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Anatome a Milano Philippe Apeloig. L’identità del museo
Alessandra Magrini
SCUOLA DEL DESIGN Corso di Laurea in Design della Comunicazione Tesi di Laurea Relatori: Gianfranco Torri, Fulvia Bleu, Francesco Ermanno Guida A.A. 2010-2011
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A mio padre, che avrebbe voluto esserci, anche se poi non sarebbe venuto per non commuoversi in pubblico.
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INDICE
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7 99 101 103 105
Indice Conclusioni personali Bibliografia Sitografia Ringraziamenti
LA GALLERIA 11 12 14 18 26 28
Introduzione 38 Rue Sedaine, Paris La Galerie Anatome Il marchio DefinizionI Il progetto Il manuale Definizione Il progetto
PHILIPPE APELOIG 34
Biografia cenni biografici
36 38 41
Ispirazione Grafica francese Grafica olandese Grafica di pubblica utilità
45 47
Produzione Tipografia L’identità del museo
LA MOSTRA 60 62
Premesse Immagine coordinata percorso progettuale
66 76 82 88 92
Il progetto Il manifesto Il sedicesimo l’invito la cartella stampa lo stendardo
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Immagine coordinata completa
LA GALLERIA
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Portone dell’edificio in cui si trova la Galerie Anatome, in Rue Sedaine al civico 38, Parigi.
INTRODUZIONE
La rue Sedaine, nell’undicesimo arrondissement di Parigi, è nelle vicinanze della Bastiglia. Al numero 38 c’è un edificio tipico dell’architettura della seconda metà del XIX secolo. Superato il portone un cortile interno introduce a un vecchio atelier oggi occupato dai locali della Galerie Anatome. Galleria che, a partire dal progetto di Henri Meynadier e Marie-Anne Couvreu – proseguito più recentemente grazie all’impegno di Nawal Bakouri, l’attuale direttrice che si ringrazia –, ha fatto da anni la scelta di essere consacrata alla presentazione della produzione grafica contemporanea. Un’iniziativa senza precedenti in Francia in cui non esiste alcun luogo di esposizione permanente interamente dedicato al graphic design. La storia della Galleria è ormai piuttosto importante, a partire da settembre 1999, ed è sembrato interessante proporre la presentazione a Milano di una serie dei principali autori sia francesi che di altri paesi, simulando l’allestimento di una serie
38 RUE SEDAINE, PARIS
di mostre che fornisse uno spaccato di quanto presentato a Parigi in questi ultimi 11 anni. Durante il laboratorio di sintesi finale (a.a. 2010-2011), in collaborazione con la Galleria, è stato proposto agli allievi di lavorare su una serie di artefatti – manifesto, un quaderno in formato sedicesimo, un coordinato che potesse funzionare come cartella stampa – che presentino 18 autori ritenuti particolarmente significativi della produzione recente e contemporanea. Con la speranza, se non l’aspettativa, che tale proposta possa essere di auspicio a iniziative similari anche nel nostro paese se non più semplicemente di presentare l’esito di questo lavoro in uno spazio espositivo interno alla Facoltà del Design. Gianfranco Torri
Marchio posto all’esterno, sopra l’entrata dell’area espositiva.
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INTRODUZIONE
LA GALERIE ANATOME
Sono ormai passati più di dieci anni da quando Galerie Anatome è stata fondata per sostenere e diffondere la grafica, inizialmente come prolungamento dell’agenzia Anatome, di Marie-Anne Couvreu che è direttrice della galleria. “La cultura grafica francese è diversa da quella degli altri paesi. In Francia vi è una reale mancanza di cultura dell’immagine e del design, ed una incredibile ignoranza della situazione del paese. In inghilterra, Germania, Paesi Bassi ci sono sempre luoghi dedicati alla grafica. Tale cultura in questi posti è comune al punto che ogni persona presta attenzione ad una carta da lettere o ad un poster attaccato sull’angolo della strada.” Queste sono le parole della fondatrice Couvreu, mentre spiega in un’intervista del 2009 con che intento è nata la Galerie. Lo scopo é quello di “vedere ciò che non si poteva vedere”, soprattutto espresso attraverso la dimensione
I fondatori della Galerie Anatome: Marie-Anne Couvreu e Henri Meynadier
del poster. In Francia i manifesti, infatti, danno informazioni essenziali cone luogo, data e ora. Nessuno sponsor corre il rischio di un manifesto che vuole essere interpellato, che induce il pubblico a porsi delle domande. Il poster è un supporto in una varietà di supporti, e niente più. In altri paesi il manifesto è invece un mezzo che partecipa ad una catena di comunicazione. “il mio obiettivo non è quello di arricchirmi, ma di promuovere la professione del graphic designer e dei suoi creatori, francesi e stranieri. L’unico evento in Francia è il Festival di Chaumont poster e Echirolles; vorrei che ci fossero altri luoghi come questo, a Parigie in tutta la Francia” (MarieAnne Couvreu).
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La Galerie organizza durante l’anno mostre monografiche e tematiche ma è anche la sede di altre iniziative dedicate a valorizzare e promuovere la cultura contemporanea del graphisme (conferenze, incontri, pubblicazioni). Dal 2000 la galleria è inoltre la sede degli appuntamenti mensili organizzati dai Rencontres de Lure, dedicati alla tipografia e alla grafica; e dallo stesso anno ospita inoltre una libreria specializzata, gestita in collaborazione con la famosa libreria La Hune. Dal 1999 la Galerie e l’associazione a essa collegata sono certamente cresciute, costruendo una rete internazionale di connessioni composta da studenti, grafici, ma anche appassionati e curiosi, insomma una sorta di piccolo mondo del graphic design che pulsa proprio nel cuore di Parigi, in Rue Sedaine. Eppure, considerate le motivazioni iniziali del
progetto, è probabilmente un indice significativo che ancora oggi la galleria rimanga l’unico spazio espositivo permanente dedicato alla grafica non solo nella capitale francese ma in tutta la Francia. Come hanno ribadito recentemente i fondatori della galleria, Couvreu e Henri Meynadier, la battaglia è tutt’altro che vinta, al contrario: «le combat pour la qualité» non è conclusa. Ed è per questo che nel 2009 la Galerie ha lanciato un proprio manifesto, rilanciando il proprio impegno per la diffusione della grafica e per il miglioramento dell’ambiente visivo della società contemporanea: «Ensemble nous continuerons ce combat». Insieme, continueremo questa battaglia.
Interno della Galerie Anatome: esposizione di Wim Crouwel “architectures typographiques 19561976” 26 aprile 2007
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IL MARCHIO
DEFINIZIONE
Il marchio è un simbolo visivo che individua una famiglia di fenomeni e appartiene all’universo dei segni attraverso i quali l’umanità ha sempre tentato di mettere ordine nel caos primigenio della natura. Più che la nascita, interessa invece del marchio, in questo caso aziendale, la struttura concettuale. Essa è, almeno nelle grandi società multinazionali del nostro tempo, trinitaria: prevede un’immagine di gruppo (corporate image), un’immagine di marca (brand image) e infine un’immagine di prodotto (product image). Si realizza così un sistema di garanzie reciproche, dal momento che la qualità del prodotto garantisce il livello di affidabilità della marca e dunque, in generale, quella del gruppo, mentre la reputazione del gruppo si fa a sua volta garante oggettivo delle altre due. Questa tripartizione discende dalla struttura dell’attuale organizzazione capitalistica. Essa però
Leone Araldico: figura ornamentale anglo-normanna, simbolo di forza, coraggio e nobiltà nel periodo medioevale.
dilata anche a dismisura l’orizzonte del marchio aziendale, che risulta così destinato a esprimere non l’identità immediata della merce in quanto “bene di consumo”, ma i caratteri generali del tipo, del suo produttore e, più alla lontana, del suo originatore. Se è vero, come propone Gian Paolo Ceserani (creativo pubblicitario) che la pubblicità conferisce alla merce una personalità specifica, sollecitando non l’acquisto di un prodotto ma di un “modello”, il marchio aziendale definirà la famiglia di valori cui il bene di consumo offerto storicamente appartiene. Il tipo di bene offerto verrà così individuato come emanazione di una entità superiore e omnipervasiva. Addirittura Hegel, nel suo trattato Estetica, ci spiega che se vediamo l’immagine di un leone, dobbiamo innanzitutto chiederci se essa rappresenta quel particolare animale, oppure rinvia al concetto di forza, di coraggio, alla figura dell’eroe, ad una
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indicazione di periodo e così via. In tal modo, l’immagine viene a collocarsi tra la metafora e la similitudine, giacché “ha luogo particolarmente quando due fenomeni o condizioni, che presi per sé sono relativamente autonomi, sono posti in unità, cosicché l’uno dà il significato che l’immagine dell’altro fa cogliere”. La progettazione di un marchio impone quindi una ricerca indirizzata in molte direzioni, che Ave Appiano (docende al DAMS di visual design) così descrive: “Progettare un marchio e lanciarlo in un evento comunicativo significa cogliere e trasmettere una serie di elementi, quali: la specialità dell’impresa, ossia le caratteristiche del servizio offerto; la filosofia aziendale, i livelli e gli obiettivi di marketing; l’immagine interna, vale a dire la considerazione che i dipendenti hanno dell’azienda; e l’immagine esterna, ovvero la reputazione dell’azienda in campo sociale. Questi
elementi si manifestano solidali nell’obiettivo di identificazione, appropriazione, differenziazione, comunicazione ed evocazione che un marchio deve raggiungere.” Nell’elenco, come si vede, il prodotto è del tutto assente. a predominare sono la fisionomia culturale dell’impresa e la qualità generale della produzione. Della merce, l’immagine del marchio aziendale non è che l’ombra. Ciò nonostante, senza di essa il marchio non sarebbe visibile. Un marchio non è altro che il viso di un’impresa, di un ente, di un’istituzione. Esso deve fornire un messaggio subito riconoscibile, attraverso il contenuto/forma che deriva da informazioni/ messaggi conosciuti e già memorizzati. Il designer, attraverso un processo metodologico e un incremento creativo, serve a renderli leggibili. Il contenuto mnemonico del marchio va però oltre la semplice identificazione.
