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Delle Arti

Caravaggio in Sicilia

(II parte)

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Rodolfo Papa

Il periodo siciliano di Caravaggio, cominciato nell’ottobre del 1608, è intenso da ogni punto di vista, con la produzione di opere quali la Risurrezione di Lazzaro (1608-1609, Museo Regionale, Messina) e l’Adorazione dei pastori (1609

Museo Regionale, Messina).

Probabilmente Caravaggio a Messina dipinse anche per Niccolò Di Giacomo un ciclo di quattro tele con le

Storie della passione ed alcuni San

Girolamo, ma non sono stati in alcun modo rintracciati.

L’ultima tela nota dipinta in Sicilia è la Natività con i santi Lorenzo e Francesco realizzata tra agosto e ottobre 1609 a Palermo, come ricorda Giovan Pietro Bellori nel suo trattato biograTico-teorico Le Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, pubblicato a Roma nel 1672. L’opera venne dipinta per l’Oratorio della Compagnia di San Lorenzo, e purtroppo è stata trafugata nell’ottobre 1969 ed è tuttora irreperita. Spadaro ne ha identiTicato una copia eseguita dal pittore palermitano Paolo Geraci nel 1627, cosa che concorre anche, indirettamente, a confermare il fatto che sia stata dipinta proprio a Palermo.

Invece, una parte della storiograTia pone in dubbio che sia stata dipinta a Palermo, e ipotizza che sia una commissione romana del 1600, portata poi via mare in Sicilia; altri, invece, ne spostano la data di esecuzione al 1610. In ogni caso, la tela è sicuramente autografa.

La tela è, inoltre, iconograTicamente legata all’ambiente cappuccino, peraltro in un momento storico particolare in cui il provinciale dell’Ordine, il siciliano fra’ Gerolamo Errante, aveva promosso e redatto una rigida revisione della Regola minorita cappuccina, che, stampata nel 1606 dopo l’imprimatur del 1605, diffuse e applicò a tutta la Provincia.

Inoltre, l’opera è legata alla devozione propria dell’Oratorio di San Lorenzo, composto da ricchi mercanti

Figura 1. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi. 1600, trafugata nel 1969 dall’Oratorio di S. Lorenzo, Palermo. che, giunti per affari da ogni dove, si ritrovavano nella Compagnia uniti dalla comune devozione al Cordone di san Francesco, come dimostra il fondatore, il genovese Antonio Massa. La composizione risulta più tradizionale, rispetto alle altre opere siciliane, forse a motivo del gusto locale nelle soluzioni formali convenzionali. Infatti, san Lorenzo e san Francesco sono posti ai lati della scena centrale della natività, secondo una struttura frequente nelle pale d’altare cinquecentesche. Si inserisce nella tradizione delle Natività che ha nella Legen-

Rodolfo Papa, PhD. Pittore, scultore, teorico, storico e Tilosofo dell'arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Accademico Ordinario della PontiTicia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Docente di Arte Sacra, Tecniche Pittoriche nell’Accademia Urbana delle Arti. Presidente dell'Accademia Urbana delle Arti. Già docente di Storia delle teorie estetiche, Storia dell’Arte Sacra, Traditio Ecclesiae e Beni Culturali, FilosoTia dell’Arte Sacra (Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant'Apollinare, Roma; Master II Livello di Arte e Architettura Sacra della Università Europea, Roma; Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; PontiTicia Università Urbaniana, Roma; Corso di Specializzazione in Studi Sindonici, Ateneo PontiTicio Regina Apostolorum). Tra i suoi scritti si contano circa venti monograTie, molte delle quali tradotte in più lingue e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; “Espiritu”; “La Società”; “Rogate Ergo”; “Theriaké” ). Collaborazioni televisive: “Iconologie Quotidiane” RAI STORIA; “Discorsi sull’arte” TELEPACE. Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San PanTilo, Sulmona; Chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma; Monastero di Seremban, Malesia; Cappella del Perdono, SS. Sacramento a Tor de'schiavi, Roma …)

da Aurea di Jacopo da Varazze un importante riferimento:

«Arrivati a Betlemme, Giuseppe e Maria non riuscirono a trovare alloggio perché erano poveri, e tutti i posti erano già stati occupati da quelli che erano venuti prima di loro per la stessa ragione. Allora si fermarono in un riparo lungo la pubblica via che, come si legge nella Historia scholastica, si trovava tra due case ed era coperto da una tettoia [...] Lı̀ Giuseppe mise una mangiatoia per il bue e per l’asino, oppure, come sostengono altri, siccome i contadini quando andavano al mercato vi legavano i loro animali, la mangiatoia era già lı̀ pronta. Proprio lı̀ a mezzanotte della domenica (il primo giorno del Signore!) la Beata Vergine partorı̀ il suo Tiglio e lo adagiò sul Tieno, nella mangiatoia (nella Historia scholastica si dice che sant’Elena portò poi quel Tieno a Roma, Tieno che miracolosamente l’asino e il bue non avevano mangiato)» (cap. VI).

