Velia età greca la seconda colonizzazione greca

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Velia - Età Greca


La seconda colonizzazione greca La colonizzazione presso i Greci la possiamo definire come un processo di distacco da una metropoli, da parte di un gruppo di cittadini, che rientrava nell'ambito dei suoi piani politici ed economici. Da quel momento solo un legame culturale unirà i due ceppi. Il rito di fondazione che l'accompagnava, era a carattere puramente religioso ed era condotto da un ecista, cioè un fondatore, che era inviato dalla madre patria ed era lui che con la sua persona e il suo prestigio doveva rappresentare il legame con lo "spirito" antico di quella. A lui, dopo la morte, veniva riservato un culto particolare: il corpo era deposto in un tempietto ipogeo (cioè sottoterra) al centro di un tèmenos, cioè di un recinto sacro.


La seconda colonizzazione greca Le date tramandate dagli storici circa la fondazione di colonie, si riferiscono al vero atto di nascita di queste, cioè alla fondazione in senso rituale e non all'arrivo dei coloni, che in molti casi, la precedeva. La fondazione rituale di una colonia era sempre preceduta da una presenza greca nel sito, che si poteva manifestare in vari modi: – tramite la conoscenza dei luoghi, anche se poi spentasi a causa di vicende a noi non note e poi tramandata con miti e leggende; – tramite la frequentazione a carattere commerciale; – tramite l'installazione di piccoli empori; – tramite la presenza di un nutrito gruppo di coloni stabilitisi in quel luogo prima della fondazione rituale.


La seconda colonizzazione greca Le coste del Cilento furono pertanto colonizzate a partire dall'VIII sec. a.C. e, in epoca storica, tramite la fondazione di tre importanti cittĂ che ritualmente avvenne:

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per Poseidonia nel 650 a.C., ecista fu Megyllos; per Elea nel 540, ecista fu Creontiade;

per Pyxoe nel 471, ecista fu Mycito. Ciascuna aveva un suo territorio detto kora che rappresentava la zona diretta di controllo della vera e propria polis e che ne garantiva l'indipendenza politica ed economica. Quella di Poseidonia andava dal fiume Sele all'isola di Licosa; quella di Elea da Licosa a Palinuro e quella di Pyxoe dal fiume Mingardo al torrente Timpone (vicino Sapri): in pratica queste città esercitavano il controllo costiero su tre sinus, cioè golfi.


La seconda colonizzazione greca Sulle colline interne vivevano i Lucani i quali, alla fine del V sec. a.C., si impadronirono di Poseidonia, e nello stesso tempo continuarono ad esercitare il loro controllo sull'entroterra di Pyxoe e forse sulla stessa cittĂ anche dopo che in questa venne dedotta la colonia greca. La kora di Elea rimase invece sempre immune da dominazione e influsso lucano.


YÈLE-ELEA Il villaggio enotrio di Yèle era venuto a contatto con la civiltà greca agli inizi del VI sec. a.C. tramite mercanti jonici di Focea (città dell'Asia Minore) che utilizzavano, per la loro navigazione di cabotaggio, il buon approdo e la fonte. All'epoca il litorale aveva una conformazione ben diversa dall'attuale. La collinetta, su cui oggi si vede la torre cilindrica medievale, era un promontorio circondato dal mare su tre lati; verso nord, la costa, rientrando in profondità, formava una vasta insenatura nella quale sfociavano i fiumi Alento e Palistro (quest'ultimo oggi è un affluente del primo); verso sud, egualmente la costa era più arretrata e accoglieva la foce della Fiumarella di Santa Barbara. Di fronte al promontorio, vi erano due isole, ricordate da Strabone come "isole Enotridi" delle quali Plinio il Vecchio precisa anche i nomi: Iscìa e Pontia, che offrivano un ottimo riparo ai naviganti. La fortuna di queste località fu dovuta ad una serie di contingenze che favorirono la venuta in massa di quasi tutta la popolazione di Focea nel 540 a.C.


Erodoto ci narra con molti particolari gli avvenimenti di quegli anni, che qui riassumiamo brevemente. Nel 545 a.C. Arpago, sĂ trapo del re persiano Ciro il Grande, desideroso di impossessarsi delle ricche colonie greche dell'Asia Minore, assalĂŹ per prima Focea. Gli abitanti, chiesero ed ottennero un giorno di tregua; nottetempo riuscirono a imbarcarsi sulle loro grandi navi a 50 remi e si rifugiarono sulle isole Eunisse, da dove sarebbero poi salpati alla volta di Cirno (Corsica) ove giĂ avevano una loro colonia di nome Alalia. Quando, dopo alcuni mesi, tutto fu pronto per la partenza, fecero prima rotta alla volta di Focea, ove distrussero la guarnigione persiana; poi, pronunziando terribili maledizioni contro chi di loro volesse rinunciare alla spedizione, lasciarono cadere nel mare una massa di ferro e giurarono che sarebbero tornati indietro solo quando essa sarebbe tornata alla superficie.