Marchio ENI: riferimenti al leone araldico. “la forma era quella di un cane ma ne citava ben altre” Paolo Scaroni, amm. delegato Eni Spa.
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Al di là della fisionomia che esso delinea nella sua funzione di riconoscibilità, vi troviamo espressi concetti più generali, tesi a ribadire la natura più complessiva del servizio offerto attraverso figurazione atte a metterla in relazione con un più complesso universo di significati. Questa moltiplicazione di informazioni, che si dischiude a spirale dal concetto centrale, ripropone, nel marchio, la nota relazione tra il livello denotativo e quello connotativo del segno. Sono quindi molte le forze messe in gioco dal linguaggio visivo strutturato in un marchio moderno. Tra di esse predomina il concetto di “sintesi”, inteso come l’atto di comporre insieme diverse rappresentazioni e di intenderle, nella loro molteplicità, in un’unica esperienza conosciitiva. La sintesi riduce all’essenziale la rappresentazione, concentra tutta l’energia in una sola immagine la
Evoluzione stilistica del brand CocaCola dal 1886 ad oggi.
cui potenza espressiva è inversamente proporzionale alla sua semplicità strutturale.Solo che in un marchio questa comunicazione deve essere visiva, ovvero deve inviare precetti e non concetti; e deve esprimere significati elementari e ampiamente condivisi. L’immediatezza della comunicazione è infatti un’altra denotazione essenziale del marchio, poiché la riconoscibilità dell’ente attraverso il marchio deve essere istantanea. Queste immagini sono di due tipi, e presuppongono percorsi progettuali contrapposti. Uno nasce dal consolidamento del marchio nel tempo, attraverso il radicamento dell’immagine iniziale nell’immaginario collettivo; l’altro presuppone un processo che recuperi concetti e precetti legati alla tradizione ancora viva e alla cultura locale, e li attribuisca all’ente. L’esempio più emblematico del primo caso è quello della CocaCola, marchio
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ideato nel 1886 e mai cambiato, se non per un restyling che lo rendesse più moderno e dinamico. Esempio lampante del caso due è invece quello della Apple cmmputer, che richiama la mela di Newton come principio ispiratore e rivelatore di una nuova tecnologia, elaborata per sottolineare la freschezza, la capacità innovativa e l’appetibilità sul mercato. Il marchio della CocaCola ha creato dunque una tradizione, mentre quello della Apple si è riallacciato ad una tradizione sistente e stabile. In entrambi i casi, tuttavia, l’immagine si è caricata di significati che vanno oltre il livello denotativo, questo anche grazie alla struttura percettiva, composta secondo figure che contengono una sintesi espressiva pronta a liberarsi. Il problema non riguarda quindi solo il marchio considerato nel tempo, ma anche nello spazio.
Evoluzione stilistica del brand Apple dal 1976 ad oggi.
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IL MARCHIO
IL PROGETTO
Il marchio può comprendere o coincidere con il Logotipo. Un logo (abbreviazione di logotipo) è la scritta che solitamente rappresenta un prodotto, un servizio, un’azienda o un’organizzazione. Tipicamente è costituito da un simbolo o da una versione o rappresentazione grafica di un nome o di un acronimo che prevede l’uso di un lettering ben preciso. Esistono diverse tipologie di logo che possono anche essere usate contemporaneamente nell’ambito del marchio: - logotipo: è il segno grafico il cui referente è un’espressione fonetica, è un marchio scritto pronunciabile, ad esempio il logotipo «Lavazza» - pittogramma: è un segno iconico il cui referente è un oggetto o una classe di oggetti, un aspetto o un’azione che l’oggetto può esprimere, come l’immagine del Taxi per indicarne la zona di servizio - diagramma: è un segno non iconico, o comunque
esempio di logotipo, pittogramma e diagramma.
con un basso grado di iconicità, e può pertanto non avere alcun richiamo alla realtà, ad esempio il segno Nike. Il marchio per la Galerie Anatone sarebbe dovuto essere un segno nuovo e non una declinazione di quello della stessa galleria a Parigi, avrebbe dovuto avere una sua identità data da sintesi e riconoscibilità. La scelta del tipo di marchio è in questo caso duplice: bisogna decidere se il marchio sarà un logotipo o un diagramma accostato ad un logotipo. La natura può essere tipografica, geometrica, fotografica, grafica digitale o analogica. Questa scelta va ben ponderata, e per farlo si parte da una ricerca iconografica, che permette di analizzare i vari usi dei marchi e gli ambiti in cui vengono adoperati. Dalla ricerca è emerso che i marchi costituiti da queste due lettere sono per la maggior parte tipografici e prediligono una fusione di queste attraverso le parti
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parte della ricerca iconografica su marchi che contenessero la A e la M
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simili della loro struttura. Altre opzioni prevedono invece una soluzione dimensionalmente percettiva, estraendo le due lettere dall’ambito tipgrafico e dando loro un significato spaziale. Trattandosi di una galleria, si è scelto di sfruttare questa deduzione e orientarsi verso un marchio che desse la percezione di uno spazio espositivo. Inoltre, per comunicare il fatto che questo spazio espositivo fosse a Milano, si sarebbe dovuto inserire nel marchio un richiamo alla città. Immediatamente si pensa al Duomo, icona monumentale della metropoli e ormai patrimonio dell’immaginario collettivo di ogni Italiano. Il primo tentativo cerca anche di creare qualcosa che tenda verso un monogramma (simbolo grafico unitario ottenuto sovrapponendo o combinando in altro modo due o più lettere o altri grafemi) così da richiamare anche l’idea
prime bozze del marchio, dalle quali si può dedurne l’evoluzione, e prime prove di declinazione.
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dell’antico patrimonio culturale italiano. Le prime bozze spaziano da un richiamo alla galleria madre a Parigi, fino ad una ricerca di tridimenzionalità e spazialità. Si giunge così al primo tentativo di marchio, molto geometrico per rappresentare una divisione degli spazi, che vede la fusione delle lettere A ed M con un tratto continuo ed un effetto a sovrapposizione. La loro unione tende inoltre a ricalcare le sembianze del Duomo di Milano, con le sue guglie e le sue proporzioni. Vengono poi aumentati i contrasti tra le aste delle lettere, poiché altrimenti si sarebbe persa la lettura tipografica del marchio. Qui giunti, si fanno le prove di logotipo, ovvero si cerca di affiancare al marchio la scritta che denota la Galleria Anatome a Milano. Nonostante il marchio risulti visibilmente ottimale alle prove di leggibilità minima e positivo/negativo, quanche dubbio comincia a sorgere. Effettivamente,
non richiama l’idea di uno spazio espositivo, quanto più quella di una cristalleria. Le forme romboidali infatti generano questa percezione, e lo spazio bianco centrale dà proprio l’idea di un diamante, e neanche lontanamente quella di un architettura dove si espongono opere di grafica contemporanea. Primo tentativo fallito, si tenta con un altro. L’idea di trasmettere spazialità resta, e quindi si provano altri schizzi in questa direzione, staccandosi invece dall’idea di Duomo, che tende a limitare molto la composizione, e dall’idea di inserire nel marchio anche la lettera M, che con la A tende nella maggior parte delle font a creare giochi ridondanti, sia in minuscono che in maiuscolo.
ANATOME
MILANO
primo tentativo, che prevede la somiglianza con il Duomo di Milano.
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Molte delle prove seguenti declinano la A in modo spaziale, non precludendone una lettura tipografica e favorendone anche una dimensionale. La A comincia a diventare un muro, una stanza (1 e 2), un’architettura (3 e 4, dove torna imperterrita anche la M), una porta od una finestra (5 e 6) o addirittura una composizione di elementi modulari, tanti quanti saranno gli artisti che esporranno al suo interno (8). Oppure, semplicemente, una A che racchiude ma lascia entrare, una A geometrica, semplice e spaziale quanto basta a dare l’idea di un ambiente chiuso ma anche aperto (7). La bozza 7 e la bozza 1 sembrano essere una quasi buona sintesi di ogni valore che si è deciso di comunicare. Si prova quindi a declinarle stilisticamente e e sistemarle, con il dovuto lettering, per le prove dimensionali e percettive. In questa fase vengono anche effettuate prove di colore, fondamentali da affiancare al lettering e alle dimensioni minime.
seconde bozze del marchio e seguente tentativo, che tende ad emancipare la A e la percezione spaziale.
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prove di declinazione colore, bilanciamento pieni-vuoti e lettering.
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Le prove con la A circolare risultano le più interessanti, e si decide di portare avanti questo marchio, da qui in poi. Vengono effettuate modifiche formali al marchio: per renderlo più dinamico e dimensionale, è stato diviso in due metà dallo stesso peso visivo che ricreano l’idea di una piega. Questo effetto permette una visione tridimensionale che si avvicina al concetto di spazio espositivo, rendendo la A un contenitore in tutto e per tutto. La font scelta per il lettering è un Tw Cen MT, regular, poiché è un carattere lineare che rimane leggibile anche in piccole dimensioni e non appesantisce il marchio. Rimane ora solo da decidere quale sarà il colore definitivo. Dopo innumerevoli prove, si opta per la coppia giallo e arancione, che si presa in modo ottimale su qualunque colore di sfondo, facendo sì che il marchio possa sempre contraddistinguersi su qualunque superficie. I
prove di colore effettuate con coppie di colori esclusivamente Pantone.
colori sono stati scelti infatti vicino a quelli primari, così da aver la minor possibilità di confondersi su qualsiasi sfondo. Perché proprio il giallo, e non il rosso o il blu? Perché ha un buon contrasto sia sulle superfici scure che su quelle chiare (grazie all’abbinamento con l’arancione); perché è il colore verso il quale l’occhio umano è più sensibile, perché secondo i cromoterapeuti viene associato al senso di identità, all’Io, all’estroversione, caratteristiche che mi sembrano abbastanza eloquenti per rendere degno di nota un marchio per una galleria di grafica contemporanea. Per essere precisi, i colori scelti sono dei Pantine Solid Coated: Hexachrome Orange C, Yellow C. In quadricromia: Arancione C 0%, M 1%, Y 100%, K 0%; Giallo C 0%, M 52%, Y 100%, K. Nella versione in bianco e nero: su positivo K 70%, su negativo K 30%.
