Misure di Smart Working: modelli “smart” di gestione e organizzazione del personale Lorenzo Ceraudo e Gianluigi Delle Cave La ricerca di un maggiore equilibrio nel binomio “work-life”, il costante progresso tecnologico e il susseguirsi di formule innovative di esecuzione del lavoro rispetto agli standard “classici” aziendali, sono stati fattori determinanti nella definizione, e nella elaborazione, di un nuovo tipo di rapporto di lavoro, che negli ultimi anni ha assunto connotazioni sempre più specifiche e definite. Si tratta dello Smart Working, del “lavoro intelligente”, che annovera tra i suoi principi un concetto rivisitato di “flessibilità aziendale” (riferita, principalmente, ai riassetti di spazi e tempi propri dell’attività lavorativa), il dualismo funzionale azienda-lavoratore, l’implementazione della competitività attraverso l’innovazione del processo di pro-
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duzione. L’approccio smart al lavoro, come sopra descritto, implica così una visione tendente non solo alla valorizzazione del risultato, ma anche al rafforzamento del co-working con il management aziendale, all’introduzione nell’ambiente lavorativo di tecnologie che consentano l’applicazione di misure di flessibilità estrema, alla fidelizzazione del lavoratore, investito di maggiore autonomia e responsabilità.
Tali ordini di pensiero, tuttavia, non hanno ancora trovato una collocazione precisa ed organica all’interno dell’ordinamento italiano in materia giuslavoristica. La conciliazione dei tempi di “vita e lavoro” (prevista, ad esempio, all'interno della normativa dei congedi genitoriali ex D.lgs. 151/2001), la flessibilità oraria identificata spesso con il solo part-time, restano, de facto, misure caratterizzate da una frammentarietà legislativa non sufficientemente adeguata al recepimento del più articolato concetto di Smart Working. Tuttavia, dal punto di vista normativo, è possibile ricavare linee guida utili all’introduzione della formula smart, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, dalle disposizioni comunitarie contenute nell’Accordo Quadro del 16 luglio 2002 o “Accordo Quadro sul Telelavoro”[1]. L’Accordo non ha previsto l’adozione di una specifica direttiva sul tema, lasciando, dunque, ampio margine agli Stati membri sulla scelta delle disposizioni più attinenti all’introduzione della formula del telelavoro nella contrattazione collettiva. La coniugazione delle indicazioni comunitarie con l’introduzione delle misure di Smart Working in Italia si può comunque riscontrare nel Disegno di Legge 2233 sul lavoro autonomo e sul lavoro remoto, recante, tra l’altro, misure volte a favorire, nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinato, l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro. Gli obiettivi contenuti nelle norme del suddetto testo – che, peraltro, è ad oggi rimasto nel limbo della mera proposta legislativa, non essendo ancora concluso il suo percorso parlamentare – sono principalmente mirati ad un miglioramento della c.d. work life balance (conciliazione tra vita privata e lavoro), passando “dal lavoro a timbratura di cartellino al lavoro per obiettivi, dove al lavoratore viene lasciata ampia libertà di auto-organizzarsi a patto che porti a termine gli obiettivi stabiliti nelle scadenze previste". I principi espressi nel testo in parola, allo scopo di dare un perimetro chiaro e netto alla definizione di Smart Working, si pongono, dunque, come necessari e indefettibili e individuano nel lavoro “da remoto”, nell’essenziale utilizzo di strumenti informatici/telematici, nella rideterminazione degli orari lavorativi, nella volontarietà da parte del datore di lavoro di adottare il regime smart con il lavoratore (parametrando diversamente tempi, spazi e luoghi del rapporto lavorativo), nella parità di trattamento tra lo smart worker e il lavoratore subordinato “standard”, le colonne portanti su cui sviluppare la tanto attesa normativa in materia.
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Tuttavia è bene precisare che, nonostante i vantaggi che potrebbero derivare dall’effettiva adozione e applicazione della menzionata normativa, persistono comunque incertezze su possibili utilizzi distorti dei mezzi del lavoro “agile ed intelligente”. Verosimile, infatti, è lo scenario in cui il dissolversi della virtuale linea di demarcazione tra tempo lavorativo e tempo libero rischia di trasformare la giornata in un unico turno di lavoro senza fine. Il legislatore prima, e l’interprete poi, avranno dunque l’arduo compito di declinare correttamente le best practices dello Smart Working con le tutele poste a favore non solo del lavoratore, ma anche del management aziendale e delle aziende stesse, cercando di definire un quadro normativo efficiente per liberare nuove energie e risorse da tutti gli attori coinvolti nel rapporto di lavoro.
Note [1] Il “Telelavoro”, ai sensi del menzionato Accordo Quadro, si sostanzia in un’efficace quanto applicabile formula di Smart Working, prevedendo una pregevole commistione tra flessibilità lavorativa, tecnologia e rivisitazione del rapporto di lavoro standard. Gli autori Lorenzo Ceraudo è Avvocato presso lo Studio Legale Rödl & Partner lorenzo.ceraudo@roedl.it Gianluigi Delle Cave è Dottore presso lo Studio Legale Rödl & Partner gianluigi.dellecave@roedl.it
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