Antologia poeti 2011

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In linea con la Poesia Antologia poetica

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CLEMENS AMBONI Clemens Amboni nasce a Bergamo il 2 ottobre 1974. Dopo il diploma di maturità classica si laurea in Scienze dell’educazione; al momento si sta specializzando per diventare ricercatore nell’area educativa. È impiegato come operatore presso un istituto di ricerca ed educazione per ragazzi autistici. Inoltre svolge attività di psicomotricità presso le scuole materne. C’era nei vostri occhi d’adulti il fresco miracolo della sorpresa, quando Aprile svegliava di sussurri i primi germogli e d’improvviso vi salutai di lacrime e grida. Presto ho avuto un abbraccio caldo e un petto di madre dove smorzare la paura, e amore e latte e gioia. Ancora di voi che mi amate null’altro vedo che fiammelle danzanti che mi abbracciano di sguardi.

La prima notte della fine del mondo odore di zolfo e di catrame la luna ha preso due nuvole e ci si è coperta gli occhi mentre i cani ridono di gusto con tutti i denti fuori dalla bocca. alla stazione i barboni hanno messo una stella in gabbia per scaldarsi le mani. i puri d’animo hanno preparato una valigia di vesti bianche

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Io sono sangue rosso fertile folle balbettio di fiotti dimentico di corpi plastica imballaggi etichettati, rivolo libero di mesciarsi alla polvere raggrumarsi nella terra e morire. sangue secco opportunitĂ speranza promessa di salvezza che stilla dalla croce.

Era d’aprile che ti parlai e tu mi vedesti. l’aria tiepida ti portava i miei messaggi. Vestivo male ed ora me ne vergogno. Avevo proposte da copione ti lamentavi ma stavi al gioco, ci regalavamo caramelle con la bocca ed era il nostro modo di baciarci.

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SILVIA AMBROSETTI Silvia Ambrosetti scrive fin da bambina, e da qualche anno la appassiona la poesia. Ha partecipato a vari concorsi, arrivando anche in finale, e a due “Carovane dei versi”, concorso di poesia itinerante. Ama la natura e gli animali, e pratica equitazione. Ha fatto studi classici, ma svolge un lavoro d'ufficio. Respiro

Per fiumi di sangue si snoda

Esci bambino dalla pancia [imprudente vaga per i miei sensi senza respiro [demone sospiro lo spettro trovai calamità naturale, [indenne prodotto della società così il potere fu un inganno dalla [tremenda musica. Padrone che non reggi il regno [moderato e sciolto delle tue battute di caccia inconsolato consumi il tesoro togliere i sudditi e essere adatto [alle mogli.

Per fiumi di sangue si snoda il caro sentimento [incalza in terre bruciate. Percorre ritmi e algoritmi della mente nota e sconosciuta. Per terre assolate e desolate. Nasconde il volto la madonna cerca l’intimità prossima. Il velo dipinto sulla strada. Nasci ancora Bambino. Graffi e sprechi sul corpo d’immenso illuminato

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Tremare, sul tuo corpo

A Daniela

Trema falso, il labbro chiuso [dall’orrore trova l'inganno del sesso a favore scivola beato e mansueto sul [corpo alla vita mai abituato come il tempo usa corporee [concavità umane e puerili abitudini. Per necessità ho cercato il dolore che mi fu negato masturbato [degenerato agli occhi dei giocatori del tavolo [verde l’amore non vidi più. Come fa il sesso a volare, [cupidigia umana mani incrociate fra carcami tra [letti appresi? Gocce d’olio contenute nella [bellezza degli occhi tuoi insorti all’avanguardia.

Non sento L’urlo Che Cade Nell’incanto delle meraviglie Trovo La bimba dorata che s’adopera per trovar la magia l’urlo mi invade la meraviglia cade sulle tue gambe dorate. Nel grazioso inceder della bimba [dorata Trovo Nel grazioso inceder della bimba [adorata.

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MARIA AMBROSIO Maria Ambrosio è nata nel 1964, è una psicopedagogista di professione e scrittrice per vocazione. Afferma di amare la parola scritta più di quella parlata, “il grafismo materico, l’inchiostro sulle mani, l’odore della carta, il tratto che scorre, i pensieri che fluiscono: il piacere del testo è quando il mio corpo va dietro alle sue idee e la mia mano si presta a farsi usare…”. E generosa e degna sopra il monte Sfoglierai il libro della tua vita E cederai a chi vuole usarle le [catene: e cadrà il paiolo… E tu, col libeccio nei capelli, a palme aperte e controvento ti [solleverai ed il corpo più prigioniero nell’infinito stenderà il respiro e [volerà: come un gabbiano volerai. E volerai nell’aria a mezzo d’ali, fatte dell’aria che respirerai: pura, [limpida, leggera… Ed alta, rapida, serena ti librerai Di fior in fiore e negli spazi [portata dal vento Come le piume che cadranno in [volo, E le secche foglie dell’autunno morente. E poi ti espanderai diffondendoti [nell’aria, Come il soave odore della drupa Che ti guarda dal susino in fiore E ti saluta, gabbiano, nel tuo [volo…

Cosmogonia Devota alla Terra ed al Cielo andava col cereo profilo la Luna il ventre pieno d’orci di stelle e ampolle di soffi siderali, tra le braccia l’angoscia per [l’errore custode dell’ordine celeste e del mistero ed il respiro, vento. – Gliese, dove sei, Gliese? – sussurrò porgendo le offerte incruente e le preghiere e i pianti al Sole…

Il gabbiano e la drupa Scontata la pena tornerai libera Senza recinti né spazi Che tengano le giare dei sussulti Conservate negli anni dell’onore [tuo ferito… Libera, sì, dai vincoli

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passerà costeggiando campi di [grano che in lontananza piegano le spighe. Ora guardo l’uomo che batte la [pietra per foggiare bianche colonne come mani tese a reggere la volta [delle Torri del Silenzio: non sporcate la terra ed esponete i [morti! Offriteli alla memoria che li [possiede, al tempo che li serba nei luoghi [sacri dei ricordi che sublimano le dolci note e [quelle amare e sfumano in bianchi vapori [l’antica, imperitura dignità di lei che beve l’eleomèle dai [tronchi della Siria.

Le torri del silenzio Non so se cominciò sulle nubi, nei [corpi bianchi e soffici sospesi nel cosmo tra gli spazi [interstellari O giù, al centro del giro della [bruna danseuse, ma il sole scivolava sul lato [sinistro del monte e mesceva i suoi colori alle palme [svettanti, e vampate d’odori salivano sulla pelle scottata dai [raggi che doravano il mondo, ed ombre di larici diradavano la [prepotente luce dell’estate… Accadde. Dall’alto guarderai i meschini [camminare col peso del tempo sulla schiena e libererai l’aquilone rimasto per [secoli con la sua stoffa bianca intatta tra i rami ed il vento – Oh! – il vento [soffierà l’alito caldo e innamorato sull’erba, sull’acqua e sulle pietre, [sospingendo l’acqua che si allontana dimentica del [tempo e corre, corre fatalmente alla [morte, felice della morte. Padrona del silenzio totale dove i [pensieri gridano forte ed i gabbiani volano alti sulla [schiuma che macchia e fascia il mare

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VINCENZA AMENTA (Vittoria – RG, 29 settembre 1956). Diplomata all’Istituto magistrale, ha il diploma in Servizio sociale. Svolge l’attività di ragioniere contabile in una Società cooperativa agricola che opera nel settore floricolo. Scrive in vernacolo e in lingua. Classificata in diversi concorsi nazionali e internazionali, con diverse segnalazioni di merito. Una ferita

Tracce

Un cuore ferito, bimbo mio, [guarirà. Un cuore ferito, angelo mio, [dimenticherà. Scivoleranno tutte le delusioni sulle acque chiare dell’oblio. Sorgerà per lui un nuovo sole sui cui raggi appenderai una risata cristallina. Un cuore ferito, amore mio… potrà sempre perdonare.

Tracce di noi lasciate su un letto dalle lenzuola inesistenti. Tracce di noi occultate in fretta, da un panno inumidito. Tracce di noi che si eclissano, inseguite da latrati di cani infastiditi dalla nostra presenza. Tracce di noi che si aggiungono a tante altre ormai incrostate fin dentro le viscere. Noi stessi siamo complicate tracce d’amore impossibili da eliminare dalla pelle sudata. Disperate tracce di noi che ci seguono ovunque fin dentro i sogni e gli incubi che affollano le notti. Splendide tracce di noi che intersecano i pensieri del [giorno come lampi in una notte stellata. Stupende e meravigliose tracce di noi

Un anima ferita invece, bimbo [mio, non guarirà mai. Un anima ferita, angelo mio, avrà ricordi sanguinolenti. Asciugherai ogni sua lacrima con un piccolo lembo di cuore e ad ogni goccia di vermiglio [dolore sentirai urlare l’intero tuo essere, impotente dinnanzi alla strage di ogni tuo piccolo o grande [sogno. Un anima ferita, amore mio… …avrà perso… anche… …il coraggio del perdono! 11


Ma Via Dei Mille… sorrisi… mi conquistò con la tenerezza. Il caporale non partiva più. La guerra dei poveri lo assoldò! Ma una medaglia non l’ebbe mai, solo la sposa ne riconobbe i meriti nel tempo che venne: Medaglia alla volontà Medaglia all’amore Medaglia alla vita. Tre figli gli appese sul petto! Via Dei Mille è ancora lì. I muri ancora fracidi di povertà. Solo le noccioline rotolano nelle [camere scandendo il tempo passato… in una piccola crepa del pavimento!

si rispecchiano negli occhi, mentre l’ultimo… ciao… della [sera abbraccia le nostre mani che si sfiorano nel buio complice di un qualsiasi vicolo deserto.

Via Dei Mille, 191 Via Dei Mille… ricordi! A giocare con i muri fracidi di povertà ristagnata nel cuore. Dove le noccioline scandivano il [tempo rotolando nella fossa dell’orto. E in cucina le pentole vuote appese sopra i mobili, due camere con la sola luce della speranza… rattoppata. Qualche vicino spiaciuto bussava offrendo sorrisi appassiti. Via Dei Mille… giorni! Vide mia madre sposa di guerra. Attese il ritorno del caporale e lo vide ripartire. Via Dei Mille… morti… Diede l’addio alla nonna in un comune letto del [dopoguerra. Ed era ancora lontana la vita. Via Dei Mille… dolori… Accolse anche me: riluttante per quel respiro imposto dalla scommessa di uomini eruditi nell’ignoranza! 12


MARCO ANGELONI Marco Angeloni è nato a Todi (PG) nel 1969 e lavora come artigiano nella sua città natale. Nonostante abbia lasciato gli studi dopo la licenza media inferiore per dedicarsi al suo mestiere, ha da sempre assecondato la sua passione per la poesia, scrivendo lui stesso alcune composizioni. Preparo il corpo… al suono del [lievito. Le mani sulla farina e sul cuore. Mescolo segni nel battito. Insegnami coi gesti… a non [temere la fame. Insegnami il dono. Una varietà di canti la fiamma. Le mani… l’acqua il forno… le mani la bocca.

Sento note… sparse nel sangue prima di unirsi al filo. Geometrie invisibili i suoni. Fogli… bianchi come lenzuola assorbono suono… sapore e [segno. Ho del carboncino sui polpastrelli. Cambio immagini alle cose che tocco. Ora è te… che io tocco.

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Sapete ancora così poco… di noi [corpi. Mentre parlate quasi fosse una cosa qualsiasi la voce forma immagini. Diapositive sensoriali… al nostro [interno. Varietà di gocce la superficie. Noi sappiamo di essere liquidi di ciò che produce… il suono di [ogni lettera. Se vuoi puoi sfogliarmi e credere puoi toccarmi e leggere che non sono muto.

L’economia… nulla sa del cuore. Ho un’altra vita in me… ma non [fa audience. Quotidiano dolore di notizie e di [politica. Non le distinguo mai e premo il [rosso. La mia mano… il mio pensiero un posto per un libro e per la [bellezza. Voglio un posto lontano o qui… ma più in alto da ciò che la sfigura. C’è una poesia che ascolta. Sono suono della sua conchiglia.

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SILVIA ANTON «Rivelarvi me in così poche righe è utopistico, ma se bramate conoscermi veramente, sfogliate tra le mie righe e scoprirete molto di più di ciò che io stessa potrei dirvi. Il mio nome, datemelo voi, per sempre resterò una piccola Penelope che tesse trame di lemmi per vestire voi e denudare me stessa.» La mia estate Per 40 stagioni lucenti Ho sperato Che l’ammaliante Bagliore del sole Avrebbe scaldato il mio cuore, E non saggiare l’afflizione Di quest’Agosto Che avanza nubi torve Velandomi d’oblio. Le tue parole Il mio tormento La tua vanità L’epilogo del nostro amore.

Sacrilegio I miei sogni, dolori e sacrifici Combatto contro le chimere Avverso le utopie Subisco le mie cadute Per risollevarmi Più forte di prima Persino che ferita e cacciata Non scappo davanti a nulla Resto ancorata ai miei valori Anche quando costoro Non sono apprezzati Le mie ferite Le tramuto in forza, Le mie lacrime in gioie Da elargire ai miei avversari E tesso per loro Un percorso di soffici piume Per alleggerire il loro cammino E invogliarli a colpirmi più forte Venite dico a loro E contro voi stessi Che state inveendo Stolti vivete il vostro presente Pensando di erigervi un futuro Pugnalando me, colpite voi stessi.

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Se‌

Attimo fuggente

Se mi amassi Un sol frammento Di come io amo te Non oseresti confini Non riempiresti La tua anima di superbia Non getteresti le ancore Di questo veliero alla deriva BensĂŹ con fermezza Afferreresti il timone Plasmando un ponte Tra le spietate onde Che divorano le nostre vite. I miei occhi, Come faro nella tempesta Hai smesso di osservare Capitolando dinanzi al veliero Che la vita ti ha sollevato E impassibile lo lasci affondare.

Con occhi che rapisci E sguardo ammagliante, M’inebri la ragione E sconvolgi il mio credo. Nulla sembra toccarti, Nulla ti scalfisce. Alcuna emozione lasci penetrare, Nessuna trasparire. Io, rannicchiata Dal mio piccolo angolo, Ti guardo attonita E lascio che tu faccia di me La tua schiava. Sulle mie labbra Si spengono gli ardori, E piano chiudo gli occhi Immaginandomi regina, Toccandomi il capo, Le mani si feriscono In tante di quelle spine Con cui mi hai incoronato.

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GIOVANNA ANZIANO Giovanna Anziano è nata a Galluccio nell’alto Casertano e vive a Caserta, è una docente di italiano e latino nel Liceo, laureata in Lettere Classiche. Ha collaborato con l’editore Guida, pubblicando articoli sulla sua rivista culturale e letteraria e presentando da lungo tempo autori di fama nazionale; vincitrice del Concorso di Poesia “Dorsale”. Un amico

S. Lorenzo

In una notte di pioggia… Il profumo dell’erba silente In un nero inverno… Un soffio di aria leggera… Che accarezza le tenere foglie… Nel sole accecante… La fresca rugiada… Che riapre alla vita…

S. Lorenzo… Un fiume di stelle cadenti… Desideri sospesi nell’aria… Sguardi fugaci… furtivi… [lontani… Nel vuoto… a cercar bagliori… Nel buio silente… Tra ombre… ricordi… profumi… Un’Estate di attese… speranze… [illusioni La fragile condizione dell’essere uomini…

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Un momento di luce

Un incontro

Il destarsi all’improvviso… Un guardarsi intorno… Alla luce della pallida luna… Un tramestìo di stelle… Un suono lontano… Una nenia… sull’onda dei [ricordi… Un fiume di silenzi… Emozioni inespresse… Parole non dette… Uno scorrere vorticoso… Un inabissarsi nelle cavità [dell’anima… Scoprirne i meandri… E… riemergendo… Ritrovar se stessi.

Un improvviso desiderio… Un bisogno di credere… Un voler condividere… Un lasciar parole… che la corrente trascini… vorticosa… coprendole… Un tacere inspiegabile… Un indomito silenzio… Un buio inquietante: la Notte avanza silente… Frantumando… trascinando… Disperdendo nel vento… Inspiegabili cocci: reliquie di un’anima… che muore…

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LUCREZIA APICELLA Lucrezia Apicella è una docente di italiano e latino in pensione. Ha pubblicato poesie su vari testi e ha partecipato a numerosi concorsi, con premi e segnalazioni; ha pubblicato due raccolte di poesie: “La palude” (Albatros editrice di Roma) e “La lunga strada” (Gabrieli editore di Roma). Temporale estivo

Sara e Franco

Il monotono ticchettio della pioggia mi risveglia dolcemente. Le gocce imperlano i vetri della finestra formando strani ghirigori. Rivoli di acqua scorrono sulle strade impetuosamente.

Il sorriso aperto, le parole ancora incerte, gli abbracci spontanei, le bizze di tanto in tanto, le continue e nuove scoperte di Sara e Franco: gocce di gioia nella mia grigia età.

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La foresta Umbra

Ritorno a San Menaio

Fin dall’antichità poeti e scrittori hanno celebrato gli alberi maestosi le fresche sorgenti i daini fulvi la posizione fortunata della foresta Umbra. In estate una densa ombra, in autunno uno spettacolo fiabesco di ori rossi verdi gialli, in inverno arabeschi di neve sugli alberi, in primavera una natura sfolgorante di vita e colori essa offre.

Ritorno a San Menaio luogo caro della mia giovinezza. Affondo con voluttà nella sabbia i piedi. M’immergo nell’acqua limpida e guardo con malinconia le murge nere fiere e tenaci complici dei miei sogni di adolescente.

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SIMONA ARIEMMA È nata a Roma dove vive e opera e svolge la propria attività professionale di legale d’azienda. Presente in molte antologie con le sue liriche, ha conseguito numerosi e importanti riconoscimenti letterari nazionali ed internazionali, tra cui si segnala la pubblicazione della silloge di poesie “Dopo la notte… l’alba”, primo premio al concorso letterario “Poeta dell’anno”. Il padre. Il figlio.

Cantico

Il figlio è bello. Il figlio ha gli occhi dei sogni. Il padre ha negli occhi la notte e la chiarità del mattino. Il figlio ha spalle larghe. Il padre ha ambrata la pelle e sulle spalle burrasche e gioia. Il figlio ha gambe lunghe. Il padre ha percorso la vita e le sue caviglie sottili sono magnolie d’oriente. Il figlio ha piedi ben disegnati. Il padre ha piedi scolpiti nella rena. Il figlio ha un bel cuore. Il padre ha un cuore assolato e un’anima intatta. Il padre ha un cuore guerriero. Il padre ha un cuore che sa intuire, capire, proteggere…

Non voglio essere per te sopracciglia aggrottate, silenzi siderali, soffi gelidi ad inquisirti. Voglio esserti sollievo attento, rifugio, giaciglio, attimo atteso, voluto, desideri assolati. Voglio esserti. Appartenerti. Nella semplicità di un sorriso sono i miei passi… se tu mi vuoi…

Mio figlio… Il padre è l’uomo che amo…

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Consapevolezza

Attesa

Stanze vuote, e i miei passi fucilate su mattonelle grigie.

Stanze vuote:

Respiro memorie come fumando oppio: nelle spire azzurrine ti ricreo nell’attimo assolato in cui ami appartenermi, ti incido nel mio ventre con orme di granito e distesa ti attendo sulla rena

si accumulano polvere e ricordi

del prossimo giorno…

Stanze vuote come orbite vuote di un ossuto finire.

mentre l’addetto finalmente pulisce i vetri…

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GUGLIELMO BAGELLA (Alghero, 6 settembre 1987), ha esordito nel 2000 con il primo testo “L’Angolo”, all’età di tredici anni, motivato da un senso di inadeguatezza dovuto a un’infantile obesità. Si innamora del movimento dello Sturm und Drang e. tra il 2005 e il 2006, compone il concept musicale “La Morte Dell’Universo”. Ha partecipato all’antologia letteraria Alchimie Poetiche (Pagine, 2008). Triste Vita

Dell’Amore Corrisposto

Triste vita che scorri, paure e ansie che dall’ozio prima o poi scuotono se non con un evento con una parola e in un momento tutto perde significato, e quello da te santificato, l’immenso universo di passioni, o il sistema tuo di convinzioni crollando ferisce, annichilisce e lasciandoti solo avvilisce.

Ascoltatemi per un poco se volete anche per gioco, magari con questo adattamento questo argomento men noioso per voi sarà: dell’amore corrisposto parlerò Verso il quale con invidia Il dito vien attratto. con un bacio inizia la giornata, e con un bacio va via la nottata così s’avvicendan dolci le [giornate; le discussioni da focolare ne scandiscono il tempo. piccole lamentele, fatte di circospetta attenzione. Perché esposto al perdono è il cuor per chi s’ama.

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L’angolo

Una Poesia

Stanco e spossato Resto lì a rimuginare sul senso della mia vita.

Ricopiami Non lasciarmi a giacere Su un gelido schermo O chiusa in un libro Dammi vita col tuo Inchiostro Leggimi e rileggimi, Non a voce alta, Da solo, a luce soffusa Aprimi il tuo pensiero Chiamando a conversare I tuoi ricordi. Solo quando sarò parte Di te mi capirai.

Chiuso in un angolo Con le pareti rannicchiate a me; penso all’infinito che per me è [racchiuso nel nulla. Penso all’eterno E nei miei sogni riesco a toccare le languide stelle. Luminose e tanto calde come il mio letto d’inverno. Mi distendo quindi, e guardo le candide nuvole Che prendono forma di Scene della mia vita ormai [perdute.

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LUCIANO BALDUCCI Il prof. Luciano Balducci, romano, ha lavorato tutta la vita come medico pratico e ricercatore scientifico e ha insegnato pediatria all’Università. Dopo la pensione ha cominciato a scrivere per diletto, saltuariamente: lui stesso afferma che “Non si tratta di poesia, ma semplicemente di pensieri rimati, rivolti soprattutto alla natura e ai ricordi”. Il ramo secco

Dicembre

Vibra di vita, l’albero; ma ecco, In mezzo al verde vedo un ramo [secco. L’albero ci presenta foglie e fiori, Ma il ramo secco è là: memento [mori!

Sbrigatevi a cadere, rosse e gialle Foglie d’autunno! È tempo di [vedere I rami nudi verso il cielo eterno Levarsi ancora, nella luce breve, Come primo segnale dell’inverno, Quando s’aspetta già la prima [neve.

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Tramonto

Preghiere

Dal colle Albano guardo verso il [mare Che riluce nel rosso del tramonto; Nel cielo cupo vedo già brillare La prima stella; c’è silenzio [intorno, Mi domando se ciò che vedo è [vero: Sono avvolto da un velo di [mistero.

Quelle brevi preghiere che i [parenti M’insegnarono in morte di mia [madre Le ricordo ogni tanto, nei [momenti in cui sono confuso o [addolorato. Senza fede, ripenso ogni parola; Non so dire perché, ma mi [consola.

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ANDREA GIUSEPPE BALTIERI (Vizzolo Predabissi – MI, 22 luglio 1988). Poeta, costruttore di ologrammi sintattici, disegnatore verbale. Due astri

Il punto di non ritorno

Questi due corpi sono in un ballo arboreo, sono due foglie una danza che scioglie dagli alberi alti i nostri sospirati volti. Delizia il mio pianto di liane vederti è di liscia tensione come si libera questa canzone. Come si libera la condizione di sentirmi nella libertà argentea di estrapolare una condizione da una rosa nera? A me le rose piacciono blu e rosse, bianche, quelle nere le contempla il mio inchiostro che diventa e trascolora mille colori e tutta tempera, quest’olio che cola da una tela dove dipinto vi è un bacio, e questa tela, questa foto di [memoria che arcobaleno di sorriso, una stella impressa nel cielo di Aristotele e con un filo vorrei legarti un dito portarlo alla mia bocca e assaggiare il silenzio di tutti gli [astri.

(Zatterato, l’illuso! Nell’involucro d’uso). La finzione trascina, ingloba nella tenerezza. Respiro focoso la fina e traditrice; s’avvezza al mio futuro falso. Efesto! Stringe quel polso. D’acciaio mi tempra, giurandomi una notte giovane. Che m’apra le porte! Cui abbatte. Siti di fiamme larghe accolgono; sciolte larve. (Io lo sento urlato, nel silenzio. Raggiunto superato. In silenzio).

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A ventidue anni la vita ti si è posta davanti nel più brutale dei modi. Non volevo la fama tutte le preghiere di Cattafi non voglio così tanti soldi, per ogni suono di Marinetti non voglio tante cose per ogni impresa di D’Annunzio! voglio un bacio, per ogni vostro pensiero. Non ho bisogno di fare la bella [vita, la mia è una bella vita.

Del guadagno vile Trattava la cera come i soldi l’usuraio. Costruiva delle candele con cura, di sera. Parlava poco, era Gennaio. Poche stelle.

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OLIVIA BALZAR (Brasile, 1984). Genitori italiani, la sua prima culla è stata un’amaca, ma è tornata ben presto in Italia. Si sente come un’Alice metropolitana che scruta con occhio critico il pianeta terra, alla continua ricerca del suo Paese delle Meraviglie. Ha pubblicato: “Pioggia di novembre” e “Strana come gli angeli”. Laureata in Linguaggi dei media, lavora nella redazione di una rivista e sta scrivendo il suo primo romanzo. Ai poeti contemporanei

Amore

Non scrivo nulla. Il foglio resta bianco. La carta assorbe le ultime lacrime. Che ne sarà di noi ora che non c’è più niente da dire? Che ne sarà di noi, anime ribelli, quando il mondo ci avrà [risucchiati digeriti e risputati, nuovi soldatini di plastica, due euro su quello scaffale? che ne sarà di noi, arresi di fronte al vuoto? Non dobbiamo arrenderci! Prendiamo questo foglio e riempiamo di arte questo bianco che acceca. Continuiamo a scrivere noi, testimoni del presente, trascrittori di anime, menestrelli della vita.

Madre, posso uscire? Sì, cara. Madre, posso sposarmi? Sì, cara. Madre, posso andare via? Mi spezzerai il cuore, ma sì, certo [cara. Madre, posso soffrire? No, lo farò io per te. Madre, posso morire? No, lo farò io per te.

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Malinconia

Maneggiare con prudenza

L’arrivo dell’estate porta con sé nostalgia, nudi e vulnerabili sotto questo sole che tutto svela.

Dicono che ho una grande [memoria, come gli elefanti. Non dimentico. Mai. [Maneggiare con prudenza] …È scritto sulla scatola del mio [cuore.

Il venticello scoperchia vecchie scatole abbandonate lontano dagli occhi, ma vicino al cuore. Sarà il rumore del mare, sarà il sapore del sale, come una vecchia canzone sentita alla radio che scandisce il passare del [tempo, unica certezza di questo universo instabile. Calma piatta, mentre guardo il mare di notte. La luna si specchia in mezzo alla baia, narcisa e splendente. Anno dopo anno, estate dopo estate, si fa i conti con la malinconia, cullati dalle onde, mentre la pelle brucia sotto l’intenso sole d’agosto. 30


PALMA BARLETTA Palma Barletta (Cutro – KR, 06/09/1946) si dedica alla Poesia da sempre. Dal 1990 ha partecipato a molti concorsi nazionali e internazionali, ottenendo lusinghieri riconoscimenti sia per la poesia in lingua che in vernacolo. Tra i premi recenti: Menzione Speciale nella sezione Poesia al concorso “Le Ninnenanne” Castelfiaba 2011 – Santa Severina (KR). Dedicato a te… tesoro mio

Acquerello flash

Ninna nanna a luce fioca invocando il dolce sonno, mentre ondeggio la tua culla io ti canto la tua venuta.

Piove. Palpiti argentei sull’opaco asfalto simmetria di cielo, di tremuli rami in tenere attese!

L’eco giunge assai gradita Tu… accendi il tuo sorriso: “Ed è un’intesa di emozioni questo dialogo d’amore!” La tua mamma è qui con te che pronuncia il nome tuo e osservando il tuo bel viso lei compone un bell’ordito. Sogni d’oro, mio diletto, dormi e sogna fate e stelle, l’indomani al tuo risveglio la tua mamma desta è già. Il tuo sguardo e il tuo vagito si fan breza mattutina e un dialogo di note tu componi con mammà.

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Lacrime di foglia

Emergenza “pace”

T’ho veduta ieri l’altro gioiosa trionfante, lucente, festosa su quei rami di pesco fiorito. Era verde il tuo vestito da sposa e per ghirlanda una gemmula rosa. Modulata dal vento e dal sole regalavi una musica amica. Tu allora eri l’ombra la vita. Ora eccoti gocciola ampolla sotto un cielo di fronda sopita. La tua bella stagione è finita. Rosseggiante nel tuo opaco splendore un mosaico dipingi pittore. Tremolante, mansueta ritrosa danzi ancora sonora, mentre il vento scompiglia. Non ti resta che piangere: “Lacrime di foglia”.

Non vedo stormi di rondini in volo non il cielo dipinto di rosa non la gente che parla d’amor, ma baglior di proiettili esplosi che producono morte e dolor. Più non sento stormeggiar le campane non il fruscio delle fronde odorose, né il vagito di un bimbo che nasce ma il grido di gente che implora. Non è questo quel mosaico ambito: “Pace” “Libertà” “Unione”! Manca… ancora… Chi aiuta l’autore?

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PIER LUIGI BATANI Vive a Montespertoli, nella campagna toscana. Poesia e pittura sono le sue passioni. Pubblicazioni: “Nei tuoi occhi l’infinito”, poesie, “Pulviscolo”, poesie,”Lungo il fiume ed oltre”, racconto, (casa editrice MEF l’autore libri Firenze). Cielo

Sole

Nel cielo e nella terra, nell’aria e nell’acqua, nel vento e nel sole, nei monti increspati di silenzi ci sarà sempre il mio cielo.

Dietro le ultime nuvole esce quel sole pallido prima evanescente poi superbo nella sua luce infuocata. E ti senti nuovo essere vivo nel profondo silenzioso del tuo io sconosciuto.

Perduto nell’aria fra il volo di rondini partite, intrappolato fra nuvole tristi, fulgido fra stelle impazzite, trasparente fra i lampi, abbaglianti, confuso fra le melodie di un flauto ed un violino traspare sempre il mio cielo.

Il calore del sole ti porta energie che oscillano nel tuo corpo, la nel profondo dove la luce opaca si apre ai diamanti di una stella incantatrice e sprigiona lucciole incandescenti.

E quel cielo blu e tempestoso ti confonde e ti consuma fra una tempesta di stelle, fra versi impazziti di una poesia melensa dove lacrime come chicchi di grano sbattuti dal vento solcano le rose del tuo volto come uno spasmo. Tu cielo, sempre nel cielo, Cielo della mia vita. 33


Luce

Aria

Nel sentiero della vita luci e ombre se ne vanno con la fuga delle stelle dove i sentimenti volano senza tenersi per mano.

Vola il profumo tuo nella musica dell’aria dove prati fioriti lo accolgono in lembi di petali di margherite e papaveri.

Corpo nel prato dove una sinfonia di grilli ascolta i tuoi palpiti vibrare verso il cielo anche dove non c’è orizzonte.

Cammini nell’erba. Il rumore pesticciato dei passi piega le margherite che addormentandosi al suolo lasciano fuorviare l’essenza inebriante del tuo passaggio gioioso.

E vago fra la luce del giorno e della notte dove la luna incanta i serpenti e i mostri mordono il tuo candore.

Ti odoro con le mie narici e ti aspiro sognante col mio respiro a lungo trattenuto come una goccia di rugiada che empie le mie emozioni che si addormentano fra i tuoi seni.

Luce, ovunque luce, anche di notte nel buio delle forre, negli abissi più profondi. Luce, sei la mia luce ovunque sei e sarai e dove io non sarò sarai sempre la mia luce.

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ALESSANDRA CASA BELTRAME Il rombo dell’aereo ha cullato la sua infanzia e la sua adolescenza, ha scandito minuti di gioia e di silenzio, ha rapito la sua immaginazione facendola decollare, tra le nuvole, verso Paesi lontani, seguendo rotte impossibili tra miraggi sfumati dai colori irreali, sorvolando deserti assetati di ombre, verdi praterie cosparse di ghiaccio, tortuosi sentieri ricamati di fiori, cascate scintillanti di sassi e città popolate di irrealizzabili chimere. Tramonto

Volto rapito

Tramonto sul deserto di sabbia con un vento infuocato di rabbia che scivola e solleva dune dorate cancellando le orme tracciate Penetrano in occhi di cammelli quei piroettanti e duri granelli e si avvolgono le teste nel velo in attesa che si calmi il Grande [Cielo

Volto rapito da pensieri inespressi che dilaniano l’animo e rendono perplessi. Vaga lo sguardo in un azzurro vuoto

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Schegge

Mani

Schegge di vetri in frantumi tagliano i pensieri vomitanti di sangue sparpagliati in un cortile chiuso dove echeggiano grida represse di una ipocrisia educata ad una spietata tortura

Mani che trasmettono segnali suoni, emozioni ed insulti che traducono bestemmie in un linguaggio cifrato Mani che stringono ordigni che spezzano funi e mattoni che tormentano carni e strappano ideali e credi Mani che sanno accarezzare lasciando immaginare quiete e che tolgono anche la spina soffocando nel silenzio le grida

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CARLA BLASETTI Carla Blasetti è nata e vive a Roma. Comincia a scrivere poesie già da piccolissima, ma decide di pubblicare i suoi lavori dal 2001 con la Casa Editrice Pagine. Dal 2003 la sua poesia incontra la musica con il gruppo emergente Tremendicanti, col quale partecipa a diverse manifestazioni conseguendo numerosi successi. Continua la sua attività di autrice collaborando con diversi artisti del panorama musicale italiano. Fa’ ogni giorno

Inafferrabile

Fa’ ogni giorno Una cosa mai fatta prima Cammina a cuore scalzo Su sentieri sconosciuti

Come il vento Che con improvviso abbraccio Trascina con sé La sabbia dei nostri giorni calpestati

Lascia che l’universo Attraversi la tua mente aperta Scopri il divino in te In mille piccole cose

La cenere donata da un fuoco Che nel suo pieno fragore Già presentiva inevitabile Il canto di nuovi fremiti

Cambia la consueta strada Abbraccia uno sconosciuto Assaggia, sperimenta, sorprendi Apri le valvole della tua pelle

E il gioco di pollini Il cui viaggio Denso di promesse di vita È il più alto anelito

Fa’ di ogni giorno Un’occasione unica Che aggiunga un pezzo di te A quel mosaico che non ha mai fine.

Come un corso d’acqua Mai uguale – in continuo divenire – Eppur risultanza di ogni goccia Che ha vissuto Come tutto questo Inafferrabile Abito i ritagli Di una vita immaginata.

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Non voglio scriver più

Silenzio

Non voglio scriver più Di aneliti e sospiri Di vuoti esistenziali Di rovi, rose e spine

Quando è che il Poeta Non trova parole Per dipingere il Silenzio Quando dorme il suo Spirito Cullato dalle onde discrete Di un’improbabile Pace

Non voglio più affidare I palpiti segreti Al soffio di una pagina Che non sa più ascoltare

O quando, sopraffatto Non può che sedersi Sul ciglio del cuore

Il Mondo sarà foglio Il Corpo la mia penna Che il sogno non sia imbroglio Ma guida acuta e ferma

– E attendere In animazione sospesa – Che quel Silenzio Gli parli ancora Per restituirsi a Lui Con un’Anima Nuova

Riempire il grande vuoto Con gesti e decisioni Non fughe e scorciatoie Ma graffi ed emozioni E forse cara penna Poi un giorno ritornare Più grande, vera e bella e il Mondo… raccontare!

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GIOVANNA MARIA BONAFEDE (Marsala – TP, 15 agosto 1982). Ha una formazione di tipo pedagogico. Lo studio dei classici stimola in lei l’amore per la scrittura, che le permette di partecipare a vari concorsi letterari con importanti riconoscimenti. Nel 2005 consegue la laurea in Scienze della Formazione, attualmente iscritta alla specialistica in Scienze pedagogiche. Nel 2011 pubblica la prima silloge, Le sfumature del mio essere (Ibiskos Editrice Risolo). Vive in provincia di Milano dove lavora come insegnante. Como en un lienzo…

L’abbandono al dolce richiamo!

Colorea de inmensidad Las nubes rosas, de verde esmeralda pinta la Vida. Moja el pincel de rojo rubi Y traza el confin de un mundo infinito. Con el oro regala Un toque de luz, resplandor divino Al que el mal se somete. Repasa la mano, es fragil la imagen, El tiempo un enemigo… …se destine la pagina.

Calde parole a sussurrar all’orecchio venisti dalla fonte antica oh pensier diletto. Come succo di susine a deliziar il palato, ad annebbiar la vista e tutti i sensi. Nel confuso abbandono al dolce richiamo, scrissi. Di rosa e di selvaggio profumaron le mie note. Come echi evanescenti di cristallo rimbombarono. Odi! Ogni cosa tace se apri le braccia a quel richiamo!

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Un tuffo nel vago mare dei ricordi

Senza via d’uscita Riecheggiano vuote, lontane e turbate le voci della fiacca Natura.

Voci lontane, tenebrose e stanche, ascolto tra echi, rimbombi e pianti da bambina.

La chiave è ormai andata perduta, il figlio ha già oppresso suo padre.

Avvolta dal rumore di un silenzio assordante, scatto vecchie foto ingiallite o in bianco e nero.

S’innalzino al cielo i tetri lumini.

Ancor freschi, i colori colano sulla tela della memoria, sporcando i ricordi.

Oh madre, perdona il frutto che nel tuo grembo già giace.

Guardo le mie mani, la sabbia è scivolata tra le dita. Non è rimasto nulla. Soltanto, qualche immagine [sbiadita!

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VIVIANA BONELLO VISCONTI (Milano 20/02/1941), Vive ad Alghero. Laureata in Economia e Commercio presso la facoltà di Cagliari. Dal 1984 partecipa a vari concorsi letterari nazionali e internazionali. Ha vinto numerosi premi di poesia e di narrativa. Ha pubblicato due libri di poesia: “Ritorno a Capocaccia” (1990) e “Impaziente è il tempo” (1996) Ha in elaborazione altri due volumi di versi e di racconti. Il nostro amore

Bagno a Settembre

Un amore il nostro nato in riva al mare in un’estate effimera e lontana – su cui gli amici non avrebbero [mai scommesso un soldo – è ancora qui, ora che gli anni – tanti – sono passati un amore provato da mille lontanze mai deluso nelle aspettative, saldato alle cose concrete ma fluttuante come ali di farfalla nei frammenti di un sogno. Un amore grande destinato a restare oltre noi nei figli voluti a inchiodare la fuga del tempo in coraggiosa sfida ai nostri limitati domani.

La baia deserta nell’ultimo [Settembre. La luce si tuffa in trafori di rocce a creare l’ombra. nuotare fissando quella riga di [mare lontana frustate sul viso di schizzi di sale e l’acqua voluttuosa a frantumare molecole sul corpo. Folate di ricordi cullano il mio [abbandono al dondolio dell’onda… trasgressivo piacere in un’ora [rubata alle solite corse la mente disegna nuove mete di [vita e l’anima mia si sdoppia sotto un ventaglio di nuvole alte – a schermare il vivido chiarore – l’oggi e l’ieri si fondono In un brivido azzurro. Solo, il venti inquieto insegue il [domani.

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Vita a perdere

E ti farò sentire una farfalla

Una vita gettata via tra i rifiuti – come vuoto a perdere – passata da buio a buio tiepido il ventre materno Gelido il cassonetto urbano. Sottratta con violenza al seno [morbido, il breve respiro soffocato, la luce attesa, vietata al primo raggio. Spunta un pugno minuscolo – tragicamente innocuo – nella fredda mattina e la pietà risorge insieme ad un sole livido. Muoiono le parole se si uccide un bambino.

Averti avuta in me dal primo istante voluta con amore sfidando un male che non premia il coraggio. Da adesso la mia vita sarà fatta di te figlia diversa che mai potrà godere l’ebbrezza di una corsa in libertà. Finisce il tempo delle fiabe buone ma sono madre e dentro ho una corazza di titanio a difenderti dagli sguardi pietosi ad impedire il dirompere del pianto. Giuro davanti a un Dio troppo [distratto: ti aiuterò a volare e ti farò sentire una farfalla.

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CARLO BOSSO Carlo Bosso è nato e vive a Torino, dove si è laureato in Lettere e Filosofia. Ha pubblicato due sillogi poetiche ed un romanzo; nel poco tempo libero disponibile continua a dedicarsi alla scrittura di poesie e racconti, in attesa di raggiungere l’età della riflessione e della saggezza. A mio padre

Dedicata a Paola

Il cielo freddo di novembre ha accolto il tuo ultimo volo, un volo silente e discreto come la tua vita, i tuoi sogni. Il tuo spazio ora è vuoto e vi ho riposto i ricordi… I tuoi silenzi, le occhiate che ci scambiavamo, ci capivamo senza parlare. Tuttavia non ti ho mai detto tutto ciò che avrei voluto, non ti ho ringraziato davvero per quello che mi hai dato lungo una vita passata insieme giorno dopo giorno. So che prima o dopo entrerò nel tuo nuovo mondo. Allora ci basterà uno sguardo proprio come un tempo; uno sguardo, non parole. Poi ci incammineremo insieme fianco a fianco, noi due. Il resto sarà silenzio e pace, quella pace e quel silenzio che abbiamo sempre cercato.

Ti voglio regalare il cielo terso d’estate ove tu possa librarti in volo, improvvisamente farfalla, io ti rincorrerei ansioso per afferrarti piano e posarti sulle mie labbra. Ti voglio regalare il sole e farti accarezzare dai suoi raggi fino a che la tua mente si apra al sogno, un sogno che ci veda uniti in un abbraccio senza fine. Ti voglio regalare un fiore, il più bello del mio prato per lasciarti un ricordo di me che appassisca dolcemente contro la tua pelle profumata. Ti voglio regalare un sentimento intenso, sincero che non ti so spiegare con le sole parole, perché entri vivo nel tuo cuore e lì rimanga a custodire il nostro amore.

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A mia figlia

Un sogno

Figlia mia stai scalando la vita con lo sguardo intenso e curioso di chi percorre una strada nuova ricca di sorprese e di domande. Io osservo i tuoi occhi venati di timore e speranza, osservo il tuo volo di farfalla che cerca il suo fiore e conservo nella mia anima il tuo sorriso lieve e timido di fanciulla.

Ho incontrato un sogno dolce come le sere d’estate, intenso come il mio desiderio, profondo come il mio abbandono. Ho incontrato un sorriso di labbra morbide di miele, che illumina i miei giorni, accoglie limpido i miei risvegli. Ho così iniziato il mio volo sospinto da una brezza che ha il tuo profumo tra nubi candide e scintille di luce che divampano quando mi sei vicina, se mi sfiori e prendi le mie mani. Tu sei il mio sogno incantato, il sorriso che accende il mio cammino, tu sei il vento che mi avvolge e accarezza il mio volto. L’alba si veste così dei tuoi occhi di cielo; il tramonto ha il colore delle tue labbra di seta. Il resto per me non esiste più.

Vorrei vegliarti la notte per poter leggere i tuoi sogni, accenderti il sole al mattino per illuminare la tua via; vorrei dipingerti intorno un cielo azzurro come i tuoi occhi ed un albero flessuoso, solido che cresca insieme a te. Proverò invece a cercare le risposte che ti aiuteranno ad affrontare questo mondo inquieto ed arrogante e sarò felice quando ti vedrò correre incontro alla tua realtà, perché avrò la conferma che sarai davvero diventata invincibile!

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CATERINA BRANCATISANO Caterina Brancatisano è nata a Thun, in Svizzera, nel 1963; ha partecipato a numerosi concorsi letterari ed ha all’attivo pubblicazioni su riviste specializzate e antologie di sue poesie e racconti. Dal 2007 fa parte del gruppo di poesia “Itinerari poetici”, con immissione dei testi in onda nelle frequenze di Radio Diffusione Pistoia. Silenzio di sirene

15 anni di amore felino

Il silenzio delle sirene dilata lo spazio vuoto fra le parole, sta nell’assenza la mia voce, nell’istante che ne precede [l’emissione. Condannata ad ascoltarmi, cerco scie di voli all’orizzonte e funi di speranze per viaggiare. Ascolta il dileguarsi del vento, porta la pace della notte e ancore gettate nei sogni. È il mio turno di vedetta, tu riposa.

Vuoto è il mio fianco e muto spazio mi abbraccia, manca il tuo amore sul mio [battito. Il tuo respiro seguiva il tempo, eri la quota del giorno che [scivolava, il senso del sonno, la mia parte di donna non [contagiata, il lieve frusciare del vento. Rimarrai sulla soglia del mio [cammino, ad attendere felice la mia voce, mentre salendo al monte chiamerò il tuo nome, che sempre risponderà. Saremo sempre un solo cuore.

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I viandanti

Amore impossibile

Condannati a cercare le ombre dietro le cose, siamo noi, i viandanti che hanno scelto [un’altra via. Bagliori improvvisi e lancinanti [silenzi ci guidano nel bosco, e cerchiamo a tentoni sorgenti di linfa arroventata. Leghiamoci con corde di [speranza, non ci perderemo nel cammino, lungo la roccia saliremo inchiodando sul monte il respiro. Se cederà l’attacco non temete, cadremo nell’oblio del mondo, ebbri di nuova vita, ebbri d’amore, vivi.

È stato bello non averti, era già scritto fin dal principio, Proteo, tu sapevi! È stato viscerale sentire la tua [assenza, colorare lo spazio inerte del [pensiero, condividere quel tempo appesi, ad una corda di sottile [senso. È stata luce l’abbagliante [capolinea che ha reciso le tue mani ed i miei occhi. Giardiniere attento è il tempo e la fortuna, ciechi come talpe sotterranee, nel tagliare radici di bocche mai vissute. È stato tessere del tuo nome il tenero specchio, riflesso delle mie mille pagine, che rilucono a distanza un nuovo [volto affacciato sul davanzale dell’oggi. È nuova vita acromatica e distante pulsante come arteria di sogno. Presto sanguinerà la bocca di [parole e ti sento, ancora.

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LUIGI BRAY (Lecce 1974). «Essere poeta non è una mia ambizione. È la mia maniera di rimanere da solo». Queste poche righe di Fernando Pessoa disegnano il tratto essenziale del suo scribacchiare. Le sue sono istantanee, un modo per non dimenticare realtà e fantasia che si mescolano nei ghirigori della vita. Ha pubblicato sulle riviste: “Prospektiva” e “Il chiasso largo” e in alcune antologie di Giulio Perrone Editore. Mi sono rinchiuso Nei venti, per cercare la calma del guardarsi attorno senza essere visti. Ho riempito di calce I miei muri, più bianchi riflettono meglio i miei dubbi. Il mio oracolo Scruta oltre Ma non cercherò Nulla nella rosa, spirano troppi venti!

Ho dormito nel tronco del tuo Ulivo, mangiato voracemente del tuo sesso, e sei fuggita dal quotidiano con il sole basso di mezzogiorno. Senza tracce di odore… senza grappoli di palme. Paura. Non in terra, sul mare. Perso in spiagge con le onde che rubano spazio ai bagnanti. Seduto, aspetto, chi mi scrisse sul volto la verità che non leggo allo specchio…

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Ritorno tra le mura domestiche e [salate. Ricerco visi infantili. Ritrovo visi invecchiati. E pagine sbiadite dalle rughe. Vorrei toccarli, carezzarli. e non farli invecchiare. Ăˆ tutta colpa di queste mura [salate.

Mi sono appoggiato al ferma cravatte per pensare‌ un amore vergine dai sensi; mi sono accorto che non era [amore e aspettavo di partorire ma non ero fertile. Fuori di me luci in lontananza lampeggiano ad alberi spogli in attesa delle lune e dello scirocco per ora lontani. E dibattiamo del solito acquitrino travestito da oceano indiano.

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MIRIA PATRIZIA BUTTAZZO Miria Patrizia Buttazzo vive in una ridente cittadina che si affaccia sul mare Adriatico: Giulianova, in Abruzzo. È educatrice in un asilo nido ed ama immensamente i suoi bambini che ogni giorno le regalano sorrisi e abbracci che le riempiono il cuore. Ama dipingere, leggere e scrivere i suoi pensieri: semplici parole che esprimono il suo stato d’animo, i sogni, le speranze, le delusioni, le amarezze della sua vita. e non vorrei avere più paura del [buio, di quel buio che troppe volte mi ha assalito… Vorrei solo una mano sicura a cui affidare il mio cammino e la forza di un abbraccio per sentirmi protetta. Vorrei essere alba per sorridere di nuovo alla vita…

Vorrei essere alba Vorrei essere alba… vorrei riaffacciarmi alla vita in [silenzio, al calar della notte e illuminare [ogni angolo del mondo. Vorrei viaggiare sopra i soffi di [vento, e nascondermi dietro le gocce di [pioggia e i raggi di sole. Vorrei correre in punta di piedi su [un tappeto soffice di margherite e cavalcare le onde schiumose che [s’infrangono sugli scogli… Non vorrei più rincontrare gli [stessi visi impregnati d’ipocrisia dove esiste solo la [concezione di sé non vorrei più sentire [parole all’apparenza dolci ma in realtà molto aspre capaci di [ferire senza alcuno scrupolo e ricevere [carezze che ho poi ho identificato come potenti schiaffi. Non vorrei versare più lacrime per chi ha voluto calpestarmi

Ho camminato Ho camminato sotto la pioggia. Ho visto le palme abbracciare se stesse. Ho camminato sulla sabbia bagnata e ho lasciato le mie impronte. Ho raggiunto la riva ma era desolata. Ho parlato alle onde ma erano troppo arrabbiate e non mi hanno ascoltata. Ho alzato lo sguardo al cielo ma era impenetrabile. 49


i giorni e le notti, i mesi e gli anni. Tu, uomo, con il viso segnato dalle intemperie, con la giacca ormai logora, sbiadita e impoverita di sogni, di [speranze, con le mani infreddolite in tasche ormai vuote di desideri e di emozioni speri ancora in quel giro di giostra. Un solo giro, chiedi. Uno: per sentire di nuovo il cuore battere e capire che ancora sei vivo…

Ho gridato forte il tuo nome ma tu non non hai risposto. Ho sentito un brivido gelido. Ho ripreso le mie impronte e sono andata via. Ho camminato ancora, stringendomi a me, come le palme, sotto la pioggia.

Giro di giostra Sei lì fermo, confuso, speranzoso di salire su quella [giostra. La giostra della vita. Non c’è mai posto per te. Ma tu, uomo, aspetti [pazientemente Ti guardi intorno e vedi la cattiveria, la malvagità, l’ira, l’egoismo, l’indifferenza, l’odio, la bugia… Ti scavalcano, ti travolgono senza mai chiederti scusa. Ma tu sei ancora lì e aspetti ancora di salire. Con l’educazione, con il rispetto, [con la moralità che ancora ti appartengono. Passano così 50


MAURIZIO CALDERONI Maurizio Calderoni è nato a Firenze circa sessanta anni fa; laureato all’Università di Firenze, dopo numerosi lavori e vicissitudini, si è rifugiato in un eremo tra i boschi della Toscana. Sue poesie sono state pubblicate su varie riviste e declamate in spettacoli e letture. 1

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Quel che meraviglia appare oltre serre d’algida pace nel mare d’estro e caduco fiore, siamo certi non rimane d’inverno di richiami a risuonare. Segreti d’ebano e d’estate lucente musicale d’ebbro fanciullo nei boschi fumante cero di coste e rive d’urlo morbo animale. Dove s’attarda il Pellegrino alla pioggia il rimirare dona. Silenzio nello spirito nascosto dal celato sole. Dov’eremo s’apre liuto di stagioni risuona in carme velato d’amore e mente di violato furore cercando l’alito di marmo ed ocra e viole.

Badate vivere estroso e mietere esangue eroso è l’etere in stagione d’albe e morti vivide. Sogniamo fiori e sante mani per terre ruvide coperte d’oro d’ore e forti rami i boschi cantano le campane suonano. Sensi d’albe attraverso membra e calde ciglia d’animale nel silenzio l’azzurro volto la parola gela ed è una chiglia che strappa fuori ai giorni il mare dei nostri sensi e miti nascono per gli Angeli crescono nei luoghi corrosi rostri maligni ventosi e nella calca muoiono.

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La stanza delle felci protetta nell’ombra. Il transito s’accascia nel tempo in un plausibile rimando alle [vigne d’estate un luogo vitale di storie create loquaci come fiamme d’assalto agli orti murati come preghiere portate ogni giorno a contare ogni smalto d’aria lontana torna nel verde un tappeto a fiorire. La ghiaia dell’armonia senza cura per il raccolto, l’incanto, il volo. Via dai giardini i profumati rumorosi ingrati attimi tra le foglie eccolo già stanato dai primordi seccato al sole al vento dell’imperizia. Balliamo tra le anime viventi. L’immagine crediamo essenziale dell’invisibile. Se rallenti le ossa di polvere fumano come vento. Un’essenza raggiunge il nido [accucciato nella materia dei sospiri come il battito di voliera. Lo sbattere intermittente deleterio per la nostra sopravvalutata stima. Molti errori nella brevità [frequente.

Un amore. Ultima lettera. Portami i tuoi profumi occhi capelli. La tua danza è la casa delle perdute movenze quel che resta alla fine coperti i nostri gesti con raso drappi confusi gli specchi i resti. Luogo ogni giorno vorresti. È un fruire di mosse e pensieri non altro per salutarci diresti. Trovare una parola che ricorra negli anni se non un bacio che serva a levigare per noi gli ultimi affanni.

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GIOVANNA CANELLI Giovanna Canelli è nata a Torino, ma da quarant’anni vive ad Ischia. Nel 1967 ha pubblicato un’opera dal titolo Poesie per una vita; amante della natura, della musica, del mare, degli animali, dei fiori, ma soprattutto della cultura. Mentis et cordis

La Pisana

A che serve la mente senza il [cuore? La conoscenza allinea ed [incolonna, con la solerzia esatta del sapere, nel tunnel della razionalità.

Diceva la mi mamma: bimba mia Nessuno è mai tornato a dirci [come si sta di là. Serena ed assoluta sgranava indubbie le sue [affermazioni. Babbo, muto, ascoltava. A [contraddirla non provò mai, ma con [delicatezza mi sussurrò una sera: “Non [temere, cocca, io tornerò per darti un [bacio”.

Ma il palpito fiorisce, bussa, [squarcia, sceglie le vie del cielo, il male [aborre: il cuore batte amore e carità e se colpito, muore di dolore.

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Post Christum natum

In giardino

Partono da Betlemme a numerare anni e millenni le generazioni. Da quella grotta, asilo ai fuggitivi dove il Figlio di Dio nacque alla [terra: la dolce madre affranta lo nettò, un mite bove e un ciuco lo [scaldarono e gli angioletti in coro lo [ninnarono. L’uomo nel ’33 le mise in croce – infamia orrenda – ma dal suo [sepolcro Egli alla gloria ascese, in cielo al [Padre. D’allora il tempo prese a [numerare nei libri della storia scritti in rosso le protervie dell’uomo. Quando, [quando sarà la fine? Chi si salverà?

Verrà una notte con veloci stelle, con profumi di bosso e di gaggia… Il giardino sarà una conca fresca di rugiada e di molli sensazioni. Tu sarai solo e scenderai [dabbasso, ombra nell’ombra attenderai [furtivo. Oh, dolce notte sopra dolci fronde complice di prodigi e testimone. Le acacie stormiranno alle [magnolie che schiuderanno pampini di cera e grassi merli zirleranno fitti rimproveri alle cucule sfrontate… Io sarò sola e scenderò dabbasso ombra nell’ombra, incontro al tuo [respiro.

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IDA CAPPELLI PORENA Ida Cappelli Porena, germanista e psicanalista, ha insegnato Letteratura tedesca nelle università di Salerno, Napoli e L’Aquila. Ha sempre coltivato il suo interesse per la musica e per il testo poetico, con numerose traduzioni e numerosi saggi, in particolare su P. Celan e T. Mann; ha scritto e scrive anche poesie, una parte delle quali è stata raccolta nel libro "Didascalie". Una tenaglia si allarga dilata le sue chele per afferrare quanto mi circonda non lascia tempo al sorriso di [fiorire, di illuminare come un ricordo il [viso cui più non appartiene. Afferra bene, con saldezza, [quanto ancora sfuggire vorrebbe dal suo [abbraccio e poco a poco inesorabilmente comincia a serrare. Sul pavimento il telefono tace sul video acceso e senza suono si muovono immagini si alternano colori. Il buio si illumina di luce azzurra poi gialla, opalescente, passano volti sul mio volto uccelli sciamano nel cielo di irraggiungibili mari lontananze di ghiaccio si posano sul cuore.

Inverno Nella trasparenza dell’aria passano richiami di cani. Zampe smuovono la terra dura. Radi fruscii sull’erba secca. Silenzioso nel cielo buio un corteo nuziale candide rose.

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feriti, abbandonati, il loro sguardo interrogante e [paziente.

Parto con i rami secchi per non più tornare. le punte si spezzano è scomodo portarli si impigliano dovunque uno in particolare lo porto via con un sorriso incerto.

(E tu – infanzia ritrovata – [dolcezza azzurra – finto amor [mio nemico odiato – non c’eri ancora). Il cane nero latrava. Si poteva tornare adesso nella [casa dell’edera scura dove attendeva un sorriso radioso a braccia spalancate. Felicità o terrore?

Il cane nero latrava e la morte avanzava strisciando [con le chiocciole tra l’edera scura. Non si potevano più allineare le [chiocciole scavate con voluttà nell’edera scura si doveva lasciare la casa alla [morte o tornarci esitante a contemplare [per l’ultima volta lei che andava via grigio profilo immobile. Nello specchio la scena: immagini in icone sfumate sotto le [ali della chimera sotto il becco rapace (ai lati zampette di bronzo [spuntano appena, residuo di quel [terribile volto).

Il silenzio del cuore permette solo il ricordo ormai la sua registrazione: quattro volte in coma quattro volte risorta col sorriso [radioso e le braccia spalancate la quinta volta – dopo la fatica immane del [respiro che succhiava le labbra – è rimasta la strega. E ancora dolore per non aver [detto, per non aver fatto, per…

Dolore senza nome. Stupore. Freddo e abbandono (ho freddo, ho fame, son [poverino, spazzacamino). Il dolore degli animali 56


GIULIANO CARDELLINI Giuliano Cardellini è nato a Rimini e risiede a Morciano di Rimini (RN); è un avvocato cassazionista, fotoamatore, ama il teatro e realizza spettacoli, ama scrivere e leggere in pubblico poesie. Ha vinto numerosi concorsi con le sue raccolte poetiche, l’ultimo dei quali è il primo premio a “Poesia in piazza”, sezione “Amici della Sicilia”, con la poesia “Prima ode a Gandhi”. Un deserto

Ho bisogno di te

Arido è il tuo pensiero arida la tua coscienza delle cose limitato il tuo orizzonte arido il tuo ventre.

Ho bisogno di te per placare la folle arsura delle membra stanche, per dare sollievo alla mia anima incendiata.

È difficile amare un deserto.

Ho bisogno di te per cogliere l’essenza primaria della vita, per respirare intensamente la silente brezza mattutina.

Risplende in me il vacuo miraggio di un’oasi, ormai, irrimediabilmente, perduta.

Ho bisogno infinitamente di te. Ogni mutevole pensiero si infrange nelle roteanti nuvole, perdendosi, in lontananza.

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Prima ode a Gandhi

Povero è l’uomo

Abbraccio contaminante di pura fede, indelebile speranza di fratellanza universale,

Povero è l’uomo che si lascia sfilacciare l’amore tra le dita.

canto bianco, vitale di pace durevole, lotta strenua di passiva resistenza contro la violenza facile,

Povero è l’uomo che non è succube ed inebriato dal profumo dell’amore.

solidarietà con la coscienza degli avversari, diritto alla felicità pur nell’umiltà,

Povero è l’uomo che cerca di nascondere, prima di tutto a sé, la fioritura esplosiva dell’amore.

alito cosmopolita di serenità giusta, fiera tessitura dell’esile gomitolo dell’esistenza.

Povero è l’uomo che solo per consolarsi negherà l’esistenza della felicità dell’amore.

Mahatma di verità. Povero è l’uomo che non potrà mai asserire con fierezza: “Ho goduto dell’amore”.

Gravoso testimone da cogliere. Saprà qualcuno meritarlo?

