SELVATICO. Antonio Pedretti

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Catalogo a cura di Eileen Ghiggini

S E LV AT I C O Antonio Pedretti Te s t o d i C l a u d i o L u c c h i n i

GHIGGINI EDIZIONI


S E LVAT I C O A n t o n i o Pe d re t t i Periodo mostra: 15 settembre - 6 ottobre 2018 GHIGGINI 1822 - Galleria d'arte Via Albuzzi 17 - Varese - 0332.284025 galleria@ghiggini.it - www.ghiggini.it Edizione realizzata nel mese di agosto 2018 Tutti i diritti di riproduzione sono riservati a Š GHIGGINI 1822


Incontrare Antonio Pedretti: l'occhio, la mano, la poetica del pittore. L'argomento di questo breve testo è riassunto nel titolo: “Incontrare Antonio Pedretti: l'occhio, la mano, la poetica del pittore”. Con subito, però, un'aggiunta, che è anche una precisazione. Colui che qui si propone come guida all'incontro con l'artista non è un addetto ai lavori. La presentazione di Pedretti è, infatti, affidata a qualcuno che non è né uno storico, né un critico, né un estetologo e nemmeno studente d'arte o competente collezionista o mercante. Con una scelta che, per un verso, potrà apparire discutibile, ma che, per un altro, potrebbe presentare forse anche un vantaggio. Il fatto che io sia sostanzialmente “uno del pubblico” (al massimo con qualche competenza in psicologia dell'arte) mi rende estraneo a quelle convenzioni vigenti nei mondi specialistici, che tanto peso hanno per decidere se un oggetto sia artistico o meno. E dunque mi libera da molti pre-giudizi e mi consente “l'ingenuità” di proporre osservazioni e questioni che proprio il pubblico profano, all'oscuro delle convenzioni dominanti nell'“ambiente”, sovente si pone. Ciò che, dunque, qui mi propongo non è di “capire/far capire” l'arte di Pedretti. Impegnandomi in un'operazione difficilissima e che - tra l'altro - potrebbe apparire persino sterile. Almeno a coloro che condividono l'opinione (da citarsi obbligatoriamente in francese) del grande Henri de Toulouse-Lautrec, secondo il quale “L'art c'est comme la merde: on ne l'explique pas, on le sent”. Piuttosto, il mio (assai più praticabile) obiettivo è quello di fornire qualche avvertimento, che consenta al nostro comune occhio distratto di impegnarsi al fine di “meglio vedere, per meglio comprendere”, sia l'opera che l'autore. E ciò sulla base di una premessa e di una domanda. La premessa è quella già esemplarmente enunciata da Agostino, quando nei “Soliloqui” annota: “Non è la stessa cosa avere gli occhi e guardare e nemmeno è la stessa cosa guardare e vedere”. La domanda, invece, è “cos'è un pittore e cos'è pittura?”.



Una questione per rispondere alla quale il modo più semplice sarebbe prendere in mano un pennello. Perché se, al contrario, decidiamo di ricorrere alle parole, fatalmente scopriremo che le risposte sono molte e che, sebbene esse siano tutte collegate tra loro, ciascuna implica ulteriori domande di natura filosofica e storica. In sostanza, cioè, la faccenda, se esplorata utilizzando il (dominante nella nostra cultura) “sapere della profondità”, si rivela di una complessità davvero abissale. Ma, se la esaminiamo alla luce di quello che potremmo definire “sapere della superficie”, la risposta si rivela non facile e, tuttavia, meravigliosamente semplice. Che si tratti, infatti, di uomini che millenni fa, con terra colorata, tracciavano le forme del bisonte sulle pareti di una caverna o di nostri contemporanei, che comprano i colori e con essi tracciano (sempre) segni su una tela, all'interno di un atelier, la ricetta sembra al fondo semplice e la comprendiamo tutti. Si prendono dei colori e con la mano (eventualmente potenziata dal pennello o altro strumento) si stendono su una superficie. Poi, ad un certo punto (miracolosamente, almeno per noi non addetti ai lavori!), la materia si trasforma in immagine e nasce il dipinto. E quel dipinto ci rivela come e cosa l'occhio dell'autore ha visto e come e cosa la sua anima ha sentito. In sostanza, dunque, gli strumenti fondamentali di cui l'artista-pittore dispone sono l'occhio e la mano, come mezzi espressivi della sua personale poetica. Ma se così è, ne consegue che incontrare un pittore e la sua arte equivale prima di tutto ad accostare il suo modo di guardare/vedere, il suo uso della mano e la sua poetica. Come, del resto, già dichiarava Eugène Delacroix, affermando che “ciò che negli artisti si chiama creazione, altro non è che un modo particolare di vedere”. Mentre, da parte sua, Henri Matisse ad un amico che gli chiedeva come facesse a sentire quale dei suoi quadri fosse veramente valido rispondeva: “Lo si sente nelle mani!”. Questa, dunque, in concreto, la mia proposta a chi voglia incontrare il pittore Pedretti e la sua arte: accostare il suo specifico modo di guardare la realtà (il suo occhio) e il “segno” con cui la “disegna” (la sua mano), cercando di cogliere qualcosa della sua poetica.



