IL RAGAZZO CHE INCONTRÒ UNA BALENA
Della stessa autrice: La ragazza che rubò un elefante
Emons Edizioni è socia di Leggere per crescere liberi www.ibbyitalia.it
Titolo originale: The Boy Who Met a Whale
Text © Nizrana Farook, 2021
Cover © David Dean, 2021
All rights reserved
© 2023 Emons Italia S.r.l.
Per l’audiolibro: © 2023 Emons Italia S.r.l.
Lettore: Dario Borrello
Regia Francesca Venturi
Tecnico del suono: Alice Salvagni
Studio di registrazione: tracce.studio, Roma
Montaggio: Matteo Fratucello Musiche di Maria Scivoletto
Emons Edizioni
Viale della Piramide Cestia 1c, 00153 Roma www.emonsedizioni.it info@emonsedizioni.it
Impaginazione: Rossella Di Palma
ISBN 978-88-6986-9-662
IL RAGAZZO CHE INCONTRÒ UNA BALENA
Traduzione di Rachele Salerno
Alle Maalu della mia vita, per esserci state sempre, nel sole e nella tempesta.
Capitolo uno
Zheng si aggrappò al parapetto con tutte le sue forze, mentre la nave beccheggiava violentemente nella tempesta.
Stava affondando.
Tutto intorno a lui regnava l’oscurità. Sotto la pioggia sferzante, le onde si schiantavano fragorose contro lo scafo, spinte da un vento tagliente e impetuoso. Nonostante il frastuono, però, la nave era deserta. Dov’erano finiti tutti?
Il ragazzo corse lungo il ponte, inciampando e scivolando fino alla timoniera.
Nessuno.
Ripercorse l’intera imbarcazione e si infilò
sottocoperta, diretto agli alloggi del capitano. Bussò forte, cercando di sovrastare il fracasso dei tuoni e l’ululato del vento, ma era impossibile.
La porta si aprì all’improvviso e ne uscì il primo ufficiale, con una lunga custodia di pelle stretta in mano. Alla vista del ragazzo trasalì e si affrettò a nasconderla dietro la schiena.
«Signore, la tempesta…» attaccò Zheng, ma l’uomo lo allontanò con uno spintone e si avviò a passo rapido lungo il corridoio.
Il ragazzo si tenne alla parete per non perdere l’equilibrio e incespicò nella cabina. Il capitano dormiva della grossa nella sua branda. La stanza era stata saccheggiata: i cassetti erano spalancati e i libri sparpagliati dappertutto.
La nave si inclinò bruscamente e gli oggetti sul pavimento scivolarono in un angolo, dove l’acqua iniziava a raccogliersi e a bagnare i volumi.
Zheng non riusciva a credere ai suoi occhi. L’equipaggio sapeva che era in arrivo una tempesta. Perché il capitano dormiva così profondamente? Perché dormivano tutti? Tutti, a eccezione di…
Si precipitò fuori dalla cabina e si arrampicò sul ponte. Una scialuppa di salvataggio era stata calata in mare e il primo ufficiale si stava preparando a scendere, accompagnato da un uomo che riconobbe come il cuoco.
Il ragazzo li fissò con il cuore stretto in una morsa di terrore, mentre la pioggia continuava a inzupparlo. «Marco!» gridò. «Che cosa hai fatto? Li hai drogati?»
Il primo ufficiale si voltò a guardarlo e si limitò a scrollare le spalle, senza nemmeno prendersi il disturbo di negare. Sotto la pioggia battente, gli uomini si accinsero a scendere sulla scialuppa. D’istinto, Zheng fece un balzo e strappò la custodia di pelle dalla tasca del primo ufficiale.
Si allontanò di corsa sul ponte, mentre i due si lanciavano al suo inseguimento, strillando come ossessi. Un fulmine illuminò la sua sagoma in fuga. La nave scricchiolò e si inclinò. Gli uomini inciamparono e uno dei due cadde a terra. Il ragazzo fece marcia indietro, lo superò con un salto e sfrecciò a tutta velocità davanti all’altro. Il primo ufficiale, furibondo, fece scattare un coltello, la lama brillò argentea nell’oscurità. Correva veloce, aveva quasi raggiunto Zheng, mentre l’acqua che allagava il ponte gli arrivava già alle caviglie.
Era finita. La nave stava affondando ed era troppo tardi per salvare gli altri. Con un grido di angoscia, il ragazzo si gettò oltre il bordo, nella scialuppa di salvataggio.
La nave si inclinò e gemette, emise un forte schianto e si spezzò. I due uomini affacciati al parapetto continuavano a urlargli contro, ma la pioggia cancellava ogni rumore, mentre Zheng remava via a tutta birra, filando-
sela. L’ultima volta che la vide, la nave stava andando alla deriva, muovendosi a scatti.