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MARIA CARDONE CASTELLUCCIO Maria Cardone Castelluccio è nata nel 1938 a Benevento, dove vive ed opera. Già negli anni Sessanta ha pubblicato racconti su riviste e periodici; in seguito suoi testi poetici sono stati pubblicati in volumi antologici e di documentazione. L’orologio a pendolo

Febbraio ’69

Di mia madre mi è rimasta una tovaglia di lino bianca, ricamata: fiori azzurri e gialli sul grande tavolo del giorno della festa. E un orologio a pendolo. E quel ridere sereno che richiama alla mente un’alba sui campi, in agosto. E il suo viso riflesso nello specchio con la cornice dorata sopra il divano blu. E un orologio a pendolo. Che non cammina più.

Che febbraio, quell’anno! Una collana di sole e di profumi. Giù dalla collina rotolavano i canti degli uccelli. Dai rami, dalle foglie, dai fiori di camomilla il suono antico e caro di mille cose nuove. Come sempre, i bambini ridevano correndo per le strade. Una melodia nei campi e il vento tra le foglie mandavano una musica [lievissima; una ninna nanna eterna senza inizio e senza fine. C’era anche qualcuno che [piangeva. Ma: a che serve? Che febbraio, quell’anno che [moristi!

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La mia collina

La mia estate

Mi piace pensare che quando tutti sarete andati via non rimarrò sola. Mi lascerete sulla mia collina con le erbe alte e gli olmi e la luce dei ricordi e le memorie ritrovate. Mi verranno incontro, in un concerto a mille voci, le voci e i canti del passato. E la luna disegnerà fiori di luce sulle pietre del torrente lavate e rilavate. E ritroverò gli amici che sembravano perduti, e mia madre e gli altri, e, per ogni mia allegria, ritroverò quel figlio che dopo un solo attimo se ne era andato via.

La mia estate! Sul balcone assolato della casa popolare, il primo giorno d’estate si vestiva di gloria e di colori. Il geranio tra le piante di basilico e di menta sembrava ridere e cantare per il caldo ritrovato. Il balcone affacciava sulla solita strada di periferia, senza luci. Ma i primi tendoni colorati, invadendo i marciapiedi, le ridavano allegria. I pomeriggi, attraversati solo dal ronzio furioso di una mosca in agonia, ridiventavano lunghi, come certe attese. Al tramonto, col buio ormai [vicino, sul balcone, snocciolavamo le ciliegie, per farne marmellata. E la condivamo con chiacchiere e risate. E con gli odori dell’estate.

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CIRO CARFORA Ciro Carfora è autore di raccolte di poesia; ha vinto numerosissimi premi e sue poesie, tradotte in diverse lingue, sono state pubblicate su prestigiose riviste e su quotidiani di risonanza nazionale. È socio fondatore e membro del consiglio direttivo del Cenacolo Accademico Europeo “Poeti nella società” e fondatore del Premio nazionale di poesia “Madre Claudia Russo”. Poesia

I vecchi in agosto

Sei come giglio d’aprile e papavero d’agosto. Hai toni forti e delicati. Da sempre avverto in te ciò che è amore e desiderio. Sei Maya vestita e Maya desnuda. Fanciulla di borgo e dama di corte. Ti annunci con squilli di tromba e rintocchi di campana nell’atto che esplori questo piccolo cuore. Il tuo nome è poesia.

I vecchi in agosto si perdono dietro sciami di pensieri e analizzano la vita in compagnia di un cane a cui donano viaggi di carezze. Si aggrappano a fili di memorie e con sguardo pacato sembra quasi che si mettano a sognare. Forse anelano sorrisi da affetti che vivono lontano. A volte diventano esploratori in cerca di tenerezze e serbano qualche lacrima tra le pieghe di fazzoletti stropicciati nell’annodare al cuore il luccichio di quelle emozioni che leste cadono dagli occhi.

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Un foglio

Le strade del cuore

Un foglio… Poi disponete i solchi perché il seme li accarezzi. Fate che l’attesa si rivesta di mimose e di grano dopo le burrasche dell’inverno.

Le strade del cuore sono piene di amici, non conoscono i passi della solitudine. La noia non viene a visitarle, non può tesservi fuliggini, non può deprimerle, non può isolarle.

Un foglio perché il sole asciughi il pianto della pietra che geme perché nel racconto si schiudano gli occhi delle tortore che si erano addormentate.

Le strade del cuore hanno la semplicità di chi indossa un abito dimesso senza fiori variegati per voli di farfalle o di alberi che si staglino nel cielo per i canti degli uccelli.

Un foglio perché accolga la bellezza che nessuno può deridere o trafiggere perché insieme si riscopra la dignità di appartenere a questo mondo.

Esse sono ricche nell’intimità se accolgono il mondo con la gioia, se posseggono l’amore di chi costruendole per gli altri vi trasmise il coraggio e la pazienza, la fede e la saggezza. Un giorno anche tu potrai notare ciò quando da fratello che viene da lontano ritroverai carezze dopo la bufera e la tempesta e speranze che testarde ti schiuderanno l’anima alla bellezza come fiabe generate dal grembo della vita.

Basta un foglio perché io vi renda gratitudine nel suggellare questo amore che da sempre vi porto in dono… Amici miei.

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PAOLA CARMINATI Nata il 9 maggio del 1962, sin dai miei primi vagiti portava nell’anima e nel cuore l’amore materno di mia madre. Col tempo, tutto quanto aveva assimilato nel suo cuore lo trasmetteva verbalmente, frasi delicate che donava gratuitamente a sua madre. Crescendo, in lei, rimaneva nel suo spirito l’essenza verbale, per cui comunicava verbalmente con tutti, parole con note di frasi poetiche. [colmare le nostre case

La Santa Croce

dove silenziosa vive la nostra [povertà di cuore. Ma c’è una Luce sopra ogni [altare, interamente umano. Impronta di Cristo dove silenziosa parla la Sua [Misericordia.

Il dolore che attanaglia ogni uomo rende fragile la nostra natura [umana. Ma se vedi il Cristo appeso alla [croce lo trovi così simile a noi e così [inerme. Senza vita è appeso a due travi con le spalle travolte nel suo [dolore ormai sfinito nel Suo Corpo. Egli è nel pieno silenzio della [morte ma non spento nello Spirito ma vivo e nel cuore un’animo [gioioso. Quando noi ci spegneremo quando il dolore tormenterà il [nostro corpo saremo simile a Lui perché vuole [essere come noi. Ora noi e le future generazioni, [con gli occhi vivi lo vedremo appeso a quella croce come immagine di un dolore [vissuto. Ho sentito molte volte il dolore

Azzurro Azzurro cielo d’estate brillano le foglie al vento il mio respiro è lento nel caldo [afoso tutto è calmo sparita è la vita rimane solo la mia silenziosa [presenza in questo giorno festoso.

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Sono debole

Madri

Trascino un solare ricordo di un bene nascosto nell’ombra. Feriti sono stati i miei giorni da un’impronta oscura e fredda dove ancor meglio possa morire. Essa mi ha colpita e son caduta ero giovane e non mi ha [risparmiato. la stanchezza mi accompagna in cerca di misericordia percorrendo un sentiero di poco [valore calpestato da piedi di poca [importanza. Son debole e cerco forza nei miei [simili, ma spesso sono miei compagni di [strada inquilini di uno stesso dolore. Ecco sto in attesa del mio cuore dove dolce sta a costruire una casa per poter riposare. Io sto in continuo movimento [perché il mio io è il mio muratore sono io il mio fondamento.

Madri senza vita spente nel disordine e confuse nei gesti occhi senza dolcezza mani sena carezze che ne dite di un bimbo che vive in terra arida che sogna una speranza spenta nei vostri grembi asciutti mentre cresce il suo cuore di un bisogno d’amore.

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GUGLIELMO CARRETTI Guglielmo Carretti si è laureato in Economia e Commercio presso l’Università La Sapienza di Roma nel 1968, è giornalista pubblicista e socio onorario dell’Associazione Nazionale dei Pubblicitari Professionisti. Per molti anni ha curato per la SIP alcune pubblicazioni sulla Storia delle Telecomunicazioni e documentari di eventi nello stesso settore. Nel 2005 è stato nominato, con decreto del ministro del Welfare, Maestro del Lavoro. Li muri de Roma

Cambio di prospettiva

Li palazzi so’ pieni de raffaelli e michelagnoli de carpacci e piranesi da le finestre li vasi e l’argenti sfavillano ma er muro sbucciato riempito dall’eco de giaculatorie strillate da carrettieri ’mbriachi co la schiena poggiata sur vino ’mbottato, de sbruffi de cavalli sfiancati dar viaggio, millanta campane che canteno l’ore, mo’ pure er gabbiano (che prima nun c’era) salito cor fiume. Le voci de Roma sui muri assolati rimbarzeno ancora.

A noi è già preclusa quella dolce tristezza in cui annegava il tempo di noi allora giovani intrisi di melanconia nel pensare ad una vita tutta da conoscere frementi di incontrarla nella sua incertezza, ansiosi di scolpirla da protagonisti. Ed ora continuiamo a far tornare al cuore i capitoli d’un indice imprevisto costruito a mosaico di tanti giorni arrogandocene i successi perdonandoci i fuoripista lasciandoci spalmare di quel balsamo agrodolce della nostalgia.

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2 – Un arabesco riflesso nei tuoi occhi si libra in cielo.

Haiku marini 1 – Mare lontano sei nascosto nei sogni del mio veliero.

3 – Pioggia sgraziata lascia tutto lo sporco della tua strada.

2 – Il mare grato t’ha lasciato due gocce e mi ci specchio.

4 – In moltitudini da cardini diversi noi ci incontriamo.

3 – Cielo nell’acqua che mi lasci nuotare nell’infinito.

5 – Scritta nel mondo continua questa storia per noi soltanto.

4 – Vieni e ritorni la tua forza continua sulla mia onda.

6 – Darti quel bacio e scoprirti negli occhi specchio d’un’alba.

5 – Serba per me il profumo del mare dopo il tramonto.

7 – Ecco il tuo nido per la nuova stagione rondine mia.

6 – Sasso lanciato saltelli sul mare per affondare.

8 – Più che il tuo viso deviano lo sguardo le tue parole.

7 – Guarda la prua se il vento ci prende la fa volare.

9 -La tua preghiera porta il tuo cuore al tuo Signore. 10 – Pronti a volare noi irraggiungibili e senza mèta.

Haiku sciolti 1 – Fissa nel sole la tua voce in preghiera come un diamante. 66


FERNANDA CARUSO Fernanda Caruso nasce a Cagliari nel 1968. Scrive per passione fin da quando era bambina, le sue prime esperienze di scrittura nascono in rete, nei diversi siti di poesia. Nel novembre 2010 pubblica con la casa editrice Il Filo la sua silloge d’esordio dal titolo “Tempo Perso”. Giselle

Neanche la morte

Giselle, solo Giselle, Giselle sola Non è un’ode, una preghiera Lo ripeto da un’ora.

Scende la pioggia lenta e piano Scende la pioggia E ti sussurro ti amo.

Giselle, sempre Giselle e Giselle [sia Altrimenti niente Giselle, Giselle [mia.

La pioggia scende bagnandoci il viso mi guardi mi baci mi doni un sorriso.

Giselle Giselle Giselle Come un’ossessione Forte Gridato Stampato A tutte le ore Giselle Sempre Giselle Giselle per sempre.

Scende la pioggia bagnandoci tutti mi abbracci mi stringi e nel fuoco mi butti. Scende la pioggia lenta e piano Scende la pioggia e mi sussurri ti amo.

Giselle Solo Giselle E poi più niente.

La pioggia scende scende lenta scende più forte ci siamo abbracciati non ci fa paura neanche la morte.

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Mi ami

Un gioco da scoprire

Stamattina mi sono svegliata stralunata di pennello mi ero armata.

Amore è buffo il divano foderato [di fiori i miei capelli di tutti i colori tu con il berretto nero che sembri tanto il mio guerriero.

Sono salita su una scala rotonda ho dipinto in cielo la Gioconda.

Amore è buffa la credenza piena [di bicchieri e sul marmo un vaso di rose e tanti peli Chi li ha lasciati forse Sansone passami lo straccio o gli tiro un [calcione.

Poi di lato la Cappella Sistina era più piccola confortevole molto carina. La scala mi faceva girare la testa ho messo un berretto di lana e tu facevi festa.

Amore è buffo questo arazzo che [hai comprato mi fa pensare a noi due distesi nudi e a perdifiato.

Sono buffa con gli occhi turchesi mi guardi ho il golf gli orecchini che sono arnesi.

Caviglia contro caviglia intreccio di braccia e mani occhi negli occhi come sono scomodi i divani.

Arnesi dove impigli le mani quando la notte mi baci e mi dici che mi ami.

Amore le castagne sono pronte scottano da morire vieni davanti al fuoco c’è un nuovo gioco da scoprire.

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ENRICO CATALANO È nato a Torino il 12/05/72. Diplomato in ragioneria, ama scrivere poesie. In passato ha partecipato ad alcuni seminari di scrittura creativa quali “Scrivere di sé in poesia”, e a vari concorsi letterari, ottenendo buone soddisfazioni a livello personale. Alcune sue poesie sono state edite nell’antologia “Quelli della Rosa 1995”. Cercando te

Speranze

Occhi d’incertezza confondono dell’orizzonte le linee, sfumature del cuore sulla pelle… Mani bramose ricercano affetto nel dolce oblio della mente. Memoria persa dentro me. Memoria del sole. Memoria di te…

Le speranze del tempo perduto, silenziose infrangono il presente. Nei complessi meandri dell’animo umano, vagano, alla ricerca di ciò che sarà mentre la natura, osserva muta, il lento divenire di ogni cosa…

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Siamo noi

Il viaggio

Siamo diventati grandi, attraverso scampoli di gioventù che hanno fatto brillare le nostre menti, attente e mute al sospiro del giorno. Siamo stati effusioni di un dolce spirito rapace e invisibile ai nostri occhi fuggenti… Siamo niente e tutto ciò che possiamo desiderare dalla fragile vita, costruita su ricordi di passate speranze. Siamo impavidi e coraggiosi, timidi e indifesi, umani, come la natura che ci rende invisibili all’universo…

Ti accompagno lungo il viaggio della scoperta, come un viandante messaggero di sogni, s’impregna le narici di vellutata notte; imbarcherò il cuore sulla nave chiamata amore, cullata dalle onde, salpata nella lenta destinazione… Inseguirò la voce del vento proseguendo la navigazione… Un grande falco ci scorterà fiero, tendendo le ali ad abbracciare l’orizzonte e solitario, lo vedremo morire, distante, nel fuoco del tramonto…

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LUCIA CENNI Nata a Chiusi (SI) il 13 settembre 1950, risiede a Roma da circa trent’anni. Laureata in Lettere moderne, ha deciso di dedicarsi alla famiglia. Spinta a pubblicare da un amico, le sue poesie e suoi racconti brevi si trovano su “Voce Romana” e su varie antologie. È stata finalista e vincitrice di concorsi. Scrivere è per lei momento di grande libertà e di vera gioia. Tramonto

Una fontana

Il viola del cielo accarezza il grigio rugoso dei [calanchi. Più in là, i verdi intrecciano sfumature che incupiscono fino al nero dei [lecci. Chiazze di stoppie gialle, offrono luce al tramonto, sdraiato sul colle.

Tremuli cerchi increspano l’acqua. Smarrita guardo immagini spezzate, incartate nel rosso dei pesci. Scaglie, di pensieri affiorano insieme ai ricordi che fragili, cullano l’emozione, nascosta, tra un bianco, di ninfea.

Lacrime iridescenti, riempiono gli occhi, in quest’ora d’ombre, profilate d’arancio. Sono gioia e dolore d’un frammento di vita, seduto a guardare.

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Freddo

Appuntamento

Il sole scuce il vestito d’Inverno alla siepe di rovo e luccica il ghiaccio, gioiello di foglie dimenticate, sui bordi del campo. La terra sbuffa vapori sottili, che si sciolgono pigri sotto un cielo turchino come fragili sogni, alla verità.

I quattro gradini, la porta socchiusa, la piogia sottile, non fredda oramai. Tu apri le braccia. Un sorriso , denuda la gioia d’avermi… d’averti… Il mormorio di sussurri annulla un presente smarrito su labbra, dischiuse in un bacio.

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MAURIZIO CHIAPPI Maurizio Chiappi ha scoperto la sua passione per la scrittura fin dagli anni delle scuole medie, iniziando a comporre prima dei brevi racconti e in seguito vere e proprie poesie; il suo amore non è mai scemato, e tutt’oggi continua a scrivere. La casa

Estate a Vignanotica

La casa che amai

Nella notte scivolarono

era la tua casa era il tuo giardino.

i nostri corpi per un sentiero che portava al mare

La casa che amai erano i tuoi sogni.

e ci gettammo in quell’oscurità su una spiaggia finissima

Toglie il tempo e un giorno non sognasti più con [me

tra le braccia di gigantesche scogliere lasciammo scorrere il tempo

La casa che amai parlò ancora

e s’aprì davanti a noi la notte delle stelle e della luna.

con i tuoi fiori ma chiuso il cancello lasciai crescere l’erba e nulla più.

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Timidosa rosa

Pescatore

T’affacci da un balcone o dall’angolo di un giardino

Dove vai? Pescatore solo in mezzo al mare color smeraldo

ancora chiusa nascosta come i pensieri più belli.

in cerca della tua parte di ricchezza ti allontani

Timidosa rosa perduta in un mondo distratto

e più non torna la forza con cui tiravi le reti

arrampicata con le unghie su di un sudicio muro splendente

e l’onda lunga culla i tuoi pensieri mentre ti affanni

piegata in due ad abbellire un vecchio cancello

moribondo come quei pesci hai il cuore

e non so se continuare a guardarti o coglierti

ricordi?

per regalarti a chi mi regalò colori

Dove vai? Pescatore solo in mezzo al mare

Anche lui agile guizzava.

tu con i tuoi petali lei con le sue risa.

e più non torna ciò che ti spingeva felice a uscire dal porto e dava gioia nel farvi ritorno.

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VIOLETTA CHIARINI Attrice, cantante e autrice, laureata in Scienze politiche col massimo dei voti, ha poi optato per l’attività artistica. Formatasi con grandi maestri dello spettacolo internazionale, con le sue creazioni ha riportato successi di critica e di pubblico in Italia e all’estero. Come la tua gatta

Dedica a un esorcista

Da sempre sono allo sbaraglio, ma ora, come la tua gatta, attendo momenti di quiete all’ombra di un raggio di luna. Con te ho dissepolto il mio pianto: a volte il dolore scompare nella rievocazione del dolore. E tu mi accogli e cogli le mie lacrime, le cambi nei diamanti dei Druidi, ne fai la mia corona regale. E mi culli coi tuoi canti marini e ti piace che io li riecheggi. Ma tu non ascoltarmi quando sono Amleto che parla con Ofelia! Il sole spesso non mi riconosce, ma tu sì, tu sempre, anima mia, mio querciolo frondoso di [maggio, mio morbido giaciglio, mio [ristoro, mia brezza, mio iris rugiadoso, mia dolce onda lustrale, mia [catarsi.

Non giocherò più coi tuoi capelli, lì, tra il collo e la nuca, dove teneri si offrono alle dita sensibili, né mai la pelle dei tuoi polsi vorrà più fremere per me. in melodie di seta. Non giocherò più coi tuoi capelli, mai più i lunghi sguardi con le fessure del gatto che mi serravano felici in una prigione di smeraldo; mai più le dolcezze dell’alba davanti a un antico portone. L’esorcismo è finito. Raccolgo la mia bisaccia e dico col saggio poeta: bisogna andare ora! La strada è lunga, la strada è lunga… È necessario sopravvivere. Sopravvivere… Canzone con la musica di Mario Migliardi per uno spettacolo di Violetta Chiarini

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Conoscere è amare

Laura vola a Ferragosto

Vorrei che tu ti vestissi di opale, vorrei tuffarmi nelle tue [iridescenze, ad una ad una, universi infiniti che aspettano di essere esplorati. Vorrei essere il tuo specchio [d’oro, vorrei che tu vi guardassi dentro senza paura alcuna, ma soltanto con l’emozione della prima volta, con lo stupore di un adolescente che, stravolgendo il mito di [Narciso, si osserva per rifarsi intero e [nuovo. Ma forse tutto questo accade già, a poco a poco, irreversibilmente e noi ci incamminiamo per [sentieri sconosciuti, dorati di ginestre e l’erba ci accarezza i piedi nudi e non sentiamo che siamo in [salita…

Silenzio alfine nella città vuota, ferragosto di sole che accarezza, cristallo e lapislazzuli del cielo, dopo la pioggia che ieri batteva. Più verdi i tigli splendono nel [viale sull’ocra dei palazzi addormentati; al fremito canoro le cicale ritornano con note delicate; indisturbati tubano i colombi, ampi cerchi disegnano nell’aria e abbracciano le piazze e i [monumenti. Questo è il momento magico [dell’anno, quando sembra che Roma sia [sospesa mentre attende un evento [prodigioso. E tu, Laura, hai detto “Ecco, è [l’ora!” Hai dispiegato le possenti ali forgiate con il fuoco del coraggio della tua lunga sofferenza immane in un dono d’amore sublimata, per ricordare alla gente distratta che la Vita è il supremo dei valori. Nel cielo di cristallo e [lapislazzuli, con il sole d’agosto carezzevole il volo tuo verso l’Eternità. In morte della show-girl Laura d’Angelo, il 15-08-2010

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LOREDANA CHINATTI Loredana Chinatti è nata a Trento nel 1950; nipote di artisti murali della val Rendena, si è diplomata alla scuola professionale di sarta. Ha lavorato presso gli istituti ospedalieri di Trento, attualmente è in pensione e si dedica alla pittura e alla poesia. Poesia a Lucia

Africa devastata

Fosti come una rosa appassita strappata dalla linfa vitale della tua giovane vita la tua breve esistenza fu di dolore la tua forza vitale fu il tuo coraggio ignara di un crudele destino distrusse le tue speranze, predestinata alla morte un’auto pirata pose fine alla tua fragile vita, di te la morte fu un sorriso dolce, così come è la vita, ora in cuor mio, insanguinato di dolore, come in fiore insecchito conservo il tuo prezioso ricordo.

I tam tam nella foresta hanno smesso di suonare al posto dei tamburi risuonano i fucili. Negli occhi dei bambini rispecchia la paura non sanno se vivranno fino all’alba del domani, non hanno cibo per mangiare non hanno giochi per giocare non hanno sogni per sognare. Non ballan più la rumba i bambini della giungla, ma con il fucile in mano piangono di paura. Insorgono i tumulti in questa nuova era tingendo di rosso l’Africa nera.

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Il vento

Compagna tristezza

Nella profonda oscurità della [notte irrompe nel silenzio un sibilo di [vento odo in lontananza un frusciar di [foglie degli alberi frondosi che [disturbano i miei quieti sonni.

Compagna tristezza che nel [silenzio della notte t’avvicini a me, e mi sussurri parole di dolore che tormentano la mia anima, dimori dentro di me; sempre nella [notte oscura a volte odo i tuoi suoni duri a volte sono dolci, ma sempre lasci ogni ferita aperta là dove scorre il sangue [lentamente. Bevo alla mia coppa riempita di tristezza, e brindo alla mia vita che mi [tormenta, se tu potessi riempirla di gioia. Farei di te la mia compagna [prediletta, soltanto lacrime mi regali per poi andartene e ritornare, dammi sogni, speranza e amore, così potrò brindare con la mia [coppa in mano e lentamente assaporare quel [gusto dolce e a me soave.

Poco a poco con impeto furioso Incombe la tempesta sbattendo e tremolando le [persiane. Intanto mi trastullo pensando [all’indomani: se il vento messaggero porta il bello o il cattivo tempo mentre l’orologio del tempo scandisce le sue ore, al crepuscolo del giorno risorge un nuovo giorno. M’affaccio alla giornata con un cielo chiaro azzurro trovandomi di nuovo con una notte insonne e di pessimo umore.

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SARA CIAMPI (Genova, 24 gennaio 1976) vive ed opera nella sua città natale. Conseguita la Maturità linguistica, le sono state assegnate le lauree H.C. in Lettere (Spagna, 2000) ed in Filosofia (USA, 2001), il Master in Literature and Philosophy (USA, 2004) ed è stata inserita nell’“Ordre Docteurs CEE”. Tra le sue pubblicazioni: “Malinconia di un’anima”, “I giorni dei cristalli”. È presente in antologie, riviste e dizionari, e vanta numerosi premi e riconoscimenti. dalla forza irrefrenabile delle onde del destino!

Onde Avvolta dalla fioca luce del [crepuscolo cammino lentamente sulla spiaggia ormai fredda e [deserta. Mi siedo sulla sabbia. Resto a lungo a contemplare le creste delle onde che si innalzano bianche e [spumeggianti, maestose nel buio sempre più [fitto; intanto, nella profonda calma [della sera, ascolto il canto del mare. Com’è piacevole udire, amate onde, la vostra perpetua voce capace di placare ogni dolore! Com’è triste però, impetuosi cavalloni, veder crollare il più bel castello di sabbia sotto la furia della vostra [violenza! E quanto amaro è il pensiero della nostra vita travolta

Campane È giunto settembre. Nel paese in ogni via si gusta già il sapore d’una piacevole calma. Passeggio lungo un viale mentre una pioggia di foglie m’avvolge nel suo manto [autunnale. Immersa in quest’incantevole [silenzio odo in lontananza il suono delle campane. Quanta gioia donavano nel festeggiare ieri quella creatura appena nata! Ma nulla oggi è più triste di quei sordi rintocchi 79


che si perdono nella malinconia del tramonto.

I giocattoli

Alle future generazioni

Una folata di vento ha spalancato un giorno la porta di quella vecchia stanza: la stanza dei miei balocchi. O cari giocattoli, fedeli amici della mia stagione più lieta, da quanto tempo non vi stringevo al petto! Nella penombra della camera con malinconia vi guardo, antichi balocchi, amati compagni d’un lontano passato, vi guardo, mute bambole [sorridenti, che fissate con indifferenza le mie lacrime di rimpianto! I rintocchi della pendola mi annunciano che è tardi. Devo chiudere quella porta, devo lasciare il nido dell’infanzia. Non mi resta niente se non la dolce melodia d’un [carillon, rimembranza d’un mondo [perduto.

Sulla lavagna del Tempo è incisa la Storia dell’Umanità, e voi, generazioni del futuro, non dovrete mai dimenticarla, poiché patrimonio del passato. Ma il futuro dell’Uomo appartiene a voi, figli del domani, che avete il difficile compito di scrivere con la penna della vostra coscienza le sorti del Mondo dove vivrete, un Mondo da sempre oscillante fra eterni conflitti e grandi [speranze.

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FILOMENA CIOFFI (Cervinara – AV, 21 aprile 1950). Ha pubblicato alcuni lavori fra i quali: “Cronache Italiane”, “Il Cenacolo”. Ha partecipato al III premio “Adriatico” con la poesia “Mamma”, riportando l’importante Premio speciale Regione Campania per la poesia inedita. È presente anche nell’agenda “Le Pagine del Poeta” dal 2002. Amicizia

Gemelli!

Rivediamoci! Ogni tanto si dice. “Sai… i figli… la famiglia… La lontananza… Ricorda sempre: un filo invisibile ci legherà per sempre. In un anno lontano, nella lunga attesa, i bimbi giocavano, tu raccontasti, io raccontai: tu… giovane sposa rimasta sola, io… giovane ragazza, matricola. L’amicizia, vera, profonda, nata aspettando un treno, è salita e mai più scesa.

Trepidante attesa: si sa cos’è… / si sa com’è… Ma come saranno? E passa il tempo… In un baleno una porta si apre “sono nati! Stanno bene.” / si sente, e, finalmente, irrefrenabile un pianto… Un lungo abbraccio, lacrime di felicità… sono le nonne! In un giorno assolato due stelle son nate nel firmamento del pianeta famiglia. Che meraviglia! Ora brillano, / le due stelline, di luce propria che tutta attorno irradiano, / illuminano, / riscaldano. Sono la gioia di mamma e papà.

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’A Mamma

Dico a papà

’A Mamma è ’a cosa cchiu’ bella ca ce sta, è ’a cosa cchiu’ bella ca ognuno ha tenuto. A mamma è ’na perzona che ce ’a mmiso coppe’a terra, essa ce ’a ’mparato a ffà ogni ccosa: a ridere e a camminà, ma, chello ca cchiù conta, ce ’a ’mparato a ppenzà e a sta comme se deve dinto ’a sucietà, mmieze a tutti quanti ll’ati. Essa ha fatto tanti sacrifici pe’ nnui figli suoi, pe’ ce dà ’na bbona sistimazione e’ cu’ l’esempi suoi, ’na bbona rucazione. Ogni figlio avessa penzà che una mamma sulamente tene pe’ tutta a vita soia, ma nun riesce mai a capì quanto è grande chistu tesoro: ’o capisce sulamente quanno l’ha perduta!

Volevo rubare l’idea a tanti… a tutti i poeti per dire un bel pensiero al mio amato e buon papà. Tante frasi son belle, quante ne ho lette… ma sono per tutti i papà! Il mio papà è unico, è… grande, perciò da solo devo pensare, …pensare e dire a lui: – Papà sei il mio tesoro, dirti solo “Ti voglio bene” …è poco. A volte ti vedo stanco: lavori per me! oppure ti vedo pensieroso: tu pensi sempre a tutti! talvolta ti vedo arrabbiato: qualcosa non va! E allora? Ti vengo vicino, ti carezzo con dolcezza e… il sorriso ti illumina tutto: c’è tanta pace sul tuo viso! Che gioia in me! Che felicità!

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IOAN CIPRIAN FARCAS Ioan Ciprian Farcas è nato a Bacau, in Romania. In Italia dal 1996, lavora in ambito socio-psico-sociale e come volontario fa il mediatore linguisticoculturale. Esperto di multiculturalità e intercultura gestisce la comunicazione, come addetto stampa e consulente linguistico, di alcuni personaggi pubblici. nel porgerti la spalle nel traballare incerto quando t’offro la spalla. Amico mio ti scrivo pur seminando dubbi ma certo di certezza del mio benvolere. Amico mio fratello col sangue differente ma a te mi lega il cuore col mio benvolere. Amico mio esisti esisto anch’io distratto esisto limitato nel non saper tacere quando la legge impone silenzio e affetto. Amico mio esisto limitato malgrado ciò che lega a me te mio [amico non ha limite e peso ma puro benvolere.

Amico mio se il dubbio ti assale Amico mio se il dubbio ti assale, se il forse e il forse ancora cinguetta nel tuo cuore abbi certezza nel mio ben volere. Amico mio se il buio ti assale, e il giorno s’ingrigisce e il sole si appanna. Se le stelle notturne smettono di brillare abbine a lume e guida il mio benvolere. Amico mio ti scrivo dubbioso dei giorni in cui vivo ma certo d’investirti del mio [benvolere. Amico mio io rendo il grazie a un dio o al fato che con benevolenza e senza [indugiare, ci ha seminato i passi per farci incontrare. Amico mio gioisco e ’l gaudio m’assale sapendo d’appoggiarmi sulle tue [larghe spalle. Amico mio m’angoscio del [dubbio di fallire 83


A volte soddisfatto A volte assai affranto. Vorrei padre che tu Condissi i miei giorni Col tuo parlare muto, Col senso dell’onore Con la legge nel cuore Già colmo di amore. Vorrei padre che tu, Fossi al mio canto Nei giorni in cui piango, Nei giorni in cui rido Nei giorni in cui soffro E quando mi ripiglio. Vorrei padre che tu Tornassi un vivo padre.

Vorrei averti qui o padre mio Vorrei averti qui o padre mio A condire il mio buio Col tuo parlare muto. Vorrei averti qui con le tue [certezze, A estirpar le mie atroci incertezze. Vorrei padre tu fossi Un’ombra ambulante Una presenza costante Dei tristi giorni miei. Vorrei padre che tu Tornassi nel presente Col corpo, con la mente Col tuo parlare silente. Volevo superarti, Volevo annullarti Volevo conquistarti Il tuo assenso muto. Volevo padre mio Dirti che ti sbagliavi Ma ora che vorrei Averti qui con me Vorrei tu fossi vivo Vorrei che risorgessi Vorrei che tu vivessi Vorrei che mi amassi. Vorrei o padre mio Gioire del tuo viso Che a volte paradiso Quando ci avesti intorno, A volte la tristezza Nel non vedere il giorno Di noi grandi e affranti. A volte infastidito Di noi gran chiacchieroni, 84


FERDINANDO CLAVARINO (Genova). Dal 1968 abita a Roma. Tra le raccolte poetiche edite ricordiamo: "Marasma e inni sacri" e "Letture e esercizi". A quest’ultimo libro ha dedicato un’epigrafe introduttiva Mario Luzi. Tra gli autori che si sono occupati della poesia di Clavarino: Giorgio Cavallini, Giuliano Manacorda, Aldo Palazzeschi, Nino Palumbo, Sergio Pautasso, Andrea Zanzotto. Voglio strafregarmene del mondo [e pensare con la testa di un bambino. Non rinuncio a pensare che la [cosa è perfettibile. Qualcun altro, farà meglio di [noialtri. L’esperienza dimostra che gli [scacchi della storia saranno riscattati in eterno. Voglio strafregarmene del mondo [e cantare la canzone di un bambino.

Ballata del ritornare bambino Voglio strafregarmene del mondo [e guardare con gli occhi di un bambino Le montagne si estendono [all’orizzonte secondo gradazioni diverse. Un vento colore di perla esalta la chiarezza della valle. Voglio strafregarmene del mondo [e ascoltare con le orecchie di un bambino. Il camino, nel suo viaggio verso la [notte, elemosina un supplemento di [legna. I rumori, attutiti dal pavimento, richiamano misteriose presenze. Voglio strafregarmene del mondo [e sentire con il cuore di un bambino. Il bicchiere di vinello sollevi gli [spiriti, la serata si prolunghi a ruota [libera. Dimentichiamo l’acredine dei [vecchi professori, la polvere che si annida nei loro [libri.

Sensazione di estasi È troppo bello, Signore. Temo di non sopportarlo. Realizza il tuo grande disegno guardando alla mia povertà

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Canzonetta per l’alba

Ricognizione

Ti sei svegliato un mattino per veder sorgere il sole. Il sole, effettivamente, sorgeva, preceduto dalla notte e dal [crepuscolo.

I paesi solari esistono nei giorni di pioggia e i dominî del vento nelle giornate quiete. Non è una posta che si possa più o meno accettare: è una condizione prescritta.

Il vero sorgere è l’alba: con quell’alito di vento, con quel fremito della terra, il gridolio che non afferra chi non vede sorgere l’alba.

I luoghi dove già siamo stati, ci sono familiari od estranei? Forse sempre conosciuti e mai conosciuti abbastanza. Una dolce ricognizione – non un pellegrinaggio – più dolce se fossimo insieme, come due amici, cresciuti insieme, che abbiano molto da raccontarsi.

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FILIBERTO COLONI Filiberto Coloni è nato a Tuoro sul Trasimeno (PG) nel 1964. Ha conseguito la maturità classica presso il liceo Luca Signorelli (Cortona) e la laurea in Biologia presso l’Università degli studi di Perugia; ha pubblicato Atomi nel 2009 ed Isolaè nel 2011. Guardami senza vedere ascolta il mio sguardo ascolta il mio corpo sale marea in gola muta è parola. L’amore è fiorito non farlo appassire servono lacrime per non morire. Non toccarmi amami.

Piegato ballando un tango con me stesso tempo da sempre inesorabile colpo di cassa.

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Vorrei poter non cadere in questa nera terra culla di finta quiete vorrei planare concavo su fiume in piena viaggiare nel mare in tempesta ironico molinello di me stesso bambino ancora sulla giostra adesso coccolato e chiuso tra le onde fiore al vento che spera cader lontano nel tempo.

Solo come specchio al buio freddo aspetto per vestirmi di te dei tuoi occhi luci lontane lanterne fuggenti in avvicinamento dispensatrici di luce arcobaleno che squarcia nubi lontane ma nulla sa di sĂŠ.

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ALESSANDRO CORROPPOLI Alessandro Corroppoli è nato a Termoli e lavora a Campobasso in qualità di educatore. Sue poesie sono state pubblicate in varie riviste del settore e in quotidiani, nel 2010 è uscita la sua prima raccolta edita dalle Edizioni del Leone “Sulle Strade della Realtà”. Uscite notturne

La solitudine

Brancola nel buio la macchina dello zio alla ricerca del suo oblio.

Le tue parole erano, nel mio deserto, mandorle che germogliavano fiori che profumavano.

Si ferma, parcheggia lungo la strada per la traversa amoreggia, si rinfresca.

Ora tu mi ungi con l'acqua della [solitudine facendomici sguazzare dentro ti chiedo una carezza mi dai un pugno.

Accende una paglia e svuota una pinta di birra.

Perché?

L’alba s’avvicina ma lo zio non l’intravede perso nel suo tetro barcollare tra le traverse della felicità.

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I miei sogni

I tuoi passi

Cos’è che mi spaventò così tanto nei miei sogni da indurmi al [risveglio? C’era un bambino che uno [specchio mi porgeva e di guardarci dentro mi ordinava ma quando in quello specchio [ammirai un grido lanciai il mio cuore si impietrì.

Sentirti addosso come la mia [salvezza come una cosa nuova come le tue mani a metà di [maggio.

Non era il viso mio che si [rifletteva ma la smorfia e il riso beffardo del demonio.

Hai letto il mio futuro hai spulciato tra i miei ma dando loro un perché ora Tu mi chiedi di aspettarti.

I giardini dell’Eden stanno [bruciando, fatemi un elettroshock di vita buttatemi giù dal grattacielo [mondo: lasciatemi volare tra i sogni arditi fino a farmi schiantare al suolo [con essi.

Come il matto dei tarocchi a testa in giù mi vedrai e camminerò affinché i tuoi passi possa seguire, udire, annusare e vederli arrivare a me.

Nelle tenebre ho visto luce, lasciami nelle tenebre potrebbe [venire fuori la luce, aspettami se saprai.

Alle visioni oniriche affidiamo la [nostra giovinezza, proteggetemi da ciò che desidero.

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NICOLETTA CORSALINI Poetessa, narratrice e critica, nata a Bonefro (CB), vive in Toscana. Tra le raccolte pubblicate: “Fiore di loto” 1999; “Di fronte al destino” 2008. Sue liriche sono state inserite in prestigiose antologie, siti e riviste letterarie. Attualmente collabora con il sito letterario Literary e dirige le collane di narrativa e di poesia “Crisalide” per la casa editrice Masso delle Fate di Signa (FI). Fiore di loto

Donne del Sud

Delirio nella notte: le tue mani di seta sulla mia pelle d’avorio.

Torpore invade il tempo negli assorti sguardi l’aria immobile rispecchia desideri sdraiati su sassi di sole.

Brividi nell’anima, pazzia nella mente, ti vedo letizia vivente.

Polvere di ricordi riposa nelle crepe di stanchi visi rassegnati alla fuga di figli verso il nord

Afferro la tua essenza fiore di loto, ricoprendomi con un velo d’oblio ritrovo le radici del mondo.

verso opportunità di vita negate.

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Destini

Ti sento

Tra vicoli e su scalinate fruscii di lunghe nere gonne

Ti sento come niente fosse successo come niente fosse cambiato

scalpiccii di solitari pesanti passi di donne senza età rompono la monotonia del giorno che muore.

solo il tuo tocco è più leggero solo il tuo volto è più eburneo le incertezze sono dimenticate ed è tutto trasparenza il cielo

Rinasce uniforme e immota la nera notte, specchio del loro passato e presente destino privo di avvenire.

“della candida rosa”.

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LUCIA CRISCUOLO Lucia Criscuolo è nata a Cava de’ Tirreni (SA) nel 1957, si è laureata presso l’Università Orientale di Napoli ed è docente di Lingua inglese. Ha pubblicato diversi romanzi brevi, è autrice di numerose poesie, presente in alcune antologie; è segretaria della “Lectura Dantis Metelliana”. Nonsensical

Gioco di sempre

Nello spazio del tempo Oltre l’apparenza del reale Nuvole di sole Sospese sull’ Eterno Narrano di deserti Svelando arcaiche presenze Identità nascoste Confuse in concerti di vita Attimi trapassati Lentamente consumati.

E l’infinitamente coeso si frattala a ridestare vita assonnata. Riprende il gioco del brioso Eterno ai primi tiepidi raggi di sole. Timide pratoline danno colore all’erba. E i resti assopiti del caos si ricompongono in ordine.

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Sotto il cielo di Göreme

Nel mistero del silenzio

Sotto il cielo di G reme, tra pinnacoli e balloons, vedi suoni di farfalle, trovi quello che non c’è.

Nel mistero del silenzio e dei suoni i miei occhi nei tuoi, pettirosso smarrito, come lame di vetro recidono il velo opaco degli orizzonti.

Bevi il tempo della storia nella furia iconoclasta, pensi ad occhi bocche e cuori per figure ormai sconciate.

Sul profilo dei confini di una nuova sinfonia ascolto le tue forme e bevo la tua danza.

Tra calanchi bianchi ed ocra e cartelli rugginati, aspre viti ed albicocchi sono palme dell’eterno.

Appendo il tempo sulla gruccia dei sogni e lentamente muore la ragione.

Nel deserto che ti cambia, per malizia e santità, cogli il senso amaro e rosa della vita che non torna.

Tra pieghe mai sgualcite di ricordi e cascate d’amore e vapori d’infinito, indosso i brividi delle tue piume brune. E siamo un tutto con tutto ciò che esiste.

Impossibile fermare l’incalzare delle crepe, sotto il cielo di G reme.

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ANNA MARIA D’AMBROSIO BOGONCELLO Nata a Lido di Venezia nel 1951, fin da piccola ha amato la letteratura e l’arte poetica, è la nipote del poeta vernacolo veneziano Francesco Zorzi. Dopo un ventennio dedicato con passione all’insegnamento, nei suoi momenti liberi si dedica a scrivere poesia per amici e familiari, sui quali ha realizzato una cinquantina di “Ritratti”; sue poesie sono state pubblicate ne “L’Agenda del Poeta” della Casa Editrice Pagine. Mani di luce

Infanzia negata

Mani di luce sorgenti di vita, serenità d’anime e di spirito, quanto hai donato soffrendo e gioendo con i fratelli, tante vite hai salvato e molte risollevato ridandogli la voglia di vivere Grazie, Signore, per il bene e l’amore che un uomo può donare, il suo animo gioisce nel dare senza nulla chiedere in cambio: solo un sorriso, un abbraccio d’amore.

Infanzia negata ricordi di bimba, letture profonde, lacrime celate, giochi perduti nel tempo. Addio fanciullezza, realtà mai vissuta, ma sempre sognata.

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Mare d’inverno

Luna marinara

Folate di vento mi schiaffeggian il viso il mare mugghia, marosi spumeggianti s’infrangono sulla battigia fiumi di ricordi vivono in me. Padre, da bimba, mi tenevi per mano, mi portavi a vedere il mare, un profumo salmastro emanava dalla tua pelle olivastra il tuo corpo atletico s’immergeva nei fondali marini e simile a un gabbiano baciavi le acque. Ora non sei più con me ma la tua ombra mi segue ovunque lunghe le rive sabbiose e il tuo odore salmastro penetra nella mia pelle. Tu sei il mare, il mio mare d’inverno.

Un vento caldo sfiora le mie guance sollevando la gonna ampia, [leggera, a piedi nudi danzo sulla sabbia, i primi baci, le fragili carezze profumano di mare. La luna, sonnacchiosa all’orizzonte pare volermi dire “Vivi la gioventù cara fanciulla, l’età fugge veloce e più non la riprendi; vivila ora, domani è troppo tardi”.

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GIOVANNI D’ANDREA (Vibonati – SA). Si dedica alla poesia fin da ragazzo. Appena maggiorenne parte per Stoccarda, dove si iscrive alla GEMA come autore. Alcune sue poesie sono state lette nei programmi radiofonici di Radio Praga e Radio Monaco di Baviera. È stato finalista, tra gli altri, al “Festival del Tricolore” (RE) e al “Festival della canzone italiana” (Melbourne, Australia). Ultimi premi: III premio “Vittorio Alfieri” (AT); II al “premio Priamar” (SV). Chi troppo chi niente

Sei dentro di me

Nel mondo c’è tanta, troppa gente che ha meno di niente. Invece tante, poche persone hanno troppo per se stessi, e la loro incoscienza li rende irresponsabili. Mentre, chi non ha niente, è cosciente, totalmente, della propria debolezza che, poi, diviene violenza e dà modo ai potenti di essere prepotenti. Così, derubano gli scontenti dell’unica cosa che hanno: è la dignità umana, è la loro libertà.

Vorrei fare a meno di te ma non è che un tormento. È una lotta nel mio interno senza tregua, di un istante. Sento la tua presenza in ogni attimo di vita, cerco di non vederti, ma sei impressa nei miei occhi. Niente mi può aiutare a cancellare la tua immagine, per potermi, almeno, illudere che per me non esisti più! La notte, poi, che dramma; ogni cosa alla mente ritorna, tutto ciò che non intendo non mi dà pace un momento. Le ore passano, così, lente e il mio corpo è fremente, vorrei, tanto, allontanarti ma, ormai, sei dentro di me!

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Non sarò

Due Novembre

Non sarò procreatore di esseri innocenti. Cancellerò l’illusione di poter travivere nel corpo della mia prole. Non genererò corpi di carne per le iene che attendono e, dall’alto, dominano.

Ora che non ci sei più, cara mamma, io non ti porterò fiori di crisantemi. Essi son fiori freddi perché l’ha coltivati. Ti porterò, a tempo, viole e margherite: sono fiori che nascono liberi nei prati e nel sottobosco. E poi, non sono spenti ma gioiosi e vivi. Sono questi i fiori che conoscevi tu.

A mia Madre

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RAFFAELE D’ORAZI Raffaele D’Orazi è nato nel 1953 a Vitorchiano, nell’alta Tuscia, si è laureato in sociologia alla Sapienza di Roma, ha militato per lunghissimi anni nella CISL, ora è consigliere di minoranza al comune di Vitorchiano. Negli ultimi dieci anni ha pubblicato testi teatrali, antologie di poesie, saggi, è presente in varie antologie poetiche, sia in Italia che all’estero. L’attrice

Ipocriti

Cala il sipario, resta ancora l’attenzione verso la tenda che scorre per decretare la fine

Nell’oasi delle sconfinate risorse umane tace la menzogna dei ciarlatieri virulenti, sazi nell’animo solo

d’uno spettacolo pieno dell’enfasi della farsa che si è compiuta, lasciando sorridente il pubblico.

della discordia che li contrasta, nella conoscenza priva di scrupoli solo per arrivare alla malavitosa meta.

Prima che l’usanza sfolli nel chiacchierar sottile, ritorna l’echeggiar seducente dell’attrice che indicando

Architettano castelli di babilonesi intrighi per dare in pasto alla folla le false credenziali spese male.

il corso della storia avanza un paragone che sembra quello della donna che m’ha rapito.

Qui il mistero della natura ingigantisce l’animo al solo suono del continuo cinguettare [dell’usignolo.

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conoscenze d’altolocati mondi, che solo a sentir i loro nomi nasce

Un’altra livella Come passo il tempo: nell’ozio d’un giorno dedicato ad ascoltare; gli amici, il conoscente, l’anziano, l’industriale, il politico, il cristiano, il venditore ambulante che strilla i suoi gioielli.

un brivido di stizza, avendoli nella casuale strada visti o incontrati, la soddisfazione stava nel capir che la livella della vita prima o poi arrivava a pareggiar i loro continui insaziabili misfatti.

La coreografia d’ogni considerazione sta nella logica d’essere il despota della buona funzione nazionale, … Hahh!… se ci fossi io a governare… farei: il cesello delle cose più belle… giornaliera utopia.

Sguardo felino Il momento della vita non si ferma in quel confine che delimita i raggi penetranti del

La gente che passa saluta, confusa dal rionale mercatino, lascia trascorrere [inutili momenti a raccontar proprie

senso onnipresente delle cose ma va oltre ogni aspettativa delle congetture [artificialmente create fermandole all’istante.

e altrui disgrazie come se gli argomenti fossero solo quelli, s’accende un bailamme di luce.

Negli spazi ideali si consuma il forgiare dei sensi, ignorando conseguenze del costante pericolo in agguato,

Ma come fra tutte le cose arriva il turno dell’idiota che proprio non sopporti, sempre

crescono gli istinti per prendere in mano un nuovo destino affidato ad uno sguardo celestialmente felino.

in mostra mette soldi, 100


ANNA MARIA RITA DAINA Ha cinquantatré anni, siciliana dalla nascita e marchigiana per amore; psichiatra psicoterapeuta familiare, madre di tre ragazzi. Vive a Monterubbiano e lavora nel servizio pubblico. Si interessa di promozione della salute e di cura del paesaggio. Ha scritto “Caleidoscopio” per Libroitaliano e “Cantiere” per Medealibri. Vieni amore mio…

Il mio mare

Vieni, Amore Mio, e attingi alle mie fonti e sàziati, sì da moltiplicare la gratitudine per l’abbondanza. Senza pudore.

A volte mi inquieti angoscia terribile risucchio mortale. Timorosa le tue viscere non profano, meticolosa ascolto – la tua pelle appena lambisco – la tua collera, dentro di me.

Di allegria si colmi ogni cellula. Il cuore avvii ritmi di danza e sinuose movenze sposino gli umori, fondino gli aliti.

Tornati confidenti, della tua freschezza mi riempi le orbite, il tuo profumo fin nel cuore del mio respiro, mi cullano le tue canzoni di ritmi mai eguali.

Vivano gli sguardi un’unica visione: di luce splenderanno i nostri volti e nell’estasi dell’amplesso uscirà di prigione l’anima gioiosa.

Alle tue onde affido le mie tensioni di vita, di morte. In questo amplesso la mia mente si nutre di essenziale splendore.

Da “Caleidoscopio”

Da “Caleidoscopio”

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Il mio amore è un’agave testarde radici affonda nel più arido terreno carnose le foglie lacci le sue fibre vitale la linfa aculei gli spini rammenti le ferite se incauto ti avvicini fiorisce di fuoco solo prima di morire ma quant’è bello veder l’agave fiorire.

Rosso Indossavo un costume rosso e i tuoi occhi brillavano, baciavano il seno, stringevano i fianchi. Il mio costume rosso, come la passione, come il tuo tramonto! Da “Caleidoscopio”

Da “Cantiere”

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ROSELLA DANERI (Sestri Levante – GE), dove risiede. Insegnante di scuola elementare, coltiva la passione per la letteratura e la pittura. Da qualche anno partecipa a concorsi letterari ottenendo riconoscimenti, tra cui: medaglia maestrale al premio internazionale “Maestrale S. Marco” (1999); quarto premio al “Gran Premio Terra di Liguria” (1999, 2004). È presente in antologie poetiche e dizionari dei poeti. A mio figlio

Disteso incantatore

Di notte lo sguardo accarezza silente il tuo profilo, stella nel cielo, luce nel mio cuore. Non parole dalle mie labbra ma sussurri di preghiere. Domani le tue conchiglie parleranno di terre lontane, i tuoi occhi di spine dolenti e di lacrime amare. Come ora sento il tuo cuore palpitare al mio abbraccio, sarò come il porto alle navi con le braccia aperte di chi ama. Consolerò il tuo dolore, il tuo travagliato spirito e con il sorriso ti rivedrò partire. sarò il tuo porto. Ti ascolto.

Naufraga sulla spiaggia ti osservo. Vorrei raccogliere il tuo respiro e tenerlo stretto tra le mani come un bimbo quando racchiude tra le sue una farfalla. Tu disteso incantatore di sguardi e silenzi con la voce di sirene non ti concedi. Ti guardo e sogno di potermi stemperare in te come il cielo nelle tue acque. Discendi nel cuore, chi t’ammira attende le onde come carezze, la salsedine come aria. Aspetto le ultime ore della sera per tuffarmi nel tuo canto, nei tuoi bagliori.

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Alba a San Nicolò

Portobello

Indugiano i primi raggi sul campanile, recano aliti di luce su ulivi e querce risvegliando le grigie pietre che la salsedine non rode. Proteso sul mare il tempio di fede trionfa sui secoli testimone di lontane genti ed immortali preghiere. Da lontano solo appare il campanile vetusto, il verde cela l’antica chiesa che si mostra quando i passi vi approdano. Nulla turba la quiete qui la pace trova conforto. Qui le scabre pietre silenti scuotono l’arsura e l’anima si disseta.

Lo sguardo getta l’ancora ed approda dove s’apre un abbraccio di rena e di case che paiono emergere dal fondo vetusto. Il sole assale i muri consunti che si curvano e ansimano all’acre salsedine. L’ira del mare non percuote quest’incanto dove le sirene in silenzio stanno. Sono i colori, i silenzi la pallida rena, il canto eterno che placano lo sguardo errante.

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ANNA MARIA DE MICHELE BOSCAINO Anna Maria De Michele Boscaino insegna a Benevento. La sua inclinazione poetica è stata visibile fin dall’infanzia e dalla prima adolescenza; molti i riconoscimenti di varie agenzie e accademie culturali, da anni compare ne “L’Agenda del Poeta” della casa editrice Pagine e quest’anno è stata inserita nella nuova antologia poetica della stessa Casa editrice. Vecchi

Eternità

Stretti sulla panchina nel sole pallido d’inverno Vecchi appesi a un filo con la speranza nelle tasche insieme a vecchie foto di famiglia. Pretesti per parlare… E passanti dimentichi che questi più di altri hanno comunque subito il fascino della vita.

Perduta in sconcertante conflittualità povera umanità brancolante e insicura nel tunnel ancora più infido dell’attesa, con l’incedere maldestro che, certo, la tinta del pavone non copre.

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Notturno beneventano

Uomo a metà

Ti hanno vista sulle mura longobarde raccogliere grappoli di stelle da donare al teatro avvolta nel tuo mantello blu come la più bella delle notti e sui muri dell’Hortus a S. Domenico, in silenzio ascoltare le note dei [concerti respirando la speranza del [domani, alitando spire di vento caldo sugli spalti affollati come profumo di vita e di eternità.

Uomo che vai nella notte dei tuoi giorni perduti nel ricordo pungente dei tuoi giorni andati con l’amara scoperta che si fa sempre più certezza della tua realtà oppressiva. Vai uomo vai tu che non comprendi l’immensità di un sentimento anche se lo conosci tu che non riesci a liberare la tua vita dalla ragnatela incredibilmente resistente del plagio, della violenza della incapacità, della debolezza. Uomo tu sai… Ti rimarrà sempre addosso il colore del perdente. Sarai vestito a metà dalla voglia di completezza che cerchi dalla luce che si fa largo dentro di te ma che non riesce a brillare fuori tra gli urti e le sgomitate degli stolti.

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FABIANA DEL BIANCO Fabiana del Bianco è nata a La Spezia, dove risiede. Scrive poesie da una vita, ha vinto molti premi in vari concorsi, pubblicando nel 2004 la sua prima silloge; collabora con l’Associazione Arthena del comune di Lerici, le sue poesie sono inserite in molte antologie in Italia e all’estero, nonché in molte agende edite dall’editore Pagine. Leggevo le stelle

Gli anni del nostro ieri

Tra le gocce dei bicchieri Nelle tue mani intrecciate Nel giorno rimasto immobile Girava come una pagina La morte che traffica dentro di te.

Madre morte Sono finiti improvvisamente tra il [vento Caduta è la nave del cielo Dalle terre morte Le fiamme portano in alto la [novella Per corrompere la falsa pace.

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Nel cielo l’arcobaleno

Il costume a righe

Tu cavalchi i suoi colori Sei nell’immensità Ti volgi a questo mondo intero E chiedi anche il suo perdono Nel buio della profonda terra Il Dio ti ha portato via Ti ringrazia di aver donato amore Nel cielo mille colori Che Dio, come tu dicevi, [confonde in Arcobaleno

Solitaria la spiaggia nella mattina [di agosto Il bambino con il costume a righe Divertiva i suoi istinti respinti Scavava la sabbia fangosa e Lasciava l’acqua fredda [impetuosa portare lontano barche di carta [stracciata Non rideva, il bambino con il [costume a righe Lacrime amare scivolavano sul [petto Sporco di sabbia inumidita dal [mare L’onda impetuosa e omicida Compare improvvisa Nella sabbia infuocata Il costume a righe è restato A guardare il mare che Calmo, sorride.

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MARIA GRAZIA DELL’ORO (Svizzera) Nata da genitori italiani, ha due figli e una torma di animali che adora. È appassionata di letteratura, filosofia e botanica; scrive poesie: ha pubblicato la piccola raccolta “Astrid” (Libroitaliano, 2005) ed ha partecipato all’“Agenda del Poeta” (2008-2012). Ho abbracciato il tempo con la mente indossato un abito ampio rose e boccioli tenui ondeggiano allegri il prato distende verdi luminosi ombre fresche dei faggi rossi minuscoli cedri sfidavano il vento crescerò svettando accoglierò nidi e pigne segrete tele. liscio la gonna con la mano lenta mi accomodo sulla sedia inerte il tappeto ruvido mi richiama alla quieta realtà della casa

L’immensità del cielo stellato, nelle tiepide notti primaverili ci rammenta i sogni adolescenti di un’epoca in cui le stelle cadenti suggellavano un patto tra noi e l’eternità tra il sempre che avremmo voluto e il nulla che sentivamo già appartenerci

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Bar Terapy

I suoi passi

“Buongiorno signora” un caffè? “Sì grazie”. Mi siedo ed osservo il lento cerimoniale di un dopo pranzo al bar Fogli lenti scrutati da un uomo a cui lei sorride perplessa: il cane sonnecchia nell’angolo e fuori il sole di Febbraio sorprende di luce la vetrina opaca. Si entra, si esce… tic tic tic lo scontrino, la cassa, lo spiffero freddo, la briciola sfugge… Piccola oasi. Lenta sabbia mobile, fermata volontaria, shock benefico meditazione… bar terapy

Le stagioni hanno accarezzato lente il tuo sepolcro e tu… nessuna parola nessuna tenera cura ti ha richiamata. solo un nome inciso sulla pietra, una foto immobile, vitrea. Leggere, vedere, sfiorare… fiori da annaffiare ogni mattina. Ricordi offuscati come flebili suoni nella mente. Dal viale, tra le ghiaie i suoi passi testardi risuonano: Li senti? Lo senti l’inganno Di un cuore confuso? A Francesca

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ANTONIO DI DOMENICO Antonio Amedeo Di Domenico è nato a Castelluccio dei Sauri (FG) nel 1948. Dirigente Scolastico in quiescenza dal 2009, attualmente si occupa di pedagogia e letteratura, con pubblicazione di articoli, saggi, studi e ricerche: in particolare, ha approfondito la figura e l’opera del poeta italoamericano Joseph Tusiani. È incluso ne “L’Agenda del Poeta” 2011. Pescara Jazz

Gargano

Quante notti di jazz e di passione nell’assolata estate pescarese senz’altre aspirazioni né pretese se non di riconoscere le icone che – senza rete – ad ogni [sessione rinnovano gli assolo e le contese in cerca di passate o nuove intese. E si risveglia – tutta – l’emozione.

A spasso tra le pietre del Gargano non più certezze inseguo od [ambizioni né cerco a questo viver le ragioni che non lo facciano apparire vano. Quassù sembra d’avere il mondo [in mano, ammaliato da dolci canti e suoni di cince, d’usignoli, di rondoni e dall’eco del cuculo lontano.

Tu sei accanto a me e [m’assecondi nei voli e nei percorsi della mente; mi scorti mi contamini e confondi in quello che si vede e che si [sente. Non ci sostiene nessun altro scopo che riascoltare jazz il giorno dopo.

E tutto intorno fiori – quanti fiori! anemoni, giaggioli bianchi e lilla e, in mezzo, qual regina, [l’orchidea. La vita qui è musica e colori e la natura splende, canta e [trilla… intorno a te, per me l’ultima dea.

