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Il Museo Diocesano di Monreale

Irene Luzio*

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Figura 1. Sala d’ingresso del Museo Diocesano di Monreale (PA).

I

l Museo Diocesano di Monreale [1] costituisce probabilmente un unicum nel panorama siciliano, per non dire italiano o addirittura mondiale. La sua peculiarità emerge dalla compenetrazione tra la preziosità di un patrimonio artistico sacro plurisecolare, l’eleganza del sito espositivo ⏤ il Palazzo Arcivescovile ⏤ e l’apertura verso il Duomo, la città e l’ambiente circostante. Originale è anche il progetto espositivo realizzato, che coniuga felicemente il criterio storico-artistico alle esigenze catechetiche e devozionali proprie di un contesto diocesano: se, infatti, si dà il giusto risalto ai protagonisti della storia del Duomo e del suo tesoro ⏤ committenza religiosa e laica, artisti e umili maestri di bottega ⏤ all’evoluzione degli stili e del gusto, alla rafNinatezza esecutiva delle opere e al gran pregio dei materiali, d’altra parte si presta una particolare attenzione all’analisi iconograNica e iconologica delle opere ⏤ che decripta il messaggio evangelico celato da simboli ⏤ e rievoca, dove possibile, l’originaria funzione sacra delle opere e dello spazio espositivo che le ospita. Ogni sala dispone di una particolare veduta sul chiostro, sui mosaici del Duomo, sul paramento murario esterno delle absidi, su Palermo, la Conca d’oro, il mare. L’allestimento si articola dunque secondo un andamento di progressione cronologica ⏤ Sala Normanna, Sala del Rinascimento, Cappella Neoclassica ⏤ che però prevede signiNicative eccezioni: la Sala di San Placido, la Sala dei Vescovi, la Sala Renda Pitti, la Sala Etno-antropologica e la Cappella Roano [2]. La sala d’ingresso presenta una raccolta di manufatti lapidei, di varia natura e provenienza, tutti altamente signiNicativi per la storia del Duomo. Il più emblema-

*Università degli Studi di Palermo.

Figura 2. Sarcofago dei leoni, III sec. d.C.

