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La scoperta della vitamina D

Giusi Sanci*

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Per vitamina D si intende un gruppo di pro-ormoni liposolubili costituito da 5 diverse vitamine: D1, D2, D3, D4 e D5. Sono una serie di molecole chimicamente simili, l'80% delle quali viene prodotto partendo dalla pelle usando come precursore un derivato del colesterolo, che per effetto della luce viene convertito in colecalciferolo, mentre il 20% viene introdotto con l'alimentazione. La vitamina D contenuta negli alimenti viene assorbita insieme ai grassi alimentari e grazie ai sali biliari dagli enterociti del lume intestinale. Le 2 forme principali di vitamina D sono il colecalciferolo (vit. D3), che deriva dal colesterolo ed è sintetizzato dagli organismi animali e l’ergocalciferolo (vit. D2), che deriva dall'ergosterolo ed è presente nei vegetali. Le due forme hanno circa la stessa attività nell'uomo e sono tradizionalmente considerate equivalenti in base alla loro capacità di curare il rachitismo, per cui normalmente si usa il termine vitamina D per indicare ambedue le forme. Sicuramente è riconosciuta alla vitamina D una funzione nella patologia del rachitismo, nell’osteoporosi delle persone anziane e nella sarcopenia. Infatti la vitamina D stimola l’assorbimento a livello intestinale di calcio e fosforo, rendendoli disponibili per una corretta mineralizzazione ossea. La vitamina D esercita la sua attività endocrina per mantenere l’omeostasi del calcio su almeno tre organi, il rene, l’intestino tenue e l’osso, attraverso l’azione della sua forma attiva plasmatica (1,25-diidrossivitamina D o calcitriolo) e del recettore della vitamina D (vitamin D receptor, VDR).

La vitamina D deriva in gran parte dall’esposizione al sole della cute, a livello della quale le radiazioni UVB convertono il 7-deidrocolesterolo a pre-vitamina D3, che alla temperatura corporea isomerizza a vitamina

D3 (o colecalciferolo). Nel plasma la vitamina D e ciascuno dei suoi metaboliti sono prevalentemente legati alla “proteina di legame della vitamina D” (vitamin D binding protein). La principale funzione Xisiologica della vitamina D è quella di facilitare l’assorbimento intestinale del calcio.

Si ritiene che l’uomo sia stato a conoscenza Xin dall’antichità della molecola che oggi conosciamo come vitamina D.

La storia della vitamina D inizia addirittura a metà del 1600, quando per la prima volta fu menzionato il rachitismo. La prima descrizione scientiXica di un deXicit di vitamina D, cioè di rachitismo, è stata fornita nel XVII secolo sia dal dottor Daniel Whistler (1645), sia dal professor Francis Glisson (1650). Il rachitismo (alterata mineralizzazione ossea, con modiXiche della costituzione dell'osso in accrescimento e conseguenti alterazioni della funzionalità) è frequente nel XVII secolo, anche se i primi casi furono documentati dai medici nel XVIII secolo, allorché la rivoluzione industriale determinò lo spostamento di molta gente dalle campagne alle città, per inseguire il miraggio del lavoro in fabbrica. A causa di ciò il rachitismo in Europa divenne endemico. Fu solo nel 1822 che un medico polacco notò che bambini che vivevano a Varsavia erano più soggetti a rachitismo rispetto a quelli che vivevano nelle campagne. Venne lanciato l’allarme e si cominciò a cercare la cura. I dati attuali dimostrano che la carenza di vitamina D contribuisce all’eziologia di almeno due malattie metaboliche dell’osso, l’osteomalacia e l’osteoporosi. L’osteomalacia, o rachitismo nei bambini, deriva da un’alterazione della mineralizzazione e può essere risolta con la normalizzazione dell’omeostasi del calcio e del fosfato plasmatico. La vitamina D agisce appunto attraverso la sua attività di regolazione dell’omeostasi del calcio e del fosfato plasmatico, proteggendo l’organismo dallo sviluppo dell’osteomalacia. Nel 1890 viene ipotizzato che il rachitismo nei bambini sia correlato ad una insufXiciente esposizione ai raggi solari, dato che era presente maggiormente nei Paesi del Nord Europa, a causa della lunga durata dell'inverno. Nel 1906 si ipotizzò anche che la malattia fosse causata da una alimentazione non corretta, ovvero carenziale. Ambedue le ipotesi (1919) si rivelarono corrette, infatti l'aggiunta alla dieta di olio di fegato di merluzzo, che contiene vitamina D, e

