Nisimazine Alba 2009 #6

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Alba Nisimazine

#6

22.03.2009

Una gazzetta speciale pubblicata da NISI MASA, network europeo del cinema giovane A daily gazette published by NISI MASA, European network of young cinema

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EDITORIAL

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ll’inizio della settimana, il team di Nisimazine ha osservato come i festivalieri uno ad uno hanno gradualmente popolato la cittadina di Alba. Domani, torneranno di nuovo a casa, contenti e soddisfatti, con le teste piene d’immagini in movimento.

t the beginning of the week our Nisimazine team observed how the festivaliers gradually populated the little town of Alba one by one. Tomorrow they will head home again, contented, their heads filled with moving images.

In quest’ultimo giorno di festival, alcuni di noi stanno già speculando sull’edizione del prossimo anno, e si fanno le prime scommesse sui possibili film d’apertura. L’anno scorso la scelta cadde su Alba di Gloria (1939), quest’anno su Alba Tragica (1939). Forse l’anno venturo sarà... Ritorno all’alba (1938)? Ritrovarsi all’alba (1954)? I curatori del festival paiono avere una scelta infinita; circa 70 film hanno nel loro titolo italiano la parola alba.

On this last festival day some of us are already speculating about next year’s edition, and the first bets are made on the opening film. Last year Alba di Gloria (1939) got selected, this year Alba Tragica (1939). Maybe next year it will be... Ritorno all’alba (1938)? Ritrovarsi all’alba (1954)? The programmers of the festival seem to have an endless choice; around 70 movies have the word alba in their (Italian) title.

Se la scelta del film d’apertura sulla base del titolo rimarrà una tradizione del festival, chissà, potrebbe avere un’influenza sul mercato cinematografico. Le possibilità di divenire il film d’apertura della prossima edizione del Festival di Alba sono proprio lì, nel titolo. I traduttori potrebbero prendersi un po’ più di libertà nel tradurre i titoli dei film stranieri. I registi stessi potrebbero trarre ispirazione da immagini dell’alba... Se il 2009 porterà con sé molti nuovi film con la parola alba nel titolo, ne sapremo il motivo. Il team di Nisimazine ha visto molta Alba/alba nella settimana appena passata. Spesso abbiamo lavorato fino all’alba, talvolta ci siamo alzati all’alba. Ma in quest’ultima notte del festival, molto probabilmente, andremo tutti... al ba(r).

If choosing the opening film based on its title remains a festival tradition, who knows, it might have an influence on the cinematographic market. The options to increase the chance of opening the next edition of the Alba Festival are right there. Translators could take a little more creative liberty in translating titles of foreign movies. Directors could let themselves get inspired by dawn settings... If 2009 brings along many movies with the word alba in their titles, we’ll know the cause. The Nisimazine team has seen a lot of Alba/alba in the past week. Often we worked until alba, sometimes we got up at alba. But on this last festival night we’ll most likely all go.... al ba(r). Gerdien Smit

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FOTO DEL GIORNO / PICTURE OF THE DAY

FILM DEL GIORNO / FILM OF THE DAY

AFGHAN STAR Havana Marking (UK/Afghanistan, 2008)

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opo aver ascoltato molte opinioni divergenti tra i membri del gruppo di Nisimazine, ho deciso di vedere pure io Afghan Star. Il titolo di questo documentario fa riferimento ad un programma televisivo afgano, versione locale di American Idol, che permette al pubblico di votare per eleggere la futura stella della musica popolare nazionale. Diretto dal giornalista e cineasta britannico Havana Marking, il film segue i quattro concorrenti principali – due ragazzi e due ragazze. La prima scena del film è impressionante: un bambino cieco assai carino intona una famosa canzone tradizionale. Si potrebbe quindi facilmente pensare che si tratti di un altro documentario sulla povertà e il terrorismo nella regione. Ma Afghan Star va oltre. Il film si occupa anche della cultura e costumi afgani prima della presa di potere da parte dei talebani. Mostra com’era il paese negli anni Ottanta e come oggi il popolo afgano stia cercando di tornare ad un assetto sociale similare, utilizzando questo spettacolo televisivo come primo passo (ritenendo che qualsiasi forma di manifestazione culturale possa portare una rivoluzione). Inoltre, il pubblico può votare via SMS, un sistema democratico da tempo assimilato in Occidente, ma quasi un lusso per il popolo afgano.