tico è il cosiddetto sarcofago dei leoni, databile al III sec. d.C. e attribuibile a bottega romana ⏤ vista l’analogia stilistica con l’esemplare della collezione Torlonia, esposto presso i Musei Capitolini in occasione della mostra: I marmi Torlonia [3]. Presenta una struttura a lenos ⏤ a vasca ⏤ privo di coperchio. EX decorato da profonde scanalature ondulate, contrapposte e convergenti verso il centro, mentre alle due estremità si collocano due rilievi speculari: due leoni, dalle teste fortemente aggettanti, che addentano al collo due ongari, seguiti dalla Nigura del venator, il cacciatore. Venne trasformato in fontana nel 1800: presenta ancora i fori per la fuoriuscita dell’acqua. La tradizione che identiNica questo sarcofago con la primitiva sepoltura di Guglielmo II è fortemente dibattuta [4]: un’ipotesi alternativa è che vi sia giunto in età moderna, dati i frequenti commerci antiquari che i vescovi monrealesi ⏤ tra tutti Giovanni Borgia (1483 - 1503), Pompeo Colonna (1530 - 1532) e Alessandro Farnese (1536 - 1573) ⏤ intrattenevano con Roma. Dall’ingresso si accede alla Sala San Placido ⏤ in origine cappella di San Placido, commissionata nel 1590 da Ludovico II Torres ⏤ che presenta una conformazione rettangolare, conclusa da un’abside nel lato corto speculare all’ingresso, coperta da una volta a botte affrescata, al cui centro si colloca lo stemma del Torres e l’iscrizione datata della dedicazione a S. Placido. La sala dà anche accesso al chiostro benedettino. L’intero allestimento della sala è improntato a rievocarne la funzione originaria, esponendo i paliotti (molti dei quali risalenti al XVII sec.) ricamati a punto raso, con Nili d’oro e argento su velluto o Nili di seta policroma su lino in teche rettangolari, sormontate da grandi pale d’altare, cosı̀ da richiamare visivamente l’immagine di altari laterali. Nella zona absidale, la teca con paliotto è sormontata dalla preziosa statua lignea di S. Castrense, patrono di Monreale, databile a inizio XVIII secolo e riferibile a scultore siciliano: se ne possono apprezzare il panneggio virtuoso, l’accuratezza anatomica, la smaccata teatralità della posa. La sala conserva opere provenienti non solo dal duomo, ma da altre chiese monrealesi. L’opera più signiNicativa è indubbiamente l’arazzo del sogno di Guglielmo, databile alla seconda metà 1700, di manifattura napoletana (attribuito a Pietro Duranti): riproduce il dipinto del palermitano Gioacchino Martorana (metà del XVIII sec.), esposto in questo stesso Museo. L’iconograNia si riferisce, naturalmente, alla leggenda della fondazione del Duomo e della città stessa di Monreale: la Madonna sarebbe apparsa in sogno a re Guglielmo II, che riposava sotto un carrubo, in una pausa da una battuta di caccia; la Santa Vergine indica il luogo in cui il sovrano normanno avrebbe trovato un tesoro, che sarebbe servito a Ninanziare l’ediNicazione del Duomo a Lei dedicato (S. Maria Nuova). L’arazzo si caratterizza per l’uso di colori caldi e brillanti, per l’impostazione diagonale della composizione, per la presenza di elementi altamente signiNicativi, come la pianta del duomo retta dagli angeli, l’arco e le frecce ai piedi di Guglielmo, le monete del tesoro con cui giocano i puttini. Un’altra opera merita di essere ricordata: L’angelo custode di Pietro Novelli, il celebre pittore monrealese. Si tratta di un olio su tela, datato 1640, una replica più rafNinata del dipinto di Cefalù che presenta il medesimo

Figura 3. Il sogno di Guglielmo, metà 1700, arazzo di manifattura napoletana attribuito a Pietro Duranti.

Figura 4. Pietro Novelli, L’angelo custode, olio su tela 1640.

Figura 5. Sala San Placido.

soggetto. Rappresenta un angelo custode, che indica il Cielo luminoso al bambino al suo Nianco, che accoglie devotamente l’ispirazione; se ne possono apprezzare l’impostazione diagonale, i panneggi ampi e morbidi, le inNluenze Niamminghe nell’equilibrio e armoniosità delle Nigure e nell’impostazione della scena entro uno spazio architettonico, che affaccia sullo sfondo paesaggistico, soprattutto del cielo, trattato con peculiari giochi luministici e cromatici, ma anche echi caravaggeschi, evidenti nei giochi chiaroscurali delle Nigure e soprattutto nella mano dell’angelo, che appare identica a quella del Cristo nella Vocazione di S Matteo [5]. La Sala Normanna ospita le opere più antiche del percorso museale, datate tra il tardo XII ed il XVI secolo (post 1150 – 1500); si colloca al primo piano ed offre una straordinaria veduta sui mosaici del duomo. L’opera più emblematica della sala era la Madonna Odigitria [6] ⏤ icona di ambito bizantino, della metà del XII secolo ⏤ attualmente restituita alla devozione dei fedeli, all’interno del duomo. Un’altra opera signiNicativa è la Madonna dell’Umiltà, una tavola dipinta, databile alla seconda metà XIV secolo, attribuita a Barnaba da Modena, e ripropone la matrice iconograNica

Figura 6. Madonna dell’Umiltà, metà del sec. XIV.