«San Francesco si ammalò agli occhi perché piangeva sempre. Gli suggerirono di non piangere, ma lui rispose: Non è per amore della vista, comune all’uomo e alle mosche, che dobbiamo rifiutare di vedere la luce eterna» (cap. CXLIX). «Non faceva uso di lucerne né di lampade né di candele per non deturparne lo splendore con le sue mani» (cap. CXLIX).

Peraltro, Niccolò IV nel 1290 aveva incaricato Arnolfo di Cambio di sistemare il “Presepe”, cioè la reliquia della mangiatoia di Gesù, in Santa Maria Maggiore a Roma, collocando le statue di Maria, di Giuseppe e dei Magi, mettendo cosı̀ in evidenza il legame tra la pratica devozionale e gli sviluppi dell’arte sacra. Questi elementi della tradizione sono presenti in Caravaggio ed emergono diversamente reinterpretati, secondo il contesto e la volontà rappresentativa, in modo particolare nella composizione. La resa dei personaggi porta in maniera più chiara la particolare cifra caravaggesca. Infatti Giuseppe è posto seduto, sul lato destro della tela, in modo che, con un’ardita torsione del busto assecondata dalle gambe scoperte, dia le spalle all’osservatore ma sia rivolto con il corpo al Bambino e con la testa verso un altro personaggio che entra nella tela dal lato destro, appoggiato a un bastone. Questa Tigura anziana, che sembra dialogare con Giuseppe, è stata identiTica con Fra Leone, fedele compagno di san Francesco, o più verosimilmente con un pastore. San Francesco è a Tianco di Fra Leone, più interno alla scena, alle spalle della Vergine, colto in atteggiamento di preghiera adorante. San Francesco appare posto nell’oscurità, come se avesse gli occhi ciechi e tuttavia contemplanti, completamente assorto, inclinati su una linea che, passando attraverso Maria, giunge al Bambino. Nella Legenda Aurea, Jacopo da Varazze riporta che san Francesco:

e più avanti, riportando elementi tratti dalla Legenda maior:

«San Francesco si ammalò agli occhi perché piangeva sempre. Gli suggerirono di non piangere, ma lui rispose: Non è per amore della vista, comune all’uomo e alle mosche, che dobbiamo riTiutare di vedere la luce eterna» (cap. CXLIX).

Francesco, dunque, è dipinto con gli occhi accecati che pure si ostinano a guardare verso la luce eterna. Infatti, nel quadro, il Bambino è colpito da una luce che ne illumina il volto. San Lorenzo è posto sul lato destro, vestito con la dalmatica, ed è posto nella scia luminosa che va e viene dal Bambino, cosicché egli

Figura 2. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi. Particolare del volto di S. Lorenzo.

appare in luce. Ancora nella Legenda aurea, relativamente a Lorenzo leggiamo:

«Il nome di Lorenzo deriva da “lauro”, perché ottenne la corona della vittoria durante la sua passione [...] il suo colore verde si rispecchiò nella limpidità e nella purezza del suo cuore, disse infatti: la mia notte non ha oscurità» (cap. CXVII).