PHOTO BY JOHANNA SCHUH

Dopo essere stata eliminata dallo spettacolo, Satara, una delle concorrenti, durante la sua ultima canzone danza e scopre i capelli – due atti che non sono permessi nella società afgana. Mentre l’interesse che il film dedica a questi eventi e alle loro conseguenze per Satara potrebbe dare a pensare alla riproposta di cliché abusati, se questi comportamenti sono parte della loro cultura, perché allora non dovrebbero essere parte del documentario?

« Al ba(r)...? »

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fter so many different opinions amongst Nisimazine’s reporters, I went to watch Afghan Star. The title of this documentary refers to an Afghan TV show based on American Idol, which allows people to vote for the next singing star of their country. Directed by British journalist and filmmaker Havana Marking, the film follows the four main competitors – two men and two women.

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EDITORIALE

The first scene is quite striking: a cute blind child singing a famous traditional song. At first you could be forgiven for thinking that this would be one more documentary about poverty and terrorism in the region. But Afghan Star is more than that. The film deals with the culture people used to have before the Taliban were in power. It shows how Afghanis used to behave in the 80s and how they are trying to get back to it using this TV show as a first step (considering any kind of cultural manifestation can bring a revolution!). Moreover, the public can vote by sms, a democracy long assimilated by the West, but almost a luxury for the Afghan population.

Satara, one of the candidates, dances and uncovers her hair in her last song after being eliminated from the show – both of course are not allowed in Afghan society. Whereas the focus that the film places on this sequence of events and their consequences for Satara could be seen as a clichéd representation, if these behaviours are part of their culture then how could they not be part of the documentary?

The film’s ‘plot’ is purposefully structured, with moments of suspense worthy of any L’intreccio del film è strutturato ad arte, con mo- feature film. It’s one of those documentaries menti di suspense degni di qualsiasi film di finzione. made to have a wider appeal, rather than Si tratta di uno di quei documentari realizzati per being appreciated only by a select group of avere una platea più ampia, piuttosto che per esfilm buffs – which is quite a quality. sere apprezzati soltanto da un gruppo selezionato di cinefili – il che è già un pregio. Even Afghan people’s opinions about the show consolidate the documentary’s central idea: Anche le opinioni degli afgani a proposito dello they want to change and to improve their spettacolo consolidano l’idea centrale del docuimage. For me, one more Western person mentario: gli afgani vogliono cambiare e migliorare reflecting on a totally different culture, this la propria immagine. Per me, altra occidentale che documentary aims to build on those wishes. riflette su una cultura del tutto differente, questo Today Afghan Star is our Film of the Day. We documentario intende costruirsi intorno a questi recommend that you watch it and make your desideri. Oggi Afghan Star è il nostro Film del own conclusions. Giorno. Vi raccomandiamo di vederlo e di trarre le vostre conclusioni. Estela Cotes


CRITICA / REVIEW THE CURSE OF THE CAT PEOPLE (Il Giardino delle Streghe) Robert Wise, Gunther von Fritsch (USA, 1944)

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onsiderato il sequel de Il Bacio della Pantera (Cat People, 1942), Il Giardino delle Streghe, commuta il paradigma soprannaturale del suo predecessore in una semplice dissertazione psicologica sul comportamento infantile. Ambientato anni dopo gli eventi narrati nel primo capitolo della serie, la storia segue la vita apparentemente tranquilla di Oliver e Alice (i due sopravvissuti de Il Bacio della Pantera) e della loro figlioletta Amy. La bambina passa la maggior parte del suo tempo sola, allontanandosi dei suoi possibili amici e isolandosi in un mondo tutto interiore, che include pure un’amica immaginaria: Irina. Descrivendo il comportamento di loro figlia con un “tutto ciò è nella tua testa”, piuttosto che con “qualcosa si nasconde nel bosco”, Oliver e Alice fungono da evangelisti del buon senso e del conformismo. L’orrore che aleggia sul film non inquieta Oliver e Alice, i quali si comportano come psicoterapeuti infantili dilettanti.

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Una storia parallela coinvolge una vicina di casa, la Signora Farren, anziana attrice che attrae Amy verso un universo potenzialmente pericoloso ma, che in seguito, si rivela essere solo espressione dello stile di vita teatrale, di una stella che ha da tempo smesso di brillare. La signora Farren e la sua casa, caratterizzata da orrori immaginari, sono il perfetto generatore di mistero, che getta continuamente delle ombre sul lieto fine, messo in salvo in maniera sistematica da Oliver e Alice, rappresentanti del lato luminoso della strada. Qui rintracciamo la qualità sempreverde di questo film, ossia la sua capacità di affrontare il male e le tenebre con una narrazione e uno stile registico sottile e suggestivo.