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marchio definitivo con struttura, dimensioni minime, prove di negativo e positivo in dimensioni minime.
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IL MANUALE
1.2 C onstruction of the logotype The logotype: basic elements The logotype is c onstructed g eometrically i n a graphical g rid providing a lignments, spacing and r adius o f curvatures f or c reation o f the individual l etters. The ratio o f the base to the height of the Olivetti logotype is 5:1. All enlargements and reductions must maintain this ratio. The proportions g iven b y the parameters in the grid must b e maintained a t all times when reproducing the logotype.
1.11 Reductions and enlargements The logotype: basic elements The size of the logotype may vary as long as the exact proportions between the various elements are maintained. To ensure full legibility, reductions of less than 20 mm should be avoided. In r eproductions larger than 8 m a nd s maller t han 20 m m, t he spacing b etween t he letters should be checked to ensure legibility, without modifying the formal values of the logotype as a whole.
esempio di Manuale di Identità del Marchio Olivetti: griglia costruttiva, dimensioni minime.
DEFINIZIONE
Il Manuale di identità visiva è il documento ufficiale che, in maniera essenziale descrive ed illustra dettagliatamente gli elementi dell’identità visiva e riporta i criteri e le regole per il loro corretto utilizzo. È la sintesi delle informazioni contenute nel Progetto di identità visiva e, pertanto, è parte integrante di esso. Tutti coloro che richiedono il marchio e/o gli altri elementi dell’identità visiva sono obbligati a osservare le regole per la loro corretta applicazione riportate nel Manuale. Il marchio, il logotipo e gli altri elementi dell’identità visiva possono essere utilizzati esclusivamente nei termini e nei modi illustrati nel Manuale. Sostanzialmente, il Manuale consente l’accorpamento dei canoni sull’identità visiva oltre alla corretta applicazione e riproduzione degli elementi dell’identità visiva nel tempo e a distanza. Offre inoltre una migliore comprensione degli obiettivi, delle
motivazioni, della struttura e della metodologia del lavoro. Il Manuale favorisce la riduzione dei tempi decisionali e dei tempi tecnici, l’evoluzione del lavoro, il perfezionamento della metodologia seguita e la conservazione dell’integrità degli elementi dell’identità visiva. Il Manuale inoltre è uno strumento utile per quadri, dirigenti, staff manageriale e collaboratori esterni in quanto, attraverso questo strumento, sono costantemente allineati sul corretto utilizzo degli elementi dell’identità visiva. Stando alla normativa vigente, il marchio è il segno rappresentato graficamente e atto a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa. In tal senso, quindi, essendo il “segno” a permettere ai soggetti esterni di distinguere i prodotti/servizi di un organismo da quelli di un altro, il marchio diviene naturalmente lo strumento di comunicazione per eccellenza attraverso
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il quale rappresentare l’identità dell’ente e attorno al quale gravitano tutte le attività di comunicazioni da questo promosse. Del marchio va specificata la struttura attraverso la griglia di costruzione, così da illustrarne l’architettura. Per comunicare occorre utilizzare uno stesso “codice” e in questo caso il codice è la parola scritta, ovvero il nostro alfabeto. Pertanto, anche il carattere tipografico dovrà essere idoneo a veicolare l’identità del soggetto e a favorire la sua identificazione e riconoscibilità da parte degli interlocutori esterni. Della font va specificato anche il peso e lo stile, oltre alla grandezza in punti (unità di misura) nella dimensione minima. In un mercato in continua trasformazione, caratterizzato dalla presenza di tecnologie innovative e sempre più avanzate, idonee a creare una vastissima gamma di colori e di relative sfumature, i colori istituzionali di un ente diventano un ulteriore
elemento fondamentale dell’architettura comunicativa. Nel manuale i colori vanno indicati con il metodo Pantone, in quadricromia e in tricromia. Per la versione in bianco e nero anche, e se sono previste gradazioni di grigio, vanno anch’esse denotate con i tre metodi suddetti. Va dedicata una pagina per ogni colore, dove questo dev’essere preferibilmente steso su tutta la superficie stampabile, così da poterlo distinguere chiaramente senza essere influenzati da colori limitrofi (secondo le leggi della percezione due o più colori vicini non vengono percepiti puri). Il manuale è comunque un sistema aperto, sensibile nel tempo a tutti i possibili cambiamenti, dati ad esempio dall’evoluzione tecnologica o da nuove strategie aziendali. Il manuale per il marchio di Anatome a Milano prevede lo sviluppo dei punti riguardanti il marchio, il suo utilizzo e i colori.
1.5 Colour The logotype: basic elements The colour of the OLIVETTI logotype is Pantone Process Blue. In four-colour printing, this is obtained as follows: 100% cyan, 9% magenta, 61% black. When u sing colour, g reat a ttention s hould b e taken to ensure c orrect r eproduction. Instructions are provided for the use of colour in digital environments and on the Web. Only t he O livetti C ommunications D ivision may authorise use o f the logotype i n chromatic contexts other than those specified above.
Pantone Process Blue
CMYK
Digital
WEB
C 100% M9 % Y0 % K6 %
RGB R0 % G 150% B 214%
HTML Code
1.7
#0096D6
Negative black/white version
The logotype: basic elements
To reproduce a negative black/white version of the logotype, the following must be used: White Black 20%
esempio di Manuale di Identità del Marchio Olivetti: colore istituzionale, versione in negativo.
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IL MANUALE
COMPOSIZIONE DEL MARCHIO STRUTTURA Il marchio rappresenta una lettera A minuscola. La scelta della lettera in versione minuscolo è dovuta alla sua possibile declinazione in elemento circolare con effetto spaziale. La comunicazione del marchio è infatti sia la A di Anatome sia lo spazio in quanto area espositiva. FONT Il carattere tipografico utilizzato per il logotipo è il Tw Cen MT Regular ed entrambe le parole hanno la stessa dimensione.
Immagini di riferimento utilizzate nel manuale.
IL PROGETTO
COSTRUZIONE E PROPORZIONI La costruzione del logo si basa su tre circonferenze concentriche ed equidistanti tra loro. Le due più interne inscrivono la A minuscola del marchio, la terza più esterna serve da guida per il testo del logotipo, che sarà a questa tangente. Una quarta circonferenza non concentrica alle precedenti, ma tangente alla minore e secante alla media, serve per definire la divisione della A del marchio in due parti.
DIMENSIONI MINIME DI LETTURA La dimensione minima che il marchio comprensivo di logotipo può avere per rimanere leggibile è di 1cm di altezza e 1,6 cm di larghezza; a questa grandezza il testo è di 8 pt.
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VERSIONE A COLORI PANTONE Solid Coated Hexachrome Orange C e Yellow C QUADRICROMIA Arancione C 0% M 50% Yk100% K 0% Giallo C 0% M 0% Yk100% K 0% TRICROMIA Arancione R = 247 G = 144 B = 30 Giallo R = 255 G = 238 B = 0 BIANCO E NERO La versione in bianco e nero va usata in caso di stampe non a colori, su sfondi bianchi o molto chiari. Il marchio è in scala di grigi mentre il logotipo é in nero per assicurarne la leggibilità K = 100%, K = 70%
La versione in negativo va usata in caso di stampe non a colori, su sfondi bianchi o molto chiari. Il marchio è in scala di grigi mentre il logotipo é in bianco per assicurarne la leggibilità. K = 0% e K = 30%
L’impaginazione del manuale è semplice e chiara, utile solo a rendere gli elementi inseriti non equivocabili. Il margine sinistro è maggiore in quanto è il margine di rilegatura; il manuale è stampato solo su facciate destre. La scelta del Futura come font è dovuta alla stessa motivazione, in quanto è un carattere tipografico lineare e leggibile. Nel manuale sono inoltre inseriti esempi di applicazione del marchio in negativo e in positivo sopra degli sfondi colorati e disegnati.
VERSIONE A COLORI BIANCO E NERO esempi
an at ome milano
an at ome milano
an at ome milano
Griglia dei colori utilizzati, versione in negativo e griglia di impaginazione del manuale.
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foto del manuale del marchio per la Galleria Anatome a Milano.