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Assenza

Rinascita

Un lieve, timido fruscio di vento nel bosco, solitario, [m’accompagna, in questa passeggiata di montagna d’un giorno all’apparenza cupo e [spento. La pioggia spinge i passi – a dieci [a cento – , le mani il viso gli occhi… tutto [bagna; la nebbiolina scende e poi [ristagna. A ciò che vedo e sento resto [intento:

Non fa freddo nel cuore e nella [sera adesso che m’hai dato il tuo [calore, azzurro appare il mare e svelte [l’ore, tutto diverso è il mondo da [com’era: la notte non più lunga non più [nera, il dì che viene senza più timore; ripudia ormai la mente il suo [torpore per affrontar la vita tutta intera.

il ticchettio sui rami, irregolare; il calpestio sul morbido fogliame; lo scroscio di cascata – in [lontananza – che, in un anfiteatro di calcare, di gocce e suoni spande largo [sciame. Qui di Natura godo ogni [fragranza…

E parliamo di fede e religioni, d’etica, di musica e cultura, di gioie, d’amarezze e delusioni, d’incontri, degli affetti e [d’emozioni, di quel ch’è labile e di ciò che [dura. Parliamo dell’amor che s’infutura.

Ma di te colgo, amore, la [mancanza.

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GIOVANNI DI DONATO Giovanni Di Donato è nato a Polla (SA) nel 1988; dopo aver conseguito il diploma di maturità si è trasferito a Potenza per studiare Scienze Geologiche e nel capoluogo lucano ha fondato una band musicale, ottenendo ottimi risultati in Basilicata e non solo. Dopo la prematura morte del caro padre, si divide fra musica e lavoro, senza tralasciare gli studi. Il giardino

Dove

Pianta il seme della giovinezza, raccogline i frutti, e danza con [ebbrezza in questo giardino fiorito, fino all’infinito.

Dove andranno i nostri sogni, quando la nebbia veste di bianco i nostri giorni? Dove andranno i nostri pensieri, quando le nuvole ridono dei nostri desideri? Dove andranno mi domando, staranno vivendo o morendo, danzando o cantando? Staranno forse sul tuo sorriso, che non può morire, non può [essere ucciso, come non moriranno mai le tue [parole, scolpite per sempre nel mio cuore.

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La morte

Fiore lucano

Passo svelto e silenzioso come un astuto serpente, animo gelido e più che velenoso la distinguevano tra l’immensa [gente.

Ho visto tramonti incandescenti dormire fra i calanchi, spiagge combattere le maree con ciottoli bianchi. Ho ascoltato il silenzio dei boschi dov’era di guardia il brigante, e l’ululare dei lupi verso una luna troppo distante.

Occhi pronti a pianger sangue e [miseria taroccati sotto un viso dolce e [aggraziato, sembrasse quasi una capinera.

Ho camminato per le antiche [strade che portano alle rughe della [saggezza, e nelle viti dell’Aglianico mi son [perso danzando con leggerezza.

Mani asciutte più della fame trasudavano stanchezza e [sofferenze, capaci forse di provocare [penitenze?

Ho assaporato il dolce gusto di un bacio amaro, guardando un’alba malinconica sdraiarsi sull’orizzonte lontano.

Solo osservandola da vicino, nella sua integra e maledetta [bellezza, possiamo accorgerci che la vita è solamente una sporca carezza.

Avidamente ho raccolto questo fiore lucano, e lo stringo forte al mio petto, con la speranza che il mio calore possa proteggere i suoi petali e cantare il suo eterno splendore.

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BARTOLOMEO DI GIOVANNI Bartolomeo Di Giovanni, nato a Palermo nel 1975, vive a Sirignano (AV) dove svolge l’attività di docente di Arte Immagine e Musica, laureato in Filosofia, esperto di Arte e scrittura creativo-terapeutica. Nel 2010 è stato presidente del premio poetico-letterario interregionale Poeti del Meridione, premio Salvatore Di Giacomo, è uno studioso della poetica di Alda Merini. Foglio Bianco

Canto d’amore

Foglio bianco, radiografia [dell’anima ove si intravedono i [segni delle emozioni, con la [penna cerco di tracciarne [l’arcano linguaggio…

Di Babilonia ho abbandonato [l’inique carezze, coi calli ai piedi [si levava il mio passo. Sulla strada di Emmaus luce [solcava il mio guardare , il vento [di verità carezzava il mio terso [viso che mirava i tuoi occhi. Per mano ci siamo presi [indossando tuniche di trame di [sandalo che annunciavano il [misterioso sposalizio… indicibile [unione d’amore, sì d’amore…

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Speranza

Anima limpida di amore

Guidata dalla luce di Aton porti il [ramo d’oro in quell’avello ove il [tuo ventre natale risorse dalla [crudele ingiuria. Sia a te la luce di Calliope che [insieme e Lei, adesso, per il santo [regno vanno mano nella mano. Non siano dolenti le tue lacrime [ed il tuo ricordo, ma voci di forza [che traboccano di speranza di [giustizia ancora attesa. Dayunzi costruirà i ponti delle [quattro isole che godranno del [vento: carezza della suprema [grazia.

Sei tu mia tenera compagna, [tenera come un filo di erba [accarezzato dalla luna, tu che [mantieni viva la mia nostalgia [che provo per te, viva malinconia [appello del mio cuore, ma viva [speranza che interpella la mia [anima, sei tu, proprio tu che da [quelle dita fai risuonare le eterne [melodie e che mi portano davanti [l’immensa stranezza della vita… Al risveglio sento la carezza che [hai lasciato nei miei sogni, al [tramonto sento la tua vicinanza, [occhi di un anima che mi [guarda… e mi chiedo “perché?” [tanti perché e mi rassegna la tua [voce, speranza del mio domani… [e mi fa felice la voce dei tuoi [frutti, uno in particolare a cui hai [lasciato gli occhi per vedere gli [angeli che sono in ogni essere [umano…

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NICOLETTA DI GIRONIMO (Francavilla Fontana – BR), vive nella sua città natale. Scrive poesie dal 1994-95 ed alcune sue liriche sono state pubblicate in numerose antologie e nell’Agenda del Poeta (Pagine, 2000-2011). È socia fondatrice di associazioni culturali nella sua città, e dalla fine degli anni Novanta fa parte della Société Internationale d’Études Yourcenariennes, che ha sede in Francia. Nella fibrillazione gli umani immersi di una vita frantumata vestono i brandelli, disperatamente salvifica la Natura annaspa, nell’aria ferma aspetta un vento forte mentore di un salutare viaggio oltre il tempo e lo spazio nell’abbraccio del vuoto.

14 luglio 1989 Stazione ferroviaria: Marseille [St. Charles Luce spenta posseduta ormai grumo di sostanze estranee, cerca qualcosa che non trova, va verso una meta un viaggio da intraprendere …ma in un punto indefinito un incontro l’avvia ad altra meta: forse un tornare indietro. La sua andatura incerta, il suo corpo consunto son forme di una vita che non c’è, dolore dell’anima del mondo imperfetta e fragile, coscienza disperata, sublimità atterrata nella pece.

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Bilanci

Età dell’oro

Anni andati nell’infinità o nella finitezza del tempo? Decenni, pur separati nel loro affiorar nella mente, ormai sviliti, flusso incompiuto di un non vissuto nella sua sete a essere, safficamente caduto orbo del legante di ogni sé. Cerca nel presente la mente ancora quel tempo a colmar maglie saltate di aoristica perdita nell’abbandono che l’animo non domi.

Età dell’oro sempre sognata cercata nelle sofferte pagine di un immaginario Eden che lacerò Prometeo l’incoscienza annientando dell’eterno presente. Di tanti istanti viviamo e moriamo nell’incertezza frammentata senza mai sapere, incatenati alla scientifica lucidità e al tormento dell’impossibile sull’orlo di un baratro senza fine. L’età dell’oro è forse un dato supremo, una sfuggente dimensione dell’essenziale balenante in fulminei sprazzi, nell’azzeramento della storia, nella pienezza del vuoto.

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MARIA DI LALLO Maria Di Lallo è nata a Campobasso nel 1968; da anni insegna Lingua italiana in una scuola elementare di Roma, tra i suoi interessi figurano la poesia, il teatro e la lettura di opere di scrittori stranieri contemporanei. Ha vinto diversi concorsi letterari, le sue poesie sono presenti in numerose antologie di autori italiani contemporanei, riviste, siti e blog letterari. Angelo

Benedizione

Angelo, tu che conosci l’ambiguità del mio essere, che comprendi i miei dubbi e i miei inganni, che fai della mia insofferenza

Benedici o mio Dio questa tua umile serva che davanti a te si prostra con infantile ingenuità. Benedici le mie povere membra affinché il tuo volto io possa incontrare e il tuo sguardo possa guidare il mio triste cammino per gli aridi deserti dell’indecifrabile terrena esistenza. Benedici i miei passi che il mondo vogliono conquistare. Benedici la madre di tutte le madri che con la dolcezza i non credenti ha redento. Posa o mio Dio la tua mano sul mio scoperto capo e al porto della salvezza sospingimi anche quando il mare in tempesta perdere la rotta mi farà.

all’esistenza, materia per [esplorare il mondo, non permettere che il vuoto dissolva la mia anima che tanto amo e che tanto vorrei non amare. Angelo apri le tue ali alla mia nuova vita che aspetta solo… di essere vissuta.

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Or è rimasta sol immagine di carta con spenti colori

Uomo Figura di uomo lontano non sei più reale

dai ricordi sbiadita. e chiuso Dalle mie danze nel tuo cupo silenzio ti sei allontanato ti continuo comunque ad amare! Un tempo il tuo corpo vibrava

ed io per ore da sola vago e dal passato le tue risa

e nel mio grembo si acquietava.

mi giungon…

Nel mio universo trovasti riparo

“come un flebile canto d’amor”. ed io felice ti diedi una mano. Nella tua voce il mio linguaggio vita trovò e seguirono i miei passi il tuo andare incontro al domani. Ma all’improvviso ti fermasti senza un perché ad osservare deserti lembi e l’aridità del pensiero di te s’impadronì. 120


FORTUNATO DI MARCO Fortunato Di Marco nasce nel 1967 a Novi Ligure. La passione per la lettura e per la poesia si fa sentire sin dalla scuola elementare, ma le prime pubblicazioni risalgono al 2004; nello stesso anno partecipa con un suo componimento ad un Premio Letterario Internazionale, in seguito ha pubblicato diversi componimenti presso l’editore Pagine. Il faro

Santa Margherita Ligure

Mi muovo lieve e lento nel sottobosco di simboli, i grossi ceppi ai piedi sopra un manto irto di spigoli. Dalla mappa di stelle piovono indecifrabili messaggi mentre comincia la tempesta e oscillo, faro d’onda passata.

Santa Margherita con pioggia e vento nel tuo mare di luci l’aria sembra nuova stasera. Nell’avvolgersi delle onde si mescolano ricordi, visi, luoghi, sospiri che vanno a morire laggiù con le nubi e le barche mentre qualche pescatore torna stanco come me alla sua casa colorata.

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Autunno in campagna

Mare a Quercianella

Tiepido giallo di sparse foglie, fresco bianco di rami leggeri, a riammirarvi sono tornato.

Al mattino fiero ti mostri qui [dietro i verdi pini dove non arriva che un fragore di [risveglio, nella tiepida brezza luccicante di [sale. Nel giorno ti vesti di mille spicchi [di luce mille voci e strilli che ti scivolano [sopra e si uniscono verso il nulla. Cala la sera dopo il dolce tuffo del [sole e nella calma ritrovata la luna segna laggiù una strada [ignota sul manto nero che qui a riva torna a farsi sentire. Presto il buio dovrà passare.

Assonnato s’arrotola il gatto sulla tiepida carriola che ancora odora di cenere. Tenere sono le note dentro la [baracca, operose si muovono le braccia nei sicuri gesti del tempo andato. Rinato sono qui sotto il basso tetto in quest’autunno che lento viene e brucia un po’ d’Amore.

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ROSANNA DI PRIMA Nata a Zafferana Etnea (CT), specialista di Lingua e Letteratura Russa, insegna Francese nei licei. Si occupa di traduzioni letterarie e poetiche. Si è dedicata alla sua innata passione poetica e narrativa dalla più tenera età, ottenendo pregevoli riconoscimenti e premi. Sue poesie e racconti sono presenti su varie Antologie e Riviste Letterarie nazionali ed internazionali. Alcune poesie sono state tradotte in francese, russo e inglese. Le sue opere, tuttavia, sono ancora volutamente inedite. Sulla campagna assolata

Senza titolo

Sulla campagna assolata fuggono cavalli senza briglie bianche le mie mani, troppo [tenero il mio cuore per dirigerli nella folle corsa contro il tempo

Non mi sorprende il vivere in questo mondo impietoso avaro d’amore che Bellezza e Armonia tortura in fuligginosi labirinti Al bisturi m’appare questo cyberspazio saccente dove i parti sono accecati da fredde luci e i bimbi narcotizzati davanti a subdoli schermi Biancheggiava ieri fra coltri di fumo la luna “Impietoso è il vostro mondo” mi sussurrò in un filo d’argento Indugiavo alla finestra “Solo timidi folletti evocano [attimi di creativa magia…” M’innamorai del plenilunio parlante

Sogni di Grecia naufragati su una barchetta dorata senza timoniere Sulla campagna assolata tristezza e arsura e voglio amore per tutti in questo scempio tempo violento di solitudini

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trasparente. Siamo l’inizio e la fine l’alfa e l’omega, distanti eppure [vicini, prossimi fino a sfiorarsi, amarsi, [fondersi. Siamo il desiderio, l’anelito, la [speranza, l’elevazione. Siamo la ricerca, la lotta, [l’incontro, l’incanto Siamo la fede nella meravigliosa avventura che dal primo vagito abbiamo [battezzato Vita.

“In letargo vive Poiein e soffre…” Il mio sguardo si posò sull’umida valle e vidi giacere esangui le parole abusate, le parole offese, [le parole violentate Rimasi muta e al buio Solo lacrime a farmi compagnia

Siamo l’alito del vento Siamo quel che diamo siamo il sorriso, il pianto [inconsolabile la voglia di carezze. Siamo della stessa natura dei fiori, steli d’erba in territori selvaggi, calpestati da rozzi calzari, o appena spuntati [sul ciglio del burrone prostrati verso [l’abisso Siamo il soffio del vento che diventa uragano Siamo l’alito del vento che invita l’ape a suggere il [polline profumato. Siamo buoni, cattivi, quieti, ribelli siamo briciole e macigni Siamo acqua limpida, torbida, [inquinata 124


PIO DI STEFANO Pio Di Stefano è nato il 4 gennaio 1947 a Rocca di Cambio (L’Aquila), dove vive e lavora come ristoratore. Appassionato di giornalismo, corrispondente per diversi anni di quotidiani e settimanali, da circa un decennio si dedica alla poesia, specialmente a quella in dialetto aquilano, riscuotendo particolare successo. È autore di alcuni libri sul suo paese e sul dialetto locale. La “Rocca” che svetta su al cielo “di Cagno” qualcuno chiamò per fare piacere a quel monte sui cui piedi il paese appoggiò.

La rocca Nella notte una gran nevicata ha imbiancato l’amato Altipiano ed all’alba di questa giornata dal balcone guardiamo lontano.

Or “di Cambio” divenuta è la [“Rocca” ch’è regina per usi e per genti e son guai a chi ce la tocca ché “ji saltano pure ji denti”!

Alla vista il bianco ci prende pei bagliori di neve accecante. Riflessi di un sole lucente ne’ la piana che dolce si stende. Una piana di verde foraggio che s’infiora all’arrivo di maggio. Un tappeto di bianchi narcisi che i paesi hanno spesso divisi.

Sul balcone Dal parapetto del mio balcone, dopo una notte insonne, le prime luci ammiro di un’alba splendida per i colori, con il sole che fa capolino dietro le casette scure di [Terranera.

Sotto il monte c’è un solo [villaggio che da “oppidum” il suo nome [prese, di Vestini di grande coraggio che difesero a lungo il paese.

Pensieri che volano lievi portati in aria dal fresco venticello che l’Altipiano percorre e in mezzo ad essi tu, Anna, leggera come soave e gioiosa [immagine che i miei sogni rallegra.

Un villaggio di un tempo passato di popolo antico e represso, di un orgoglio da nessun mai [domato e per ciò mai da alcun sottomesso. 125


frechete come curri, fa cchiu [pianu. Co’ ‘nu minutu, co’ quesse parole ju core me sci fattu sprofonnà”.

E con te le bimbe, le nostre [bimbe, in un turbinio di emozioni che solo Voi sapete darmi.

Dapò, me lo recordo , sembra ieri te dissi sverda: “Me so’ [‘nnamorata!” Nu’ bbasciu ‘nfronte ‘nsieme a [‘na carezza pe’ famme sintì ancora stralunata.

‘Na coppia d’anzianotti ‘Na coppia d’anzianotti sposi da tempu ormai tanto [lontanu soli ne’ la casetta un po’ [vecchiotta passeano le jornate a recordà.

“Tu te’ raggiò, tantu tempu è [passatu ma massera me sento ancora cchiu [forte, pe’ fatte sognà , pe’ refatte la [corte. Sciccisa, sci bbella , me sento [renatu”!

“Te lo recurdì quando me [‘ncontrasti? Quanta emozziò, no’ spiccichii [parola. Po’ tutt’assieme te venne ju [coraggio e me dicisti: “Attecchia, sinti a [mì”: “Signorina dal giorno che ti ho [vista ju core me s’è missu a ciammottà. La notte non ce dormu e po’ ju [jornu te pare stranu ma ‘nun pozzo stà

“Statte fittu Francì, non penzacce [pe’ gnente, non te fa’ rivinì strane idee nella [mente. Co’ ju tempu passatu è finita la [festa, tutto quelo che pinzi te remane [alla testa. Ce volemo abbraccià? Vo refà un po’ all’amore? Solamente pe’ stà tutt’e ‘ddu core a core!”

senza de ti, senza ‘ssu dolce visu, senza quissi occhi, senza ‘ssu [surrisu. Lo st’accapì quelo che voglio ice? Mi sci’ ‘ncantesimatu, so’ filiiice! E ji te responnete: “Sinti frà, 126


ANGELA DIPILATO Nasce a Barletta nel 1970, sposata e madre di due bambini, Vincenzo e Gabriel, vive serenamente la vita dedicandosi attivamente al ruolo di madre e moglie. Il suo motto è “La vita è meravigliosa” ed è per questo che cerca di infondere ottimismo a chiunque incroci la sua strada. Sublime soddisfazione

Autore

La bellezza è descritta nel tuo cuore, meravigliosa sensazione che raccoglie l’anima riportandoti in uno stato di soddisfazione sublime… …intanto respiro quest’aria gelida che mi apre le narici e mi fa desiderare la vita…

Io un autore – fautore dell’amore… enorme dimensione che raggiunge i limiti interposti tra me e te… autore di un errore impossibile da riparare… ed eccomi qui a piangere mentre guardo piangere… te… Amore… Amore… Amore Quella rara occasione di dover dipendere da te per poi proteggere quello che è rimasto… di noi…

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Il nostro amore

Ti amo

Conchiglie variopinte, sabbia fine, l’odore del mare ed io e te aggrovigliati in un crescendo di calde sensazioni…! Eterea, sublime e fuggente, fu la situazione che rischiò di segnalare al mondo intero il nostro amore “Clandestino”…

Splende il sole su di noi… ma è notte oramai… le tragedie son lontane, e il tuo sorriso illumina questo mondo depresso e confuso… Ti amo “nuovamente” e determino il dolce languore delle tue labbra morbide e carnose che inveiscono sulla mia fragile personalità, irrobustendomi di forza ed ardore… Ti amo “nuovamente” e la nebbia… scompare… A Davide

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ANDREA DONAERA Andrea Donaera è nato nel 1989 a Maglie (Lecce), vive a Gallipoli e studia Filosofia presso l’Università del Salento. È co-organizzatore e segretario di giuria del Premio Nazionale di Poesia “Tempo d’Aedi”; diversi suoi componimenti sono stati pubblicati e segnalati su riviste web e cartacee nazionali ed è presente in numerose antologie. Alludere alle mani

Se poi tu mi ami in un contesto [d’odio

Alludere alla mani quando parlo del dolore. Perché è tutto nel [tocco: delle dita sulle tempie, dell’unghia sul dente, del palmo sul fondo.

Se poi tu mi ami in un contesto [d’odio è come se non mi ami affatto. È [come se ci tocchiamo come non [dovremmo – l’esca con l’amo, la mosca con lo strofinaccio, la bestia col [proiettile.

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Sciupata – non come fiore

Non c’è niente da ridere

Sciupata – non come fiore, ma [come lenzuolo: ecco come mi appari. E [con i capelli in quel modo anni [settanta sembri ancor più donna – ai miei [occhi ragazzi. Le none sinfonie dei nostri [incontri sembrano l’abbraccio muto tra [madre e figlio – tra soldati dopo il [massacro.

Non c’è niente da ridere eppure noi ridiamo – di Pici che grugnisce a ogni respiro; di Mino che porta sfiga; di Peppe mezzo morto un mese fa, ma che stanotte è qui con noi; del proprietario della paranza, cornutone e borghese di merda. Ridiamo che ridendo ci [scaldiamo, e ci passiamo la grappa di Gino come il Calice dell’Ultima Cena. ’Ste reti che trasciniamo ogni [notte ci assomigliano – sbattute così, così inermi, sporche (e «tristi», ci [disse Troisi, e c’aveva ragione, cazzo). Ma tanto da qua noi le stelle le vediamo, mentre voi ve le [perdete: aspettate San Lorenzo, che voi sarete in ferie. E mai saprete delle luci che sembrano caderti in testa mentre casa ti sembra [lontanissima – ma è solo a cinque birre di [distanza.

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FRANCA DUSCA PETACCHI Franca Dusca Petacchi è nata a Carrara nel 1956. È laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Ostetricia e Ginecologia; ha sempre coltivato la sua grande passione per la scrittura e ha partecipato a qualche concorso, conseguendo significativi riconoscimenti e pubblicando inoltre due sue raccolte poetiche. Monti ritorti (Le cave di Carrara) Sostanze sonanti di monti ritorti smemorate presenze danzanti allusive impudenti urlanti racconti silenziosi dettagli scivolosi e bianchi infarciti di rosso – cangianti –. Questi monti ritorti tagliati e sbeccati ferite slabbrate di spose veglianti sono chiese parlanti respiri d’amore speranze sonanti rifugi del cuore materia di lotta e d’amore sudore che goccia e rosso traspare a imbavagliare il cuore. Monti monti ritorti di lotta e d’amore.

Tempi moderni Certezze scriteriate come ombre furtive appese a salici imprecanti rompono argini di verità. Pregiudizi impolverati dal tempo come rigide catene ergono barriere impenetrabili dove la ragione una vecchia consunta [dall’abbandono non ha più parole sdentata e muta gorgoglia. Giovani di questo tempo alla ricerca vana di pavide [certezze riprendete la via sperimentate gettate le catene di tutto ciò che [non vi dà una scelta non disdegnate umiltà difendete sacro il diritto alla cultura conoscere è libertà il resto è vanagloria.

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Genitori Ora che è lontano il ricordo immanente della tua rude sicurezza e il tuo materno appoggio ora che è tardi per rifugiarmi tra le braccia tue che mi hanno [accolto e tra le tue che severe e incrociate mi esortavano al cammino, a volte torno bambina e mi manca il cuore ad avervi [accanto, quasi custode quasi io madre e padre. So che il tempo s’allunga [inesorabile so che avervi vicino è un dono [grande ma a tratti una stanchezza mi [invade e sento tutto il peso del mondo che le vostre braccia stanche hanno lasciato cadere senza che vigile e consapevole alberghi in voi il pensiero di questa nuova veglia che ancora [mi spaventa. La verità nuda, colpevole e tiranna è che tempo non è che un figlio padre diventi e madre possa fare a chi l’ha visto in fasce. Duro è il cammino che ci attende vorrei che il passo mio non avesse incertezze, e forte e [silenzioso il mio sorriso sempre sapesse illuminare la via che ci [allontana. Non dubitate mai del mio cuore.

Cerco parole Cerco parole che siano sogni riverberi di luce, ricami di brina per regalarle integre al tuo cuore. Cerco parole che dei ricordi [annuncino profumi il languore sensuale dell’attesa e il senso pago dell’abbandono per te che sei oltre il tempo la mia vita. Cerco parole che raccontino in silenzio la fugace ombra del pensiero che si insegue e non cessa e torna per cambiare un poco solo un poco, e poi vola. Cerco parole amore che mantengano promesse scivolose e tenui come i segni lì, sulla battigia che rendono eterno un attimo e fugace – senza tempo – il ricordo. Cerco parole gravi come granito scolpite per ricordarti amore che solo vostro è il mio cuore e non c’è distanza assenza o [mancanza, che mi allontanino vostra è la mia carne sempre vostro in eterno il mio pensiero. Ascoltate di me, nel silenzio come grani di un rosario di [speranza le parole che mormorano il [passato, e accolgono il presente come un ponte teso sul futuro. Mai solitudine per voi con me nel cuore. 132


MARIA FRANCESCA FALCONE Maria Francesca Falcone è nata a Reggio Calabria nel 1960; ha frequentato gli studi classici, poi la facoltà di Medicina, oggi è medico neurochirurgo, una professione che non le lascia molto tempo da dedicare alla sua passione letteraria. Nel 2000 ha vinto il primo premio al concorso poetico dell’Associazione culturale Due Fiumi di Torino. Pensieri di mare

Dispersi nella vita

Pensieri di mare Vagano nel vento Si avvolgono Nella solitudine Di azzurri sfiniti. Sfondi percorsi Dal sussulto delle onde. Vaghi profili di movimento, Continui, mutevoli Inquietanti Nelle ombre Orfane di luna.

Il vento freddo Fende i pensieri Infinite solitudini Vanno. Suonano solitarie campane Al cielo vuoto di pietà. Domani non ci sarà Un diverso sentire Chiuse le finestre Non guarderanno I dispersi nella vita.

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Lavoro nero

Gli occhi della sera

E tu che vai Per la tua strada, Spenta; Dove lavoro è abuso, Dove vendi l’anima A un padrone ignavo. Tu, volgi il capo Contro il vento. E ancora vai Per quella strada muta Che altra via non scorgi Nella nebbia maligna Del tempo allucinato.

Gli occhi della sera Scrutano Gli angoli grigi. Gatti inquieti, felpati Si chiamano. Fragili parole cullate Riposano Nelle stanze Più segrete. Vissute necessità Si agitano Ognuno va Per la propria strada. Sentimenti distanti Vivono chiusi Nella solitudine.

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MONICA FANUCCI È nata il 23/03/1972 a Pisa dove risiede e lavora per Poste italiane in qualità di direttore di ufficio da 10 anni. Inizia a scrivere poesie a 15 anni mentre frequenta, appassionata di recitazione teatrale, il laboratorio internazionale degli attori a Firenze. Da allora ha continuato a scrivere ma solo nel 2006 ha deciso di partecipare ad un concorso letterario internazionale dove ha ricevuto un terzo premio, un posto da finalista e un premio speciale. Barbone

Storia di un girasole

C’è una panchina alla stazione sopra la quale dorme un barbone e la gente che attraversa la piazza lo guarda e ride, sogghigna, [sghignazza. Ridono per le toppe del tuo [cappotto o sei un clown e non te ne sei [accorto? Ma tu resti lì, fermo, a guardare chi sta per partire chi per tornare; la donna adirata a cui si è [smagliata una calza l’ampia scollatura di una ragazza, la mamma che sgrida il suo [bambino, uno yorkshire con il cappottino, I colori accesi di una cravatta e, [nell’insieme, un’orda di gente matta! Allora pensi: “Forse sono un [pagliaccio… …ma di questo circo parte non ne faccio!”

Tacita e solitaria un dì la terra frenò il suo corso per partorire un piccolo germoglio giallo e rosso. Era un semplice girasole che niente conosceva tranne il lieve tepore di un sole appena sveglio e, subito rapito dal caldo abbraccio di [quell’abbaglio, a lui volse lo sguardo e cominciò ad amarlo. Su tutta la terra creatura alcuna era più felice del piccolo girasole che credeva esser del sole l’unico vero amore; ma di crescere giunto al fine qualcosa gli parve diverso il mondo di fiori era immerso, [grandi e piccini e, sui petali dei suoi vicini, si [posava il bacio di chi tanto amava. Negli occhi il pianto divenne [rugiada la notte, di stelle trapuntata, 135


[marmellata; calò sul sole come un sipario voltando pagina al suo diario. “Aspetterò”, disse allora il [girasole “il giorno in cui tornerò alla terra e, da quella, il sole verrà a bussare per portarmi via con sé… cosicché il sole, da quell’acqua dissetato, potrà sapere un giorno quanto io l’ho amato.”

poi mi si mise accanto e, colta da [stupore, vidi nei suoi occhi un incanto… …nel suo volto c’era amore. E mentre mi osservava soddisfatta consumar la magra cena un po’ [ammuffita non ebbi il coraggio di rifiutarla e consumai quel pane leccandomi [le dita. Per una volta, forse, la signora rubò volentieri al suo lavoro [qualche ora e facendomi a lei ancor più vicina la lasciai sognare di essere la sua [bambina.

La sua bambina Era per me solo la quinta [primavera e non ricordo per quale motivo, [quella sera, mia madre mi lasciò da una vicina in una casa che pareva una [cantina. La donna corpulenta e [maleodorante mi venne incontro con incedere [pesante, si preoccupò, vista l’ora tarda, di adagiarmi sopra un letto in una [specie di mansarda; il materasso tradiva, col suo [odore, quella signora che ospitava [amore… a ore! Vedendomi ormai stanca ma [affamata mi preparò del pane con la 136


NUNZIA FASANO Nunzia Fasano, psicologa psicoterapeuta, direttrice del Centro Salute Cinema, scrive poesie dall’età di sette anni. Ha ideato nella propria professione un modulo particolare di “Poesiaterapia”. Interessata da sempre alla Ricerca della Salute nell’alchimia Arte-Scienza-Spirito. Tu

Unghie

Tu riesci a farmi sentire sempre sola quando le parole mi arrivano fredde come il gelato che non ho mai amato quando i tuoi occhi non hanno voli di carezze e sembrano lanciarmi sopportazione stanchezza quando cerco la tua mano e trovo assenza quando ti chiamo e trovo rumore tu riesci a farmi sentire sempre sola quando anche se ci sei perdi la presenza e vaghi senza stelle né luna solo notte che non comprende il giorno

le mie unghie tracciano sentieri tra il tuo sudore e il cielo cede la mia mente e il mio cuore sussulta tra le gambe sfinite canto nei tuoi occhi il piacere del mio corpo d’anima

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Stare

Desiderio

La stanchezza spaventa come pensiero che l’energia scompaia come sole che cessa d’irradiare come pioggia che smette di bagnare come angolo rotondo compare la paura e il sonno smette di vestire la [notte e la ricerca di non mollare di stare paura totale restare così ancora l’energia si stacca dal corpo e la mente piange con l’emozione che prende piede

Mille pagine di desiderio si [aprono alla sera che celebra l’inizio decadente della paura riflessi bianchi nella notte stanca dormo nell’incontro del desiderio che sale la tenerezza del pensiero scavalca l’onda torna desiderio ora

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ROBERTA FAVA Nata a Taglio di Po (RO), insegnante di Lettere alla scuola media, è diplomata in giornalismo e dipinge. Ha pubblicato, tra l'altro: “Come un giullare” 1999; “Non solo amore” 2001; “Grappoli di stelle” 2010; “Alle porte del cuore in “Olimpo lirico” 2011; il romanzo “La rosa d’argento” (2009), con Loredana Capellazzo, sua collaboratrice nel Laboratorio di Scrittura Creativa di Rovigo. suona la campanella e chiude i rosari dei giorni perduti. Sembianze apparse con il cestino dei ricordi, nel tempo della memoria, assetato di soavi susine e di uva nera che il sole matura in mattinate armoniose della vostra presenza.

Le zie Dolci e gentili sorelle alternate, delicate perle di fiume o d’ambra come collane adorne ai teneri frutti dell’amore altrui, come sembianze di incantevoli fatine. Con pazienza infinita coccolate le infantili irrequietezze e abbellite le evanescenti fantasie dei mille mondi che l’infanzia porta con sé. Menestrelle dell’antica avventura del nascer destino, compagne di giochi innocenti crescete le bellezze umane con la complicità dell’amicizia predestinata. Sempre presenti quando il prevedere delle punizioni avverte il vostro occhio attento per distogliere il fatidico giudizio punitivo sui vostri pupilli.

Volti di donne Volti pallidi di donne europee inebrianti di tocchi profumati e vellutati. Volti ambrati di donne arabe le cui bellezze son nascoste con stoffe delicate. Volti colorati di donne africane danzanti nel verde forestale per riti tribali. Volti di occhi allungati di donne asiatiche

E dove fuggite quando il tempo 139


per rivoli infiniti di note fatate. Cuori a te rivolti, come corolle delicate, si aprono per il nettare accogliere delle trasparenti tue metamorfosi. O Luna a te son dedicati i nostri sogni perché diventino possibili realtà.

che nelle tradizioni trovano il supporto dell’esistenza. Donne, che dal cielo ricevono il dono di essere strumenti di serenità e di pace. altra cosa, invece è amore. Alla luna O dolce luna a zonzo per lo spazio siderale coperta da diafani scialli di molteplici diamanti. Solitaria vai ad ammirare gli infiniti vortici di pianeti sconosciuti. Nel tuo bianco latte si tuffano le stelle e si coprono di morbida panna. O mistica luna amata dagli antichi cavalieri protettrice di chi a te si rivolge per fulgidi trofei. Portatrice di future promesse per innamorati davanti a te contemplanti. O eterno astro cullante le trepide speranze dell’umanità Assetato di generosità e di celestiale armonia. Sei vibrante canzone inondante

Pavone Con la ruota aperta e con il prezioso diadema sul corpo, quale corona di un antico sovrano, da tutti si fa ammirare. Altezzoso e amante di elevati posti per non toccare gli umani passi, solitario annuncia degli estranei gli arrivi alle porte. Ruota celestiale di fulgide penne quale delicata e antica rosa ispiratrice di mistici poteri. Si inchina a colui che del sapere divino porta i segni. Pavone di verde vestito come il colore delle fronde delle fitte boscaglie si nasconde alla curiosità umana per starsene lontano nell’attesa rivelazione. 140


CORRADA FAVALORO Corrada Favaloro, ora in pensione, ha insegnato educazione artistica, disegno e storia dell’arte. Ha partecipato a mostre d’arte, poi si è dedicata alla poesia e narrativa pubblicando alcune sue opere; è presente in diverse antologie, alcune anche a scopo didattico. C’è un tempo Eterno tempo C’è un tempo per noi ancora sconosciuto dove la fretta è lasciata fuori dove l’aria tersa cambia i colori oramai puri trasparenti C’è un tempo dove i profumi sono intensi e [dolci dove l’armonia è nell’esistenza dove ogni suono rallegra l’udito e conserva gioia nel cuore È un tempo dove tutto è musica luce amore dove gli strumenti si alternano felici nel loro esprimersi soave accompagnando melodiosi cori In pace si vive in gioia e letizia in quel tempo perfetto Il tempo dell’eternità.

Il tempo delle mele [dell’innocenza della fragilità dell’incertezza Tempo giovanile di giochi e [allegria Tempo di sogni speranze nuove [rinnovate Tempo Tempo che rallenta come le zampe di un uccello sull’acqua Tempo veloce che si muove sulle [ali del vento Tempo che si sposta sorvolando [città paesi sperduti sconosciuti Tempo Tempo di nascita e di morte di [guerre e kamikaze Tempo di vittorie e glorie di [perdite collettive e di sconfitte E la storia racconta Si scrivono libri I secoli si susseguono come i millenni e tutto ricomincia.

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Tempi diversi - Cambiamenti

Il galantuomo

Oggi tempi diversi Ieri una stretta di mano bastava a suggellare un patto un’intesa Oggi come foglie al vento sono volatili gli impegni presi Svolazzano perdendosi nel nulla e l’inganno aleggia nelle parole L’equivoco. Il dire. L’interpretare Lei ha detto – No non l’ho detto Guerra di parole. Confusione Scontri. Irragionevolezza Lei non ha ragione – Neanche lei Tutto cambia. Tutto si evolve Il tempo scorre. Fugge lontano ma l’innocenza si perde con [facilità e i miraggi son sempre più frequenti benché l’uomo non viva nel [deserto Eppure il fuoco come il calore [brucia e le menti come cera si sciolgono [al sole Pure i ghiacci si perdono Lasciano giù scivolare l’acqua [cristallina Nel vapore caldo si dissolvono Salgono in quel cielo che non è [più blu.

Cammina veloce mai si ferma Va in ogni luogo in ogni dove Osserva. Scrive furtivo. Scruta. [Annota. Nulla sfugge al [suo sguardo attento Il suo taccuino è sempre nuovo le pagine bianche son d’inchiostro [riempite. Sembra che tutto passi inosservato il colpevole non [trovato il giusto non lodato. Poi all’improvviso il galantuomo [si ferma per un attimo. Svelto poi riprende il passo [ripercorrendo la via. Silenzioso apre la porta Entra in casa Lascia il suo messaggio di [giustizia. S’irradia la luce e tutti sanno Il tempo è galantuomo La verità emerge dall’ignominia I soprusi ben celati vengono a [galla. La sua giustizia non ha scadenze. Il galantuomo non è mai vecchio Gratifica. Rincuora. Ridona [speranza e gioia Regala sorrisi agli oltraggiati Rimane in compagnia del cuore [solitario Per ognuno il galantuomo paga il [prezzo La giusta remunerazione di ogni [lavoro. 142


PAOLA FAVILLI Paola Favilli è nata e vive a Foligno. Autrice molto giovane, nel 2009 vince il premio “Midgard Poesia 2009”, tramite il quale pubblica la sua prima raccolta poetica; scrive anche fiabe e racconti, ha pubblicato un racconto erotico in un’antologia a tema, collabora per una rivista locale e con un giornale online. Ricordo Inapparente Come piombo Forti, crudeli e Singolari pensieri Opprimono la mente, il cuore, e gli occhi ipnotizzati da anguste ma seducenti meditazioni abili nel ghermire la ragione, sì da invescare la totalità dell’individuo.

Vivrà La felicità Chi La vestirà D’invisibilità Ardore Proverà Chi Il cuore Libererà

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Vola parola

Senza titolo 6

Vola alta Colta parola

Odo. Odo il cor perir per pene D’amore.

Maestosa vola Parola sontuosa

Odo. Odo l’eco de le parole che da [soffrir Mi dà.

Vola prodigiosa Luminosa parola

Provo. Provo dolor che l’occhio riempir Mi fa.

Seduttrice vola Parola ispiratrice Vola con la bussola In una favola Parola

… Il sentiero cerco di Proseguir Pigliando strette viuzzole, storpie, ingarbugliate. Esso par come Sinistro, pien di mobili creature sobbalzanti e striscianti… la vita così appar.

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RICCARDO FEDELI Riccardo Fedeli è nato a Villamagna (PI) il 15/02/1965. È infermiere e vicesindaco di una città – Volterra – che è poesia. Ama la musica e lo strumento che suona è il cuore: non ha orecchio per le note ma sente le emozioni che cerca di trasmettere agli altri. Dichiarato amore

Innocente e qualunque

Se ti penso, sento che il tempo si ferma e tu fai un passo avanti, vestita della tua bellezza e quell’immenso tutto che ti voglio crea uno spazio per noi e per tutti gli attimi che mi godo di te e poi metto la mano sul cuore e le dita diventano punte colorate e so dove brilli.

Sarai nello spazio di un secondo, nuda senza specchio,dispiaciuta di non guardare tra le nuvole, con l’aria innocente di un raggio di sole su una primavera che tarda a [venire. Mille colori e una pelle di luna bianca, un sorriso confuso tra la folla e la spesa di un giorno come se fosse qualunque altra cosa, invece è amore.

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Persone sole

Nuvola di cotone

Non mi va di uscire, trovare tra le foglie i sorrisi dovuti, sentire i lamenti del vento, obbligare l’alba a tuffarsi nel mare perdersi per cercare una curva da prendere a tutta velocità, schiantarsi con la realtà, contare i danni come gli anni che passano stretti tra ragione e amore, dare spiegazioni, gettare nel pozzo dei desideri tutte le emozioni, lanciare una moneta e voltare le spalle per non prendersi sul serio tutte le volte che i tacchi diventono pantofole per poter camminare tra le persone sole senza far rumore.

“Ciak si gira ma non guardo la realtà come se fosse l’unica verità, nella mia vita ogni piatto è buono ma se l’ingrediente sono io diventa un occasione speciale” Non è presunzione, né [rassegnazione e pensarla all’aria aperta affondando le mani su una nuvola di cotone, attaccando cristalli di luce su un cielo di cartone.

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NAZZARENA FICOCIELLO Nazzarena Ficociello è nata a Monticelli di Esperia (FR) il 14/06/62, dove attualmente ancora vive. Ama da sempre l’arte in tutte le sue forme. Le sue tematiche ricorrenti sono: la natura, la religione e l’infanzia, ma il tema che preferisce è quello dell’amore. Tra gli ultimi riconoscimenti: Primo Premio al Concorso Letterario Internazionale “C’era una volta” Deruta (PG); Secondo Premio al Concorso Letterario Nazionale Città di Cassino (FR). Oasi

Echi del cuore

Tra petali di gerani e profumo di radici carezze come fruscio d’ali ad aprire i cieli mentre gli occhi abbracciati navigano le profondità del cuore. Tenero ogni sguardo che raccoglie nei sentieri umidi i desideri quando i respiri cercando la tua [bocca dell’oasi implorano il ristoro. Ed è pane d’amore frutto di terra arata con le mani nella melodia dei silenzi protesi al canto. Rimarrà là non consunto dal tempo l’alito di noi nei bisbigli del vento tra le chiome degli ippocastani mai più stranieri al nido caldo di questa primavera di pensieri.

Lieve trasparenza di palpiti travolge aliti di ombre su tele consumate in fortezze di malinconia. Nel delirio di stagioni strappate impasto terra amara e sale al respiro del vento che tra incauti miraggi culla ancora l’anima nelle vuote stanze del cuore. Pittrice di sogni su guance stinte dal tempo accendo ai miei occhi cieli di stelle cadenti sui perduti pensieri del nulla ove tu sei… silenzio assoluto [d’amore.

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E mi respiri dentro

Tra respiri di rugiada

Là prese dimora l’anima dove abitano il tuoi sospiri tra le pieghe dell’abbandono scavate all’ombra del tempo mentre la sera si veste di silenzio. Come onda silente in questo andare assente avvolgi con radici di vento l’immenso sulle mie labbra saziando i digiuni confini. Oltre i lidi della notte ove i balbetti dell’alba tolgono al cielo le ultime stelle sei gemito strappato alla carne che torna respiro al mio cuore.

Fra le ciglia della sera negli avidi solchi della speranza spargo semi tra frammenti di cielo caduti su labbra senza più parole. A congedare l’inverno nella clessidra rotta dell’anima echi di pioggia su zolle spaccate dal tempo lavano sogni consumati nella tessitura di giorni di pietra. Sul ciglio ripido del cuore tra respiri di rugiada le mani strette a trattenere ombre d’amore impigliate su aghi di solitudine.

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PATRIZIA FRACHELLE Patrizia Frachelle, insegnante di Liceo, classicista di formazione, abita nel Varesotto. La caratterizza la ricerca di una poesia narrativa, chiara, dal sapore epico e dalla musicalità un poco dissonante. Riscrivendo le storie di eroi, personaggi storici, semplici uomini del popolo, vuole raccontare l’amore per una ricerca continua ed appassionata del senso del vivere . stranieri a quella follia che lo divorava a compatirlo per quell’amore che addosso gli metteva brividi

Dietro Colombo il viaggiatore Quando partimmo dietro Colombo il viaggiatore non pensavamo a nuove rotte o alle Indie misteriose pensavamo ad un ritorno e una donna da rivedere

E quando tornammo a Palos Palos de Andalucia fummo contenti del porto e degli abbracci di una donna

ma furon solo schiume orizzonti senza fine e cieli neri trapassati da fulmini improvvisi e furono ossessioni di terre che eran solo nei suoi occhi

mentre lui nemmeno li vedeva negli occhi portava altri sogni tramonti e acre salsedine spiagge flutti lontani

sempre febbrile il suo sogno infuocato il suo sguardo quando spiava lontano l’atteso levarsi d’un monte l’aprirsi d’una costa

Il viaggio dei Magi Lungo sì fu lungo il viaggio in silenzio sui lenti dromedari dal passo uguale cadenzato per deserti di biondo scialbo segnati d’erba rada polverosa

La trovammo alla fine la terra e quando scese la baciò come una madre riveduta l’accarezzò come un figlio lasciato a casa piccolino

per basse colline addormentate lungo abbandonati sentieri là dove non una voce parlava non tracce né ricordi di strade ma la stella ci precedeva scivolando paziente

noi ancora coi piedi in acqua a guardarlo

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lascia udire il suo silenzio Ma tu ancora non torni mio dolce sposo su quest’isola affogata in un’attesa immobile qui sui colli placidi di Itaca dove sarai ora su un’isola perduta del mare profondo o dove Eracle ha posto i limiti che uomo saggio non osa varcare o tra gli Iperborei lontani voci mi sono anche giunte che sei perito in una tempesta di mare o che un dio ti ha tolto la luce forse Poseidone lo scuotitor di terra

laggiù sull’orizzonte bastò seguirla fu così semplice l’andare Ci portò ad una grotta come tante ricovero di bestie discosta dalle case lasciammo i dromedari di lato c’accostammo silenti non v’era altro che un bimbo un bimbo e sua madre che cantava sommessa e lo cullava ci inginocchiammo taciti gli porgemmo i doni regali l’oro l’incenso la mirra la donna sorrideva ringraziava con occhi miti

Eppur io lo so in un’alba d’oro sbarcherai da molto lontano a riempire di nuovo la reggia della tua voce Itaca del suono dei tuoi passi su per queste scale quest’erta che un tempo conobbe il tuo piede ardito veloce

il bimbo piangeva un poco come tutti i piccoli d’uomo

per quel giorno ho preparato la mia veste più bella per te una tunica sottile intorno ti voleranno le ancelle

Penelope La notte è quasi trascorsa anche questa come ogni notte col suo brulicare di stelle e l’alba come ogni mattina emerge dalla nebbia adagiata sulle onde Itaca bella ricamata d’azzurro e di verde

trepiderà l’aria col loro frinire ci stordiranno d’Itaca le cicale

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CINZIA FRANCIONI Cinzia Francioni è nata nel 1961 a Siena, dove risiede, è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Siena ed esercita la libera professione di specialista in Reumatologia. Da sempre amante della poesia, lettrice e scrittrice, attualmente sta elaborando la sua opera poetica per una eventuale pubblicazione. Amore disvelato

Paura

E quando l’amore disvelato rimane mesto come un petalo bagnato rifuggo dal mio corpo inopportuno cerco rifugio nelle strie bianche delle nuvole baratto la realtà con il sogno.

La paura è il presagio della fine che un giorno l’incanto si spezzi e i suoi frammenti di piombo gravino sul cuore fino a spaccarlo in due come un tronco colpito da un fulmine… resto atterrita dietro la cupa tenda del tempo che miete sogni e promesse.

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Anima prigioniera

Treni

Prigioniera tra mura di cose che hanno termine mortificata dallo spegnersi della luce conservo il ricordo del calore del gracidio delle cicale dei suoni di tamburi estivi e mi avvio verso l’inevitabile gelo e il silenzio della solitudine aspirando all’eterno come ultimo riscatto.

Arriveranno treni ri-partiranno ti porteranno da me ci ri-separeranno come il bagliore di un fulmine rischiara a giorno la notte di bufera solo per un attimo getti il tuo fascio di luce sull’ombra della mia esistenza che risplende come una stella in quell’attimo per te ed è subito di nuovo buio.

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DAMIANO FRASCARELLI Damiano Frascarelli è nato ad Assisi nel 1975, pubblica poesie da circa dieci anni, suoi scritti sono stati pubblicati in diverse antologie. È membro dell’Associazione Peter Russell e dirige due periodici di carattere storicoletterario: “Terra di Mezzo” della Società Tolkieniana Italiana e “Subasio” dell’Accademia Properziana del Subasio. Al passo

Oracula

Il passo alternativo incede là sui colli di ponente. Diversa, giusta e vera s’incontra molta gente si beve in libertà. Si vaga per i vicoli si parla e non si mente, ancora in libertà. E poi liberamente si pensa e s’intravede nel mezzo della gente la nostra verità.

La Folgore Giacente un giorno nuovo s’alzerà, balzerà in avanti dove le si apre spazio. Fonderà gli orpelli prima dell’atto straccerà colle di gravi, anime catturerà crescendo, colpirà e infine giacerà di luogo libera peraltro di non giacere.

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Celesti serpenti d’acqua (purpurea)

WatWriMaGil ’68

Serpenti in acqua, d’acqua morbidi attanagliano una Venere scandinava. In immagine me lo ha detto una bionda guerriera, walkiria massiccia, invincibile, sembra. Oro su pergamena, il supporto scrittorio da Pergamo, la grande invenzione della città. Occorrerebbero oggi illuminati sovrani consapevoli, abili a muoversi con tecnica mista.

Attraverso i veli squarciati della mente che un bimbo vedesti neonato o grande al massimo un anno io da amico m’immagino. E tu, attento con quell’accetta, fratello, attento. Fai del bene e scordati fai del male e pensaci: serba rancor, che l’occasion non manca. Attento con quell’accetta, ho detto mi dispiace pensarlo ma sei noto perché con lame vaganti nella mano potresti colpire qualcuno, per furia o annebbiamento. A colpire io voglio insegnarti per ogni via e con le astrazioni della metafora. E da fratello: attento con quell’accetta, recidi al punto giusto. Recidi.

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ROSA GARRISI Nata a San Cipirello (PA), dirige a Palermo un Centro di Formazione Professionale. È presente in diverse antologie di Pagine e – tra le altre – in “Poeti nel Mondo”, “Donna Poesia” e “2000 voci nel coro”. Prima raccolta di poesie edita: “Dolci poesie e pochi frivoli commenti”, Premio selezione 1995. Sua ultima opera pubblicata: “San Cipirello le mie radici – ricordi – emozioni – tradizioni – un pizzico di ironia e tanto amore”. Divagazioni pomeridiane

Libera

Chi sono io? Chi sono stata? Chi [sarò? Cosa mi trascinerò dietro [percorrendo il mio tempo? Cosa resterà della mia vita? perché pensarci? voglio godere di ogni piccolo [momento che la vita mi regala, un bellissimo tramonto, un mare [calmo, limpido e caldo, una nuotata in acque trasparenti, [una sdraio in riva al mare, e la serenità di un giorno che [volge al termine. vivere e godere di ciò che la vita [mi offre, senza domande, senza perché.

Libera fra la folla lascio navigare i miei pensieri [verso l’infinito, libera da costrizioni, da regole [ataviche, da consigli avulsi, da leggi non scritte ma radicate [dentro l’anima, occhi chiusi al mondo che [continua con le sue ipocrisie a lasciare il proprio io sempre piu sepolto nell’angolino [piu oscuro del proprio essere. libera da inutili battaglie contro la [falsità del mondo, libera di navigare verso l’infinito. libera di essere libera.

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Sprofondare

Il mare verde

Momenti bui, pieni di tristezza e [abbandono, impediscono di vedere oltre quel [nero che ti oscura l’anima, occhi serrati al mondo che ti [circonda, non si accorgono di quella piccola [fiamma, che faticosamente riesce a [squarciarlo, piano, piano, lentamente quella [fiamma al tuo cuore si avvicina, e dolcemente ti rida luce e [speranza.

Il mare verde ondeggia, la bianca schiuma lambisce i sassi [della riva, il vento quasi gelido sfiora il mio [viso, seduta su una sdraio guardo il [mare, spero che le onde scintillanti con [il loro ritmo altalenante, catturino il male infestante lo [portino giù nei fondali più profondi del grande mare, l’aria fredda e frizzantina gela i [miei già gelidi pensieri. Il sole se pur c’è non riscalda, chiudo gli occhi e lascio che il [vento culli il mio corpo e i miei pensieri, cado in un completo relax mentale.

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WALTER GATTO Nato in Belgio il 22 febbraio 1953, ha sempre nutrito interesse per la cultura, in particolare per la pittura e la poesia. Queste forme espressive hanno accompagnato a fasi alterne il suo vissuto. La mia galassia nella vastità il buio accende i ricordi del tuo volto il dolore frantuma stelle illuminando maliconie assopite nel passato suotendo l’odierno vuoto del mio camminando esistere a mani vuote l’anima ha chinato il capo sul cuscino delle mie ferite e turbate angoscie

Di stenti sogni infranti Quale colpa ricevuta Non il fremito sensibile sul soffio della tua anima come vita legata alla felicità Il tuo essere rapito nell’inconscio incubo da paure esistenziali sola nell’abbracciata speranza di un calore d’amore dileguato nel suo nascere sei scesa nel pozzo delle tue paure soffocando la fatica allontanando la luce come stella nel silenzio grido disperato il tuo eco rimbalzato sulle pareti dei nostri volti non ci ha concesso la veglia come guardiani della tua vita ci hai lasciato come alberi spogli d’autunno

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Non so quale metà di me hai scelto lasciandoti sola lasciandomi solo per avvicinarmi a te nel vuoto di te ora sono presente nell’essenzialità del significato del tuo non essere accanto a me mi ritrovo a rincorrere un pieno che altro sarà un continuo espandersi nel vuoto presente tra di noi il dolore diventerà nel mio io l’immaginario cosmo perdersi in un tempo al di fuori del tempo

A volte mi sento così come così quando così dove così perché il mio essere reciso caduto nel vuoto interiore disperso come eco nell’aria rarefatta da occhi lontani dove lo spazio conduce lamenti vorticosi e capovolti in clessidre sabbiose affanni consumati dove il respiro si tramuta in disperazione e l’angoscia si fa capitolo di nuove attese evaporate in un vagare remoto

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MARIA GAVIOLI Maria Gavioli è nata a Mirandola nel 1973 e risiede da sempre a San Felice sul Panaro (MO); nel 2009 si è laureata alla facoltà di Scienze della formazione di Bologna. Fa parte di diverse associazioni culturali del suo paese, nel 2004, insieme a sue due amiche poetesse, ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie Tre civette sul comò. Come l’Araba Fenice

Il cavaliere celeste

Un cavaliere si dispera la sua spada si è spezzata.

I secoli e le ere scorrono inesorabili ma… Il tempo nel Regno di Mezzo sembra essere fermo. Un cavaliere celeste riposa nell’attesa di brandire nuovamente la sua spada forgiata dal fuoco della sua anima per ritornare a combattere l’interminabile lotta tra luce e ombra. Il cavaliere celeste riposa aspettando la venuta del re che non ha paura di pronunciare il suo nome. Solo così il cavaliere celeste potrà essere svegliato dal suo sonno.

Eppure… Come l’araba fenice muore nel fuoco e rinasce dalle sue ceneri. Così… La spada del cavaliere può essere nuovamente forgiata dal fuoco della sua anima.

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Tu chi sei?

Avalon

Io sono… Ma… Chi sono? Ormai… Non lo so più. Realtà e finzione si confondono. Come un automa mi alzo, mi preparo e vado al lavoro. Vivo nella perenne ansia di connettermi per andare a vivere l’altra mia vita su second live. Qui, la mia persona scompare e si perde nel tempo reale. Qui, mi sento vivo e vivo quella vita che nella realtà non ho avuto il coraggio di vivere. Solo qui, sono me stesso oppure no? Ormai… Non lo so più. Ogni tanto sento una voce dal profondo che mi urla

Nella sacra Avalon l’ultima sacerdotessa della Dea ascolta la voce del vento narrare antiche storie. Ascolta il canto del fuoco inneggiare alla morte della terra. Osserva la silenziosa acqua portare immagini di un cupo futuro. Ma… L’ultima sacerdotessa della Dea non sa chi avvertire. Nessuno crede più nella Dea Madre. Nessuno sa della sua esistenza. Tutti pensano che Avalon sia un’illusione. Eppure… Nell’antica Avalon la madre terra si è fatta custode. Attende la rinascita di un’anima pura che possa aprire l’antico libro che può essere letto solamente dal prescelto. Protegge il leggendario libro dal tocco di un’anima impura che scatenerebbe il diluvio colorerebbe di rosso le acque. La terra sprofonderebbe facendo tremare l’aria sopra il cielo dell’antica terra di Avalon.

Tu chi sei?

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GIANFRANCO GAZZETTI Nasce a Roma il 13/1/1952. Si laurea nel 1975 in Lettere Antiche presso l’Università La Sapienza di Roma coronando il suo sogno fin da bambino di fare l’Archeologo. Dal 2004 comincia a scrivere poesie. Autore di diversi testi di archeologia, non ha finora mai pubblicato le sue poesie. Da l’annuncio da tutti il più atteso Che la vita ha ripreso il cammino

Il fiore sciupato Nell’aiuola di un verde giardino Sotto il sole splendente d’estate Un bel fiore facea capolino Fiore azzurro con foglie dorate Che bellezza un fiore sbocciato Con i petali tesi e vivaci Che rallegra chi un dì l’ha [piantato Con radici profonde e tenaci Poi venne d’autunno la volta Con il vento la pioggia e le nubi Il bel fiore si chiuse in se stesso Reclinando lo stelo coi petali [chiusi Che tristezza che metteva dentro Avvizziva ogni giorno di un poco Occorreva che il sole tornasse Nuovi semi portando in quel [luogo Ed ecco che la primavera Col suo manto di petali in fiore Coi capelli di ghirlande piene Sull’aiuola risemina amore La rugiada dai mille colori Come acqua che le piante nutre Fa rialzare lo stelo ed il fiore Lentamente si schiude ed il cuore Che di nuovo di battiti pieno Si rimette felice in cammino

Il mondo avanti a me A volte guardandoti attorno Ti sembra di essere aliena Ti senti straniera in casa Nel cuore compare la pena Ricerchi attorno il consenso Più nero ti sembra il futuro Ricerchi amici e compagni Per rompere subito il muro Ma nulla può fare più male A chi non considera il cuore Che il suono imbattibile e forte Che può sprigionare l’amore La musica con le sue note Che tu sai suonare sì bene Il sorriso che guarda al futuro L’ottimismo che batte le pene Chi oppone al profitto la gioia Chi al fatuo risponde col dono Non teme lo scherno o il dileggio Perché fa vincere l’uomo

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Ancora Milano

Il treno del cuore

Sul treno che corre veloce Il cuore e la mente impegnati Lo squillo, la luce, la voce Riportano a quelle giornate L’estate più lunga vissuta Più bella, più folle, più strana La testa che al cuore si arrende La mente che vaga lontana Il Po sto passando ancora Trasportami treno d’amore Laddove contro ogni ragione Vuol sempre andare il mio cuore Binario di nota stazione Ridammi del viso che sai L’immagine mai scolorita Di un tempo che non morrà mai

Ancora sul treno veloce Che Roma unisce a Milano Ancora con slancio il mio cuore Si fa trasportare lontano I sogni fan bene alla vita Che senza la loro bellezza Sarebbe una noia infinita Attorno già sento la brezza Che porta qual vento sottile Dei cari ricordi la voce Che chiama il mio cuore ogni [giorno Avanza il treno veloce E supera sempre il confine Che il mondo reale gl’impone Travolge del mondo le pene Le avvolge di nube d’amore Amore potenza infinita Che nulla potrà mai fermare Che mai richiede compensi Che solo desidera dare E quando la sagoma nota Appare di quella stazione Commosso ripenso ai momenti Di una stupenda stagione.

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LEANDRO GHINELLI Leandro Ghinelli è nato a Firenze nel 1925, dal 1957 risiede a Lecce. Docente di ruolo di materie letterarie negli Istituti superiori, si è dedicato all’attività letteraria e a quella artistica, conseguendo lusinghieri riconoscimenti. Ha pubblicato nel 2010 una raccolta, in cui sono incluse varie foto di opere di scultura. Carezze di vento

Ora antelucana

Solo soffio di vento essere vorrei, sfiorarti il viso come pura carezza, volare via, per darti la certezza del mio vano passare come passa il tempo. Però, se nasce sul tuo viso la nota di un mirabile sorriso, m’attarderò a sfiorarlo mille volte tornando con mille miti carezze di vento.

Spia lentissima di luce dalla notte riemerge, ridona forma alle fronde e le radici invase di letizia rinviano linfa alle nuove speranze dei rami. S’aprono le strette porte del [giorno in un remoto silenzio. Come seme di grano che germina per diventare stelo cresce per gradi in cielo la risvegliata volontà di vivere. Smarriti i sogni fugaci, ritemprate le membra, la tua bellezza ritrova fresca energia che implora essere amata con dolcezza. Tu docile rispondi alle giovani voglie del tuo spirito-carne.