della Mater Omnium di Roberto d’Oderisio (1350 ca.) nella chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli: seduta per terra, la Vergine allatta il Bambino, entrambi osservano lo spettatore; si può apprezzare il vivace naturalismo delle forme, delle pose e delle espressioni, la morbidezza dei panneggi, di colori simbolici come blu, rosso e oro. Bisogna ricordare due preziosi reliquiari. Il primo è il Reliquiario della Sacra Spina, databile tra XIV e XV secolo ⏤ con aggiunte relative al XVII ⏤ ed è realizzato in oro, argento, smalti, gemme e cristallo di rocca: presenta una base polilobata e un fusto culminante con un elemento sferico, di inNluenza spagnola, traforato e ornato da elementi NitomorNi (XVIII sec.), una teca centrale in cristallo di rocca (XIII sec.) che conserva la Sacra Spina, coronata da una spilla di origini francesi (XIV sec.) in lamina d’oro, ametiste, smeraldi e perline, su cui svetta la croce apicale (Nine

Figura 7. Reliquiario della Sacra Spina, sec. XIV - XV.

Figura 8. Cofanetto reliquiario, sec. XV.

XIII - primi XIV). Il secondo reliquiario è un cofanetto in legno e pastiglia dorata, tardogotico (XV sec.), di manifattura probabilmente senese. Ha conservato parte delle reliquie di S. Luigi IX di Francia e per secoli è stato racchiuso nel suo sarcofago. Presenta, sul recto, una decorazione a Nigure cortesi su sfondo vegetale, mentre sugli altri tre lati presenta un’aquila; ai quattro angoli Nigurano delle placche di rame, sbalzato e cesellato a motivi geometrici.

Sempre al primo piano, proseguendo, si raggiunge la Sala del Rinascimento: espone opere databili tra il tardo XV secolo e i primissimi anni del XVII, affaccia sulla Conca d’Oro e sulle absidi esterne del Duomo. L’opera indubbiamente più rilevante della sala è il tondo della Madonna col Bambino di Luca o Andrea della Robbia (Nine XV sec.), in ceramica invetriata, con sfondo blu e dorature nei capelli, nelle vesti e sul collo della Vergine. L’iconograNia utilizzata è quella

Figura 9. Luca o Andrea della Robbia, Madonna col Bambino, fine sec. XV. Figura 10. Sala Salvatore Renda Pitti.

della Glikophilousa, in cui la Vergine viene colta in atteggiamento tenero ed amorevole verso il Bambinello, che La ricambia; si possono apprezzare la serenità e l’intima affettuosità degli atteggiamenti, la rafNinata eleganza delle pose, la morbidezza dei panneggi. Proviene dall’Abbazia di S. Maria del Bosco di Calatamauro, distrutta da un terremoto negli anni ’60. Al secondo piano si colloca la Sala Salvatore Renda Pitti, dedicata all’omonimo economo monrealese che, scomparso nel 1992, ha devoluto la propria collezione privata al Museo Diocesano di Monreale, perché fosse fruibile al pubblico. Sono esposte soltanto le opere d’arte sacra ⏤ o pertinenti ⏤ alcune dislocate nelle varie sale, ma in buona parte concentrane in questa, a lui dedicata. La sala affaccia sul chiostro benedettino. Conserva opere di epoche e tipologie differenti ⏤ dalle suppellettili liturgiche alle tele, dalle maioliche ai crociNissi polimaterici, al celebre mappamondo del XIX secolo, in legno e pastiglia policroma. Tra quelle più signiNicative possiamo ricordare la CrociNissione con committenti, un olio su tela della metà 1600, di pittore Niammingo: l’inNluenza vandyckiana è chiaramente leggibile nella resa del Cristo spirante, che spicca chiaramente contro il fondo scuro, la cui intera anatomia esprime una marcata tensione verticale, con il perizoma annodato a sinistra, che ricade sulla destra; è afNiancato da Nigure nobili, probabilmente committenti in orazione e contemplazione. Possiamo ricordare altri due oli su tela, databili entrambi al XVIII secolo. Il primo, attribuito ad Antonio Manno, rappresenta San Michele Arcangelo, afNiancato da puttini, trionfante, regge il vessillo della croce e indossa un manto rosso gonNiato dal vento e un’armatura: al centro della corazza Nigura l’immagine dell’Immacolata; l’intera scena è sovrastata da un sole, deNinito da un cerchio splendente in cui è inscritto un triangolo: si tratta di un simbolo della Tri-Unità divina. Il secondo dipinto è riferibile a pittore siciliano ed è peculiare perché rappresenta la Madonna della Misericordia, che accoglie i devoti