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onsidered a sequel to the 1942 Cat People, The Curse… switches the supernatural schema of its predecessor for a mild psychological dissertation on child behaviour. Set years after the events in the first instalment of the series, the story follows the seemingly quiet life of Oliver and Alice (the two survivors of the events in Cat People) and their daughter Amy. The child spends most of her time alone, snubbing potential companions and focusing on her inner world, including an imaginary friend, Irena. Oliver and Alice serve as evangelists of sanity and conformity, describing their daughter’s behaviour with an “it’s all in your head”, rather than a “there’s something lurking in the bushes” discourse. The horror humming through the movie doesn’t scare Oliver and Alice, as they act like two amateur child therapists. A side story involves an elderly actress neighbour, Mrs. Farren, who draws Amy into a potentially dangerous entourage, but that later turns out to be only a theatrical lifestyle of a star far past her peak. Mrs. Farren and her house of make-believe horrors are perfect generators of mystery, always casting a shadow over the happy endings delivered periodically by the bright side of the street, Oliver and Alice. Herein lies the evergreen quality of this movie: its capacity to deal with evil and darkness with a moderate, largely suggestive narrative and method of directing.

Mark Racz

-------------------------------------------------------------------------------Renzo Martens è un artista olandese che vive a Bruxelles. Il suo primo lungometraggio Episode 3: Enjoy Poverty (2008) ha avuto la sua prima al Festival internazionale del cinema documentario di Amsterdam e sta ora circolando sia nei festival cinematografici sia nel circuito delle gallerie d’arte. Martens ha viaggiato attraverso il Congo per due anni filmando “l’industria della povertà” dell’Occidente. Nel film lancia un programma di emancipazione in cui rende i congolesi consapevoli del valore economico del loro prodotto da esportazione più redditizio: la povertà filmata. Renzo Martens is a Dutch artist based in Brussels. His first feature Episode 3: Enjoy Poverty (2008) opened the International Documentary Film Festival Amsterdam and is now circulating in both the film festival and gallery circuits. Martens travelled around the Congo for two years filming the Western ‘poverty industry’. In the film he launches an emancipation programme in which he makes the Congolese aware of the economic value of their most lucrative export product: filmed poverty.

INTERVISTA / INTERVIEW

RENZO MARTENS

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pisode 3 is part of a triptych. Could you tell something about the project as a whole?

The first and last parts are completed; the second is in the making. In a way they all try to explain how media producers are forming the world; how they split it up in little ‘ready to eat’ chunks - this way making it easier for the public to consume it, also obliging to their needs. War is not being fought out on the field with bombs and grenades; it’s all about winning the sympathy of the viewers. In order to do so, you have to give them what they need and want. So journalists go to war areas and ask the locals “how do you feel?” Based on these ready-to-eat ‘chunks’ I have to decide who are the ‘evil’ terrorists and who are the ‘poor’ victims. I call it the world as a spectator’s paradise.

How did you unveil these mechanisms in Episode 1 (2003)?

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pisode 3 è parte di un trittico. Puoi dirci qualcosa sul progetto complessivo?

La prima e ultima parte sono completate; la seconda è in fase di produzione. Si può dire che cerchino tutt’e tre di spiegare come i produttori dei media diano forma al mondo; come lo dividono in piccoli bocconi ‘pronti a essere mangiati’ – rendendolo in questo modo più facile da consumare per il pubblico e soddisfando pure i suoi bisogni. La guerra non si combatte sui campi di battaglia con bombe e granate; ciò che conta è vincere il supporto degli spettatori. Per riuscirci, bisogna dare loro ciò di cui hanno bisogno e che desiderano. I giornalisti, quindi, vanno nelle zone di guerra e chiedono alle popolazioni locali “come state?”. Sulla base di questi bocconi ‘pronti a essere mangiati’, io devo decidere chi sono i terroristi ‘cattivi’ e chi sono le ‘povere’ vittime. Io lo chiamo il mondo come paradiso per uno spettatore.

Come hai svelato questi meccanismi in Episode 1 (2003)? Ho realizzato Episode 1 durante la guerra in Cecenia. Mi sono recato lì come delegato della platea degli spettatori, un pubblico che è interessato principalmente a se stesso. Non ho quindi chiesto alla gente come si sentisse prima che gli venissero amputate le gambe e altre domande di questo tipo. Ho chiesto invece loro

come pensassero stessi io. Se pensavano che fossi bello o come dovessi sedurre la mia fidanzata che stava a Bruxelles. Ho chiesto loro ogni tipo di domanda sulle mie preoccupazioni personali e loro hanno reagito. Ho ribaltato le domande perché in realtà riguardano più come stiamo noi e meno come stanno loro.

