Nuovi spazi fisici e culturali per il futuro della città aumentata - Energia Media

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Nuovi spazi fisici e culturali per il futuro della città aumentata Maurizio Carta

Il termine “antropocene” – creato dal biologo Eugene Stoermer e diffuso e ampliato nel suo significato dal premio nobel per la chimica Paul Crutzen – indica l’epoca geologica in cui viviamo, un’era in cui l’ambiente terrestre, nelle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, è fortemente condizionato dagli effetti dell’azione umana. L’impatto di per sé forte che l’uomo – fin dalla sua comparsa – ha prodotto sugli ecosistemi naturali è aumentato in seguito alla crescita esponenziale della popolazione mondiale registrata nell’ultimo secolo e, in special modo negli ultimi sessanta anni. L’antropizzazione del pianeta ha lasciato e sta lasciando un’impronta ecologica pesante: considerando la straordinaria capacità umana di erodere e consumare risorse in quantità si è arrivati – addirittura – a

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teorizzare che l’unica soluzione per salvare la vita sulla Terra consista nell’estinzione della razza umana. Una soluzione decisamente... radicale. Paradossi a parte, è urgente rivedere o provare a modificare i modelli di vita e di consumo e la massiccia presenza della nostra specie sul pianeta, oggi, dovrebbe avere come obiettivo la messa in comune delle sensibilità, delle passioni, delle capacità e delle competenze.


L’intelligenza collettiva diviene una delle nuove sfide dell’antropocene. O per essere più precisi, del passaggio da un paleoantropocene erosivo, consumatore di risorse e valori, a un “neoantropocene” o “antropocene urbano” nel quale le città sono gli elementi di maggior rilievo. Una rivoluzione composta da alcune sub-rivoluzioni o rivoluzioni parziali fra le quali emergono con forza quella dell’attuale mondo iperconnesso e pervaso dalle TLC e dalla rete internet e quella rappresentata dall’irruzione della tecnologia digitale e dell’intelligenza artificiale. Una terza è riconducibile alle profonde trasformazioni e innovazioni nel sistema produttivo e nel modo stesso di fare impresa rappresentato dal modello start-up. Riguardo a quest’ultimo, un’inserto speciale di “The Economist”, nel gennaio 2014, titolava: “A Cambrian Moment”. Il settimanale britannico assimilava il fenomeno delle cosiddette start-up (tecnologiche in primis) a uno dei momenti più importanti per lo sviluppo della vita, il Cambriano, durante il quale – oltre 500 milioni di anni fa – la Terra è passata dall'essere un pianeta popolato da esseri monocellulari e senza capacità di interazione, a un luogo dove si sviluppavano esseri più complessi, pluricellulari, intelligenti e con capacità relazionale. Le città, dunque, continuano a essere sedi privilegiate dell’innovazione, luoghi dove si producono grandi cambiamenti. Un ruolo che interpretano sin dalle loro origini, ma con un’enorme differenza rispetto al passato: oggi l’innovazione produce effetti esponenzialmente più grandi, veloci e imprevedibili. La nota metafora della “seconda metà della scacchiera” è in grado di spiegare questo effetto moltiplicatorio e non controllabile dovuto all’irrompere di nuove tecnologie. La leggenda narra di come l’imperatore indiano Gupta, vissuto nel VI secolo avanti Cristo, entusiasta per il nuovo gioco degli scacchi volle premiarne l’inventore, esaudendo una sua richiesta, qualsiasi essa fosse. Il saggio inventore ringraziò e disse: “A me basta un chicco di riso nella prima casella degli scacchi, il doppio alla seconda, il doppio della precedente nella terza e così via”. L’imperatore, che non era abituato al calcolo esponenziale, pensò di essersela cavata con poco e cominciò a elargire il riso. Terminate le prime righe della scacchiera, il sovrano ancora rideva, convinto di avere gabbato l’inventore. Se al ventesimo quadrante i chicchi erano già un milione, a metà della scacchiera, al trentaduesimo, il conto era salito a 4 miliardi, più o meno la produzione di una risaia di grandi dimensioni. Pur nella consistenza, si trattava ancora di una cifra ragionevole, di un numero alto ma che conservava dimensioni “reali”, comprensibili e immaginabili dalla mente umana.Ma superata la metà, le cose hanno cominciato a mutare, perdendo sempre più proporzione: all’ultimo quadrante il numero di