Figura 11. Madonna della Misericordia.

sotto il suo manto, ma presenta anche i tipici attributi dell’Immacolata: corona di stelle sul capo, falce lunare ai piedi, vesti bianco-azzurre; un espediente che si chiariNica ad una più attenta analisi delle Nigure raccolte sotto il manto della Vergine: si tratta di clarisse, appartenenti all’Ordine Francescano, che si è distinto per la fervente difesa del titolo mariano di Immacolata. Particolarmente interessante è la collezione di maioliche, tra cui Nigurano due piatti, stilisticamente riferibili a maestranze urbinati (Nine XVI secolo - primi XVII), che rafNigurano la tentazione di Adamo ed Eva e il Peccato originale. Non si può non tener conto di due singolari crociNissi da tavolo, entrambi polimaterici, riferibili a bottega trapanese del XVIII secolo: il primo in legno, avorio e lapislazzuli; il secondo in argento, avorio e tartaruga. Entrambi presentano il Cristo in avorio ⏤ simbolo di purezza per il suo candore ⏤ coperto dal solo perizoma, dal panneggio morbido, annodato sulla sinistra; mentre il primo manifesta una certa serenità neoclassica (si data alla seconda metà del XVIII sec.), il secondo è ancora improntato al pathos e alla teatralità barocca (si data agli anni ‘20 dello stesso secolo). Tra la sala Renda Pitti e la Sala dei Vescovi si situa un piccolo ambiente di disimpegno, detto Sala della Portantina. L'ambiente custodisce manufatti tessili, reliquiari a busto e la portantina che le dà il nome: si tratta di un’opera di Nine XVIII, riferibile a maestranze palermitane, realizzata in legno intagliato e dorato, bronzo, cuoio, seta; è ornato dalle personiNicazioni delle virtù cardinali ⏤ prudenza, giustizia, temperanza e fortezza ⏤ e dall’allegoria della Verità; veniva utilizzata dal vescovo per portare l’eucarestia agli infermi. SigniNicativi sono i due busti reliquiari di S. Ignazio e S. Francesco Saverio, in argento sbalzato, cesellato e fuso, in parte dorato: entrambi riferibili ad argentieri palermitani (seconda metà del XVII sec.) e provenienti dalla chiesa del S. Cuore di Monreale. Proseguendo al secondo piano, si giunge alla Sala dei Vescovi: probabilmente la più affascinante dell’intero percorso museale, espone manufatti sacri legati alla committenza dei vescovi, con un particolare focus sulle personalità più illustri che hanno retto la Diocesi in età moderna ⏤ da Alessandro Farnese (1536-1573) a Domenico Balsamo (1816-1844) ⏤ e regala al visitatore una singolare veduta dall'alto del chiostro, dal suggestivo angolo della fontana. Di notevole interesse sono alcune opere riconducibili alla committenza di Ludovico II de Torres (Monreale

1588-1609), uno dei più inNluenti e insigni arcivescovi della Diocesi, noto per aver riformato la vita religiosa civile e amministrativa secondo i dettami del

Figura 12. Sala della Portantina.

Concilio di Trento e per aver redatto la Historia della

Figura 13. Ignazio Marabitti, statue dei santi Marziano, Lucia, Pietro e Paolo, 1748-53, terracotta e legno.