In Episode 3 adotti diversi ruoli: passi da giornalista ad assistente sociale, da esploratore a missionario che consiglia ai congolesi di ‘accettare la propria povertà’. A che punto il Renzo che vediamo nel film è un personaggio? Sono un personaggio, ma interpreto me stesso. Ho cercato di essere il più realistico e sincero ambasciatore di noi stessi. Questo significa che sono un po’ interessato a loro, ma non troppo. Penso siano un po’ stupidi, altrimenti non sarebbero stati poveri e loro avrebbero colonizzato noi. Se Bono e Madonna cantano canzoni e aiutano l’Africa, io posso fare lo stesso.Voglio aiutarli, ma non se questo significa che i prezzi dei nostri prodotti aumenteranno - allora preferisco che loro siano un po’ più poveri. Per rendere il progetto più realistico, era necessaria una messa a nudo dell’essere umano Renzo Martens. Quindi, sì, sono anche davvero molto me stesso.

I made Episode 1 during the war in Chechnya. I went there as a delegate of the viewing public, an audience that is mostly interested in themselves. So I didn’t ask the people how they felt now their legs had been amputated and those kinds of questions. But I asked them how they thought I felt. If they thought I was handsome or how I should seduce my

girlfriend back in Brussels. I asked them all kinds of questions about my personal worries and they reacted to this. I turned it around because in reality it’s much more about how we feel and less about how they feel.

In Episode 3 you adopt different roles: you switch between being a journalist, a social worker, an explorer and a missionary advising the Congolese to ‘embrace their poverty’. To what extent is the Renzo in the film a character? I am a character, but I’m acting myself. I tried to be the most realistic and sincere ambassador of us. This means I’m a little interested in them, but not too much. I think they are slightly stupid, otherwise they wouldn’t have been poor and would have colonised us instead. If Bono and Madonna sing songs to help Africa, I can do the same thing. I’m willing to help them, but not if this would mean that the prices of our products will increase - then I prefer them to be a bit poorer. In order to make it realistic, a full exposure of the human being Renzo Martens was necessary. So yes, I’m also very much myself.

Gerdien Smit


L’ a n i m a d e l m é l o The soul of melodrama

JOHN M. STAHL

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no dei molti ruoli che un festival cinematografico può svolgere è quello di riportare al centro del proscenio il lavoro di registi un tempo considerati maestri, ma che sono caduti nell’oblio, o per lo meno non sono conosciuti dai più. John M. Stahl è morto quasi sessant’anni fa, quindi è naturale che gran parte degli spettatori non conosca il suo posto nella storia del cinema. Stahl fu una firma di grande importanza nella Hollywood degli anni Venti e Trenta. Nato a New York, diresse 45 film e fu uno dei membri fondatori della Academy of Motion Picture Arts and Sciences. A parte la sua importanza all’interno dell’industria, però, fu anche un forza trainante nello sviluppo del melodramma cinematografico. Il Festival di Alba dedica un omaggio al suo lavoro, mostrando quattro dei suoi film, prodotti uno dopo l’altro tra il 1932 e il 1935. I titoli in questione sono La donna proibita (Back Street), Solo una notte (Only Yesterday), Lo specchio della vita (Imitation of Life) e Al di là delle tenebre (Magnificent Obsession), tutti realizzati per la Universal. Nel 1932 Stahl diresse La donna proibita, la storia di una donna assolutamente devota ad un uomo sposato, che continua a relegarla negli angoli proibiti della propria vita. Il film era interpretato da Irene Dunne, alla sua prima collaborazione con Stahl. L’anno successivo ha diretto Solo una notte, noto come la prima versione cinematografica del romanzo di Stefan Zweig Lettera da una Sconosciuta. Il lavoro di Zweig non fu riconosciuto, perché il film era anche tratto dal libro Only Yesterday: an Informed History of the 1920s di Frederick Lewis Allen. Fu nel 1934 che Stahl realizzò uno dei suoi lavori più importanti, Lo specchio della vita. Il film è interpretato da Claudette Colbert nel ruolo di Bea, una donna bianca alle prese con l’educazione della propria figlia. Bea incontra Delilah (la meravigliosa Louise Beavers), una donna di colore che offre i suoi servizi come cameriera. Anche Delilah ha una figlia dalla pelle piuttosto chiara, Peola, e presto entrambe vengono trattate come membri della famiglia da Bea e sua figlia. Delilah ha una ricetta segreta per i pancake che le rende tutte ricche. Ma col passare del tempo, Peola inizia a vergognarsi del colore della sua pelle e nega le proprie origini e l’identità della madre. Il tema portante del film è offerto dalle tensioni razziali che emergono e dalle relazioni che ne risultano tra le protagoniste. Non sarebbe sbagliato affermare che se oggi si dovesse rifare e distribuire lo stesso film, il soggetto sarebbe ancora tabù. Stahl anticipò molto di quello che sarebbe successo negli anni a venire in merito ai diritti razziali. Douglas Sirk, un altro maestro del melodramma, rifece Lo specchio della vita nel 1959; versione interpretata da Lana Turner. Dopo aver diretto quello che potrebbe essere considerato il suo capolavoro, l’anno successivo Stahl adattò il libro di Llyod C. Douglas Magnificent Obsession in un film in cui recitarono, ancora una volta, una fianco all’altro Irene Dunne e Robert Taylor. Si tratta di una storia di

