Energia Paper 6/2016
Il futuro dell’energia in Europa tra regolazione e mercato unico
Energia Media Energia Media è un’agenzia di comunicazione e relazioni che opera, principalmente, nei settori energy, utility e smart city. Sviluppa strategie comunicative, facilita le relazioni, elabora contenuti e informazione. Sostiene le aziende migliorandone il posizionamento e creando occasioni di business. Affianca associazioni e istituzioni in programmi di comunicazione pensati per aumentare la reputazione nei confronti dei propri stakeholder. Energia Media nasce nel 2013, a Milano, dall'esperienza maturata da un gruppo di persone in oltre vent’anni di lavoro nel campo dell’informazione, delle relazioni e della consulenza strategica nei settori energy e utility. Tutte le immagini e fotografia presenti in questo Paper sono state regolarmente acquistate su banche dati. Nel caso in cui l’autore ritenga che siano state violate le regole di copyright, è pregato di segnalarlo al seguente indirizzo: comunicazione@energiamedia.it ©Energia Media - novembre 2015
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Interventi Carlo Stagnaro - Ministero Sviluppo Economico Laura Ammannati - UniversitĂ degli Studi di Milano Giuseppe Montesano - Enel Maria Elena Fumagalli - Edison Roberto Pozzi - A2A Hannelore Rocchio - Eni Alberto Biancardi - Aeegsi
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Il futuro dell’energia in Europa tra regolazione e mercato unico FORMAZIONE PERMANENTE OSSERVATORIO SULLA REGOLAZIONE AMMINISTRATIVA UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO
Il presente paper prende spunto dalle riflessioni emerse durante il seminario “Il futuro dell’energia in Europa tra regolazione e mercato unico”, svoltosi a Milano il 15 Luglio 2015, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
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Nota introduttiva Come spesso è successo nella storia, i temi energetici sono stati anticipatori di fenomeni e movimenti geo politici che si sono poi nel tempo aperti a tutti gli ambiti della vita di cittadini e imprese. In un momento in cui si fa sempre più impellente e forte l’invito da più parti a fare dell’Europa un continente unito da una strategia comune su tutti i piani, affrontare il tema dell’Energy Union riteniamo sia quanto di più attuale si possa oggi portare all’attenzione. La qualità degli autori che hanno contribuito alla realizzazione di questo working paper ci consente peraltro di affermare senza paura di smentite che si tratta di un documento in grado di dare informazioni utili e aprire spazi “alti” di discussione a ogni livello, sia esso istituzionale, imprenditoriale o della ricerca. Ringraziamo quindi l’”Osservatorio sulla Regolazione Amministrativa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore” di Milano e in particolare i professori Enzo Pontarollo e Mauro Renna per aver lavorato con Energia Media alla raccolta dei contributi e alla realizzazione di un importante Convegno sulle tematiche qui espresse. Ci auspichiamo peraltro che sul tema possano giungerci dai lettori ulteriori contributi così da mantenere alta l’attenzione su questioni fondamentali che segneranno il futuro – e non solo energetico – di cittadini e imprese.
Interventi
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Carlo STAGNARO
Introduzione
Ministero Sviluppo Economico
La liberalizzazione e integrazione dei mercati elettrici nell’Unione europea ha fatto importanti passi avanti nei quasi vent’anni che ci separano dalla prima direttiva in materia (la 1996/92/EC). I progressi sono però stati diseguali, sia in relazione ai risultati raggiunti dai singoli Stati membri, sia in merito al grado di apertura nei vari stadi della filiera. Non v’è dubbio, sotto questo profilo, che l’anello più debole della catena sia rappresentato dai mercati retail. L’asimmetria tra il grado di sviluppo – o, per usare un termine forse più appropriato, di “ristrutturazione” – dei mercati all’ingrosso e al dettaglio deriva anche da alcuni elementi strutturali che rendono più complessa la rivoluzione concorrenziale in questi ultimi. In particolare, come spiega Joskow (2008), “si presume che la concorrenza sia una buona cosa per i grandi consumatori, per i quali i costi di transazione sono inferiori, le opportunità della gestione del rischio e della domanda sono maggiori, e si suppone che i consumatori stessi siano capaci di acquistare [l’energia] in modo intelligente”. Le parole di Joskow presuppongono in particolare una grande attenzione alla regolamentazione dei mercati retail e alle modalità adottate nella pratica per proteggere i consumatori, ma rimandano anche all’esigenza di non allontanarsi eccessivamente dal “textbook model of restructuring”. Rispetto alle sue preoccupazioni, espresse ormai quasi dieci anni fa, oggi alcuni aspetti di primaria importanza sono cambiati: grazie essenzialmente al progresso tecnologico e alla diffusione di smartphone, smart application e smart technologies (e, sempre più, smart meters) i costi di transazione sono calati notevolmente anche per i piccoli consumatori. Un numero crescente di Paesi (da ultima, la Spagna) adottano soluzioni per il real time pricing anche per i piccoli consumatori, mentre il controllo sulle scelte di consumo può essere esercitato più facilmente e con maggiore consapevolezza. La stessa disponibilità e accessibilità dell’informazione è destina-
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ta ad aumentare in prospettiva, contribuendo ulteriormente a ridurre i costi di transazione. È probabilmente anche alla luce di queste evoluzioni che la Commissione europea ha posto una nuova enfasi, nei documenti più recenti, sulla liberalizzazione dei mercati retail, con particolare attenzione al superamento delle residue regolamentazioni di prezzo o altre intrusioni pubbliche nella libertà di scelta dei consumatori. Tale enfasi trova riscontro nella comunicazione sull’Unione dell’energia (EC 2015a) ed è addirittura oggetto di una comunicazione ad hoc (EC 2015b). Dal punto di vista della Commissione, la piena apertura concorrenziale dei mercati retail – e il superamento di schemi antiquati e paternalisti di tutela del consumatore – non è solo un bene in sé, ma è anche strumentale a raggiungere la piena integrazione dei mercati, evitando che quelle forme di balcanizzazione scardinate dal target model europeo a livello wholesale si riproducano a livello retail in virtù della natura prevalentemente nazionale di questi mercati. fInfatti, il grado di apertura dei mercati retail appare quanto mai eterogeneo, a dispetto dei vari anni ormai trascorsi dall’ultimo pacchetto di direttive (IBL 2014). Nel mezzo di questo processo – a cui anche l’Italia partecipa con la previsione di superare la “maggior tutela” contenuta nel disegno di legge annuale per la concorrenza (1) è arrivata come un fulmine a ciel sereno la proposta della Competition and Markets Authority (Cma, l’Antitrust britannico) di introdurre qualche forma di prezzo più o meno amministrato, seppure solo “transitoriamente” e con l’obiettivo di proteggere i clienti “disengaged”. Se il Paese che Joskow (2008) definisce “il gold standard della riforma elettrica” fa marcia indietro, è giustificabile che gli altri Stati membri dell’Unione vadano avanti? Per rispondere occorre entrare nel merito dell’indagine e delle proposte della Cma (2015a e 2015b). Il ritorno ai prezzi regolati nel Regno Unito: marcia indietro o illusione ottica? Alla domanda si potrebbe rispondere che, formalmente, l’Antitrust inglese ha semplicemente presentato delle proposte (per ora preliminari), le quali potranno essere accolte oppure no da Ofgem (il regolatore di settore) o dal Decc (il “ministero” competente). L’analisi della Cma merita però di essere presa sul serio. Essa tocca vari aspetti. In questa sede ci si concentrerà sui problemi e le soluzioni individuate in relazione ai mercati retail. In primo luogo, la Cma svolge un esame dei mercati retail che si discosta in maniera significativa da una precedente indagine condotta dalla stessa Cma congiuntamente con Ofgem e con l’Office of Fair Trading (Oft, Ofgem e Cma 2014). (1) Artt.19-21 del Disegno di legge annuale per la concorrenza (attualmente in discussione alla Camera dei deputati come AC3012 presentato il 3 aprile 2015).