Chiesa di Monreale, che pubblicò nel 1596 col nome di Gian Luigi Lello ⏤ suo segretario a Roma. In particolare si possono ricordare la mitria in teletta d’oro, perline e paste vitree, con ricami a motivi Nloreali, di manifattura siciliana (1596); la Pace con Adorazione dei Magi [7], di Muzio Zagaroli (seconda metà XVI sec.), in cristallo di rocca e bronzo dorato (cornice); il busto marmoreo del Cardinale Ludovico II de Torres, attribuito a Pompeo Cremona (1590-1595 ca). Tra le opere di committenza dell’arc. Francesco Testa (Monreale 1754-1773) possiamo citare i quattro bozzetti di santi di Ignazio Marabitti (1748-1753), in terracotta e legno, successivamente dorati: rappresentano S. Marziano ⏤ vescovo di Siracusa ⏤ S. Lucia ⏤ patrona di Siracusa ⏤ e i SS. Pietro e Paolo, dal momento che erano stati concepiti come prototipi a partire dai quali realizzare le statue della facciata della cattedrale di Siracusa, la cui diocesi era stata retta proprio dal Testa, prima del suo trasferimento a Monreale. Della committenza dell’arc. Domenico Balsamo (Monreale 1816-1844) bisogna ricordare il prezioso ostensorio in argento dorato e sbalzato, con parti fuse e gemme, realizzato da Giuseppe Balsamo nel 1823: presenta una base circolare con scanalature e foglie, un fusto architettonico ornato da ghirlande e festoni, che culmina con un angelo ⏤ che indossa una fascia diagonale di gemme rosse e un manto argenteo lucido e svolazzante, che spicca contro il corpo opacizzato e crea delicato gioco cromatico ⏤ nell’atto di reggere la raggiera ⏤ che presenta raggi di varia lunghezza, alcuni illuminati da diamanti, disposti intorno ad una teca circolare di vetro, impreziosita da un doppio giro di gemme e da una Nitta perlinatura d’oro. Altre due opere interessanti sono la CrociNissione di Sant’Andrea, un olio su tela di pittore genovese (seconda metà XVII secolo), vibrante di pathos barocco e racchiusa in una splendida cornice rocaille in legno intagliato, traforato e dorato (XVIII secolo, maestranze siciliane); esposto ai piedi di quest’opera, il faldistorio dell’arcivescovo Iacopo Bonanno, in legno intagliato e dorato (maestranze siciliane, metà del XVIII sec.), ornato da motivi NitomorNi, i bracci culminano con testine di cherubini, mentre i piedi con aquile dalle ali ripiegate; sul recto Nigura lo stemma del Bonanno col gatto passante, mentre sul verso compare il simbolo della carica vescovile: mitria e pastorale incrociati. Proseguendo per il secondo piano, si giunge alla Sala Neoclassica, ex cappella con volta a botte dipinta a Ninti cassettoni, voluta dall’Arcivescovo Domenico Gaspare Lancia di Brolo (1884-1919), che raccoglie non a caso opere del XIX secolo. EX stata allestita in

Figura 14. Sala dei Vescovi.

Figura 15. Sala Neoclassica.