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chicchi di riso richiesto dall’inventore superava i 18 quintilioni (e un quintilione è così composto: un 1 seguito da 30 zeri). Una quantità enorme e che difficilmente poteva essere soddisfatta. Come sostengono Andrew McAfee and Erik Brynjolfsson, l’umanità si trova già nella seconda metà della scacchiera, cioè in quella zona caratterizzata da numeri esponenzialmente alti. Al posto dei chicchi di riso, tuttavia, vi sono l’incessante susseguirsi delle innovazioni tecnologiche e i conseguenti e imprevedibili impatti sulle società. È pertanto necessario e urgente trovare un modo, il più possibile efficace, per prevedere e gestire almeno una parte di queste conseguenze, così da non rischiare di venire sommersi da questa straordinaria moltiplicazione di “chicchi di riso”. La sfida futura è, dunque, quella di pianificare una città che, prendendo a prestito un concetto oggi diffuso, definisco “aumentata”. E l’Augmented City ha bisogno di nuovi protocolli, poiché non basta che diventi più intelligente o aumenti l’intelligenza delle sue comunità; piuttosto, ciò che conta è che le aree urbane abbiano protocolli di pianificazione più intelligenti. In sostanza è controproducente continuare a immettere tecnologie in un corpo vetusto: si rischierebbe solamente far assomigliare le nostre città a degli organismi compositi, accozzaglia di protesi. A partire dalle dieci componenti/sfide della Augmented City che ho descritto in un recente libro, prendiamone in considerazione quattro, rilevanti per l’attuale discussione. Prima, una città aumentata è senziente perché ha bisogno di nuove fonti, parametri e strumenti per rafforzare gli strumenti cognitivi, valutativi e attuativi di un'urbanistica sempre più basata sulla conoscenza istantanea e distribuita e capace di produrre soluzioni tempestive, efficaci, solide e orientate ad uno scenario di cooperazione. Seconda, una città aumentata è anche collaborativa perché necessita dell'alleanza strutturale tra le dimensioni civica-tecnologica-urbana per agire efficacemente nella Sharing Society in cui viviamo, generando nuove forme dello spazio collettivo. Terzo elemento, la città non è non solo smart, ma anche intelligente, ovvero capace di generare un ecosistema abilitante basato sull'hardware fornito dalla qualità degli spazi urbani e sul software codificato dalla cittadinanza attiva, ma soprattutto dotato di un nuovo sistema operativo costituito da un'urbanistica e da un progetto urbano avanzati, capaci di rispondere alle mutate domande della contemporaneità. E infine, una Augmented City è produttiva perché le città del futuro prossimo dovranno incentivare la territorializzazione dei makers all'interno di un nuovi distretti urbani creativi/produttivi per stimolare, agevolare e localizzare adeguatamente il ritorno della produzione negli spazi urbani,

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nelle forme delle nuove manifatture digitali; in vista della ricostituzione di un’indispensabile base economica delle città, soprattutto dopo gli anni segnati dell’euforia per la città dei servizi (si immagina un ritorno alla produzione con l’emergere di una nuova figura di “artigiano urbano”, secondo la visione dell’economista Larry Katz). Guardiamo ora a un caso concreto, Palermo. Considerare la città siciliana come una augmented metropolis significa riconoscere un ampliamento significativo del campo di azione, dei confini e delle ambizioni che, smettendo di essere strettamente urbani, si allargano invece a un’area metropolitana più ampia. Se si guarda a Palermo come città, dal perimetro più contenuto, l’obiettivo è arrivare a un piano strategico che lavori e incentivi la rigenerazione urbana, provando ad accelerare la trasformazione da una realtà monocentrica a una policentrica che consideri anche la nuova dimensione metropolitana. Palermo, infatti, ha un forte problema di eccesso di monocentrismo, una città che negli anni dal secondo dopoguerra in poi, con l’accelerazione seguita all’approvazione del piano regolatore degli anni Sessanta, ha dato vita – sbagliando – a un modello insediativo fortemente centrale, denso di funzioni, di qualità, di localizzazione di servizi a cui si è contrapposto, nel tempo, un continuato e insostenibile processo di periferizzazione. Ripensare lo spazio urbano significa anche ridistribuire meglio i servizi dove servono. Come si è già fatto cenno, la città aumentata è più senziente: l’attuale e ampio sistema di sensori raccoglie dati da diverse fonti, alcune pubbliche, ma molte altre private, come quelle provenienti dalle numerose applicazioni mobile che spingono gli utenti di smartphone o tablet a un’interazione con lo spazio urbano circostante (geolocalizzazione, tag, commenti, etc.). I dati raccolti ed elaborati contribuiscono alla composizione di una mappa dinamica della vita cittadina e dunque dei suoi bisogni. L’obiettivo è monitorare e capire i luoghi dove vi è maggiore carenza di servizi pubblici e dove, magari, si registra un’inutile sovrabbondanza. Analizzare e monitorare la città del futuro in un’ottica Augmented, richiede un’attenta analisi dei dati e delle informazioni che in essa transitano direttamente e indirettamente. Nel primo caso avremo delle informazioni il cui soggetto principale è la città stessa nei suoi aspetti emergenti (es. rifiuti, consumi energetici degli edifici pubblici, dati da centraline, ecc.); nel secondo caso ci troveremo davanti a informazioni in cui la città è trattata trasversalmente o in cui la matrice delle informazioni non è la città stessa, ma un ambito spaziale più ampio e diffuso (es. dati sul traffico da Google, social network, ecc.). Per osservare correttamente la città in evoluzione è stato istituito presso l’Università di Palermo lo Smart Planning Lab, diretto da chi scrive, un laboratorio di ricerca applicata per la promozione della cultura delle smart cities and communities e per la predisposizione di metodi, protocolli e strumenti per città più intelligenti, sostenibili e creative. Energia Media - luglio 2017