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In quella sede si osservava che l’andamento dei prezzi retail lasciava supporre un esercizio eccessivo del potere di mercato da parte degli operatori dominanti (le “Big Six”). Il dito veniva puntato in particolare sull’inerzia della domanda, il sospetto di fenomeni di collusione tacita tra gli operatori, e i potenziali effetti anticompetitivi derivanti dall’integrazione verticale tra la generazione e la vendita di energia elettrica (per una ricostruzione sintetica si veda Benedettini 2015). I risultati preliminari ottenuti dalla Cma, però, rovesciano in buona parte questa interpretazione. In primo luogo, Cma scrive che un’analisi più attenta dei dati disponibili non supporta la tesi che gli aumenti dei prezzi e dei margini siano riconducibili alla collusione tacita o all’integrazione verticale. Secondariamente, essa sottolinea che l’aumento dei prezzi è in buona parte guidato dall’aumento delle componenti parafiscali della bolletta elettrica, con particolare riferimento agli oneri sociali e ambientali. L’enfasi si sposta quindi sull’inerzia dei consumatori: il dato più importante, secondo Cma, è quello relativo a circa un terzo dei clienti domestici che non hanno mai cambiato fornitore né intendono farlo. Questo dato è tanto più preoccupante se si tiene conto che la scarsa propensione allo switching è particolarmente pronunciata tra i consumatori a basso reddito o a basso livello di educazione (due caratteristiche che, oltre tutto, tendono a essere corre-
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late positivamente). Secondo l’Antitrust britannico occorre, quindi, intervenire dal lato della domanda, più che dal lato dell’offerta. Per la Cma, a tale scopo occorre sia rimuovere gli ostacoli alla mobilità della domanda, sia identificare degli strumenti di protezione per quei consumatori che non hanno intenzione di cambiare offerta o fornitore. Del primo gruppo di misure fanno parte, tra l’altro, una profonda revisione degli interventi introdotti da Ofgem a partire dal 2009, e in particolare il pacchetto cosiddetto “simple choices”. Tale pacchetto limita il numero e la tipologia delle offerte commerciali praticabili, con lo scopo di favorire la comprensione delle alternative disponibili ai consumatori, ma paradossalmente ha portato a una minore differenziazione dell’offerta e all’eliminazione delle offerte più convenienti. Inoltre, la Cma argomenta che i molti siti disponibili per la comparazione delle offerte causano una eccessiva polifonia, e quindi suggerisce la creazione di un sito istituzionale gestito da Ofgem in modo da fornire una maggiore certezza su quali siano le offerte più convenienti, date le esigenze del cliente e le eventuali componenti aggiuntive del servizio che egli può ritenere desiderabili (per due punti di vista alternativi sul tema, si vedano Waddams 2015 e Littlechild 2015). Tuttavia, anche rimuovendo ogni barriera alla mobilità della domanda e creando le condizioni per una maggiore contendibilità delle offerte commerciali, secondo la Cma resterà sempre una fascia di consumatori troppo “pigra”. Tali consumatori vanno protetti per evitare che gli operatori possano esercitare potere di mercato nei loro confronti. Attualmente, infatti, i consumatori che non optano per una specifica offerta – o che hanno sottoscritto un’offerta poi scaduta – vengono ricondotti alle offerte “standard” (e meno convenienti) dalle Big Six. Di conseguenza, Cma suggerisce l’introduzione di alcune “salvaguardie transitorie per i consumatori inattivi”. A dispetto di quanto è emerso da alcune semplificazioni giornalistiche, Cma non sta proponendo un vero e proprio ritorno alla regolamentazione dei prezzi retail attraverso forme di price cap. Vi è infatti piena consapevolezza che questo “potrebbe avere pesanti ripercussioni sulla concorrenza, reintroducendo di fatto una regolamentazione di prezzo ad ampio raggio sui mercati retail in generale”. Di conseguenza, tale salvaguardia transitoria dovrebbe lasciare qualche “spazio di manovra”: i prezzi “regolati” dovrebbero infatti essere né troppo bassi (perché’ in tal caso “danneggerebbero la concorrenza, minando l’incentivo per i consumatori di essere attivi sul mercato”) né troppo alti (“nel migliore dei casi non fornirebbero alcuna protezione ai consumatori, nel peggiore fornirebbero potenzialmente un focal point più elevato per fissare le offerte standard”).
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Quella suggerita da Cma sembra una vera e propria politica di ultima istanza. Essa tuttavia non è a sua volta priva di controindicazioni: alcune emergono dall’esame della situazione italiana. Londra, Italia L’attuale sistema della “maggior tutela” vigente nel nostro Paese, infatti, sembra non molto distante da quanto Cma auspica sia introdotto in Gran Bretagna. Per utilizzare una descrizione che ne è stata data dal soggetto cardine della maggior tutela, cioè l’Acquirente Unico, “Il prezzo della maggior tutela non è un prezzo amministrato, trattandosi di un prezzo che riflette il mercato all’ingrosso e che funge da benchmark per il cliente finale, al fine di confrontare le offerte sul mercato libero e valutarne la congruità” (AU 2015). In pratica, il prezzo di tutela è costruito in modo tale da “mimare” quello che ci si attende sia il comportamento di un operatore di mercato, tant’è che contiene una componente che riflette i costi di commercializzazione stimati di un nuovo entrante. Pur tenendo conto che ci troviamo in un contesto estremamente complesso, nel quale intervengono molte variabili, proprio per la stessa ragione per cui Cma ritiene che l’introduzione di un simile meccanismo possa essere un game changer in UK, esso non può non essere ritenuto l’ “elefante nella stanza” in Italia. La seguente Tabella riporta un confronto tra Italia e Gran Bretagna in relazione ai principali indicatori ai fini della valutazione finora condotta. In particolare, si tratta di misure sia dell’inattività dei clienti inattivi (per esempio la quota
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dei consumatori che non switchano) sia di attività dei clienti attivi (per esempio il tasso di switching). In altre parole, obiettivo delle politiche deve essere quello di ridurre la quota di clienti inattivi, e di rendere i più dinamici possibili quelli attivi. Italia
UK
Consumatori sotto “offerte standard”*
75%
~63%
Clienti “in sonno”**
73%
34-56%
Tasso di switching
7%
Risparmio massimo dallo switching***
11%
Costo energia / Bolletta
~40%
12% 8-22% ~50%
Tabella 1. Confronto tra Italia e UK rispetto ad alcuni indicatori. Fonte: elaborazione su dati Cma, Aeegsi, Acer. Note: * Per la Gran Bretagna si è fatto riferimento alla quota dei clienti sotto offerte standard (70%) per la quota di mercato delle Big Six (90%); ** Per l’Italia si fa riferimento al sondaggio condotto da Aeegsi nell’ambito dell’indagine sui mercati retail 2013; per la Gran Bretagna a due diverse domande nell’ambito di un’analoga indagine condotta nel 2014; *** Per l’Italia si fa riferimento a una serie di estrazioni effettuate tramite il Trova Offerte ai fini del presente articolo.
La Tabella 1 non fornisce risposte, in quanto riporta, al più, alcuni elementi di evidenza descrittiva. In particolare, essa non tiene conto di una serie di fattori che possono avere un impatto rilevante sul comportamento dei consumatori: le tempistiche di switching e fatturazione, la difficoltà nel reperire informazioni, ecc. Tuttavia è significativo che su ciascun indicatore di engagement dei consumatori l’Italia abbia una performance peggiore della Gran Bretagna. Indubbiamente molte ragioni possono contribuire a spiegare questo fenomeno, ma difficilmente si può ignorare l’esistenza e l’effetto, sui comportamenti dei consumatori e degli stessi operatori, della maggior tutela. In altre parole, la soluzione auspicata dalla Cma per la Gran Bretagna non sembra efficace, almeno ai fini della promozione dell’attivismo dei consumatori, in un Paese nel quale esiste un meccanismo analogo. Piuttosto, il confronto sembra sollevare una serie di domande: fino a che punto i clienti disengaged vanno protetti, e fino a che punto le politiche di protezione del consumatore
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vanno disegnate sul consumatore “più pigro” anziché’, per esempio, sul consumatore mediano? Le politiche pubbliche dovrebbero occuparsi di tutti coloro che non cambiano fornitore, oppure solo di quelli che si trovano in particolari condizioni, per esempio le famiglie a basso reddito? È possibile che l’esistenza di un’offerta pubblica di riferimento spinga i consumatori a sentirsi “maggiormente tutelati” e, quindi, a ridurre ulteriormente la loro propensione alla mobilità (Waddams 2015)? È possibile che la presenza di offerte standard con l’aura della provenienza pubblica disincentivi la modernizzazione e la differenziazione delle offerte, favorendo la percezione che l’oggetto delle transazioni sia il mero kWh piuttosto che un pacchetto complesso di servizi (per esempio l’efficienza energetica)? Quali sono le conseguenze dell’esistenza di un bechmark e, in particolare, essa agisce o no da focal point? È difficile rispondere a queste domande senza condurre analisi approfondite, che tuttavia soffrono della carenza di dati adeguati. Eppure, esse appaiono ragionevoli alla luce sia del sommario confronto che è stato qui condotto, sia in considerazione della più ampia evidenza raccolta da Acer (2014), che proprio su queste basi assegna grande importanza al superamento delle regolamentazioni di prezzo e di strumenti che producono conseguenze analoghe. Le osservazioni rivolte alla Cma da un gruppo di ex regolatori britannici sembrano andare esattamente in questa direzione, mettendo in guardia contro le conseguenze inintenzionali di scelte di cambiamento radicale (Littlechild et al. 2015). In conclusione, la liberalizzazione dei mercati retail è un terreno in buona parte inesplorato, anche perché’ la continua riduzione dei costi di transazione resa possibile dall’evoluzione tecnologica sta cambiando lo scenario in modo assai rapido. È importante non vedere solo i rischi ma anche le crescenti opportunità della concorrenza. Ma, a questo scopo, è necessario accompagnare la liberalizzazione con un disegno di mercato attento e aperto. Per tornare a Joskow, in sostanza, un disegno di mercato che non si discosti dalle prescrizioni da “libro di testo” e che ci concentri più sul contesto nel quale si svolge il confronto competitivo che sulla pretesa paternalistica di determinarne gli esiti.