Giunsero dunque nella Corsica, ad Alalia, e vissero in comune coi loro concittadini qui stabilitisi in colonia circa vent'anni prima. Ma la loro intraprendenza commerciale suscitò la reazione degli Etruschi e dei Cartaginesi, i quali mossero loro contro con molte navi. La sanguinosa battaglia, combattuta presso Alalia, vide vittoriosi i Focei, ma a caro prezzo, tanto che, imbarcati sulle navi rimaste i loro averi, navigarono alla volta di Reggio. Ma i Focei che si erano fermati a Reggio, un giorno vennero a sapere da un uomo di Poseidonia che la Pizia aveva spiegato il perché di tante sventure: essi avevano disobbedito agli dèi, che avevano ordinato ai Focei di Alalia di erigere in onore dell'eroe Cirno solo un monumento e non di fondare una colonia. Essi, allora, pensarono che ormai era giunto il momento di fondare una lorio colonia e, navigando verso nord, raggiunsero un'altra località che, quando vivevano nella madre-patria erano soliti frequentare, cioè il villaggio enotrio di Yèle. Lo acquistarono dagli indigeni e lo colonizzarono, chiamandolo Elea. Questo avveniva nell'anno 540 a.C.


YÈLE-ELEA All'epoca l'espansione coloniale greca, stava vivendo una grossa crisi causata ad Oriente dalle pressioni dei Persiani (che culminarono poi nel 490-480 a.C. col tentativo di invasione della Grecia stessa), e ad Occidente dall'affermarsi di due potenze commerciali, gli Etruschi e i Cartaginesi. I Focei, che avevano tentato di penetrare nella zona di influenza degli Etruschi (fondazione di Alalia, in Corsica), finirono coll'essere scacciati e potranno fondare una loro colonia solo grazie all'aiuto di Poseidonia (l'uomo di questa città che spiega la profezia della Pizia). Ricordiamo che la fondazione di Poseidonia era rientrata nei piani di espansione nel Tirreno da parte dei Sibariti, che vi tentavano di contrastare l'egemonia commerciale di altri popoli: quindi una nuova colonia poteva giovare alla loro politica di penetrazione nelle isole della Corsica e della Sardegna, controllate da Etruschi e Cartaginesi.

Anche Strabone parla della fondazione di Elea e oltre a tramandarci il capo della spedizione, Creontiade, accenna a due altri fatti importanti: ai contrasti che ci furono in seguito con i Lucani di Paistom e al fatto che Elea, anche se più piccola per numero di abitanti e per estensione del territorio, «risultò più forte perché ben governata: da essa vennero Parmenide e Zenone, e a causa della povertà della terra – egli continua – gli Eleati sono costretti a compiere la maggior parte dei lavori per mare, a costruire fabbriche per salare il pesce e ad eseguire altri siffatti lavori».


YÈLE-ELEA Si delinea così quella che sarà poi la vita della città: attività legata al mare e grande considerazione del buon governo, affidato a persone di cultura che misero le loro capacità al servizio della città. Quale esempio per le realtà di oggi! Elea, oltre a crearsi un proprio spazio commerciale anche con gli Etruschi di Picentia (Pontecagnano), riuscì militarmente, benché piccola, a fronteggiare i Lucani; non cadde mai sotto il loro dominio; da loro si difese con una serie di fortificazioni e li contrastò con successo anche nel periodo in cui essi occuparono Paistom.


Elea era nota nell'antichità non solo per il buon governo, ma anche per due "Scuole", una filosofica, di cui i principali esponenti furono Senofane, Parmenide e Zenone e un'altra di medicina, alla quale si ispirò quella "Salernitana" nel medioevo, che verosimilmente ne fu l'erede diretta. Ecco come doveva apparire la città nel V sec. a.C. Il colle, su cui è l'acropoli, si protendeva nel mare e sul crinale della collina correvano le mura, dividendo l'abitato in due quartieri. Quello detto "settentrionale", più piccolo a carattere commerciale, era in funzione del porto sulla foce dell'Alento che era di circa 500 metri più arretrata di quella attuale (sfociava a monte dell'attuale strada nazionale, ai piedi del colle). Di fronte vi erano le isole Enotridi, dotate di ancoraggio, oggi riconoscibili perché sono gli unici terreni calcarei, a differenza di quelli circostanti che sono alluvionali. Era questo il vero porto di Elea. Il quartiere "meridionale" invece, era più esteso, con carattere residenziale e sociale; aveva il suo porto, ed un altro porto era alla foce della Fiumarella di Santa Barbara, che costituiva anche il limite sud della città. Infine l'acropoli, costituiva il terzo nucleo: posto sul promontorio circondato da tre lati dal mare, esso risultava fuori dal circuito delle mura, con una sua porta di accesso; era staccato dal resto della città.