*Farmacista

Figura 1. Preparato in polvere contenente olio di fegato di merluzzo.

l'esposizione alla luce solare sono infatti in grado di prevenire o di curare il rachitismo. Tra il 1920 ed il 1930 il rachitismo aveva raggiunto proporzioni endemiche nel Nordamerica e nel Nord Europa. La vitamina D venne scoperta nel 1919 da Kurt Huldschinsky (pediatra tedesco), il quale notò che i bambini affetti da rachitismo miglioravano le loro condizioni se esposti al sole; e nel 1922 A.F. Hess e H.B. Gutman attribuirono questo miglioramento ad un composto liposolubile essenziale per il metabolismo delle ossa, studiando l'azione antirachitica dell'olio di fegato di pesce. Alcuni scienziati seguirono e sostennero il legame tra luce solare e rachitismo, mentre alcuni ricercatori concentrarono la loro attenzione sull’alimentazione, utilizzando l'olio di fegato di merluzzo per trattare i cani. L’olio di fegato di merluzzo è usato dall’uomo sin dall’antichità, poiché in esso è contenuto uno speciale principio attivo capace di guarire il rachitismo. Questa circostanza ha stimolato gli scienziati moderni a ricercare e separare questo principio attivo, e far sı̀ che tale prodotto non venisse mai a mancare. A tale scopo i primi studi risalgono alla Prima Guerra Mondiale; e d’altra parte nell’anno 1919 Huldschinsky e collaboratori dimostrarono che l’azione dei raggi solari (ultravioletti) ha un favorevole effetto sul rachitismo infantile. Dato che le radiazioni ultraviolette di una certa lunghezza d’onda (intorno a 3000 Aj) agivano favorevolmente verso il rachitismo, Hess, Steenbock ed altri ricercatori vollero constatare se si poteva sostituire all’irradiazione diretta sui malati l’irradiazione dei loro alimenti. Dopo varie prove, alcune delle quali riuscite con esito favorevole, furono indotti ad ammettere che tanto nella pelle come in alcuni alimenti si trovi una sostanza (provitamina) che, sotto l’azione dei raggi ultravioletti, si trasforma in sostanza antirachitica. Queste prove dimostrarono che alcune sostanze contenenti dei lipidi, normalmente sprovvisti di attività antirachitica, diventano attive quando vengono sottoposte all’azione della luce ultravioletta. Ricerche più precise permisero di dimostrare che la parte insaponiXicabile di questi lipidi era la sola attivata dalle radiazioni ultraviolette. Cosı̀ che il frazionamento dell’insaponiXicabile dava da una parte le sostanze chiamate sterine, e costituenti la quasi totalità della frazione, e dall’altra una piccola parte di sostanza esente da sterine e costituita da prodotti di natura assai complessa. L’esperienza ha dimostrato che solo la parte contenente sterine acquista proprietà antirachitiche sotto l’azione dei raggi ultravioletti. Fu cosı̀ dimostrato che la colesterina tecnica (contenente cioè impurezze), sostanza non avente alcuna azione antirachitica, diventava attiva (circa 100 volte più dell’olio di fegato di merluzzo) dopo essere stata sottoposta all’azione della luce ultravioletta. Fu solo nel 1927 che quasi contemporaneamente Rosenheim e Webster, Windaus ed Hess, sottoponendo l’ergosterina alle radiazioni ultraviolette, ottennero un prodotto ad azione molto attiva verso il rachitismo che fu poi profondamente studiato, tanto dal lato biologico quanto dal lato chimico. Intanto tra il 1929 e il 1931 Reerink e van Wijk riuscirono ad isolare per la prima volta allo stato cristallino un prodotto ottenuto per irradiazione ultravioletta dell'ergosterina, da qui seguirono altri lavori Xino a che nel 1936-1937 si riuscı̀ prima a separare e a individuare la vitamina D quale fattore antirachitico, e dopo ad ottenere una nuova vitamina D ad alto potere antirachitico, per distillazione molecolare dell'olio di fegato di merluzzo. Un importante passo avanti nella comprensione dei fattori causali del rachitismo è stato lo sviluppo, nel periodo 1910-30, della nutrizione come scienza sperimentale, e la scoperta dell’esistenza delle vitamine. Considerando il fatto che attualmente si ammette che la forma biologicamente attiva della vitamina D, cioè l’1,25-diidrossicolecalciferolo (1,25-diidrossivitamina D3 o calcitriolo), sia un ormone steroideo, è piuttosto buffo che la vitami-

a)