modo tale da rievocare la sua funzione originaria. Nella zona absidale si conserva una teca rettangolare che ospita il paliotto con scene della Resurrezione di Cristo, realizzato in stucco e stucco policromo trattato a Ninto marmo, attribuito a Gaspare Firriolo (tardo 1700) e proveniente dall’Abbazia di Santa Maria del Bosco di Calatamauro; le scene, caratterizzate da una resa prospettica scenograNica, sono racchiuse in una cornice architettonica. Sopra la teca col paliotto è esposta la pala d’altare dell’Addolorata, un olio su tela di Vito D’Anna (seconda metà del XVIII sec.), proveniente dalla chiesa di S. Maria Addolorata di Monreale: al centro Nigura la Santa Vergine, che volge mestamente lo sguardo verso la mano destra, in cui regge i chiodi della crociNissione; il braccio destro posa mollemente sulla lastra sepolcrale con la sindone; in basso, a sinistra, dei puttini osservano con dolore la corona di spine; dietro, sulla destra, un angelo contempla il legno della croce, mentre, in alto, altri puttini osservano la scena. Un’altra opera signiNicativa esposta nella sala è il Cristo alla colonna, una scultura in legno policromo, di Girolamo Bagnasco (1787), proveniente dalla chiesa di San Pietro in Monreale: risulta evidente l’allontanamento dai modi tardo-barocchi, verso una classicità che non si manifesta ancora negli stilemi tipici del neoclassicismo, piuttosto sembra riferirsi ad una matrice cinquecentesca, riconoscibile nella posa chiastica e serpentinata della Nigura. Sempre al secondo piano, ma sul versante duomo ⏤ affaccia sulle absidi esterne ⏤ si colloca la Sala Etnoantropologica, che accoglie gli oggetti legati alla fede popolare, datati tra XVII secolo e la prima metà del XX. Conserva svariate tipologie di manufatti, divisi in due classi: votivi (per ringraziare e ripagare il santo o il Signore della grazia ricevuta ⏤ ex voto suscepto ⏤ ex voto tradizionali cioè gioie e rosari e corone, o edicole votive, insegne processionali) e devozionali (ceroplastiche, presepi, reliquiari, immagini di soggetto sacro a stampa o ricamate o dipinte su vetro). Le opere più emblematiche sono senza dubbio le due ceroplastiche rafNiguranti Gesù Bambino e Maria Bambina, entrambe di manifattura siciliana (seconda metà XVIII sec.), provenienti dalla collezione Renda Pitti. La prima, con Gesù Bambino Pescatore di cuori, è inclusa in una scarabattola con architettonica in tartaruga: il Bambinello è in cera, ma sono stati utilizzati anche altri materiali ⏤ lo sfondo, ad esempio, è un olio su tavola. La seconda, con Maria Bambina, è racchiusa da una scarabattola in legno intagliato e dorato, in stile rocaille; la Bambina è in cera ma avvolta da fasce seriche ricamate e indossa una coroncina in argento sbalzato, cesellato e Niligranato; lo sfondo è in tessuto ricamato a motivi Nloreali, con Nili d’oro, perle, gemme, coralli e conchiglie.

Bibliografia e note

1. Curato dalla prof.ssa Di Natale, che n’è attualmente la

Direttrice, inaugurato da mons. Di Cristina, nel 2011. I lavori si sono svolti in sinergia con la Soprintendenza ai

Beni Culturali di Palermo. 2. La Cappella Roano è parte integrante del percorso museale, nonostante si collochi all’interno del Duomo; nella sagrestia, conserva parati e suppellettili dell’arc. Giovanni

Roano, che non sono stati esposti nella Sala dei Vescovi, onorando la bolla con cui papa Innocenzo XII ⏤ su richiesta dello stesso Roano ⏤ li vincolava alla cappella. Ci siamo occupati di questo tema nel precedente numero di

Theriaké. Cfr. Luzio I., La Cappella Roano. Uno scrigno nello scrigno. Theriaké [online]: ISSN 2724-0509, Anno V n. 37, Gennaio – Febbraio 2022, pp. 14-18. 3. Datato tra il 260 e il 270 d.C., presenta la stessa struttura e decorazione analoga, anche se qui i leoni non azzannano un onagro, ma un ariete. 4. Intorre S., La grandeur & la beauté - Le Arti Decorative siciliane nei diari dei viaggiatori francesi tra XVII e XIX secolo. Palermo University Press, 2021; pp. 26-27. 5. Caravaggio, 1599-1610. A sua volta, costituisce una citazione michelangiolesca della mano di Adamo, dalla Creazione di Adamo, sulla volta della Sistina (1508 - 1512). 6. Cfr. Travagliato G., La Madonna Odigitria di Monreale. In

Lomonte C., Nuove chiese. Fuochi fatui nella notte fonda.

Theriaké [online]: ISSN 2724-0509, Anno II n. 19, Luglio 2019, p. 33. 7. La scelta iconograNica, in pieno clima controriformistico, ravvisa il messaggio di sottomissione dei Magi al Bambino, che rappresenta il riconoscimento da parte dei popoli della divinità e regalità di Cristo.

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