dolore: la vicenda di Helen, vedova di un famoso dottore e di Robert Merrik, il ragazzo che lei ritiene responsabile della morte del marito. La storia intima, epica e tragica, miscela d’odio e amore, sarebbe considerata al giorno d’oggi esagerata e kitsch ma è un esempio perfetto di ciò che il melodramma significava a quel tempo. Con i suoi film Stahl ha influenzato una vasta gamma di lavori oggi assai popolari; un esempio per tutti, le soap opera. Registi come Martin Scorsese e Pedro Almódovar sono suoi ferventi ammiratori e citano Femmina folle (Leave her to Heaven, 1945) come fonte d’ispirazione per i propri film. Vedere i film di John Stahl attraverso una prospettiva moderna porta a domandarci se vi sia spazio per questo genere di cinema nel mondo d’oggi. D’altro canto, ci rassicura che il cinema ha sempre avuto un’anima. E non v’è sensazione più piacevole.

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ne of the many roles a film festival can perform is the one of bringing into the spotlight the work of directors who were once considered masters but are now forgotten or not very well-known. John M. Stahl died almost 60 years ago, so it’s only natural that most people do not know his place in film history. Stahl was a very important name in Hollywood in the 20s and 30s. Born in New York, he directed 45 films and was one of the founding members of the Academy of Motion Picture Arts and Sciences. But apart from his industry importance, he was also a major force in the development of melodrama in cinema. The Alba Festival is paying homage to his work by showing four of his films, produced one after the other between 1932 and 1935. These titles are Back Street, Only Yesterday, Imitation of Life and Magnificent Obsession, all made for Universal Studios. In 1932 Stahl directed Back Street, the story of a woman completely devoted to a married man, who nevertheless keeps relegating her to the ‘back streets’ of his life. It starred Irene Dunne in her first collaboration with Stahl. The following year he directed Only Yesterday, known as the first screen version of the Stefan Zweig novel Letter from an Unknown Woman. Zweig’s work was not credited, as the film was also based on the book Only Yesterday: an Informed History of the 1920s by Frederick Lewis Allen. It was in 1934 that Stahl made one of his most important works, Imitation of Life. It starred Claudette Colbert as Bea, a white woman trying to raise her daughter, who meets Delilah (the great Louise Beavers), a black woman who offers her services as a maid. Delilah herself has a lighter-complexioned daughter, Peola, and soon they are both seen as family by Bea and her girl. Delilah has a secret pancake recipe that makes them all rich. But as time passes, Peola starts to feel ashamed of her colour and denies her origins and her mother. The film’s main issue is the racial tensions that build up and the relationships that result from them. It is not unfair to say that if the same film were to be made and released nowadays, this would

DENTRO IL FESTIVAL / INTO THE FESTIVAL

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E il vincitore è... ?

e giurie, solitamente, sono imprevedibili. Certo, quando si tratta di arti, allora tutto diventa ancor più imprevedibile, perché tutto dipende dai gusti personali. Ma è un esercizio abituale in un festival provare a indovinare quali film siano i favoriti per la vittoria, e Alba non fa eccezione. Di solito, i film “controversi” ricevono molta attenzione, e questo è il caso di lavori come i documentari Afghan Star e Enjoy Poverty, sguardi dal Primo Mondo su Terzo Mondo. Questo genere di film tende a polarizzare le opinioni e ciò può aiutare a conseguire dei premi. Anche il film giapponese Mubobi ha suscitato un piccola controversia, visto che, mostrando un

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/ And the winner is... ? parto reale, potrebbe attrarre l’attenzione della giuria. Pure le tematiche forti richiamano premi, come nel caso del britannico Better Things, un dramma che si occupa di droghe nella campagna inglese. D’altro canto, film tranquilli e graziosi come il taiwanese No puedo vivir sin ti o il coreano del sud Treeless Mountain potrebbero trovare la propria strada nei cuori dei giurati. È difficile essere un membro di giuria e dover scegliere uno solo tra dieci film come il migliore del festival. Stasera scopriremo tutti il risultato del difficile compito di quest’anno.