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Bisogno d’innocenza

Per una giovane sposa

Lasciatemi rientrare nel mio me pargoletto a ritrovar l’incanto sotto il cielo stellato, che brillava parlando al mio timido me pargoletto. Il mistero nascosto nel sottofondo oscuro dietro le stelle generava innocenti domande senza parole. Un brivido chiedeva solo baci materni, perché da quegli spazi eterni moveva i primi passi lieta urgenza d’amore, prima che immaginassi che dalla gioia possa venir dolore.

Va la barchetta bianca verso nuovi orizzonti nell’ampio mare. Sempre più lenta rimpicciolita va e pare accesa dal colore augurale dell’aurora. La guardo a lungo dalla sabbia tiepida, navigo nei ricordi e m’addormento. Vedo che torna, una mano mi stringe forte la barchetta-sposa, di nuovo va lontano. E non la vedo più. Mi risveglio, la cerco. Dov’è quella barchetta bianca nella luce augurale dell’aurora? Nel celeste mattino più in là dell’orizzonte la inoltra il suo destino. Che sia serena sempre come il [canto di ninna nanna accanto al suo bambino.

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GIUSEPPE GIANFRANCESCO Giuseppe Gianfrancesco è nato e vive a Bologna, si occupa di medicina naturopatica, è uno studioso delle filosofie orientali, dedica il proprio tempo anche alla ricerca animica dello sviluppo del potenziale umano. Pensa che la poesia sia l’espressione delle parti nascoste dell’essere, e scrivere innalza richieste a quella parte dell’uomo nascosta nell’infinito. Con

Entra

Passi… insieme uno davanti [all’altro guardando per terra a [cercare sincronie di cammino

Spalancato nel petto ho visto il [Tuo cuore Un cancello varcato con occhi [stupiti ha illuminato la richiesta [di Te…

Sguardi… profondi e parlanti nel [muto idioma della certezza

L’invito a sedere per il [banchetto… aspettato e sperato

Mani strette, intrecciate e sudate [che non vogliono staccarsi [nemmeno per rinfrescare la loro [promessa racchiusa

Ora che sono alla pari con Te ti [mostro e ti dono il fardello [dell’essere mio

Luce e profumo formano insieme [un corpo perfetto…

Un uomo qualunque abbracciato a [speranze e parole dette ad uno [scoglio creato da Te sul quale mi [appoggio aspettando la luce di [un’alba o i colori di un [crepuscolo che chiudono o [aprono un sogno…

La gente li guarda e sorride [attraversando l’alone che brilla, [felici soltanto di appartenere al [momento…

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Dentro

Al di là

In mezzo alla selva celata da [nebbie e rugiade, allunghi le [braccia cercando nell’alto il [sospiro del vento che alzi il tuo [cuore

Un lenzuolo ti avvolge leggero [ricreando disegni di luoghi [lontani… Dune di sabbia attaccate ai tuoi [seni

Lo porti lassù, spezzato ma gonfio [in tutti i suoi cocci

Comete splendenti lungo i tuoi [fianchi scoscesi e l’erba di prati [imperfetti traspare lungo le valli [profonde dell’incrocio di gambe [appoggiate al cuscino…

Depositi in mano alle nuvole [brandelli di urla strozzate Vorresti cucire con fili di lacrime [ciò che resta di te…

Sospiri… e i capelli si muovono [accarezzando il tuo volto [finalmente sereno

La brezza ti invita a chiudere gli [occhi che sono lampioni mai [spenti sulla strada del tempo che [scorre…

Ti cullo lontano dal mondo, [osservo e racchiudo l’armonia [della favola bella che sei…

La luce è nascosta e vedi soltanto [distese di niente

Regina delle fiere domate, ora [aspetti la luce del fiore che [dono… l’ho raccolto sull’acqua di [lacrime e gemme scoperte nel [buio…

Nel nulla più calmo sorridi [all’eterno donando quel sogno… [vita…

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PAOLA GIROLIMETTI Paola Girolimetti è nata nel 1965 a Reggio Emilia dove vive e lavora. Fa parte dell’Associazione Scrittori Reggiani e scrive per l’Antologia di Poesia e Prosa “Un poco di noi”, a cura di Clementina Santi. Ha frequentato nel 2011 il Corso di Poesia, Traduzione e Canzone d’Autore, (presso il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna) diretto da Davide Rondoni. Improvvisamente diventa Sirena, ed in un sol momento tutta la vita in fondo al mare [conquista con gradimento

Stellina La luna è piena arde di luce d’amore e se ne sta [quieta e serena

Soddisfatta, di tutto ciò che è [creato in ogni ambiente il Creatore lodò e nel cielo blu di [nuovo si posò

Una Stellina splendente mi si [avvicina: “Che sia l’anima di una [bambina?”

con gaudio e contento, per apparir [lucente e splendente nel cuore di ogni essere vivente.

Il cielo blu le fa da corona la protegge e direziona Una Nuvola le vuol fare da [padrona ma la Stellina la usa come [poltrona

Luna Dissi alla nuvola che offuscava la [mia luna: “Togliti da me, dolce nuvola, che io possa guardare oltre!” In pochi minuti la nuvola si [abbassò ed alla luna apparvero occhi per [vedere che mi si stava misteriosamente [rivelando donandomi il segreto di Dio per [noi.

La nuvola inizia a dondolare [soffiata dal Vento la Stellina si lascia trasportare nel [dondolio contento La Stellina scivola giù desidera ora tuffarsi nel mare e comincia a galleggiare, a [zampillare tutto quanto vuole esplorare 167


Babbo Natale

Poeti

Scende manna dal ciel a consolare la vista Babbo Natale con sette renne porterà la slitta

Questo amore che si incrocia attraverso immagini, musica, [canzoni, poesia: movimento e silenzio. I passi possono aiutare a [raggiungere il tuo cuore. I versi del poeta a raggiungere il [Suo amore. C’è sempre una canzone, un [verso, un’immagine, un movimento, che come il vento soffia, avanza e si fa sempre più denso, intenso. Forse anche un fiore parla già [d’amore se si fotografa come amore [gratuito nel tuo cuore. Poi sai cos’è l’amore, diventa immagine di arte riflessa. La copertina parla, come parla il [poeta e ti innamora, ti allunga il suo [invito. Non sai che invito è e nemmeno [cos’è, ma il suo profumo è intenso, il suo colore rosso amore è deciso, [sbocciato e il suo gusto ha sapor d’infinito [prelibato…

Per volare nel cielo stellato e vedere stupore e sorrisi nei bambini dal volto incantato E la manna scende in serenità con nastri colorati, profumati e pacchi colmi di felicità Attenti e pronti i bambini a raccoglierne i doni infiniti ed a gustarne col Creatore il futuro di beltà da loro cercato La gioia della semplicità la gioia dell’amore: sono la vera gioia nel nostro cuore.

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DAMIANO GORACCI Damiano Goracci, nato a Montepulciano (SI) nel 1967, risiede a Roma dal 1991. Inizia la sua produzione poetica e di scrittura in età adolescenziale, ha partecipato a concorsi poetici, ha scritto due libri dedicati alla poesia che non ha mai pubblicato, ha pubblicato inediti su riviste e antologie. Il tuo seno

Ricordi

Il tuo seno conòide minuto perfetto come egizie piramidi, strangolandolo placo il mostro che t’ama e nient’altro, e nuove lacrime di desiderio magiche annusandoti vergini cadranno.

Il passato non è mai remoto, travagli d’allucinazioni elastiche hanno sempre una finestra [d’ombra intrusa sul presente agonizzante. Le brillanti profetiche pagine [della vita, si mascherano macchiandosi e [nutrendosi d’illusioni armoniose [d’intramontabili glorie, riconfortano tuonando il [sostentamento d’una piena d’ore fiorite, ma sotto intimissime luci superbe [d’emblema scorrono fatali orfani cadaveri [d’eventi, che il tempo pervaso, ne subissa immediate ampiezze in un abisso prosperoso d’oblio. Così lontani, eppure [prepotentemente a noi così vicini, si riaffacciano perpetui incoronando lo spiraglio [vacillante, che credevi chiuso per sempre, e ricompaiono laboriosi indelebili [e infiniti

Spirito carnefice t’ammira [smarrito devastando il magnetismo dei tuoi capezzoli rosa ammantandoli tremando [sfuggendo in dieci semi vorticosi di [gramigna, sacri altari dov’io abbarbico lenisco e spengo la mia sete famelica di cavernicolo. Spirito devoto terribilmente t’adora maledettamente sedotto dalla tua carne regina, straziato licenziato supplico il tuo corpo spietato, d’accogliere ancora sul tuo seno quest’amante mendicante.

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avvolgerci intensamente [odorandoci in un’ombra vagante, in mezzo a un mondo di vapore innocuamente fragili e

beatamente in un lieve soffio, di vento ferito.

Potesse il vento [abbandonati;

Ho camminato spesso inseguendo i sentieri dei miei lunghi pensieri, senza mai approdare in altri [connotati, dove invece, ho smarrito tacendo la possibilità [d’esimermi da quelle false emozioni che non [erano le mie.

ma il vento impertinente, mi riporta d’un soffio in qualche luogo disparato dove risuona concretamente il deserto che mi circonda. Ed è questa penosità, che annunzia nel tumulto alla visione attenta un indirizzo, sapendo di queste sillabe la simmetria profonda ad una [svolta e stessi gesti ingurgitati dallo [specchio; potesse adesso il vento [raccogliendole portarti sul tuo profumo, la traduzione delle mie mute [parole.

Il vento ci porta illusioni che risuscitano accantonate in uno [spazio dove la giovane immaginazione, è sospesa tra la tempesta d’un [sogno e quello che ci capita; a me è capitato di sbriciolarmi [vedendoti felice perché amavo fantasticando la meta dell’ebbrezza in cui sfamavi la sinfonia del tuo [cuore. Ma un giorno, mentre accarezzava la mia mente a tratti i tuoi confini, ho visto sfumare la tua musa e nell’oscurità vagheggiando il mio corpo prendere il suo posto. Quello che aspettavo certo, 170


ELENA GORETTI Elena Goretti vive a Siena, dove ha insegnato per molti anni Lettere, è appassionata di arte e in particolare di poesia, musica, pittura e teatro. Per approfondire la conoscenza del mondo teatrale, ha frequentato a Siena un corso propedeutico di teatro, diretto da Nunzio Olivieri; la sua vita privata è ricca di affetti e scambi culturali con parenti e amici. Ragazzo sul lido di Capri

Venezia, lo zendado

Viso di melograno incastonato in oro quali segreti tieni nel cuore? Vola il tuo rossignolo verso l’infinito e tu lo segui con lo sguardo ardito pronto a scattare contro chi ti opprime.

Respiro di maschere… Preludio di sole, insondabile mistero il volto che non si vede: un’ombra sparisce tra le calli nel grigiore di cose sommerse come i gioielli perduti di una dama velata.

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San Galgano, mistero sacro

Livorno, l’ex voto

Segreto ineffabile forma decifrabile donati al gorgo del mare apriti al fiume dell’Universo incanto dei secoli armonia delle Muse. Vergini foglie al perdono si chinano molli di rugiada. Giunge il campione della spada ma non ferisce: si placano i venti… Nel silenzio la stella ci guida.

Aerea città soleggiata dove il vento spacca le nubi e l’ispido urlo del mare ti muore in petto. Bianchi yacht slanciati stazionano nel porto, navi mercantili vengono e vanno, si portano cuori e rinunce nell’ebbrezza dei motori. Torneranno di lontano forse con un ex voto da appendere a Montenero, marinai favoriti dalla sorte

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MARILLA GUIOTTO Marilla Guiotto nasce a Jesolo (VE) nel 1961. Entrata nel mondo dell’insegnamento, ha sempre conservato uno spazio per la passione che la accompagna da sempre: giocare con le parole per trasformare in versi i sentimenti che la pervadono dentro. Ha pubblicato con l’editore Pagine, per due anni consecutivi, due poesie per “L’Agenda del Poeta”. mentre all’orizzonte, tu ti [smarrisci e giochi con le onde mi adagio qui sulla tua riva e [attendo il flutto che confonde.

I doni Io vorrei dunque dir quant’è [verace, o mare, il canto dell’onde tue che dona pace, e il [dolce tintinnio delle conchiglie che ai piè tu mi [sospingi, piano al par giunchiglie appena nate, [appena colte, giù nei fondali, che poi tu poggi [sulla riva pari a regali.

Tramonto Un dolce tintinnio di campanelle sospese a dondolar lì sulla soglia fa da richiamo a chi si apposta furtivo a rimirar ogni tua mossa…

E dolce è rimanere lì, assorta, [ferma dentro l’acqua, che spinge l’onda e poi la ritira a [sé lenta e affranta mentre la presa nella sabbia viene [meno e, lentamente sento il corpo che si arrende al [dolce lavorio continuo che tu mare, perpetui carezzando [la pelle mia all’istante.

E muto rimane il mio saluto, a [mezz’aria la mano alzata, lento il respiro [giacché tenera e lacerante è la visione di te mamma, assorta e intenta alle [tue cose… Il mio cuore allor si stringe e [l’anima pure sulla tua figura, dolce e greve che [culla e ancora canta sommessamente [una dolce nenia ad una immaginaria creatura,

Rimango ancora e ancor ad occhi [chiusi, mentre ascolto cogliendo ogni attimo, [mascherando il pianto in volto com’è dolce abbandonarsi e [scivolare piano nell’oblio 173


[sussurri raccontando fiabe ad una culla che [nel tempo hai riempito ancor… invano.

[piccola e lontana. Come sei dolce donna, com’eri [dolce mamma… Il cuore sussulta a quel ricordo di [carezze e baci che donavi, quando al tuo petto [forte mi stringevi e d’improvviso più non fu, [l’affetto tuo.

Ti amo mamma, come sempre [t’amo accarezzo i tuoi capelli ormai [canuti e radi mentre le scarne e piccole tue [mani ricamano leggere a mezz’aria [delicate carezze.

Difficile capire sai il perché di quell’inspiegabile tuo [cambiamento sembrava non volessi ammetter tu che il tuo amor per me era lo [stesso.

Sospesi son ora i baci tuoi che [doni posandoli prima sulle dita stanche e quegli occhi nocciola così [grandi mi dicon che tu m’ami ancora e [ancor.

Quanto mi manca il tuo calore [acceso di quando mi afferravi con vigore e mi stringevi allegra contro il [cuore tanto da farmi percepire il suo [tumulto.

Così, ferma sui miei passi resto a [rimirar i tuoi strazianti atti d’amore innato sento una stretta al petto e piango per tutto il tempo che il fato ci ha [rubato.

Perché mamma, perché più non [mi amasti come tu sapevi fare, fin allo [spasimo fin sulle corde più estese del [sentire tutto di te mi empiva il cuore e i [sensi, tutti.

Son qui adesso, a te accanto e [poso le mie carezze sul tuo capo, lasciarti non potrei, [mai sei sempre tu mia dolce madre, la [roccia forte che carezzava, rideva e di baci [riempiva le mie gote.

Adesso culli il vuoto, e canti antiche nenie, e sorridendo

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DOMENICO IENNA Domenico Ienna, antropologo e giornalista, si occupa di diverse culture antiche e moderne, scrive saggi, articoli giornalistici, contributi radio– televisivi e congressuali; in poesia ha pubblicato la raccolta “Specularia” (1988), è presente in varie antologie ed è risultato tra i vincitori di diversi premi letterari. Cicale

Voci notturne

Perché hanno smesso improvvise – da un ramo – il loro verso serrato, che eterno appariva concreto nel vuoto del cielo d’Estate?

Notte: nei campi discordi abbaiare di cani rivelano strade invisibili, e case smarrite su piani diversi, e tracce sottili – nel buio – di vite assopite.

È silenzio, adesso, di pomeriggio meridionale, assorto all’ombra – in curva – sulla provinciale deserta; sospeso su aspre colline assolate, isolate, che hanno da sempre abbracciati la pietra e gli ulivi.

Inquieti si cercano randagi solitari; e cani d’aia – alla catena – rispondono sognando l’avventura. Ma già da tempo galli altèri chiamano l’alba, rimbeccandosi rochi, vanamente.

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A Sandro

La chioma di Berenice

Ahi, forse non vedrai l’Estate, quella piena almeno!

L’astronomo Conone, a cui ben noti furono in cielo i moti delle stelle, il ciclico ruotar delle stagioni, del giorno il Sole e delle notti l’ombre, la danza della Luna e la sua assenza, lassù mi colse – nel chiarore incerto – di Berenice ricciolo fulgente che in fede al voto la regina tolse, tornato in patria sano il re vincente.

Tu lo sai, e da molto; comunque pronto a lasciare non visto – con faccia da ragazzo che non hai più da tempo, e all’ora strana in cui se ne vanno sobri e discreti quelli come te – le crude mura d’ospedale, che pure provi a fare ospitali per chi divide ogni giorno, con te, dignitoso dolore.

Ma che m’importa, ora, l’armonia, con cui nei cieli corrono i Pianeti: vorrei soltanto, se potessi, stare di nuovo in capo, chioma a Berenice.

Dove andrai allora, finalmente di nuovo giovane e veloce di gambe; ammiccante simpatico di ruganza romanesca come nella foto di spiaggia sul mobile di casa tua, che non vedrai mai più?

(Libera rielaborazione di inizio e fine dei testi di Callimaco, Catullo e Foscolo)

Che dirti ancora adesso? Ti sia lieve la terra e forte il nostro abbraccio, quando sarà; e speranza forte d’arrivare in mare grande, questa volta di stelle… 176


RITA IULIANIS (Tora – CE), dove vive con la famiglia. È insegnante di Italiano e Storia presso l’I.S.I.S.S. “Guglielmo Marconi” di Vairano Scalo – CE. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesia: “Ciottoli” (2001); “Il senso del mare” (2002); “Ordinaria magia” (2003). Numerosi i riconoscimenti ottenuti in campo nazionale ed internazionale. Collabora a varie riviste letterarie ed è inserita in molte antologie. Brindisi amaro

I tuoi silenzi

Bevo alla tua coppa, Dioniso, nell’orgia delle baccanti. Brindo alla Bellezza, all’attimo che fugge, ubriaca dell’illusione che il sangue che scorre sia vino novello.

Hai riempito il mio cuore dei tuoi silenzi. E ne ho fatto fuoco alle notti di [gelo e sorgente alla sete del dubbio, dell’illusione. Non amo le parole, menzognere e balbuzienti, ma i tuoi silenzi, perché non fanno rumore. Come i tramonti, gli sguardi, i palpiti del cuore.

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Rose di carta

Carezze

Ti ho amato, creatura, piÚ della vita. Ho colto per te le mie rose e nel grembo le ho portate al [tempio: un fascio di rose e di spine. E ne ho fatto giaciglio alle notti di gelo e ne ho fatto tappeto ai tuoi passi sbandati e le ho sfogliate appassite a raccogliere acqua a ricamare sorrisi. E le ho posate al tuo altare con le mani grondanti di sangue: le mie rose rosse e bianche. Ma tu non le hai riconosciute giaciglio tappeto acqua alla tua [sete‌ Sono rose di carta, mi hai detto. E le hai calpestate.

Sentieri delle mani. Percorsi inediti agli occhi, stanchi di orizzonti lontani. Fra le valli del tuo corpo scavano solchi di passione mentre nel cielo vespertino esulta la rossa gioia del tramonto.

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MICHELA LABERTINO Michela Labertino è nata a Roma nel 1990, attualmente è insegnante presso le scuole d’infanzia. Da subito si è interessata alla poesia, all’età di tredici anni ha scritto il suo primo racconto poetico, arrivando con il tempo a comporre una raccolta di poesie sempre più vasta; è anche appassionata di pittura e teatro. Il tempo

Morte nel mare

Quante onde deve cavalcare un uomo, prima d’esser chiamato uomo? Quanti mari deve sorvolare un gabbiano, prima di riposarsi su di essi? Quanti pargoli deve uccidere una madre, prima d’esser chiamata madre? Quante botte deve ricevere una [donna prima d’esser amata davvero? Quanti soprusi dovrà subire un popolo prima della ribellione? E per quanto ancora il mondo taccerà ingiustizie per paura? Il tempo è un’arma da taglio priva di lama! Per quanto ancora ti fermerai nei [miei ricordi?

Chinai a terra il mio corpo stanco, delicatamente bagnasti i miei [piedi. Mi voltai e osservai una bimba [custodir gelosamente la sua [dimora, udii la sua stridula voce [pronunciar parole come: “Questo è un castello senza fine abitato da cavalieri e [dame, nessuno lo può [oltrepassare”. Oh mare se il mio corpo e i miei [piedi continuavi a bagnare, la dolce fanciulla le tue acque non osava baciare. Divenne così donna e dama di [quel castello incantato, sfiorando per sempre labbra salate di colui che lo ha [oltrepassato.

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Cella

Amore e mare

È un giorno di agosto, uno come novembre, solo il caldo e il freddo [ne fanno la differenza, è un misero [calendario a segnar giorni senza tempo, [frammenti di nuvole bianche e un insolente [raggio di sole che passano attraverso ferri [arrugginiti di una cella che ha spezzato la tua [libertà. Nei tuoi pensieri e nella tua anima puoi così riscoprirla, toccando con mano quel mare [immaginario e quell’insolente raggio di sole che riesce a sfiorare il tuo [volto, senza limiti di ferro arrugginito!

Seguimi piano afferra la mia mano, trascinandoti imploro la tua anima ad un eterno amore, che le stradine di questo paese sono ancora più solitarie e buie solo senza l’idea di te. Non vi è spazio per giocar, né per ballar o cantar. Non vi sono rumori né di macchine o moto, ma solo odori di suole consumate di vecchie scarpe di persone che passeggiano qua e là! Qui giace la più triste delle realtà. Si sa la visione del mare però [scuote e culla ogni dolore, ed è con te che posso tuffarmi nel blu [dell’infinito senza che vi sia spazio per [ospitarlo.

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PAOLO LAZZINI Nato il 14/03/62 a Falcinello di Sarzana (SP) ove risiede, conta vari riconoscimenti e pubblicazioni su antologie e riviste specializzate. Dal 2007 si dedica, con un gruppo di amici musicisti, a reading di poesia in scuole, piazze, comunità terapeutiche. Tra i premi ricordiamo: 2003 – San Marco – Città di Venezia – 1° Premio (narrativa) Messaggi di Natale. quel dolore in retroguardia di un’umanità depredata dei propri bisogni. Non state alla finestra mezzadri del potere il vostro guardare è colpevole quanto il loro bastone.

Ai Poeti alla finestra Cadranno uno ad uno i vostri sogni dentro pregiudizi ritagliati su misura avamposti della vostra paura. E faranno rumore alzando nuvole di polvere e di idee claudicanti. Voi bulimici della parola che vi arrampicate sui versi per scivolare nella parodia di una poesia anoressica. Voi che dondolate fra i teorici della giustizia divina ed i pratici della giustizia [sommaria. Voi che masticate la storia come un cibo avariato e non vi accorgete che le rivoluzioni passano molto più in là del revisionismo [accademico. Voi che non sapete ancora [riconoscere l’odore fedele a tutte le miserie

L’inopia Nell’elisione dei dialetti mediani nell’aferesi delle pochade… l’inopia. Lo smagliare parole come catene per rabberciare le proclitiche frasi di reboanti cantanti di tabarin… l’inopia. Nel nodoso miraggio plutocrate nello sfratto dell’aedo sognatore l’inopia. Nel proscenio logoro e [trasparente arabesco di anime in disuso l’effimero pensiero tace al cuore l’affanno micragnoso della parola offesa. 181


[confine di simboli e luci, disorientate [comete rottami del vivere la civiltà [mancata. L’artiglieria in livrea mangiava [fricassea nell’ospedale da campo [l’attruppamento, marcava lo scontento… bluse, foulard, paltò, liseuse, [plissé, accanto allo stendardo con martingala e bandoliera, divorato dal tempo, bivaccava sulla giostra il reggimento… stoffe, sofà, peluche, un comò accompagnato dalla sua [abat-jour… un filosofo, biografo, filantropo un tipografo, patriota, dinamitardo un burocrate, funzionario, [galoppino… un comunista, [controrivoluzionario… un garantista, enfant prodige [miliardario entraineuse in tournée… limousine con roulotte e [chauffeur… questa è la piazza del secolo [ventunesimo.

Disertore urbano Voglio tradirla questa vita l’ambiguità della parola la retorica del verso garbato l’esser degno di ciò che non sono mai stato. Il belare da transumanza di un gregge al macello col miraggio di un cielo dentro la stanza. Il contare i giorni dell’anno dentro ore che sono minuti calendario di quotidiane fatiche per morire alla fine del giorno nel notiziario post-prandiale. Disertare voglio la vita per cadere dal sogno più alto sulla strada dell’incubo urbano dove l’amore diventa mercato.

Fricassea In tempo di guerra ci si ritira dentro maglioni strappati o capotti sdruciti… se attraversi la città puoi deglutirne gli umori puoi scendere fra i suoi ventricoli sbronzi di solitudine, sfibrati dal [dolore c’è un margine di parole, un 182


ETTORE LE DONNE (Rivisondoli – AQ, 19 dicembre 1950), vive a Montesilvano (PE). Pittore e scultore attivo dalla fine degli anni Sessanta, Nel 2001 fonda “L’Oracolo”, quotidiano culturale. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesie “Stanze dell’ascolto per Angela” (Tracce, PE). In ambito letterario, tra gli altri, si sono occupati del suo lavoro: Pablo Echaurren, Ubaldo Giacomucci, Fabrizio Legger (Postremo Vate), Elio Pecora, Filippo Solìto. Apologia sui detrattori

A Pippa Bacca

Grazie agli stolti raggiungono i detrattori l’apogeo. Sono simili a maiali, tra carte rantolano ingiallite dal tempo. Sempre divorano petali di rose. Confuse le ragioni sopra pulpiti vuoti per lo scacco epocale. Pacche sopra spalle tra ghigni che non trovano conferme. [Tempeste e saette cancellano pensieri.

Viaggio crudele con l’abito da sposa lontano dalla tua Milano di cristallo, di ferro, che t’ha spinta tutto sommato tra i minareti di Istanbul rapiti dalla morte, puntuale arrivata all’appuntamento fatale per mano di un pazzo che non t’ha tolto profumi di gelsomini che tenevi addosso che respiravi in questi giorni alla fine di una primavera pazza, arida brulla, sconquassata. Le colline della semidistrutta Beirut t’hanno sentita rantolare per il tuo messaggio di pace. Smarrita volevano vederti a Milano imprigionando il tuo animo assetato di verità.

Dedicata a Giuseppe Ungaretti

Dedicata a Yasir Arafat

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Tempo perso

Ora che

Non pregate a vuoto la domenica. Pregate per i poeti e gli artisti zittiti dal canto stantio dell’omelia imbecille.

Cieli grigi di sole d’afa confondono il paesaggio anemico. Occhi con cataratte non vedono e narici assuefatte non respirano l’aria delle fratte. Ora l’ape malata ansima affannosa. Canti di cardellini no. Nemmeno di verzellini, di fringuelli, di usignoli. Sì di gazze gracchianti e cornacchie fameliche che perlustrano ancora rami sguarniti dell’albero senza vite. Ora che il tempo è quello del disastro, non assurge a nuova vita.

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ALESSANDRO LIZIOLI Alessandro Lizioli è nato a Lodi nel 1961, di professione fa il medico psicoterapeuta e si definisce navigatore dell’anima. I viaggi nella mente con i suoi pazienti gli insegnano che ogni racconto ha un senso di amore e di passione. Da tempo cerca di trasmettere questo senso con i suoi scritti, ha pubblicato una raccolta di poesie intitolata “Carbone, sandalo e vento”. Antalia

Artemide

Stanchi sono i miei occhi guardando le anime trascorse passeggiare sul lastrico del tempo. Antalia primo porto di viaggio distesa nel passo tra mare e stelle d’Asia, rivelami il viaggio di lei al nascere del sole d’Egeo, al morire nei laghi dell’antico umano. Stanchi sono i miei occhi di luce fioca dell’Ovest che aspetta Dio nei sogni. Antalia inizio dei passi passaggio di cotone e oro fontana di battesimo del suo delirio. Antalia prima Fata.

Laggiù il Tauro, vette antiche stanze dei cammini del destino ombre e figure disegnano il mio passo dolente, faticoso sogno per la via. Laggiù Troia e Pergamo viandanti delle stagioni tue gli occhi azzurri che riposano sui nodi fioriti e trame di seta. Laggiù il confine del tempo contorti ideali trafitti dalla tua mano. Passerò i limiti del tuo incanto cane e lupo, volpe e ramarro addestrato alla morte vana forgiato nel tempio al sapere. Laggiù l’universo attende, il mare ti cinge la vita.

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Prima trasformazione

Seconda trasformazione

Eri terra con le tue orme all’ingresso della via ti allacciavi la vita con i sogni, aspro e ruvido il cuore calpestato. Danza mia discepola nel tempo danza nel cuore della tempesta note d’avorio sul seme intarsiato danza ora che sei sulla via racchiudo il senso del sole ricama il colore del mare lontano. Suona ancora il tuo canto rotea il tuo pensare nei piani d’Asia ricorda il tuo sentiero perduto lascia il tuo corpo alla morte. Non chiudere il tuo volo ardito sopra terre di conquista all’ombra della Croce. Eri terra con i tuoi passi nel vento hai germinato il mio amore.

Terre, tombe ornano il capo funesti altari sopra il cuore legati con la seta di Dio fracassano, i nerbi, il cielo. Attingo riflessi di rame dalle dita del vulcano volgo il braccio al cielo nel tramonto del peccato. Non sento più il fiato le corde dei sensi si intrecciano bozzolo privo di vita che rinasci ad Oriente. Tengo in mano il tuo seme attraverso i fori di roccia imparo ad annodare la vita.

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LINA LOLLI Lina Lolli è nata in Umbria ma vive a Roma, dove insegna in un liceo delle Scienze sociali e s’interessa sia di poesia che di arti figurative. Ha partecipato con successo a numerosi premi letterari e sue poesie sono incluse in varie antologie nazionali; nel 2008 ha pubblicato “Passi nel silenzio” (Edizioni Del Giano), con prefazione di Plinio Perilli. Africa

Terre ir-redente

Il vento incide parole di ghiaccio su lande infestate di solitudine.

Scaverò fosse di lacrime dimenticate nel furore della battaglia per i corpi smembrati di coloro che morirono in spazi al potere sacrati, per i testimoni muti di rabbia e dolore che ancora vagano imbelli cercando la via nel nulla del giorno.

Piange Minerva ruscello senza più acqua civetta senza la notte, Saggezza canta ora nelle galassie sconfinate. Desolate nenie contrappuntano ritmati tamburi. Al grido che sale dalla terra assetata l’Africa cuore affamato di generosa ombra risorgerà dalle sabbie gialle di secco furore.

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Anima della terra

Singulti di rabbia

Leggere di vento canne si specchiano in acque increspate. Vento, anima della terra che sollevi, avvolgi e sublimi pensieri soffusi, vento che effondi la vita, e rinfreschi l’aria sollevando memorie, attendo il tuo sibilo che cavalca gli angoli dei muri corrosi e i rami degli alberi, che soffia sulle lame di fuoco dei falò caldi d’estate. Come il vento s’abbatte sulla [pianura e disegna affreschi di vita, colorata di forza una folata di ricordi affolla il mio spirito giunto alla soglia. E nell’agonia del piacere dalle viscere del tempo salirò agli avamposti divini.

Solo memorie. Non un angolo vivo. La mente spaurita ritaglia segni di vita che altri tempi e pietre e altri di noi hanno vissuto. Fantasmi immemori vagano cercando legami spezzati dalla furia cieca di una terra squassata e singulti di rabbia di madri e compagne senza più identità alzano grida e dolore verso templi diroccati. Il terrore dell’ignoto colpisce le membrane di timpani [convulsi. Non basta una casa per dimenticare e seppellire i [morti. Solo il tempo generoso d’oblio soccorrerà con amore i suoi figli.

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GIAN ANGELO LORENZON Gian Angelo Lorenzon è nato nel 1956 e vive a Casale Monferrato; dopo la maturità Magistrale e qualche anno di insegnamento, entra in Trenitalia, dove attualmente lavora. Da sempre appassionato di posia, scrive e “poetizza”, i suoi autori preferiti sono Dante, Gadda, Pasolini. I

II

Padre, ritornare nelle tue mani [dure. Come campane di Maggio, echi tepidi, ariose alture, distese viti, nuda argilla esser di te scultore, ora nella malattia fera ombra di notte.

Nel diluvio degli anni Di vite lacerate Nel magma fluttuanti Nel diluvio degli anni Le nostre morte anime Sprofondate Gelide. Nel diluvio degli anni Parole Versi Di bruciate esistenze Schiacciate Murate.

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L’indifferenza del male

L’aura del tempo

Nell’essere privi di luce È oscuro male D’anima Gusci vuoti Stanche membra, Fiele Spoglie nude. Niente del sordo dolore Più oscuro, Fredda stele.

Densità di pece Nero occhio Bolgia Di carne venduta Sbattuta. L’aura del tempo che viviamo Il nulla Che colma Le sferiche vite. Satrapi ingordi Gozzoviglia Corpi Oblique esistenze. Cerco L’oblivioso senno Cerco Il deserto silenzioso Cerco La mandragora Cerco Il sogno Dello sciamano.

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ANGELO LOSIO Angelo Andrea Cav. Losio, nato a Marcheno (BS), dottore in Psicologia, ha partecipato al programma spaziale per il lancio di satelliti italiani a Mombasa–Malindi. Giocatore ed arbitro di scacchi e insegnante in istituti e scuole, ha scritto libri di psicologia e una raccolta di Poesie. Si diletta di scultura in legno, pittura ad olio, acquerello e grafica. Vento del mare

Amara ombra

Gocce che picchiettano noiose, il mio sguardo perso, riflesso sul vetro dal quale osservo. È là che vorrei rannicchiarmi dentro una conchiglia tuffarmi in ogni emozione passata, ogni volta che voglio. Risalire la corrente, balzar fuori ricadere ancora con l’eleganza d’un delfino, con lo splendido luccichio d’ogni singolo zampillo esaltato dalla luce. Luce alla quale non so sorridere quando è quella dell’alba quieta, alla quale non so cedere al pianto quando è quella del tramonto pensoso… Non ho espressione né prima né poi. Mi sorprendo a scrivere per non dimenticarti ascolta il messaggio del vento dal mare, lui sa dove trovarmi.

Seduto sulla materna sabbia, dove l’acqua fluttua gentile, l’indifferenza legittima rispetto nei tuoi tratti. È il tuo quotidiano essere sorpreso scoprendoti in armonia con me e col mondo. Vorrei mi istigassi non un’emozione in più, ma proprio ora ritorni estatica, oltre ogni apparenza. Vorrei averti trovata io nel tuo imprimere tenerissime gioie come pietruzze d’umile orgoglio invece mi ferisce immaginare il movimento delle tue mani che concretizzano. Mi resta solo emularti qui dove solenne contro scogli aleggia il vento caldo del mare Le iridi fanciulle di ieri oggi e [domani catturano gli arabeschi; qui dove tu sei solo la mia ombra.

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Di notte passeggio Con la tua assenza al mio fianco! Mi sta accanto il sentire che non vieni con me. Gli specchi, l’acqua mi credono [solo; lo credono gli occhi. sirene dei cieli ancora grondanti di stelle. Tenere ragazze languide, che scendono da automobili, mi chiamano, non le sento ho ancora nelle orecchie la tua voce che diceva: “Non te ne andare”. E, quelle ultime parole tue parlano ancora con me senza sosta, mi rispondono a ciò che ha chiesto la mia vita il primo giorno. Ombre, fantasmi, sogni, amori d’altro tempo, mossi a pietà di me, mi seguono mi prendono per mano.

Un altro bacio è sulle mie labbra. non si muove da lì, non se ne andrà. Il bacio che tu mi hai dato, guardandomi negli occhi mentre m’allontanavo.

Ma all’improvviso avvertono che ardente, viva, tenera, io stringo palpitante nella mia la forma di una mano, quella che tu mi hai teso dicendo “Non te ne andare”. Se ne vanno, mi lasciano i fantasmi, le ombre, attoniti vedendo che non rimango solo. E allora l’alta notte, l’oscurità, il freddo, anche loro ingannati vengono per baciarmi non possono. 192


MASSIMO LOTTI Massimo Lotti è nato a Firenze nel 1971, città ove vive e lavora. Scrive dal 1993, ha pubblicato due sillogi poetiche, alcune poesie ne “L’Agenda del Poeta” dell’editore Pagine, ha partecipato con riconoscimenti a diversi concorsi letterari; ha conseguito il diploma di recitazione presso la Max Ballet Academy nel 2005. Verso il mattino

Necrologio per una zanzara

Spente le luci Morfeo si pascie re incontrastato della città. La tarda sera partorisce gli umori dei fedeli nottambuli; l’odore del pane e della pasta si scioglie alle prime avvisaglie dell’alba che si schiude. Il silenzio si squaglia: il dì evince il suo sipario e la luna dolcemente se ne va.

Era tanto desiderata era parte del mio sangue era il sonno perso in una serata era il riposo non consumato che [langue. Tutta la notte bramata come [pioggia dagli sciamani finalmente sazio il mio cercarti [indefesso ma niente illusioni: non è una [canzone d’amore una constatazione quieta di [possesso finalmente stai tra le mie mani questo è la spremuta importante di [queste ore. Non ti ho cercato io nel letto [adagio della fauna hai scelto il peggiore [predatore senza astio ma questo è il tuo [necrologio autodifesa di un povero [lavoratore.

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supplico luna di prestarmi di [Galileo la forza per meno sentirmi solo in casa, [ode dei miei cari e dentro il grembo d’etere delle [stelle cerco in diafano tralice di una [lacrima dove sorridete o padre, madre, [sorella dove sarete Vasco, Rosita, [Donatella.

Nitore passante in tre punti Nella notte che ha visto secoli di [amore e sangue, notte che ha contato sabbia ed [arato le langhe nel cielo veloce della finestra di [questo treno ho pensato che a casa nessuno mi [attende; come flesso di foglia e non volo di [rondine il solo avere è un triste avere da [solo perciò dentro il grembo d’etere [delle stelle cerco in diafano tralice di una [lacrima dove splendete o padre, madre, [sorella dove siete Vasco, Rosita, [Donatella.

Ora che la mia famiglia è un [firmamento solo un nitore passante in tre punti a convergere sul mio cuore un po’ [solo amor mio orfano di eco, ma a voi [cucito d’oro. Cuore mai occluso da silice di [clessidra.

Ora che la mia famiglia è un [firmamento solo un nitore passante in tre punti a convergere sul mio cuore un po’ [solo amor mio orfano di eco, ma a voi [cucito d’oro. Nella notte brunitoio delle ore dei [poeti, notte che a fine marzo fa capricci [di nubi e sole nel ricordo dei vostri gentili fiati [mai dimentichi dalla terrazza tra un bacio di foto [e un sorso di cognac 194


FRANCESCA LUPI Francesca Lupi vive a Castel Sant’Angelo (Rieti), dove è nata nel 1925. Insegnante ora a riposo, fa parte di associazioni e Accademie culturali e le sono stati assegnati diversi premi letterari; sue poesie figurano in importanti antologie e sono state tradotte in più lingue. Poche parole

Ritratto dell’odioso

Mi spiace tanto, buon dottor [Donato che versi non compose la mia [mente quando potevo dir ch’eri [eccellente… Buono, scherzoso e molto [addottorato, pratico e tanto umano con la [gente, dal verbo arguto e, a volte un po’ [pungente. Tu possedevi ancor altre virtù, forse è superfluo numerarle tutte or che nel mondo tu non vivi più.

Col volto increspato ripien di rancore, lo guardi e tu provi paura, terrore… Ha gli occhi sanguigni, le labbra rabbiose, il cuore di pietra, le mosse altezzose… Se chiedi favori risponde alterato e l’odio raddoppia le grinze sul naso.

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Pensieri

Alla quercia

Una processione di cipressi, un cancello di ferro semiaperto, alcuni lumini accesi, una marea di fiori… Ricordi lieti e tristi del passato, figure di persone trasparenti come l’aria, amori rapiti per sempre… Tristezza, dolore, rassegnazione, preghiera.

Robusta, ridente al mattino col sol che t’indora tu parli col vento sottile, saluti l’aurora. Tu guidi, cadenzi i miei passi scuotendo i tuoi rami mi ispiri pensieri gentili mi sembra che m’ami. La tua chioma frondosa s’infuria, s’azzuffa allorché tramontana a nord ti spinge con forza, oh mia quercia sovrana! I garruli gridi di uccelli alloggiati ai tuoi rami riempion di musiche l’aere con spartiti divini. I tuoi rami sottili, inchinati mi lambiscon la testa, le tue fronde mi donan carezze e m’invitan a far festa. Sei stupenda, altezzosa, possente, o mia quercia regina, le tue ombre tu doni ai passanti e ristori il vecchino che [ansimando cammina.

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ORNELLA MAMONE CAPRIA Nasce a Napoli, vive a Rossano (CS). Da molti anni le case editrici Pagine e Otma ed internet accolgono numerose sue liriche. Tra i premi ottenuti: premio speciale “Il vino e le sue terre” 2008; III posto ex-aequo per il “Premio letterario nazionale di Calabria e Basilicata” e premiata con pubblicazione della poesia per il concorso “Parole al cioccolato” a Perugia da Eurochocolat nell’anno 2010. Ho posseduto la verità dell’ingenuità non trapelata alla comune gente quando bassorilievi di smaliziata intenzione e di concitata pseudo-memoria venivano creati. Nascosto nel silenzio , le mie emozioni usate parevano sorseggiare acqua pulita e invece la torbidità il mio organismo ignaro attraversava. In fredda attesa hai aspettato il suo effetto. Oggi il ricordo non ribelle e la condanna disperata della mia ingenuità ieri agonizzante e indifesa non si placa e nel turbinio dei miei sfoghi trovo il ripudio.

Il complotto Braccata anima avanza senza volgere sguardo intorno, si incarta nell’ambiguo manomesso. A nulla vale il suo essere anzi, il suo educato silenzio consolida menti che si intagliano nel tempo e inesplicabili convinzioni si ammatassano E mentre il soffocante linguaggio tellurico l’abbraccia e si appropria del suo essere, il meschino fugge rinforzando torbidi sodalizi di vendibile amicizia. Declama la sua essenza vera e genuina che nel covo degli inganni si adombra. Senza più voce sente il fruscio labile dell’ascolto e sottomessa lo cerca invano.

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Residui

La sofferenza orba [nell’Hallervorden Spatz

Interpretazioni, soddisfatte dall’inciucio ambiguo, distratte convincono menti superficiali desiderose di condanna. Possessori, ignari della verità mutata intersecata trasmessa mai confrontata, rinforzano prepotenti che giocano compiaciuti a difendersi. Ingenuità, annegata soffocata da allappanti sensazioni penetrate nelle mucose corrose, ora distilla l’essenza e residui putrescenti allontana.

Il tempo scorre e l’amarezza si contorce nel progredir di un dolore programmato. Casualità della mutazione, dell’attimo fermato nella manipolata infida chimica che, giocando all’imprevedibile, domina l’ignoto. La sofferenza orba ti stringe, ti morde, stritola le speranze, le schiaccia, le soffoca e guarda il tuo stillicidio. La sofferenza orba non cerca il tuo sporadico sorriso catturato altresì, nei nodi potenti di chi ti ama. La sofferenza si inabissa e affiora invia segnali senza nomenclatura mentre sguardi continui di amore ricamano lembi di una vita preziosa.

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STEFANO MANGIONE Poeta critico e saggista, vive a Reggio Calabria: “Mi attardo sulla Parola” (P. Rhegium Julii 99); “Satire” (2003); “Dopo di me verrà Uno” (2006); “Parlami piano ora che sei mare, 60 sonetti d’amore” (2009) i suoi libri di poesia. Ha vinto con una silloge inedita il “Montale” 1999 (Scheiwiller). Ha pubblicato articoli e saggi su Prévert, Neruda, Pessoa, Sylvia Plath, Lee Masters, Whitman, N. Ikmet, Penna ecc. A mia figlia Lucrezia

Anima nuda

Mai non essere più che luce ed ombra più che silenzio. Oltre le parole e gli occhi fa che il cuore senta in te le melodie fuor d’ogni segno.

Canto, il mio amore, tra nidi alti nascosto e tu sei uccello dalle ali notturne, dalle piume di luce. Il mio cuore, per te, ha frutti e bacche, ha gemme di fantasia, il mio cuore, e occhi per il tuo volto soltanto. Conchiglia, il mio amore, con le voci del mare, che sussulta d’invisibili correnti. Una mela rossa salvata dal naufragio del tempo ti offre la mia mano. Ti amo, anima nuda.

Mai non essere più di ciò che sei, mio tempo e vita, fa ch’io mi risvegli o m’addprmenti nelle tue pupille, fa che che nel sonno ogni pena [cessi. Mai non essere più che idea e pensiero, nulla oltre l’amore: sii una rosa che non fiorisce in alcun roseta. Sii l’animache in sè ha lo splendore di ciò che senti e che nessuno irradia. Sii la bellezza che se stessa [esprima.

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Mia figlia Lucrezia nuota

A Lucrezia, nel freddo Nord

I capelli sospesi a pelo d’acqua, come alga, m’appari, come pianta, come palma che remiga e dal vento passi al cullare tenue delle onde. Giù dove si muovono correnti scorre il tuo tempo e oscilla il tuo futuro. Nei fondali, il tuo sguardo vivida i coralli fiorisce in essi il roseto d’ogni desiderio, del tuo sogno. Ma se cerchi la vita a piedi scalzi, fra cocci e vetri, attraversa la spiaggia, alza il capo e socchiudi gli occhi al sole.

Spingo verso te questo mare, [l’onda che si tormenta, che s’inebria e [gioca al sole con le spume e con gli [spruzzi. So che da un’altra parte sei in [attesa, dove non sono mormorio o canto o pianto silenzioso. Ti mando ora le montagne e le nuvole di fronte, tratturi aerei e candide greggi, tutto il cielo, le vaste praterie. Dell’Etna innevato eternamente t’invio il lungo segnale di fumo e allo stesso vento che lo sperde le mie parole affido. Non so dirti, o non voglio, ritorna, perché [anche se potessi ascoltare la mia voce, non coglieresti l’anima di quello ch’io sento. A te sospingo il mare, la spiaggia, d’onde forse inviano [altri pensieri alle lontane figlie amate. Voglio che anche tu veda le case sul litorale: tutte hanno una stanza per te, e una finestra, e so che da ciascuna tu mi guardi.

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LAURA MANISCALCO BLASI Laura Maniscalco Blasi è nata a Taranto, ove risiede; si è laureata a La Sapienza di Roma e ha insegnato per trent’anni negli istituti superiori. Ha partecipato con successo a concorsi letterari, ha pubblicato tre romanzi e un volumetto di racconti e poesie. Inserita in antologie nazionali e internazionali, s’interessa di poesia visiva, mail art e pittura. Finestre

Scansione di giorni

Lampi fuggevoli di occhi ammiccanti ridenti disperati finestre dell’anima da cui penetrare in segreti meandri. Il mio… il tuo mondo in simbiosi multiple di sguardi si fondono captano silenzi desideri paure svelano solitudini. Un grumo di emozioni (inascoltate {in)espresse… premono nel petto soffocate dall’ansia di bruciare il tempo per offuscare pensieri sotto infiniti strati di rovente cenere.

Sospesa a rami oscillanti sfiorati da brezza salmastra attingo forza da radici tenaci di antica quercia. Mi rigenera generoso tepore di sole calante che scivola sinuoso sulla pelle e s’irradia nell’intreccio delle vene mentre avvolgo sogni con reti di spighe fruscianti aspiro aroma pungente di zolle inseguo scansione di giorni tra vermigli tramonti e cieli di cristallo.

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Ride il sole

Circuiti

Intorno a me solo… silenzio vibrante di umili oggetti accarezzati da mani che non posso sfiorare preziosi ricordi di amorosi sguardi che non parlano più al cuore ferite incise nell’anima che tardano a guarire e la bocca non trova parole per esprimere delusioni.

Monadi fluttuanti su magma di attese galleggiamo inerti nel vuoto di spazi dilatati tra muri di silenzio. Non osiamo abbattere steccati varcare misteri di porte dischiuse. Paure latenti d’improvvisi risvegli che travolgano antiche certezze attanagliano sensi bloccano incauti passi nel logorio monotono di giorni senza tempo.

Ma ride ancora fulgente il sole e la luna stende l’opaco velo sui sogni mai sopiti e su prati di rugiada danzano come libellule fanciulle in amore e dondolano al magico soffio di brezza ali di aquiloni nel luccichio di stelle mentre la risacca s’infrange sugli scogli e il ritmo cadenzato come nenia risveglia illusioni.

Forse… con rapido input mani nude scalfiranno pietre tra spiragli di luce apriranno varchi per riallacciare circuiti nella cosmica circolarità dell’esistere.

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STEFANO MANOCCHIO Nato nel 1961 a Campobasso, diplomato al Liceo classico, giornalista pubblicista. Ha collaborato per quasi vent’anni con giornali e riviste locali; attualmente pubblica su siti telematici. Ha ricoperto incarichi di direzione in organi di informazione a diffusione regionale. È presente in varie antologie di poesia. Ha pubblicato due libri di poesia: “Pensieri frantumati” (dal 2001 in varie ristampe) e “Semplicemente la vita” (2008). Per sopravvivere si convive I fantasmi hanno le ali e tornano continuamente Li sconfiggo ogni volta, ed ogni volta mi prendono alle [spalle Sarà un tormento eterno ma non soccomberò Lo coprirà la vita quotidiana, che è fatta anche di felicità Siamo simbiotici ormai Come la mantide con l’amante Io non mi farò divorare

Certi fantasmi Sono separate le due vite Quella fisica a malapena si interessa di me L’atra corrompe il cervello Lo colpisce con frammenti di stupidità Lui sembra cadere Cupe figure, controllano dall’alto Oramai vive tra le ferite Per ognuna un pensiero Frasi inventate su fatti inesistenti Avanzano certi fantasmi Si materializzano in sogno La somma si chiama depressione È uno stato mentale Non lo subisco, lo accetto Ci odiamo, ma ci aspettiamo Ne sento la presenza e mi preparo alla difesa La mente vola dove l’abisso non ha fine Evito che vada nel punto di non [ritorno Poi tutto passa rivedo la normalità Ma il solco, vuoto non tarderà a riempirsi La vittoria finale non è ammessa

Presentata al Premio Arturo Giovannitti

Sofferenze di vita Dolori ne ho avuti tanti e ravvicinati Seguiti sempre dalla riscossa [morale Poi, ogni volta, nuovi problemi Credevo chiuso il conto con i fulmini nel cuore Batte troppo forte vuole uscire dal petto Altrove forse la quiete della 203


[purezza Come si salva l’anima liberata? Non sento la risposta Il finale è ignoto Sconfitta o salvezza non è dato saperlo Non ho la forza per leggere nel futuro Vedo vicino il buio del fondo dove dal baratro si può solo salire verso la luce della speranza Lei non si spegne mai La vedo in lontananza Cerco di fermare la discesa Le mani trovano appigli per il recupero Ogni volta ricado in basso Con affanno tornerò alla vita La evoco sempre nelle negatività Eppure non mi tradirà Almeno lei soffre anche per me

[spoglia fronte Evanescente l’odore del profumo Che usavi sapientemente nei [contatti Forse ti ricorderai di me Ma non sarà tesa la mia mano Sarò invece nel parco infinito Alla ricerca di nuove ingenuità Nel club degli sconfitti della vita

Menti spezzate Quiete Assoluta assenza di passioni Ma nella testa si muove qualcosa Tormento. Tempesta di folli fissazioni Ti aspetto Vieni nella mia mente molle La tua mano gelida mi paralizzerà Solitudine Ti cerco disperatamente Ma fredde colpiscono menti spezzate Dopo ogni sorriso il raggio della malattia Entra sicuro nel mio cervello [ferito Ombre nere Tornate forti a dominare il pianto Vincere ogni affetto sincero Ancora voi, menti spezzate Mie piacevoli torturatrici Assaporate sadiche la vostra [vittoria Buio

Presentata al Premio Altobello

La vittoria del dolore Sono lacrime della mente …non avrai la mia sofferenza Poi lacrime di dolore …dopo di me il balordo di turno A lui il contratto del tuo corpo Arrivano adesso lacrime degli [occhi Un giorno diventerai vecchia Le tue labbra rosse e carnose …sotto la nebbia dei ricordi Gli occhi una volta furbi …solo palle spente, sotto la

In “Pensieri frantumati”

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ENRICA MARIGLIANI Enrica Marigliani è nata a Terracina, ultimogenita di sei tra fratelli e sorelle, si laurea in Lettere a Cassino e insegna materie letterarie in un liceo di Terracina; oltre all’amore per la pittura, fin da bambina ha vissuto la magia dello scrivere, ha pubblicato diversi testi sulla sua città natale e nel 2003 la sua prima raccolta poetica. Quando

Perché

Quando Dalla crosta Scabra, bruna, ingrata, dura, sortì la donna, che dolorosa sorpresa fu per te! Quasi che Una barriera Sorgere potesse, all’improvviso, tra noi!

Perché solo un inno al guscio noto della malinconia? Rovescia il guscio e naviga la vita! Cavalca l’onde, inalbera le vele, affina l’attenzione e… quante cose ti può donare ciò che prima temevi di afferrare! Rovescia il guscio e fanne la tua nave fragile com’è fragile la vita, ardita come un vero cuore d’uomo.

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Balzeremo di Sole in Sole

E manchi

Balzeremo di Sole in Sole; come una volta, mi terrai per [mano, troppo presi a narrare per poterci guardare; troppo presi a guardarci per riuscire a narrare… Andremo stella per stella, e nulla ne sapremo finalmente! La Luna ci farà da altalena; solo per noi sorriderà l’Aurora, ma nulla ne sapremo finalmente! Oh, quante cose avremo da narrare, quanta gioia da scambiare! Liberi, finalmente! Ti ricorderai dei doveri tuoi e miei e subito dimenticherai… Io mi ricorderò di quei doveri e subito dimenticherò. Il cielo splenderà del nostro riso e di quello splendore nulla nulla nulla ne sapremo…

E manchi! Manchi! Non bastano, in notti come questa, i vivi ricordi! È come camminare sull’inconsistente nebbia che tra noi non fu mai… Manca Il dire senza bisogno di parole, il ritrovare, nell’azzurro argentato del tuo sguardo, la risposta, pronta nel germogliare… Manca il nostro affetto senza abbracci, ché avrebbero sgualcito la tua sensibilità, e la mia.

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MARZIO MAROGNOLLI Marzio Marognolli è nato a Verona nel 1953 e nel 1976 si è laureato in Giurisprudenza, diventando avvocato; ora vive e lavora a Ponti sul Mincio. Ha pubblicato un romanzo e una silloge poetica, e coltiva tutt’oggi la sua grande passione per la scrittura. Cara perdizione

Flagellazioni occidentali

È sera, le certezze splendenti del primo mattino sono svanite piano piano fino a [dissolversi. Negli occhi luminosi ma stanchi di Zita, nel sapore di una arancia, nell’inganno di un tramonto, cado.

Vuoto, come di una energia venuta [improvvisamente a mancare, spento come una fiamma che non [arde abbastanza per rigenerarsi da sola, odo rintocchi dentro che [sembrano gradini che il cuore sale a fatica. Il silenzio è un travaglio costellato [dai soliti pensieri e le lacrime un richiamo alla coscienza della propria [fragilità. Sono collaudato ormai a questi [bersagli ma non consumato ad essi, come a invocare l’oblio.

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Poesia

Ti amo…

Quante volte ti ho cercata, amica fedele di serate impossibili, sollievo dei miei tristi momenti, nascosta nei viali nebbiosi o nelle incredibili sfumature di [tramonti imprevisti, nelle lacrime degli innocenti o nei saluti di commiato, nei sacrifici di mio padre, nella desolazione di un addio, nel profumo di una rosa che [sboccia o nel ricordo di quando non era [del tutto appassita, nella musica del mare, nei rimorsi o nei rimpianti, rifugio alla solitudine che è misera [quando non voluta. Eterno desiderio di rileggerti [domani. Tu c’eri sempre.

Ti amo per necessità, quella di [vincere un po’ la disperazione dell’anima, per staccarmi dai sogni consumati in un soffio di vento, spostati [prima di un’area di servizio, bucati poi da un ritorno di sole [troppo leggero, vinti di nuovo da sere appannate, ancora innaffiati e ignobilmente [spuntati, svaniti. Ti amo per volontà, quella di dire [sempre di sì al proprio destino, di provare anche inutilmente a [possederlo, di chiuderlo a chiave nel cassetto [di incontri sbagliati. Ti amo per capacità, quella poco [umile ma sincera, vera, di riconoscere i miei limiti e i tuoi [errori. Ti amo per qualità, quelle tue di [capire i miei e di accettarli. Ti amo per davvero forse solo da [un po’. Perché non lo so.

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GIANLUCA MARRAS Gianluca Marras è nato a Sassari nel 1974 e dopo la laurea in Lingue si è trasferito in Inghilterra, dove ha studiato giornalismo, ora vive e lavora a Terni. Appassionato di letteratura e musica, ascolta Tom Waits e legge principalmente poesie, romanzi storici e scrittori contemporanei: tra i preferiti, Ezra Pound, Bukowski, Wu Ming. La macchina non trova ostacoli Semaforo verde per il corteo Voluto dalla vecchia signora E ti ritrovi a percorrere la stessa [strada Come un usurpatore Una comparsa troppo sfacciata. Le ali di folla servono solo a farti [volare veloce Per liberarti più in fretta possibile [dei Pezzi superflui Come uno shuttle lasci detriti Dove nessuno li può prendere E rimani con l’essenziale, Un gran pezzo di legno sagomato. E mentre ti sollevi in volo osservi L’incapacità di comprendere la [parola fine, Cervello finemente scolpito Incapace all’infinito Che evapora come acqua salata Per ricadere e schiantasi al suolo Frantumando se stesso E nascondendosi nell’aridità del [cemento. E allora cammineresti nudo Allora sai come tutto deve essere Poi torni e finisci la lista della [spesa.

Sprechi Quello che cerco Un po’ di passione Che renda interessante un [discorso. Una risposta irrazionale Ad una domanda che non sia “Altrimenti che fai?” Vorrei sapere perché Si apre la porta di casa ovunque si [vada Si compra un maglione, di [qualunque colore Si legge un libro, di qualsiasi [genere Si divide la propria vita Con una persona qualsiasi Invece di completarla con Quella persona. Nessuna risposta è giusta Ma il silenzio Un errore, lungo una vita Silenziosa e indifferente In cui ogni giorno È caratterizzato solo Dal numero del calendario E Quel nome e quell’altro numero Lo vedremo solo per 24 ore. Essenziale 209


E sento il peso di ogni singola [pietra E il conto di millenni Ho voglia di raccontare Di fare domande Mi inginocchio E trovo un intermediario Attore stanco di dover recitare In un film che non ha mai avuto il [successo sperato Minacciato da nuove idee e storie Più vicine ai gusti del pubblico Ma non cede Non rinuncia a difendere L’unica cosa che ha deciso di [accettare. Sembra disinteressato A spiegare Vuole solo fare l’arringa finale E grida parole di condanna Mentre lo guardo attraverso una [grata Giudice imprigionato Dentro se stesso Burattino e burattinaio. Mi manda via Non sono degno nemmeno Di essere punito Alzo lo sguardo E attraverso i suoi occhi C’è solo impazienza e disprezzo. Lascio entrare l’aria nei polmoni Lo faccio uscire piano Per trattenere le parole. Io ho perso una mezz’ora Lui una vita intera.

Osservazioni dal terrazzo Non ho idea di come la polvere Si distribuisca nello spazio Però devo intuire Che la signora del 2° piano Sia vittima di una congiura. Ogni ora esce dal terrazzo Aggiusta i panni stesi Controlla che tutto sia in ordine Poi passa la scopa e butta giù dal [terrazzo. Poi con scatti simili ad una cane [che ha appena fatto i bisogni Si pulisce i piedi sullo zerbino Entra in casa Fino all’uscita successiva. Forse fa pausa mentre fa l’amore Ed esce in terrazzo O interrompe la cena per [controllare i panni E vorrei chiederle Se ha priorità Tra le pulizie del bagno E la scopa in terrazzo. Lei forse si chiederà se non ho [altro da fare Che stare alla finestra A sbuffare Marlboro.