Figura 2. a) colecalciferolo, b) calcitriolo.

na D, attraverso un incidente storico, sia stata classiXicata appunto come vitamina. Fu nel 1919-20 che Sir Edward Mellanby, lavorando con cani allevati esclusivamente in interni (in assenza di luce solare o ultravioletta), mise a punto una dieta che gli permise di stabilire inequivocabilmente che il rachitismo era causato da un deXicit di una componente presente in tracce nella dieta e inoltre stabilı̀ che l’olio di fegato di merluzzo era un ottimo prodotto antirachitico. Poco dopo E.V. McCollum e colleghi osservarono che facendo gorgogliare ossigeno attraverso una preparazione della “vitamina liposolubile” erano in grado di distinguere tra la vitamina A (che era inattivata) e la vitamina D (che manteneva l’attività). Nel 1923 Goldblatt e Soames trovarono che quando un precursore della vitamina D a livello della pelle (7-deidrocolesterolo) veniva irradiato con luce solare o luce ultravioletta, veniva prodotta una sostanza equivalente alla vitamina liposolubile. Hess e Weinstock confermarono il detto che “la luce è uguale a vitamina D”. Essi escissero una piccola porzione di pelle di ratto, irradiata con luce ultravioletta, e poi alimentarono con essa un gruppo di ratti affetti da rachitismo. La pelle che era stata irradiata fornı̀ una protezione assoluta contro il rachitismo, mentre la pelle non irradiata non fornı̀ alcuna protezione. Chiaramente, questi animali erano stati in grado di produrre attraverso l’irradiazione UV adeguate quantità di “vitamina liposolubile”, suggerendo che essa non era un componente essenziale della dieta. In studi paralleli, Steenbock e Black, presso il Dipartimento di Biochimica dell’Università del Wisconsin, scoprirono che il cibo per topi che era stato irradiato con luce ultravioletta aveva anche acquisito proprietà antirachitiche. Tuttavia a causa del rapido avanzamento della scienza della nutrizione ⏤ e la scoperta delle famiglie di vitamine idrosolubili e liposolubili ⏤ fu rapidamente stabilito che il fattore antirachitico doveva essere classiXicato come una vitamina. La struttura chimica delle varie forme di vitamina D fu determinata nel 1930 nel laboratorio del professor Adolf Otto Reinhold Windaus presso l’Università di Göttingen in Germania. Il professor Windaus ricevette il Premio Nobel per la Chimica nel 1928 per il suo lavoro sugli steroli e la loro relazione con le vitamine. La vitamina D2, che fu prodotta mediante irradiazione ultravioletta dell’ergosterolo, fu caratterizzata chimicamente nel 1932. La vitamina D3 non fu caratterizzata chimicamente Xino al 1936, quando fu dimostrato che derivava dall’irradiazione ultravioletta del 7-deidrocolesterolo. Praticamente in quegli stessi anni la componente antirachitica dell’olio di fegato di merluzzo si dimostrò essere identica alla vitamina D3 appena caratterizzata. Questi risultati stabilirono chiaramente che la sostanza antirachitica denominata vitamina D era chimicamente uno steroide. Avere adeguati livelli di vitamina D è indispensabile per il mantenimento di appropriati livelli di calcio e fosfato nei liquidi extracellulari, condizione necessaria per garantire un buon livello di mineralizzazione ossea. Questo spiega perché la carenza di vitamina D produce a livello osseo gravi conseguenze cliniche, che si traducono in una riduzione della massa ossea (sia per un secondario aumento del turnover osseo, sia per la deXicitaria mineralizzazione della componente osteoide) e in un aumento del rischio di fratture, in particolare di femore Le carenze nutrizionali sono di solito il risultato di una inadeguatezza alimentare, un diminuito assorbimento e/o un aumento del fabbisogno o dell’escrezione. Una carenza di vitamina D può veriXicarsi quando l’assunzione dietetica abituale è scarsa, l’esposizione alla luce solare è limitata, i reni non possono convertire la 25-idrossivitamina D nella sua forma attiva o l’assorbimento della vitamina D da parte del tratto digestivo è insufXiciente. Er riccamente presente nel latte e derivati, nei pesci grassi, nell'olio di fegato di merluzzo, nel tuorlo, nelle frattaglie. Diete carenti di vitamina D sono associate ad allergia al latte, intolleranza al lattosio, vegetarianismo e veganismo. Alcuni gruppi di popolazione adulta sono particolarmente a rischio di un inadeguato apporto di vitamina D. Va tenuto presente che alle nostre latitudini circa l’80% del fabbisogno di vitamina D è garantito dall’irradiazione solare e il restante 20% vie-