-------birth scene, and could attract the atten-

jury, in a general way, can be very unpredictable. Of course if it is dedicated to arts, then it is all the more so, as it deals with personal taste. But a normal exercise in a film festival is to try and guess which films are the favourites to win awards, and in Alba it’s not going to be any different. Usually “controversial” films get lots of attention, and this is the case of the documentaries Afghan Star and Enjoy Poverty, First World looks at Third World themes. These kinds of films tend to polarise opinions and that can be good, regarding awards. Controversy also surrounds the Japanese film Mubobi, which shows a real

FOCUS

tion of the jury. Strong themes also call for awards, as is the case of British drama Better Things, dealing with drugs in the English countryside. On the other hand, calm, sweet films like the Taiwanese No puedo vivir sin ti and the South Korean Treeless Mountain could find their way into the jurors’ hearts. It is hard to be a jury member and have to choose one amongst ten films as the best of a festival. Tonight we’ll all discover the result of this year’s difficult task.

still be a taboo subject. Stahl predicted a huge part of what would happen years later concerning racial rights. Douglas Sirk, another melodrama master, remade Imitation of Life in 1959, a version which starred Lana Turner. After directing what could easily be considered his masterpiece, Stahl went on to adapt Lloyd C. Douglas’s book Magnificent Obsession the following year, which starred once again Irene Dunne alongside Robert Taylor. It is a tale of suffering: the story of Helen, the widow of a famous doctor, and Robert Merrick, the boy she holds responsible for her husband’s death. The personal, epic and tragic tale mixing love and hate would be seen as exaggerated and kitsch nowadays, but it’s a perfect example of what melodrama meant at that time. With his films, Stahl influenced a huge range of works we know of today, soap operas being just one example. Directors such as Martin Scorsese and Pedro Almodóvar are great admirers, citing the 1945 Leave Her to Heaven as a big influence on their own films. Seeing John M. Stahl’s films with a modern perspective makes us ask ourselves if there is place for such a cinema in the world today. On the other hand, it reassures us that cinema has always had a soul. There is no better feeling.

João Cândido Zacharias

PROGRAMMA DEL GIORNO TODAY’S PROGRAMME 9:30 Fondazione Ferrero Fictionscape: Non ci resta che piangere? La fiction di domani fra soap, mélo e immaginario Conversazione con Andrea Salerno e Francesco Scardamaglia Fictionscape: Is there nothing left but to cry? The fiction of tomorrow - between soap, melodrama and imagination Conversation with Andrea Salerno and Francesco Scardamaglia a seguire followed by Radiografia di una lacrima Lezione spettacolo di e con Michele Abatantuono e Nicola Lusuardi X-ray of a tear Performance by Michele Abatantuono and Nicola Lusuardi 15:30 Fondazione Ferrero La passione del credere Conversazione con lo storico David Bidussa, la teologa Cettina Militello e lo scienziato Telmo Pievani The passion of believing Conversation with historian David Bidussa, theologist Cettina Militello and scientist Telmo Pievani 15:30 Cityplex 1 Il conduttore radiofonico Matteo Bordone presenta The Curse of the Cat People Radio host Matteo Bordone presents The Curse of the Cat People

João Cândido Zacharias

18:00 Fondazione Ferrero Cerimonia di premiazione Awards ceremony


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Nisimazine ALBA

CRITICA / REVIEW

L’UDIENZA Marco Ferreri (Italia, 1971)

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medeo vuole vedere il Papa. È un uomo con una missione. Appare all’entrata del Vaticano in una mattina soleggiata e chiede un’udienza con il Papa stesso. Sembra avere una buona ragione (che non scopriremo mai) e alcuni documenti. Le innumerevoli guardie vaticane continuano a spedirlo da un ufficio all’altro. Gli impiegati del burocratico Vaticano non vogliono permettere, costi quel che costi, al visitatore di completare con successo il suo viaggio.

medeo wants to see the Pope. He’s a man on a mission, appearing at the entrance of the Vatican one sunny morning and asking for a meeting with the man himself. He seems to have a good reason (one which we never find out) and some documents. The countless guards keep sending him from office to office. The employees of the bureaucratic Vatican don’t want to let, at any cost, this visitor to successfully complete his journey.

