsabili, maturi e consapevoli, perseguendo quello che è l’obiettivo prioritario della scuola di ogni ordine e grado.

Per concludere: mai perdersi d’animo

I docenti di Chimica sono maggiormente afMlitti da due preoccupazioni: la prima, legata alle poche ore di insegnamento, è quella di non riuscire a dare una risposta del tutto esauriente o conclusiva ai molti perché che emergono durante le lezioni, mentre la seconda, che forse rasenta più la frustrazione, riguarda il poco interesse che gli studenti hanno per la Chimica. Questi docenti, però, non devono perdersi d’animo: basta guardare la situazione con occhi diversi e trovare l’aspetto positivo anche quando tutto sembra remare contro. Infatti, l’impossibilità di affrontare in maniera esaustiva i molti perché della Chimica deve essere vista non come una limitazione penalizzante, ma come un’occasione utile per stimolare la fantasia e la curiosità dello studente e per spingerlo a cercare spiegazioni più rigorose in un livello superiore di studi. Un po’ più difMicile da superare è il secondo problema, dal momento che è duro “mandar giù” il fatto che la propria disciplina non sia amata; tuttavia, basta pensare che è inevitabile e forse giusto che ci siano discipline che interessano di più gli studenti e discipline che interessano di meno. Ciò succede in tutti i campi e in ogni momento della vita: continuamente esprimiamo preferenze e facciamo scelte. È, quindi, importante dire agli studenti che è un bene avere delle preferenze; è un contributo essenziale alla formazione della propria personalità che è il risultato di un costante processo di selezione. È, però, altrettanto importante far capire agli studenti che è fondamentale studiare, sempre e comunque, con impegno e caparbietà tutte le discipline, comprese quelle che non amano, perché un domani potrebbero riscoprirle e apprezzarle, o avere la necessità di usarle.

Bibliografia e sitografia

1. a) Balzani V., Venturi M., Chimica! Leggere e scrivere il libro della natura. Scienza Express, 2012; b) Balzani V.,

Venturi M., Reading and Writing the Book of Nature. Royal

Society of Chemistry, 2014. 2. a) Bybee R.W., Scienti4ic inquiry and science teaching in

Scienti4ic inquiry and nature of science: Implications for teaching for teaching, learning, and teacher education (Eds. L. Flick, N. Lederman), Springer, Dordrecht, 2006; b)

Bybee R.W., Taylor J.A., Gardner A., Van Scotter P., Powell

J.C., Westbrook A., Landes N., BSCS 5E instructional model: origins and effectiveness in https://bscs.org/resources/ reports/the-bscs-5e-instructional-model-origins-andeffectiveness/, 2006; c) Bybee R.W., The BSCS 5E instructional model and 21st century skills in https:// sites.nationalacademies.org/cs/groups/dbassesite/ documents/webpage/dbasse_073327.pdf, 2009. 3. Dewey J., Come pensiamo. La Nuova Italia, Firenze, 1994. 4. Cuomo N., L’altra faccia del diavolo. Apprendere ed insegnare in stato di benessere: un atteggiamento sperimentale. UTET, Torino, 1995. 5. Shakhashiri B.Z., Chemical demonstrations - a handbook for teachers of chemistry, vol. 1, p. XIV, The University of

Wisconsin Press, Madison, 1983 (libera traduzione dell’autore del presente articolo).

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