PHILIPPE APELOIG
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BIOGRAFIA
Philippe Apeloig è un designer grafico e tipografo francese nato a Parigi nel 1962. Manifesta sin da giovane un interesse verso il teatro, un mondo che invidia per la sua speciale relazione con il pubblico e per come veicola sentimenti e messaggi. Il suo breve sogno di diventare coreografo e performer viene però stroncato dalla timidezza che lo rende inadeguato. Decide così di entrare nel teatro per vie diverse e comincia a dipingere e disegnare per comunicarne la forza espressiva. Questi sono i suoi primi tentativi di approccio alla grafica, che vengono coltivati con gli studi presso l’École Nationale Supérieure des Arts Appliqués e l’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs di Parigi. Saranno i suoi studi ad aprirgli la via per la grafica. Presso la scuola di Arti Applicate , scelse infatti l’indirizzo “Visual Art Studies”, sebbene ammette egli stesso di averlo scelto per esclusione,
CENNI BIOGRAFICI
in quanto decorazione d’interni, moda e tessuti non lo interessavo. Già dal primo anno, frequenta il corso di calligrafia e disegno delle lettere, e la sua minuziosità attira l’interesse del professore, Roger Druet: sarà lui a spingerlo a frequentare gli stage presso Total Design ad Amsterdam, ai quali partecipa nel 1983 e nel 1985. Qui è nato il suo interesse per la tipografia e per il graphic design. Ha lavorato come grafico per il Musée d’Orsay a Parigi dal 1985 al 1987. Nel 1988 Apeloig riceve una sovvenzione dal Ministero degli Esteri francese che gli permette di partire per Los Angeles e lavorare con Aprile Greiman. Più tardi, dal 1993 al 1994, gli è stato concesso di condurre delle ricerche sul disegno dei caratteri tipografici presso l’Accademia di Francia (Villa Medici) a Roma. Dopo il ritorno a Parigi da Los Angeles, Apeloig decide di aprire un proprio studio. Dal 1992 al 1999 tornò alla École Nationale
Supérieure des Arts Décoratifs per insegnare Tipografia, poi è diventato un professore a tempo pieno di Graphic Design presso la Cooper Union School of Art di New York fino al 2002. Dal 2000 al 2003 è stato curatore del Herb Lubalin Study Center of Design and Typography persso la Cooper Union School of Art, dove ha organizzato il “Graphic Cooper”, serie di conferenze e mostre grafiche. Nel 1997 Apeloig divenne consulente di design al Musée du Louvre, ed è stato il suo direttore artistico fino al 2008. Dal 1997 è membro dell’AGI: Alliance Graphique Internationale. Nel 2011 divenne membro della Ordre des Arts et des Lettres.
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Philippe Apeloig in una foto di Catherine Rebois.
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ISPIRAZIONE
GRAFICA FRANCESE
La produzione francese di manifesti è influenzata, anzi contraddistinta, dall’opera di due fondamentali artisti: Jules Chéret (18361932) e Henri ToulouseLautrec (1864-1901). Sono loro che posero le basi dell’importanza dell’affiche come mezzo di comunicazione. Il grande formato del manifesto mise i progettisti davanti al problema della gestione dello spazio, che vede due soluzioni differenti: la comunicazione culturale, adatta ad un pubblico attento a una lettura critica e ad una ricerca implicita dell’estetica; e la comunicazione pubblicitaria, che ha come scopo attirare l’attenzione del passante, quindi accattivante ma superficiale e di poca informazione. I primi manifesti prevedevano disegni realistici e sfondi chiari, quando Leonetto Cappiello (1875-1942), livornese che visse e lavorò a parigi, introdusse sfondi scuri e soggetti dai colori accesi, così da
Jules Chéret, Palais de Glace Champs Elysées, 1893, litografia. Henri Toulouse-Lautrec, Le Divan Japonais, 1892, affiche.
rendere l’impattivo visivo, staccando definitivamente il manifesto da una rappresentazione realistica: è l’avvio del manifesto moderno. Continuò in questo senso infatti Cassandre, protagonista dell’affiches degli anni ‘30. Cassandre deve la sua fama oltre alla sua bravura anche al suo metodo, sarà infatti lui a gettare le basi della progettazione del manifesto. Egli sostiene sostiene infatti che siano tre i problemi da risolvere per creare un buon manifesto: 1.ottico, ovvero la giustapposizione di contrasti tra colori e pesi delle immagini e del testo; 2.grafico, cioé l’espressione in senso ideografico, dove l’immagine è il veicolo del pensiero e segue una determinata sintassi; 3.poetico, quindi suscitare nel pubblico un moto di emozione, sensazione, che sia cosciente o meno. L’opera di Cassandre è influenzata dai contrasti cromatici di Cappiello, dalla composizione cubista e dal dinamismo delle diagonali,
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tipico del Bauhaus, ma ancora più importante inizia ad essere il lettering: sono il testo e la lettera che danno origine alle idee e generano forme plastiche, Cassandre disegna infatti lui stesso le font per i suoi manifesti, perché ritiene che il lettering debba formare assieme all’immagine un’idea precisa nella mente di chi osserva il manifesto, ed è quindi parte fondamentale quanto il disegno stesso. Dalla seconda metà degli anni ‘90 iniziò ad affermarsi la tecnica fotografica, non più solo mera registrazione di un attimo ma per la sua portata simbolica. Nello stesso periodo si avverte l’influenza della scuola svizzera, che portò la Francia ad una rinascita tipografica ed a sperimentazioni nuove nel panorama grafico. Questi cambiamenti portarono alla scoperta del visual design. Il 1968 vede una massiccia produzione di manifesti come arma di propaganda, prodotti da studenti dell’Accademia
di Belle Arti di Parigi, poi riuniti nell’Atelier Populaire. Si tratta di manifesti in bianco e nero o comunque monocromatici, date le urgenze di stampa, che prevedevano spesso la tecnica dello stencil rigorosamente disegnati a mano, per protestare contro l’immagine del consumo. La grafica divenne così anche un mezzo sociale, attraverso il quale comunicare principi ed ideali.
Manifesto de L’Atelier Populaire.
Leonetto Cappiello, Campari l’aperitif, 1921, affiche. Cassandre, Normandie, 1935, affiche.
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ISPIRAZIONE
GRAFICA OLANDESE
L’attività dell’Atelier Populaire creò, tra gli anni ‘70 e ‘80, Grapus: un’associazione di tre grafici che si impegnarono nella produzione di manifesti culturali, sociali e politici, affiancandosi al Partito Comunista Francese e lavorando per i teatri, con il dichiarato obiettivo di rivoluzionare la retorica tradizionale. Nel 1980 Jean Widmer, un grafico svizzero, fondò a Parigi il proprio studio e lavorò per organizzazioni pubbliche, tra le quali i
Piet Mondrian: Armonia Perfetta, 1921 Gerrit Rietveld: Red Blue Chair, 1921 Theo van Doesburg, Simultaneous Counter Composition, 1929
Zwart: Trio-Reclameboek inside-page 1931
rinomati Centre Pompidou e Musée d’Orsay. Durante il soggiorno ad Amsterdam, Apeloig scoprì il movimento De Stijl e ne rimase colpito: le opere di Mondrian, Rietveld, Van Doesburg e Piet Zwart accesero in lui l’interesse per la tipografia moderna e per l’astrazione. Piet Zwart operò da inizio ‘900; prima di lui si era già cominciata una ricerca della composizione grafica legata alla forma quadrata e all’uso di caratteri senza grazie, ma sarà lui ad indirizzare la grafica verso un ulteriore geometrizzazione, grazie anche all’influenza wrightiana di quel periodo. Sulla stessa linea grafica è infatti anche il movimento De Stijl, molto vicino al linguaggio e alla formalità di Zwart, che teorizzò il valore cruciale della linea retta e del rettangolo, abbandonando l’arte figurativa in favore di quella astratta e della ricerca formale. Il portavoce di questa corrente è Theo Van Doesburg (1883-1931) che si
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occupò anche della grafica della rivista De Stijl. Van Doesburg si occupò anche di caratteri tipografici, molto geometrici, verso una continua ricerca della funzionalità. Assieme a Walter Gropius gettò le basi della scuola del Bauhaus e del neoplasticismo, per poi preferire all’ortogonalità il dinamismo delle linee diagonali. Zwart, nel frattempo, entra in contatto con le avanguardie russe, grazie alle quali intraprende un percorso tipografico di espressione dinamica e ritmica, che esce dagli schemi della mera lettura. Quest’influenza lo portò anche a sperimentare fotografia e fotomontaggi, scoprendo il mondo delle sovrapposizioni cromatiche e delle interazioni con il testo.Ecco che così testo e immagine si uniscono e nascono nuovi linguaggi, basati sull’equilibrio tra pieni e vuoti, figure e sfondi, colori contrastanti. Zwart entrò poi come insegnante al Bauhaus, dove lasciò in eredità il suo
lavoro e le sue influenze russe. Negli anni ‘60 Wim Crouwel, che nel 1963 fondò con altri grafici lo studio Total Design, decide di riordinare la grafica olandese, ripristinando le griglie, compositive e tipografiche, che Zwart aveva abolito. La regola alla base compositiva e tipografica imposta da Crouwel è quella svizzera, e l’intero Total Design ne venne influenzato. Nel 1983
Zwart: Trio-Reclameboek. cover 1931 .
Theo van Doesburg: De Stijl magazine, 1917 Theo van Doesburg: ContraConstruction, 1923
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Crowel lasciò Total Design, lasciando però uno studio che ormai aveva una fama internazionale e che vide in seguito l’ingresso di persone legate alle nuove tecnologie e alla fotografia. Rivoluzionario dello stesso periodo è considerato anche Gert Dumbar, che inserì la tridimensionalità là dove le avanguardie avevano coltivato le due dimensioni, e separò il concetto di manifesto culturale dalla rapprerentazione di un’opera, ponendo elementi da lui reinterpretati. Dumbar fondò il suo studio, ed ebbe l’occasione di progettare l’immagine coordinata per PTT, le poste olandesi.