I tentativi di Amedeo sono sorvegliati da un commissario, Aureliano Diaz, che gli spiega come tale richiesta non abbia speranza di successo. La struttura istituzionale del Vaticano non concede questo genere di spontaneità.

Amedeo’s attempts are followed by a poliziotto, Aureliano Diaz, who tries to show him that such a request has no chance of success. The institutional structure that the Vatican has doesn’t allow this kind of spontaneous event.

Piuttosto che segni di fede o zone di preghiera, i principali elementi che si possono riconoscere in Vaticano sono i numerosi uffici, le pile di documenti, gli indaffarati e incompetenti impiegati e i meccanismi di sorveglianza. Il sistema di difesa del Vaticano è qualcosa di cui avere paura: l’inacessibilità del Papa è assicurata da spie, detrattori e prostitute. Lo humour assurdo e gli impliciti messaggi politici del film di Marco Ferreri danno vita ad una classica critica dell’allontanamento della Chiesa italiana dalle vite dei suoi fedeli e la sua trasformazione in una roccaforte di stile corporativo.

Rather than signs of faith and areas for prayer, the main elements you can spot inside the Vatican are numerous offices, piles of documents, busy, clueless employees and surveillance mechanisms. The defence system of the Vatican is something to fear: the inaccessibility of the Pope is ensured by spies, detractors and prostitutes. The absurd humour and political subtexts of Marco Ferreri’s film form a classic critique of the Italian church’s departure from the lives of the believers, and its transformation into a corporatestyle stronghold.

A daily gazette published by the association N I S I M A S A with the support of the Alba International Film Festival and the Youth In Action programme of the European Union EDITORIAL STAFF Director of Publication Matthieu Darras Editors in Chief Paolo Bertolin, Jude Lister

Translators Mirtha Sozzi, Paolo Bertolin Layout Maartje Alders Contributors to this issue Estela Cotes, Martha Lopes Agustín Mango, Ilkin Mehrabov Mark Racz, Johanna Schuh Gerdien Smit, João Cândido Zacharias Printer L’Artigiana S.N.C. Corso Bra, 20 - 12051 ALBA (Cn) ITALY Tel +39 0173 362353 Alba InternationAL Film Festival 2009 Tel - Fax +39 011 4361912 info@albafilmfestival.com

NISI MASA (European Office)

10 rue de l’Echiquier, 75010, Paris, France. Tel + 33 (0)1 53 34 62 78 europe@nisimasa.com W W W. N I S I M Awww.nisimasa.com ZINE.EU

Mark Racz

RITRATTO PORTRAIT

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22. 03. 2009 / # 6

Martha Lopes

AZZA EL-HASSAN Una voce della Palestina

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lla fine del 2002, Azza El-Hassan si è ritrovata bloccata nella sua casa a Ramallah. L’esercito israeliano prese d’assedio la città della Palestina dove viveva. Cosa poteva fare? Decise di registrare la situazione, filmando come i suoi vicini e i bambini cercavano di sopravvivere. Queste immagini divennero il documentario This is Palestine (2001) che mostra le conseguenze della guerra sulle vite dei palestinesi. Attraverso la registrazione di questo aspetto meno conosciuto del conflitto israelo-palestinese divenne una specie di portavoce del suo paese. Azza sostiene di aver scelto il cinema come professione perché aveva storie da raccontare. E davvero le aveva. Nata in Giordania nel 1971, a causa della guerra civile in corso in quella terra si trasferì ben presto in Libano con la sua famiglia. Anni dopo fu il turno del Libano a vivere una guerra civile. Durante questo periodo Azza fu una delle volontarie più giovani negli ospedali, aveva solo 11 anni. Più tardi, la famiglia ritornò ad Amman, in Giordania. Dopo la fine della scuola superiore, nonostante la disapprovazione dei suoi genitori, si trasferì a Londra per studiare cinema. Nel 1996 decise di stabilirsi in Palestina, dove cominciò la sua carriera. I suoi film sembrano voler recuperare la frammentata storia di un paese quasi invisibile. Il documentario Kings and Extras: Digging for a Palestinian Image (2004) segue la ricerca di Azza dei film prodotti dall’Organizzazione di Liberazione della Palestina ((OLP) negli ultimi anni Sessanta e negli anni Settanta. L’OLP utilizzava questi film per documentare la situazione palestinese e per produrre film di propaganda. Nel 1982, quando l’esercito israeliano invase il Libano, i membri dell’OLP furono costretti ad abbandonare il paese e i film svanirono con loro.