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Bibliografia ACER (2014), Annual Report on the Results of Monitoring the Internal Electricity and Natural Gas Markets in 2013, ACER, Ljubljana, SI. AU (2015), “Indagine conoscitiva sui prezzi dell’energia elettrica e del gas come fattore strategico per la crescita del sistema produttivo del Paese”, Memoria per il seguito dell’Audizione presso la X Commissione Industria, Commercio, Turismo del Senato, 15 maggio 2015. BENEDETTINI, S. (2015), “Energia e retail: la (vera) lezione del Regno Unito”, Staffetta Quotidiana, 17 giugno 2015. CMA (2015a), “Energy market investigation. Provisional findings report”, 7 luglio 2015. CMA (2015b), “Energy market investigation. Notice of possible remedies”, 7 luglio 2015. EC (2015a), “A Framework Strategy for a Resilient Energy Union with a Forward-Looking Climate Change Policy”, COM(2015) 80 final. EC (2015b), “Delivering a New Deal for Energy Consumers”, SWD (2015) 141 final. IBL (2014), Indice delle liberalizzazioni, IBL Libri, Torino. JOSKOW, P.L. (2008), "Lessons Learned From Electricity Markets Liberalization", The Energy Journal, Special Issue. The Future of Electricity: Papers in Honor of David Newbery. LITTLECHILD, S. (2015), “A Regulator’s Price Comparison Website is Not Sensible: comment on Catherine Waddams’s blog post”, University of East Anglia – Centre for Competition Policy, Competition Policy Blog, 9 luglio 2015. LITTLECHILD, S., MCCARTHY, C., MARSHALL, E., SMITH, S. e SPOTTISWOODE, C. (2015), “Submission on Summary of Provisional Findings and Notice of Possible Remedies”, 16 luglio 2015. OFT, OFGEM e CMA (2014), “State of the Market Assessment”, 27 marzo 2014. WADDAMS, C. (2015), “CMA Provisional Energy Market Findings: Does protecting the weak (even temporarily) make them stronger?”, University of East Anglia – Centre for Competition Policy, Competition Policy Blog, 7 luglio 2015.
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Laura AMMANNATI
Se consideriamo innanzitutto il contesto istituzionale in cui si colloca il
Università degli Studi pacchetto dell’Energy Union insieme ad alcune proposte dirette a midi Milano
gliorare l’efficienza del quadro normativo si possono avanzare alcune osservazioni:
• il documento potrebbe rappresentare quel balzo in avanti tanto auspicato perché l’unione possa finalmente “parlare con una sola voce” in materia energetica; • la Commissione tende a recuperare la propria centralità usando in particolare alcuni strumenti (tra tutti la prospettata revisione degli accordi intergovernativi come la possibilità di prendere in mano i negoziati con i Paesi terzi); • è evidente la tendenza al rafforzamento del sistema di governance grazie ad una ridefinizione del ruolo di ACER con una attribuzione di reali poteri decisionali per rispondere alle esigenze di una più efficace regolazione a livello europeo; • tuttavia le forze contrarie non sono poche (le resistenze nazionali) ma anche potenti (i tempi per la realizzazione di molti obiettivi sono lunghi anche se la tempistica delle azioni come prevista alla fine del documento venisse presa alla lettera). Riguardo la mancanza di coesione e coordinamento tra SM pesano le considerevoli distanze tra Paese e Paese. E riguardo il conflitto tra politica unitaria e spinte centrifughe è evidente come le tante facce in cui la materia energia si scompone abbiano acuito la frammentazione. Alcuni aspetti rientrano nel quadro delle competenze esclusive o concorrenti dell’Unione mentre altri restano saldamente in mano agli SM. Lo stesso art. 194 del Trattato di Lisbona consacrava al c.1 il principio della solidarietà tra SM in merito alle decisioni su punti cruciali come la sicurezza degli approvvigionamenti (il funzionamento del mercato, l’interconnessione delle reti, la promozione dell’efficienza e lo sviluppo delle energie rinnovabili). Ma il principio era immediatamente messo in discussione dal riconoscimento della ‘sovranità energetica’ degli SM, cioè i pieni poteri che restavano loro attribuiti riguardo la composi-
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zione del mix energetico, le condizioni di approvvigionamento e i modi di utilizzo delle fonti. La strategia dell’Energy Union come “contenitore” di politiche si articola in 5 dimensioni principali caratterizzate da una forte inter-relazione. Io mi limiterò a fare qualche osservazione sul tema della sicurezza degli approvvigionamenti e della “europeizzazione” del mercato interno alla luce di principi come coesione/solidarietà (ad esempio nella gestione crisi) e della cooperazione nei rapporti con Paesi terzi; e su quello dell’efficienza energetica nel percorso verso la cd low carbon economy e il ruolo dei consumatori consapevoli. La Commissione ha più volte ribadito (v. COM sulla Strategia europea di sicurezza energetica del 2014 ) che la sicurezza energetica è tema affrontato troppo spesso solo a livello nazionale, ma che un miglioramento richiede un approccio basato su una cooperazione più intensa a livello regionale ed europeo (coordinamento dello sviluppo delle reti e di apertura dei mercati) e una maggiore coerenza nell'azione esterna. Il punto è ripreso nella COM su Energy Union: la sicurezza energetica dell’Ue è strettamente legata ai suoi Paesi vicini. E nella politica esterna dell’Ue l’obiettivo di una maggiore sicurezza delle forniture passa anche attraverso un processo di “integrazione” basato sulla diffusione della legislazione e regolazione europea, vale a dire sulla “esportazione” dell’acquis communautaire.
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L’estensione delle regole del mercato interno dell’energia oltre i confini dell’Ue è stata alla base del Trattato costitutivo della Energy Community del 2005 (include Ue e 8 Paesi del sud-est Europa: Albania, Bosnia e Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia, Moldavia e Ucraina). Il successo di questa operazione è relativo se commisurato all’effettivo stato di implementazione dell’acquis communautaire (dei pacchetti in materia di energia come delle direttive in materia di rinnovabile o di efficienza energetica). Ad un decennio dalla sua nascita il Trattato è rimasto in buona parte inapplicato per l’assenza di meccanismi di enforcement ma anche di meccanismi di adattamento alle diverse realtà e di supporto alla trasposizione delle regole (v. anche le proposte di riforma elaborate lo scorso anno da High Level Reflection Group istituito dal segretariato della Energy Community). La comunanza tra le parole chiave riconosciute anche di recente come proprie della Energy Community (Report della Commissione al Parlamento COM(2011) 105) e quelle indicate nel primo pilastro della Energy Union, cioè sicurezza energetica, solidarietà e fiducia, suggerisce che il ruolo della Energy Community potrebbe e dovrebbe essere rafforzato nel quadro delle politiche della Energy Union. In sintesi, la Energy Community può essere vista come una piattaforma regionale manifestamente destinata a innescare l’integrazione dei mercati energetici all’interno della vasta area geografica di riferimento (la vulnerabilità di questi Paesi terzi di fronte alla Russia rende oltremodo strategici gli obiettivi della Energy Community; che Paesi significativi dal punto di vista energetico – strategici per le fonti di energia o in quanto Paesi di transito- quali Armenia, Georgia e Turchia siano osservatori o candidati all’ingresso nella Energy Community rende le potenzialità di questo strumento regionale ancor più interessanti). La sicurezza degli approvvigionamenti (in particolare del gas) richiede anche una piena conformità degli accordi per l’acquisto di energia da Paesi terzi al diritto europeo. Attualmente le verifiche avvengono ex post cioè a negoziato concluso. Eventuali modifiche richiederebbero nuove negoziazioni di fatto impossibili una volta concluso tutto il procedimento. Un punto qualificante dell’Energy Union dovrebbe essere la radicale trasformazione di questo meccanismo, cioè la preventiva informazione della Commissione e la relativa valutazione del progetto di accordo intergovernativo tra uno SM e Paesi terzi. Il nuovo ruolo della Commissione potrebbe essere garantito dalla sua partecipazione al negoziato così come dal ricorso a clausole contrattuali standard. L’impegno è a rivedere la decisione sugli accordi intergovernativi, dopo il fallimento nel 2012 del tentativo di mettere in piedi un meccani-
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smo unico per lo scambio di informazioni in materia di accordi intergovernativi tra SM e Paesi terzi. In direzione contraria quanto accaduto alla vigilia dei colloqui trilaterali per la fornitura di gas tra Ue, Russia e Ucraina in calendario per il 30 giugno quando imprese energetiche tedesche hanno firmato un protocollo di intesa con Gazprom per la fornitura di gas naturale russo attraverso un rafforzamento della infrastruttura di trasporto del Nord Stream.Dalla integrazione oltre i confini alla integrazione all’interno dei confini tra SM: in questa prospettiva, obiettivo prioritario è il rafforzamento dei meccanismi di emergenza, della resilienza alle interruzioni di forniture e la prevenzione/mitigazione del rischio. Questo comporta, come già diceva la Strategia sulla sicurezza energetica, l’introduzione di meccanismi di solidarietà tra SM e di assistenza a SM particolarmente esposti. Sul punto la Strategia sottolineava la rilevanza per la integrazione del mercato non solo di un quadro normativo comune ma anche dello sviluppo dell’infrastruttura di trasporto e del sistema di interconnessioni transfrontaliere tra gli SM (riferimento al Connecting Europe Facility e agli iniziali fondi di investimento che può fornire così come ai Progetti di interesse comune). L’Energy Union sottolinea la necessità di una collaborazione sempre più stretta nell’eventualità di crisi di approvvigionamento. Qual è la cifra delle strategie che sembrano delinearsi per la integrazione dei mercati intra Ue? A mio avviso si potrebbe ragionevolmente ipotizzare che dinamiche a carattere regionale costruite su un modello bottom-up si siano dimostrate più adeguate (di quelle basate su
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target vincolanti fissati a livello Ue) in quanto capaci di aggregare soggetti con interessi simili e più disponibili alla collaborazione. La Commissione non pare avere per ora una posizione univoca anche se l’esperienza sembrerebbe dare ragione a chi è più favorevole ai modelli bottom up (ad esempio il Memorandum – maggio 2015 – sottoscritto da Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Romania a favore della messa in opera di inter-connettori e dell’incremento della capacità di reverse flow grazie all’uso delle infrastrutture dei rispettivi territori; ma anche l’esperienza del Nord Pool o quella del Forum pentalaterale dell’energia per la promozione di scambi cross-border tra Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Olanda; o ancora il MoU sottoscritto da Francia, Portogallo, Spagna e Commissione Europea per progetti infrastrutturali). 3) Il pilastro relativo alla sicurezza energetica racchiude molti aspetti: non secondario il ruolo attivo dei consumatori verso un parziale spostamento nella gestione dell’energia dal lato dell’offerta a quello della domanda. L’efficienza energetica è stata indicata dalla dir. 27 del 2012 come un mezzo importante per moderare la domanda di energia anche se gli obiettivi indicati a livello Ue (lo stesso vale a livello nazionale) non sono vincolanti. E nel contesto dell’Energy Union è considerata come un key driver della sicurezza energetica in quanto rappresenta anche uno strumento per ridurre la dipendenza dall’esterno. In tal senso viene equiparata ad una fonte autonoma di energia che contribuisce per il valore dell’energia risparmiata. Il “tallone di Achille” delle politiche di efficienza energetica sta nel fatto che la maggior parte del lavoro deve essere fatto a livello nazionale, ma soprattutto regionale e locale e in particolare con riferimento a due settori su cui è difficile intervenire anche se per ragioni molto diverse, come il settore trasporti e l’edilizia sia privata che pubblica. Un ultimo punto su cui sarebbe necessario soffermarsi più a lungo ma che ricordo qui solo “per memoria” riguarda l’obiettivo di accrescere il grado di consapevolezza dei consumatori e la elaborazione di strumenti che consentano di perseguire l’efficienza energetica grazie al cambiamento dei loro comportamenti (come si esprime anche l’Agenzia Europea dell’ambiente in un report pubblicato un paio di anni fa) ma anche grazie all’utilizzo delle tecnologie intelligenti.