Silenzio Silenzio Rotto solo da passi leggeri Come il soffio Che ti fa strizzare gli occhi. Mi guardo intorno 210


DANIELA MATRONOLA Daniela Matrònola. nata a Cassino nel 1961, vive a Roma dal ’91. Del 2004 è la mostra di Cartolina da Parigi, opera foto–poetica con prosa finale, già pubblicata nel 1999; ha vinto alcuni premi letterari e poetici, è inoltre traduttrice di saggi delle autrici americane E. F. Gordon, R. Westzeon e C. Ozick. Ora legale

I ragazzi che siedono

Già adesso che è aprile tutta questa luce tutto questo calore e questo giorno che non fa mai notte: si risparmia!, ben un’ora di elettricità – ma chi la paga la bolletta del mio sgomento? di un’alba che indietreggia di un giorno che punta avanti col suo cielo franco, e tu che non chiudi occhio e sbarri lo sguardo a ogni primo mattino e sogni solo che venga agosto e il caldo ti fiacchi a giacere sul bagnasciuga a occhi chiusi a startene lambita dai brividi della risacca spoglia inerte e vuota mentre il tempo ti scavalca.

Paiono uno Eppure valgono due Come minimo O tre o quattro I ragazzi che siedono Dimentichi di sé E danno carte In posa baresca O soap–operosa Mentre corrono Tangenziali Dietro lei o loro Intercontinentali Mentre a un metro Schioccano baci Di desiderio E/o innamoramento Che appare uno Eppure vale due Come minimo O tre o quattro.

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tra i due fiumi, all’ingorgo nervoso che goccia a scatti, il naso puntuto unico ago magnetico, dà del narratore al poeta agonico. Lei, il poeta, lotta appunto corre inesausta come Milton verso la morte: la sua etichetta: ne ha una raccolta intera di questi foglietti, innumerevoli pecette in cui s’incarta come la valigia di un viaggiatore internazionale – Hai forse ricominciato a rubare? Lui, il viaggiatore, l’amico, era per noi l’americano, fino a neppure un mese fa. Ora dell’unto newyorkese non gli è rimasta neppure una macchia a imbrattargli la giacca i gomiti sono lindi – s’è mai sentito lodare il lindore dei gomiti? Ora ha il colletto incravattato come usa (USA?) qui da noi, bianco sotto l’abito completo di gilet a cinque (o quattro?) bottoni, grigio, in fresco di lana, vestito per ricevere il poeta: l’altro viaggiatore, né italo – né – americano, una mezza cosa, un intero slabbrato, dilaniato dai cavalli motore che lo tirano alle sue opposte latitudini, un senzapatria per eccesso di patrie. Troppe appartenenze dunque nessuna. L’amico invece è tornato stabilmente romano. E ricorda tutto.

Tradotto in cella in cellulare Suona al teleutente prototrimillenario come una tortura da miniaturizzazione come lo scienziato infilato nella micro navicella sparata nella circolazione arteriosa di un comatoso di una fantascienza antenata come il palloncino gonfiato in piena coronarografia angioplastica: ponte tecnocardiografico, discratico, disunisce e disavvicina, scava tra due l’eco siderale come in una intercontinentale – tu ti precipiti a parlare e e la voce arranca a arrivare di là e ognuno si ritrova a volare in un vuoto pauroso: tu e quell’altro dall’altra parte, gelato definitivamente se gli parli per via cellulare, e la voce ti torna indietro inesorabilmente, e la sua gli muore mentre aspetta che il treno imbocchi la prossima galleria e cada la linea come una liberazione.

Stato di salute della poesia Il giovane redattore puntando avanti lo sguardo dalle lenti oltre i vetri al vago nodo 212


ANNA MAURANTONIO Anna Maurantonio è nata e vive a Roma, ove ha insegnato nelle scuole elementari. Ha partecipato a vari concorsi, ottenendo l’inserimento in antologie di poeti contemporanei; recentemente ha pubblicato il suo primo libro di poesie, Caleidoscopio, con la casa editrice Aletti. Fonte

Italia

M’inerpico cantando sui ciottoli di sole volando nell’azzurro disegnato da cirri sparsi come pensieri sospesi nell’evanescente accorparsi di possibilità di eventualità di progettualità sognate inseguite dalla fonte di vita che si staglia indefinita nella luce…

Scolpita, dipinta, illuminata da mille, colorati, aurei raggi piccola, grande perla meta ambita dai tempi più lontani esempio di civiltà ricca di valori universali patrimonio vivo nutrito d’opere d’arte splendi verde di colline celeste di laghi bianca di monti azzurra dell’abbraccio del mare: presago disegno di stivale sei faro di luce di virtù di valori…

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Il ronzio del tempo

Passi di gloria

Assorta silenziosa odo il ronzio del tempo che fluisce veloce… mi trasporta lontano nei silenzi del cuore nel morbido scorrere di cerulei istanti verso nebulose: eterei vortici di pace e d’amore. Fisso lontano infiniti spazi in cui si libra l’anima assetata di trascendenze trasparenti ed armoniche.

L’alba rischiara il mio cuore l’avvolge di luce feconda di pace, di gioia, d’amore che dalla culla m’inonda… Ora mi sfugge svanisce nel ricordo… La stringo forte con il corpo e l’anima… Dimenticando lutti e sofferenze afferro le gioie vissute lasciandomi plasmare nel [profondo m’inoltro nel meraviglioso mondo di un bimbo che va incontro alla vita muovendo fiduciosi, trionfanti [passi di gloria…

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MARCELLA MELLEA Marcella Mellea è nata a Montepaone (CZ), vive e lavora a Vibo Valentia, dove insegna Lingua e letteratura inglese al liceo. Sin da piccola ha dimostrato una naturale propensione per la poesia e la letteratura in generale; ha pubblicato diversi articoli sulla didattica della lingua inglese, un racconto breve e una silloge poetica nell’antologia “Punica granatum”. Ali di farfalla

Il circo

Ali di farfalla, tante strade han calpestato. Per mare, terra e cielo Ovunque ti han portato! Rallentano, oramai, faticano ad andare, si fermano ogni tanto, non sanno continuare. Meraviglia e stupore, il cuore sa provare perché quella farfalla non può più volare.

Lunga carovana che vai, hai conosciuto gente e paesi, musiche e rintocchi di campane. Quanta vita è passata sotto le tue [tende, quanti sorrisi hai strappato ai [grandi, quante risate ai più piccini. Dietro di te l’acre odore degli [animali che riveste la pelle di giocolieri e [artisti. Lunga carovana che vai, porta con te sogni e racconti, nuvole e sole, amori proibiti e amori disperati, vagiti di neonati e pianti di vecchi. Porta ovunque la tua storia, fai conoscere a tutti la tua allegria, nascondi la tua malinconia.

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Papa Wojtyla

Pensieri

La tua grandezza non ha [conosciuto confini, La tua parola ha squarciato i [tempi, La tua dolcezza ha conquistato i [piccoli, La tua mitezza ha addolcito i [poveri, La tua bontĂ ha innamorato i [giovani, La tua fortezza ha incoraggiato i [pavidi. Il tuo sorriso ha consolato il [mondo, La tua malattia ha intenerito i [cuori, La tua visione ha sconfitto il male, La tua preghiera ha diffuso il [bene, La tua santitĂ non ha incontrato [ostacoli.

Pensieri solitari che si vestono di sogni, trasportano veloci immagini e ricordi. Pensieri inascoltati che accarezzano desideri, volano lontano e nascondono ombre. Pensieri misteriosi che riportano la vita, anticipano le gioie che presto svaniranno. Pensieri silenziosi, che si fermano sui volti, imprigionati nello spazio, lontani ormai nel tempo. Pensieri sconsolati, che si adagiano leggiadri insinuano paure, e confondono le menti.

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ORNELLA MEREGHETTI BACCOLO Ornella Mereghetti Baccolo è nata a Treviglio nel 1961. È infermiera professionale presso il Policlinico San Marco di Zingonia (BG). Ha iniziato a scrivere all’età di quindici anni. Ha collaborato con «La Gazzetta della Martesana e Milano Est» ed è diventata giornalista ad honorem di Muratti Time. Per la Mereghetti la poesia ha il compito sublime di prendere tutto il dolore che romba nell’anima e di placarlo. s’incolla alla tua carne. Dormono i miei occhi stanchi ma non si spegne nemmeno per un attimo la voglia. Così oltrepasso il muro della lontanaza e arrivo a te, rubando da questo cielo, la prima stella. Conducimi, amore caro sulla tua pelle immergimi nella tua frutta dolce, portami nel tuo notturno sogno!

Immergimi nella tua frutta [dolce Piango per i fiori e per il momento esatto in cui cadono… Per il giorno che muore! Piango oggi questa tua assenza… L’ora felice del bacio è lontana. Mi hai ospitato con infinita [tenerezza ma la paura ci ha tenuti distanti. Ti amo, quando pronunci il mio nome e la parola sambra appena iniziata sulle labbra… Quando mi dici devi avere pazienza ma il fuoco mi divora. Intanto l’estate si ritrae e già un rantolo preannuncia la sua fine. Dormono le mie mani sul tuo cuore, il pensiero

La mia poesia esce da me [urlando La mia poesia esce da me urlando grida ogni volta che ti penso, ah, morirei per poterti rivedere… Quest’estate ha le labbra spaccate e la sua arsura aumenta la mia sete. 217


Tornare giovane, desiderabile. Vorrei sapere se anche il tuo cuore batte veloce perché il mio corre, rimbalza, ti supera. Vorrei diventare pane, abiti occhiali, camicie, qualcosa da riporre nella tua credenza! Invece mi sento sospesa, ad un filo, abbandonata. Sto nel limbo della tua indifferenza!

Potessi vivere nel tuo ventre ampio… Il tempo mi è nemico la mia poesia esce da me urlando grida ogni volta che ti penso. Frugo nel tuo cuore tu ti lasci frugare la tua luce brucerà le mie mani. Stia la mia poesia attaccata alla terra o voli in cielo dove ne ho comprata una porzione. Fruga sotto i miei abiti logori tocca la carne, attraversa il mio [sangue. Tra cielo e terra petalo su petalo donami il germoglio verde rendimi ancora fertile, fammi sentire donna, la tua donna!

Il mio dono La tua bocca ha il sorriso dell’acqua, tu sei acqua che riempie la mia sete, picchia la tua goccia sulla mia nima sola! I tuoi occhi sono due stagni scuri mi guardano anche quando non ci sono. La tua voce allegra, è un invito, è il vento che allontana le nubi. Sei un dono, il mio canto nel mondo, sei vita, la spiga che diventerà pane!

Nel limbo delle tue parole [perdute Desideri come pesci morti di sete galleggiano nelle tue acque ardenti. Sto nel limbo delle tue parole perdute… Vederti vivere nell’illusione che anche tu mi pensi! 218


MARIA LUISA MEUCCI DI MARSCIANO (Firenze). Vive a Roma, dove, da molti anni, è moglie e madre felice. Nel 2000 ha pubblicato una prima raccolta di poesie e prose liriche, “Le cose non dette”, prefata da Plinio Perilli. È del 2001 il suo secondo libro “Le pagine bianche”, premiato, fra l’altro, dall’Accademia internazionale Francesco Petrarca. Nel 2004, sempre presso la casa editrice Pagine, ha pubblicato la raccolta poetica “La felicità ha le ali”. Senza più luce

Son sola… Sei solo

Aridi sono quegli occhi senza più lacrime, arida quella bocca senza parole: arido quell’amore senza più luce.

Ho bisogno di baci di parole dolci di braccia che mi stringono… ma tu sei presente, eppure lontano, sperduto in un mondo senza porte per me. Son sola… Sei solo. Perché ti nascondi? Perché chiudi il cuore a ciò che ti dico? L’amore soltanto può farti guarire. Ti prego apri l’anima a me che ti amo. Sprigiona il tuo amore di un tempo lontano. Vedrai che l’angoscia di colpo svanisce, e a noi resta l’amore che ancora ci unisce.

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L’indifferenza

La nostra vita

L’indifferenza dischiude le sue uova nel cuore di un fanciullo quando gioisce di fronte al compagno che mastica a bocca vuota guardando la sua merenda.

La nostra vita è la stessa per ogni uomo, solo che ognuno è il protagonista della propria. E la differenza fra le une e le altre è se ridere o piangere per le stesse cose.

Diventa larva nel guardare il topo nella bocca del gatto che si divincola nel terrore.

Da “Attraversando

Si veste a festa come una regina alla fame dei bambini dall’addome gonfio attaccati al seno scarnito della madre. Ma il suo trionfo è di fronte alla morte, alla miseria, alla malattia. È qui che prende lo scettro e cammina calpestando i cadaveri dei fratelli.

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TIZIANA MONTI DI SOPRA (Agordo – BL, 29 agosto 1956). Inizia a scrivere poesie all’età di quattordici anni, con la passione trasmessale dal padre. Lavora da trentacinque anni come segretaria e ha due figlie, Elisa e Giulia. Nel tempo libero, si dedica al volontariato e frequenta serate dedicate alla poesia, organizzate dall’associazione Verba Volant. Partecipa a concorsi di poesia e per due volte è stata segnalata. Tramonto

Attesa

Quando il giorno si spegne pian piano e l’acqua acquista riflessi di sole, io regalo due ali ai miei pensieri e loro se ne vanno lontano a cercare antichi ricordi. E ritornano sempre con un sorriso e una lacrima.

Grida di silenzio nella penombra della sera, pensieri fatti di ricordi impalpabili. Attesa.

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La mia vita

Questo Amore

Ho perduto la mia vita. L’ho cercata nelle albe purpuree dei mattini d’autunno, nel rosso fiammeggiante dei tramonti d’inverno. L’ho cercata nel tepore del sole che scioglie la neve a primavera e nei cieli stellati delle buie notti d’estate. Vuoto nel cuore, buco nell’anima. Poi l’ho ritrovata nel profondo dei tuoi occhi, nella carezza delle tue mani, nella sensualità della tua voce. E l’ho vissuta intensamente, giorno dopo giorno, assaporando ogni attimo come se fosse l’ultimo regalo di Dio. E infine L’ho perduta di nuovo il giorno che ho perso te. È lacerante questo vuoto nel cuore. Questo buco nell’anima.

Portalo dentro di te, questo amore, ogni giorno che nasce, ogni sera che accende il cielo di [rosso, ogni notte in cui ti senti solo. Come un regalo desiderato e poi [avuto, come una promessa fatta e [mantenuta, come un raggio di sole dopo la [pioggia. Come un ponte che collega le rive [del fiume, come le stelle che brillano in un [cielo d’estate. Conservalo come una fotografia a te [particolarmente cara, alimentalo, come fosse la fiamma di un fuoco acceso in una notte [africana. Tienilo stretto nell’anima e nel cuore, come la cosa più preziosa che hai e che non vorresti mai perdere. Un giorno, forse, sotto un cielo nero lontano, accenderemo un fuoco tutto per [noi e sarà l’inizio di una nuova vita. Dedicata a te, che sei il mio futuro

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WALTER MORETTI Nato a Botticino, in quel di Brescia, fuggendo le ultime bombe aeree della Seconda Guerra Mondiale, si è formato agli studi classici e successivamente all’arte medica. Ha lasciato il lavoro per farsi giardiniere, di vigna e di giardino. Poi, anche di parole. Adamo ed Eva

I morti

Per quale divina assenza di autocontrollo, in preda all’ira, li cacciasti, dopo aver apparecchiato luogo così sublime ove giacersi?

Disponi accurati fiori alle tombe tu – fatto ormai solo – attendi, vecchio, di trapassare il fiume. Avrai i loro volti, doppiando la Morte?

Alla fonte purissima della conoscenza hai apposto il subdolo cartello: “NON POTABILE”. Così il giardiniere, che dei limoni agli alberi gravidi scrive il messaggio: Avvelenati con velenosissime sostanze: partorirete dolore e morte repentina solo al cibarvi del loro oro [impuro.

Vorrei – e me ne duole – non ti fosse vana l’attesa: i morti non sono. Di vuota assenza riempiono spazio esso ancor vuoto, afferenti il nulla all’immenso nulla. Inchiodati a tombe di cimiteri suburbani dal timore di perderli, già perduti li abbiamo. Quelle marmoree tombe hanno solo di solidificate lacrime il senso.

Ormai dannati ad amori di carnalità corrotte, scendete chini delle verdeggianti sale i gradini, dove rimane solitario il Serpente. Valeva tanta perfetta ospitalità per quel solo deforme sibilante? 223


Autunno

Giovanna D’Arco

Hai nuovamente disteso il tuo tappeto scarlatto là, dove dei nostri passi suona il silenzio.

A sedici anni sono quasi tutti incendiari; non ti diedero il tempo di farti pompiere.

Sanguigna ferita della nostra coscienza mortale.

Visionaria di Dio. avresti cavati gli occhi, agli inglesi.

Colore contuso, tumefatta ecchimosi del “tutto scorre”, purpurea fotografia srotolata nell’aria lattescente.

Ma Dio era distratto, o assente, oppure impegnato a meditar [vendette su Catari o Albigesi Forse il tuo dio si era preso un [giorno di ferie. Fu così che gli inglesi ti cavarono l’anima.

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LIAM MORONI Liam Moroni è nato a Vertova, un piccolo paese del bergamasco, nel 1985; sin da ragazzo ha provato una forte attrazione per la musica, la poesia, la scultura e la pittura, anche grazie agli insegnamenti di vari zii artisti, tra cui Vittorio Bellini. Ti hanno confuso con un progetto ma non capivano la tua libera [natura Avevi amici, ma non li volevi così avevi mamma, ma non lo volevi così avevi mondo, ma non lo volevi così avevi vita, (e l’hai gettata via così) ma non la volevi così Sin da piccola ti amavi sin da lì tu odiavi chi non ti lasciava andare chi non ti faceva entrare nei loro cuori stupidi Ti hanno confuso con un demone ma in realtà eri un angelo ti hanno confuso con una [delusione e ora gli sconfitti sono loro Avevi vita, ma non la volevi così (ma tu sapevi vivere, ti hanno [rubato) avevi mondo, ma non lo volevi così (e nel profondo, tu sei tradita) Avevi mamma, ma non lo volevi così…

Lungo la linea del fumo Sabato sulla piana, la valle è già vestita a sera. Lungo l’orizzonte che divide i pareri e le montagne, scappa un falchetto lontano dalle dicerie. La foglia di novembre, brucia vogliosa nel cuore di febbraio e lungo la linea del fumo, si stende e riposa un cane, quasi a voler scomparire dagli occhi del padrone, per regalarsi ancora più libertà.

Avevi vita Sin da piccola ti amavi sin da lì tu odiavi chi non ti lasciava stare chi non ti faceva volare nel profondo blu dei tuoi occhi ti hanno confuso con un dispetto e fingevano di darti amorevole cura 225


Pittore, è colui che affronta le guerre, con i pennelli carichi di colori taglienti, è colui che attacca al muro, i buoni e i cattivi pensieri! Pittore, regole e linee a piacere, sfumature e tecniche come gli [pare.

Essere (…speciale) Ricordati, come ti è grato il mio animo quando danzando, ti porti al mio occhio. Sappi, quanto sono felice nel parlare astrattamente con te, del tempo e della vita. Accoglimi, in una zona più sicura lasciando che le mie voci, entrino nella tua mente. Perché. La serenità che regali, quando il tuo essere decanta o quando la tua parola è uguale alla mia è solo uno specchio nel sole, che riflette la mia gioia.

Ora… Come continuare… ? Pittore è un po’ troppo generale… Bisogna specificare! Pittore… ? Sì Bellini! Ecco qui un nome. Pittore Bellini, consolatore di anime, amante delle betulle, scrittore poetico, scultore sacrale, pittore Bellini, un uomo artista propenso al tutto fare! Dunque… Come finire… ? Pittore… No… Bellorio… ? In fine Bellini Vittorio. Esempio e artista, sposo e padre. Roccia nella vita, diamante nel cuore!

Pittore Bellini …Da dove cominciare… ? La vita di un pittore. Ecco da dove partire! Pittore, anima che vede ciò che i sentimenti elaborano. Pittore, mente che crea, quando il mondo genera pazzia. 226


ANGELO MOVIZZO Angelo Movizzo, nato a Roma il 13 dicembre 1950, risiede a Latina dal 1980; nel campo poetico, da qualche anno considera la Poesia “Un modo per vedere la vita come un mondo senza dimensioni”, nella convinzione che esprimersi significa affermare la volontà di vivere in mezzo e con gli altri. Portami con Te!

Albero di Natale

Portami con Te, lungo strade silenziose che si perdono fra sassi e boschi

Per le feste mi sono vestito come un albero di Natale.

Su verdi pendii erbosi, dove le greggi pascolando si rincorrono nel sole.

Al posto dei palloncini bocce di vetro rovesciate. Al posto della neve tubi trasparenti illuminati.

Nel tuo cuore, e non morirò mai quando saranno finite le parole!

Al posto della musica tante speranze. Non vedo l’ora che arrivino i Re Magi attorno a me, solo silenzio.

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Allo specchio

Sogno

Mi guardo allo specchio sul viso qualche ruga ha segnato il tempo trascorso.

Cammino a lungo un piede avanti l’altro. Inciampo, guardo il cielo quasi piove.

Mi riguardo ancora cerco dentro di me ma non trovo rughe dentro l’anima.

Prendo una buca quasi cado. Avanzo ancora raccolgo errori e fatalità.

Il tempo e gli eventi tristi e felici della vita non l’hanno intaccata.

Riflettendoci, forse ho messo le scarpe sbagliate.

Intatta è rimasta come a venti anni bella soddisfazione.

Continuo a dormire la vita aspetterà.

Sì ma che fregatura!

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ALBERTO NOCERINO Alberto Nocerino è nato a Genova nel 1960, si è laureato in semiotica all’Università di Bologna e si occupa di poesia, drammaturgia teatrale, antropologia culturale. Dal 1992 lavora presso la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria, nel 2006 ha fondato TeatrOvunque, per il quale scrive spettacoli; ha pubblicato articoli e poesie su diverse riviste ed è autore di saggi letterari e sul teatro. Rimpiattini toscani A Cecina c’è una signora di medietà tutta vestita di pineta proprio sotto la mia mezza duna l’occhiale da sole sui capelli le mani a crocchia in grembo fissa il sole in fronte le gambe a V rovescia i piedini ignudi l’unghie tinte di bordò. Potresti farle un buh maligno alle spalle gialle gialle e fauno sparire fra le frasche ridacchiando ciclamino biciclando birichino Ma trasudorando umori te ne chiami fuori (che poi, va beh, si sa, di rimpianto te ne muori).

A Cecina c’è dietro la Capraia: la nube montana dell’indice corso: ponentina è la Gorgona (che mai se n’andò a Pisa, piccina e pigrona): se volti a Levante, lì flottano eleganti le tre gobbe elbane (più la quarta Rocca, che imbarazza e bara, sul Golfo di Baratti).

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A Cecina c’è la pelle che si cuoce piano piano in sabbia specchio concavo comodo spinoso spazio piegato prostrato diroccato da cui messaggiare placidi di soddisfazioni amici amiche lontane lontani presso le città ortogonali, da queste chiome beatnick pinocchie coccolone lecciose sugherose quercianelle… la macchia macchiaiola del picchio verde verde! Eventualmente avrei ferie prorogabili eventualmente a tempo libero crediti d’ossigeno intanarsi perenne fra sabbie grovigli di spine, e ciclamini.

A Cecina c’è la mia scorta d’acqua plastica stabilizzata a mezzo sabbia in un groviglio di salsapariglia e [ginepro ultima ombra della spiaggia lunga [lunga, ultima tana della pineta nuova di [zecca dopo la pioggia primavera dell’altro giorno: tra poco di nuovo sarà secca A Cecina c’è il tombolo leopoldino questa mezza duna seccata da uno scalino radicale sventolante alla cima lo scheletro ramoso, lo sfortunato colono corroso ginepro coccolone, incline a crollare secco sulla rena che sovrasta: ci sbandieri la tua anima con la mutanda scura la maglietta fracica il calzino sozzo il telo umidino. Mezza duna m’ospita acquattato al sole al riparo del vento di mare che di Provenza soffia un leggero Mistrale. Sono pini che s’accartocciano alti attorno sono pini che rotolano fra le [sabbie tesori di pinoli. Sono amori.

A Cecina c’è il ciclamino violino che se la suona punteggiando a crocchio smeraldo sereno tra le dune e i pini in prolungate fioriture distese svagate d’ostinato fresco profumo. Ti fa ricercare, folle verde di mare, ogni seno bello che se n’ammanta che ce n’incanta che ci fa inchinare. 230


TIZIANA ORTOLANI Roma, 20/09/1959, lavora nella scuola come ATA, segue studi e approfondimenti in “benessere olistico”, scrive da una vita, spinta da un forte desiderio di esprimere il suo mondo interiore e per dire grazie a tutte le persone che ha incontrato, in special modo a quelle che hanno reso difficoltosa “questa strada”, perché è a loro che deve la voglia di ricominciare ogni volta come se fosse sempre il primo e l’ultimo giorno del suo andare con amore. La Conchiglia

Primavera 2011

Racchiude dentro sé più di un sospiro la conchiglia…

Riposo vuole la mia mente pace cerca il mio cuore Desiderio d’abbracciare d’essere abbracciata

Nella mia mano accarezzo la forza tutta femminile…

Carezze di cuore dentro un mondo che nasconde… eppure ha amore

La voce del Mare il ritmo delle onde libere.

Come piccole gemme che si schiudono al Sole, fiori nuovi colorati d’arcobaleno entrano di nuovo nelle mie emozioni

Un canto d’amore che nasce e si muove tra una marea e un’altra. Gocce salate e luce lunare plasmano, creano preziosa energia dentro Lei.

Stupiscono… di meravigliosa magia. Penetrano nel sottile manifestarsi di momenti colmi di gioia e [d’allegria

Io stessa… che sento Te insieme alla vita mia

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Un gesto

Nettare

Un cerchio una spirale …la vita… Incontra e interseca luci, vibrazioni.

Il vento ha scompigliato tutte le foglie, L’ira dell’invidia si è aggiunta a strappar i nostri boccioli in fiore

In asse e ascisse formano geometrie lucenti

A terra ormai sbattuti rimangono fermi come deposti sulle radici degli alberi o agli angoli dei muri…

Regali doni di colori armonici …un gesto… Un saluto, un sorriso aprono le porte degli abissi Riflettono come in specchi concavi e convessi spontaneità nel nostro presente quotidiano

Ma, l’Ape ha preso il regalo più bello; nettare dei nostri sguardi e pensieri e dono di nuovo ne ha fatto alla terra. Custodito, difeso e protetto al sole nuovo il fiore nostro rinasce ancor più forte e più bello!

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FAUSTA LUCIA PAGNOZZA Fausta Lucia Pagnozza è nata nel 1973 a Calvello (PZ); si è sempre dedicata ai viaggi e alla solidarietà, trae ispirazione per le sue composizioni dal viaggio fantastico e irreale che si compie intorno alla propria anima. Ha partecipato a raccolte di poesia ed è comparsa su alcune riviste dedicate a poeti contemporanei. Quante ombre

Ti ho visto

Quante ombre calpesterei sul sentiero della vita per rivederti ancora e amarti un’ultima volta. Quante fiamme attraverserei nella notte cupa per baciarti ancora e vederti dormire tra le mie braccia ancora una volta. La nostalgia cade incontrastata questa notte nel tuo ricordo, quanto amore darei per rivedere il tuo giorno, tu, che sei, uno spazio infinito nel mio piccolo cuore.

Ti ho visto nascere una notte dal mare vestito di luce e amore infinito. Voglio toccare il tuo volto per rinascere in te, su tutte le [spiagge, lungo tutte le rive. Voglio toccare i tuoi occhi per guardare il mondo con lo stesso entusiasmo innocente che ti appartiene. Voglio toccare il tuo corpo per prendere il calore della tua passione. Voglio posare le mie mani sulle tue così da poter toccare ogni cosa con la forza e la bellezza che tu possiedi. Voglio accarezzare la vita con la gioia e la determinazione che tu solo hai. Vorrei coprirmi di fiori per amarti ancora e ancora come in una danza senza fine e tu, mio sposo, amami come io sono.

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adesso dove sei? Chi riscalda il tuo corpo? Chi asciuga le tue lacrime? Chi rassicura il tuo sonno? Dove sei? Piccolo mio, dove sei? Lontano, lontano da me Continuerò ad aspettarti in ogni sogno.

Dove sei Dove sei? In questo momento dove sei? Sei andato via con tanta fretta. Dove sei arrivato? Sei partito da solo verso la notte. Dove sei arrivato? Dormivi, come un angelo, ma gli angeli dormono, amano chi li ama. Viaggi tra i mie ricordi come un desiderio d’amore, ti afferro ma fuggi via. Dove sei? Mi hai lasciato una ferita che non guarisce. Dove sei? Continuerò a cercarti come si cerca l’ombra nel deserto infuocato. Dove sei? Sei fuggito via con tanta fretta. Dove sei? Hanno reciso il tuo germoglio, adesso sono sola mi accompagna il dolore, sono una leonessa ferita alla quale un cacciatore crudele gli ha sottratto il cucciolo. Dove sei? Piccolo mio sei andato via con tanta fretta 234


ANTONINO PALADINO Antonino Paladino è nato a Catania nel 1975, ma è originario di Nicolosi, un piccolo paesino alle falde dell’Etna, oggi vive in provincia di Siracusa. Si diletta nello scrivere poesie, testi per brani musicali, alcuni già editi, il suo genere preferito è il campo della conoscenza spirituale, archeologia, metafisica, tutto ciò che comprende l’evoluzione dell’essere. Silenzio

Vita

Silenzio ascolto il tuo canto Ebbro dei tuoi sussurri Fluttuo come l’acqua Adattandomi ad ogni incanto.

In ognuno risiede l’oceano Esserne parte appare impossibile Eppure le nuvole sono gocce Dell’oceano.

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Aforisma

Essere

Nel mondo la percezione del [divenire Non è agli occhi di molti e [l’evoluzione del tutto Vi si nasconde; così succede che [per quei molti L’infinito diventa una linea [all’orizzonte.

Come il rifluire delle maree Il ritmo della vita trascorre Com’è difficile essere il pendolo Tra e negli eventi I moti dell’anima vibrazioni Insondabili Il corpo un guscio fine a se stesso.

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LEDA PANZONE Leda Panzone è nata ad Aosta, ma vive a Pescara. È stata premiata dalla figlia di Totò al Senato per la narrativa. Ha pubblicato per la narrativa: “Sentimenti” e “Dalla neve alla nave”; per la poesia: “Sensazioni”, “Pensieri vagabondi”, “Frammenti di vita” e “Trame inquiete”. Inoltre esprime le proprie rilevanze sentimentali attraverso la pittura. È presente in riviste, antologie con poesie, racconti, articoli. La guerra

Le quattro stagioni

Urlano gli animi, si placano le voci, si contraggono i volti in smorfie di dolore. Attorno, si crea il vuoto.

È trascorso un altro anno con molte gioie e… qualche [affanno. S’avvicina il lungo inverno con le nevi e freddo intenso ma, col fuoco del camino non sarà certo un inferno… Con la primavera allegra si risveglia il creato: sopra fiori rossi e gialli volan liete le farfalle! Poi, l’estate porta ai cuori voglia di vita e giovinezza: con il sole si rinasce, si gioisce e scompare ogni incertezza. Oh! L’autunno! Dà tristezza con le foglie un po’ ingiallite ed il cielo assai velato, ma, nei campi il contadino, pensa all’olio ed al buon vino; le castagne dal loro riccio fanno invece… l’occhiolino. È di nuovo il Natale: un augurio a tutti quanti, un pensiero a chi è lontano, agli anziani, a chi sta male. Una preghiera guardando lassù a chi amavamo e, non c’è più.

Fumi neri s’addensano su pelli martoriate, bruciate, su carni strappate, vive. Corpi devastati, nel sangue; anime avvolte dalle tenebre. Bimbi con negli occhi il terrore mescolati alla sporcizia non osano nemmeno piangere; il fango è il loro giaciglio e poco importa il colore della [pelle. Madri mute, impietrite gli sguardi imploranti pietà… Pietà per le creature, pietà, pietà… Barriere d’odio e di sangue non arrestano il delirio. È la guerra.

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Sfogliando i ricordi

L’oca vanitosa

Sfoglio i ricordi in questo giorno d’estate. Profumo di antico, di polvere nella scatola di latta tra album consunti e foto sbiadite. Sorridi nel gruppo festoso… E ancora mi abbracci, mi tieni per mano. Sembra ieri. Ripercorro a ritroso la nostra vita. Bacio la tua immagine cara. Scende piano una lacrima, Mamma, sfogliando i ricordi…

“Sono morbida, sono bianca sono io, l’oca cigno; la bellezza non mi manca potrei stare in uno scrigno! Guardo le anatre mischiate starnazzar dentro il recinto: sono mute od incrociate, io sola sembro un dipinto!” Gli anatroccoli grigiastri si dirigon in fila indiana verso quegli alti pilastri e poi, verso la fontana. L’oca bianca sta in disparte a mirar il suo candore ma arriva e poi, riparte, tanto fango dal… trattore! L’oca cigno a ruzzoloni nella melma s’è inzuppata; dal di là ridono i campioni di bruttezza dichiarata!

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CARLO PARENTE Carlo Parente è medico pediatra presso l’ospedale Fatebenefratelli di Benevento. Scrive le prime poesie tra il 1970 e 1973; nel 2006 organizza presso il Museo del Sannio (BN) un convegno in cui presenta il primo libro di poesie Canzoni d’amore, illustrate dal pittore Giovenale; partecipa con successo a diversi concorsi di poesia. Mille alberi

Il canto dei grilli è infinito

Ho piantato mille alberi perché preferisco la terra al cielo, per amore del verde, il rosso il giallo, il marrone e l’ocra.

Annuso nell’aria il profumo dei [fiori Ascolto il canto di uccelli [sconosciuti Attendo liquido, che si plachi l’afa che ha incendiato il giorno.

Ho raggiunto valichi di montagna per amore dei faggi e ho vegliato sulle spoglie degli aceri palmati.

Prevale l’assordante grida di grilli invisibili e scruto, invano, una [voce inclusa nella grave musica di [fondo.

Ho piantato mille alberi per dare corde di violino alla bora, e i colori dell’arcobaleno alla [terra.

Echeggia il latrato di un cane [lontano. Pochi passi pesanti tra sagome di [alberi amici, sotto il celeste scuro che [incombe.

Ho atteso con piacere il mese di [novembre, mago dell’autunno e giocoliere [dei colori il signore grigio che trasforma il [verde in giallo.

Questa notte fa paura, non mitiga [l’ansia il cielo è immenso; noi, lumicini [appuntiti Niente si muove nella notte senza [anima L’infinito mi tiene compagnia e [ciarla.

Ho piantato mille alberi per [pagare un debito: restituire alla terra la vita che mi [aveva dato.

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La lumaca nella mano

Stella della notte scura

Si allunga per strada, adesa [all’asfalto segnando il passaggio, col filo di [bava. Guidata nel moto da labili antenne lenta cammina ignorando l’abisso. Ammaliato, ossequio la grazia, perfetta, nella disinvolta creatura. Agitato da un tarlo, la stacco da [terra con mani indecenti, popolate sul [dorso da piccole, gonfie, dune viola. Fermo il mio tempo, esisto vivo, senza anima e corpo, velando i miei densi pensieri. Eppure, posso rallentare il passo mai, questo cuore pulsante il flusso rutilante del sangue. Rallento il respiro, ascolto il [silenzio spalanco occhi muti su questo [tempo chiudo di colpo la mano, indurita. Nel pugno di rabbia, schiaccio la limpida, innocente lumaca, colpevole, dolente e distratto. Nuda ormai, esangue, scivola via da mani bagnate di schiuma [rosata. Cade a terra nell’agonia della [morte.

Lei sussurra sogni con luce fioca è il veleno lento che scorre [inesorabile sull’orizzonte di alati misteri, è la spada grigia che ferisce a [morte. La sua bocca non produce parole ma suoni lontani di cornamusa. Le labbra sono il favo di api [operose deliziose visioni, come i fuochi [fatui. Appena sorride, dischiude questo [favo e il giallo miele tramuta in grigia [lava. Ti punta enormi occhi neri, come [dardi e nella voragine scura inghiotte [navi. Quando si cruccia diventa [infingarda estranea e remota, perduta per [sempre quanto una stella sbiadita dalla [malinconia occulta, nel singhiozzo della notte [scura.

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EMIDIO PARRELLA Emidio Parrella è autore di diversi libri di poesia,di cui si ricorda, è stato docente nei licei e professore a contratto nell’Università di Napoli e Salerno. Ha scritto una biografia di Machiavelli e Guicciardini e diversi libri per la scuola, tra cui il testo “Magistra latinitas, magistra barbaritas”, pubblicato dalla casa editrice Pagine. Impatto

C’è un sonetto fra le tue gambe

Lo spazio in rincorsa dei [sentimenti si delinea nella notte divorata dal [cuore. Si fanno moderate le parole nel crocchio dell’emarginazione.

Il sonetto per essere perfetto abbisogna di un archetto che guidi al buchetto. Ma credere esista un sonetto che senza la mano di un [bracchetto abbia la forza di un siluretto: ebbene è una spampinata moltiplicata, assetata chiavata nella nottata fra gambe nell’aria scoordinate. Lo so, non è un sonetto certo, ma è certo un netto sconcertato motivetto che giunge fino al petto in ritmo serrato, ben incastrato.

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Mamma

Lunghezze temporanee e [ondulate

T’incontravo ogni sera mi parlavi di te, mi raccontavi, ascoltavo‌ Ti ho chiamato l’altra mattina, come sempre eri già andata via.

Con i giorni logori le notti senza sapore ripeto passaggi inconsueti alle mie leggi di uomo. Nella scelta costernata dei propositi il falso aguzzino rimargina ferite temporanee e lunghezze ondulate di falsi prodigi.

Avresti voluto rispondermi. Ora sento la tua parola nel silenzio dei giorni. La tua mano leggera mi segue.

L’ordinamento sconnesso e indesiderato si fa strada fra gli argini del corpo, nella corsa frastornata delle parole.

Pesa su di me la pena dei giorni lacerati dalla tua partenza, diventa insopportabile. Hai amato la vita, hai sopportato la vita, ora sei ai piedi della tua Vergine.

Bisogna ritornare nel silenzio dei ricordi, riportare aneliti silenziosi al bacio dei giorni.

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MIRELLA PATRIZI Mirella Patrizi è nata nel 1962 a Bologna e vive a Sasso Marconi, lavora come bibliotecaria presso un’Istituzione Culturale. Da sempre coltiva la passione per la poesia, ha vinto numerosi premi letterari con le sue composizioni poetiche e nel 2003 ha pubblicato la raccolta di poesie “Fiori di sillabe”. Sogno e realtà

Voli

“I ciuffi di nuvole piccole seguono sempre il vento; ma i ciuffi di erba giovane si piegano soltanto”.

“Voli silenziosi fotografati dal sole sugli scogli deserti. Mappe di vita per occhi speciali”.

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Dalla nonna

Alchechengi

“Un vaso di fucsia apriva il sipario sul terrazzo della nonna: ballerine sulle punte danzavano sui nostri dialoghi pomeridiani. E dalla cucina usciva odore di marmellata”.

“Piccole lanterne cinesi a puntellare d’arancio il bosco d’autunno. Forse sono pensieri emersi. Forse sono le indicazioni per il villaggio degli gnomi”.

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ANNALISA PERNA Annalisa Perna è nata a Roma nel 1957 e vive nella sua città natale, dove insegna italiano e latino al Liceo classico. Sue liriche sono presenti in Antologie curate dalla casa editrice Pagine; ha partecipato a concorsi letterari con importanti riconoscimenti, tra cui il quarto posto al Premio “Pagine di Poesia” (2002) e il secondo al “Premio Laurentum” (2003). Fragilità

Disperata preghiera

Noi miseri toccati da un raggio di grazia ci attraversa la luce e ci strazia

Tracima sotto la pioggia il dolore di una disperata preghiera che il fiume si lascia dietro che il vento scompiglia e disperde che il cielo nero rimanda giù su gloriose rovine rattristate

stremati un solo gesto perfetto un solo capolavoro ci è concesso.

più alti i pini secolari del dio che c’ignora siamo soli nell’ostinata bellezza in questa deriva nel brillio smarrito della goccia aggrappata alla foglia.

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Il passato dentro la conchiglia

Nel tuo cortile

Sei nel passato, nota triste di violoncello, di sax tenore meditabondo, profumo dolceamaro d’oleandro.

Qualche volta per un momento depongo il peso della vita nel tuo cortile. Solo una lama di sole vi entra a fatica tra i muri alti, e dai cancelli qualche raro colore si sporge.

Perché hai preso un altro futuro e più non coincidi: accordi il battito ad altre attese.

Ma ai davanzali delle finestre aperte si intrecciano il timo e [l’acetosella, e una musica attende.

Ti porto con me ma vano: come quel dolce inganno di mare nel fruscio lontano dentro la conchiglia.

Qui lascio che il pensiero si aggreghi e le emozioni ritornino in sincrono. Non posso sciogliere le mie complicazioni, ma per un po’ le guardo da lontano.

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GIUSEPPE PERRUCCI Giuseppe Perrucci è nato in Puglia nel 1966; votato per indole agli studi umanistici, ha scoperto la passione per la poesia già dall’adolescenza e negli anni del liceo era solito riportare nero su bianco gli stati emotivi del momento. L’universo circostante, i rapporti con le persone diventeranno una fucina di emozioni, puntualmente tradotte in pensieri e poesia. Buongiorno

Amore eterno

Buongiorno Amore Un lieve soffio ha chiuso i miei occhi. Vedo il fresco tuo sorriso, il brillare dei tuoi occhi. Ecco!!! Il risveglio. Candida assopita in un nido bianco lì ora dove il mio soffio lieve scende sul tuo viso sereno a ricordarmi il mancato ti Amo di una notte breve e il ti Amo per sempre di un risveglio vero.

Non c’è spazio per i sentimenti [veri. Non c’è nutrimento per [quest’Amore, lì dove il gelido abbraccio mi stringe ed un sogno tradito si rivela: non verità d’amore, ma amore tradito di nefando germe nutrito. Infedele il cospetto. Sono desto, cerco, ma non trovo, non ho sorgenti di vita, ti prego gelido abbraccio di stringere, morte! Ti chiamo, ti supplico, t’imploro prolunga il mio sonno or ora così potrò sognare e vivere di quest’Amore in eterno.

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Incontrando Valeria

Alla Musa

La nebbia offusca il mio andare, colore vitale dove sei, smarrito vago nei meandri dell’essere alla ricerca del nutrimento alla ricerca della mia acqua. Ho sete di te. Uno specchio d’acqua la mia [immagine, il sorriso, lo sguardo, il rosso colore dei capelli. Non sono io, è quello che mi manca non immagine ma emozioni. Imploro sommesso quella magica immagine… Valeria!!! Onde fluttuanti muovono l’acqua l’immagine muta, il sorriso si rompe ed io mesto un tuffo volli di emozione bagnato ma di essenza corrotta intriso. Un sorriso la continuità il silenzio il mutamento.

Una fioca luminosità appare ai miei occhi. Viviamo nello spazio dei sensi, percepisco sensazioni mutevoli vibro di altrui emozioni, Odo la lira di Erato… accresce il mio desiderio, conduce la mia mano, in fiumi di parole dedicate: sento, sento… vivo, vivo ciò che tu mi dai …Musa nello spazio dei sensi. Spazio breve ma intenso… Ecco! …Un suono atteso una risposta [razionale… Non odo più la Lira ma… un gatto col suo andare [stropicciato mi indica il giorno, la notte è lontana i sensi cambiano ora c’è una donna con i suoi sogni a me… la sua garbata femminilità e la [sinuosa sensibilità.

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ANNA MARIA PETROVA-GHIUSELEV Anna Maria Petrova-Ghiuselev (nome d’arte Annabelle) è una giornalista, attrice e produttrice cine-tv italo bulgara, fa parte dell’Ordine nazionale dei Giornalisti in Italia e Bulgaria. Ha pubblicato numerose raccolte di poesie in bulgaro e italiano, nel 2010 ha vinto il “Premio Alda Merini”; collabora per la rivista nazionale italiana “Poeti e Poesie” diretta da Elio Pecora. Adesso (Segà)

Noi contro

Adesso… Mi sto allontanando… Perché? – Ormai è fatto… Nel profondo – da qualche parte in me, giace la risposta. Adesso… So soltanto che lo sento – l’allontanamento… Da te, da lei, da me stessa, da tutti… Perché? – Volevo appartenerti, possederti, dimenticarmi – con te… Tutto si allontana da tutto. Adesso… Quando si elimina tutto. Adesso… Quando estraneo è tutto. Adesso… Quando nessuno ha nessuno…

Spero presto sia domani per vedere la luce del sole… Ero innamorata dell’amore. E ho messo a tacere un [sentimento. Ti ho archiviato per volontà tua. Poi ti riprendo se lo vorrò ancora. Così credo ora, ma come sarà? Ti devo sollevare dal tuo abisso. Ma tu lo vuoi o no? Chi sa? Tanto la verità spunterà fuori, lo [sai!… È là il dilemma – lei doveva [esserci già, sempre alla luce del sole. Ma vedremo, l’attenderemo… Per ora sento dolore solo a [pensarci all’amore che vorrei. Alla vita che vedrei… Per ora sto lontana dall’amore che mi spetta, devo solo arrivarci ma non mi è dato sapere. Per ora sto in lotta con me stessa, per ora mi devo ancora capire, mi devo voler tanto bene per uscire sana e poter amare. 249


ero la tua salvezza, ero l’amore, la vita, la novità, la tua nuova esistenza! Sembrava fossi tutto io – ero quella che ti capiva, quella che ti amava, che perdonava, che si abbassava davanti al tuo [cammino, quella che ti osannava e ti lusingava… Quella che hai pensato di amare, quella a cui hai ridato la vita, come un padre, quasi come una madre… Eri tutto tu!… Ma non l’hai capito e non l’hai sentito. Forse faceva paura e non hai creduto… Ma io sono qui, eccomi – vicina e lontana. Me l’hai imposto tu! Ma sempre accanto, quasi con il fiato sulla tempia… Eccomi – che ti penso, [t’immagino, mi preoccupo, m’impegno. Pronta a scattare, a difendere, ad esserti d’appoggio… Sempre così e poi mi pento, mi sento male, voglio scomparire, uscire dalla tua vita… E non posso – tu sei la mia vita, tu – egoista, insofferente, prediletto maschilista… Ma sei la vita, quella vera, quella che ti bussa alla porta ovunque tu sia!… Tu!

Tenero azzurro innamorato Eccomi qui, viandante assente, arrivata da questa parte [dell’Adriatico infreddolita, solitaria… Sono io, con lo sguardo che vola insieme al vento leggero e va di là, dove sei tu. Eccomi, nel mio oggi azzurro, tenero, innamorato. Quello che aspetta di mostrare la vita a me stessa… Sono io, con la testa in fiori avvolta, con la corona di stelle nel cielo immenso e dalla luna baciata. Eccomi, a prendere in mano il mio cuore incredulo, a guidarlo, incoraggiarlo. Sono io, ad imparare di nuovo a volare, di nuovo a sognare, di nuovo a vivere la vita. Ora mi vedo attraversare il mare, il cielo, tutto lo spazio, mi vedo rinascere, ritrovare le ali e con loro la voglia di arrivare a [te!

Io e tu Ero io la tua musa, 250


STEFANIA PETTINAU Poetessa Flora è Stefania Pettinau, cagliaritana di nascita ma sassarese di adozione; nota come poetessa Flora per il suo grande amore per la natura. Artista poliedrica, ha contribuito al primo volume dell’antologia sonora “Poeti di Sardegna”. Il suo primo romanzo, “L’Ombra del lago”, è edito da Il Filo. La sua arte si ispira all’“Etericismo”, una corrente di pensiero ideata da lei stessa che si basa sulla perfetta calibratura degli equilibri tra l’uomo e l’universo in un tutto armonico . Le stelle più belle

Alla luna

Una ginestra m’attira alla [finestra… un fittile ed armonico canto per quelle stelle più belle carezzano con magiche note le [mie morbide gote. Fanfare e cori nell’aria come un tormento del sentimento di vita e di morte… e di quel [passato che non è mai passato ma è sempre presente nella storia [e nella mente della propria gente e così… eteriche muse mi riportano dentro quell’immenso del mio penso.

Silente è la notte con le sue stelle regale la luna nel suo strascico [bianco chiaror che brilla su bacche [purpuree nell’oscura boscaglia e tu… come vergine sposa continui in [attesa il tuo solitario percorso. Poesia dedicata alla solitudine

Poesia dedicata ai morti della Brigata Sassari

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La rugiada del mattino

Il silenzio della sera

Giaci sulle rose con dolcezza e tutte le cose sembrano in attesa di una tua armoniosa carezza che strano binomio… sembra quasi un affetto o forse è questo l’amore perfetto!

Leggero ovattato e silente appena percettibili cinguettii [sommessi di passeri che lenti volgono verso il tramonto che saluta il [mondo.

Poesia dedicata all’amore

Poesia dedicata al silenzio

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TOMMASO PIEMONTESE (Monte Sant’Angelo – FG, 11 agosto 1943) Vive a Besozzo (VA), dove ha lavorato come professore e dirigente scolastico. Ha pubblicato: “La luna è caduta in fette gialle”, “Occhi disegnati di luce”, “Al ritmo di conchiglie”, “Ancora un giro”, “Odocardia” e “Logofania”. Sue poesie sono su internet, in riviste e in varie antologie, tra cui: “Argomenti”, “Alchimie poetiche”, “Verrà il mattino e avrà un tuo verso”. Attese

Voce di giustizia

Il tempo lungo dell’attesa ha gridato tripudi per nostalgie vissute infinite volte all’ombra coprente di fantasie scavate [intorno a intese magiche in fondo al [cuore.

Se t’avvicini al cono del silenzio, richiama il cuore alla vita [dell’attesa, diventa compagno di giorni allo [sgocciolo, fa che il patimento di tue [generazioni presenti e future annulli il martirio di tenebre invisibili. Nasca così [l’amore infinito teso a calmare valanghe di carnalità assenti. E per gli anni a venire consola con voce di [giustizia le miserie d’inganni, recluse in [mani abbandonate al dolore caldo dei [giusti.

Consolazione Il giorno invade confini regalati all’avventura di veglie, strappate al sonno da tormenti cresciuti nell’olocausto dell’amore. Animali amano mense di [consolazione confusi al mattino tra orme di [bimbi al sole, giunti lievi alfine e [rigogliosi.

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L’olmo (di San Michele)

Parole non dette

Sulla strada che plana e placida poi rimonta all’ombra della foresta un olmo antico regalava pace a calure agostane e gambe acchetava e pensieri d’infanti sparsi a giro per vicoli a raccattare avversari di razze vicine e lontane. Prosciugata è oggi la sua linfa e viandanti scorrazzano veloci non più a piedi o con cavalli e muli per compagnia. Per me e per quanti come me giorni e tempi hanno attraversato esiliati ormai nel cuore, l’olmo è ancora l’ombrello che copriva universi d’allegrie ma preghiere anche sussurrate in faccia all’antro dell’arcangelo.

Si può vivere il dolore come cibo dell’anima, quando nullità di sacrifici battono al vento pensieri sfrattati da rifugi chiusi al vento di tramontana. S’incontrano foreste allora di parole taciute in occhi velati di pianto eppur collise coi sospiri folli dell’amore. Non posso né voglio dare luce a versi di tormento che coprano di magia le parole non dette. Freme la linfa delle dita strette a cerchio su mani anellate di gioia e grazia, mentre follie di sensi emozioni danno come di perdizione giovanile.

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MARTINA PIERMARINI Martina Piermarini è nata a Macerata nel 1976. Sempre appassionata alla scrittura e al teatro, il suo testo teatrale Interno Camera è stato rappresentato in diversi teatri, poi immesso nel circuito “Terra dei Teatri”, sponsorizzato dalla Provincia di Macerata. Dal 2005 al 2008 ha tenuto laboratori di scrittura creativa per le scuole medie inferiori e superiori. Parole

Sullo specchio c’è una donna [che non sono io

Io ti guardo tu mi guardi Possiamo iniziare. Il tavolo ci impone la perfetta [distanza senza urlare senza sputare. Una cosa così importante non può [arrivare dal microfono del [telefono, non si può testimoniare su uno [stralcio di carta. – Dai, inizia tu. Non si può dire senza un caffè – Tu per primo. Senza una sigaretta Ha smesso di piovere, meglio dirlo camminando. – Ora puoi parlare. – Andiamo più lontano, c’è troppa [gente qui. – Voglio sentire questa cosa così [importante. – Arriviamo al boschetto, non è [lontano. – Intanto perché non dici niente? – Perché non sono venuto per [parlare.

Che strana ingombrante illusione, te che non mi piacevi neppure …Allo specchio c’è proprio il tuo [volto, coi capelli raccolti e le [lentiggini luminose. Cosa vuoi dire ancora? Dei tuoi discorsi calibrati sulle [lancette dove inizia il tramonto, ricordo soltanto la bottiglia di [vetro rosato che stringevi tra sala [e cucina. Come fosse una piccola anfora da [maneggiare amorevolmente. Ed il suono del vino frizzante nel [bicchiere in cui ti specchiavi per un istante. Quante parole, quanto rancore quanti messaggi per una sola [bottiglia. Una accanto all’altra sulle [mensole, un amore sigillato che ora [appartiene al mare.

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Che volano nei corridoi, senza [padrone.

Chi ama il treno Non vuole essere accompagnato [al binario Non verserà lacrime partendo. Cercherà il vagone giusto lo scompartimento più isolato E andrà accanto al finestrino senza giornali senza libri senza fretta. Guarderà fuori scorrendo tra gente [e bagagli senza moviole. I suoi occhi rimarranno [imprigionati nel vetro così che la sua anima venga [sconvolta dalla tristezza di ogni [uomo, di ogni donna Inconsapevoli di essere sulla lista [delle emozioni. Istante dopo istante lo stridio del ferro arriverà [preservando ogni sofferenza di chi aspetta di partire. È un tempo senza memoria senza biglietto. Il respiro del cielo circonda il [treno, lo solleva in un unico inafferrabile destino che lega ogni passeggero all’invisibile futuro del ritorno. Chi ama il treno ama i cerchi ama le foto sfocate ama chiudere gli occhi ama l’odore di fumo e di sudore. Ama i fiumi la pioggia e il calore [dei respiri

Terra di riposo Il guardiano ha chiuso il cancello [alle 18 in punto. E le bancarelle di fiori si sono [spicciati a smantellare i tendoni [già zuppi d’acqua. Esco dal mio nascondiglio dietro [l’ulivo di una cappella di [famiglia quasi del tutto riunita, voglio trovare mia nonna. Non so, quale sarà il suo posto? Amo camminare sotto la tiepida [pioggia d’ottobre, che sa ancora di vapori estivi senza cedere troppo al freddo che [già la chiama. Una galleria di cemento [illuminata da centinaia di lumini, con i nomi incisi sotto la foto, per [non dimenticare il volto. E dietro, dentro cosa c’è? Dov’è il loro spirito? Dov’è il tuo nonna, dentro un [lumino che sta soffocando? O attappato dal cemento? Nonna grida, sono io ma mi sono [persa. E in fondo, l’indistinguibile suono [che scende dal cielo.

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CORRADO PINTAURA Corrado Pintaura è nato a Troina nel 1931; ingegnere meccanico, oggi in pensione, è autore di lavori scientifici, romanzi, novelle, saggi, poesie, lavori teatrali (alcuni dei quali pubblicati), alcune sue poesie sono state premiate; si diletta inoltre di teatro. Il giardino della fantasia

Non voglio l’autunno

Nella mia lunga vita – divisa, tormentata, sofferta, assaporata – sempre ho cercato uno spazio segreto dove curar dei sogni l’orticello e della fantasia far fiorire il giardino profumato e dipinto coi colori dell’immaginazione. Là vorrei ritrovare quella quiete che dia riposo a un cuore [scalpitante. Là potrebbe spianare la mia [fronte, corrugata dal tempo e arata dai pensieri, una lieve carezza che disveli – pacificata alfine – l’anima mia serena.

Non voglio che venga l’autunno: le brevi giornate svogliate, il sole che naviga basso, le lunghe notti insonni visitate da amari ricordi, la pioggia che bagna i pensieri, la nebbia che appanna la vista. Non voglio che venga l’autunno grigio annunciatore del tenebroso inverno, gelido araldo del freddo che assidera i cuori. Non voglio soffrire il sonno dei desideri, il rinvio dei progetti (pur breve), il letargo della fantasia, l’inerzia dell’agire sospeso. Non voglio che venga l’autunno! …ma non so fermare l’estate.

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Incantamento

Fuoco sotto la neve

Resta sempre così!… come sei ora, come la prima volta che entrasti nei miei occhi …e non perché eri bella! Apparve alla mia vista una [fanciulla che non calamitava l’attenzione per le sue belle forme, l’altero portamento, od un sorriso solare affascinante. Accese il mio interesse la timida bellezza di giovinezza acerba ancora contenuta, ombrosa, promettente: fiore che sboccia al sole della vita, fiore che s’offre allo sguardo ammirato del poeta, che spande il suo profumo nell’aria avvelenata e la sublima – per chi sa respirarla – in un nirvana di paradiso. Non cambiare!… ti prego! Conservati così: pulita e semplice. Non offrirti vistosa ai cacciatori che sol l’aspetto delle prede attira! La tua casta bellezza suscita in me un felice sentimento di quieta ammirazione. Fermati!… vedi? …sono ammaliato. Carezzi un compiacente quieto tuo sguardo l’incantamento mio!

Un po’ di neve sopra i tuoi capelli ha ravvivato il fuoco che la tua chioma fiammeggiante aveva dentro al mio cuore acceso nella lontana giovane stagione illusa di speranze. Ed ora in questo autunno declinante, di solitudini e di oblii presagi, mi brucia la colpevole indolenza nella quale si estinse quell’incendio. Dovevo allora farmi divorare da quel fuoco di paradiso: e cogliere quel bacio che aspettava di ristorare le labbra mie assetate… Fermar non seppi l’attimo fuggente, restando tristemente a consumare lunghi anni lenti mesi interminabili giorni nel desolato rimpianto di baci che mai assaporai di carezze che mai mi sfiorarono. Ora almeno vorrei che un tocco lieve della tua mano premiasse questa vita che muore di speranze disperata. 258


TONINA PIRAS (Gonnosfanadiga – CA, 1 aprile 1959). Si trasferisce, in tenerissima età con tutta la sua famiglia, in un paese contadino del Piemonte, dove cresce a stretto contatto con la natura. Fra le sue passioni la poesia riveste un ruolo primario. Alcune sue poesie sono state pubblicate all’interno delle antologie “L’eco del vento” (2006) e “Vita è quest’avventura” (2007), entrambe a cura della casa editrice Pagine. Il mio paese Quaggiù e sulla collina Disteso ancor s’inchina Come un mantello bianco il mio paese stanco tra le irte vie sui ponti invernali come tra i sassi del fiume nel caldo pomeriggio estivo tutto tace… Al calar della sera Come un incantesimo spezzato La vita si risveglia Di gente Come avrei potuto essere Come non sono potuta essere Lo guardo nostalgica mentre mi allontano nuovamente lo vedo… Laggiù e sulla collina… Disteso ancor s’ inchina Come un mantello bianco Il mio amato… Paese stanco.

Arcuentu Scruto l’orizzonte e il mio profondo vola tra le pieghe delle colline e dei monti che il mio sguardo accarezza sopra cespugli di mirto tra i massi di una vegetazione quasi assente sui cespugli pungenti dei fichi d’india carichi di frutti maturi vola su vissuti antichi di una terra ricca e avara vola… Lasciando un po’ di me tra le pieghe della mia terra.

Dedicata a tutti gli emigranti

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Sono il cielo

Età

E sono il cielo nuvoloso a sprazzi libero E sono il cielo piovente di lacrime che liberano il cuore E sono il cielo limpido gioioso d’azzurro E sono il cielo… mi trasformo e muto le emozioni sono il mio vento Io sono cielo

Scivoli su di me Come acqua cheta Ricalchi ogni giorno piccole [rughe Lenta e inesorabile avanzi Non saprò mai se il peso Che sento crescere Sia dovuto al corpo che Invecchiando mal sopporta O All’aumento del bagaglio Che nell’arco della vita ho [raccolto Ti confesso… Non lo vorrei, ma ti sento.