Il ragazzo urlò al vento e pianse per i suoi amici perduti.
Capitolo due
Il cucciolo di tartaruga strisciò rapido lungo la spiaggia dorata, con il guscio bagnato e incrostato di sabbia. A poco a poco ne emersero decine di altri, i corpi neri e lucidi, le membra scattanti e gli occhietti che brillavano al sole del primo mattino. Trotterellarono verso l’acqua, con le zampette corte che si dimenavano nella sabbia appena smossa. Un branco di minuscole tartarughe, impazienti di fare il loro primo incontro con il mare.
Razi rideva, mentre le tallonava facendo attenzione a non calpestarle. Lo spettacolo non mancava mai di riempirlo di gioia e stupore. Eppure
l’aveva visto centinaia di volte, arrivando presto di mattina in quel tratto di spiaggia per osservare le tartarughe appena nate che correvano in mare sotto i primi raggi del sole. Tra loro ce n’era una bianca, albina, con lucenti linee nere incise sul dorso. Era rimasta indietro e rischiava di perdersi.
«Forza! Dai, che le tue amiche se ne stanno andando!» la incitò.
Sapeva di non doverla toccare, quindi sperava di riuscire a incoraggiarla a voce. E in effetti la tartaruga bianca si rianimò e zampettò dietro alle altre.
In cielo apparve un ibis dal becco giallo. Razi lo tenne d’occhio, nel caso tentasse di attaccare i cuccioli.
Il mare era di un blu grigiastro, che sfumava gradualmente nel turchese brillante dove il sole nascente si rifletteva sulle onde. La spiaggia era circondata da palme da cocco con i tronchi contorti simili a cobra.
In piedi sulla battigia, Razi continuò ad assistere con meraviglia allo spettacolo.
Un’onda arrivò a bagnare le prime tartarughe, che sciamarono in acqua contente. Lui trattenne il respiro. Quel momento lo preoccupava sempre. Le tartarughe sembravano piccole e fragili, ma tutte riuscirono a nuotare via felici, puntini neri sulle onde azzurre che si susseguivano nell’oceano.
Si sedette a gambe incrociate sulla sabbia e le guardò
allontanarsi. Scomparvero rapidamente, immergendosi nelle loro nuove vite. Razi sapeva che le tartarughe tornano sempre sulla spiaggia in cui sono nate per deporre le uova. Un giorno, da grande, sarebbe potuto tornare lì anche lui, per vedere i loro cuccioli.
Era una bella sensazione, ma non scacciava del tutto la tristezza che offuscava il suo mondo, a prescindere da quanto il sole splendesse e le onde danzassero.
I raggi caldi gli pizzicavano la pelle. Poi avvistò qualcosa che galleggiava nell’acqua. Qualcosa di scuro.
Scrutò l’orizzonte. Le tartarughe erano sparite, e comunque era troppo grande per essere una di loro.
Qualunque cosa fosse, puntava verso la spiaggia. Ora la superficie dell’acqua scintillava di un blu brillante, e l’oggetto scuro si avvicinava a ogni onda.
Una barca.
Razi si alzò. Non era una barca da pesca come quelle di Serendib. Era un guscio semplice, senza vele o buttafuori, e più da vicino vide che aveva delle strane scritte incise sullo scafo.
Lettere straniere, pensò eccitato. Da dove proveniva quella barca?
Un’onda la fece inclinare e poi la risollevò, una macchia solitaria nell’oceano deserto. Razi notò qualcosa che sbucava di lato. Qualcosa di piccolo.
Una mano.
Una mano umana! C’era qualcuno dentro! Arretrò, barcollando, e calpestò una conchiglia appuntita. Avvertì a malapena il dolore, mentre fissava la barca che si avvicinava. Si guardò intorno freneticamente in cerca di qualcuno che potesse aiutarlo. Ma, come al solito, la spiaggia era deserta.
La barca si accostava, oscillando. Razi era paralizzato. Doveva entrare in acqua? La paura gli fece contorcere le viscere.
Un gabbiano garrì, facendolo sussultare. Era la scossa di cui aveva bisogno. Corse nell’acqua riscaldata dal sole, inzuppandosi i vestiti, e avanzò rapidamente verso la barca.
Va tutto bene, puoi farcela, si ripeté più e più volte, mentre cercava di ignorare l’acqua che gli arrivava quasi al petto.
Raggiunse la barca e sbirciò oltre il bordo. Un airone si abbassò in picchiata e sfrecciò via di nuovo, lasciando l’eco del suo grido.
Razi deglutì.
Sdraiato sul fondo, immobile e con la pelle bruciata dal sole, c’era un ragazzo.