L'occhio. Nell'incontrare le immagini dipinte, propongo - a chi vorrà seguire il mio suggerimento - anzitutto di provare a mettere in stand by l'usuale “occhio adattivo” (quello - per intenderci con un esempio - che di fronte al ripiano dove il fruttivendolo ha esposto diversi tipi di frutta ci fa subito dire “questa è una mela e decido o meno di comprarla”), per contemporaneamente attivare l'”occhio esplorativo”. Quello, cioè, che - per continuare nell'esempio - si attiverebbe di per sé qualora in vita nostra non avessimo mai visto prima una mela. Cosicché il nostro sguardo sarebbe costretto ad indugiare, a procedere lentamente e con attenzione, ad esplorare le specifiche proprietà visive dell'“oggetto sconosciuto mela”: la sua eminente anche se non perfetta sfericità; la presenza nell'estremità superiore ed inferiore di due invasature diverse; il colore, magari rosso mattone virante in rosso magenta con velature di un viola vinaccia; la luce che ce lo rende visibile e l'ombra correlata... Insomma, suggerisco di accostare i dipinti con un'attitudine - diciamo così - di “contemplazione”. Nel senso di una visione lenta ed attenta (“per comprendere un quadro ci vuole una sedia” dice Paul Klee), guidata da uno “sguardo di principiante”, più che di esperto. Un guardare con “occhio innocente”, teso non tanto ad interpretare quanto piuttosto a percepire (forme, colori, simmetrie, asimmetrie, ecc.), a sentire (emozioni, risonanze, ecc.), ad immaginare (quanto di invisibile sta dietro il visibile). Procedendo così è, infatti, possibile che qualcosa si mostri, appaia, irrompa nel nostro campo visivo e ci sorprenda, seduca, stupisca. Una fascinazione strana e misteriosa (“che cosa sia la bellezza non so” diceva Albrecht Dürer), che al tempo stesso è però qualcosa di comune, che capita a tutti. Ci sarà poi il tempo e il modo di confrontare questa scoperta del nostro sguardo di principianti con più elaborate letture eventualmente proposte dagli esperti.



La mano. Con questa contemplazione di alcune opere del pittore avremo avuto un assaggio (seppur solo sommario) delle luci, delle ombre, delle introspezioni di Antonio Pedretti. Della sua visione della “vita come natura”. Ma - aggiungiamo adesso - tutto ciò è stato creato dalla mano del pittore. Il che ci porta a considerare la particolarissima e affascinante tecnica dell'artista. Quella di Pedretti è, infatti, una personale forma di pittura gestuale, che ha assonanze con l'Action-painting americana contemporanea. Un'azione pittorica all'inizio della quale non c'è nulla e che, man mano, si traduce in un autentico “corpo a corpo” con la superficie da dipingere, che viene graffiata, stimolata, continuamente rinnovata nella sua energia. Un corpo a corpo, quasi una lotta (o un amplesso?) che coinvolge - insieme alla materia - la mano, il gesto, il conscio e l'inconscio, tutta la persona del pittore. E che produce uno straordinario, ambiguo, affascinante risultato! Sì perché Pedretti - che in apparenza, a livello manifesto non sta facendo del figurativo, ma dell'informale (dell'astratto, una pittura in cui il colore prevale sulla forma) - alla fine da tutto questo informale tira fuori un paesaggio!



La poetica. Occhio e mano sono poi al servizio della poetica del pittore. Poetica intesa, nella definizione del vocabolario, come “complesso delle concezioni, delle idee artistiche, dei modi e delle forme proprie di un poeta, di uno scrittore, di un artista, di un movimento, di un'epoca: la poetica leopardiana; la poetica della nuova pittura...”. Più sinteticamente: il senso che l'artista vuole esprimere/comunicare; i contenuti del suo pensiero visivo e i vissuti della sua anima. Quella di Pedretti è una poetica complessa, con molte sfaccettature. Ancora una volta facendo una scelta “di superficie” (ben diversa - almeno lo spero - da una scelta “superficiale”) mi limito a segnalare il tema del paesaggio come luogo dell'anima. Il paesaggio come autentica poesia. “Una poesia dipinta” che, però, non si può raccontare, perché le parole non sarebbero sufficienti. Una pittura di paesaggio nella quale si sente che “dipingere è azione di autoscoperta, perché ogni buon artista dipinge ciò che è” (Jackson Pollock). Un'operazione per cui il pittore intinge il pennello nella sua anima e dipinge nelle immagini la sua stessa natura. Una pittura che è “un'autentica professione da cieco, perché l'artista non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto” (Pablo Picasso). Luoghi che sono insieme un enigma e una spiegazione. Paesaggi che esaudiscono più che il senso del dove, il senso del quando. Scenari sempre differenti nella loro apparente ripetitività, a dimostrazione che “un paesaggio appare diverso visto da ogni singolo filo d'erba” (Marty Rubin). La prova provata “che l'unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell'avere nuovi occhi” (Marcel Proust). Claudio Lucchini - Psicologo, psicoterapeuta, analista junghiano. Luglio 2018