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LAURA POLACSEK Laura Polacsek non gradisce le note biografiche, affermando di preferire altro quando legge delle poesie: “Di una persona voglio conoscere le idee, i pensieri, le riflessioni e frequento solo quelle che si mostrano come sono, senza maschere, senza interpretare un ruolo”; abbiamo rispettato quindi la sua volontà, non inserendo la biografia dell’autrice. Rimorso e rimpianto

Il nostro febbraio

Ho avuto un’avventura perché avevo bisogno di un sorriso, di una parola gentile, di un caldo abbraccio. Eppure non la vivevo, non la [sentivo, era come una coperta tirata su frettolosamente nel primo freddo di un uggioso mattino.

Tante volte con il mio braccio sotto il tuo ho percorso questa anonima via di periferia. Le guance arrossate dal freddo pungente di Febbraio che è il mese del nostro amore, ti [guardavo negli occhi dallo sguardo [innamorato. Ora sconsolata cammino veloce [nella medesima strada e all’improvviso avverto la tua presenza accanto a [me. Rallento il passo per adeguarlo al tuo, stanco per gli anni e forse per il lungo viaggio dall’aldilà. Siamo ora vicini, io con la mia fisicità, tu immateriale ma pur sempre presente.

Ma la vita, la favola quotidiana eri tu, un cavaliere attento che mi trattava con gentilezza di vecchio stampo e che mi ha subito amata ricambiato con uguale intensità. Poi improvvisa la tragedia: in una manciata di secondi sei caduto sul pavimento con un tenero sorriso impresso sulla tua bella bocca. Ora vivo sola e guardando le foto che testimoniano ogni momento passato insieme per oltre cinque lustri, nei miei occhi brilla una [luce che oramai non illumina più.

Il mio cuore batte all’unisono con il tuo, il sole ci scalda mi dà la vita, ti ridona la vita in questi attimi di estemporaneità.

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Muto dolore

A mia madre

Esule dalla tua terra perché colpevole per eredità genetica, sei venuto a Roma che avevi eletto [con Viva speranza tra tante altre a nuova patria e hai trovato l’amore. Ma il destino ti ha solo concesso una breve tregua di vita serena Perché le leggi razziali estese [anche all’Italia ti hanno privato del diritto all’amore alla vita. Sposo segreto, padre nel cuore ma non per le leggi, sei stato preso dalla mano nera della politica che esigeva lo sterminio degli [ebrei. Insperato un aiuto divino scese su te dal cielo respirante odio umano. In quel momento ti sei rivolto a Cristo, l’uomo-dio dei miracoli. Dopo lustri di vita appagante una crudele malattia ti ha inchiodato a letto per dieci lunghi anni in un calvario continuo di sofferenze [che tu, fragile forma consumata dal dolore, muto sopportavi come [dovuta espiazione all’antico dio tradito.

Ti chiedo perdono, mamma, con semplici parole che mi detta il cuore per non aver saputo amare te divenuta una vecchia querula scontenta che esigeva di continuo pressanti manifestazioni d’amore [e come inconsapevole neonata [aveva perso ogni dignità di persona. Ti ho accudito per mero senso del dovere, senza amore, senza quella Carità che avrei provato pur verso [estranei. Non eri più la donna con il cuore gonfio d’amore che come [leonessa difendeva, impavida, i figli ormai adulti dalle offese della vita. Ti sei spenta come si consuma [lenta la fiamma di una candela, come in autunno volteggia lieve una foglia quando, riarsa, cade dall’albero. La morte mi ha restituito la mia mamma con gli occhi azzurri [come il cielo, con i biondi capelli, i cui ricci sfuggivano dalla stretta del fermaglio a incorniciarle il volto.

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LUCIDIA POLVERIGIANI (Osimo – AN, 1946), attualmente insegna lettere in una scuola media statale. Sue poesie sono presenti su un periodico romano e nell’agenda letteraria Le Pagine del Poeta (Pagine, Roma 2003-2012). Tra i premi: III al concorso di poesia “M. Blasi” (1998). Collabora come volontaria ad un laboratorio di scrittura per senza fissa dimora presso il centro Binario95 e alla redazione della loro rivista trimestrale “Shaker”. Non serve il bene

Vicino

Non servono occhiali fatati per cercare il bene. Meraviglia di cieli di fuoco e di acque di giada, rimbalzi di luce su cristalli di pensiero, caldi tocchi di anime attente, occhi che scivolano su mari nascosti.

Allontanati dal buio del dolore e avvicinati alla luce della gioia. Le ali del ricordo volino contro le tue paure solitarie e fervide ti guidino alle altrui, vicino.

Necessità è il bene non utilità; nella bellezza infiltrati e tra cieli, luci e sguardi d’acqua, il bene impavido t’incontra, ti veste, ti avvolge e non serve cercarlo che è in te, tra fantasia e realtà, dove la natura è anima.

Avvicinati leggera alle immagini del mondo, e di lui i colori respira, gli odori afferra, i suoni trasforma e dei suoi palpiti vestiti. Ai cuori degli altri conformati e così, nuova incederai vibrante, alla luce, vicina.

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Luce

Raffica

“Il Tema di Lara” aleggiava tra i girasoli, terre sterminate, torpore di pensieri fluttuanti.

una raffica di vento ha rapito la sorgente delle tue parole e tu,di fronte a te stessa seduta,con sguardo presago il futuro prepari e con vibrante fantasia il grigio del volto colori e il velario del tempo sparisce e l’aria del tuo sguardo s’impregna

La nota, dolce vortice mi struggeva, culla di fremiti e d’ineffabili dolcezze, cammino incerto verso incerte decisioni. Lunga la corsa del tempo, dalla mente si sradica il presente, macigno di certezze. Vira, impalpabile leggerezza verso l’antica nota struggente.

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NICOLA PREBENNA Nicola Prebenna (Ariano Irpino – AV, 25 maggio 1947), già docente e dirigente scolastico nella propria città ed all'estero. Poeta, narratore, critico letterario: suoi contributi sono presenti su numerose riviste e non sono mancati significativi riconoscimenti alla sua poesia. Individuo e storia: le fonti dell’ispirazione della poesia di Prebenna. La sbilenca

congiungono alle altezze.

Un’onda avanza franta, scomposta e a fatica la donna recupera spazio.

Sei tanto grande, madre, e mi riconosco indegno; ma tu perdoni e mi riscatti.

Rapido il moto s’allinea e la tua presenza forte e viva si ricompone stabile e compatta.

Da “In gurgite vasto”, Genesi Editrice, Torino, 2004

Non colgo rifatti anche e femori bensì ritrovata la tua anima bella,

I tuoi occhi Due conchiglie venate di marmo, scolpite sulla neve che a stenti si scioglie, i tuoi occhi di vita che lottano con il silenzio che azzardano segreti e s’incarnano di morte. Altri remoti momenti rapprendono, intrisi di vigili attese, di rombi di aerei sognati; riecheggiano srimati palpiti assenti, un rantolo strozzato,

più forte e integra della debolezza della carne e del male che ha prevaricato. Che tu sia mia madre poco conta, è che la mente tua e il cuore fanno ancora oggi volare alto e la miseria mia

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una stella che cade. I tuoi occhi un sogno interrotto.

Ora per allora ed usque in saecula [saeculorum grazie, Madre! e che il Signore [semper

Di te, madre. ti abbia accanto. Dalla silloge “Rari Nantes” di N. Prebenna, Bastoni FG, 1988

Ti rivedo, madre! Ti rivedo intenta all’ago ed alla macchina veloce che con [destrezza usavi a completare l’opera che in [tanti da te reclamavano; ed il lavoro [tuo su camicie, abiti e corredi, pane [forniva e companatico alla tua non piccola [famiglia: e c’ero anch’io! Ed ora a distanza di tempo, [rivedendoti curva allo scatto del pedale a te [leggero scopro che altro vestito mi hai [cucito addosso alla pelle e dentro [l’anima, l’abito dell’onestà e dell’affetto.

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IRENE PREVITI FLESCA Dice di sé: «Amo il vento, Amo la pioggia, Amo mia Figlia, Amo la montagna, Amo esserci! Semplicemente così». Me

MVB

Ricorda e torna da me. La notte, un vacillìo di membra sole, emozioni sbiadite. Torna da me Amore innocente. Tempo scosceso sulle insenature vergini del corpo goduto. Ricorda e torna da me Amore.

Ho amato il sole sorgere ho amato le carezze di mia Madre ho amato il pianto di mia figlia il correre della vita la rosa sbocciare la notte degli amanti la debolezza dei cuori infermi. Ma non ho amato me quando ho scelto te.

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Erika

Gubbio

Ignoto l’atto di averti violenza alla nascita miracolo il vederti. Tu amore mio I tuo occhi, il mio domani Le tue mani, la mia forza Il tuo animo, il mio respiro

Pervasa da una paura soffro perdendo te. Lo so, lo sapevo ma ho paura. Le mie mani nelle tue poi il buio, niente piĂš. Ho paura i miei occhi sono stanchi, una lacrima ed ho pianto. Parlarti vederti accarezzarti ancora una volta e nulla piĂš. Ma il vento tra le tue mani scorre impazzito. Corri con lui, allora e non voltarti. Ho paura

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ORSOLA PROCOPIO (Vibo Valentia, 4 dicembre 1978) vive ed opera a Stefanaconi (VV). Dopo la maturità classica ha conseguito la laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche. Scrive poesie ed ha pubblicato la raccolta “Fragmenta” (Ragusa 1998). Ha partecipato a numerosi concorsi letterari, ottenendo riconoscimenti di rilievo tra cui il primo premio “Mons. F. Pennini”. Ombra sottile è la polvere che Zefiro dolcemente rimuove dal carro del sole scuotendone i raggi, s’infrangono al nuovo tepore cirri che ci avvolgono ed è luce nei giardini di Venere: le mani si ritrovano per strade dimenticate.

Agli amori che nascono inconsapevoli puri senza cercasi, ad ogni sguardo timido, titubante e cuori avvolti di certezze e paure, agli amori che sognano un giorno e saranno, a distanze incolmabili se non d’amore, ai sorrisi dello stare insieme, alla gioia dell’attesa ad un binario, all’amore con i suoi dubbi, e la vita che verrà oggi, domani.

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Domani è già arrivato, giorno lento dall’incedere effimero tra i ricordi, è vento che spira bugie d’amore d’odio di gioia di tristezza, se pensi è già passato, è l’incertezza che viviamo nel futuro.

Marzo Alcune volte Le stelle Fan capolino Nel freddo d’inverno, riempiendo il grigiore delle piazze di sorrisi e chiacchiere regalando uno sguardo agli amanti, lontane le nubi le nascondono improvvise e poi ancora le riscoprono per noi: un attimo per sognare ancora, ancora un’altra volta… il sole risveglia i cuori, li riscalda dolcemente asciugherà la pioggia caduta, intorno colorerà i giardini scioglierà il ghiaccio rimasto e un’altalena ventosa ne camufferà i raggi.

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SONIA QUINTAVALLA Nata a Colorno nel luglio del 1968 dove attualmente risiede con la famiglia ed ha il suo studio. Dal 1999 partecipa a concorsi letterari, ottenendo numerosi riconoscimenti ed inserimenti in cataloghi della stampa specializzata e antologie. Del febbraio 2000 è l’uscita della sua prima raccolta di poesie e riflessioni intitolata “Orchidea per te” anch’essa già più volte premiata. Cornice

Il rito

Una cornice vuota era ad abbellire la mensola di un [caminetto acceso. Il crepitio del fuoco, l’odore della legna e della resina, il tepore a rompere l’aria fredda [della stanza. La luminosità e la quiete nei tuoi occhi neri corvini. Ora nella cornice c’è una foto, accanto dei fiori. Il caminetto annerito è spento e fa da padrona l’aria gelida.

Tutte le mattine è come un rito: ti arriva il mio bacio e il mio [cuore è con te. Durante il giorno, così pieno di [luce per chi sa apprezzare solo le cose [piacevoli e non pensa mai al peggio, ma così malinconico per chi si [accorge che le stagioni passano solo dalle [foglie degli alberi che cambiano il loro aspetto, sono tante le sensazioni di averti [accanto, di sentire la tua presenza. Non capisco ancora come ti [manifesti, ma sento il cuore battere [diversamente, gli occhi vedono colori svariati: in quei momenti anch’io posso [finalmente rendermi conto che il sole e la [luce ci sono anche per me. Purtroppo arriva sempre qualche [nube minacciosa 271


a rompere l’aria mite e a coprire i [raggi luminosi. Così il battito torna regolare e gli occhi vedono la realtà della [mancanza.

Ti raggiungerò Un giorno ti raggiungerò, non so ancora quando. Finalmente rivedrò il tuo sorriso [che mi manca ormai da tanti anni. So che sei rimasto fresco in viso come ricordo di averti visto molte [volte e come io ti cercavo di vedere [anche in quei lunghi e sofferti mesi e in quel [giorno che non riesco a dimenticare. Malgrado il cuore a pezzi Ho visto il tuo viso disteso come [se tu non avessi mai dovuto sopportare ciò che ricordiamo. Guardandoti ho capito che avevi [raggiunto la pace e ho provato un senso di sollievo. Tu, ormai, dormivi un sonno [eterno e tranquillo.

L’abbraccio Quando mi addormenterò tu sarai lì ad aspettarmi. Andremo ancora una volta [insieme lungo quegli argini che costeggiano l’acqua, ad aspettare in silenzio. Ci muoveremo cauti tra le zolle di terra, nella campagna arida. Poco alla volta mi sveglierò. Quando ce ne accorgeremo avremo appena il tempo per un breve ma intenso [abbraccio. Nelle orecchie il fruscio delle frasche e le labbra seccate dal sole saranno rimaste. Ma tu sarai purtroppo svanito.

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ANTONIETTA ROSA RASO La “poetessa di Lipari” è nata a Lipari, Isole Eolie, il 28 marzo del 1935. Vive alle porte di Roma da trentacinque anni. Ha dedicato una stanza della sua casa ad una notevolissima raccolta di trofei, targhe, attestati e coppe vinti in moltissimi concorsi di poesia. I suoi versi sono stati tradotti nelle principali lingue. Ha collaborato inoltre con innumerevoli riviste straniere. Bambina in sagrestia

Il geco

Cori e sagrestie odorosi di cera e di legni antichi: la cassetta dell’incenso con i leoni e gli uccelli rapiva la fantasia di me, bambina, e il polveroso presepe nella “scarabattola” ricordava lontani Natali di chissà quando… Scalpiccio di fugaci passi nel chiostro vicino. La campanella dorata dell’elevazione – oggi adusa – ghermisce un raggio di sole tra i vetri opachi ed il chiuso confessionale desueto. Fiori di bianche perline che antiche mani han tessuto in un convento, a segnare per sempre un’ave Maria, preghiera senza parole di chissà quanti sospiri. Scuro di mille candele un Bambinello che sporge da fonda nicchia… e la mano con cui la Madre lo dona e mille baci hanno lisa…

Voglio – (ascoltate la nonna) – lasciare il vecchio vestito pesante, liso e ingrigito, là dove l’erba colora di malva, la Luna; di malva gli alberi folti, di malva le siepi intense. Là dove paci immense nasconde il buio di ossidiana. Cipresso, sei meridiana del bianco, incantato silenzio. Cola l’argento e l’assenzio fra i bianchi fiori. Sale un geco rosa e frale sul vetro di lucide stelle. Inventa le tue più belle favole per la nottata color di malva stregata dove ogni guerra è lontana. Il geco fragile guata una zanzara; va in giro e ascolta in ogni sospiro i sogni delle creature con le pupille pure. Alle nipotine Esther e Ludovica

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Danza folle

Città

Tra i fiori di lievi cotoni in bici tra nuvole stanche incontri di maschere bianche e abbracci e fugaci abbandoni.

Vecchie, scoppiettanti scintille sui fili dei tram. Colori violenti al fondo del tramonto nascosto dalle case alte. Finestre aperte e cucine odorose sui cortili inerti: pigrizia dell’attesa dell’esserci “tutti”. Guerre di sesso nelle calde alcove di buio che incombe: premio a chi sa che cosa.

La vita è quell’avida gola che ingurgita l’ore assetate e sperde su sabbie assolate quest’acqua che danza e che vola. Perché “avere il tempo” è [impazzire (chi mai ci darà un’altra vita?) sostare alla fonte infinita per essere folli e morire.

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IRENEO RECCHIA Ireneo G. Recchia è nativo di Catignano (PE). Ha pubblicato, nel 1997, la raccolta di poesie in dialetto abruzzese Arie de case e altre due raccolte, sempre in dialetto, negli anni successivi; è autore di testi di canti folkloristici e di commedie in dialetto abruzzese, è socio della “Settembrata Abruzzese” e dell’A.N.A.. Pe te

Grazie

La mele è ancore verde, lu sole, dentre, côce: è la [staggione, ma fôre è primavere, sembramì. Lu ciclamine rose, la vuccucce, gni nu fetone aspette, je tê sete, l’acquare de lla notte, pe stègne chella langhe che le [struje. E tózzele settembre! È nu peccate, fruhà le jurne e arezzelarle [sciambe. Le vuje culurate, de specanarde, rose e de jenestre e… cerve, e vulijose, gni na mmànnela tose, pe dì’ dumane, jire, pe ssa vuccuccia d’ore, sò fatte lu pettore.

E tu ce stî e t’arengrazie, tante, pe quelle che m’hì date, a côre [aperte; m’hì messe le fruscette, queste è [certe, e cchiù nen pozze corre e… ffî lu [Sante! Chess’ucchie che me scave…, è nu [cuncerte de voce annascunnate; è gni nu [cante de ruscignole a sere. Je [m’ammante nche ssu strapizze verde e… sò [scuperte, ca nen ma manche ninte e stinghe [bbone, dentr’ a ssu laghe chiare de [muntagne. Me sente fresche gni nu [bardascione c’à côte la melucce e sse le [magne; me sente de svacà tutte na crone, pecchè je nche nisciune cchiù te [cagne.

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Amore

Sotte la scorce

Chiuse l’ucchie, lu scure se [spalazze. Lu ninte, me s’arrobbe, de la [notte, te chiame, allore, amore mè’, e de [botte, ’ngolle a nu fiore, le hocce de la [huazze le fa piagne, je corre na lu sonne, a strègnete la mane e ne’ [m’affonne. E l’acque che je vete, chiare [chiare, che rite a le jenestre, verde e [ggialle, è lu surrise, fresche, c’arescalle la vocche de lu còre; è l’ucchie, [care, che scrizze, attorne, hocce de [vulije. E l’àneme s’appenne a la facije… …e fa la scennavèlle, e cante e [cante, – Amore mè, lu sole, mo’, [s’affacce, tìneme strette, pìjemete ’mbracce, nu mazzetèlle, fa’, ca me c–i– [ammante, nghe la vuccucce de le vejulette, cuscì, annascoste, me le porte ’m [pette –.

Se huirde, de l’Abruzze, la [bandîre, tu vide, strette strette, tre culure. Lu bianche, c’arecorde a le [pasture, …Lu tempe d’areccoje le pinzîre, lu verde nche ll’addore, e nen te [sbije, de robba fresche, certe la cchiù [mije. A l’ûteme ce sta, ma care, tante, na lenzetelle de lu mare, blù. C-i-a manche cacchiccose! le sî [tu? N’ ze vede, sta ’nnascoste, ma [t’ammante, e, forte, te ’mbrijache e n’ te [n’addune, l’ amore de la gente che ss’ajune, a fatte sta de case, senza mbegne. Je ce facesse, juste a nu pendone, na macchietella rosce, ca n’ ce [stone! La forme,… de lu côre che te [’nzegne, ca sotte chela scorce de cristalle, ce sta nu lache, grosse, [c’arescalle.

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MARICA RECCHIUTI Marica Recchiuti è nata a Roma nel 1980 e ivi vive tuttora. È un’artista del panorama nazionale e internazionale, ha pubblicato diverse sillogi poetiche; nel 2010 ha ottenuto il “Trofeo Guglielmo II” di Monreale, per il rilevante impegno artistico, nel 2011 ha vinto l’Oscar di Montecarlo per l’Arte. È presente nell’Annuario d’arte moderna. Canta mai nessuno

Il Tempio dei Sogni è Realtà

Continua a cantare Amore canta di noi alle Stelle Stellate continua a cantare e non ti [stancare, credi come me a questa terra che ci generò e agli esseri che con noi ci ricordano che cos’è la Vita. Tra i rami e le rose tu canta di noi, tra i mari e gli aironi tu canta di [noi. Ma Amore, mai Nessuno saprà Realmente di Noi, e Mai Noi sapremo di Nessuno.

Tutte le volte che abbracci te [stesso nelle tue idee, Il Tempio dei Sogni è Realtà. Se tu fai volare le tue Idee non sei mai un illuso, tu fai vivere il tuo [tempo tu hai afferrato la Realtà [toccandola dentro. Un Artista è uno [Spirituale, i templi li fanno le persone nelle loro Preghiere, Ogni persona che abbracci è calce per il tempio che è di tutti i paesi del mondo e di nessuno in particolare. Come le più Grandi Idee: di Tutti.

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Piazza di Spagna

L’Aquila dopo il Terremoto

Place de Spagna è un tripudio di balconate fiorite, tra gatti e [paninoteche a rotelle con caramelle. Le palline rosse [che corrono sulle scalinate ce l’ha regalate il [futurista Cecchini. Io vi donerò come un [raggio che ricorda le donne nei [pomeriggi assolati cercarsi mani nelle mani per [narrarsi amori a intervalli, un gelato, una corsa, [una risalita del Pincio. Piazza di Spagna è una trinità in trionfo in salita, divinità [borghese con le rose a mazzi di un [marocchino qualsiasi che ci parla di diversità. Piazza di Spagna è un porto sollazzato dal cielo a capogiro, è un orgia di colori e gambe di [donne in minigonna per girare un film, è [ieri e oggi, come la Storia che insegna [insegna e non muore mai.

Dopo il terremoto quel grido scritto a pennarello [nero su di un portone diroccato: è una piccola porta sprangata su strada e chiusa con un lucchetto di ferro. Liz, senza te nulla è per sempre! Ci stanno donne avvicendate nell’arte della non resa che assediano le strade e i campi non si fermano per ricostruire seppure di molto più lente delle Giapponesi. Le calamità ci hanno colpito col resto del mondo più veloce ma l’Italia è accorata, il disturbo post traumatico da stress ha colto gli uomini che hanno scritto [pagine come assediando le strade mute. Crollata è la casa degli studenti [più fievole con intarsi di sabbia tra i [mattoni. L’Aquila va avanti e ancora tutta [trema, dopo il terremoto.

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FRANCESCA RENNIS Francesca Rennis insegna nelle Scuole medie superiori, vive in Calabria da oltre trent’anni, ma è nata e ha trascorso la sua adolescenza a Roma. Dopo la laurea si è interessata di arte e poesia come ricerca espressiva e denuncia sociale, le conoscenze acquisite hanno assunto per lei nuovo significato dalle attività di volontariato svolte, soprattutto, in carcere. Dissolvenze

Scendevo da scale di rugiada

Dissolvenze d’affetto si frappongono fondendosi in quel momento d’esitazione che sembra immobilizzare il mio fare. A logge di malinconia m’affaccio ascoltando quel rumore beffardo che si traveste d’onda marina. Una conchiglia emergeva dallo sfondo di granelli inconsapevoli del mio sguardo. Battiti d’ali mi rapivano alla vista conquistando sentieri di spietato candore.

Scendevo da scale di rugiada immersa nel tuo vagabondare tra confini sconosciuti. Nel fondo ancora fondi inesplorati possibili argini costruiti su calamite appuntite d’infelicità. Scendevo da scale di ebbrezza cadenzando battiti d’ala in vortici d’oblio. Leggere le movenze del tuo ardire svelato da un battito di ciglia nei luoghi dell’ignoto. Scendevo alzando un piede dietro l’altro su terreni friabili d’indifferenza. Pesanti memorie aspettano che Pegaso alzi ancora le sue ali oltre il monte da cui fece scaturire limpida irruenza.

Tace il pensiero m’ascolto col mare negli occhi.

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Alibi

Il sogno della mia cecità

Come d’abbandono le mani si stringono nella stretta che muore.

Nella notte del sogno respiro con gli occhi l’anima della vita. Nel sogno mi sveglio tra le cose di sempre vago le pupille adombrate da un’insolita inquietudine. Vedo, ma le palpebre abbassate come di pietra. Mi viene incontro mia madre con un abbraccio e ingannevole solerzia m’invita a riaprirli. Ed una sferzata pungente m’attraversa da dentro falciando alla coscienza una doppia oscurità. Con la vista m’approprio di nuova angoscia. Sapevo il mio incedere incerto, ora affiora la sua cecità. Ne sento i segni da fessure sanguinanti spalancate sulle emozioni come occhi su lampi e voragini. In quel sogno il movimento sfuggevole incredulo del respiro della vita.

Rimuovi nel sottofondo percettibili ululati d’inganno. Pretesti per non ascoltare richiami d’aiuto banditi dal desiderio. Contesti il vuoto delle parole premendo rabbia. Quotidiana la riserva di arsura adombri prefissi di sobrietà. Manca ancora quel linguaggio in prossimità del dolore che respiri nell’attimo. Accogli ansie e rancori li trascrivi in istogrammi lasciati al passato. Spreco di fiato anche il silenzio che grida giustizia.

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SIMONETTA RICASOLI È nata a Roma, dove si è laureata in Filosofia. Ha composto fino ad ora circa 250 poesie divise in varie raccolte, di cui solo “Il passare del tempo” è stato pubblicato (1999). Ha partecipato a concorsi di poesia, ottenendo buone qualificazioni. Dal 2002 pubblica, per Pagine, poesie su antologie, “l’Agenda del poeta” e sulla rivista “Poeti e poesia”. E aspetti l’ora che dovrà venire.

L’autunno Di’ pure, se lo vuoi, che Non sapevi quello che ti aspettava Quando, arrivando qui, ti innamorasti di Autunno e del suo umido abbraccio. Il ritrovato entusiasmo Era il confine Di ogni immaginare, la vita Tra le mani era un traguardo, qualcosa più leggero dell’azzurro. Certo avrai pensato che accadeva Per una qualche intrinseca [bellezza Finché non hai trovato, un giorno, i suoi colori sparsi su di te, la sua brumosa lontananza in [cuore a squarciarti la mente e a farti salire la febbre. E non inganna più quel suo [messaggio La percezione di un lento declino, estasi di dorata decadenza; [L’inferno del ricordo è tempo ormai vissuto. Ora sfumano i giorni uno [nell’altro E resti qui sorpreso, Incredulo che tutto sia passato

Da “Toni minori”

Pasqua dei santi Per i giorni che verranno, per i transiti incerti di cui si attende l’esito – che sia fortunato e che venga Sorridente il successo! – E per poter tornare A plasmare materia Che aspetta di essere vita. Quando cercammo soggetti E interlocutori diversi Scivolarono sciolte le funi, Ora fluttuanti nell’aria, di queste poche certezze, poi che il timore di cogliere un grumo di luce ha fermato ogni possibile stare e l’andare. E siano ancore le nuove [prospettive E grazia senza paura il pensiero E sia la pace E non manchi il perdono Nell’attesa di un nuovo coraggio, per non lasciare speranze gioiose volgere al grigio destino. Da “Toni minori”

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Risorti,appena verdi, rotolarono giù pietre di rabbia, trovarono detti il rancore, la vecchia paura, il tremito d’essere nati di carne con radici nel cielo. Restammo con volti sorpresi Di fronte agli eventi, con le stesse ferite nel cuore. Perché la ragione se infine Di morte si esalta? All’angolo quieto In cui si svolge la pace, nell’ora del tè, illuminata la vita di niente. Di questa paura e di tanto silenzio, l’urlo umano corrompe nell’aria lineari serate e ribelli speranze. Frammentari pensieri di tempo che non è stato benché sia passato riportano fieri sentimenti e antiche dolcezze sopite: dove le nostre figure e parole? Scorriamo oltre il rantolo della [guerra Oltre la voglia di troppa realtà: non è il crepuscolo che illumina l’alba né scie di morte fanno allegra la vita. E quindi siamo, nel luogo del ricordo dopo il ferro e la terra, nella paura e tra i fiori di altri morti, altre guerre e non possiamo mostrare neanche ferite o medaglie.

Sotto le nuvole Sembra impossibile aspettare Che scorrano i giorni E voci e gioia nel giardino, che possa tornare fiorito il gelsomino. Con questa luce d’inverno Si fa netto Il bordo della vita E tanto rischiara Il respiro lontano, limpido cielo pietoso su scheletri e forme pieni nel vuoto. È tempo di contrasto: colata di piombo le nuvole basse in città stampano accanto al destino il fiume che scorre, sola, vacua realtà. Completamente presente Col peso, trasparenza Che incombe, svolta, rappresentandosi ottusa, la scena è fissata nell’unico aspetto di massima, astratta realtà. Niente attesa né fretta Ma breve timore Di essere stati sorpresi Là dove si è, scovati e Inchiodati e spogliati Dei nostri cari, profondi pensieri. Da “Linee di trascendenza”

Guerra Gelarono nelle nostre bocche Le parole calde d’affetti

Da “Linee di trascendenza”

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MICHELE RICCIARDO È nato nell’agosto del 1960 a Ficarra, sulle colline dei Nebrodi. L’infanzia e tutta la giovinezza le ha vissute a Brolo, a pochi chilometri dal luogo di nascita e a pochi passi dal mare. Dal 1982 vive a Torino. Brolo-Ficarra e Torino – due latitudini del pensiero. Nel labirinto, Signore fugata ogni certezza negli anfratti del cuore la parola che vanifica l’inedia del tuo nome. Curvate le ferite nel disperso, Signore prostriamo ogni letargo all’amore che indolora alla invenzione del tuo amore.

Autoritratto con cappello di [paglia Sotto il sole di paglia le terre del mio volto le chiazze rosse del sangue [inesplorato. Ustione della mente, illusione -ammonivi – il sole che amavo le notti bionde, calde della neve dell’estate. Restano due fori nel mare giallo indefinito due isole grevi dimore puntuali dello scisma del cuore.

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Dall’afta all’omega s’instellano le labbra: recidive di baci castissimi fiori da prati erosi di gengive sentori di linguaggio.

Degrado Pancia in su o piĂš compostamente dopo ogni mareggiata le conchiglie -bianche, rosate e di un astratto celestinole evito ad ogni passo stranianti tappi di bottiglie

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FRANCO RIELLO Franco Riello è nato a Treviso nel 1954. Da giovane si dilettava a scrivere poesie, passione riscoperta recentemente, con un’attuale produzione di qualche centinaio di componimenti; le sue fonti di ispirazione sono gli affetti, in particolar modo femminili. Un flebile raggio di sole, al primo canto dei cuori, ha riscaldato i nostri sentimenti, dove le tracce di vita venivano disperse nelle notti insonni. La ragione fatale di questo vivere raggiunge, nell’alto della sua tonalità, musiche vibranti dei nostri inconsci, l’abbraccio vitale di speranze e dolcezze. Guardo il tuo volto, emisfero sublime di un pensiero vero, l’accento di sensazioni mai morte, la speranza dell’infinito, dentro di te, il tuo Essere.

Racconti di passati Una lampada, sospesa, illumina racconti di passati, ricordati da un pensiero, da un inchiostro, che si è fatto amico, negli anni, paziente, nella gioia di essere condiviso da emozioni che trasmettono magia.

Il tuo essere Dentro un desiderio d’amore ho dipinto un quadro d’emozioni infinite, dove la tela della tua anima rapiva il volto stanco di [quest’uomo. Sul diario della nostra vita il destino ha scritto parole sottili, ogni riga la tua mano ha composto armonie assonanti. 285


dietro le porte chiuse [dall’indifferenza. Sembra troppo lungo questo [divenire, ci si sente confusi nella tempesta tra sospiri e lamenti di solitudine sono i sorrisi che chiamano [carezze, ma i pensieri ci portano lontano, come una triste e dura condanna, ci trascinano oltre veloci oltre [corrente. Ora ci sono i tuoi capelli sul mio [viso, c’è il sapore delle tue labbra sulla [bocca, ma quando tutto questo sogno [finisce apro gli occhi e vedo che tu non ci [sei. Sarai forse perduta tra le foglie [dell’oblio oltre i disegni di ogni amara [illusione, sulle rive di mari sconosciuti di [infiniti, lontano dalle mie speranze e [attese, nei pensieri dei miei fuori [stagione.

Ti aspetto Ti aspetto seduto sul balcone del cielo con in mano le chiavi dei sogni e guardo lo spettacolo d’amore che il mio cuore interpreta per te sul palco di lacrime per la tua poltrona vuota. Oh amore! Sorgi come il sole in questo cielo, e vieni a vedermi sorridere della tua luce.

Dentro i tuoi occhi. Dentro i tuoi occhi di mare [azzurro ci sono orizzonti che si perdono in [cielo, come un arcobaleno sopra [le nuvole si scolorano i ricordi di infanzia. Ci sono giardini di rose e spine, strade polverose e muri da [oltrepassare, argini del cuore e troppe [malinconie. Nelle pieghe delle labbra i segreti delle parole rinchiuse nel vento e trattenute da onde di emozioni. Giorni felici attraverso terre [lontane, corse su prati e colline di sensi. Ogni storia si incrocia nel tempo lasciandoci l’amaro di un destino 286


ANNA MARIA ROBUSTELLI Anna Maria Robustelli è stata Presidente dell’Associazione Donna e Poesia; è presente in vari articoli e antologie, fra cui Premio Nazionale di Poesia “Quaderni di Lìnfera” del 2009. Sulla poesia femminile di lingua inglese è da poco apparso l’articolo “Ogni passo verso l’origine” è anche un avvicinarsi al silenzio, sue poesie appaiono tradotte in inglese nel sito “Free Verse” ed ha partecipato a “PoEtiche”, edizione 2010 di “RomaPoesia”. Alla fine dei giorni

Una foto

Alla fine dei giorni quando una coltre di sonno ti copriva pietosa le parole tornarono semplici a rinsaldare un legame di bambine che si raccontano storie lungo i passi della vita. Tornavi a noi in qualche sprazzo e parevi sepolta in un altrove che ci era ignoto. Allora tutti i gesti ci furono cari per lenire il dolore tuo e nostro del distacco. Erano sferzanti i ricordi nella casa amica che distillava lenta le ore.

Dalla foto rinasci bambina solare in un prato di Misurina in cui noi bambini crescevamo tra le alte erbe. Ti stavamo accanto con i nostri sorrisi incerti e il lago glaciale sullo sfondo. Tu domini la scena come una Madonna di Piero.

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A mia madre

Giorno di febbraio a Bracciano

Di storie alimentavi le mie visioni, da un mondo antico venute, a contraddire i tempi moderni. Per me stupore, per te bisogno d’amore. Sono destinata a capire passo passo l’assenza che ti portavi dentro, che non riuscivi a colmare. Solo parlavi della lontananza. Un giorno, seduta su un gradino della vecchia Roma, che ancora schiudeva angoli ai ricordi, hai pianto il tempo perduto. Di te ha sete il mio dolore e cerco le storie nelle rovine che mi stanno intorno.

Il lago lancia occhiate azzurre. I monti intorno fasciano lo sguardo d’alberi densi e di pensieri. Trovare al cimitero fiori vogliosi dai colori vivaci e una terra rossa, grassa in attesa di semi. Il lago occhieggia i suoi messaggi. A lato della strada foglie di quercia disseccate. La primavera scalpita e si gonfia ma non trova parole. Di tanto in tanto il castello si mette in posa con le pietre brunite simmetrico e staccato dalle cose comuni. In serbo tiene le sue vecchie storie per i turisti che comprano il biglietto.

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ELIO ROMANO DE SANTIS Elio Romano De Santis ha compiuto studi giuridici, ma coltiva interessi artistici: dopo la raccolta poetica Negotia pubblica gli “Otia”, secondo le parole del poeta rivolti agli “Humanitatis studia, quae homines perficiunt atque exornant”. Senilis solitudo

Occasus

La solitudine lo inchioda alla panchina di un parco, ove foglie secche rievocano sogni infranti. La solitudine lo zavorra mentre affronta gli ultimi gradini di un’aspra salita. Solitudine, nel grigiore delle residue giornate, aspettando che la morte, con dita pesanti, chiuda per sempre occhi ancora avidi di sole.

L’uomo monade nomade nell’enigma dedaleo del cosmo. Le mie gambe, smania di traguardi lontani. Le mie mani, uncini del tempo. Il mio corpo, un tempio.

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Aestas Sole virile Colori opacati dalla calura Il mare riposa disteso Lo senti russare Ăˆ la risacca Labbra rosse danno un bacio di [fuoco Al giorno che smuore.

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DIEGO ROMANO Diego Romano è nato a Brescia nel 1973. Ha scoperto la passione per la scrittura quando per la prima volta gli è capitato di adoperare un computer; ha esordito con un libro intitolato “Angeli, fanti e amanti”. Cado senza legge, senza paura. Divento una cometa, e come un [maglio vengo scagliato su quella [terra. Vento, pioggia, neve, niente mi [ferma. Sono diretto su quella fine. Mi infrango in un crepaccio dove [tutto crolla. Mi addormento e sogno di volare.

Viaggio come l’ultimo volatile [nelle distese del cielo. Volo nelle intemperie del tempo. Signore di questo elemento che [scivolo nelle correnti. Aria di precisione che si affida [alla sapienza. Plano in questo firmamento. Acqua, ghiaccio, neve di sottile [bellezza, taglio con le mie ali. Mi alzo allargando i miei arti. Mi distacco da quelle polveri che [sono state costruite. Fermo la mia volontà in quelle [spumeggianti maree del cielo. Universi che io a stento capisco. Lascio imprimere i colori come un [assurdo pittore. Prodigi di luci a varie [temperature. Raggi di sole che si applicano a [dio. Cieli sfuggenti. Morte di un eroe che cade con le [ali di piombo e acciaio. Nuove leghe solcano i cieli. Quel paradiso è ormai [insanguinato da ciò che odio; che [amo. Apro le miei ali diventando [quell’ultimo uccello. Volo alzandomi sopra di tutti.

È morto un amico, è morto un [eroe. Il mio cuore è triste, nessuno lo [piange. Dimenticato nella sua bandiera, [che ormai giace in una fossa di [memoria. Il suo cuore si è spento, è [deceduto da solo. Assurda ricerca che si dissolve [nella polvere. Corri amico mio, corri attraverso [il cielo fino al paradiso. Ti copro con manto di lacrime, sentendomi caro il tuo ultimo [sorriso.

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Quel buco nel braccio che ho fatto [è l’ultimo. Sono libero. Sono sazio di quella strana fame. Sono qua, senza una bara, senza [una tomba, in questo cesso che mi fa da [camera funeraria. Questo è il mio cimitero [sconsacrato, in questa latrina, di questa strada, dove la morte ho [dettato per me.

Pericolo che nasce dalla strada. Pericolo che va giù. Cerco quella roba in varie vie. Una vetrina rotta, un pezzo che [va. Quella dannata veste, quel canto artificiale, in un buco si spegne. Speranza di un sortilegio d’amore. In quella strada la malizia di un [buco. Cerco quella dose. Rubo qua e là. Sono vittima di questa strofa. Vago, con le gambe spezzate, in rioni che ho imparato. Nasco di diritto dall’uomo, ma ora sono una bestia nera in questo mondo che ho [conosciuto. Droga di marzo; droga nelle feste, destino ormai defunto. Cerco di uscire, cerco la mia [redenzione. Quella siringa; quella dose; in [quel bagno sporco, in mezzo al [braccio. La vena si gonfia. Sputo il mio sangue. Cado per terra. Il mio cuore pompa più veloce. Vomito la mia anima su quel [pavimento. Sono qui, ucciso da me stesso. Con la schiuma alla bocca [spalanco all’ultimo i miei occhi. La mia redenzione è finita. La pace è sparita. Il buio mi tormenta.

Ho sussurrato alle nuvole che ti [cercavo. Ho aperto le mie braccia [trasformandole in ali per [raggiungerti. Ti ho rapito con il vento, per [portarti sulla luna. Ti ho donato un castello nella luce [di un eterno sole. Ti guardo cercando i tuoi desideri. Vedo nei tuoi occhi la tristezza, la [solitudine. Mi accorgo della dolcezza, [armonia e carità che tu emani. Ti lascio libera tra le nuvole, che [ti sono amiche. Librati serena e gioiosa in un cielo [a me doloroso.

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CESARE ROSATI Cesare Rosati è nato a Roma nel 1967 e negli anni Ottanta inizia a comporre poesie. Del 2003 sono le prime pubblicazioni in raccolte di poeti contemporanei, partecipa con ottimi risultati a premi letterari internazionali e nel 2007 arriva l’esordio in narrativa breve; dal 2010 partecipa all’annuale “L’Agenda del Poeta” della casa editrice Pagine. E così sei andata via

Blu incanto

E così sei andata via un tramonto istantaneo oscurando vita e sogni come ad esigere una resa.

Pelo d’acqua confine tra due mondi sole e mare luce e profondo blu.

E così sei andata via resta l’incancellabile a far coppia con l’inspiegabile come sfondo un gran dolore.

Un gesto e lo varchi nel silenzio scendi percorrendo strade inesistenti.

E così sei andata via senza mai voltarti come a toglier ali al cielo annegando voli al nulla.

La pressione cresce spinge via pensieri terreni distende la mente donandole serenità sconosciute.

E così sei andata via ora solo silenzio nel mio vuoto ti penso eppure mi hai cambiato la vita.

Il mondo sommerso un blu che conquista e il ritorno alla luce dissolve l’incanto…

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Un sogno muore

Di cuore e d’ali

Una parola un gesto lo sguardo in terra agonia di un sogno che preclude al declino.

Un cielo limpido nuove sfide da vivere dischiudo ali e cuore e fiducioso prendo vento.

Seppur con mano toccato dipinto dai colori del cuore s’infrange sull’umano limite della perduta volontà.

Un attimo la gioia mi pervade come la prima volta un’emozione infinita.

Un sogno muore rubando l’anima alla vita lì finisce una magia solo mille perché a far [compagnia…

Il mio ritorno un solo battito d’ali poi un colpo ferale indifeso precipito di nuovo. Torno all’oblio ancora ali tarpate nell’immenso dolore risuona il mio grido: perché?

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CLAUDIO ROSSETTI Claudio Rossetti è nato a Napoli nel 1962. Poeta e pittore, ha partecipato a numerose pubblicazioni e mostre internazionali; le sue poesie e i suoi dipinti rinviano ad un preciso messaggio del Vangelo, allo scopo di dare rilevanza alla problematicità della condizione umana, disancorata dalla vita cristiana autentica. e le navi navigarono su cocci di vetro. Dall’oblò il marinaio vide la sua terra sparire all’orizzonte. Altri videro un amico attraverso il vetro di un parlatorio. Giovani donne finirono tra le soffuse luci delle vetrine. Alcuni preferirono le trasparenze delle siringhe. Io guardavo con solitudine l’orizzonte dalla terraferma: il segreto era celato sul fondo. Lo staccai e la mia nave si trovò in mare aperto, tra le onde fredde, il vento ed il buio della notte, accarezzata dal sole nella quiete del mare calmo. L’amore fu la mia bussola e ritrovai la mia terra. Oggi sono grande e custodisco una bottiglia con la nave dentro.

Mutamenti Radici di albero, nude nella terra, talvolta fresca talvolta arsa. Da essa trae vigore il fusto, rigidità la corteccia. I rami s’intrecciano, s’innalzano alla ricerca dei colori dell’arcobaleno e del canto di primavera. La stagione dell’amore lo estranea da se stesso con un sorridente abbraccio.

Ritrovarsi Mille sogni in una nave, nella bottiglia di vetro. Sogni di bambini. Un’anima in una vita per ognuno. Molti preferirono le sicurezze della bottiglia e le proprie navi divennero soprammobili. I più temerari ruppero le bottiglie 295


madre e sorella, poi in avanti il mio sorriso attese il pianto di mio fratello. Poco compresi di tante cure e di tanto amore. Desiderai andare oltre… In paesi lontani… Dimenticato dalla terra e dal mare. Solo non ero quando dal Tuo cielo pazientavi per me, mentre mi affaticavo a negare la Tua esistenza e alla coscienza misi il bavaglio. Allora della vita il combattimento perdevo e nella polvere il nemico dell’anima mia mi atterrava e del soggiorno dei morti mi si spalancarono le porte. Della mia gloria rimase solo il grido. Tu, l’Omnipotente, scendesti fino a me come il Forte che crea, il Potente che salva, l’Io Sono la Via, la Verità e la Vita. Grazie Signore Gesù per avermi donato una vita nuova, traboccante di Pace, di Gioia e d’Amore. Solo Tu hai potuto riempire quel vuoto del mio cuore a forma di Dio. Solo non sono ora che ho Te sempre con me.

Libertà Un tempo ero libero come il vento sulla riva del mare. Poi mi catturarono i grandi… io però non mi ero mai arreso. Allora per me correre era tutto, oggi invece sono fermo, ma ho conosciuto il potente Salvatore… Egli ha donato la Sua vita in cambio della mia. La Sua grazia mi ha arreso a Lui, l’unigenito Figlio di Dio. Ora sono veramente libero, e tutti insieme i perseguitati in Cristo voliamo in alto come le aquile, aspettando nella libertà dello Spirito il Suo glorioso ritorno.

Solo non ero, solo non sono Solo non ero quando mi intessevi nel grembo di mia madre e mi legavi a lei con corde umane. Il mio primo pianto trovò l’accoglienza di chi tu scegliesti per me: padre, 296


MARINELLA ROSSI Nata il 28 febbraio 1946, è appassionata di poesia dai tempi della scuola. Dice di sé: «Per ogni emozione che provavo mi venivano in mente delle frasi poetiche, che io ho sempre descritte,e ancora oggi mi diverto per diletto a scrivere». Il temporale

Notte d'estate in campagna

Il cielo sereno all’improvviso [cambiò Denso di nuvole diventò,

Sotto un cielo stellato, sono sdraiata in un prato, ascolto estasiata una dolce serenata,

un lampo abbagliante, un tuono rombante,

sono i grilli canterini, che suonano i violini,

un vento impetuoso un po’ spaventoso

e le rane nel pantano, che gracidano pian piano,

un acquazzone si rovesciò, sull’arida terra che la ristorò.

le cuccioline belle, fan la danza delle stelle,

Dopo l’acquata tornò il sereno, con l’aria più fresca e l’odore del [fieno.

in questo magico momento si alza un alito di vento,

Quando fa caldo che si sta male, è salutare se fa il temporale.

che con tutta galanteria, mi accarezza e vola via, l’aria è fresca e profumata, che magnifica nottata.

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Nostalgia

Gelosia

Mi manchi amore mio, da quando te ne sei andato, qui a casa tutto è cambiato, mi manca la tua voce, mi manca il tuo sorriso, mi manca il tuo profumo, sento la tua assenza, ho bisogno della tua presenza, mi manchi amore mio, da quando sei andato via, tutto è cambiato nella vita mia, ti penso ogni momento, solo Dio lo sa del mio tormento, mi manchi amore mio, figlio del mio cuore, Per te ci sarà sempre un sentimento d'amore

La gelosia è un tarlo che ti [consuma il cuore, quando tu ami chi più non ti ama, vivi per lui, nel pensiero d’amore, mentre da te lui si allontana. Và verso altre che lo attirano di [più, perché hanno qualcosa che io più [non ho, hanno bellezza, vigore e gioventù, cosa che a me è rimasta nel cuor. Ma se leggesse nel mio [sentimento, vedrebbe la giovinezza nei miei [pensieri, l’amore non può morire dentro anche se gli anni non sono quelli [di ieri. Gelosia che mi prendi per mano E mi conduci in una strada [sbagliata, allontanati, da ogni essere umano, perché crei disordini e una mente [malata. Gelosia, allontanati da me Tu conduci alla follia, non ti voglio più con me, io amo la vita la pace l’allegria.

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LUANA ROSSITTO Luana Rossitto è nata a Portoferraio (Isola d’Elba), dove risiede e lavora; scrive da molti anni, ha partecipato a spettacoli locali, il suo desiderio è quello di abbracciare tutti con le sue emozioni più profonde, che per l’autrice sono la voce dell’infinito. Lasciami cercare nel profondo

Ritratto di donna

Lasciami cercare nel profondo di me, mistero donna di luce inseguo le mie orme per perdermi tra passione e ragione in un mare di finta follia di offesi silenzi. L’incoscienza è padrona. È impossibile non pensare alle notti rubate dal pianto quando smarrita tra fogli bianchi e scarabocchi Morfeo danza per la mia anima in tempesta vestita di paura tra processioni di ombre mi racconto favole e mi perdo in pensieri di libertà nello scorrere veloce del tempo.

Ritratto bizzarro di donna [confusa. L’anima si veste di grigio sorride, di antiche bugie richiami lontani dell’io. Niente è più fragile di un sogno. La luce riflette i suoi raggi prigioniera di falsi domani là dove si annodano bugiarde [passioni dove si affaccia la luna dove non voglio sapere quel che [sarà. Voglio solo sentire profumo di [terra cullarmi nel rumore del silenzio desiderio che asciugherà il pianto io, egoista d’avere recito solo per me antiche leggende nella realtà dei giorni e poi fare mia la vita.

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Mamma raccontami

Un viso in penombra a cercare [risposte Un viso in penombra a cercare [risposte Ultimo grido a me stessa Sottile confine tra sogno e pazzia Provvisorio domani Si apre la scena Non voglio capire I peccati minori son figli [dell’uomo Ed io chi sono se a volte mi scindo Demone angelo O angelo demone Della notte Il giorno perdona se stesso L’eternità racconta di vizi di ardori Culla parole di fuochi ormai spenti Tu mago di fuoco Io strega dell’acqua Divento padrona di ogni certezza Eremita e zingara Oscura realtà di me, mio dolore Tentazioni sopite Parole non dette nel tempo che ancora respiro.

L’amore di mamma è uno solo non ci sono copie perfette voglio tornare bambina raccogliere briciole d’amore rimaste nelle tue mani nella tua voce, nelle tue braccia calde come uno scialle di lana sicure come una fortezza dove il bene sono le mura dove l’amore tutto il mondo che è intorno noi, due faville che si alzano in volo in tenero abbraccio divino mistero solo noi, siamo il mondo intero la mia testa è china, sulle tue ginocchia ti prego raccontami ancora del tempo che passa ti ruba agli affetti, ai ricordi di un’ora alle tue mani tremanti chiedo una carezza ancora voglio che sfiori il mio volto rigato, bagnato di gocce salate il tuo amore è come l’estate anche se l’ombra della sera tradisce chi spera il suo moto è continuo sordo al richiamo al mutare degli anni che ti ruba ai tuoi cari. Mamma parla, parlami ancora del tempo che passa che non lascia traccia per noi, solo polvere di ricordi. 300


MARIA CARMELA RUBBO SANZARI Nasce a San Lorenzello (BN) ed inizia a comporre le sue prime opere alla giovane età di 16 anni ispirandosi a tutto ciò che la affascina, soprattutto la natura e l’amore in tutte le sue forme. Pubblica nel 1978 il suo primo volume di poesie, “Vita Vissuta”. Altre opere sono: “Poesie Haiku”, “La Valle del Titerno”. Tra i premi: 2009 Torino, AICS Premio “Superga”, Encomio per la poesia “Clochard”. Tempesta sedata

Donna

In lontananza una massa di nubi grigio cenere si avvicina penso, un temporale, ho paura tuoni e lampi si alternano a raffiche di vento; è inverno. In cucina nel camino acceso arde la legna, è bello il calore del fuoco lo sciogliersi di un pianto alla viva fiammella e il ritrovarsi serena e libera nel turbine della tempesta ormai lontana, svanita.

Dolce il tuo nome, scintillante nel tuo abito dai mille colori ove di fragranze profumate elargisci sensazioni sublimi. Amica, madre, compagna, innamorata, amante, un cocktail di vita dove ne beviamo la linfa della sopravvivenza. Spumeggiante e voluttuosa come una mimosa, il tuo fiore simbolo festeggiato l’otto marzo, frizzante e brioso, evanescente nelle sfaccettature del tuo volto donna.

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L assù nasci e scendendo A valle, V ai nei tortuosi cammini A llacciando come cintura L e montagne che ti circondano. L à dove la natura E le sue bellezze D ai colori cosi intensi E splendidi, armonioso L asci nell’aria profumi inebrianti. T iterno è il tuo nome I l tuo percorso di acque. T i snodi, ti avvolgi E rimbombi del fruscio R igenerante delle acque, N ello scorrere lento O ffri il tuo canto ai capricci di Eolo

Fremito di vita Nel tuo tabarro, dal colore marrone bruciato, è avvolto il tuo corpo lambito dal freddo invernale, impassibile tu cammini, indifferente lungo il marciapiede della strada sconnessa. Nel mezzo d’essa, pozzanghere fangose, pensi a come è triste e misera la tua vita, solo, vecchio, con gli affanni dell’età che avanza. Da nemico, ti fermi e guardi quel acquitrino, lo penetri con i tuoi occhi duri, cercando dei colori perché tu possa sentirti vivo, vitale, sentire il piacere nella calda lana del mantello, mentre riprendi il cammino, non più cosi triste, verso la tua dimora.

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ELVIRA RUGGIERO Elvira Ruggiero è nata a Napoli nel 1953: ben presto si accorge, come afferma la stessa autrice, che la terra di Pulcinella, il sole, il mare, le tarantelle, i tamburi, i mandolini, l’amore, erano solo cartelloni giganti inventati per la pubblicità, ma spesso ritorna dove ancora vivono suo padre e un gatto grigio, seduti al sole tra le rovine del terremoto dell’Ottanta. A Roberto

Perché l’indifferenza

Mi hai chiesto di parlarti d’amore. avresti voluto le frasi più dolci di un grande poeta per regalarle [alla tua tenera età;

Perché sei tornato laggiù, dove non si sente più il caldo dei [focolai, dove son rimaste solo chiese [vecchie con santi impolverati che non [sanno più parlare e un Dio che non sa più amare.

Ma io non vivo in un campo di [grano dove i miei amici sono papaveri [rossi e girasoli dorati, anzi il mio cuore è pieno di [rabbia, perché è ancora tanto il sangue [che scorre;

Perché resti ancora laggiù, a guardare un passato di ghiaccio [che sta gocciolando e non vuoi più tornare con me, a [sentir come un giorno, attimi di gioia, soffocati dalla [realtà.

Ma, come posso scrivere libri [d’amore quando un bambino è straziato dal [pianto; Vedi, nei nostri occhi c’è la stessa [paura, non ci appartiene la gioia di un [sorriso, gli amori grandi sono degli angeli.

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Lo zucchero filato

Silenzi

Nei prati verdi, correvamo in [primavera, la rondine, il cerbiatto ci tenevano [compagnia, l’uomo del carretto regalava [zucchero filato.

Spesso, un volto si interpone tra [me e mia madre. Ma, ti conosco, ti aspettavo sotto l’albero del [mandorlo in fiore, dove i silenzi si confondevano con [i glicini ancora socchiusi, per paura di non morire;

Vennero i maligni, tra i vagoni del [treno sei scomparsa, ricordo solo il fischio della [ferrovia.

Nei silenzi, Madre, mi regalavi il sapore del latte, il tepore di abbracci, in silenzio, muta, mi aprivi il [cielo, e con i cherubini io non ero sola.

Nicol, Nicol, nel paese dove [andavi, non c’erano palloncini colorati da poter far volare.

Non ero sola: “Amore” amore, amore mio, scrigni stracolmi di magie, [preparavi per me, i gelsomini sbocciavi, affinché, ne sentissi il profumo;

Padre nostro che sei nei cieli, non potrai perdonarmi, di averla [lasciata morire dietro il filo spinato. Nicol, il soldato che porta negli [occhi, il terrore di Auschwitz, sono io. Lo zucchero filato, non è bastato a [nasconderti, si è sciolto ai primi raggi di sole.

Ma, sempre, un volto si interpone tra me e mia [madre, io ti conosco, il ragazzo delle barricate, la donna dagli occhi neri, vorresti cantare una ninna nanna [al tuo bambino ma, non hai più forze;

(Per non dimenticare la storia Nicol, trovò la morte nei campi di sterminio di Auschwitz).

Volti, Volti che in silenzio scompaiono tra i colori dell’orizzonte. 304


MARIA ROSARIA SALITO Maria Rosaria Salito è un’insegnante in pensione; vice-presidente e organizzatrice di eventi dell’Associazione Nazionale “Juan Caramuel”, pubblica articoli su vari giornali. È autrice di una raccolta di novelle in versi e prosa, romanzi storici, poesie per bambini, ha scritto una raccolta di poesie in lingua e di poesia in vernacolo. T’inebri di niente

T’amo o natura

Fanciulla graffiata nell’animo guardi Turbato Meschino Bislacco ragioni perifrasi inquietanti verità celate voluttà nella mente turbinii di pensieri Ricerca sospiri invitanti purpurea la carne appagante il momento Non chiedi perché t’inebri di niente.

Estasiata osservo natura immacolata e mi ebbro di te bellezza del Creato. L’immenso dolore che con delirio il cuore prende si appiana al sol mirarti. Al tuo cospetto obliando vado e avverto la pace nell’aria del mattino. I pensieri si mondano come neve al sole volano più in alto ritrovando l’arte. Germogliano i fiori rinvigorisce il bosco e i rami cantano alle rigogliose foglie. E se gli uccelli volano più in basso un raggio che illumina pare fulgida stella. T’amo o natura. Come la madre che mi accoglieva in seno dona sollievo al mio animo in pena. 305


Perché?

Ad un tratto… Silenzio

Perché è diverso il tempo del [domani Perché di sangue tinge i muri il [suo cammino Perché soldato muore per [compagno Perché violenza e guerra alberga e [fa danno?

Rattoppi di strade stridio tremendo impatto violento ad un tratto… Silenzio. Affanno di gente che corre e si accalca un lamento si sente un gemito lieve. Corsa nel buio camici bianchi di nuovo silenzio. Gli occhi nel pianto. Due feretri uguali i fiori più belli applausi e dolore la morte nel cuore. Due anime candide aleggiano in cielo lei vestita di bianco il ragazzo di nero. Avvolti da raggi splendenti si calano a terra e chiedono pace agli afflitti parenti: “Solo preghiere non lacrime amare siamo insieme al Signore che ci dona il suo cuore. Su voi noi vegliamo e vi guidiamo lungo il sentiero di un cammino sereno”.

Perché freddo, fame e stupri pure [sui bambini Perché soldati bimbi poverini, Perché le lotte per terre di confini Perché programmi volgari in tv [meschine? Perché? Te lo sei chiesto mai? I Grandi della terra lo sanno bene ma a te però non lo diranno mai ma tu chiedilo dai. Non chiuderti come tartaruga nel [tuo guscio Tu che uomo sei usa la ragione Tu che conosci l’alito del vento [non ascoltar la carne Tu che senti il profumo dei fiori [ama quel che viene Tu che sai il pianto e il dolore [ascolta il tuo cuore. Tu chiedilo dai! 306


BENITO SABLONE Benito Sablone è nato a Pianella (PE) nel 1935. Nel 1956 ha esordito con la sua prima raccolta di versi, a cui negli anni hanno fatto seguito diverse sillogi poetiche; ha scritto anche dei racconti, apparsi nel 1992 col titolo di “Arcadia”. Ha ricevuto vari premi letterari, tra cui “Il Ceppo”, “Flaiano”, “Frascati”, “Calliope”. Per il ritratto di Lucrezia [Panciatichi del Bronzino

Monologo sul nome sconosciuto

Venne la tua astuta immagine fuori dall’aria antica in questo [tempo ad ingannarlo, e si posò, ridendo nell’ombra. Passò la luna di [novembre, prigioniera dei giusti segni [stagionali nel composto splendore delle [cime e digradò nelle notturne solitudini disfatte al fuoco [dell’amore. Venne, tornò Lucrezia con rossi capelli e tenere ciglia a respirare musica e languore perché nessuno muore: cade solo [un nome con tonfo disperato, e contro un [muro lo rimanda l’eco, nel presente.

Sebbene altrove sia la mia casa, a me vengono a parlare del tuo [nome. L’oro e le tempeste militano nella [voce appena stridula; si percepisce uno splendore antelucano di fiaccole, di elmi toccati dei vertici del sole già impaziente. Proprio a me che ti conosco senza conoscerti perché un’anima ti spinge, disuguali virtù reggono in bilico sulla bellezza [delle spade il nostro domani; proprio a me non dovevano dire il tuo nome: che qui non ripeto, che qui ho scritto e cancellato, che qui – o altrove, in altre terre – ho reso eterno perché è il tuo [nome.