YÈLE-ELEA Le testimonianze insediative greche più antiche sono state ritrovate proprio qui; poco più sotto sono i resti del villaggio in poligonale enotrio. Qui, retto da un grande muro di terrazzamento, fu costruito il grande tempio ionico, cuore della città, di mt 32,50x19,35, del quale oggi avanza solo il basamento di sostegno. Queste tre zone erano delimitate dalle mura che nella parte più alta della città, erano affiancate da aree sacre; tra le più vaste risultano quella di Poseidone ed un'altra più ad Oriente di circa mt 110 in lunghezza e 100 di larghezza, ove è collocato un grande altare. I quartieri erano congiunti da un'ampia strada, oggi messa in luce in gran parte e percorribile, che, nascendo dal porto dell'Alento, dalla Porta Marina nord, sale sul crinale, valicandolo con la nota Porta Rosa, per poi ridiscendere fino alla Porta Marina sud, nel quartiere meridionale, ove erano i maggiori edifici pubblici.


YÈLE-ELEA Verso la metà del V secolo, il litorale fu interessato da un improvviso bradisismo che poi continuerà per secoli. Ad Elea si insabbiarono i porti accentuando un fenomeno che era in atto fin dall'epoca della fondazione. Cominciava così quella lenta ma inarrestabile modifica della costa che vedrà lungo i secoli lo spostamento della sua linea e la scomparsa delle Isole Enotridi. Verso la fine del IV secolo, un'alluvione sconvolse gran parte del quartiere meridionale. Il bacino del porto, interamente interrato, con una grande opera di ricostruzione, fu trasformato in area urbana; la vecchia banchina, sopraelevata di circa tre metri, divenne parte della cinta muraria; l'agorà venne ricostruita per intero.


La “Kora di Elea Da un passo di Strabone apprendiamo che «...chi doppia il capo (di Licosa), trova contiguo un altro golfo (oltre a quello di Poseidonia) in cui è la città che i colonizzatori Focei chiamarono Hyele, da cui vennero Parmenide e Zenone. A mio parere, a causa di quelli furono ben governati anche in antico e perciò resistettero ai Lucani e ai Poseidoniati e ne risultarono più forti, benché inferiori e per estensione del territorio e per numero di abitanti... Dopo Elea è il promontorio di Palinuro. Di fronte al territorio di Elea le due Isole Enotridi, fornite di ancoraggi». Riprendendo l'interpretazione che l'archeologo Mario Napoli ne ha fornito, apprendiamo fra l'altro che il territorio di Poseidonia aveva il suo limite sud nell'isola di Licosa: di qui iniziava la kora di Elea (v. cartina n. 12); probabilmente il limite nord-occidentale era costituito dal fiume Arena e dalle rocciose colline delle Ripe Rosse; mentre quello sud-orientale era il promontorio di Palinuro. Stretta da ogni lato dai Lucani, Elea dovette da essi difendersi, riuscendovi magnificamente, perché "fu ben governata".


La “Kora di Elea

Il "buon governo" di Elea è rimasto come memoria esemplare nella storia politica degli Stati, perché a capo della città ci furono uomini di grande sapere come Senofane, Parmenide che erano "filosofi", cioè ricercatori del sapere, indagatori della conoscenza; i quali misero a servizio della città la loro cultura: si realizzò qui quanto il grande filosofo ateniese, Aristotele, aveva sostenuto, che cioè «gli Stati dovrebbero essere governati dagli uomini di cultura».