Wim Crowel: Vormgevers 1968 e New Alphabet, 1967
Gert Dumbar. poster per esposizione di Mondrian, 1971. Progetto per le poste olandesi, anni ‘80
ISPIRAZIONE
La grafica culturale è un ramo della grafica di pubblica utilità, fondata sull’intenzione di tradurre informazioni in senso lato con un linguaggio visivo comprensibile dal pubblico più vasto. Gli ambiti in cui opera sono quindi innumerevoli, tra cui la segnaletica stradale e direzionale, l’infografica ma anche l’immagine di enti pubblici. Il 30 agosto del 1792 venne approvato dalla Convenzione nazionale francese il decreto che dichiarava i musei di proprietà della comunità, rendendo così il Louvre un Museo della Repubblica. Questa data segna l’inizio di una nuova stagione per i musei, che continua fino ai nostri tempi. I musei precendenti, sebbene fossero accessibili, erano considerati grandi collezioni private di oggetti rari o di interesse storico, scientifico o religioso, come nel caso dell’antica Grecia ai tempi di Cicerone dove si parla delle grandi collezioni di Gaio Verre e della biblioteca di
COMUNICAZIONE MUSEALE
Alessandria, dei tesori del santuario di Delfi o dell’Acropoli di Atene. Durante il Rinascimento Italiano si recupera il concetto di collezione museale ma sempre privata, per piacere personale, filosofia seguita anche in estremo oriente, dove è stato addirittura da poco accettato il concetto di museo pubblico. L’idea di museo pubblico inizia a sorgere nel tardo Rinascimento, quando nel 1471 venne aperta al pubblico la raccolta capitolina, la collezione pubblica più antica del mondo, grazie al pontefice Sisto IV della Rovere che decise di donare alla collezione alcuni bronzi antichi. Vennero aperti nei cent’anni successivi anche il museo Cesarini a Roma, il Farnese e gli Uffizi. Il resto dell’Europa iniziò questo cambiamento il secolo successivo, spinta dall’orgoglio nazionale e civico. Nel 1681 venne fondato il Louvre e a seguire ad Oxford
Tempio di Atena a Delfi, Grecia. X secolo a.c. Galleria degli Uffizi, Firenze, edificio del XVI secolo, progetto di Giorgio Vasari.
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il museo Ashmolean (botanica e storia naturale) nel 1683. Facendo un salto temporale di 200 anni, troviamo la creazione dell’Altes Museum di Berlino, costruito nel 1815 in occasione dell’Esposizione, dal grande architetto Schinkel. Fino ad allora, la costruzione dei musei non era per forza affidata ai grandi esperti dell’epoca, inizia qui infatti la tradizione di far progettare i grandi musei ai grandi architetti. Questo permise di creare
Guggenheim Museum di New York, Frank Lloyd Wright, 1937.
un’ulteriore attrazione, oltre alla mostra, anche il museo stesso diventa opera. A tal proposito va citato il Guggenheim Museum di Frank Lloyd Wright (New York), edificato nel 1937 e tutt’ora considerato una tra le architetture moderne più famose, che attira turisti da tutto il mondo non tanto per le esposizioni che ospita quanto per la fama del suo architetto. Dagli anni ’70 in poi l’Europa vede un notevole incremento dei
musei e persino della loro estensione. Musei enormi e che esigono un gran capitale cominciano a farsi strada. In Germania viene varato persino un piano di sviluppo museale, dove vengono coinvolti grandi personaggi tra i quali Hans Hollein, James Stirling, Michael Wilford, Richard Meier e tanti altri, che si occuparo della costruzione di gallerie, municipi e musei in varie città dello stato. Dieci anni dopo, anche la Spagna entra in campo, quando finì la dittatura di Fancisco Franco, venne costruito a Barcellona il Museo di Arte Contemporanea per opera di Meier, ed a Madrid il Guggenheim da Frank O’Ghery. Negli stessi anni, l’Inghilterra vide l’ampliamento sia della Tate Gallery, grazie a Stirling e Wilford, che della National Gallery, di Venturi e Scott-Brown. La Francia però, contemporaneamente, si afferma in questo campo per l’ampiezza dei suoi programmi: già nel 1969
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divenne famosa per il Centre Pompidou di Renzo Piano e Norman Foster, vent’anni dopo si riaffermò grazie al progetto di rinnovamento chiamato Grand Louvre, di Ieoh Ming Pei, inaugurato nel 1989. Valutando la comunicazione di questi enti, si introduce il concetto di progetti di comunicazione visiva coordinata per la pubblica utilità. In questo campo rientrano anche progetti come quello londinese per i trasporti, attuato nel corso degli anni in maniera talmente efficace da risultare un riferimento tutt’ora. Il progetto per la Klm di Henrion e Parkin rientra nello stesso ambito, ed ha introdotto una metodologia innovativa per i futuri interventi di immagine coordinata, ripresa infatti nella comunicazione visiva di Lufthansa, cui Otl Aicher e il suo Entwicklung 5 diedero l’impronta determinante costituendo uno dei capisaldi della corporate identity.
Questi progetti riguardano però gli interessi di committenti privati, e sono quindi al limite del concetto di immagine di pubblica utilità, sebbene rientrino in questo campo. Questo settore si è infatti espanso negli ultimi vent’anni, includendo qualsiasi ente che si ponga in relazione con le masse. Il ruolo della cultura è cambiato ed ha provocato questo cambiamento, mutando anche le istituzioni annesse
Louvre Pyramide di Ieoh Ming Pei, Parigi 1989. Centre Pompidou di Renzo Piano, Parigi 1969.
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all’ambito. I musei hanno infatti di recente tolto la veste di luogo noioso ed elitario, dando la possibilità a tutti di accedervi per educare un nuovo pubblico e offrendo forme di svago alternative. Questo nuovo atteggiamento comporta una revisione dell’immagine del museo, che vuole comunicarsi in modo più dinamico e accessibile senza però intaccare la sua proposta culturale. Un esempio di questa nuova tendenza sono le mostre al Palazzo Grassi di Venezia, dove informazione e didattica si fondono per creare delle mostre-evento, con l’obiettivo di far luce sull’evoluzione della cultura e della tecnologia. Questo prevede un cambiamento della visibilità e del metodo per comunicarsi ad un pubblico che, ormai è sempre più esigenze ed ha fin troppi mezzi per accedere alle informazioni. La soluzione va cercata nella stessa funzione dell’istituzione: pubblica. Questa parola non deve rimanere solo un aggettivo
Macba di Barcellona, Meier, 1995 Palazzo Grassi a Venezia, G.Massari, 1748. Comunicazione visiva di Lufthansa, Otl Aicher e Entwicklung 5, 1963.
ma deve diventare una filosofia, e questo pensiero va trasmesso in modo che sia chiaro a chiunque. Dimostrando la propria disponibilità al pubblico e ponendosi come un servizio, si riesce ad attrarre le persone e a farle tornare offrendo loro la qualità. Come conferma, nel suo libro, il Dottore di ricerca in Design e Tecnologie per la Valorizzazione dei Beni Culturali, Francesco Ermanno Guida: “Con questi presupposti si può affermare che attraverso una attenta e consapevole progettazione coordinata, i musei di oggi, anche quelli italiani a gestione pubblica, possono assolvere correttamente al loro ruolo istituzionale, e farsi portatori di una comunicazione di qualità a 360°. Contribuendo al contempo all’educazione del pubblico.” (Comunicazione coordinata per i beni culturali: 4 progetti italiani, 2003).
PRODUZIONE
La figura del grafico venne rivoluzionata dall’avvento del computer, che permise di gestire lo sviluppo di un progetto dal concept alla stampa, di fare innumerevoli sperimentazioni senza sperchi di materiale e di dimezzare i tempi lavorativi. Le font sentirono particolarmente l’avvento di questo strumento, poiché attraverso il pc il disegno tipografico divenne molto più flessibile, e concesse ai grafici l’opportunità di trattare il testo come un’immagine. Grazie a questa facilità, spesso vennero disegnate intere font per singoli committenti, così da rendere ancora più unico e riconoscibile un lavoro. In breve tempo il carattere tipografico è quindi passato dall’essere qualcosa di fisico (piombo) al digitale, a puro scopo informativo. La tipografia è l’elemento grafico dominante nel linguaggio di Apeloig, lui stesso commenta così la sua produzione: “Nei miei manifesti, l’obiettivo
TIPOGRAFIA
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è ottenere il massimo dell’effetto con il minimo significato, per garantire il successo comunicativo. Le illustrazioni nei poster sono per me secondarie, raramente raggiungno lo stesso livello di concettualizzazione che raggiunge la composizione tipografica. La tipografia è la vera essenza del disegno: un equilibrio tra pieno e vuoto, luce e ombra. É una disciplina a metà tra scienza e arte... un materiale esatto e arbitrario... funzionale e poetico” (pg. 49 “Au cœur du mot” Philippe Apeloig). Nella creazione dei manifesti, Apeloig parte spesso dalla progettazione tipografica, anche declinando l’intera famiglia del carattere. L’obiettivo delle sue font non è quasi mai la leggibilità, sebbene è un fattore che considera nella progettazione poiché risulti funzionale, ma l’impatto visivo. Le lettere non sono simboli fonetici ma forme da plasmare per creare l’immagine. Nella composizione di
P. Apeloig: Bollywood, 2008 Tipografia creata per i manifesti del Teatro Musical de Paris stagione 2007-2008
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un carattere, Apeloig parte infatti dal ritmo, dalla modularità che vuole dargli, partendo da pochi elementi per iniziare a ricercare le proporzioni. Altro fattore dominante nella progettazione è lo scopo per cui il carattere viene disegnato, e quindi per transitiva, la committenza. La font Aleph infatti è stata disegnata per la mostra di Apeloig in Giappone, e quindi il suo disegno è orientaleggiante, per richiamare la calligrafia locale. Il Ndebele, altra font, è stato disegnato per l’Afrique Contemporaine e infatti richiama come le sue forme l’immaginario visivo dlele culture etniche. Altro carattere partolare è il Bollywood, per i manifesti del teatro Châtelet, che vuole richiamare l’ambiente del teatro, con luci e pesi sospesi dietro alle quinte.
P. Apeloig: Ndebele, 2010 disegnato per la rivista Afrique contemporaine. Aleph, 2006, disegnato per la sua mostra in Giappone.
PRODUZIONE
L’IDENTITÀ DEL MUSEO
fotografia di Alessandra Magrini
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Come già spiegato, fu il suo mancato talento come attore a spingere Apeloig ad inserirsi nel teatro per vie traverse. “Nonostante la comunicazione culturale abbia bassi budjets, trovo stimolante lavorare a progetti culturali, capaci di arricchire i miei interessi. Considero un privilegio espandere il mio campo di conoscenza attraverso il mio lavoro, e seguire il processo di pensiero di scienziati, artisti e editori” (pag.8 “Au cœur du mot” Philippe Apeloig).