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Giuseppe MONTESANO Lo scorso 25 febbraio la Commissione Europea ha presentato la CoEnel
municazione “Energy Union”. Tale documento, sebbene non vincolante, è di forte indirizzo politico e anticipa gli atti normativi che la Commissione Europea promuoverà nel suo corrente mandato 2014/ 2019. Prima di trattare nel dettaglio le dimensioni del “progetto Energy Union” reputo opportuno commentare brevemente le recenti modalità di attuazione delle politiche energetiche comunitarie, evidenziando i risultati e le criticità emerse. L’Unione Europea si è data i giusti obiettivi di aumentare la sicurezza energetica e ridurre le emissioni ambientali promuovendo investimenti attraverso la concorrenza e il mercato, oltre che con la definizione di target specifici. Questi obiettivi sono stati in parte raggiunti, sicuramente con modalità e risultati eterogenei tra i diversi Stati membri. Criticità delle politiche comunitarie Integrazione dei mercati elettrici Tra i diversi settori industriali europei, quelli dell’energia elettrica e del gas sono i maggiormente liberalizzati. Tuttavia, le politiche nazionali dei diversi Paesi hanno determinato una situazione disomogenea nei livelli di liberalizzazione e di concorrenza. Anche l’integrazione dei mercati all’ingrosso è parziale. La quasi totalità dei mercati elettrici del giorno prima sono integrati: i prezzi e le capacità di trasporto sono definiti in maniera efficiente, ovvero l’energia viene generalmente trasferita da Paesi con prezzi più bassi verso Paesi con prezzi più elevati. I mercati di aggiustamento e di bilanciamento sono invece ancora poco integrati ed utilizzano spesso filosofie differenti (“continous trading” in alcuni casi, aste in altri). Inoltre, quasi sempre le regole applicabili nei momenti di emergenza favoriscono i consumatori nazionali di ciascuno Stato, anziché la stabilità del sistema elettrico europeo.
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Dipendenza energetica La dipendenza energetica da fornitori esteri è aumentata negli ultimi anni nonostante il forte incremento della produzione da fonti rinnovabili e la riduzione della domanda complessiva dovuta all’efficienza energetica e alla crisi economica. Mix produttivo e fonti rinnovabili Presi singolarmente, i Paesi europei hanno mix di generazione tendenzialmente sbilanciati verso alcune fonti. Tuttavia, nel suo complesso l’Europa presenta un mix produttivo ben bilanciato. Una maggiore integrazione dei mercati potrà consentire di sfruttare questo equilibrio complessivo, fermo restando che sarà poi necessario perseguire delle politiche nazionali di sviluppo delle fonti rinnovabili coerenti ed efficienti. Infatti, la disomogeneità dei meccanismi di incentivazione ha portato ad una distribuzione nel territorio dell’Unione degli impianti a fonti rinnovabili inefficiente e disallineata rispetto alla disponibilità delle fonti nelle diverse aree geografiche. È pertanto necessario definire un nuovo meccanismo europeo che promuova a livello regionale lo sviluppo delle fonti rinnovabili.
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Efficienza energetica Gli investimenti in efficienza energetica risultano ancora insufficienti nonostante un rapporto costi-benefici teoricamente molto favorevole per un’ampia gamma di progetti. Ciò è dovuto a barriere non economiche, ed in particolare agli attuali modelli di finanziamento che comportano elevati costi iniziali e tempi di rientro dell’investimento molto lunghi. Attualmente esistono numerosi programmi per il supporto agli investimenti in efficienza energetica ma i processi di accesso sono spesso inefficienti, non trasparenti e farraginosi. Peraltro il target di questi programmi sono spesso i progetti di grande scala, laddove in realtà i progetti a più alto potenziale coumulato sono quelli di piccola scala. Clima I target europei al 2030 rappresentano driver fondamentali per gli investimenti in sostenibilità e sviluppo, oltre a migliorare la sicurezza energetica e la competitività. L’Energy Union deve essere il veicolo per promuovere strumenti di mercato efficienti guardando alle “best practices” e imparando dagli errori del passato. Per quanto riguarda in particolare l’EU ETS, strumento che garantisce un approccio armonizzato a livello europeo, l’attuale eccesso di offerta di permessi ne mina l’efficacia nel favorire investimenti nelle tecnologie low carbon. Per far fronte a questo problema, recentemente è stato approvato il cosiddetto Market Stability Reserve (MSR). Il meccanismo ha l’obiettivo di ridurre l’eccesso di quote nel breve termine e di sostenere il sistema nel gestire le variazioni di domanda nel mediolungo termine. L’introduzione del MSR è un primo passo per ristabilire il funzionamento efficace dell’ETS, salvaguardando la competitività dell’Europa e sostenendo la credibilità dell’UE nei negoziati climatici a livello internazionale. Energy Union In questo contesto la Commissione europea ha promosso la strategia “Energy Union” che si prefigge di affrontare finalmente in maniera organica le molteplici sfide che l’”Europa dell’energia” ha di fronte a sé, da una maggiore sicurezza energetica alla protezione dell’ambiente e all’efficienza energetica, dall’integrazione del mercato interno allo sviluppo dell’innovazione. A nostro avviso i principali strumenti da utilizzare per il raggiungimento di tali obiettivi sono: • mercato della CO2. Un ETS rafforzato capace di fornire un prezzo adeguato della CO2 deve essere il driver principale per investire in tecnologie “low carbon”;
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• sviluppo delle rinnovabili. Nuovi investimenti in rinnovabili sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e devono essere guidati da meccanismi di mercato (ETS e aste); • segnali di lungo termine. I contratti a lungo termine sono uno strumento fondamentale per ridurre rischiosità e costo degli investimenti, in particolare per gli impianti di generazione a fonti rinnovabili; • integrazione dei mercati. L’integrazione dei mercati dell’energia tra Paesi confinanti permette di gestire in maniera ottimale i servizi di flessibilità e la produzione da rinnovabili; • smart grids e efficienza energetica. Le smart grids favoriscono l'integrazione delle rinnovabili, una maggiore efficienza energetica e lo sviluppo del vettore elettrico come veicolo di decarbonizzazione del settore dei trasporti e dell’economia in generale. Parallelamente, è assolutamente centrale armonizzare le regole di mercato, secondo le due direttrici dell’integrazione dei mercati elettrici e l’integrazione nei mercati elettrici delle rinnovabili. Per quanto riguarda l’integrazione dei mercati elettrici: • i consumatori finali possono beneficiare dall’integrazione dei mercati elettrici in termini di prezzi finali in linea con costi sottostanti e di maggiore efficienza e sicurezza del sistema; • è necessario accelerare il processo di definizione delle regole comuni per anticipare la fruizione dei benefici connessi all’integrazione, in particolare per quanto riguarda i mercati del bilanciamento anche attraverso meccanismi semplificati di vendita diretta dei servizi ai TSO esteri (c.d. BSP-TSO agreements) Sviluppo delle rinnovabili Il disegno del mercato all’ingrosso deve favorire lo sviluppo delle rinnovabili e permettere una loro efficiente integrazione nel mercato. A tal fine sono necessari: • meccanismi d’asta efficienti e competitivi a livello europeo; • mercati infragiornalieri liquidi, vicini al tempo reale e che offrano prodotti con orizzonti temporali brevi; • mercati del bilanciamento integrati per mettere a fattor comune le riserve operative e massimizzare la flessibilità transfrontaliera. Contrattazione di lungo termine Il settore della generazione elettrica è l’unico settore “capital intensive” in cui gli operatori hanno assunto decisioni di investimento sulla base di segnali di prezzo a breve termine.