Pedretti pittore Zen? Nonostante lo scetticismo sempre opposto dall'amico pittore a questa mia lettura, io continuo a percepire un'intrigante assonanza tra l'esperienza poetica di Pedretti e quella da cui scaturisce l'arte Zen e in particolare la poesia haiku. Alcune opere presenti in catalogo sono per questo motivo proposte in abbinamento a dei componimenti haiku del primo grandissimo poeta haijin Matsuo Bashō (Ueno 1644 - Osaka 1694). Lo haiku si è diffuso dal sedicesimo secolo in poi e rende ancora più essenziale la forma poetica tradizionale giapponese fin dalle più antiche origini caratterizzata dalla brevità dello schema metrico e dalla profonda raffinatezza stilistica. Nei versi non esiste la rima. All'interno di ciascun haiku vi è il “kigo”, cioè il riferimento a una delle quattro stagioni attraverso la presenza di un fiore, un animale, una festa, un fenomeno atmosferico. Il “kigo” ha la funzione di stabilire un legame con la natura di cui si percepisce ad ogni istante il respiro mutevole e unico. Claudio Lucchini


Vieni, andiamo, guardiamo la neve fino a restarne sepolti.

Bianco lombardo, olio su tela, 160x120 cm



Verrà quest’anno la neve che insieme a te contemplai?

Bianco lombardo, olio su tela, 140x100 cm



E ora andiamo fino al luogo dove cadremo a contemplare la neve.

Bianco lombardo, olio su tela, 140x100 cm



Languore d’inverno: nel mondo di un solo colore il suono del vento.

Bianco lombardo, olio su tela, 140x100 cm



Chiaro diviene e puro lo specchio tra fiori di neve.

Bianco lombardo, olio su tela, 90x70 cm



II vecchio acquitrino: una rana vi salta dentro, Oh! il rumore dell'acqua.

Paludoso, olio su tela, 100x120 cm




Fine d’anno tutti gli angoli di questo mondo galleggiante, spazzati via.

Ai margini, 2011, olio su tela, 180x250 cm Opera esposta alla 54° edizione della Biennale d'Arte di Venezia





Sulla corrente limpida di Kiyotaki, cadono e si sommergono i verdi aghi di pino.

Paludoso, olio su tela, 130x210 cm





Antonio Pedretti nasce a Gavirate nel 1950. La sua collaborazione con Ghiggini risale al 1970, anno in cui viene allestita la sua prima mostra; da quel momento sono susseguiti numerosi progetti espositivi e dal 1985 partecipa, per diversi anni, con la galleria di Varese ad Arte Fiera Bologna, Expo Arte Bari, Miart Milano e BAF di Bergamo. ELENCO PRINCIPALI MOSTRE: 2018 Genova, Palazzo Ducale, “Ai margini del bianco”, a cura di Angelo Crespi; 2016 Finalborgo, Oratorio dei Disciplinati, “Varigotti Live” a cura di Salvatore Marsiglione; 2015 Voltorre, Chiostro, “Antonio Pedretti. La natura come processo mentale”, a cura di Vittorio Sgarbi; 2014 Varese, Galleria Ghiggini, “PEDRETTI & AELLE”, a cura di Emilio Ghiggini; 2012 Maccagno, Museo Parisi Valle, “Antonio Pedretti. Cortometraggio”, a cura di Stefano Crespi; 2011 Venezia, Corderie dell'Arsenale, Padiglione Italia, 54° Biennale Internazionale d'Arte, a cura di Vittorio Sgarbi; 2009 Sabbioneta, Palazzo Ducale, “Giancarlo Ossola e Antonio Pedretti. Antitesi e simbiosi”, a cura di Claudio Rizzi; 2007 Varese, Galleria Ghiggini, “PEDRETTI & GHIGGINI, dai cassetti segreti”, a cura di Emilio Ghiggini; 2005 Roma, Palazzo Venezia, “Antonio Pedretti. Naturalismo esistenziale”, a cura di Vittorio Sgarbi; 2003 Varese, Castello di Masnago, “Azzurro Amazzonia”, testo di Achille Bonito Oliva; 2001 Lima, Brasilia, Rio de Janeiro, Santiago del Cile, Buenos Aires, “Azzurro Amazzonia”, a cura di Achille Bonito Oliva; 1998 Treviso, Fondazione Cassamarca, “Antonio Pedretti, opere su carta”, a cura di Marco Goldin; 1992 Ferrara, Palazzo dei Diamanti, “Color Palude”, a cura di Enrico Crispolti;


Bianco Lombardo

Stampa tratta da un disegno di Antonio Pedretti realizzato in occasione della mostra presso GHIGGINI 1822 in cento esemplari numerati da 1 a 75 e da I a XXV abbinata alle prime cento copie del catalogo copia n.



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