Chicago, naissance d’une métropole, affiche per il Musée D’Orsay, 1987. Louvre, dix ans de la pyramide. Saison 1998 - 99 affiche, 1999.
Louvre, Catalogo. formato 21 x 21 cm, 545 pagine, 2008.
La sua attività per i musei comincia con il neonato Musée d’Orsay, nel 1987. La tipografia è in movimento come la strada sotto, davanti a uno sfondo immobile, come se ci fosse un prima e un dopo il manifesto. La tipografia in prospettiva rende inoltre un gioco di tridimensionalità che concorre a dare ulteriore movimento all’immagine. “La difficoltà del creare questo manifesto” spiega Apeloig, durante una conferenza del 30.11.2011 presso il museo 900 di Milano, “è stata un problema di equilibrio: come un acrobata, bisogna essere non troppo pesanti, né troppo leggeri”; ed infatti le scritte in bianco a lato, con le informazioni, poste alla stessa altezza del fotomontaggio bilanciano i colori e i pesi, senza nulla togliere al dinamismo dell’immagine. Per il manifesto del Musée du Louvre (1999), Apeloig decide di non appellarsi a nessun opera, poiché sarebbe riduttivo ricollegare un museo
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all’importnaza di un solo pezzo della sua collezione, si impone allora di mettere in evidenza la costruzione della piramide attraverso l’uso della tipografia, rievocando l’architettura tramite la grafica, con un modulo ripetitivo che permetta anche la lettura delle informazioni. Lo stesso modulo viene utlizzato per la copertina del catalogo delle collezioni del Louvre, sempre ad opera sua: la grafica della prima pagina non è altro, infatti, che una griglia uguale alla piramide, alla quale si ispira anche per la fodera del libro, in plastica trasparente, come i vetri del Louvre. Particolare anche il titolo, che è semplicememente Louvre e non Musée du Louvre, poiché lo scopo è comunicare il mondo e lo spirito di questo museo e non solo la sua immagine. Per lo stesso motivo anche l’impaginazione e la griglia interne sono semplici e modulari, dividendo la pagina quadrata in altri nove quadrati. Il catalogo del Musée du Quai Branly
è delle stesse dimensioni di quello per il Louvre, e presenta un idea innovativa per un museo. Il Quai Branly è famoso per l’architettura di Jean Nouvel (architetto francese, 1945): circondato dal verde, i muri esterni sono coperti da piante rampicanti. Il libro si trasforma così in un elemento vegetale e la tipografia riporta i colori dell’architettura. I titoli delle sezioni sono scritti con parole spezzate, perché il museo ospita
foto del Musée du Quai Branly, dal sito ufficiale www.quaibranly.fr Musée du Quai Branly, Catalogo formato 21 x 21 cm, 440 pagine, 2009.
Musée des Beaux-Arts, stagione 2003/04 Affiche, 2003.
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diverse culture e quindi la lettura dev’essere difficoltosa, come lo è la comprensione di diverse civiltà. Il manifesto per il
Musée des Beaux Arts vede l’uso del carattere “mantegna”, ispirato alle sue opere, che sono contenute in quel museo. Al centro del poster vi è il logotipo del museo, disegnato da lui: la costruzione si basa sulla griglia, che organizza le informazioni e la tipografia, evocando una melodia. I colori sono stati scelti perché istituzionali del museo, che li adopera al suo interno. Nel 1993 Apeloig si occupò del logotipo per Il Carré d’Art: museo d’arte contemporanea di Nîmes. Il colore dominante è il rosso, sia perché la città è famosa per la tauromachia, sia perché richiama il costruttivismo russo, di cui Apeloig sente gli effetti. La forma quadrata é un richiamo all’arte
foto del museo Carré d’Art, costruito davanti al Tempio Romano Quadrato. Carré d’Art, Musée d’art contemporain et bibliothèque à Nîmes, 1993. Direction des musées de France logotipo, 2006.
contemporanea ma anche, solo in questo caso, alle origine antiche dell’arte, poiché il museo si trova davanti al “tempio romano quadrato”. Il logotipo per la Direction des musées de France si presenta invece più ricercato: prevede una M in mezzo ad una sala stilizzata, con aperture per poterla attraversare; la M è stata posizionata al centro come a simboleggiare una cosa preziosa, il fulcro del messaggio. Per il Musée d’art et d’histoire du Judaïsme à Paris, Apeloig cercò un significato più implicito, disegnando una mano a sette dita, che simboleggia la mano dell’artista in versione ebraica, poiché fusa con un una Menorah (il famoso candelabro ebraico a sette braccia) citando anche artisticamente Chagall, che fece un ritratto
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di se stesso con sette dita ad una mano. La mano però non parve essere molto d’impatto, poiché molto difficile da interpretare, così Apeloig creò una fusione tra la stella di David e la spirale, che simboleggia il ponte tra l’interiorità e il mondo esterno, ed è inoltre il sigillo della Menorah. Il simbolo che però venne giudicato il più appropriato fu il terzo, ovvero una rappresentazione della Menorah, stilizzata. Il logo venne usato infatti anche 12 anni dopo, nel 2009, nel manifesto per la Exposition Radical Jewish Culture, durante la quale si esibì un gruppo di musica ebraica, che s’ispira alla tradizione ma è molto moderno e minimalista. I membri di questo gruppo fanno riferimento alle storie delle migrazioni ebraiche a New York nel Lower
Side: ricco quartiere della circoscrizione di Manhattan, dalle cui insegne dei negozi Apeloig prende spunto per il manifesto. Nel 2006, Apeloig lavora al progetto per il centenario della morte di Cézanne. Nel logo, convergono il cubismo e il precostruttivismo di Cézanne, con un approccio concettuale: la scritta si articola su un percorso quadrato,
Exposition Radical Jewish Culture Affiche, 2009.
Marc Chagall, Autoritratto con sette dita 1911/2. Apeloig, Musée d’art et d’histoire du Judaïsme à Paris, 1997. Cézanne 2006 Aix-en-Provence 2006.
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che vuole rimandare all’idea di cornice da pittore e gli spessori diversi delle lettere sono un richiamo alle pennellate, che non sono omogenee. I colori sono stati scelti dalla palette dell’artista: verde come la natura, blu come il cielo e giallo come i tetti della provenza. Sebbene non si tratti di comunicazione museale, il manifesto per Le Havre ha come intento quello di far risaltare il patrimonio di questa città, ed Apeloig tratta la città come se fosse un grande museo. Nel manifesto, ricostruisce l’architettura di questo comune francese. attraverso un ritmo di colori primari, per accentuare la modernità e la giovinezza degli edifici di questa città. La sovrapposizione di colori dà vita ad altri colori e crea
Le Havre, Patrimoine mondial de l’humanité, affiche 2006. Arc en Rêve. Contemporary Architecture and Design Center in Bordeaux, affiche 1992.
tridimensionalità e movimento. La texture dei palazzi viene ripresa anche nel poster per Arc en Rêve, centro di architettura contemporanea e del design di Bordeaux, dove per rendere l’effetto architettonico, Apeloig adopera un insieme di sovrapposizioni con una resa estremamente materialistica, ed una griglia che crea un effetto di profondità dei piani. Nel 2004 Apeloig vinse in concorso per il logotipo dello IUAV, l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Nella conferenza del 30 novembre 2011, Apeloig spiega in modo dettagliato i passaggi che ha affrontato per arrivare al disegno finale. L’ispirazione parte dalla Colonna Senza Fine di Brancusi, simbolo, per la sua tendenza verticale, dell’architettura. Il primo tentativo non lo soddisfa
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in quanto la lettera “i” non è larga come le altre lettere, inoltre la lettura risulta faticosa poiché l’alfabeto latino non è fatto per essere letto in verticale. per risolvere il peso ottico della “i” ha deciso di usare un font monospaziato, mentre per facilitare la lettura verticale ha inserito dei trattini tra una lettera e l’altra, che richiamano inoltre i pali che spuntano nella laguna di venezia. Sotto il disegno c’è una griglia rigida per rendere il logotipo simmetrico: su una parete trasparente può essere letto da entrambi i lati, diventa una colonna e un elemento decorativo. Nel 2000 Apeloig lavora al manifesto per The P.O.S.T.E.R, mostra di affiche presso la Eastern Kentucky University. Nel manifesto c’é una fusione totale tra immagine e tipografia, in quanto
IUAV, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, 2004.
foto sequenza che illustra la progettazione per il logotipo dello IUAV. Conferenza presso il Museo 900 di Milano, 30/11/2011
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Celebrating the Poster Eastern Kentucky University Affiche, 2000. Typo/Typé, Carré Sainte-Anne, Montpellier, Affiche, 2005.
sono i poster stessi che creano la scritta del titolo, ovvero The Poster. I nove rettangoli bianchi risultano piegati per costruire le lettere e al loro interno i nomi dei grafici sono posti in modo tale da completare le lettere e aiutare la lettura. Apeloig si è giustamente occupato anche dei manifesti delle sue personali. Nel 2005 ha esposto al Carré Sainte-Anne di Montpellier e al Musée
d’art russe di Kiev. Entrambi i manifesti cercano di trasmettere all’osservatore una vibrazione, che renda la tipografia in movimento, che la renda viva. Questo suo bisogno di comunicare il movimento é legato dalla sua passione per il teatro e per la danza, che non muore mai. L’unica differenza tra i due poster è data dal colore, che è stato scelto in base ai colori
Typo/Typé, Musée d’art russe, Kiev Affiche, 2005.