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A nostro avviso tale circostanza è alla base di alcuni dei maggiori problemi del sistema elettrico attuale e deve perciò essere sanata. Inoltre, l’investimento nelle rinnovabili senza il supporto di contratti di lungo termine presenta un premio di rischio (ed un costo di investimento) molto più alto. Infatti le tecnologie rinnovabili sono caratterizzate da una prevalenza di costi fissi, nessuna copertura rispetto alle variazioni dei prezzi di mercato spot, nonché una correlazione negativa tra produzione e prezzi di mercato all’ingrosso. Gli investimenti effettuati sulla base di segnali di prezzo a breve termine hanno portato a situazioni di “overcapacity” o “undercapacity”: in alcuni Paesi gli operatori hanno investito troppo e non sono riusciti a recuperare i costi d’investimento, in altri troppo poco e ora si necessita di strumenti di programmazione. Anche nella generazione convenzionale segnali di lungo termine consentirebbero di programmare scelte di investimento/ambientalizzazione e/o disinvestimento. La generazione convenzionale presenta infatti una copertura naturale rispetto alle variazioni dei prezzi di mercato spot, ma non rispetto ai costi fissi. I mercati della capacità non sono la soluzione ma - se opportunamente disegnati – possono esser-
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ne parte. La Strategia quadro per l’Unione Energetica europea pone sul tavolo il tema dello sviluppo di soluzioni che consentano il ricorso a contratti a lungo termine per raggiungere obiettivi di decarbonizzazione in modo efficiente, ma non definisce soluzioni operative, che dovranno invece essere sviluppate quanto prima nell’ambito del piano di azione delineato a febbraio. Smart grids Un altro strumento necessario per garantire una maggiore sicurezza energetica e il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione dell’Unione è rappresentato dal crescente ricorso all’energia elettrica. Ciò sarà possibile anche grazie allo sviluppo ed alla diffusione delle smart grids e di nuove ed innovative soluzioni per i settori residenziale e dei trasporti. Per fare ciò sono necessari maggiori investimenti sulle reti di distribuzione ed in particolare sulla mobilità elettrica. Conclusione In estrema sintesi, Enel ritiene che l’Unione Energetica europea possa essere principalmente garantita attraverso tre ordini di fattori. Segnali di lungo periodo. È fondamentale promuovere lo sviluppo della contrattazione di lungo periodo per perseguire obiettivi europei di riduzione delle emissioni. Contratti di lungo termine forniscono i segnali economici per le scelte di investimento e disinvestimento e sono uno strumento efficiente per decarbonizzare l’economia. Sviluppo delle fonti rinnovabili e integrazione dei mercati elettrici. Il prezzo della CO2, i contratti a lungo termine, nonché meccanismi competitivi coordinati a livello europeo rappresentano i driver per lo sviluppo delle fonti rinnovabili. È inoltre necessaria l’integrazione dei mercati Ue per sfruttare le potenziale sinergie dei diversi mix nazionali e ottimizzare la richiesta di flessibilità della rete. Reti. Investire nelle smart grid favorirà l'integrazione delle rinnovabili nel mercato, lo sviluppo del vettore elettrico e la decarbonizzazione dell’economia, in particolare del settore dei trasporti. È quindi necessario promuovere lo sviluppo delle smart grids attraverso la diffusione delle migliori pratiche regolatorie (es. modelli di remunerazione di tipo output-based, valorizzazione delle esternalità positive, standard per gli smart meter, ottimizzazione dei fondi europei).
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Maria Elena FUMAGALLI
Gli interventi di stamane offrono un utile spunto per qualche riflessio-
Edison
ne circa la situazione attuale e le prospettive future del mercato retail in Italia, unitamente agli interventi normativi e regolatori necessari a promuoverne lo sviluppo, alla luce delle direttrici previste dall’Energy Union per questo segmento. Quali sono le linee guida dettate dall’Energy Union Package per il retail? Sinteticamente: • eliminazione delle tariffe regolate, ferma restando la tutela dei clienti vulnerabili (persone non abbienti o in gravi condizioni di salute); • facilità di accesso ai dati di consumo, finalizzata alla promozione dell’efficienza energetica; • sviluppo di tecnologie smart che consentano al consumatore di cogliere le opportunità che il mercato offre attraverso il controllo dei propri consumi e/o delle eventuali autoproduzioni. In altre parole, stiamo parlando di phasing out dei prezzi regolati, di sviluppo di servizi post contatore e di promozione della demand side response. Come è messa l’Italia rispetto a queste tre linee di indirizzo? Il quadro normativo e regolatorio è adeguato? Come ci stiamo muovendo? L’eliminazione della tutela, è stata trattata nell’intervento di Carlo Stagnaro, con riferimento alle discussioni in corso circa il DL Concorrenza. Lo schema di decreto, nella versione in discussione nei mesi scorsi, ha dato un ottimo segnale, identificando una sunset clause (vale a dire una data certa) per la fine dei prezzi regolati. È un elemento essenziale rispetto al quale sarebbe del tutto inopportuno fare passi indietro. ll dibattito parlamentare sembra tuttavia aver registrato nei tempi più recenti qualche pesante incertezza. Il tema centrale sembra ruotare intorno alla domanda: è vero o non è vero che se si rimuove la tutela i prezzi salgono”? I consumatori potrebbero averne, oltre che vantaggi, possibili danni?
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Nei mesi scorsi sono pubblicamente circolati studi che portano a conclusioni molto diverse. A titolo di esempio, e pur con tutti i caveat del caso, Aeegsi nel suo rapporto di monitoraggio, segnala la presenza sul mercato libero elettrico di prezzi della componente energia che arrivano ad essere superiori del 20% rispetto ai prezzi tutelati. Nomisma, per contro, guardando in particolare alle offerte a prezzo fisso e alle offerte articolate (inclusive di programmi di fidelizzazione di vario tipo) offre un quadro decisamente più ottimista. Il pesante disallineamento delle conclusioni tratte dai diversi studi suggerisce alcune considerazioni: • confrontare offerte di prezzo diversamente articolate è un esercizio difficile, la probabilità di confrontare “mele con pere” elevata ed inversamente proporzionale alla solidità delle conclusioni che si possono trarre; • se ragionando in termini percentuali i confronti sembrano evidenziare valori importanti, in termini assoluti i valori in gioco sono ben più modesti e sostenibili dall’utente medio.
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In un contesto socio-economico severo come quello attuale, il vero punto da affrontare in via prioritaria non è allora l’andamento dei prezzi quanto la messa in sicurezza dei clienti vulnerabili, che potrebbero essere impattati in modo significativo anche da variazioni di prezzo non rilevanti in termini unitari. In altre parole dovremmo chiederci se e in che misura sia opportuno: • rivedere la base dei clienti che hanno oggi diritto al bonus sociale elettrico o gas, prevedendone laddove necessario un ampliamento; • aggiornare l’entità del vantaggio economico concesso, considerandone un incremento anche significativo; • semplificare le modalità con cui il bonus viene oggi erogato, rendendole meno farraginose. Posti in sicurezza i clienti potenzialmente vulnerabili credo sia opportuno procedere senza indugio e con una buona dose di sano pragmatismo nel rimuovere la tutela di prezzo; viceversa, al posto dei rischi teorici di una liberalizzazione piena ci troveremmo a fronteggiare i rischi certi di una liberalizzazione mal fatta. Veniamo ora alle nuove frontiere del mercato retail: lo sviluppo dei servizi post contatore ed una partecipazione attiva della domanda al mercato. Qualcosa in Italia si sta già muovendo. In merito allo sviluppo del post contatore, Aeegsi ha recentemente promosso una specifica consultazione (DCO 186/2015) circa il comportamento di consumo dei clienti finali (energy footprint) e la messa a disposizione di dati storici di consumo funzionali allo sviluppo del post metering. Ma quali sono oggi i limiti tecnologici e normativi che ostacolano lo sviluppo dei servizi post contatore? Per offrire servizi post contatore il venditore necessita di dati storici di consumo ulteriori rispetto ai dati normalmente disponibili per la fatturazione, che scontano una scarsa granularità e la lontananza dal tempo reale. Occorre quindi interagire con il contatore per avere più dati e più aggiornati. Tuttavia per gli attuali contatori (seppure già “smart”, ma di prima generazione) questa interrogazione non è possibile in via diretta in quanto il protocollo di comunicazione – vale a dire la “lingua” parlata dal contatore – è sottoposta ad un vincolo proprietario in favore del distributore e non è accessibile a terze parti. Per accedere ai dati è necessario utilizzare degli specifici dispositivi, i cosiddetti “dispositivi abilitanti”. Per intenderci, si tratta di strumenti tipo “Energy Control” di Edison, accoppiato otticamente al misuratore ed in grado di rilevare il lampeggio led, o lo “Smart Info” di Enel Distribuzione che si inserisce nella presa elettrica di casa e si
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collegano al misuratore tramite PLC (Power Line Communication, comunicazione sulla linea elettrica in bassa tensione). Lo Smart Info in particolare è stato inizialmente sviluppato da Enel Distribuzione nell’ambito di un progetto sperimentale promosso dall’Autorità per l’Energia che sta oggi consultando il mercato per capire con che modalità questi dispositivi possano essere messi a disposizione a beneficio del sistema su più ampia scala. In proposito, in un’ottica proconcorrenziale sarebbe opportuno che: • il distributore mettesse a disposizione il progetto tecnico del dispositivo smart info e l’hardware minimo necessario per la concorrenza con il protocollo del contatore, vale a dire la trasformazione del protocollo riservato del distributore in un protocollo aperto; il dispositivo dovrebbe essere privo di brand; • agli acquirenti dello smart info (e fornitori del servizio post contatore) dovrebbe essere lasciata la facoltà di sviluppare in piena autonomia il dispositivo, customizzandolo in accordo con la propria politica commerciale; • la messa a disposizione di servizi a valore aggiunto sia riservata ai fornitori di energia elettrica operanti sul mercato libero e/o ad altri soggetti commerciali (ad esempio le società di telecomunicazione), caratterizzando il servizio di maggior tutela come servizio “di base”. L’eventuale introduzione massiva dei contatori cosiddetti “di seconda generazione” dovrebbe consentire di superare il problema dell’interlocuzione con il contatore, in quanto tali contatori dovrebbero essere dotati, oltre che di un protocollo “chiuso” relativo ai dati necessari alla fatturazione del servizio di distribuzione, anche di un protocollo aperto per la comunicazione con terze parti. Il tema è oggi di attualità anche in relazione al progetto relativo alla “banda ultralarga” che potrebbe comportare un’accelerazione del processo di sostituzione dei contatori di prima generazione. Qualora tale prospettiva si facesse concreta, nell’ambito delle relative valutazioni di opportunità, sarà particolarmente importante interrogare il mercato circa le possibile caratteristiche che tali contatori dovrebbero avere per favorire il pieno sviluppo del mercato. Anche in questo caso a guidare le scelte dovrebbe essere una logica che preveda che lo smart info fornito dal distributore funga da semplice abilitatore del servizio, mentre l’ideazione del servizio e della relativa infrastruttura (devices tecnologici per interfacciarsi con la misura, etc) dovrà rimanere in capo agli operatori di mercato.