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A partire da metodiche e protocolli già sperimentati in altri laboratori analoghi (il Senseable Lab di Carlo Ratti al MIT di Boston o lo IAAC di Barcelona) sono state prodotte alcune mappe non convenzionali di Palermo che hanno permesso di comprenderne la natura Augmented: a. Crowd’s movement analysis su base dati geolocalizzati Twitter per fasce orarie. Tale analisi consente di monitorare la “firma urbana” per fasce orarie a partire dalle prime ore del mattino fino alle tarde ore della sera consentendo di individuare luoghi attrattori e/o criticità a livello urbano sul tema della mobilità; b. Analisi di incrocio tra Crowd’s mobility e trasporto pubblico di massa. L’elaborazione consente di verificare il grado di accessibilità dei luoghi maggiormente attivi dal punto di vista sociale, indirizzando e/o confermando le politiche di rinnovamento del sistema di trasporto pubblico; c. Analisi di Place Detection da fonte Facebook e Foursquare. Incrociando il valore semantico dei Tag geolocalizzati provenienti da Facebook e Foursquare è possibile mappare i luoghi della maggiore attività urbana. Tale analisi consente di classificare parti di città in relazione alla loro vitalità sociale rendendo disponibili informazioni, ad esempio, per azioni di decentramento o di incentivo e potenziamento di luoghi che hanno avviato processi di gravitazione a scala urbana; d. analisi diffusa (per interpolazione) per archi temporali (mesi) del consumo energetico urbano incrociato con le principali fonti (esistenti e di progetto) di consumo energetico (es. progetto car-sharing con vetture elettriche); e. analisi sintetica per media zonale su base Istat del consumo energetico urbano. Tale analisi consente di monitorare il consumo medio annuale della città articolato per singole unità censuarie al fine di individuare “cellule” di alto consumo e “cellule” virtuose; f. analisi del consumo medio energetico delle fonti di consumo pubbliche (es. servizi pubblici, impianti semaforici e illuminazione pubblica, Tram). Tale informazione consente di monitorare il livello di illuminazione pubblica all’interno di attività di monitoraggio in materia di sicurezza urbana e consumo da fonti pubbliche. I dati sui consumi energetici analizzati secondo gli approcci descritti sopra, consentono non soltanto di produrre nuove mappe conoscitive della “impronta energetica” urbana, ma consentono anche, se messe a regime con scansioni periodiche in modalità batch, di monitorare, se pur con uno scarto in differita a scala mensile, eventuali anomalie energetiche urbane e indirizzare eventuali investimenti futuri, come ad esempio la localizzazione di nuovi insediamenti commerciali e/o produttivi (potenziali grandi consumatori di energia). Energia Media - luglio 2017

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La Augmented City richiede una nuova pianificazione urbanistica e una gestione urbana in che siano processi in continuo divenire, capaci di attingere a diverse fonti da differenti sensori, adattivi e responsive in tempo reale, intelligenti e dunque in grado di rispondere tempestivamente ai problemi urbani in materia di manutenzione, mobilità, sicurezza, qualità ed energia.

L’Autore Maurizio Carta è architetto, professore ordinario di Urbanistica Dipartimento di Architettura e Presidente della Scuola Politecnica, Università degli Studi di Palermo maurizio.carta@unipa.it

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