Vivo in Typo Espace Topographie de l’Art 2008
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predominanti dei luoghi dove avrebbe esposto. Lo stesso discorso vale per il manifesto Vivo in Typo, disegnato per una personale a Le Espace Topographie de l’Art a Parigi nel 2008.Nel 2011 Apeloig si occupò di disegnare il manifesto per la mostra di Wim Crouwel, ritenuto da lui stesso un precursore fondamentale della tipografia moderna grazie al suo lavoro sperimentale. Il manifesto infatti si sviluppa sulla griglia di un alfabeto di Crouwel, e la tipografia é chiaramente la font del grafico in questione. Adopera qui un metodo che Crouwel stesso ritiene fondamentale, ovvero rivelare l’universo dell’artista senza mostrarne una riproduzione di un’opera d’arte. Lo stesso principio è visibile nel manifesto per la Litvak Gallery: trattandosi di una mostra
di artisti che lavorano il vetro, Apeloig ha cercato di trasmettere la loro arte attraverso la sua, ricreando l’idea di un materiale fragile e riflettente. Nel 2009, si occupa dell’identità visiva de La Maison de Photo: il logo e i manifesti sono dichiaratamente in bianco e nero, poiché
La Maison de Photo: Maison d’édition de photos d’art, logotipo, 2009. Les Aiguilles de Port-Coton affiche, 2011.
A Graphic Odyssey, mostra di Wim Crouwel al Design Museum, 2011. Litvak Gallery, Galerie d’art contemporain a Tel-Aviv, 2009.
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lo studio è specializzato in foto di questo genere. Per il manifesto di Henry Moore, Apeloig come al solito non volle usare una sua opera, quindi fotografò la sua casa, che si trova all’interno di un parco, pieno di architetture di Moore. L’immagine richiama così la sua opera senza mostrarla; la casa è come un’ombra dietro la tipografia bianca, messa in rilievo come
Henry Moore intime, Galerie Didier Imbert, Parigi. affiche, 1992. Exposition Bewegte Schrift al Museum für Gestaltung, Zurigo, 2011.
La passion de l’œuvre, Rodin et Freud collectionneurs. Musée Rodin, 2008.
un’architettura. L’esposizione Bewegte Schrift al Museum für Gestaltung di Zurigo prevedeva la mostra di una serie di immagini in movimento, così Apeloig decise che anche il manifesto dovette esserlo: la tipografia vibra e illumina il buio dell’immagine, come dei led in un pannello, sul quale la scritta può cambiare.Nel manifesto per La Passion de l’œuvre, esposizione di collezioni di Rodin e Freud, Apeloig ha scelto di mettere come immagine un’opera che amavano entrambi, che li accomunasse, ed ha disposto la tipografia in modo da accompagnare il movimento della camminata dei protatagonisti nella scultura. Interessante è l’interpetazione che Apeloig da al manifesto per la mostra di collezioni di Rodin e Matisse, dove
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ha usato delle opere di entrambi posizionate attorno alla tipografia, contrariamente a quanto vorrebbero i conservatori, ed ha disposto la tipografia centralmente e in verticale, come se fosse lei la vera opera. La confusione tra le sculture è voluta: Apeloig non voleva far capire quale opera fosse di Rodin e quale di Matisse. La scelta compositiva particolare si ispira
a La Danse di Matisse, Durante la conferenza già citata, Apeloig dichiara che questo è l’unico manifesto di cui non è pienamente soddisfatto, perché non è riuscito a reinterpretare la loro scultura attraverso la sua arte ed ha dovuto mettere nella composizione delle opere. La chiave di lettura del manifesto è in questo caso più che mai la tipografia.
Exposition Matisse et Rodin Musée Rodin, 100 x 150 cm 2009 Henri Matisse, La Danse, seconda versione. 1909-1910
LA MOSTRA
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PREMESSE
Il termine corporate identity venne usato la prima volta da Walter Margulies della Lippincott&Margulies (studio internazionale di design specializzato in corporate identity) per cercare di distinguere il proprio lavoro. Lo studio offriva alle compagnie americane un progetto di comunicazione basato su studio e analisi di mercato dei competitori. Questa attività mette in luce il problema di interpretazione della corporate identity, che “tutt’ora viene considerata come un puro progetto grafico il cui elemento centrale è il marchio, ma che si risolve spesso nella semplice e meccanica sua applicazione ai differenti supporti. È un equivoco che ha dato interessanti esempi di buona progettazione, anche se corporate
IMMAGINE COORDINATA
identity individua un campo che va al di là di quello puramente visivo” come spiega Francesco Ermanno Guida (op.cit). “Immagine coordinata” è la trduzione fatta da Giovanni Anceschi al termine inglese corporate identity, definizione creata dai grafici Henrion e Parkin nel 1967. Henrion e Parkin definiscono la corporate identity come “l’insieme delle immagini o idee o qualità di un ente che le persone hanno o si formano entrando in rapporto con loro tramite elementi, detti punti di contatto, quali marchi, edifici, prodotti, packaging, stampati, veicoli, pubblicazioni, uniformi e attività promozionali” (da Design Coordination and corporate image. FHK Henrion e Alan Parkin, 1967). L’immagine coordinata ha come obiettivo quello di distinguersi dai
concorrenti attraverso la riconoscibilità, che permette al pubblico di ricordarsi di un certo ente. Nel 1995 Wally Olins pubblica “The New Guide to Identity”, nella quale introduce un nuovo termine: corporate personality, che definisce l’insieme delle qualità interne e imprescindibili di una società, ovvero un approfondimento della corporate identity, ed é l’opposto della corporate image. Ne “Il Manuale del Design Grafico”, edito nel 2003, Daniele Baroni definisce la corporate identity come “il corpo di fabbrica, se ne esiste uno, le persone fisiche che vi lavorano; pertanto anche la sua storia, oltre ai progettisti del presente e del futuro, immmediato e a medio termine, le sue strategie, il suo concept, le politiche di distribuzione e di vendita”, mentre la
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corporate image è l’immagine attraverso cui si comunicano tutti questi aspetti, ovvero la definizione che diedero Henrion e Parkin alla corporate identity. La personalità di un ente è quindi il concetto, l’idea che lo governa; l’identità è l’emanazione concreta di questa idea; l’immagine è la comunicazione visiva dell’identità. Per quanto riguarda il concetto di coordinazione, il discorso è ben differente. Perché un’immagine coordinata sia efficente, essa deve costruirsi nel tempo, adattarsi alle necessità, sempre con coerenza; ogni elemento che la compone deve essere riconducibile all’ente, proprio per soddisfare gli scopi della riconoscibilità e dell’unicità del brand. Il progetto grafico, se ne deduce, è solo uno degli strumenti a disposizione, con i quali rendere nota
tale filosofia, infatti anche i comportamenti aziendali, i prodotti o il servizio fornito divengono elementi costruttivi di intenzioni, obiettivi, interessi commerciali e comunicazione in senso lato.
PUNTI DI CONTATTO
diagramma della definizione di Olins illustrata in “Comunicazione Coordinata per i Beni Culturali: 4 progetti italiani” F.E. Guida, 2003.
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PREMESSE
“AFFICHES”PHILIPPE APELOIG“Vivo in Typo” Anatome Milano 1~15 marzo 2011 dal luned al venerdF h 09.00~13.00 . 15.00~18.00
acolt del Design
Via Durando, 10
“AFFICHE Anatome Milano 1~15
il manifesto per la mostra e il dettaglio del marchio della mostra nel manifesto.
PERCORSO PROGETTUALE
L’immagine coordinata per la Galleria Anatome a Milano si sviluppa attorno al marchio, della cui progettazione si è parlato nel primo capitolo. Il marchio viene poi apposto sui supporti che vengono progettati nelle fasi successive, e quindi già nella analisi va considerato questo aspetto. Il passo seguente è stato concentrarsi su uno degli autori che hanno esposto nella Galerie Anatome di Parigi, in questo caso Philippe Apeloig, e organizzarne l’esposizione nella sede di Milano. La parte più impegnativa è stata proprio quella che riguarda la mostra, in quanto vanno collegati due universi distinti: quello dell’autore e quello della galleria. Per comunicare la mostra è stato richiesto di progettarne un manifesto, da apporre
all’esterno, e quindi nelle strade e nei luoghi pubblici come le metropolitane. Nel manifesto è stato necessario comunicare la filosofia visiva dell’autore ma anche l’identità del museo, che viene dichiarata con l’apposizione del marchio tra le informazioni della mostra. L’importanza del manifesto in questo progetto è totale, poiché sarà da questa grafica, dalle scelte stilistiche adottate, che si svilupperà l’immagine coordinata. La fase successiva prevede la creazione di un libretto di sedici pagine, definito Sedicesimo, riassuntivo delle caratteristiche dell’autore e che mette in luce la sua lifosofia visiva. Il sedicesimo verrà poi teoricamente venduto all’interno della mostra. Sono stati poi progettati diversi mezzi per la comunicazione
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della mostra: la cartella stampa, contenente sia il comunicato stampa su carta intestata, per i giornalisti e gli editoriali, che un cd masterizzato con i contenuti della mostra e le sue informazioni; un invito in formato cartolina con busta per la spedizione; uno stendardo studiato per essere appeso, assieme a quelli degli autori, nell’atrio dell’edificio N della Scuola del Design presso il Politecnico Bovisa, ovvero la sede della mostra. Dal sedicesimo fino allo stendardo, sono state applicate le scelte stilistiche dettate dal manifesto iniziale, che coordina l’immagine di Philippe Apeloig presso la Galleria Anatome di Milano. La progettazione dell’immagine coordinata nasce dall’analisi dell’autore e dalla estrazione dalle sue opere degli elementi
Contestualizzazione del manifesto in uno spazio pubblicitario sul muro.