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Infine, circa la partecipazione attiva della domanda al mercato, funzionale anche all’integrazione a sistema di uno stock importante e crescente di risorse diffuse caratterizzate da elevata variabilità, il dibattito si sta aprendo proprio in questo periodo e la consultazione Aeegsi sugli Smart Distribution System ha fatto da apripista. Il tema richiederebbe un seminario dedicato, ma mi preme sottolineare in questa sede un unico concetto. Le mutate condizioni di sistema richiedono un mutato approccio regolatorio che, per Edison, dovrebbe idealmente percorrere il seguente iter: 1. identificazione dei nuovi servizi e delle funzionalità (ad esempio la regolazione della potenza attiva degli utenti, impiego di sistemi di accumulo, etc...) necessarie al sistema per un’efficace integrazione delle risorse diffuse; 2. primario reperimento sul mercato di tali servizi; 3. approvvigionamento con modalità amministrate ed in via residuale delle sole funzionalità che il mercato ha mostrato non essere in grado di fornire. In quest’ottica sotto il profilo temporale assume un ruolo prioritario la definizione delle nuove regole di dispacciamento per la partecipazione delle risorse diffuse al mercato dei servizi di dispacciamento, al fine di consentire di valutare la reattività del mercato al nuovo contesto; la promozione selettiva di eventuali investimenti finalizzati a fornire le funzionalità ove il mercato ha fallito dovrebbe avvenire successivamente, a valle di un adeguato periodo di valutazione della reattività del mercato stesso. Ciò al fine consentire l’emergere di nuove figure di mercato quali quelle dell’aggregatore, evitando di porle inappropriatamente in competizione con soggetti regolati abilitati a fornire i medesimi servizi.
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Roberto POZZI
Il pacchetto “Energy Union” promosso dalla Commissione Europea
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al fine di delineare la strategia energetica europea dei prossimi anni si articola su cinque dimensioni.Occupandomi di mercato, nello specifico di mercato elettrico, vorrei commentare quanto prevede l’Energy Union in merito alla integrazione del mercato europeo dell’energia. Si identificano due linee di sviluppo parallele: 1. hardware dei mercati, cioè le infrastrutture necessarie al collegamento dei vari Paesi dell’Ue: linee di trasmissione elettriche e metanodotti; 2. software dei mercati, cioè lo sviluppo e l’integrazione delle regole che governano i mercati. In merito alle infrastrutture viene posta particolare enfasi ai collegamenti transfrontalieri, Un obiettivo specifico di interconnessione minima per l'energia elettrica, da raggiungere entro il 2020, è stato fissato al 10% della capacità di produzione elettrica installata, con l’obiettivo ulteriore di arrivare al 15% entro il 2030. Nel 2014 l’Italia ha importato 46,7 TWh pari a circa il 15% del fabbisogno attraverso una capacità di importazione di circa 8000 MW. Se utilizzassimo come riferimento la potenza installata (circa 120 GW) dovremmo ancora incrementare la capacità di importazione per ottemperare a quanto previsto dall’UE. È tuttavia il caso di far notare che ci troviamo in una situazione di over-capacity e che sarebbe più indicato come parametro di riferimento per “misurare” il grado di collegamento transfrontaliero il rapporto tra la capacità installata e quella di punta. In questo caso, considerando 57 GW alla punta saremmo già prossimi al 15%. In merito alle “regole” di mercato sono diversi i temi in discussione. Quelli che maggiormente hanno impatto diretto sul mercato includono l’integrazione delle rinnovabili, i meccanismi di mercato della capacità e l’integrazione dei mercati regionali in un unico mercato europeo. Si è discusso molto e ancora si sta discutendo di “RES-TO-MARKET & MARKET-TO-RES”. Lo slogan vuole sottolineare la necessità di in-
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tegrare la generazione da fonte rinnovabile nel mercato (RES-TO-MARKET) equiparandola, da un punto di vista del rispetto delle regole di mercato, alla generazione convenzionale (principalmente in merito al bilanciamento). In questo modo si incentiverebbe una competizione “sana” e non deviata da regole diverse che inficiano la validità del modello “energyonly-market” attualmente adottato e, come traspare dai documenti di consultazione comunitari, tanto caro alla Commissione. D’altro canto è necessario implementare e/o migliorare le regole attuali di mercato al fine di permettere alle fonti rinnovabili non (o poco) programmabili di poter competere con quelle convenzionali e di non essere eccessivamente penalizzate (MARKET-TO-RES). Lo sforzo si concentra soprattutto sull’implementazione dei mercati di brevissimo, al fine di permettere una riprogrammazione delle RES quanto più prossima la tempo reale. Da qui la forte spinta verso uno sviluppo dei mercati infragiornalieri con modalità di “continuous” trading. Parlando di RES sembra ormai assodato il raggiungimento del target del 20% di rinnovabili nel mix energetico europeo al 2020. Ci stiamo arrivando a fronte di forti investimenti ed incentivi che pesano e peseranno sul costo finale dell’energia. È chiaro che un incremento ulteriore del 7% è significativo e con i prezzi attuali dell’energia sarebbe difficilmente raggiungibile, non essendo garantito un equo ritorno sull’investimento. Le strade possibili so-
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no due: ripristinare meccanismi di incentivazione minando ulteriormente la validità di un mercato basato solo sul prezzo dell’energia prodotta; sostenere e riformare l’Emission Trading Scheme (ETS) in modo da promuovere efficienza energetica e produzione da fonti rinnovabili direttamente attraverso l’ETS stesso. Quest’ultima a mio parere è la vera sfida che ci attende nei prossimi anni. Il mercato della capacità rimane un tema ricorrente e molto discusso, ancor più dopo l’approvazione da parte della Commissione del meccanismo adottato in UK, della partenza imminente del meccanismo francese, della contrarietà della Germania ai meccanismi di CRM (salvo adottare la riserva strategia per gli impianti a lignite!) e dell’avvio tanto atteso del meccanismo italiano. L’Energy Union ed i documenti di indirizzo pubblicati recentemente, non sono a favore dei meccanismi di remunerazione della capacità, a maggior ragione se adottati con modalità e regole differenti nei diversi Stati Membri. La ragione è che questi minerebbero il disegno di mercato unico europeo introducendo elementi di discontinuità e influenzando impropriamente il prezzo di mercato che non riuscirebbe più a dare i corretti segnali agli investitori. Il capacity marked sarebbe adottabile come ultima risorsa dopo aver promosso meccanismi di “demand response”, massimizzato le interconnessioni con l’estero, verificato l’adeguatezza del sistema etc. Ovviamente i principi sono corretti tuttavia si rileva come gli interventi suggeriti siano di natura strutturale e quindi non implementabili in tempi brevi (la partecipazione della domanda attiva è un tema discusso da anni ed ancora in itinere!) e come già oggi, con un mercato “energy-only” il segnale di prezzo risulta in parte falsato da una componente di generazione (RES) alla quale nella pratica è stato già riconosciuto un meccanismo di remunerazione non di mercato attraverso feed-in-tariff e che continuerà a valere fino alla scadenza degli incentivi. In ultimo l’integrazione dei mercati regionali europei sta avanzando inesorabilmente, attraverso l’adozione del Market Coupling. Il meccanismo, in estrema sintesi, permette di allocare in maniera implicita, cioè senza ricorrere ad un’asta esplicita giornaliera, la capacità disponibile per il giorno successivo. Tale capacità viene gestita ed allocata dal market coupler (normalmente uno dei gestori di mercato) in base ai prezzi orari di mercato. La capacità viene allocata per trasportare energia dal mercato a prezzo minore verso quello a prezzo maggiore. Agli assegnatari di capacità long- term (annuale e mensile) che non abbiano nominato e quindi impegnato tale capacità viene riconosciuto un compenso pari al differenziale di prezzo tra i due mercati. L’Italia ha avviato il market coupling anche con Francia ed Austria (con la Slovenia è in essere dal 2011) lo scorso 24 febbraio. È curioso osservare co-
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me prima di tale data si rilevassero ore a spread negativo (prezzo francese più alto di quello italiano) mentre dopo il 24 febbraio il meccanismo di coupling ha interamente annullato le occasioni di esportazione arrivando molto spesso ad equiparare i due prezzi. La ragione sta nel quantitativo di capacità (NTC) gestita tra le due frontiere molto elevata (3500 MW) che, con il meccanismo di coupling, si presta ad essere modulata influenzando di conseguenza i prezzi dei due mercati e, nel caso di scostamenti non rilevanti, ad annullare tale differenziale. Si segnala che dal 21 maggio è in essere il meccanismo di “flow-based market coupling” tra Germania, Francia, Olanda e Belgio con risultati interessanti. Di questo se ne parlerà in un’altra occasione.