b)

ne assicurato dall’alimentazione. La stagione, l’ora del giorno, la copertura nuvolosa, la presenza di smog, il contenuto di melanina della pelle e l’uso di creme solari sono tra i fattori che inXluenzano l’esposizione alle radiazioni UV e la sintesi della vitamina D. Una copertura nuvolosa completa riduce l’energia UV del 50%; l’ombra (compresa quella prodotta da un grave inquinamento) la riduce del 60%. I raggi UVB non penetrano il vetro, per cui l’esposizione al sole attraverso una Xinestra non determina la produzione di vitamina D. Le creme solari con fattore di protezione solare (SPF) di 8 o più sembrano bloccare i raggi UV che producono vitamina D. I fattori che inXluenzano l’esposizione alle radiazioni UV e le ricerche condotte Xinora sulla quantità di esposizione al sole necessaria per mantenere adeguati livelli di vitamina D rendono difXicile fornire linee guida generali. Er stato suggerito da alcuni ricercatori, ad esempio, che circa 15-30 minuti di esposizione al sole tra le ore 10 e le ore 15 almeno due volte alla settimana a livello del viso, delle braccia, delle gambe o della schiena senza protezione solare di solito portano a una sufXiciente sintesi di vitamina D e che l’uso moderato di lettini abbronzanti che emettono il 2-6% di radiazioni UVB è altrettanto efXicace. Gli anziani sono a maggior rischio di sviluppare insufXicienza di vitamina D, sia perché con l’invecchiamento la pelle non può sintetizzare la vitamina D in modo efXiciente (a parità di esposizione solare il soggetto anziano ne produce circa il 30% in meno), sia perché tendono a passare più tempo in casa, sia perché possono avere un insufXiciente apporto dietetico di vitamina D. Si calcola, ad esempio, che negli Stati Uniti circa la metà degli anziani con fratture dell’anca possa avere livelli sierici di 25-idrossivitamina D < 30 nmol/l. Individui costretti a casa, donne che indossino lunghe vesti e copricapi per motivi religiosi e persone con occupazioni che limitino l’esposizione al sole è improbabile che ottengano un adeguato apporto di vitamina D dalla luce solare. Poiché, come si è detto, la conversione del 7-deidrocolesterolo avviene a seguito dell’esposizione della cute a raggi ultravioletti UVB di speciXica lunghezza d’onda, e la luce solare è caratterizzata dalla presenza di queste radiazioni solo per un numero limitato di ore, che peraltro varia in relazione alla stagione e alla latitudine, si ritiene ad esempio che in Italia la produzione di vitamina D legata all’esposizione solare sia trascurabile nei mesi invernali. Dal momento che la vitamina D è una vitamina liposolubile, il suo assorbimento dipende dalla capacità dell’intestino di assorbire i grassi alimentari. Gli individui che hanno una ridotta capacità intestinale di assorbire i grassi potrebbero richiedere una supplementazione maggiore di vitamina D. Il malassorbimento dei grassi è associato a una serie di condizioni mediche, tra cui alcune forme di epatopatie, la Xibrosi cistica, la malattia celiaca e la malattia di Crohn, cosı̀ come la colite ulcerosa, quando vi sia interessamento dell’ileo terminale. Inoltre, le persone con alcune di queste condizioni potrebbero avere introiti più bassi di alcuni alimenti, come i prodotti lattiero-caseari ricchi di vitamina D. Un indice di massa corporea ≥ 30 è associato a livelli sierici di 25-idrossivitamina D inferiori rispetto ai soggetti non obesi; le persone obese possono avere bisogno di un maggior apporto di vitamina D per ottenere livelli di 25-idrossivitamina D paragonabili a quelle di peso normale. L’obesità non inXluisce sulla capacità della pelle di sintetizzare la vitamina D, ma una maggiore quantità di grasso sottocutaneo sequestra la maggior parte della vitamina e modiXica il suo rilascio in circolo. Nei paesi industrializzati, il rachitismo che era scomparso per una migliore alimentazione e per l'abituale frequente esposizione al sole è oggi una patologia riemergente e interessa in modo particolare i Xigli di immigrati.

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