A voice of Palestine

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Kings and Extras sviluppa un approccio molto personale, presentando la ricerca di Azza della memoria rubata e distrutta della Palestina. È inoltre interessante notare come in quella terra i film perduti, e la creazione dei filmati in generale, siano visti come qualcosa di superficiale. Come una delle donne intervistate dice: “Non è tempo per il cinema. Se vuoi film drammatici vai al posto di blocco. Guarda gli uomini che vengono legati”. Azza El-Hassan, comunque, crede che la cosa più importante per la Palestina sia continuare a creare cultura. Secondo lei rappresenta il modo per “rivendicare l’umanità”. Afferma anche: “il mio lavoro, e quello degli altri, è molto importante per la nostra salute mentale come popolo”. E apparentemente lei contribuirà a mantenere la salute mentale della sua gente in un modo molto versatile. Il suo prossimo film sarà una fiction chiamata The Story of a Palestinian Gangster. Si tratta della vicenda di un gangster che rapisce un giornalista per modificare la sua immagine criminale. La sceneggiatura è stata sviluppata al Binger Film Lab, in Olanda. Ha anche ricevuto un premio al Festival di Cartagine e al Talent Highlight Market di Berlino. Ora è al TorinoFilmLab, per la fase di sviluppo e la fase di finanziamento, ed è per questo che Azza si trova ad Alba durante la settimana del festival. Per Azza il TorinoFilmLab è un “porto sicuro” dal momento che le offre la possibilità di essere sostenuta nel suo lavoro in ogni passo. Azza vede il futuro della Palestina “buio e tetro”. D’altro canto percepisce la natura del suo lavoro in modo chiaro, quasi come una terapia e conclude: “Ho imparato che i film non creano rivoluzioni e non cambiano il mondo”. “Il motivo per cui racconto una storia palestinese, che direttamente mi riguarda, mi aiuta innanzi tutto a trovare un senso in un mondo che è illogico, ingiusto e irrazionale”.

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t the end of 2000, Azza El-Hassan found herself stuck in her own house in Ramallah. The Israeli Army had laid siege to the Palestinian city where she lived. What could she do? She decided to record the situation, filming how her neighbours and children around were surviving. These images became the documentary This is Palestine (2001), which shows the effects of war over Palestinian lives. By showing the reality of this lesser-known side of the Israel-Palestine conflict, she became a kind of spokeswoman for her country.

In 1996, she decided to settle in Palestine, where she started her career. Her films seem to recover the fragmented history of this almost invisible country.The documentary Kings and Extras: Digging for a Palestinian Image (2004) follows Azza’s search for films produced by the Palestinian Liberation Organization (PLO) in the late sixties and during the seventies. PLO used to document Palestinian realities and produce propaganda films. In 1982, when the Israeli Army invaded Lebanon, the PLO’s members had to abandon the country and the films disappeared with them.

According to Azza, she chose cinema as a living because she thought she had stories to tell. And she really did. Born in Jordan in 1971, because of the civil war taking place there she soon moved to Lebanon with her family. Years later, it was Lebanon’s turn to have a civil war. During this period, Azza was one of the youngest volunteers in the hospitals, at only eleven years old. Later the family went back to Amman, in Jordan. After finishing high school, she went to London to study filmmaking, despite the disapproval of her parents.

Kings and Extras has a very personal touch, being Azza’s search for the stolen and destroyed memory of Palestine. It’s also very interesting to notice how the lost films, and filmmaking in general, is seen as something superficial there. As one of the interviewed women says: “It’s not time for cinema. If you want drama go to the checkpoint. Look at the men being tied up”. Azza El-Hassan, however, thinks that the most important thing for Palestine is to keep on producing culture. In her opinion, it’s a way to “reclaim humanity”. She also says:“my work and the work of others is very important for our sanity as people”.

And apparently she will keep people’s sanity in a very versatile way. Her next film will be a fiction called The Story of a Palestinian Gangster. It’s the story of a gangster who kidnaps a journalist in order to change his criminal image. The script was developed at the Binger Film Lab, in the Netherlands. It received an award at the Carthage Film Festival and at the Talent Highlight Market in Berlin. Now it’s in the TorinoFilmLab for the development and funding stage, the reason why Azza will be in Alba this week. For her, TorinoFilmLab is a “safe haven”, since it offers the possibility to support her work at every step of the project. As for the future of Palestine, Azza sees it as “dim and gloomy”. On the other hand, she perceives the nature of her work very clearly, almost like a therapy: “I learnt that films do not create revolutions and do not change the world”, she concludes. “The fact that I am telling a Palestinian story, which is a personal story as far as I am concerned, firstly helps me to make sense out of a world that is illogical, unjust and irrational”.


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