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Hannelore ROCCHIO Eni
Negli ultimi anni, l’Europa ha fatto significativi passi avanti verso una reale unificazione dei mercati dell’energia. In questa prospettiva, i Codice di Rete si stanno dimostrando uno strumento potente di armonizzazione e integrazione. Entro la fine dell’anno, in tutti i Paesi europei si applicheranno le stesse regole per l’allocazione della capacità di trasporto, il bilanciamento e la risoluzione delle congestioni. E questo è già un ottimo risultato. I prossimi mesi vedono, però, in agenda altri due dossier che saranno molto impegnativi e soprattutto cruciali per il completamento del disegno del mercato europeo del gas: • il tema della Sicurezza degli Approvvigionamenti di Gas; • la riforma delle Tariffe di Trasporto Gas, anche attraverso l’emanazione del relativo Codice di Rete. Si tratta di argomenti molto tecnici che, però, con le necessarie semplificazioni e conseguenti imprecisioni, meritano di essere affrontati nelle loro implicazioni più strategiche. Perché entrambi questi temi hanno significativi impatti strategici. (Ad esempio, una non appropriata tariffa di trasporto del gas può minare la sicurezza degli approvvigionamenti, rendendo poco “attraente” il nostro mercato per i fornitori esteri; ma può creare problemi indirettamente anche sul mercato elettrico, distorcendo le decisioni di produzione: un impianto CCGT, che ha limitato la propria prenotazione di capacità di trasporto nell’anno, anche se i prezzi elettrici schizzano, può trovare comunque conveniente non incrementare la propria produzione, perché questo significherebbe pagare penali per la capacità utilizzate e non prenotate). Si tratta poi di temi che, proprio per la loro connotazione strategica, richiedono di e sere oggi profondamente ripensati e sviluppati in modo innovativo, tenendo conto del mutato contesto di mercato. Riproporre inerzialmente i vecchi schemi regolatori (cercando di ”aggiustarli”) sarebbe un errore e rischierebbe di compromettere l’obiettivo finale di rendere il mercato europeo pienamente integrato, competitivo e sicuro.
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Sicurezza degli Approvvigionamenti di Gas Il processo di revisione dei meccanismi regolatori cui è affidata la sicurezza, definiti dal Regolamento 994/2010, è stato già avviato. Emergono almeno due punti che richiedono grande attenzione. Anzitutto, il dibattito sul tema sicurezza è ancora molto focalizzato sulle infrastrutture. In passato, effettivamente, nella misura in cui le infrastrutture erano costruite con contratti di approvvigionamento gas associati, la capacità dei gasdotti tendenzialmente coincideva con il gas disponibile per il sistema. Oggi, invece, un gasdotto o un rigassificatore non sono di per sé garanzia di un flusso certo di gas associato: in Europa ci sono direttrici di approvvigionamento che sono diventate o rischiano di diventare per diverse ragioni dei “rami secchi”. La sicurezza del sistema deve quindi essere valutata e costruita - nel breve come nel lungo periodo - in termini non di infrastrutture ma “direttamente” di garanzia di effettiva disponibilità di gas. In secondo luogo, in passato, il compito di assicurare le forniture di gas ai consumatori era affidato agli operatori commerciali, al tempo pochi e grandi. Oggi - anche se il mondo è cambiato tanto, e già da un bel po’ di tempo - formalmente è ancora così. Questo signifi-
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ca, semplificando, che ciascun operatore deve (o-dovrebbe) costituirsi una “riserva di disponibilità di gas”, che molto probabilmente non utilizzerà, ma che deve comunque avere in portafoglio per coprire, per esempio, i picchi di domanda di un inverno eccezionale. Ciascun operatore dovrebbe sostenere, in altri termini, un costo addizionale per eventi incerti. Fino a quando il mercato era concentrato, non c’erano problemi. Oggi, in un contesto di mercato molto frammentato, non possiamo avere la stessa tranquillità. Un modello di sicurezza “decentrata” e “diffusa/affidata a centinaia di operatori” può esporre al rischio che il cliente dia per scontata ed eventualmente paghi per una sicurezza che non ha. Per questa ragione, sarebbe necessario sviluppare un approccio diverso al tema della sicurezza. Un approccio più efficace, ma allo stesso tempo anche più efficiente, perché basato su logiche di mercato più che su approcci dirigistici. Una parte significativa di questo nuovo approccio sarà già realizzato attraverso la riforma del sistema di bilanciamento a partire dalla fine di quest’anno. Gli operatori commerciali avranno infatti un chiaro incentivo economico a mantenere bilanciata la propria posizione su base giornaliera. Questo però non basta. In aggiunta, è necessario prevedere (così come, d’altra parte, avviene nel settore elettrico) che l’operatore di sistema/il trasportatore garantisca la sicurezza con approccio pro-attivo. Il trasportatore, sulla base di una valutazione consapevole delle esigenze del sistema, relative non solo all’anno termico ma anche più di lungo periodo, dovrebbe approvvigionarsi – ricorrendo a procedure market-based – di prodotti con cui si assicura l’effettiva disponibilità di gas ad un certo prezzo quando necessario. Questo modello consentirebbe anche di superare approcci “dirigistici” nella selezione degli investimenti, rimettendo al mercato la scelta della tipologia di investimento (stoccaggio/gasdotto/rigassificatore) che vi è dietro l’impegno (remunerato) degli operatori a rendere disponibile gas ad un certo prezzo in certe condizioni. Il sistema dovrebbe focalizzarsi, in altri termini, sull’output e non sull’input, in quanto quest’ultima si configura come unascelta più propriamente di mercato. Tariffe di Trasporto Gas Il secondo dossier particolarmente delicato in questo momento è quello delle nuove regole europee in materia di Tariffe di Trasporto Gas. Il tema è molto complesso e dibattuto. E la proposta di Codice attualmente in discussione non sembra in grado di innovare realmente, né di consentire di centrare gli obiettivi della Commissione.
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L’Europa dovrebbe invece realizzare un’ambiziosa revisione dell’attuale sistema tariffario. Diversamente vi sono seri rischi di compromettere la reale integrazione dei mercati; la sicurezza del sistema (in particolare, con riferimento allItalia) e gli stessi consumi di gas (creando inefficienze). L’attuale regolazione del trasporto gas presenta, infatti, almeno due aspetti “critici” che dovrebbero essere superati. Mi riferisco, in particolare, al fatto che i corrispettivi: • siano determinati per via amministrata, sulla base dei costi del trasportatore e facendo riferimento a metodologie di allocazione dei costi sulla base di un sistema a matrice, che rischia di penalizzare molto alcuni punti di entry; • siano prevalentemente fissi (e cioè di natura capacitiva), con problemi per gli utenti nel modificare gli impegni di capacità rispetto all’evoluzione delle loro esigenze, essendo i prodotti di capacità di breve periodo offerti a prezzi relativamente elevati rispetto all’impegno annuale (condizione, questa, che rimane necessaria, a meno che non si riconosca agli operatori impegnati in contratti di capacità di lungo termine la possibilità di terminarli e adeguare la propria politica di prenotazione di capacità). Questo non significa che le attuali metodologie siano sbagliate in assoluto. Potrebbero portare ad esiti di mercato efficienti, ma solo in presenza di una domanda di utilizzo delle infrastrutture particolarmente anelastica (ossia indipendente dal corrispettivo applicato, in un range di valori ragionevoli), quale potrebbe essere nel caso di un sistema isolato (si pensi al caso UK), in cui il gas è prodotto all’interno del sistema stesso e non può essere trasportato altrove se non a fronte di costi significativi. Tuttavia, non è più questa la situazione che caratterizza oggi il mercato europeo, in quanto la domanda di utilizzazione delle infrastrutture è sempre più elastica: • i fornitori possono indirizzare il proprio gas verso altri mercati: emerge quindi un costo opportunità che prima non c’era. A fronte di corrispettivi capacitivi di entry troppo elevati, il produttore: - potrebbe valutare l’opportunità di limitare la quantità di gas disponibile per il sistema europeo sulla base di impegni di lungo termine; - potrebbe essere disincentivato anche all’immissione di gas verso il sistema europeo nei momenti di emergenza, causa l’applicazione di corrispettivi molto elevati per l’uso della capacità su base spot; • i trader comprano capacità su base opportunistica, solo se i differenziali di prezzo tra i diversi hub lo rendono conveniente;
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• alcuni consumatori (per esempio i produttori di energia elettrica) potrebbero valutare l’opportunità di limitare il proprio consumo “incerto” per non pagare “per certo” corrispettivi di trasporto capacitivi troppo elevati. Nel nuovo contesto di mercato, quindi, l’applicazione di corrispettivi di trasporto capacitivi con livelli minimi determinati per via amministrata, e molto spesso più alti del valore delle capacità, produce diversi paradossi e criticità. È quindi evidente che occorre ripensare la metodologia di determinazione dei corrispettivi del trasporto del gas. Lo si deve fare, però, senza trascurare un elemento fondamentale: i costi delle infrastrutture esistenti sono sì fissi, ma sono costi fissi comuni, di fatto interamente sunk. Sono, in altri termini, costi che il sistema ha comunque già sostenuto e che sono indipendenti dall’utilizzo delle infrastrutture stesse. In questa prospettiva, è nell’interesse del sistema - per i benefici che ne conseguono in termini di liquidità dei mercati, competizione, sicurezza - che il livello e la struttura dei corrispettivi applicati siano tali da contenere il più possibile la variazione dell’utilizzo dell’infrastruttura rispetto a quanto sarebbe nel caso in cui non venisse applicato alcun corrispettivo, salvo quelli a copertura dei costi variabili. Occorre quindi evitare che le tariffe creino distorsioni nei comportamenti. Nel disegnare il nuo-