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“Lo so che mi vuoi; troppo mi [vuoi. Ma farmi prigioniera non è giusto. Sono una piazza [dopo la festa, bella per il ricordo di me stessa che accendevo il sangue con lo [sguardo. Chiudermi con te, solo con te, non [è giusto”.

Monologo dell’acqua Si sprofonda, tutti lo sanno. Basta [premere un punto della sfera per distorcere [le immagini. E si insiste nel dire che la terra apre soltanto a chi bussa con tenerezza: alla radice e alla [vanga, alle premurose insistenze del [becchino che semina gli uomini di domani.

Qui nascerebbe un altro discorso, [più sottile e feroce, intorno all’amore che è l’oggetto [imprendibile, l’ansia che si scopre incolmabile e [mai si conclude.

Passa una voce: “Dentro l’acqua ansima lo spirito dell’uomo”. Il [punto è oscuro, sembra un passo latino del [trecento: perciò lo rigiro nella mente [cercando un appiglio. Fosse almeno diversa, [quest’acqua, dall’altra che [conosco: ne verrebbe fuori la luce giusta [per una lettura della speranza, potrei sedermi comodamente per sovrapporre le [trasparenze, mescolare i giochi capillari della [mente che prepara i grandi viaggi.

Se mi fissi perché la condanna traspare dall’acqua congelata del [discorso; perché, dopotutto, continua il [passaggio dalla sazietà alla fame, non posso [risponderti. Meglio la guerra al silenzio. E tu [combatti come nessuno, indecifrabile e [muta. Perciò bella.

C’era anche una donna. Lo spazio consentiva appena di guardare un [poco intorno le pareti, il filo calato dal soffitto, il muro screpolato, naturale. E la [vice: 308


NADIA SALVATORE Nadia Salvatore è nata a Livorno il 30 maggio 1963. Ha il diploma di maestra d’asilo, lavora a Livorno come collaboratore scolastico presso una scuola media e ha un figlio di 18 anni di nome Antonio. La valigia.

Ricordi.

La mia vita è appoggiata in terra, dentro una valigia. L’apro per l’ennesima volta guardo attenta se vi ho messo [tutto, paura di dimenticare qualcosa di [importante, mi convinco che c’è tutto, ma il dubbio resta, ansia faccio mentalmente il riepilogo delle cose: lavoro… c’è, la casa… c’è, la [salute… anche, l’ allegria… C’è Cara mia valigia, sei diventata [troppo piccola, per contenere tutti i miei sogni, progetti!!! Cerco di chiuderla con forza, [niente, mi ci metto sopra, ma un lembo di [tristezza è fuori, un altro piccolo lembo la rassegnazione, calma, penso: la cambio. La forma, la grandezza, poco [conta, le cose restano le stesse, ma sì, tanto la speranza ce l’ho in [tasca!!!

Racconterò a te, la persona che [stimo, più fidata, amata, i miei ricordi più belli, ti chiederò di tramandarli per renderli eterni, come questo. Sono ben celati dentro me, i momenti più intensi, emozionanti, rubati alle ore già destinate ad altro, passate con lui, [brandelli di pelle sulla mia pelle, ricordi indelebili. Se dovesse finire adesso la mia [storia d’amore, sarebbe senza dolore, perchè ogni giorno, si nascondevano frammenti di sofferenza, costante nella mia vita. Amore forte, passionale, a tratti [irrazionale, rumoroso, ora scompare sottovoce. Mi dà le spalle, cammina lento, [stanco, Lo imploro con il silenzio, solo lui [può sentirlo. Ma non si volta. Ha per mano la rassegnazione e la [fine.

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Vetro.

Gli altri.

Non mi toccate, mi sento come una palla di vetro, completamente incrinata, basta un [soffio, e va in frantumi. Ma quando penso all’amore mi sento una quercia. Ma sono di vetro, trasparente, gli altri possono intrufolarsi nei [miei pensieri, intuire i miei desideri, possono calpestarmi, deridermi, oppure semplicemente, capirmi, [accettarmi.

Il mio silenzio non lo avrete mai. La tua mano comprime la mia [bocca, con forza, sento male, i miei occhi nei tuoi: ti sfido. Riuscirò ad urlare a dire ciò che [ho dentro, parlottate, fra voi, vigliacchi, due macht non valido, Mi dimeno, le forze [diminuiscono, ho caldo, sto per arrendermi, sibili, è finita, però riesco ancora a [pensare, non mi occorre la voce, non ho bisogno delle parole, urlerò con gli occhi, la felicità la puoi trasmettere agli altri con la tua allegria, con una canzone, una poesia, col battito del cuore, vi guardo: che pena mi fate, sono completamete bloccata, sto urlando, invano, ma voi siete sordi, perchè non sapete ascoltare. Urlo per chi ha voglia di vivere, [chi sa amare si sente ovunque. Io mi sento, voi no, paletti intorno [ai vostri cuori, dentro indifferenza, odio, rancore. La vostra vita è la morte degli [altri.

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ROBERTO SANNINO Roberto Sannino, in arte Iago, dichiara di non possedere i requisiti per essere un poeta: “Scrivo per disubbidire al mio destino e per rispondere alla voce del tempo che mi chiede di farlo; non serve aggiungere altro, un poeta va giudicato solo per quello che scrive”. Cronaca animale

Ritorno

Hanno arrestato il bue e l’asinello. Colpevoli d’infanticidio, non avendo emesso il caldo [respiro.

Un’allodola vola sull’immensa distesa vegetale, con andatura scomposta fatta quasi per prendersi gioco delle correnti d’aria.

È su tutti i giornali in tv non si parla d’altro.

Non mangia da giorni è alla ricerca del suo uovo.

E di quel bambino che ne è stato? Di sicuro servirà a qualcosa, visto che i genitori da tempo hanno autorizzato l’espianto degli organi.

È lì che vuole ritornare nel neutrale calore di una geometrica chiusura. In equilibrio tra due vuoti d’aria – senza alcun bisogno di esistere –

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Evoluzione

Ambiente

Una boscaglia di cemento ospita antropomorfi alla deriva genetica.

La quiete oltrepassa il silenzio [cittadino. Su una naturale trascuratezza, il volo dell’airone sposta molecole di benevolenza che annunciano al timido muschio il cambio di stagione.

Nei loro occhi non v’è traccia d’umanità, dimenticata la memoria la mente resta vuota.

Semplice manovra. Azione elementare.

Una scimmia con cravatta e [valigia fuma nervosamente sul [marciapiede grigio.

Anche l’ostile gramigna è complice di uno statico [equilibrio tramandato da un incanto [determinato.

Attende il taxi delle 20. Distribuisce delle noccioline ad alcuni mendicanti, gettando lo sguardo sul Rolex che tiene al polso.

Sono miseramente attratto congelato dal silenzio crescente.

Si fa avanti uno di loro e la saluta: salve, mio Dio.

Tutto intorno la vita scorre e non nota che la mutua assistenza eleva quel prato ad immota eloquenza.

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FRANCA SANTACROCE Franca Santacroce è nata a Viareggio e vive a Roma; laureata in Lettere classiche, ha svolto per anni la professione d’insegnante. Ha esordito con una raccolta di racconti edita da Il Filo. Ha vinto il premio letterario “Racconti nella rete 2007”, promosso da LuccAutori, ha pubblicato diversi racconti e un romanzo. Poeti si diventa

Immagini

Poeti si diventa quando il dolore trafigge il cuore e bagna l’anima di lacrime che [bruciano. Poeti si diventa quando la gioia esplode nel corpo e ti riveste di luce. Le parole escono allora chiare, [pulite di tutte le macchie che sporcano il [vero e scorrono limpide ornate di fiori [profumati. Poeti si diventa per ridipingere il cielo ripopolare il deserto rinfrescare l’arsura riscaldare il gelo. Poeti si diventa per non morire mai.

Immagini lontane sfocate dalla nebbia del tempo. Affreschi macchiati di speranze di attese, di sogni perduti e poi ritrovati nascosti nel libro prezioso del [cuore. Sequenze riemerse dal buio [dell’oblio come pezzi di un film senza voce senza suoni. Immagini mute che improvvise [riprendono vita e parlano nitide, accese di luce [splendente ansiose di mostrarsi, ricordarti [quel giorno quel luogo, quel volto, il calore di [un abbraccio, un sorriso, una lacrima, il dolore [di un addio. Immagini riavvolte in una [pellicola a tratti spezzata frammenti di una storia guardata con l’occhio avido di uno [spettatore mai sazio. Immagini che volano via nel cielo nebuloso del tempo. 313


Lascialo correre il tempo

Belle sono le parole

Lascialo correre il tempo bambino inquieto che gioca a [fuggire per non farsi trovare da te che sei smanioso di pause d’aria, di boccate d’ossigeno per [respirare illusioni di attimi eterni momenti lunghi una vita che non vuole un traguardo un porto d’approdo, una meta [fissata una vita che non vuole un arrivo. Nascondi i tuoi passi all’ombra di [un sogno che vive in un cielo infinito e [lontano dagli occhi del tempo e suona le [sue note scandendone il ritmo come tu [vuoi. Lascia che fugga veloce non avere fretta di raggiungerlo perché quando lui vorrà si fermerà [per te e come Giuda allora poserà sulla [tua guancia il suo bacio e ti tradirà.

Bella è la storia di un Dio [raccontato con mille parole, vestito di sogni [di mille colori. Bella è la favola antica di un [mondo diverso senza guerre, senza odi, senza [dolori, senza invidie riempito di bene, svuotato del [male. Belle sono le parole che scrivono [una vita perduta nel tempo, nascosta nella [nebbia del cielo. Parole che sono mistero reale pronunciate, osannate, urlate cancellate. Sono parole che sfiorano il cuore Sono gocce di pioggia leggera Sono acqua che rinfresca e disseta Sono cibo che nutre Sono suono che accarezza Melodia che placa la mente in [tempesta. E come acqua scivolano via e si [perdono nascondendosi in mille rivoli bui. Belle sono le parole di un Dio che [è uomo che è padre e fratello che ama e che è amato che sogna un mondo migliore che parla parole che volano. Belle sono le sue parole. Sono solo parole. 314


ANTONELLA SANTAGATA Antonella Santagata è nata a Potenza nel 1960, dove vive. Laureata in Lettere classiche all’università di Napoli, ha insegnato materie letterarie nei licei scientifici. I suoi primi lavori pubblicati riguardano aspetti del patrimonio artistico e culturale della Basilicata, la sua attività poetica, più recente, ha avuto inizio con la casa editrice Pagine. Il tempo perduto

Ho visto le tue mani

E il tempo soffia come una bufera sui progetti futuri, frantumando le forze. L’esistenza, liquida, si dissolve talvolta nella speranza. Resistere diventa imperativo per non tradire l’intera nostra giovinezza.

Ho visto le tue mani.

Non mi trema più il cuore

Un saluto a scostare il silenzio dalla mia tristezza.

Gesti a sospendere l’aria grevi setacciavano il vuoto; richiamavano il tempo, risucchiavano gli occhi dentro il passato. Dolce, Bello, di struggente nostalgia. Erano le tue mani e il corpo di uno sconosciuto.

Non mi trema più il cuore. La fine delle illusioni ha svuotato la memoria di voci, di gesti, di passi. La vita? E se fosse un fatto di testa come di testa è la morte? Si sceglie di vivere lasciando i ricordi sul campo di battaglia. 315


Lungo sterrato intorno al lago artificiale, dentro case appiattite dai riverberi nella luce del sole.

Montevideo Marrone: Acqua del Rio della Plata incontro all’oceano, attraverso pianure punteggiate di case.

Vasto: Viali abitati da platani secolari rifugi di penombre, dissolti nell’afa della spiaggia.

Pungente: Odore di pesce e salsedine sulla sabbia ghiaiosa, sferzata dal [vento nel ruggito strozzato dei leoni [marini.

Emozione: In una notte stellata, dai vetri di un’automobile… La Croce del [Sud. L’altra parte del mondo.

Meraviglia: Sala d’attesa di un piccolo aeroporto, tra volti amici affacciati a uno striscione. Grigio: Sconfinata distesa di antenne e bucato dai tetti a terrazza. [Solitudine sulla folla vociante, riversa nelle [strade. Tortuoso: Inferriate serpeggianti sui balconi azzurro cielo, icone di un passato quanto mai presente. Sgomento: Cumuli d’immondizia e carri [trainati da cavalli, lungo le vie del centro. Al seguito di uomini laceri. Rosso: 316


LUCIA SANTORO (Pontecorvo – FR), risiede a Roma. Alcune sue liriche sono presenti in pubblicazioni curate dalla casa editrice Pagine di Roma, fra le quali ricordiamo: “l’Agenda del Poeta” (dal 2005) e “Dizionario dei poeti” (2006). Per te amato figlio

E tu luce

Quali astri furono clementi al tuo nascere? Forse soltanto uno. Gli altri, ostili grandi e impervie vie diedero al tuo cammino... Forse han riso per il tuo percorso faticoso e sempre poco luminoso. Ma l’astro pietoso occhi di lince ti regalò per trovare la strada da seguire ed una ragione, virtù del pensiero per arrivare alla fine del sentiero.

Ti cercavo da tempo tempo fatto d’interminabili tempi. Nel silenzio della notte nei pomeriggi solitari nelle giornate piovose ove il freddo, gelido mi penetrava nell’animo fino a succhiarlo e inghiottirlo nella voragine del delirio. Delirante senza febbre. Deliri giganti da soffocare me così poco difesa verso la tua immagine da non poter volgere l’occhio [altrove. E “TU LUCE” dentro me entravi perché rapita dall’essere o non essere presente col pensiero verso una ragione. Ragione in me non c’era se vedevo un confine solo fatto di ombre sotto un cielo poco chiaro perché plumbeo senza stelle, senza un piccolo [lumino faro di speranza una speranza che da tempo ti [cercava. 317


Crepuscolo

Per te Riccardo

Passi lenti da gambe pesanti il selciato è assolato e la polvere sovrasta il roseto sfiorito. I passi sono lenti come i movimenti di un corpo imbiancato dal tempo passato. S’appresta ad entrare non vuole sembrare un vecchio cadente la dignità non lo consente. Tante volte è entrato nella casa in cui è nato ma sempre in compagnia… Questa volta un bastone lo accompagna al portone ed io dalla finestra lo vedo entrare lo vedo sedere con tutto il suo avere…

NEI TUOI OCCHI TANTA [TRISTEZZA IO VEDO quando a me lo sguardo volgi. Neri, come more, appena raccolte in campestri siepi, mi penetrano nell’animo come lame acuminate lacerandolo in mille brandelli. Sono inseriti in un viso bello ma restano immobili. Quale segreto nascondono gli occhi e il viso? Forse fu l’amore per una giovane fanciulla che terminato appena nato non diede più pace all’animo tuo. Quando la frequentavi sorridente com’eri il tuo bel viso s’illuminava tutto. Poi, non so come finì quell’idillio, in te rimasero ricordi… per te ch’era stato il primo amore, mentre lei altezzosa neppure si chiese cosa le restava. Mentre la sua anima fu presa da un altro amore la tua l’avvolgesti in un velo nero. Vorrei tanto che il tuo animo sereno ritornasse per scacciare la tristezza quando a me lo sguardo volgi.

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FIORENZA SARNELLI Fiorenza Sarnelli è nata in provincia di Napoli ed è molto fiera delle sue origini; vive in provincia di Roma e si è ben inserita nell’ambiente sociale di Pomezia. Collabora con diverse associazioni culturali del territorio e con la casa editrice Pagine da diversi anni; ama l’arte in ogni sua sfumatura, in particolare il teatro. La risacca

Aiuole di malva

Risuona, lenta la risacca mi avvolge, dolce melodia. Nel suo ritorno mi trasporta e… vago cullata dalle onde.

In città tra enormi palazzi di cemento, strade asfaltate san pietrini, pavimentazione [irregolare, cumuli di rifiuti… La natura sopravvive a fatica ma resiste, nei parchi pubblici, agli angoli delle vie si manifesta, in tutto il suo splendore. Aiuole racchiuse in cordoli di [cemento, come un soffice mantello ricoprono la brulla terra, colori variopinti ridonano il [sorriso, invitano a pensare… Quantunque la mano dell’uomo faccia tutto per distruggerla, la Natura, madre benigna, resiste ancora in tutto il suo [splendore.

La mia mente si perde, vedo te e me distesi sulla spiaggia, perduti in un abbraccio, profondo e sogno nell’oblio delle tue braccia. Ma… era solo ieri.

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Incontro al sole

Abissi marini

E vado incontro al sole a vele spiegate io vado incontro al sole.

Vorrei essere una sirena, per entrare in simbiosi con il mare.

Navigo

Raggiungere l’orizzonte, avvinta dalla forza delle sue correnti.

cullata dalle onde lentamente solco il mare splendente, baciata dai raggi del sole.

Tuffarmi là, dove le acque sono più profonde.

Ammiro

Seguire i raggi del sole che rifranti sulla superficie marina luccicano come stelle, raggiungendo poi le sue profondità.

l’orizzonte sfiorando leggera la cresta dell’ onde io vado incontro al sole. E… trovo bufere, sballottata resto a galla, affronto tempeste, rischio il naufragio.

Scoprire le meraviglie nascoste là, dove il blu intenso si trasforma in verde smeraldo.

Resto avvinghiata, aspetto si plachi la tempesta.

Estasiarmi davanti alle bellezze celate nei fondali degli abissi marini.

Ritorna il sole splendente, brillio sfolgorante, mi abbaglia, spariscono le nuvole, e io vado incontro al sole. 320


DANIELA SASSI Daniela Sassi è nata e vive a Chioggia (VE). Collabora con scuole ed Enti Turistici e Culturali del territorio svolgendo servizi di promozione turistica, culturale ed artistica; ha tenuto alcune conferenze in Austria per conto della Società “Dante Alighieri”, aventi come tema l’ambiente lagunare e l’arte veneta. Si dedica alla pittura, alla poesia e alla narrativa, ha partecipato alla stesura di alcuni cataloghi d’arte e di restauro. Sensi

Tentativi di me

Vorrei tornare abbracciata al tuo [cuore E contare i battiti del tempo. Vorrei ancora accarezzarti i [capelli Ed i solchi dorati dell’anima. Vorrei solo sfiorarti le labbra Per assaporare il ricordo Di ciò che è trascorso. Vorrei mio amore che il tempo si [unisse Ai nostri corpi fragili In un pomeriggio d’estate. E ancora vorrei sussurrarti [all’orecchio Parole mai dette E segreti pensieri. Io so che ci apparteniamo Come il seme alla terra In una zolla di luce. Aprimi l’anima e la mente Ed i nostri sensi gioiranno In sublimi stati d’ebbrezza.

Poter oltrepassare questo tempo Annullare le distanze Liberare i sogni. Vivere quello che la vita ci offre Senza rosicarne i pezzi O perdersi. Poter essere orgogliosi Di crescere i nostri figli Nella libertà delle azioni e dei [pensieri Affinché un giorno Anche loro uomini Non giudichino le apparenze. Poter evitare lo stridulo suono Delle bugie nascoste o dei falsi [sorrisi Perché possano apprezzare i nostri [pianti I dolori dell’anima Le mani giunte Il nero che si ingoia. Poter dire di aver vissuto Senza perdersi nell’oblio della [dimenticanza Né di aver rinunciato ad essere Come veramente siamo Amando ogni piccolo respiro Che ci circonda. 321


Pensieri

Tempeste

Mi scendo dentro e precipito nell’abisso di questi [pensieri affinché nulla possa fermare il torrente che [sgorga dai miei occhi e nessuno riesca a percepire il tumultuare del cuore. Ma tu scompari nel fragore di un [lampo in un battito lieve di ciglia e il dolore si fa più grande quanto più forte è la tua lontananza. Eppure non ti conosco ancora, ma ti amo intensamente come la rugiada ama la luce del [mattino quando ne asciuga le lacrime o come l’onda che accarezza la [sabbia in cui morire. Nei miei sogni ho respirato le tue primavere ed ora rispolvero a stento vecchi [ricordi, lenzuola attorcigliate, fiori [appassiti e tutte le tue parole che ritornano indietro più vere.

Particelle del mio spirito nell’aria [tersa respiri; di te fanno parte ora come il tuo ventre che appoggi al [mio in un abbraccio di baci o di parole mordicchiate [all’orecchio. Fremente sento i gesti delle tua [mani grandi o i gemiti di piacere che sgorgano come la goccia che cade al ritmo dei tuoi movimenti sul [mio corpo nell’atto di disegnare un sogno e di esaltare i sensi. Non ricadrà sul cuscino, ancora, la tenerezza del sonno, affinché la tempesta non si plachi ed il tuo mare non scorra lento su [di me ma, come l’onda che si ritrae, [ritorni, impetuoso travolgendo la rena. Solo il silenzio ed il riflesso della luna sul viso scandiscono il tempo che ci [ricopre con il lenzuolo bianco che [nasconde e che avvolge nella notte ogni [desiderio.

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ELENA SAVIANO Elena Saviano è un’insegnante; ha pubblicato diverse raccolte poetiche, un libro di narrativa e alcuni saggi, ha partecipato a premi letterari, dove è stata premiata più volte. Gelo infranto

Ardore

Nel freddo inverno la freccia di cupido investe chicchi di neve con gocce di primavera scioglie i sentimenti addormentati sul ventre di una madre

La sera chiede permesso alla pioggia di commuovere gli amanti con il suono della notte. Note d’amore in gocce di campanula ronzano come api invidiose su pistilli sensuali regalando sogni ai cuori innamorati.

scocca il bacio alla luna recita una nenia ad un bimbo che aspetta la luce.

Si accendono le lucciole tra i filari della vite mentre miele d’uva succosa ubriaca le fate del bosco. La magia lascia al canto rime celestiali.

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La parola del poeta [ad Alda Merini

Una madre

Quanto scempio passeggia indifferente tra questa e l’altra sponda

L’orma sulla spiaggia segnata dal sospiro disegna granelli di vita

nel riempire il carniere di mille anime misere ricche di versi cantati.

sulla costa conchiglie stordite dal fragore dell’età ingialliscono ricordi nell’album di famiglia.

Apparsa come niente e nel nulla andata resta il senso recitato a giovani e vecchi.

Scorre il tempo dell’umano pensiero in esperienze disperse

Amore malmenato affiancato all’eterno segnala percorsi

tra volti di una foto l’eco perduto tra erbacce marmoree.

lacrime di luna fioca sui cieli dell’umanità e la guerra continua sulle strade

Nessuno vuole il viscido colore che stinge memorie nel vocio ronzante che stanca la mente le parole confuse distraggono la ragione.

un lampione spegne il fulgore ferma il verso di poeta.

Padre Nostro e Ave Maria miscelano grazie. Una foglia umida sul volto riprende i grani scivolati sulla costa ed il soffio del riposo scrive amore sul futuro. 324


ETTORE SCALAS Ettore Scalas è nato nel 1930; rimasto orfano molto presto, ha trascorso la giovinezza in collegio, in seguito per lavorare in un Ente pubblico si è trasferito a Roma, dove tuttora vive; ha scritto alcune poesie e tre libri, uno dei quali in viaggio, nonché l’autobiografia “Noi Ancora Vivi 1987”. Il primo amore

Preghiera

Eppur mi amasti! Eppur ti amai Poi ci allontanò la sorte

Onnipotente Signore del Creato Perché non mi facesti cane? Perché tal privilegio non m’hai [dato? Ché se il cane uccide è sua natura. Per l’uomo no! Se uccide paga!

Sulle tue labbra verginali Dei baci il desio ancor m’assale E mi sovvien l’antico ardore Che ancor mi punge

Non valse di Sodom, a far brace Né il grande alluvione Le colpe a risciacquar Giorno, dopo giorno ancor si [compie Il sacrificio Umano sull’altar

Se dietro all’omero Mi volto a riguardare Della gagliarda Gioventù Cosa mi resta

Dopo una vita senza gioie e grama Nera e furtiva Atropo giù dal [monte Colei che tutti uguali rende, Per aver commesso un sol peccato Crudele farà calar la lama.

Fuor che il rimpianto d’allor Mesto e sconsolato? Quel che si è avuto è dato È questo il premio della vita?

Poi in Caìna ti condurrà e Caronte Pronto a trasbordar ti prende E per l’Eternità sarà, per quel [reato Il tuo destino infame! Onnipotente Signore del Creato Perché non mi facesti cane?

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Amico vino

Donna mia! Or non sei più: riposi!

Fa freddo, piove e soffia [tramontana Il cielo è rotto da bagliori vivi Romba il tuono ed il bagliore [s’allontana Come inghiottito infra gorghi e [clivi.

Lacrime calde vanno nel bicchiere E vino e pianto mando giù d’un [fiato Questa è la vita? E continuo a [bere A che serve soffrir? A che son [nato?

Ma io non tremo se mi stai tu [accanto Dolce compagno d’ogni mia [tristezza Quando ti bevo fai svanir [d’incanto Ogni rancore, ogni mia amarezza.

Presto verrò laggiù sotto un [cipresso A farti compagnia, giovane amica E tu mi aspetterai, lieta [all’ingresso Dell’eterna pace dell’eterna vita! Addio a domina, addio dolce [liquore Mi brucia il petto e già la testa [chino Hai ucciso in me, un poco il mio [dolore Grazie di cuore, grazie, amico [vino!

Frizzante, dolce, profumato, [biondo Dentro il cristallo tu m’inviti a [bere E bevo, bevo, bevo fino in fondo Finché non vedo il fondo del [bicchiere. Torpor soave mi prende e [m’allontana Da questa vita che mi è sempre [ostile Dove Giustizia è una parola vana Dove Fortuna tocca a chi è più [vile. Sogni soavi, che stupenda saga D’immagini m’appar e che colori Te vedo col tuo sorriso, dolce, [vaga 326


GIUSEPPE SCARPANTONIO (Cagliari, 27 agosto 1942). Ufficiale paracadutista, grado Colonnello, è figlio di madre sarda e padre abruzzese. Infatti ha vissuto l’infanzia a Corropoli (TE), piccolo ma fiorente paese dove ha maturato l’indole delle “genti d’Abruzzo”. Dedica il tempo libero alla riflessione, catturando gli attimi più importanti del vivere quotidiano. La notturna quiete del focolare la profana il sibilo del furente vento.

A Marco Giovane albero, già t’ergi nell’aia, forte ed altero.

Come fiero gigante scuote gli spazi bui ed infiniti.

Generosa terra! Ricordi la ghianda non più acerba?

Una culla piange ottonita dai mille infiniti lamenti.

Nel freddo inverno l’hai nutrita d’amore materno.

Indefiniti e misteriosi penetrano dalle povere finestrelle della dimora.

L’emozione della gemma schiudersi alla vita e le foglie a primavera.

Una mano calda rassicura un bimbo non più solo.

Nella calda estate l’infida notte in ciel lo trasse. L’autunno presto verrà, d’allora è un lustro. Marco non tornerà! Quel dì, tra le stelle, con mestizia, soffierà le tue cadenti foglie.

327


Lacrime

Vivere ancora

La morte affonda adunchi artigli a viandanti ignari, nell’oscura notte.

Creatura rara, sei stella splendente nell’infinito cosmo. Sognar vorrei… Un tuo sorriso, libero da ricordi tristi. Sovente accade, che un semplice gesto ridona speranza nuova luce, e buona sorte ti siano amiche. Lieta sarà Persefone, cinta di fiori tornar tra vivi ama la vita, per fremere ancor l’emozione di un bacio.

A sorte ghermisce, a giovani, la vita, l’allegria, l’amore. Assonnate vittime, su strade deserte, infrangono speranze. Tragico sonno…, inganni occhi, al prematuro riposo. Sortilegio malefico, all’attimo fatale, non v’è più tempo. Dall’umano corpo, solo l’anima prende il celeste volo. Il futuro dolore, Cari afflitti! Sopir potrà la Fede?

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PIER GIORGIO SCIVOLETTO Pier Giorgio Scivoletto è nato a Torino nel 1974, dove vive e lavora come grafico editoriale freelance. Scrive soggetti per cartoon e compagnie teatrali locali. Inoltre collabora con scrittori/poeti della sua città e con siti letterari – tra cui: www.puralanadivetro.it – scrivendo articoli e commenti su opere letterarie. Vincitore del Concorso di Poesia 2011 – Alchimia Edizioni. Sue poesie sono presenti su varie antologie sulla rivista internazionale “Poeti e poesia”. In noi

Leggero

Parlando davanti ad un caffè si discute della vita oramai abbiamo capito che il mondo e la vita fanno pena,

L’ispirazione crea poesie le poesie creano emozioni come questo foglio come questa frase come questo pensiero…

intanto una nuvola si sposta ed un raggio di sole illumina la stanza

…che s’innalza leggero nel cielo.

capiamo subito guardandoci negli occhi che qualcosa si è salvato c’è qualcosa di positivo si tratta di noi…

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Giardino soleggiato

In quel momento

Iniziando il cammino su di una via buia solitaria e silenziosa passo dopo passo all’indietro mi racconto la mia vita

E in quel momento all’imbrunire vidi un paesaggio mozzafiato da sotto si vedeva la città con tutte le sue luci colorate che si accendevano e prendevano vita

lampioni gatti randagi e muri che ascoltano i passi rimbombano nella umida notte la luce fioca riflette sulla strada bagnata la tua presenza gradevole non serve ad esternare i miei sentimenti

il cielo era blu un vento di ghiaccio le montagne innevate circondavano la città tutto sembrava che si fosse fermato il tempo, l’aria, il respiro… ed io stavo lì, immobile.

nel buio della notte cerco ricordi nel mio letto trovo il “Giardino Soleggiato” profumi e sapori di un passato.

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LUCA SEDIOLINI Luca Sediolini è nato a Ravenna nel 1971; a partire dal 1997 ha pubblicato diversi volumi poetici con la casa editrice LibroItaliano, nel 2001 ha vinto il primo premio per la poesia alla biennale d’arte contemporanea “Leonardo da Vinci”, nel 2003 una sua poesia è stata scelta come testo da musicare per prova d’esame al conservatorio di Trieste. Gelosia

La mia ora

Strappo sospiri al mio orgoglio per colei che amo. Adorante sanguina l’anima sul ferro incandescente della gelosia. Falce di luna custode della mia fiducia capovolge promesse e bugie scolpendo il dubbio in ogni tuo gesto. Ma l’azzurra speranza di una stella caduta ne sbianca la lama e riaccende il tuo volto. Gli occhi dagli occhi colpiti ritrovano illesa l’eco d’amore ed esplodono sogni e carezze d’un tempo conforto del passo di corpi mortali.

Vedo i rintocchi del tempo che scade. Semplice appare: la vita che cede alla vita. E così è tutto uguale! L’amore guadagna l’istante mentre sperduta la morte in fiocchi d’eterno rimane. Impotenti lacrime oziose calpestan le gote coltivate a rimpianto. Spiraleggia una luce sul “da farsi” mentre brilla l’opaco niente di una mente incostante. Rintocchi sbiaditi, ora, ascolto elemosina del tempo perduto mentre l’ultima ombra si espande. Al buio non riconosco la mia ora!

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Letto di spine

Un’altra faccia, un altro sogno

Un letto di spine avrebbe forse coniato miglior fortuna per la mia schiena impettita dagli anni imbizzarrita e imbarazzata dagli eventi. Parafrasi spinale di un sangue incolto sussurrante dogmi… l’apocalittico dottore d’ogni spicciolo divino stilla invece sterco ad ogni mio tortuoso passo. Con quali artigli astuta Aracne hai tessuto dentro me la tua prole sibilante che diramandosi si schiera come capelli di Medusa e gorgogliando sui miei nervi pietrifica i miei sensi? Reprimendo a stento l’ira cammino sul difetto: non c’è croce che mi tenga, io mi piego non mi spezzo!

Sbarro finestre a sorrisi tristi in facce indistinte e a balaustre di smalto in moine indifese. Sgambetto senza la sete del “dover essere” sotto uno squarcio di sole incarcerato da nubi sanguigne. Piovono mille dubbi come piastrelle impagliate al latrare di un cane. Condotto via dal vento col volto da rose e cipressi coperto brucerò come per incanto e non avrò più tempo per stringermi nel cerchio e non avrò più voglia per girare verso il mondo. Basterà un sospiro fisso sul tramonto o un’alba dolce nel cuore di un inganno. Foglie di stelle cadranno al nuovo giorno: un suono sordo d’estate dentro una corteccia, trascinato dal mio sguardo senza più alcun bisogno di mostrare un’altra faccia. La Morte vola in girotondo senza darsi pace. Non ha più sandali per camminare sopra la mia luce. 332


PIERO SIMONI È nato a Livorno nel 1948. Poesia: 1976: “I sassi che raccolgo” (3° premio al “Città di Bolzano”); 2008: “Anomia 2005”, “Anomia 1995-1998” (1° premio “L’incontro” XIII ed. – Genova); 2009: “Anomia 1999-2000”; 2010: “Poesie 2007”, “Poesie – Autunno 2008”, “I tigli nascosti” (1° premio “La mole” di Torino). Racconti: 2011: “Il cappello”. Promotore della Poesia postale in Italia all’inizio degli anni Ottanta. Magia

Il cammino

la giostra dei piccoli i volti che intorno si perdono nei colori striati la musica ridondante magia dei loro occhi la giostra dei grandi nel centro urbano roteante nelle auto inscatolati per i centri commerciali ad ogni sportello di commissione ai colori striati gente che intorno si perde

nel viale di una villa in disuso adibito a pubblico giardino poco frequentato dai visitatori al centro della città affaccendata i platani superstiti hanno disegnato nell’aereo la [trama facendo scorgere nell’inverno i colori e gli umori del cielo nelle notti più miti del firmamento le stelle negli anni di una vita in disuso adibita a pubblica visione poco frequentata dai lettori fra pensieri silenti i momenti superstiti hanno disegnato il cammino facendo scorgere nel tempo i colori e gli umori del cielo nelle notti più buie del firmamento i tuoi occhi

camminando al parco fra gli alberi di tutti in linea e roteando nei verdi striati la luce di ogni ora filtrando l’umore della pioggia ai colori delle stagioni gente che intorno si perde regno della natura nel silenzio placa al cielo innalza magia di occhi secolari

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Guardavo

Volteggiando

guardavo ragazzo certe strade della città angoli di caseggiati del tempo in tinta architettonica rimanendone piacevolmente [colpito parendomi lungo il tempo a venire l’accoglienza del mondo in favore ho guardato poi adulto le cose dell’industria sembrandomi logiche strutture essenza di funzionalità ma anche fredde e mortificanti l’intimo percorso dell’anima ho scorto gli alberi e il segno collinare rimanendo della natura incantato avvolto nel suo abbraccio stretto dall’amore in dono infine in età matura ho alzato lo sguardo al cielo e più in alto all’universo di stelle vaganti con noi di ogni epoca galleggianti in armonia fino all’infinito

le nuvole si muovono in cielo sospinte dal vento nella sera plumbea di un febbraio con la luna piena giocando nell’oscurità pitturando in alto maestosa visione poi di essa nascosta percezione richiamo di ascensione chi dai vetri chiusi condominiali in canuta presenza sta mirando alla fine di un giorno all’inizio di un sogno la natura aerea in mirabile veste luce sulla terra volteggiando in basso sull’asfalto lumi rossi e bianchi a coppia vanno in circuito rincorrendosi pochi passanti nell’ora ormai [tarda fra condomini dell’agglomerato ciascuno in percorrenza per affermar la propria presenza nessuno par abbia tempo per la maestosa visione le nuvole in cielo con la luna piena giocando intorno al globo all’umanità intera volteggiando

lo stesso universo nei tuoi occhi di ragazza innamorata già al tempo della scuola nella madre per la guida sicura da un mondo in assenza la mano tesa nella figlia e il piccolo nipote d’innocenza accomunati

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GIORGIO SOLIERI Romano. Alla produzione poetica associa finanza, teatro, musica e cinema. Collaboratore stabile del Teatro Dafne 1 di Ostia, pubblica sulle Pagine del Poeta fin dai loro albori. Sentimenti

Ticchettio

In famiglia si nasce, si cresce e si ama la vita.

Il ticchettio delle valvole di un vecchio motore, non troppo potente, va a tempo con il brusio di un’acquerella insistente e con il rumore del vento di un ritorno di fretta, a casa dopo il lavoro, correndo in motocicletta. Devo arrivare veloce, ad ogni costo, schivando questa pioggia noiosa, inaspettata, di Agosto per non sentire la voce di un vecchio orologio: un ticchettio che porta con sé un autunno precoce.

Con una donna si ama l’amore e si muore. Per un amico si vive e nient’altro.

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Luce pallida, chiara eppure poco si vede d’attorno. Colori sfumati, pastello slavato, annacquato. Figure indistinte tra luce ed ombra, fantasmi. Come se fosse intravisto attraverso un fondo di vetro, così si disegna il mondo nelle ore di mezzo. Crepuscolo? Aurora? Non è nemmeno importante saperlo e nemmeno sapere se si veglia, si sogna o si muore. È meglio restare così; fermi, gli occhi socchiusi. Immobili ad ascoltare il vento, il mare, il silenzio. Un fischio lontano, modulazioni indistinte dall’orizzonte. Un coro sommesso, un canto, un pianto, un lamento. Nel silenzio del mare il mare racconta i ricordi.

Senza titolo Puntatacco Puntatacco. Scendo le scale ed esco di casa. Taccopunta Taccopunta. Vado in giro per la strada… Il ritmo è costante – di tacco o di punta – e sempre e comunque un poco irritante.

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TATIANA SPERONI È nata a Erba in provincia di Como il 31/10/91. Scrive dalla quinta elementare, cominciando con semplici filastrocche, per poi cambiare stile in terza media e arrivare allo stile di adesso alle superiori. Ha partecipato a vari concorsi d’istituto tutti vinti rientrando nelle prime 3 classificate. Le sue poesie sono scritte interamente di getto e sono ispirate da momenti di vita che le hanno provocato forti emozioni. Ti voglio

E da allora la

bene vorrei poterti parlare dirti tutto quello che ho dentro ma

sua muraglia crollò i suoi occhi perserò quella forza quella scintilla e lei si piegò all’amore sentimento che nn acetta che non trollera

qualcosa ci distanzia aspetto da te la prima mossa un segnale chiaro

sentimento che l’atterra lei selvaggia come un cavallo fuocosa come lo

capibile solo da me e non da nessun altro parlami nella nostra lingua nei nostri codici e dimmi ti prego dimmi cosa pensi di me

è il fuoco velenosa come una vipera… [assetata di potere… misteria, colei che non ecetta di amare ma che lo sta facendo

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Uno splendido

Il mio

Natale coccolato dalle onde del mare al mio più doce marinario che in

mare è nuovamente agitato un’altra tempesta sta per affrontare onde

barca festeggia il natale la brezza del vento continua ad ascoltare è

alte arrivani sulla spiaggia deserta e silenziosa mare prediletto padre

la mia voce cantare un pensiero portare un candido dono di natale

cosè che agita la tua possente [figura la tua dolce quiete

l’onda che smuove la barca dei sogni

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CARMINE SPITILLI (Silvi – TE), vive a Pescara dove esercita la professione di giornalista de «Il Messaggero». Ha collaborato con diverse testate e condotto rubriche radio e tv. Per tali attività, il Comune gli conferisce il riconoscimento di “Maestro della stampa pescarese”, ed il C.O.N.I. il “Pennino d’oro”. Tra le pubblicazioni: Momenti poesie (Roma 1960); Dieci racconti quasi veri (Pescara 1972). A Rosalba

Mani

La vita è mareggiata continua. Mi getto nella mischia tra gli urlanti morosi, tanto vincere o perdere è sempre annullarsi. Piangerò di gioia guardando l’alba illuminare la mia nuova vita.

Agili, come ali sorvolano i tasti del pianoforte e ricamano un dolce racconto d’amore. Petali di rose, lievi carezzano la chioma d’un bimbo. Mani protese come ombre fuggenti nell’ultimo saluto.

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A Silvana

Natura

Le dolci brezze sussurran lievi tra cespugli di rose selvatiche e brillanti ranuncoli. Son sorpreso di questa rinascita che come vampata mi circonda. Mi piacerebbe smarrirmi con te Silvana lungo i sentieri lucenti di Bocca di Valle in fiore.

Poesia immensa sempre nuova d’ombre e luce nel mistero dei segni senza risposta. La sua essenza è assoluta, l’infinito che conduce a Dio.

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ANTONINO STAMPA Antonino Stampa è nato a Trapani nel 1946 e si è laureato in Filosofia presso l’Università di Palermo, ha insegnato Lettere per diversi anni in Veneto, Emilia Romagna ed infine a Trapani, dove risiede. Nella sua ormai lunga attività letteraria ha ottenuto numerosi riconoscimenti in diversi concorsi, sue poesie sono presenti in varie riviste e antologie di molte case editrici e ha ricevuto critiche favorevoli in varie riviste specializzate. Nel chiostro restaurato del [Carmine a Marsala

Corpus Domini

È la pietra densa e greve giallo tufo materia forma in cubi sovrapposti spazio racchiuso pensiero in archi fuggenti.

Corpus Domini al tramonto sfilano le donne giovani che in lunghi abiti chiudono la vita ch’è in loro madri deluse che con occhi impauriti guardano le ombre della dolce sera estiva cantano al sole che cede ora che la città si raccoglie per la notte che viene. Cantano i preti nelle tonache eterne notti passate ad ascoltare silenzi e suonano nel buio le navi i lunghi fischi delle sirene.

Diafana la bianca luce penetra calce lucente nei muri tenero verde nel prato. La palma in alto tra il verde scuro dischiude trasparenze d’azzurro.

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Balcone fiorito con pomelia

Nascosto fra le nebbie

Al sole, sulla via, non tanto in alto da non ascoltar voci, non lungo, ma profondo con siepi di gerani verde scuro e un’esile alta pomelia, lunghe foglie, calice bianco fiore; nella notte stellata, nella tiepida, tersa aria invernale, nel silenzio di un raggio di sole, sole che calcina lacrime, asciuga lerciumi e panni impudichi; nella via con venditori agli usci, botteghe, polipai, gente affannata, desideri, miseria e nell’aria inascoltato il grido; giorno, notte e ancora giorno, fluire che non misura.

A me sacra di antiche memorie, ti scrivo ora che tante ore e [diverse a te ignote campane han battuto. Al telefono dici la dolce aria dell’isola lontana. Come narrarti il vuoto delle notti, il duro ergersi per via? In me, alto di solitudine, morta è ogni paura; morta morta è la casa che schiudeva ricerca d’infinito in crescere di ricordi, morta è la morte, che chiudeva in ansia di morire, in ebbrezza del mio perduto mondo e lo star male e il sollevarsi e andare e lo scavare in me dolore agli [altri. Non dir dello scirocco, che avvolge e scuote e par che dentro mi frughi, a me nascosto fra le nebbie. 342


ALESSANDRO STURIALE Alessandro Sturiale, nato a Messina nel 1986, Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, attualmente vive a Firenze; scoperta la poesia quasi per gioco all’età di dodici anni, ha continuato a scrivere, cercando di trovare sempre nuove soluzioni letterarie e immortalando la realtà circostante in istantanee linguistiche. L’uomo

Guarda

L’imperfetta creatura del cielo, l’animale più selvaggio corre per le vie della follia riposa nel mare della speranza si addormenta silenzioso… e senza chiuder gli occhi abbandona dolcemente il suo [posto.

Morbida fluisce l’aria sulla pelle Rapida lascia novità Ruvida corazza come sale si [scioglie Sotto l’antica pioggia Che dall’alto cade senza colpa Violenta si posa E bianca scompare. Subito si avvicina La rincorro lentamente E la osservo con stupore… Luna sfumata, mostra la sua parte [di verità.

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Dall’alto osservata

La neve

Colpita! Intaccata sull’arida superficie la corazza di sapone come bolle [esplode. La grigia schiuma raggiunge l’inconsistente [deformabilità su un fondo [ondulatamente bluastro. Torbida umidità lambisce i grani [brillanti, portati sull’umana pece da fugaci [congiunzioni erranti che legano con fili di carta l’inizio e la fine delle parole per formare una frase, un intero [pensiero che tenda alla rotonda felicità. La sillaba dell’unione urta col [libro della vita letto, riletto e solo in parte [compreso, studiato ben oltre la comune [stampa ma che ancora il titolo alla [presunta verità.

Fredda e soffice cade sul nostro [suolo, su questa amara terra macchiata [d’infamia dall’uomo comune che tanto incrementa le nostre [speranze per poi ricadere [tremendamente. Le inquietudini, le paure, [profonde come faglie, Gli scontri, gli incontri, alti come [vette di montagna, tutto appiana. Al sorgere del sole caldamente si [scioglie ma ora… tutto è cambiato. Quello che prima c’era, sparisce sotto le stelle di una notte [magica, fantastica E… con un sottofondo di violino che [fa vibrare nell’aria note nuove e [altisonanti ricominciamo, evitando di [inciampare.

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ANTONINA TABONE VICINI Antonina Tabone Vicini è nata a Firenze nel 1944, biologa, risiede a Fano. Collabora con la casa editrice Pagine dal 2002 e sue rime sono state pubblicate in diverse antologie, tutte edite da Pagine; nel 1999 ha ottenuto il secondo premio al concorso a tema indetto dalla Unilit delle Marche, con “Tempo dei bilanci”. Cercando

Granelli di sabbia

Ho cercato risposte e ho trovato domande. Ho cercato amore e, insieme, ecco il dolore. Ho cercato vita e m’è sfuggita tra le dita. Ho cercato luce me è troppo forte e si fa scudo d’ombre. Non cerco più, e adesso? Adesso… Aspetto che mi cerchi tu. Non trovar risposte è una zavorra: mi piego come giunco fino a terra, pensieri e sentimenti, in me, [scatenano la guerra. La formichina sul giunco, con [fatica, arranca, ed io, per lei, pian piano ecco, [ritorno su. E intanto con un pensiero un poco [mi consolo finché mi pensi un poco ancora [sono e il giorno delle risposte, così, mi [dà men dolo.

Tra le dita i nostri momenti. Folgorazioni lancinanti gli amori che lasciano ceneri e ustioni. Magici fruscii dell’animo i sogni, immagini che incantano. Bagliori a sprazzi fendenti il buio e fitte improvvise laceranti i nostri ricordi più struggenti; flebili echi di canti lontani a far da sottofondo ai giorni [presenti. E poi? Ricordi… ricordi e siamo [già spenti. Se il presente è dovere che pesa e il futuro è un’incognita odiosa, rimpianto dolente è il passato per quanto non detto, non dato, [buttato, per ciò che non è stato. E come tingerò di rosa il giorno [più duro? Che per fortuna (l’unica) è oscuro. I granelli di sabbia scivolano tra le dita… dunque è questa la vita? Non so, certo è la mia rabbia!

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con la piazza che pare sfidar l’onda del mare, e fra i tamerici a palme a sussurrar d’Africa alle alme. Poi è qua, che son venuta, nella “città della Fortuna” e il sole non si è posato più nel mare infuocato ma dietro una collina bruna. …E in fondo è qui che sono nata, se non alla vita, al dolore, …Ma anche all’amore.

Radici Vado cercando le mie radici ma non trovo che brandelli sotto le dolci pendici della città del “Vial de’ Colli”, con le vetuste ville dai muri gialli, che profumate di fiori e di farfalle, occhieggiano belle, dagli angusti cancelli; con le sue stradine che si inerpicano svelte su su per le colline volte dopo volte, recintate dai muretti bigi di vecchie pietre, un po’ [sconnessi. Da qui olivi d’argento par che si sporgano e cipressi soli o in file, eleganti e svelti, si stagliano lontano sul margine dei colli. È qui che son nata, sotto la collina più famosa al profumo dei tigli della vicina “Villa ombrosa”, che d’estate entrava in salotto misto a quel del gelsomino e cedrina, e “ramerino” col frinir delle cicale i cinguettii degli uccellini e, a sera, il “cri cri” dei grilli del nostro piccolo grande [giardino. Ho risciacquato i panni tra le alghe e gli scogli del mare di quel paesino 346


PINA TAGLIALATELA RICCIO Pina Taglialatela Riccio nasce a Napoli nel 1962. Pubblicazioni: “Racconti di luci e colori”, “Gli occhi videro, scrissero”, “Tutti i se racchiusi nelle mani aperte”. Ha partecipato, tra gli altri, ai seguenti concorsi letterari: Premio Letterario Città di Castello, Premio Letterario Internazionale Maestrale San Marco. È presente ne “L’Agenda del poeta” dal 2008 a oggi. Mani mescolano, colgono foglie svolazzanti intrecciano avvolgono come vita nata vortici danzanti mani annunciano morte avvenuta mani frettolose tessono storie finché non si rompano or granelli come ventose orme da ricominciare mescolano respiri colgono colori intrecciano amori annunciano vita e sospiri Mani protese divenuti agli occhi ragni tessitori nelle attese

Silenzio ti ho cercato nelle [voragini quotidiane sei arrivato nelle disperazioni [notturne avevi il colore lunare, mi facevi [male laceravi il mio cuore, come gramigna mai estirpata.

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La notte si è spenta è l’alba incolore del nuovo giorno non so raccontare il sogno rimasto nel buio sul corpo mi rimane attaccato il bagnato del mio tremito la notte si è spenta nella paura dolorosa del tempo [giunto inerme aspetto il lieve calore del sole sorto e non viene ancora il soffio del vento respiro oh!

Estatica è la nostra dimora estatico è l’abbandonarsi nel letto [un dì vuoto sagome ora contiene di noi le apparenti forme si delineano sulle lievi candide lenzuola pezzettini lasciati a te amor perduto le mie orecchie ti appartennero udirai ancora? i miei occhi tenevi stretti vedevi il nascosto dall’enorme passione mangerai ancora quelle briciole mai raccolte estatico è un infinito ricordo

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MARIO GIORGIO TALÌO Mario Giorgio Talìo è nato a San Cataldo (CL) e vive a Caltanissetta, è pedagogista, educatore ed insegnante, nel tempo libero si dedica alla direzione di una corale polifonica amatoriale ed all’associazionismo sportivo. Ha partecipato a numerosi premi letterari, ottenendo ottimi piazzamenti ed apprezzamenti dalle giurie. Sete II

Dopo pranzo…

Sarà corsa nel deserto, vivere nell’anima l’arsura. Se miraggi in lontani orizzonti saranno chimere al nulla, tu, realtà discesa, testimone d’amore, attendi all’oasi… e sarà festa sino al mattino: perdermi nei tuoi occhi, cullarti in un abbraccio, amare la bontà, vivrò ancora sospeso in un sospiro… annientarmi nell’immensità…

In casa, spiritelli benigni danzano su note celtiche, mentre lunghe processioni di [formiche onorano le briciole attorno al [desco. Mi ricordo mio padre, sempre ultimo a sedere, svolazzare brillo di mosto fresco, e mosche ubriache cercare vie di [fuga contro le persiane accostate. Il gatto, sonnacchioso, riprende il suo lento ronfare e, nel silenzio, un rullio sordo di [tuono e vento maestrale spegne moccoli già consumati e, lento, ritorna il silenzio.

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Nella Tua Luce

Il cammino semplice

E cercare in abbracci attimi del tempo, ricordi sbiaditi da ravvivare: negli amici, il Suo volto bambino, nel fratello, il mio prossimo, nel mondo, respiro di santità. Tenero, il cuore aspetta e l’animo, in preghiera, esulta nella speranza. Rinnova il miracolo nella grotta sotto fiocchi di candore e le [stelle risplendono amore [sull’Oceano fino alle lontane terre [d’Oriente. Dove porterà la cometa non lo so, fiducia nella Luce riporrò ancora, e destarsi, nel Natale, testimoni di pace nel silenzio di una Notte.

Ho speso attimi d’eternità, germogli d’amore, aliti tiepidi e brezze marine e su questa pelle respiro ancora aromi di scirocco, antiche spezie d’Oriente. Quante volte questi piedi tracciarono sentieri di pace o chiesero licenza per valicare dirupi d’orgoglio. Oggi, di quel cammino semplice mi restano ortiche e roveti a pungere ricordi lontani, a spengere silenti segreti. Se guardo avanti, tra gli abeti, profumo di perdono scorre chiaro all’ombra sottile dei ciclamini; e m’abbevero, stanco di cercare, nel cammino, il mio approdo.

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LIDIA TASSI Lidia Tassi è nata a Ferrara e vive a Roma. Fin dalla giovane età si è dedicata alla creazione di poesie, dettate dal desiderio di esprimere sentimenti, dubbi, pensieri; da sempre ha partecipato a numerose iniziative della casa editrice Pagine, è presente infatti nelle varie antologie o agende del poeta. È anche una pittrice autodidatta con discreto successo. Delirio Pensieri Corvi neri, becchi aguzzi pungono, pungono carne rossa schizzi di sangue lacrime che sgorgano a fiotti ali grandi, cupole nere e buie come una campana, muta.

Quando è sera, all’imbrunire le ombre giungono vivaci e nette ed io scorgo il tuo respiro.

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Specchio

Fantasia

Specchio, scivola la mia [immagine sfocata già, scivola dai tuoi [pensieri si chiudono come porte alle spalle sento il frastuono della mia ferita perde sangue rivoli che scivolano [freddi quasi appartenessero a un’altra così la percezione di me ritorna [inutile e vuota.

Una luna piena scende. Illumina la città di luce propria la sera calda e serena ti dice di [pensare a noi. Richiamo del passato, altre luci, [altre lune sulla città ma l’animo è ritorto, illuso di [vanità, quando la voce si altera e le parole [fluttuano le vocali sospese ballano su e giù e, i, o, u, le consonanti m, n, p, q perché fluttuano come bolle di [sapone?

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OLIMPIA TEDESCHI Olimpia Tedeschi è nata a Nocera Inferiore (SA) il 28/04/1964, da padre avellinese, madre napoletana, nonna altoatesina. Vive a Torre del Greco (NA) da diversi anni. Coniugata e madre di due figlie maggiorenni, è docente di Lettere nel Liceo “Carlo Urbani” di San Giorgio a Cremano. Scrive da sempre ed ha al suo attivo diverse pubblicazioni. Tra le più recenti: “Euplio: ieri e oggi”, 2005; “V… come vita S… come sogni”, 2009. [rigenerante, creatura nuova che plaude alla vita.

Respiro poesia… Respiro poesia… Apro la bocca e ne riempio i [polmoni, vento soave, brezza che mi accarezza il cuore. Linfa che scende nel mio sangue e rinverdisce le ossa… Battito di ciglia dei miei occhi che s’aprono al sole mentre la luce mi penetra quasi fossi uno specchio o uno spicchio di cielo. Respiro poesia… e lei mi dà vita. È la speranza che accende il mio mondo di luce. Sono un’esplosione di colori, di tristezza, di amore e beatitudine. Poi poesia mi respira… e io con lei e in lei divento vento che soffia nel deserto, vela che naviga sul mare, goccia d’acqua che disseta la [terra, parto di un lungo sogno

Ad Alda Merini Ti sei spenta, ma la tua morta poesia risorga dalle ceneri che profumano d’ambrosia e follia. La follia dei poeti che spesero la [vita per cantare del proprio e [dell’altrui, e seppero caricarsi dei dolori del [mondo come Cassandre destinate [all’infelicità, quella degli spiriti liberi e [tormentati. I poeti innamorati del mondo tragicamente scoperto e [combattuto, con gli occhi fissi al cielo, per cercare di sondare l’infinito. Così fosti tu,

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mai stanca d’amare e di vivere. È così bella, nonostante le sue [rughe, che sembra una regina. Profuma di cultura e di sapienza e ha conosciuto la fatica: ha le mani grandi e consumate. Non chiede nulla mai e dà senza riserve, come un fiume che va verso il [mare e poi diventa mare… La sua dote più bella è la speranza, con cui ogni giorno accende il mondo di luce.

ed il tuo canto imperituro si eleva dal limes dell’eternità per ripetere ai posteri cosa significa vivere e amare come hai fatto tu, chiusa nella tua Gerico a contemplare le piaghe di un[ [Crocifisso che sempre più diventavano le tue [piaghe, nella desolazione di una solitudine che si coloriva di speranza e ti faceva gridare: – Solo i poveri hanno il dono della fede! –.

A mia madre Una mamma come la mia la [vorrebbero tutti, perché sa ascoltare e sa parlare sempre al momento giusto. Sa annuire, sorriderti e [rimproverarti servendosi di uno sguardo che va dritto al cuore. Sa leggere oltre le cose che dici, per farti sentire figlio a [quarant’anni ma ti chiede il coraggio d’essere sempre “uomo”, costi quel che costi. Una mamma come la mia la [vorrebbero tutti, provano una “santa invidia”, perché è una donna giudiziosa, creativa, lungimirante,

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GUSTAVO TEMPESTA Gustavo Tempesta nasce a Pescopennataro (IS) nel 1953. Per l’autore “Scrivere un’autobiografia ingenera due problematiche: o andare in solluchero facendo il panegirico di se stessi; oppure cadere nella compassione della pietà più becera”, pertanto rispettando il suo volere non forniremo indicazioni biografiche. non esenti da crepate ferite ci mostrano grani rubicondi in lucide follie alveolate di cibo per i morti.

Melograno Disconosco il canto del gallo – oramai non è più credibile – Il polletto pacchiano e ruspante emette acutissime note. Con il massimo impegno È volato oltre oceano affrontando le onde del pacifico, spernacchiando il mediterraneo oltre le colonne d’Ercole, lasciando la pena alle antenne delle cicale. Qui resta solo il becero fanfaronare della chiacchiera. Oblio in luogo di ricordanza, ristagno e riso della jena lacustre. Andrea è scappato in preda ad un bisogno propulsivo di giovinezza. Ha dato la testa a venti anni di libri braccando in segreto l’Iu-Esse-Ei. No che non tornerà No che non tornerà. Sangue-fiore rosso rosso fatto coagulare e poi appassire; crescono ancora i melograni nei giardini desolati,

Tesoro nascosto Le belle dita spicciolano il borsellino alla ricerca di un verdolino “cent”. Quello defilatosi nell’angusta fodera dei tuoi sécreti segreti, lasciato ad ossidarsi e capitalizzare il suo valore. Lo hai trovato il guaritore della tua pena, e così di corsa arrancando l’autobus azzardi uno sbuffo di soffio al tuo tirabaci nero che continua a ricciolare fra traffico e sirene.

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[sfregio. L’oscenità è altrove. Saluto Bruno con la voce roca del disperato. Lo vedo mentre protende il naso verso una nuvola evaporata di benzina. Non trovano un nesso con la città questi sfilacci di strade, enigmistica iper-urbana costellata di refusi, di palazzi obesi privati d’ombra a mezzogiorno. Il vecchio sul balcone è già in mutande mentre boccheggia d’afa il dopopranzo. Accarezzando il rosmarino socchiude gli occhi scansando con la mano il picco raggiale di un sole assassino. Due uomini bellapresenza attraccati a borse di cuoio, orgogliosi di cravatte toniche indispongono i citofoni nel distribuire in cassette postali pillole di “Padreterno”. L’ultimo “nasone” rimasto sul piedistallo di travertino [saccheggiato bestemmia il cappellaccio [spugnoso. È rimasto solo Giovanni limitrofo delle casupole dei Rom, a contendersi l’acqua del fontanile abbeverando fiori di zucca. Pervaso da un antico risentimento ride soddisfatto spillando globuli [di ACEA.

Tetrapak Qui si è come il tetrapak – una sarabanda di facciate [anguste – Ammorbati, da una superficie contempliamo il vertice e fissiamo l’assioma dell’assoluto. Manca un ninnolo dorato a farci accettare il cielo. Invertiamo la base per vedere le [solite cose. Abbiamo quattro possibilità riposizionandole all’infinito. Avremmo voluto rotolare, ma le sfere gravitano solo in improbabili dimensioni metafisiche. La prima l’abbiamo percorsa, e per stanchezza non l’abbiamo [raggiunta. La seconda l’abbiamo intersecata e siamo finiti sulla croce. La terza l’abbiamo colmata con il volume di una pena. “La quarta è l’anima della botte stormisce tra le foglie lasche nascoste in aride e tremolanti [frasche”. Periferie Da quell’undicesimo piano offeso da un pungente [disinfettante, si prendono a schiaffi i cirri. Laidi predoni acquosi e neri saccheggiano i ballatoi. Ascensore rotto, pulsantiera [bruciata naif improbabili, sesso come 356


LILIA GRAZIA TIBERI Lilia Grazia Tiberi è un’insegnante di letteratura italiana e storia; studiosa di storia locale, ha scritto numerosi saggi che spaziano dal periodo etrusco ai nostri giorni. Ha pubblicato libri e testi teatrali, le sue poesie sono presenti in antologie a carattere nazionale. Un suo studio su Cardarelli è stato pubblicato nelle opere del poeta tradotte in persiano. Abbandonarsi

Ascolto il silenzio

Abbandonarsi per riscoprire sensazioni sognate e mai provate... ricordi d’una vita ormai passata, ad aspettar qualcosa che mai non giunse e che non verrà mai.