La “Kora di Elea Celebre è rimasto l’attaccamento degli elèati alle leggi democratiche volute da Parmenide, alle quali in occasione dell’anniversario della fondazione della città, essi, riuniti nell’agorà, rinnovavano il giuramento di fedeltà. E quando la città cadde nelle mani di un tiranno, che tali leggi aveva soppresso, furono proprio gli allievi di Parmenide i fomentatori della rivolta. Zenone, si racconta, catturato nei pressi di Lipari su una nave carica di armi, trascinato al cospetto del tiranno, rifiutò di fare i nomi degli altri congiurati: anzi, a dimostrazione della sua determinazione, coi denti si recise la lingua. Alla già decretata morte, si aggiunse il supplizio: fu pestato – conclude la tradizione – in un mortaio. Ma i governanti di Elea seppero anche ben munirsi di fortificazioni, prevenendo eventuali assalti dei popoli delle montagne, come i Lucani, che premevano per cercare uno sbocco verso il mare. Sorse così una serie di frourion, cioè piccoli abitati fortificati, dislocati sulle alture strategiche, non solo per proteggere la kora da eventuali attacchi di Lucani, ma anche e forse soprattutto per controllare le vie di comunicazioni verso l'interno.


La “Kora di Elea Da Elea infatti si dipartivano tre importantissime strade: una, lungo la valle dell'Alento, raggiungeva Poseidonia; l'altra, detta "Via del Sale" risalendo il fiume Palistro, portava ai preziosi giacimenti di ferro sulle pendici del Monte Sacro, e, attraverso il Passo Beta, confluendo sull'altra che saliva lungo il Mingardo, permetteva di raggiungere la parte meridionale del Vallo di Diano; la terza, risalendo il fiume Badolato, portava al frourion della Civitella e poi attraverso il passo di Campora, raggiungeva la valle del Calore e di qui la parte nord occidentale del Vallo di Diano e il corso alto del Sele e quindi gli Etruschi di Picentia. La terra della kora appariva «povera e gli abitanti erano costretti a compiere la maggior parte dei loro lavori sul mare, a costruire fabbriche per salare il pesce e ad eseguire altri siffatti lavori». Così scriveva Strabone, sintetizzando le grandi difficoltà che Elea ebbe per imporsi sui mercati.


La “Kora di Elea Questa trasse, dunque, il suo sostentamento dal mare: i recinti quadrati in pietra che sono venuti alla luce nella zona portuale, fuori dalle mura, probabilmente sono essiccatoi per i pesci. Le colline del suo entroterra erano coperte di boschi, da cui traeva legno per la costruzione di navi, che poi vendeva o noleggiava: attività che durerà fino al IV-V sec. d.C., ma che fu anche la causa della sua rovina. Il taglio degli alberi, condotto a quanto pare, a ritmo intensivo, causò nella città ben tre alluvioni, dei quali il primo documentato avvenne nel IV sec. a.C. Vediamo ora quali erano i frourion che chiudevano e munivano l'intera kora. Sulla collina della Civitella (Moio) vi era quello che, dal punto di vista archeologico, risulta il più interessante, in quanto è emerso nel suo insieme di fortificazioni e abitazioni; databile al V sec. a.C., controllava la "terza via", quella del Badolato.


La “Kora di Elea Un altro era sulla collina prospiciente, immediatamente a sud-est, lì dove oggi sorge Novi Velia, ma del quale restano solo alcune tracce nella cosiddetta "Porta greca", databile al IV sec. a.C., in quanto le strutture furono poi inglobate nei successivi stanziamenti longobardi e normanni. Questo era posto a controllo della "Via del Sale", ai piedi del Monte Sacro, su cui di recente sono emerse tracce di muri dell'epoca e che era un antichissimo luogo di culto e continuò ad essere tale anche in epoca greca: una sacralità che continua in tutta la sua magnificenza e suggestione ancora oggi, col suo celebre santuario, cui accedono pellegrini anche dalla Calabria e dalla Basilicata. Dobbiamo qui notare che da sempre è stato indicato come "Monte Sacro" e che l'attuale denominazione di "Monte Gelbison" è una sovrapposizione pseudo-dotta moderna. Secondo la tradizione anche l’altura ove oggi sorge Gioi era occupata da un frourion. Tracce di insediamento (armi, tegole) sono state rinvenute anche sulla collina detta "Torricelli" (Casalvelino), sulla riva destra del basso corso dell'Alento, di fronte a Castelnuovo Cilento: era il primo dei frourion su questo fiume, unica via di collegamento con Poseidonia e perciò, in epoca lucana a partire dagli inizi del IV sec. a.C., particolarmente pericolosa. Qui sono state trovate anche tracce di lavorazione dei metalli.