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vo modello tariffario, probabilmente, l’esperienza di mercati – quale quello dell’energia elettrica – che hanno una storia di integrazione più lunga, potrebbe essere di grande aiuto. Per promuovere la sicurezza del sistema, la concorrenza e la liquidità del mercato all’ingrosso si potrebbero immaginare metodologie che: • con riferimento ai punti di entrata che collegano il nostro sistema con mercato liquidi e competitivi, prevedano che si assegnino diritti per l’utilizzazione della capacità “hub to hub”, attraverso aste con prezzi di riserva anche nulli, così da assicurare un uso efficiente delle infrastrutture e l’integrazione dei mercati. Si dovrebbero a tal fine anche prevedere specifiche forme di compensazione (ad esempio l’inter-TSO compensation) funzionali a dare copertura agli eventuali mancati ricavi per l’uso delle infrastrutture esistenti i cui diritti siano assegnati sulla base delle suddette procedure; • con riferimento, invece, agli altri punti di entrata (ossia a quelli che collegano il nostro sistema a mercati oligo/monopolistici), la determinazione dei corrispettivi dovrebbe avvenire secondo modalità innovative che tengano conto del rischio che livelli troppo elevati possano ridurre l’attrattività del mercato italiano/europeo, facendo dirottare le potenziali forniture verso altri mercati, con rischio per la sicurezza degli approvvigionamenti del sistema. Tale modifica dei livelli e della struttura tariffaria richiederebbe chiaramente di riconoscere agli shipper impegnati in contratti di trasporto Long Term la cancellazione di tali impegni. Diversamente, infatti, la modifica regolatoria sarebbe inapplicabile, in quanto questi operatori si ritroverebbero a detenere dei diritti (i contratti di capacità) caratterizzati da un prezzo radicalmente differente rispetto a quello iniziale (e in alcuni casi anche nullo). Ugualmente richiederebbe di prevedere che i corrispettivi applicati ai punti di riconsegna vengano definiti in modo da assicurare comunque la copertura dei costi complessivi della rete. Una riforma in tal senso potrebbe consentire lo sviluppo di una significativa liquidità in tutte le aree di mercato, assicurare una efficiente correlazione/allineamento dei prezzi nei diversi Paesi e consentire l’implementazione di una politica più equa di allocazione dei costi infrastrutturali.
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Conclusioni
Alberto BIANCARDI
Dividerò le mie conclusioni in due parti.
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Andando per ordine, quindi, con riferimento alla tematica oggetto di discussione, ossia l’Unione per l'energia, ritengo che sotto molti profili questo pacchetto è la naturale prosecuzione dei tre pacchetti precedenti. Molte delle misure previste ben difficilmente avrebbero potuto discostarsi da quanto finora annunciato, sebbene l'Unione per l'energia sia ancora in una fase preliminare delle sue attività. Ciò vale, ad esempio, per il market coupling e per la creazione di un unico sistema di borsa sono in linea con l'idea di modello di dimensione geografica continentale espressa da molti anni a livello comunitario. Così come le medesime considerazioni valgono per i codici di rete, in corso di definizione. La progressiva omogeneizzazione delle regole su scala europea porta, indubbiamente, a una ridefinizione dei ruoli dei regolatori attivi su scala nazionale rispetto ad Acer. Questo è un aspetto sotto molti aspetti inerziale e che può essere considerato una naturale evoluzione della regolazione. Infatti, se i mercati geografici dell’energia si ampliano, grazie all’omogeneizzazione delle regole e allo sbottigliamento delle reti, è naturale conseguenza che la regolazione vada riferita a un ambito territoriale più ampio.Tuttavia, vi è un aspetto che ritengo corretto sottolineare e che, invece, solo raramente vedo espresso dagli addetti ai lavori e, in generale, dai portatori di interessi. Le interrelazioni fra regolazione nazionale e comunitaria sono destinate a mutarsi con il rafforzamento di Acer. Inoltre l’atteggiamento che dovrà tenere ciascuna Autorità degli Stati membri dell’Unione dovrà anch’esso cambiare. In qualche
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modo, ciascun regolatore perderà il proprio monopolio nazionale e dovrà cercare di accordarsi con un numero sufficiente di altri regolatori, al fine di far prevalere le proprie tesi in ordine alle norme da predisporre. L’Autorità europea, cioè Acer, guiderà l’azione e sarà in grado di indirizzare l’analisi, al pari di quanto possibile a ciascun regolatore nazionale nel proprio ambito geografico nel vecchio schema. Per ottenere una buona regolazione, fra i fattori essenziali da garantire, vi è senza dubbio l’indipendenza dagli interessi in gioco, in particolare da quelli governativi. In modo che l’interrelazione fra i decisori – e la creazione di accordi fra i singoli regolatori nazionali – avvenga solo su un piano tecnico. Sottolineato che questa caratteristica è uno dei punti chiave del terzo pacchetto energia e che ogni Stato membro oggi deve garantire l’indipendenza alla propria autorità di regolazione nazionale dal rispettivo governo, sarà altrettanto essenziale garantire una piena e reale indipendenza di Acer dall’esecutivo comunitario, cioè dalla Commissione. Un ulteriore aspetto che penso sia lecito attendersi dall’evoluzione delle regole comunitarie è una asimmetria nel processo di omogeneizzazione delle norme di market design rispetto a quelle di incentivazione alle nuove tecnologie. Infatti, a mio avviso, se nel primo caso ritengo che questo processo sarà molto accentuato, nel secondo i margini che verranno lasciati alla discrezionalità dei singoli Stati membri ritengo saranno più ampi. Gli schemi in uso e le differenze fra singoli Stati membri, in questo ultimo caso, appaiono molto distanti fra loro per garantire una reale convergenza in tempi brevi. Passando rapidamente al commento di parte dei numerosi spunti emersi dagli interventi dei rappresentanti delle imprese, innanzitutto, direi che sono d’accordo con la tesi che un vero salto di qualità nella concorrenza nel mercato retail sia possibile solo con il salto tecnologico, ancora in corso di realizzazione, dei molti dispositivi inerenti misura e consumo (includendo l’efficienza energetica in quest’ultimo ambito). È per questo motivo che, ad esempio, sarà importante approfondire se e come la regolazione possa aiutare una maggiore integrazione dei prodotti energetici con quelli di efficienza energetica. Sullo stesso versante e per le medesime ragioni, l’Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico sta studiando con estrema attenzione l’evoluzione tecnologica del sistema di metering, al fine di valutare se e come incentivare il passaggio a una seconda generazione di dispositivi. Sotto questo profilo, devo doverosamente sottolineare che tale passaggio dovrà essere esaminato sulla base dell’applicazione di un rigoroso crite-
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rio di costo opportunità, in particolare tenendo conto del processo di ammortamento dei dispositivi oggi in uso. Ciò al fine di evitare che i consumatori, pur a fronte di un indubbio vantaggio in termini di disponibilità di informazioni, vedano la propria bolletta gravata di oneri impropri. Riguardo al fenomeno dell’autoproduzione, è sicuramente da sottolineare la rilevanza essenziale per il futuro di un ammontare così elevato di incentivi da pagare per il finanziamento delle nuove tecnologie, soprattutto delle rinnovabili. In questo caso, la regolazione non potrà essere basata unicamente su principi di efficienza tecnica, ma dovrà tenere conto anche di quella allocativa. Le componenti tariffarie, infatti, hanno a tutti gli effetti una valenza fiscale e la loro attribuzione alle differenze classi di consumo dovrà essere fatta sulla base anche di principi di equità. Naturalmente tale azione necessaria non dovrebbe influire – almeno si spera – in modo indebito sul progresso delle differenti tecnologie. Passando agli spunti riguardanti il gas naturale, preciso che come Autorità stiamo valutando se e come intervenire sul sistema delle tariffe di trasporto per tenere conto dell’andamento dell’utilizzo della rete stessa. L’utilizzo in modo meno costante dalla capacità è un fenomeno sotto gli occhi di tutti. A riguardo, più che cambiare il peso fra le componenti cosiddette capacity e commodity, potrebbe essere valutato un diverso orizzonte temporale a cui riferire la tariffa stessa, facendo ad esempio in modo che a un periodo di utilizzo più breve della capacità resa disponibile a un punto di riconsegna corrisponda una tariffa riferita al medesimo orizzonte temporale. Riguardo agli incentivi da assegnare al gestore della rete nazionale – oltre che ai singoli operatori di mercato – per garantire il bilanciamento dei flussi nella rete, vareremo a breve una consultazione in cui proporremo un primo insieme di obiettivi al gestore di rete in termini sia di quantità e qualità delle informazioni da rendere disponibili agli operatori che di capacità di minimizzare i costi della medesima attività di bilanciamento. È un processo che richiederà del tempo per essere affinato ma che contiamo di realizzare per mantenere la nostra regolazione in linea con i migliori casi europei.
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