Col pensiero al passato Ascolto il silenzio Immutabile il tempo Fluisce ed avanza Mentre lieve arpeggia Tra anfratti e rovine Il soffio del vento... Sospeso tra ieri e domani Il presente scompare.

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Tentazione

L’ultima carezza

Tentazione di toccare con mano la roccia che scende nel mare.

Quella voce esile e profonda che ora muta vive nei ricordi. Quello sguardo ricco in sentimenti che leggeva nel cuore i miei pensieri.

Tentazione di tuffarsi nell’acqua là dove il verde prevale.

Quella carezza lieve come piuma ultimo tuo saluto, mamma mia.

Tentazione di scoprire il mistero dell’onde che seguono l’onde.

Un saluto tenero struggente che resterà sul viso eternamente. Nella casa, ora vuota, mamma mia, trovo solo i ricordi ch’hai lasciato.

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SIMONA TORNEO Simona Torneo è nata l’11/04/1978 a Siracusa. Un’infanzia difficile a causa dell’assenza dei genitori l’ha portata a cercare Dio attraverso la conoscenza di varie religioni. La sua ribellione verso il mondo l’ha condotta alla completa solitudine: «Meglio essere se stessi e soli che stare in compagnia e fingere», e aggiunge: «Attorno a me tutto il mio mondo, e con esso la poesia e il teatro, che ha creato dentro di me melodie di vita nuova». La solitudine

Ai genitori

La solitudine il mio fantasma, copre con il suo dolce manto la mia anima depressa,facendomi dimenticare l’orizzonte; Vano e il tentativo di reprimerla lungo il mio cammino [d’incertezze.

Grazie di avermi donato la vita, di aver messo le ali della libertà permettendomi di andare per la [mia strada tendendomi la mano. Grazie per aver perdonato gli [sbagli del mio cammino; Grazie a voi crescendo ho [imparato che la linea del tempo lascia [impronte indelibili, così ho cercato di essere [forte e determinata. Mamma da te ho appreso il [coraggio e la forza di andare avanti; Papà in te vedevo il mio faro la [mia guida. Adesso che sono divenuta grande [vi dico grazie tendendo a voi la mano per [accompagnarvi lungo il cammino terminale della vostra vita.

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La vita è La vita è amore, dolore, gioia, tristezza La vita è un’essenza d’aria che dice respirami, la vita è starsene sotto gli alberi dei cipressi è pitturare un tramonto con i colori di un sorriso di bimbo. La vita è donare un bacio a tuo figlio sperduto nelle dune del deserto; La vita è una magia tra le mani, dobbiamo saperla tenere altrimenti come granelli di sabbia fuggirà via da noi lasciando un vuoto dentro.

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EUGENIA TORRESAN (Preganziol – TV, 25 dicembre 1934), vive a Treviso. In numerosi concorsi di poesia, in lingua e in vernacolo trevigiano, ottiene diplomi di merito, targhe, menzioni d’onore e segnalazioni dai media. È molto attiva nel volontariato. Le sue pubblicazioni si trovano in diverse biblioteche. È presente, tra gli altri, su: “Le Pagine del Poeta” (2003-2011); “La Valle delle Muse” (2006), “Sezione Aurea” (2009). Ode alla colomba

Il sogno

Il Creatore ti creò portatrice di pace tra pennuti nell'Eden eri la più mite, la più vicina della capanna umana. Prediletta, dal Cielo nella bellezza del giardino la sua luce e pace alitare volesse, perenne sopra le sue creature. Summa, la divina sapienza!

Il fiume una casa bianca sulla riva la musica… la voce dolce di bassa estensione cantava, canzoni di Baglioni. Guadavo il fiume coperto d’alghe verdi fino all’altra riva dardeggiava il sole avanzavo a piedi liberi. Non udivo più musica, ero felice d’essere al sicuro dopo la faticosa traversata. Sedevo, sentendomi spossata a guardare il fiume a guardare te beata, casa bianca sull’altra sponda. Il sole caldo m’asciugava, una felice visione e felice, mi svegliai.

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Volevo solamente amore

Sonetto

Il giorno si spegneva sopra una giornata noiosa; era la tua presenza che mancava e lo sbattere d’una porta o ad una telefonata indiscreta l’animo mio sobbalzava. Ti vedevo in ogni dove, il tuo adorato volto, sorridere e la tua bella mano, accarezzare da far rabbrividire la pelle, e dolcissime parole, sussurrare da portarmi tra le stelle. Come potevo dormire o sognare, sola, tra il pulsar delle vene e frenetici battiti del cuore? Quello cui tanto anelavo E la mia mente desiderava, era solamente il tuo Amore.

A te, luna alla finestra sguardi di luce curiosi nei fogli scritti soffermi carpendo i sospir dell'anima. Non t'allontani curiosa dama senza coglier il fior fiore dei versi miei colmi d'amore all'amore, a nobile natura. Al tuo volto sorride parola melodiosa chĂŠ d'eterne note sposa, sempre vuol essere allo sposo foglio donata. Argentea, con te, verba poetica va, dama notturna eclissando, [sogna.

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PIETRO TRECCANI Nasce a Brescia nel 1958 e risiede a Calvisano (BS). Da tempo opera ricerca nella microstoria della vita della gente della sua terra. Di tutto ciò scrive, realizzando saggi, articoli, volumi, poesia, talvolta anche teatro e musica, ricevendo sempre significativi riconoscimenti. Ad oggi ha pubblicato varie raccolte di composizioni, sia in lingua che in vernacolo, e varie ricerche, che appaiono peraltro in varie antologie e siti internet. in un mare di bambini, filo di refe per ospitalità e sorrisi. Il gesto si fa comunicazione. Un granchio nero cuoce sulla [brace; ne condividi il gusto! Case di fango e paglia senza ambizioni, invidie, corse ad [avere di più. La frutta è a tua disposizione; vivi di complicità, complementare [agli altri. La semplice calma diviene una meta per te, che sei tutto stress. Il bosco oceanico intorno ti guarda offrendo i suoi fiori, orlo di colori e profumi di un mondo cha sa farsi dispensa. Domani? La città vivrà di ritmi diversi, canto non sempre intonato.

“Confidenziale”, preghiera blues natalizia

…Ehi tu, chiamato Emmanuel, per me disceso giù dal ciel, ma perché con un colpo teatrale [dei tuoi non fai il mondo più rotondo? Ehi, ehi tu: ti prego da quaggiù, lo so, puoi tutto ciò che vuoi,…tu [lo puoi! Ma perché con un colpo teatrale [dei tuoi non doni all’uomo un po’ di pace [e di umiltà? Vivendo il nostro stanco blues, cerchiamo il cuore e l’animo [riempire d’amor ma tu, che tutto puoi lassù, vieni [giù e dona a questo nostro mondo [l’unità. Ehi, ehi tu, chiamato Emmanuel, se puoi, ridiscendi giù dal ciel! Già lo sai; ti chiedo solo un colpo [di teatro dei tuoi: se vuoi, fa il mondo più rotondo! Se lo puoi, fa il mondo più [rotondo!

Osservando Guernica Grida il cavallo, un grido verso il cielo; oggetti frantumati e pertugi di luce. Un cielo senza nuvole

Indios dè Nedal Semi e perline infilati 363


mi rassomiglia 2) Oggi i colori disegnano di suoni il maestrale 3) Corre nel vento il cielo con il sale di questo mare 4) Rotola l’onda e il sasso leviga col suo va e vieni 5) Sogna la rena, come bandiera il vento, questo ombrellone 6) L’albero in fiore a questo mare mosso fa da cornice 7) Il caldo e il fiore gareggian con la spina di bouganville 8) Arretra il mare, ricordi di tsunami empiono gli occhi 9) È un minuto di silenzio e attesa che mi colora 10) L’onda piovosa riesce a disegnare la nuda rena A) Il mare si è stancato di onde forti e libeccio. Ora musica tranquillo l’arenile. (Gente ne gode, piano). B) Piove da nuvole basse e grigie. Anche il mare aveva sete.

esplora la bontà. Vedo il vuoto da una finestra [senza vetri. Esploro l’odio, osservo spezzarsi le spade. Ho sviscerato la vita nel lenzuolo dei segni e dei volti aggrovigliati. Immagini di terra e case, diseguali, fissità di un occhio che mi osserva, una lampada tende a illuminare il mondo. Sento lo sforzo di un toro trainare verso strade non armate. Braccia abbassate, lontananza di corpi, ricordi menzonieri. Ho perso il suono della sua voce nel rumore silente di un Uomo, Crocifisso. Non è nel nero o nei bianchi ma nella mia mente, nei gesti di una madre col suo [bambino in braccio e in un timido fiore, che risponde al grido del cavallo. già al tempo della scuola nella madre per la guida sicura da un mondo in assenza la mano tesa nella figlia e il piccolo nipote d’innocenza accomunati Luglio 2011: Haiku… e dipinti 1) Questo ulivo genuflesso e stanco 364


ELEONORA TREDICI Eleonora Tredici è nata nel 1984; diplomata al Liceo Artistico, ha intrapreso gli studi universitari di architettura presso il Politecnico di Milano. Ama dipingere, scrivere, incidere su vetro, decorare, si interessa di tutto ciò che riguarda l’arte; con la casa editrice Pagine ha già pubblicato diverse poesie. Poco declaratoria

Camomilla, miele e vaniglia

Afasia così mi ritrovo. Facòndia di solito mi si addice. La mia panoplia quasi del tutto abbandonata alle due di notte mi trovo ad abbacàre come spesso succede anche di giorno. Nubendi vorrei dire ma con queste parole è dire e non dire ma volerlo dire e realizzare!

Camomilla, miele e vaniglia Tra le lacrime si impiglia Sulla bocca la respiro Pianto è anche felicità Scoperta per caso Lotterò, perché non finirà. Camomilla, miele e vaniglia Come una carezza Prima di dormire Ti ho guardato Ti ho ammirato Ti ho vegliato Abbracciato Sognato nel mio dormiveglia.

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A sorpresa dolciuria

Attimo

Agognante, impaziente Prima invece farsi attendere per paura per celarmi. Suscitar la situazione purché sia ad un certo punto! Tutti i sinonimi di meraviglia nei tuoi occhi Ricordo tutto, ogni parola Ogni sguardo Ogni movenza Te lo racconterei Toccò a me profondere Guardandoti… Parazonio perfetto Perfetto, perfetto Segno anch’esso D’esser nubendi E lo vorrei Io non giunsi Ma alla conclusione che devi essere tu E poi quel particolare di dolciuria Libato su una cianca L’ho trovato, l’ho scoperto L’ho provato e non rinuncio Non desisto! Muliebre Solo io per te vorrei averne Poche righe, anche queste, e tante ancor ne ho parte di uno spicilegio che però non renderanno giustizia a come le sento, le ho sentite, le sentirò! Dammi la mano, ti racconterò.

“È solo un momento… Quanto può durare un momento?” in uno dei miei film preferiti È un attimo che avvolge tutto in un istante Tutto metti in discussione in quell’attimo Manca la terra sotto ai piedi! Quel momento rischia una reazione a catena, attacca come fuoco un altro attimo e un altro ancora E sembra non finisca mai… Poi c’è anche l’attimo che vorresti durasse per ore E ti culli nella sua scia Ti avvolgi prima di dormire Come una soffice coperta ti scalda Ti riempie il cuore, i sensi Ti abbraccia dolce nel dormiveglia Vorresti non finisse mai ripensandoci consapevolmente Ne vorresti ancora e di più domani o dopo poche ore E allora forse con la forza dell’attimo giusto e desiderato Darai solo il tempo di un attimo al momento che tanto ti ha tormentato.

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IOLE TROCCOLI (Firenze, 23 giugno 1961), dove vive e lavora come farmacista. Scrive da sempre e da otto anni anche sul web. Per Liberodiscrivere ha partecipato a diverse antologie. Altre sue poesie sono inserite nella raccolta “Navigando nelle parole” (vol 7, Il Filo) e nella rivista letteraria «Poeti e Poesia». Compare inoltre nelle agende 2007 e 2010 Le Pagine del Poeta, nell’Antologia 2008 e nel volume “Alchimie poetiche”, editi da Pagine. Dolceverde

Attesa di primavera

Abbiamo sparso e trovo il mio taccuino, lo ritrovo, è dolceverde la scrittura piana, ingenuo il fare tra virgole distratte e un ti amo appeso che non si dà ragione ma è vivo – ancora – e sguscia al pesce d’oro zitto con le labbra piene, per dirmi, del suo male. Ci cancelliamo con la gomma, ma resta il frego storto che ci disegna brutti come siamo e vecchi e millenarie le campane ti rinominano a stella a stella, nudo al pallore del tramonto, nemmeno un raggio vela sulla schiena, eppure.

Schiva il piede scalzo del vento la fioritura alta delle nubi e indaga oltre il chiarore con la passione del suo gregge di sospiri per arrivare al rombo a sud che spezza il canto in schegge [brune e muta il verde degli steli in trina ombrosa rete di cielo ai margini di strade. Ed anche l’occhio azzurro cala in dubbio, fumo e groviglio negli angoli dove non batte il sole come un mattino che arrotola le [attese e aspetta, oscuro, sudore ai nervi di un aprile mascherato. Piove da nord sopra gli sbuffi [caldi delle viole, cede e rinserra l’anima mia nella memoria dei colori.

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Era l’estate

È ghiaccio scuro

Così quel sole s’inarcò alla fronte e lei sorrise della scrittura verticale del suo [cuore che arrampicava margini di un [acero mai sazio sulla porta.

Sono caduta al fondo della piena e tiro alto il mio sospiro lieve di esserti stata un tempo, e nulla può cavarmi gli occhi ora, finalmente. Sotto la pioggia dura è ghiaccio scuro nella stiva degli odori, adesso resti di fragili discese senza rotta. Io vago morta, sconnessa dalle braccia, sotto la veste non trapassa che un buco nello stomaco e un vendemmiato fresco viola e oro come quell’uva finta e bella lasciata intatta della sua polvere sul desco della sera.

Aveva offerto gli occhi saturi di vene già solcate – parlava troppo, e lo sapeva, del [sapore amaro di quel tempo vecchio che ritorna – per contemplarla prima che [fuggisse sopra le spalle fredde di un [solfeggio in abito d’autunno: era l’estate, che ruba ovunque come un respiro il saio della terra, si muta in un colore e non si volta. E lei sorrise, ancora, incredula di quell’azzurro.

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PAOLO TRUCILLO Nasce nel 1988. Studente di Ingegneria Chimica presso l’Università di Salerno. Premio Piergiorgio Lizza nel 2007. Pubblica nel 2008 “Fine a se stesso, ovvero fuori e dentro di te”. Pubblica inoltre i saggi “Il mistero di Dioniso” e “Il canto di Erri De Luca” sulla rivista “Poeti e Poesia” e partecipa annualmente a “l’Agenda del Poeta”. riempire i polmoni di tuo profumo [naturale saturare le arterie di gioia [primordiale tornare infine alla materna origine [del mondo. quel dolore in retroguardia di un’umanità depredata dei propri bisogni. Non state alla finestra mezzadri del potere il vostro guardare è colpevole quanto il loro bastone.

Tempo infinito Mescolare carte d’altri con le mie confondere pensieri con sogni e [atti mangiare e poi sputare in un [piatto rompere in eterno rime e regole [del verso, masticare numeri e sfogare con [parole pretendere insoddisfatto altra vita [dalla vita. Violentare me stesso e poi il [mondo intero rubare vita agli uomini e alle [donne sole trasformare tali vite in demoni di [carta.

Tempo presente Annego nell’eterno tuo mistero [imperscrutabile impazzisco, cieco, nel tuo silenzio [senza pace. Aggiungo ogni giorno un tacito [verso come il pittore al quadro un [particolare.

Trafugare esperienze passate [come ladri le tombe mitizzare ideali di amori sorti e [defunti incendiare deduzioni malsane e [illogiche

Violento monti, mari, opere [umane e me stesso colpisco e lancio pietre calde di 369


[sole d’agosto mastico frasi appena sorte e poi [appassite.

Lacrima folle Perché continui a solcare la gota [malata lacrima folle? Credevo di averti consumata.

Ascolto quel tuo inebriante [profumo sul collo

Sulla pelle non ho altro che segni di vita e tanti spazi ancora attendono di essere segnati da piccoli segni neri impressi da [dita che con dolore mi spendono dopo la vita apportati.

m’annego sulle tue dune di sabbia [dura muoio accanto a te, in ginocchio, [inerme.

Giovinezza che viene Perché percorri gote un domani fratturate da rughe perché riempi i vuoti e porti le mie vite alle fughe.

Mi accorgo di non vivere mesto, attaccato al seno materno. Mi lascio nutrire come bestia [indifesa ma il rumore della libertà fra corde dolci, mi pervade.

Perché fuggi da me lontana dal passsato te ne vai con parole, metamorfosi che torneranno a essere passate.

Sento la voce che canta a [squarciagola e piango di un non so che di [dolore e felicità impresse e vive.

Resta con me lacrima vissuta con me che [vivevo, resta con me. Romperò le regole del destino romperò il rigo, romperò il verso, ti sospenderò nel mio presente.

Ancora il flauto suona le corde nel [mio petto e la libertà prende me per mano, e il seno materno è ormai lontano.

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ANTONIETTA URSITTI (Foggia – 23 aprile 1960). Si laurea a Bari in Lettere moderne. Cultrice delle “Rime” del Petrarca, studia l’evoluzione dei componimenti brevi. Insegna da venticinque anni in istituti di istruzione superiore. Pur avendo sempre amato la scrittura, scopre una vena tardiva nel giugno 2010: il risultato è una raccolta di poesie “Quasi sonetti sparsi” (Albatros). Finalista in vari premi letterari, ha partecipato all’”Agenda del Poeta” 2011. Korcula

Notte di tempesta

Verde terra selvaggia l’aria fine incoraggia a bagnarsi nelle fredde acque, limpidi fondali odore salmastro, ciottoli grandi arricchiscono il tuo mare cristallino. Terra di Marco Polo qui ha visto la luce, sprazzi di mare si affacciano dai vichi stretti, parlano dei bei tempi, splendore veneziano coi suoi leoni, i suoi scaloni regali, archi di bianca pietra la stessa delle cattedrali. fari attenti e torrioni badano alle tue coste piccola isola tra alberi di montagna folti, incontaminata natura serbata dai tuoi croati. Alte svettano bandiere a difendere di una terra il possesso, che reclama libertà come il tuo mare.

Spuma sulle onde muore sulla battigia si sente un rumore è il cattivo umore del mare. Lontano un faro getta la sua luce interrotta dai fulmini sonori precipitanti in mare a provocare la procella. Una luna dal timido pallore si affaccia a guardare attraverso il velo di nuvole ombre imbizzarrite nel cielo, in attesa dell’esito della battaglia. Un fragore lontano si avvicina è l’odore della tempesta. Un peschereccio impacciato vorrebbe evitare lo scontro incoraggiato da una pallida lampara cerca un riparo è una cavalcata incerta nella notte di tempesta.

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Ulivo fraterno

Giochi d’ombra

Sei grande, possente, vincente non temi il vento né la pioggia. Le tue radici parlano di te sono fiumi che scavano le rocce braccia che sradicano i ponti gambe che scalano le montagne. Sei l’Ulivo fraterno quando doni la salute col tuo succo prodigioso, unguento sacro quando alimentava le faci dei Templi, luci per gli Dei. I tuoi rami tesi come mani a sostenere chi sta per cadere. Colonna di amore secolare.

Forme bizzarre giocano sul selciato, disegnano sui muri discorsi animati vogliono essere ascoltati dai passanti tutti distratti da abitudinari percorsi tracciati dai loro passi. L’ora è tarda affrettano senza sosta il cammino verso case, che amano o che odiano, immersi in pensieri di quotidiano affannarsi oggi come ieri eppure nella vita i misteri sono scritti in quei muri che riflettono i discorsi di ombre che giocano mentre tutti le ignorano.

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AMELIA VALENTINI Amelia Valentini è nata a Pescara, dove vive; attualmente in pensione, è stata docente di materie letterarie nei licei. Ha vinto numerosi concorsi letterari, cimentandosi sia nella prosa sia nella poesia; sue opere sono presenti in rassegne, riviste letterarie e antologie. Dalla stessa radice

Parole senza ali

Spezzata è la mia voce e chiuso ogni respiro d’amore e ora con le spalle curve su questi nitidi fogli leggo le tue parole appassionate che nessuno mai al mio cuore rivolse, riverbero abbagliante, riflesso negli occhi di un’ignota. Così, protesa sull’abisso di [fiamme, mi scaldo all’ardore lontano dei tuoi sogni perduti nell’onda nera dell’inganno e ripercorro i tuoi passi febbrili sull’uguale via del desiderio negato, sentendo confitta nel sangue la stessa radice dolente, da cui fiorisce invano amoroso profumo, disperso tra aride folate dal vento del deserto.

Ad ogni tuo passo che di nuovo ti separa dal mio sguardo si dibattono nella gola parole senza ali, senza forza né tempo per raggiungerti ancora, per chiederti finalmente che anche le tue parole, legate da un nodo oscuro, sciolgano il volo come schiera di candide farfalle danzanti sulle corolle dischiuse. Così continuo a scriverti nel cuore questa infinita lettera trapunta di parole nascoste come tremule gocce stillanti tra i tortuosi anfratti in un carsico abisso, mentre cerco il respiro della luce che apra uno spiraglio nel labirinto delle ombre, perché il mio amore prigioniero fiorisca nel sole.

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L’antico trabocco

È tardi

Girava lento il sonoro argano di legno sotto la spinta paziente del vecchio pescatore, scalzo e sicuro sul ruvido assito. Lenta affiorava la rete, immensa ai miei occhi di [bambina, incantata dal guizzo scintillante della viva preda, racchiusa nel fondo inesorabile. Era il tempo beato delle fate: tra gli scogli anneriti danzava il verde cupo [dell’anguria, dono ospitale, immerso nella fresca corrente e dal pontile il richiamo del mare era carezza ai sogni di avventura. Ora l’argano tace. Il vecchio getta la rete tra le stelle nell’eterno silenzio e l’antico trabocco, ombrato di salsedine e malinconia attende solitario che nuova mano schiuda la rugginosa porta e sciolga alfine la pesante catena del suo sonno.

È tardi – come rintocco di campana, eco di morte. È tardi – come scatto secco di trappola, serrata a soffocare ogni volo di testarda illusione. Scorre la sabbia del tempo, fruscio inesorabile nell’ombra del cuore. Silenzio di nebbia avvolge il muto fantasma del ricordo ormai esangue, scolorato di lacrime. Non è tardi – risponde un sussurro profondo come polla mormorante fra i rovi. Non è mai tardi per la luce immutabile, presenza splendente anche nel covo più fitto di tenebra nemica. Nei nostri occhi ora non è più tardi.

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MATILDE VENTURA Matilde Ventura è nata nel 1962 a Frascati, dove ancora oggi vive e lavora. Ha pubblicato la sua prima silloge poetica nel 2010, nel 2011 si è classificata fra i vincitori del premio “Cava de’ Tirreni”; sue composizioni sono state pubblicate in Antologie. Con i suoi scritti partecipa alla rivista on-line dell’Associazione “Frascati Poesia”. L’ultimo respiro

Qui

Un sottile palpito leggero come il vento, dalle narici uscì lentamente l’ultimo respiro, l’ultimo momento.

Sei qui, dentro il mio cuore nella mia pelle e negli occhi, ti sento fra le mani e il ricordo incolla i pezzi… di questa anima ferita, sfinita dalla feroce mancanza, di te, del tuo viso, della voce della tua benevola presenza.

Gli occhi socchiusi socchiuse le tue labbra e quel respiro forte, forte, forte, poi più nulla soltanto silenzio tu andasti via e arrivò la morte!

Ma se guardo bene dentro al cuore sbircio, cerco e svuoto il fondo ci sei qui, qui viva riempi l’anima e il mio mondo.

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A mio padre

L’ultima notte con te

Povero stanco padre deluso da una vita pesante, tristezza negli occhi assenti il cuore dentro un’anima distante.

Incroci di sguardi e parole spezzate pensieri non detti poi il silenzio. Paura di perderti, di vederti svanire fuggire via dalla vita, dai miei occhi dal mio mondo. Ti ho stretto la mano piccola e ossuta mano di mamma, ancora piena di carezze e teneri consigli, poi lentamente la presa si è sciolta. Lente le ore, pesanti i respiri come macigni sulle mie spalle ricurve, contavo le ore, misuravo i respiri e mentre morivi io morivo con te. L’ultima notte gli ultimi sguardi l’ultima speranza, l’ultimo legame le nostre mani strette, l’ultimo dolore che non potrò dimenticare.

Era buono e semplice mio padre uomo senza pretese, timoroso della vita senza sogni, senza attese. Non ti ho capito padre mio ti ho pianto solo quando andasti via non mi hai capita, non hai potuto vite diverse la tua e la mia. Ho saputo di amarti soltanto allora quando capii che ti avrei perso, tu mi hai amata da sempre credo come un buon padre, in ogni verso. Ora il ricordo dolce e lontano mi fa sorridere di tenerezza, non ti ho amato come dovevo e nel mio cuore tanta amarezza.

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MARIO VESNAVER (Montona – Pola, 13 ottobre 1937). Profugo istriano, dopo molte tappe è approdato ad Arcola (SP). È stato in Marina per tutta la sua carriera e ha sempre amato la poesia e la letteratura. È presente in numerose antologie a cura della casa editrice Pagine di Roma, tra cui: “Sottovoce” (2002); “Le Pagine del Poeta” (2004-2011). Alcune sue liriche sono inoltre presenti nel “Dizionario dei poeti” (2006) e in «Poeti e Poesia». Sonno di ghiaccio

Dove non esiste l’esistere

Di pietra senza vita, indifferenza mortale, non sussulta il tuo cuore, ormai dal sonno di ghiaccio s’è spento. Soggiace in te morte di sentimento.

Devo evadere, fuggire, staccarmi da questa presa terrena che mi attanaglia, mi stritola, che soffoca ogni mio sentimento. Solo nell’infinito sarò libero e capito. Lassù dove non esistono regole, dove non esistono leggi. C’è un posto così? Dove il rumore è melodia, dove il tempo è fermo e immobile, dove il buio e la luce si fondono. Perché queste regole non esistono! Cerco questo posto dove esiste la pace, dove esiste l’amore, dove tutto è musica. Voglio librarmi come un soffio di cotone.

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Ascoltando Beethoven

Il poeta

Tratti del volto assorto, occhi fissi in un infinito maestoso spazio sonoro. Mille stati d’animo di un corpo che vibra come le corde musicali nella misteriosa sintonia con il volere.

Ogni lirica è un’opera dello spirito, ogni pensiero una pietra miliare, ma questi conflitti con te stesso! Tinte patetiche che a volte si chiudono in angosce, fremiti romantici, collere, malinconie titaniche.

La misura esatta del cammino verso il traguardo della perfezione. Aleggia il genio perenne, si erge arabesco come un fiore spontaneo. Soffuso di calde luci interiori, estatiche, adornate.

Le dimensioni gigantesche di energie tenute a freno come i sogni, tristezze, dolori segreti di pensieri intimi. È il ritratto spirituale, un cosmo è nell’aria, la forza del pensiero vaga per il Mondo.

Dissolvimento in un sussurro forzuto ed aulico manierismo folgorante d’amore melodico. Il silenzio assoluto carpisce ombre che parlano, foreste di mille polifonie, cosmo di infinite armonie oltre i confini del pensiero.

Ma quando sfociano i Sentimenti si trasformano come una reale angoscia realtà terrena dell’uomo. Amalgama arte e materia, viaggia verso le regioni della luce in misteriosi silenzi, squarcia le nubi, esplora i fondali marini, spazia in ogni direzione senza sosta verso la vittoria d’esser compreso.

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GABRIELE VIA Gabriele Via è nato a Bologna nel 1968. Ha pubblicato dal 2006 cinque titoli, recita i propri versi dal vivo, accompagnato da vari artisti; ha fondato nel 2007 l’associazione culturale Like-US, è stato formatore ed educatore, è stato invitato per quattro volte a proporre la sua visione poetica su temi economici al corso EMBA dell’Alma Graduate School di Bologna. il segno di una lieta rinuncia… Perché la vita non è il contrario [della morte, e non si legge con la sola vita… La vita è il vuoto della tazza che domani ti disseterà mentre tutti ancora parlano [dell’acqua il mistero forse è solo questo qua.

Sto per vivere Ti incontro che sto per vivere e vivere mi piace con la sua fresca allerta di cose buone di rive bionde e più o meno mature speranze tra le ruvide rovine. Ti incontro che le ali della farfalla stanno come un paravento in una casa di una vecchia zia e poi si involano in un arcobaleno di stanze cucite da un invisibile amore un inviolabile candore… In un piacere fatto d’altro neanche più ti importa quel restare per godere ti dai come l’acqua tra i gravi lasci piangere l’ombra di Narciso sulla riva del fiume vecchio come si lascia un’età un luogo amato che appartiene a un tempo e guadagni un talento di [espressione. Nessuno leggerà in questa tua ricchezza

Tu Ora viene la pioggia, rabbuia l’aria lascerà cadere la polvere giù avremo un riso terso allora negli [occhi torneremo a vedere gli ombrelli [nel sole ci sembra di avere molte cose da [fare invece siamo qui per stupire.

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di promettere sognando l’unica certezza del dolore? La musa non sa non sa la musa né deve poterlo sapere per mille e una notte, per mille e [un motivo finora nessuno ha scritto una sola [riga che cancellasse la sete di Dio fosse dunque solo per la vita [umana, va da sé. Lei sola vale molto di [più; per quanto il versificare, solo potrebbe illuderla a morte. No, grazie a Dio, la musa non sa non sa la musa, né deve poterlo [sapere. Fosse per il cielo, se mai avessimo – non la fuga fetente dei luridi impomatati; quelli che verranno schiacciati sulla [soglia – ma avessimo in verità raggiunta anche la nuda, autentica, graziosa [e tremenda dignità del cielo… Sarà lei allora a bere ogni calice, sarà lei – struggente falena – a non voler sapere. Sarà lei, nell’attimo chiamata [musa divenuta stella rapita al liquido divenire dei nati sarà dove gli smarriti sono già tutti ritrovati.

Prima del sublime Mi affaccio sul tuo bacio di luce …La natura frammentaria della consapevolezza… …La natura frammentaria della completezza… Sono strade adatte all’uso della [primavera; mentre che paiono avvenire cose fuori dal formidabile armamentario delle parole; indicano il fuoco stanco e secco della più matura estate, avida della rarità del morire che il mondo non sa, che il mondo [non può, capire. Il desiderio è come parlare del [dolore; ci si capisce e non ci si capisce… E poi si vive, come sempre accecati dalle ombre dei più o meno riusciti abbracci. Adoperiamo la parola amore.

La musa di via paradiso La musa non sa non sa la musa né deve poterlo sapere il triplo mondo d’aerei incastri perché credere al primo sì del sole – che è un no taciuto d’ombre – promette un rinascere nuovo che sarà vivo per una conquista oltre un liquido dolore… E chi [– ditemi – chi avrà la forza adulta 380


GIANNI VIGILANTE Gianni Vigilante è architetto ed è nato a Napoli nel 1950, vive e lavora nella sua città. Ha scritto un noir di denuncia politica e sociale, “Facce di Pietra”, per i tipi della casa editrice Intramoenia (Napoli, 2006), ha pubblicato diversi articoli e saggi per “Camminare e Vedere”. ’A Mariola

’O Cafè

Mentre dormivo m’ha maniate ’e [sacche E s’è futtuto ’o poco ca tenevo. È stata ’na mariola farabutta S’è pigliato l’ultima moneta Pover’ a me che so’ rimasto sulo Nterra ’a na chiesa cu ’na mano [stesa Facite ’a carità a nu pover’omme c’ha perso ’na scummessa cu [l’Ammore.

’O sole se ’ntallea aret ’o monte sta capuzziando e nun vo’ proprio [ascí pur’io voglio restà sotto ’e cuperte tra veglia e suonno mentre spunta [l’alba questo è il più bel momento d’a [jurnata non è più sogno e nun è già realtà sospeso sono sulle umane tristi [cose sui guai, le seccature e i dispiaceri tengo solo un pensiero a ’stu [mumento vorrei ’na bella tazza di cafè ma prima ci vorrebbe un’altra [cosa ’na cosa assaje chiu’ dolce d’o [cafè ’na cosa, si ’nce pensa m’arrecreo e ’o core me sbatte comme ché nu vaso ’na carezza? È [un’illusione, tu nun ce staje chiù cà vicino a [me.

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qualcosa mi deve essere accaduto attendi un poco che adesso te lo [conto. Quando la mia speranza era [svanita in una svolta della cavità mi apparve in fondo una ’sì parva [luce ch’era un puntino nell’oscurità era il bagliore della gioventù che ancora era rimasto dentro gli [occhi il tunnel finalmente era finito mossi l’ultime forze alle acque [chiare. In alto il corpo da solo se ne andò finché sulla mia testa si aprì il [giogo dell’acqua e d’aria si inondò il mio petto [afflitto.

Bagliori di gioventù Nel profondo del mare io [sommozzavo indotto da ricerca ’e verità la natura era incerta e [straordinaria ’a forma de’ li pisc e la verzura di colori brillanti suggestivi. Per la curiosità che mi distingue appresso a una sardella mi buttai perché mi corse genio ’e [l’afferra’. La sardella era fresca e piccolina e muoveva ’o culo a cà e allà. Appresso ad essa infilai una faglia senza pensare che destino [incombe l’anfratto scuro stretto e [malformato che mi sembrava non finire mai si palesò alquanto intruppecuso ed all’intrasatte s’astrignette. Pensiero mi mostrò di andare [avanti perché indietro io non torno mai. Ma il fiato mi mancava dentro il [petto e la via sempre più stretta si [faceva la possanza che mosse avea le [membra mi lasciava in balia della paura. Invocai la divina provvidenza ma in quei momenti non si vede [mai. Ma se sono qui ancora a [raccontare 382


AGOSTINO VIGLIOTTI Agostino Vigliotti, nato a San Felice a Cancello (CE) nel 1949, vive a Montesarchio in provincia di Benevento, attualmente è in pensione. Ha scritto numerose poesie, che sta raccogliendo in un’opera inedita dal titolo “Le orme della vita”, ha partecipato a numerosi premi letterari, nazionali ed internazionali; da diversi anni pubblica poesie su “L’Agenda del poeta”, edita dalla Casa Editrice Pagine. Così dove si va… I sindacati forse lo sanno, poi ce lo diranno, quando tutti dormono e rumore non si fa. Avanti tutta! Ce la faremo! a prenotarci per San Remo. Avanti tutta! A pagar contributi, tasse e imposte, su salari senza mercato, ma quanti? Non si sa. Avanti a pagar più iva, il [lavoratore, il povero, il disoccupato e [l’imprenditore. Avanti tutta! A racimolar sempre [soldi e sempre dalle tasche spoglie. Avanti tutta amore! Teniamoci caro ancora il lavoro perché il PIL non è risorto.

Avanti tutta! In questa nostra era molti sono i problemi, si cerca di capirli, ma son troppi a carpirli. Si sentono brevemente per televisione e si leggono sui giornali ma è solo quotidianità. Assente è il politico, chissà perché parla solo a volte in Parlamento, incassando dolcemente lo stipendio; mentre alcuni guardano presto agli spazi di potere, al futuro. Aumentano i fatti di città, mentre i disoccupati sono sempre tanti. Per l’agricoltura, poi, non c’è nessuna cura, muore disordinata, arresa al suo destino, sul fumo del tabacco e sugli ortaggi non venduti. Rispunta un’altra volta anche la vacca in piazza che per fortuna non è più pazza! 383


Tormenta

Un popolo in cammino

Grigio e scuro l’orizzonte Violento il vento In questa tormenta. Infinite scaglie brulicano nel cielo, mentre sulla distesa coltre bianca vedo incidere e cancellare le tormentate orme della vita.

Scie di curdi, in quel giorno d’autunno, tra scintillii di sole, colla loro poesia nel cuore, calcano le vie di Roma. Dalle loro voci s’ode la musica della contrada, il pianto dei secoli, giunto fino a noi. Già il vento l’aveva scritto nell’etere del cielo. Oggi l’ha portato un popolo in cammino per sciogliere i cuori di ghiaccio col calore umano. Hanno parlato del loro calvario Tra i flutti del Tevere e le statue dei Cesari. Sui loro visi c’è scritto: Vogliamo essere liberi! Siamo cittadini del mondo!

Zolle del sud Zolle del Sud arse dal sole, spaccate dal trattore, inumidite dal sudore dell’agricoltore non illudono più nessuno. Il disoccupato insegue le mosche bianche, il poeta canta l’abbandono.

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AUGUSTO VILLA Augusto Villa nasce il 16 gennaio 1959 a Milano, dove tuttora lavora e vive con la propria famiglia. Ăˆ iscritto al Circolo I.P.LA.C. (Insieme Per La Cultura) il cui presidente è Maurizio Meggiorini, scrittore e poeta. Frequenta e partecipa al laboratorio della Casa della poesia di Milano, diretto da Ennio Abate. Stiamo svegli

Posto di movimento

Stiamo svegli amore mio per la magia di un cielo che ne vale la pena, stiamo svegli ancora un poco. Allo sbadigliar del sole nasceranno nuove stelle in mare.

Notte magica quella notte, fra i binari a torear coi treni e le stelle gettavano rose al buio delle lucciole.

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“Sogno Africano”

Figlio del vento

Riva fangosa vista tramonto, bimbo seduto. Non un lamento.

Fa danzare, il canto delle cince i fiori di questo prato vivo. Del tarassaco invidio l’ultimo seme che giusta folata attende. Mi consola la carezza del vento mano di madre mentre il bombo dall’ala sporca derviscio si fa.

Un bimbo soldato, cadaveri a galla, ripone i suoi sogni in un tubo di colla.

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LUCIA VOLTATTORNI (10 gennaio 1965), risiede a San Benedetto del Tronto. Dipinge e scrive. È amante della filosofia, dell’arte e della musica. Ha partecipato a diversi concorsi di poesia ed ha pubblicato le sue poesie in opere collettive. Alcune sue poesie sono pubblicate sul suo profilo di facebook. Il tuo sogno è

Sono

Come una lucciola vagante nelle notti di inizio estate sai quali sono… le notti di cui [parlo

Sono una perturbazione atlantica lo scirocco impetuoso che ti [confonde e arruffa Sono la stella che cade [bruciandosi la cometa che vedrai una sola [volta

Una la insegui, la prendi, è nella tua mano è il tuo sogno, lo senti mentre illumina e risplende Poi un brivido lo porta via dove l’attendono nuove ansie, altri voli, altre mani

Sono il caldo silenzioso e discreto [di ottobre la notte che sospira e sussurra tra [le tue tende

Alcuni danzano brillando [nell’oscurità altri fanno compagnia alla luna

Sono sole al tramonto mentre [attraversa le dita nel giorno più lungo

Tu li puoi solo guardare e pensare che forse una notte, questa notte… chissà

Sono l’animale impunito senza [pudore E l’angelo punito che hai esiliato

Tieni aperta la tua mano e risplendi della tua luce anche se per una sola unica eterna notte

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Gli Angeli della notte

Armonia degli elementi

Li puoi vedere tra i banchi di [scuola Soli e pallidi Quando ancorché nascosti Ascoltano giocare Li puoi sentire nell’aleggiare [notturno quando raccolti i sensuali corpi sfiorano le tenebre

Eri nascosto sul fondo di un caldo oceano blu scuro il mio, il tuo mare tra stelle marine e bianche anemoni

Sono angeli caduti nell’inferno

Su da me

Esploravo le cavità con i miei sensi sentivo il tuo respiro quasi non ti vedevo Non ci ho messo tanto per i capelli ti ho preso e tirato su

Abbiamo volato nel mare tracce ritrovate di odori e umori

Li puoi vedere lottare faticosamente per risalire

Acqua fuoco terra aria tutto per una volta insieme nella incredibile possibile armonia

Apri gli occhi ora sono qui.

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GIOVANNI ZANIER Giovanni Zanier è nato a Paluzza (UD) e vive a Roma. Dopo il liceo ha frequentato l’Accademia Navale di Livorno, da Ufficiale di Marina ha navigato a lungo e si è dedicato alle varie attività nel settore. Sue poesie sono comprese in varie raccolte di Pagine e di altre case editrici, ha pubblicato un libro di poesie dal titolo “Non indugiare”. Universi

Farfalle

Ci fu un tempo che il cielo era vuoto di stelle. Solo un puntino da qualche parte disperso nel nulla. Ed era già l’universo. Poi quel puntino scoppiò. Ci fu un grande fuoco. Il cielo si accese di luci. Schegge si sparsero ogni dove: le stelle! Sterminate come da un cilindro magico, che ora fuggono, sempre più rade sempre più fioche verso i limiti dell’infinito. Accadde perché in un frammento di stella ormai spento esplodesse un mondo di pensieri che qui dicono uomini. Tutto questo finirà. Tornerà un cielo vuoto di stelle. Ma forse tutte le schegge si raduneranno oltre i limiti in un nuovo infinito. Un altro universo esploderà e un mondo migliore di uomini.

Come una farfalla che sugge l’unico suo nettare al termine di una travagliata metamorfosi, così anch’io nell’aria sin qui bruna mi abbevero ramingo dei sapidi umori della sera. Solo ora, quanto tardi ahimè, ho scoperto ciò che cala dietro la collina quando fa notte: non come la farfalla! Oberato dalla sapienza dell’essere, nel travagliato giorno che si è aperto con la metamorfosi dell’innocenza e poi si chiude, saturo quando è più luminoso.

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Brugnosules

Lassù dove

Su quel piccolo ponte sostavi, con due bimbi da poco condotti per mano: la fanciullina rossa d’abito e l’altro, paffuto e color pannocchia, sempre perduti nel gioco. Oltre il ponte, lo smeraldo dei prati e quella lunga cinta e un cancello e le croci del nostro piccolo campo di paese. Presaga, così lo ritraevi e così hai voluto riaverlo, mai tanto sofferta e tanto incolpevole passeggera. Potrai conversare ed aprirti a tutti i miei che ti hanno preceduto conoscendoti; e nessuno potrà non amarti, ora che è nudo lo scrigno della tua anima e ognuno può scoprirvi i suoi tesori. Mio unico fiore! Fiore acerbo, fiore ceruleo fiore del nontiscordardimé.

Se tu non mi avessi accolto, concepito e mai nato, t’avrei amata anche di più per quella sola grazia di aver attinto il mio seme. Ma tu, madre amorosa, non sei fuggita anzitempo; hai raccolto per me ogni briciola; hai sofferto e pregato, attendendo paziente che la mia anima si aprisse ai colori e ai suoni e ai gesti, quaggiù. Lassù, dove da qualche parte i fanciulli non nati attendono raccolti le madri smarrite, io non ci sarò. Perché quaggiù, uscito da te, io c’ero, e ti ho vista. E tu, finché hai potuto, mi sei stata accanto, quaggiù. Da troppo tempo ormai non ho più la tua voce, solo un ritratto sbiadito, ma ho la tua elica. Lassù, dove da qualche parte le madri amorose attendono raccolte i figli rimasti ci sei anche tu, madre, col mio sembiante stretto nell’anima. E trepidi e mi guardi, quaggiù. Non avrò pena a ritrovarti. 390


LIA ZAPPALÀ BODENHAM Lia Zappalà Bodenham, nata a Subiaco (RM) il 07/09/32, si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, nonché in Italiano presso l’Università di Londra. È vissuta a Londra dal 1966 al 1993, dove ha insegnato italiano al liceo femminile Queen’s College. Pubblica poesie dal 2000 su “L’Agenda del Poeta” (Pagine) ed ha scritto 200 poesie. innalza un canto orfico alla vita, o vola come farfalla variopinta di fiore in fiore dall’istinto spinta.

Trent’anni Età? Appena trent’anni, ma il subbuglio dei passati affanni ribolle ancora incentro entro di te.

La ragione prevarrà, tutto mettendo in ordine negli [scomparti lucenti e asettici dell’esperienza.

Squarci d’una tempesta che il seno a tratti squassa, riempendo di fantasmi la tua testa bruna.

Il sospetto resterà però che, risucchiando il tuo guscio, avrai solo innacquato il vino rosso della tua esistenza.

L’irrequietezza d’un tempo giace abbandonata, nel rivolo gettata, nell’acqua il riflesso della luna. L’ora però non è arrivata della resa totale. Quello il straccio il vento solleva nel cielo spettrale presagio d’un tetro fortunale.

L’uomo Padre nostro che sei nei cieli nella corsia incedevi con passo [stanco, tenendo tra le mani ossute il pennello, il sapone da barba, la ciotola d’acqua calda.

Che dirti? Che il riposo sotto una coltre invernale dona un lieve calore, che i giorni oscuri e lunghi hanno, al fuoco acceso accanto, d’un velario il dolce tepore.

Nel volto pallido ed emaciato trapelava una grande fermezza che toglieva al dramma personale desolazione ed asprezza.

No, frinisci a lungo come cicala, 391


ha fatto orrendo esempio pel possesso del demone empio. Tuo padre, volto di contadino dal sole bruciato, col capo chino, guscio vuoto l’ha ritrovata sulla terra desolata, dalle mine [devastata.

Nell’estrema ora letale rivelavi della razza umana la dignità e l’intima pena. Spezzata per sempre avevi la [catena che l’uomo lega alla sua sorte. Andavi incontro alla morte con orgoglio, senza battere ciglio che del gran guerriero avevi il [tratto.

Impietrito dall’orrore verso il cielo ha lanciato un urlo di dolore forsennato. Come un sasso che in uno stagno con forza vien gettato nel cielo molti cerchi concentrici ha formato e nel punto più profondo con dolore per sempre s’è [annegata l’ansia per l’Eterno illimitata

“Io sono l’uomo” con gli occhi mi andavi significando a capo [alto. Questo fu il tuo ultimo messaggio ed io, tuttora memore della mia [pochezza ricordo il tuo coraggio con [fierezza

Bambola di pezza Bambola di pezza dal ventre squartato, riversa giaci sul selciato d’una strada campestre d’una terra lontana. A sei anni nulla sapevi del genere umano, fiduciosa al tuo carnefice hai porto la piccola mano. Questi del tuo fragile corpo 392


ANNA MARIA ZAVATTI Anna Maria Zavatti è nata a Sermide (MN) nel 1961 e attualmente vive in provincia di Modena. Scrive da sempre, oltre che in italiano ama scrivere poesie in dialetto mantovano, tanto che ha fatto parte per un breve periodo del circolo letterario “Al Fogoler”. Alcune poesie sono state pubblicate in un’antologia di questo circolo. Savif la poesia? (Dialetto del basso mantovano)

Savif la poesia? (Traduzione in italiano)

Savif chi fior ch’a nas ad banda in na sfisüra, ch’i è profümà listes, anca se ninsün a-ia nasa?

Sapete quei fiori che nascono in disparte in una fessura che sono profumati lo stesso anche se nessuno li annusa?

Savif cli predi lüstri lugadi in un buron, ch’li lüs listes, anca se ninsün a-ia ved?

Sapete quelle pietre luccicanti nascoste in un burrone che luccicano lo stesso anche se nessuno le vede?

Savif cla müsica intonada in na testa strambalada, ch’la canta listes, anca se ninsün a la sent?

Sapete quella musica intonata in una testa strampalata che canta lo stesso anche se nessuno la sente?

Savif cli armili ch’a cres in s’al ram pü elt, ch’i è dolsi listes, anca se ninsün a-ia tasta?

Sapete quelle albicocche che crescono sul ramo più alto che sono dolci lo stesso anche se nessuno le assapora?

Savif cal pel d’un can dispers longa la strada, ch’l’è mulsin listes, anca se ninsün al caresa? Savif la poesia?

Sapete quel pelo di un cane randagio lungo la strada che è morbido lo stesso anche se nessuno lo accarezza? Sapete la poesia?

393


Via

I ricordi

Voglio andare a vivere in un’altra [casa, dove non so i rumori. Qui tutti i rumori sono i tuoi questa casa sei tu che ti muovi nell’altra stanza.

Arrivano con passi sordi a uno a uno la sera i ricordi. Li aspetto apro loro le porte li tengo al riparo la notte. E sulla sedia bianca va l’infanzia dalla voce alta e dalle mani [sporche di fango buono per fare le torte una a me una a te io mi nascondo conta fino a tre. E sulla sedia verde le speranze dal naso dritto per sentire il vento pronte a partire con la prima [brezza siedono in punta con irrequietezza. E sulla sedia gialla i rimpianti dalle bocche blese e in ogni bocca un bel discorso in tondo fatto [d’esse se fosse se avesse isse osse asse esse. E sulla sedia nera i rancori dalle gole strette e in ogni gola un volto come un osso che una convulsa tosse di vendetta ficca in basso. E finite le sedie ecco i rimorsi dagli occhi grandi e lenti. Mi hanno fissato muti tutto il [giorno io li ho tenuti lontani erigendo [sbarre di abitudini. Li invito a sedere sul cuore finché riconoscendoci dagli occhi avremo pace.

Ripetano ad altri i tuoi passi le [scale, annuncino ad altri il tuo arrivo le porte sbattute. E via anche i mobili vecchi che scambiano un raggio di sole per te che li sfiori e scricchiolano ruffiani mentre io sono di là. Tu però non mi seguire e non nascondere la mano nel vento che mi sfiora i capelli e non mischiare la tua ombra alle foglie del melo e la tua voce alla mia coscienza. Voglio solo il tuo ricordo per convincermi che non esistono i fantasmi.

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PARASKEVI ZERVA Paraskevi Zerva è greca e risiede a Firenze. Appassionata d’arte, scrive e pubblica poesie da tanti anni in Grecia su riviste letterarie e antologie. In Italia esordisce con “La Sacra Danza dell’Essere”, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti – tra cui: Menzione d’Onore al Premio Firenze Capitale d’Europa 2006; Primo Premio per la poesia proemio al concorso Semaforo Rosso – e critiche su riviste letterarie, quotidiani, e siti web. Χρονοσ (Tempo)

Scoprimi

La clessidra si è fermata

Sorprendi il mio corpo

c’è tempo ancora per rimediare

Nelle ombre e nella luce, il paesaggio non cambia… sono sempre io.

donna addormentata fra i papaveri l’oblio non ti si addice, svegliati nutrice del nuovo mondo madre di tutte le nuove anime, che il tuo passaggio non sia una [brezza ma l’uragano del cambiamento

Nei meandri seguimi! Seguimi dalle ombre alla luce fino al mare caldo della laguna. Sono io quel mare azzurro. Trovami

I tuoi passi echeggiano nei prati [del futuro coraggio ed agape nessuna paura Donna Questa clessidra si è fermata per [te Il tempo c’è

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La donna di luce

Accogli la tua anima

Figlia

Accogli la tua anima, accetta la debolezza.

Sposa Ascolta con rispetto i tuoi desideri

Madre La donna di tutti i tempi Custodisce il suo segreto

Ama i lupi che hai nella testa Affronta la paura perché niente ti può distruggere se non sei tu stesso a farlo

Nell’attesa, nell’immobilità, nel silenzio

Quello che sentirai portalo [addosso come un vestito

La donna fertile di luce sa dissetare e sa sfamare le anime dei bisognosi

ed esci con orgoglio, fuori, nel [mondo

La donna osserva la sua fiamma sacra ed è presente a questo miracolo

Tutti vorranno toccarti

La donna di luce sa sfamare La donna sa Ad Amalia Ciardi Duprè

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CARLA LUISA ZUCCALÀ È nata a Roma, dove vive ed opera: collaboratrice di giornali in Italia e all’estero, è stata più volte membro di giuria in concorsi letterari italiani ed europei, autrice di poesie, canzoni, filastrocche e motivi psicologici per le scuole, è stata diverse volte ospite di trasmissioni televisive. Sue composizioni sono state unite ad opere pittoriche di artisti contemporanei, in occasione di alcune mostre. Fertile… aurora

Vendetta nella notte

Giorno… Apparenza calda come un figlio nel grembo e partorirne attimi di possesso tra le doglie della notte, che avvincono… senza dolore. Abbracciarlo nel cratere infuocato dell’amore, e lasciarlo vivere nello spazio dei suoi destini. Assaporare piaceri dall’aria capricciosa …ed aspirarne delirio in brividi. … Si rifletteranno specchi d’appagamento nella fecondità dei battiti …fiammanti come l’alba, volubili come i secondi, limpidi come le acque d’un lago, nella fertilità dell’aurora… …la nascita di un altro giorno.

È vendetta della notte innamorare, per rubare al giorno …il caldo delle sue ore. E la terra gira come una donna impaziente [d’amore, mentre riceve petali dai rami che la sfiorano, acqua dalle sorgenti che dissetano, aria, nei respiri senza pace in attimi privi di pentimento. E la notte s’immerge calda, [stellata, silenziosa nelle passioni umane, con il canto delle cicale tra le [foglie, l’abbandono dei flutti sulla riva, i sospiri del buio, …le ansie appassionate d’amore più calde del sole, più vere dei secondi che suggeriscono, creano, [amano… Mentre l’alba sfiora i primi colori e gli amanti si rilassano poi …ai primi ricordi. 397


Vedo giochi… Giocavo. Vedo genti frettolose su obblighi [d’asfalto …Anch’io parallela ai loro [affanni. Vedo amanti nel tepore [dell’amore e sento brividi… Mentre si baciano… Cerco ricordi …Due gabbiani rasentano la riva …E le memorie volano…Sui rami [del mio passato. Vedo il fiume scivolare sul letto dei suoi piaceri… Cerco colori di lino… Doni [d’infinito… Sento risa di bimbi… …Ho partorito vite… L’orgoglio avvince l’amore, le fantasie dipingono cielo… …Prima di vedere il sole sparire nell’orizzonte. …Volano gabbiani sulla riva… Giochi infantili… Pennellano scie [vitali per imitare… E poi generare. …Sento carezze… …Calda verità nuziale, in gocce di sudore, racconti di [gioia… Intanto i gabbiani aleggiano sulla [sponda. Il fiume scivola verso il mare e la vita rigenera, come onde. …Salti di grillo i ricordi nel disordinato racconto …Ancora acceso di prospettiva. Vedo gabbiani… Planare… Io volo… Sul presente… Che mi [ravviva.

Piccolo diavolo Piccolo diavolo di stupido istinto. Aizzi contro il buon vivere e non riesci a trascinare, dove gli abbandoni… vorrebbero. Vesti di rosso …ma ti nascondi tra le siepi e tutto è velato … da lasciar solo verde dei [cespugli, colori della primavera. Ridi senza inquietarti. …Da piccolo incapace, …diverrai essere umano, per diventare cattivo. …Abiterai nella città di smog, …nei porti a rifiutare clandestini …o padre senza sangue generativo d’amore. Piccolo diavolo, il tuo inferno… è nel nostro [inferno …abile ad infiammare boschi, case, vulcani spenti, tra colori di ville. Tu… piccolo diavolo, nel caos del mondo, sei l’unico capace di un segno di croce …per chiedere aiuto a Dio.

Salti di grillo Vedo un gabbiano volare sulla [riva… e una bimba… Ero bimba. 398


MIRKO ZULLO Mirko Zullo è nato nel 1983, vive tra Milano e Verbania. Ha coltivato da sempre l’amore e la passione per diverse forme artistiche, poesia in primis: a partire dal 2006 ha pubblicato sillogi poetiche e una raccolta di racconti brevi; è anche regista e autore televisivo, giornalista e critico su settimanali e free-press. Una canzone d’amore

Quel ronzio di zanzara nel sonno

Per lei ho anche scritto una canzone d’amore, ma credo non sia un granché dato che il gatto vomita.

Eravamo sereni quando mordevamo ciliegie su [quell’albero sulla riva opposta dei nostri sbagli guardandoci negli occhi.

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Neanche le Converse

I tuoi tacchi 12

Le luci rosse delle torrette di [controllo, dei porti di lago. In fondo cosa piango a fare? Sono [io a non volerti più. Patetiche canzoni su fogli di [lacrime stese ad asciugare sulle corde di [una chitarra. Accordi e sigarette sui cornicioni [dei palazzi. Grattacieli sotto i cieli campanelli con nomi e cognomi, [quanti nomi e cognomi, quante anime… Centri commerciali, outlet [depressi, semafori in coma [etilico, murales fatti male, che farei [meglio a cancellare. Che le bombolette finiscono [sempre sul più bello. Come la tua voglia di me. E quando piove lexotan non [sempre c’ho l’ombrello. Neanche le converse mi tirano più [su il morale; te ne sei andata troppo presto come i nomi scritti sui vetri [appannati. E potevi anche dirmelo che facevi [sul serio.

Dimentica il rosso acrilico del tuo [imbarazzo la mia anoressica presenza nel tuo [cuore i nostri fottuti sentimenti di [muschio. Mi ubriaco correndo da un [rimpianto all’altro non ho più parole, non ho più [nessuno. Solo ricordi. Sbiaditi ed incazzati. E spiaccicati sul pavimento, [pensieri rubati a panchine [solitarie come foglie perse sul catrame come lo zucchero ingiallito [dimenticato nei barattoli. Quest’insaziabile voglia di [fottersi, di dimenticarsi di spedirsi pacchi di ricordi, per [poi tornare colmi di pentimenti e maschere antigas. Ho amato quando era tempo di [giocare. Le bestemmie sui muri di Via [Filzi mi ricordano i tuoi carillon arrugginiti e sfibrati. Non torneremo mai a mischiarci [le salive non torneremo mai ad obliterare i [giardini pubblici con i tuoi tacchi 12.

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LORENA ZUNINO Lorena Zunino è nata a Savona nel 1974 e si è laureata in Lettere moderne a Genova, con una tesi su Vasco Pratolini nella veste insolita di poeta; attualmente lavora nel settore Marketing di una nota azienda della GDO. Ha partecipato a diversi concorsi letterari sia con brani poetici che con racconti, ottenendo segnalazioni e pubblicazioni. Pazzia

Prométeo 2010

Perché stropicciare i miei pensieri con iridi di alba carnefice centellinante gemme di sospiri? – Seme di bene e male – Un sinibbio che falcia le spighe e i fiordalisi dei miei sorrisi.

Un blu profondo màdido di notte. Inghiotte le mie forze. Coltre di nubi confonde la serenità prepotente di fronte a questo specchio di [mare.

Hai ali azzurre di onde del mare, spruzzi di cielo fra i capelli.

La vita sarebbe più facile vedendoti sorridere.

E sei fuoco, sabbia d’agosto, tregenda nel novilunio della mia mente.

Lenta oscillazione tra rabbia e mesta allegria, non scioglierai mai le catene. Inchiodano le mie ali su questo scoglio assetate di solcare l’orizzonte.

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[immenso cielo stracciato. Sarajevo 1994 Era la tua vita. Te l’ha rubata. Non esistono parole. Il tuo sguardo le inghiotte. Ogni lacrima per lui che sfila le [tue guance, è una bestemmia contro [l’universo. Non ha nessun diritto. Da oggi gli diremo basta. Schiacciarlo, bruciarlo. L’unico pensiero. Mio e tuo. Ma noi non siamo bestie. Nella stanza asettica, solo tu. E un [piccolo potente raggio di sole. È la tua mattina. L’incubo non deve più esistere. Un nuovo inizio, difficile. Sai che [ce la puoi fare. Tu saprai mettere ogni tassello al [posto giusto. E ogni sguardo della tua bambina Ricostruirà un pezzo del tuo

Naufragio Rincorro un tempo funambolo dei tuoi occhi, di quando oltre la sbarra da equilibrista vedevo fiera un cielo di nuvole-reti. Non vi sarei mai caduta sicura del mio essere totalmente [naufraga di me stessa. E il filo si è spezzato. Hai precipitato i giorni, il tuo sorriso, me su un prato ombreggiato dal sole, dove gli unici oggetti reali sono le parole che vorrei tu sapessi. Sono costrette in ogni mio sguardo perso sui vetri. Sulla tua nuca che accarezzo solo con il battito delle ciglia e del cuore.


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