La “Kora di Elea Più a nord-ovest vi era quello sul Monte della Stella, del quale, dopo l’insediamento militare attuale, non ci restano tracce tangibili, se non in alcuni cocci di ceramica e in una tradizione letteraria che sa di leggenda; si dice che questo frourion si chiamasse Petilia. Certo è che un centro abitato fortificato qui continuò a vivere fino al medioevo sotto il nome di Lucania, e poi di Cilento, fin agli inizi del XIV sec. Anche il Monte della Stella era un'area sacra fin dalla preistoria. Direttamente sporgente sul territorio di Poseidonia, verso ovest, era quella della Punta Carpinina. Ne sono sopravvissute oggi solo alcune grosse pietre squadrate, accatastate lungo la strada che porta alla cosiddetta antenna di Perdifumo; durante i lavori per la sua costruzione, venne spazzato via il basamento, dopo che il grosso dell'edificio era stato smantellato verso la metà del XVIII sec. dai baroni Materazzi di Serramezzana per utilizzarne le pietre per la costruzione del loro palazzo; su alcune di quelle sistemate alla base della torre, si notano alcune lettere greche, con probabilità incise da un cultore dell'epoca per tramandare la memoria dell'origine di quel materiale.


La “Kora di Elea A sud di questa, sulla punta estrema della dorsale delle colline che degradano verso il mare, in località "Croce" di Ortodonico, vi era un luogo di culto che solo di recente è stato segnalato, anche se in passato, ci hanno riferito, in molti qui hanno rinvenuto manufatti di terracotta. I numerosi cocci di ceramica nera, qualche vasetto votivo e le piccole gorgoni fittili, tutto materiale datato al V sec. a.C., presuppongono una frequentazione del luogo sia da parte dei greci che dei Lucani. Nella parte sud, è possibile ipotizzare che almeno una delle alture su cui oggi sorgono Cuccaro Vetere, San Mauro La Bruca e Centola, siano state occupate per il controllo del corso del fiume Lambro, che verosimilmente segnava il limite meridionale della kora, conclusa sul mare dal promontorio di Palinuro. Qui, vi fu uno stanziamento di Enotri, che già alla fine del VI sec. troviamo ellenizzati. Stando a quanto lascia intendere Strabone nel passosopra citato e ad una nota fonte letteraria che parla dei cosiddetti "porti velini" (Virgilio, Eneide, VI, vv.356-357), Palinuro era un portus di Elea, intendendo questo termine nel significato antico del termine usato presso i Romani, cioè di foce di un fiume, insenatura o anfratto atto ad accogliere le navi in secco durante i mesi invernali. Inoltre sul luogo non vi è traccia di presenza lucana.


La “Kora di Elea Non è possibile dire come e quando Palinuro e la vicina Molpa siano entrati a far parte del territorio di Elea. Certo è che scavi archeologici eseguiti nelle due località hanno messo in luce una necropoli (località Saline) della fine del V e inizi del IV sec. a.C., e coevi resti di fortificazioni, di un piccolo centro urbano con acropoli e avanzi di abitazioni, queste ultime del III sec. a.C. Interessanti appaiono, in questo contesto, le due monete di argento, del V sec. a.C., che recano la scritta PalMol, che vanno lette alla luce di una probabile presenza commerciale di due centri, inizialmente ricadenti in due aree diverse: Palinuro nella kora di Elea e Molpa come naturale sbocco sul mare della touta lucana di Fistelia, ma già completamente ellenizzata.


La “Kora di Elea

Queste due monete con la doppia iscrizione, richiamano l'altra di Sirinos-Pyxoe e lasciano presupporre un'alleanza commerciale tra l'eleatica Palinuro e la lucana ma ellenizzata Molpa, accomunate dai comuni interessi di controllo su una zona caratterizzata da una notevole vivacità commerciale. L'abitato di Palinuro praticamente scomparve nel corso del V secolo, quasi improvvisamente: è come se una pestilenza lo abbia distrutto. E ciò ha alimentato la vecchia leggenda che gli abitanti siano stati puniti perché rei della morte del nocchiero di Enea.


La “Kora di Elea Altro insediamento, di notevole interesse, è quello di Omignano Scalo, località "Cerrete", sulla destra dell'Alento, alla confluenza col Vallone dei Greci (e non "dei Dieci", come si trova scritto sulle carte topografiche). Qui sono emersi tratti di muri, una tomba e un impianto per la produzione di laterizi, il tutto databile al IV sec. a.C. Notevoli appaiono anche le tracce insediative scoperte di recente sulla via che portava alla Civitella, lungo il corso del fiume Badalato. Qui, nella località Foresta (comune di Castelnuovo Cilento), sulla riva destra, nei pressi della confluenza col Palistro, sono state rinvenute ampie tracce di una fattoria rurale connessa con lo sfruttamento dei boschi; sono emersi pesi di telaio, cocci di ceramica grezza e muri di rudimentali abitazioni: il tutto databile al IV sec. a.C. Inoltre, poco più a nord-est, in località Grotte di Pattano, sono emerse tredici tombe annesse ad altri edifici rurali.


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