Caravaggio usa qui una particolare sintassi pittorica; infatti se osserviamo i volti, vediamo che il volto di Francesco, che è cieco, appare in luce, mentre il volto di Lorenzo, che «rispecchiò nella limpidità» è posto in ombra. I volti di Maria e di Gesù, non solo sono investiti dalla luminosità del raggio celeste, ma sembrano risplendenti, fonte di luce essi stessi. Caravaggio dà, dunque, una interpretazione anche linguistica delle due Tigure di santi, che vengono costruite non solo secondo una concezione storica, e non solo secondo un canone allegorico, ma con una sintesi di tutti i livelli, entro una resa realistica. Caravaggio compie ancora, dunque, una sintesi tra la natura realistica dei dettami postridentini proposti da Gabriele Paleotti nel suo Discorso sulle Immagini Sacre e Profane del 1594, e una visione neo-medievale, comunque forte e presente nella cultura e nella spiritualità dell’epoca. Come già si può evincere dall’analisi della tela dell’Adorazione dei pastori, il tema della natività è molto caro all’ambiente francescano, ponendosi direttamente in relazione a quanto voluto la notte del 24 dicembre 1223 a Greccio, dallo stesso san Francesco. In quella notte, la sacra rappresentazione con i Tiguranti in carne ed ossa fu organizzata per offrire ai fedeli del paese la possibilità di radunarsi in preghiera attorno alla grotta, ponendo in essere un luogo che fosse per quei fedeli il luogo di Betlemme. Questa invenzione rinnova lo stesso linguaggio artistico, invitando alla sintopia e alla sincronia, per motivi spirituali. Questo tratto della spiritualità cristiana, che signiTica contemporaneità tra l’eternità di Dio e i tempi degli uomini, trova espressione nell’arte sacra, in modo particolare nell’epoca post-tridentina in cui Caravaggio vive, grazie anche alle già citate interpretazioni di san Carlo Borromeo, sant’Ignazio, san Filippo Neri. Ricordiamo ancora come i Sacri Monti siano un luogo di sintesi di arte e devozione. Seguendo la tradizione, Caravaggio colloca nella tela anche un angelo che annuncia la natività ai pastori e, appunto tradizionalmente, gli pone in mano il cartiglio con la scritta «Gloria in excelsis Deo». L’angelo è rappresentato in modo molto dinamico; sembra scendere verso Maria, con il braccio sinistro, su cui è avvolto il cartiglio, proteso sul capo della Vergine, e con il braccio destro, alzato e indicante verso il cielo. In questo modo la Tigura dell’angelo costruisce una specie di ponte di congiunzione tra cielo e terra, segnando una diagonale che individua, nell’oscurità della scena, la discesa di una luce che rischiara. Questa soluzione luministica ancora riecheggia il racconto di Jacopo da Varazze:

Figura 3. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi. Particolare del volto di S. Francesco.

«Infatti la notte stessa della natività del Signore l’oscurità si trasformò nel chiarore del giorno» (cap. XIV).

Figura 4. Anonimo scultore genovese del sec. XIII, sepolcro di Jacopo da Varazze (1228-1292), Museo di Sant’Agostino, Genova.

La luminosità della composizione, che già Caravaggio aveva ricercato nella tela di Messina dall’analogo tema, viene riproposta qui con grande maestria. Caravaggio costruisce una struttura tale che i due santi Francesco e Lorenzo, rappresentati astanti e contemplanti, vengono inseriti come contemporanei all’azione, in memoria delle tele di tradizione che conosciamo solitamente come Sacre conversazioni e che più profondamente rappresentano la Comunione dei santi nel corpo mistico della Chiesa. I due santi appaiono cosı̀ parte attiva nella tela, ognuno secondo la propria identità. Maria è rappresentata centrale, all’incrocio di tutte le direttrici, segnate dalla luce, dai gesti e dagli sguardi. Tutto ruota intorno alla Vergine che è rappresentata con gli occhi socchiusi e in un atteggiamento che sembra esprimere anche stanchezza, però assorta dal Bambino, e come illuminata di riTlesso. Il tratto caratteristico di Maria nell’opera di Caravaggio è proprio nella sintesi di ordinarietà e straordinarietà, in un’espressione efTicace e riconoscibile di una reale umanità illuminata dalla singolarità degli eventi, già tutta sintetizzata nella profezia di Isaia: «Ecco, una vergine partorirà» (Is 7,14). Caravaggio traduce, dunque, con il linguaggio proprio della pittura, quanto Jacopo da Varazze racconta narrativamente nel capitolo IV sulla Natività:

«Fu inTine straordinaria per il modo in cui avvenne la generazione. Il suo fu un parto al di là della natura, dato che una vergine concepı̀; fu al di là della ragione, perché fu partorito Dio; al di là dell’umana condizione, dato che partorı̀ senza dolore; al di là della consuetudine, poiché la Vergine non concepı̀ dal seme umano, ma dal mistico sofTio dello Spirito Santo; lo Spirito Santo infatti trasse materia dalle più pure e caste parti del sangue della Vergine, e con esse formò il corpo di Cristo. Cosı̀ Dio ci mostrò un quarto straordinario modo di fare l’uomo. Dice a questo proposito Anselmo: “Dio può fare l’uomo in quattro modi: senza uomo né donna, come fece con Adamo; con l’uomo ma senza donna, come fece con Eva; con l’uomo e con la donna, come succede normalmente; con la donna ma senza l’uomo, come nel giorno del Natale”».

Il Bellori sottolinea come questa Natività sia l’ultima opera siciliana di Caravaggio:

«Dopo quest’opera non si assicurando di fermarsi più lungamente in Sicilia, uscı̀ fuori dell’Isola, e navigò di nuovo a Napoli, dov’egli pensava di trattenersi, Tin tanto che havesse ricevuto la nuova della gratia della sua remissione, per poter tornare à Roma».

Dunque, nonostante fosse apprezzato e stimato, Caravaggio lasciò la Sicilia, per recarsi a Napoli, avvicinandosi, cosı̀, nel tempo e nello spazio, alla possibilità di tornare a Roma.

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