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rappresentativi della sua poetica visiva. L’obiettivo è creare con la propria impronta visiva, un’immagine che sia rappresentativa dell’autore senza copiare le sue opere, dottrina già illustrata precedentemente e sostenuta da Apeloig stesso. Si tratta quindi non di una semplice riproposizione di opere, ma di una rielaborazione in cui si esprime anche il grafico. Questo processo non è altro che lo stesso lavoro di Apeloig, quando si occupa di gestire l’esposizione di qualche artista. Dopo la doverosa spiegazione del metodo utilizzato, si passa ai primi risultati dell’analisi effettuata sull’autore. Nella poetica di Apeloig sono state individuate delle caratteristiche ricorrenti, tipiche del suo stile; queste, che lui applica a quasi tutti i suoi lavori,
palette dei colori utilizzati: ciano C100%, verde C52% Y67%, giallo Y100% e nero CMYK100% Disposizione della tipografia nel poster
sono state utilizzate per creare la sua immagine coordinata. Possiamo elencarne le principali: la Filosofia, concetto generale che prevede come fulcro la tipografia, infatti nella progettazione viene prima impostato il testo, e poi il resto dell’immagine; la Tipogra-fia, come materiale creativo da plasmare, il Ritmo, dato dalla griglia spesso a base modulare, che viene utilizzata come supporto per il testo e che viene anche spesso trasgredita; il Colore, sempre in abbinamenti contrastanti e vivaci, per rendere le composizioni d’impatto; la Sovrapposizione, utilizzata assieme alla trasparenza per legare il testo e l’immagine; l’Essenzialità, ovvero la capacità di sintesi, senza nulla togliere al messaggio;
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e la Spazialità, ovvero il senso di spazio, di dinamismo e di profondità reso sul supporto bidimensionale. Questi principi progettuali, sono stati applicati per disegnare il capostipite dell’immagine coordinata, il manifesto, della cui progettazione si parlerà nelle pagine successive. I colori istituzionali sono stati scelti dall’inventario cromatico più inflazionato di Apeloig: sfondi scuri spesso ricorrenti hanno determinato la scelta di adoperare un colore nero pieno come background, e per la tipografia sono stati scelti il giallo, il verde e il ciano, anche questi selezionati perché molto utilizzati dall’artista. Il verde non è mai usato separatamente dagli altri, in quanto non viene considerato come colore a se stante ma come sovrapposizione di giallo e ciano; risultato di
trasparenze adoperato in molti manifesti dell’autore. Per quanto riguarda la tipografia, è stata adoperata la famiglia del Gotham per testi discorsivi e didascalici; per i titoli una font progetatta da Apeloig che lui ha spesso usato nei manifesti delle sue personali: il Carré, font progettata su un modulo quadrato, che permette anche di richiamare le caratteristiche della griglia. Le altre font utilizzate sono il Labtop Unicase Upper Wide e il Labtop Superwide Boldish, scelte per la forma allungata, caratteristica usuale nelle scelte tipografiche di Apeloig, e per la somiglianza con il Bollywood, disegnato dall’autore.
Gotham book Gotham medium Gotham black
Labtop Unicase Upper Wide
Labtop Superwide Boldish
font Carré di Philippe Apeloig, 1993 font della famiglia Gotham font della famiglia Labtop
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IL PROGETTO
IL MANIFESTO
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alcuni dei manifesti di Philippe Apeloig, usati per dedurne le caratteristiche.
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Come già spiegato, il progetto del manifesto è portante per l’intero lavoro e decisivo dell’impronta che si vuole dare all’immagine coordinata. Per queste ragioni, ci sono molte prove di questo artefatto. Anche se molto diverse tra loro a livello grafico, in ogni bozza si cerca di comunicare quei principi di cui si è parlato precedentemente, ovvero quelli stilistici
di Apeloig. In alcuni esempi si cerca di dar maggior risalto ad una particolarità piuttosto che ad un’altra, gli unici concetti che son sempre presenti sono quelli di ritmo e di colore, e spesso la trasparenza. La prima bozza tenta di ricreare un manifesto dell’autore, esperimento poi scartato proprio perché imitativo e non reinterpretativo. Dalla seconda prova
in poi, compare la font Carré che sarà poi quella definitiva, anche se qui la sua disposizione richiama talmente la griglia, da confondere la lettura del nome dell’autore. Nel tentativo successivo infatti vengono eliminati i quadrati, così che la lettura anche se spezzata sia lineare, infatti adesso si legge abbastanza chiaramente che l’artista è Philippe Apeloig. Viene inoltre
PHILIPPE APELOIG “AFFICHES”
“Vivo in Typo” Galleria Anatome Milano h 09.00 - 18.00 2010-2011
“AFFICHES” 2010-2011 ANATOME
MILANO
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introdotto un elemento di trasparenza, un unico quadrato al posto dei molti precedenti, ma anche questo manifesto non convince, per i suoi colori e per come è bilanciato. La sua declinazione su diversi supporti risulterebbe poi difficile da immaginare e quindi da applicare. Nel passaggio successivo si cerca infatti di sistemare il problema del bilanciamento,
sviluppando la tipografia in linea diagonale con pesi visivi complementari; ma anche qui, la diagonalità limita molto la futura applicazione e declinazione, perché rende la composizione troppo rigida. Nel manifesto successivo si cerca quindi di adoperare lo spazio come una pagina, con le immagini e le scritte, ma ancora non sembra adatto poiché, oltre alla scelta dei colori
che risulta stridente e difficilmente adoperabile in tutte le situazioni, la composizione stessa non lascia spazio: la tipografia informativa e quella per Apeloig si sacrificano a vicenda. C’è bisogno di più respiro. Infatti ci si avvicina alla soluzione con il poster successivo. a tipografia per l’autore viene sovrapposta, introducendo un terzo colore che permette così
PHILIPPE APELOIG “AFFICHES”
“Vivo in Typo”
2010-2011 Galleria Anatome Milano
h 09.00-18.00
Philippe Apeloig “Affiches”
“Vivo In Typo”
Galleria Anatome Milano h 09.00 - 18.00 2010-2011
da sinistra verso destra: evoluzione del manifesto.
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di richiamare i principi di trasparenza e sovrapposizione; le lettere vengono distanziate e delineano la griglia che viene poi spezzata dal testo informativo. I colori sono vivaci e contrastanti. Gli unici elementi che però effettivamente disturbano sono proprio quello informativo, troppo chiaro e evidentemente troppo fuori dagli schemi, e i colori, che non rispecchiamo le scelte cromatiche tipiche del grafico. La soluzione finale prevede la sistemazione di questi elementi: viene sistemata la tipografia informativa e posta al centro, riprendendo i colori della composizione, che adesso sono ciano, verde e giallo. I colori sono stati selezionati perché molto utilizzati nelle opere di Apeloig, come lo sfondo scuro. La composizione ha finalmente trovato
il suo equilibrio di pieni e di vuoti e il suo equilibrio cromatico. La tipografia informativa esce dalle regole della tipografia per il titolo grazie alla sua forma allungata, che entra in contrasto, ma senza sopraffarla, con la forma quadrata del Carré. I colori sono accesi come nei manifesti dell’artista, senza disturbare l’occhio ma lasciandovi una traccia, grazie alla potenza luminosa creata dal contrasto di colori puri sul nero. L’unico colore che non è acceso, è il grigio k60% che colora parte delle informazioni: nonostante sia più vicino al nero, viene percepito come un bianco sporco molto leggibile; questa scelta è stata fatta perché se fosse stato adoperato il bianco pieno le scritte sarebbero entrate in contrasto visivo con
la tipografia sovrastante, e avrebbe creato una certa confusione di lettura. In questo modo invece le informazioni sono visibili senza intaccare la ricercata eccentricità dell’immagine tipografica. Ancora più piccole sono infatti le informazioni con il luogo e la data dell’evento, talmente leggere da creare l’illusione di essere una riga, ma appariscenti grazie all’uso del colore ciano alternato che spezza l’inganno visivo. La composizione in totale risulta infatti anche un climax di dimensione, che passa dal grande peso del Carré, al titolo più piccolo, fino alle informazioni, più piccole ancora. Questa progressione non crea inoltre alcuna sensazione di schiacciamento del testo, grazie all’equilibrio dei vuoti e alla giustezza del testo informativo.
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“AFFICHES”PHILIPPE APELOIG“Vivo in Typo”
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Già nel penultimo tentativo si è giunti alla sovrapposizione della tipografia di Philippe e di Apeloig: la coppia PE presente in entrambe finisce per coincidere, mentre le lettere A e P si fondono, creando quello che potrebbe anche essere un monogramma,
Tre passaggi che spiegano il metodo di fusione utilizzato per creare l’immagine tipografica di Philippe Apeloig.
poiché unisce le iniziali del nome e del cognome dell’artista. Questo metodo permette inoltre di dare molta importanza alla tecnica della trasparenza tipica del grafico, che adesso viene applicata a lui stesso. Per creare questo effetto, sono stati usati tre livelli diversi: due livelli gialli e uno ciano. Il livello più basso è un giallo pieno,
al quale è stato messo sopra il livello del ciano pieno. Entrambi questi livelli hanno il parametro opacità al 100% (Adobe Illustrator) impostato con il metodo di fusione Normale (ovvero senza interazione tra i due livelli). Il livello superiore, il terzo, è giallo e serve per creare il verde, grazie al metodo di fusione Moltiplica e un’opacità del 100%.
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Fotomontaggio che offre un esempio di contestualizzazione, presso la Stazione Centrale di Milano.
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IL PROGETTO
IL SEDICESIMO
“Un Sedicesimo” è un libretto di sedici pagine ottenuto da un unico foglio-macchina 70x100 cm. Il numero delle pagine di questa pubblicazione, fa si che non sia un depliant ma nemmeno un catalogo. Per capire come sfruttare il sedicesimo, sono stati presi in esame i sedicesimi della collana di Corraini, nei quali in ogni numero un autore racconta se stesso. Attraverso le sedici pagine delle edizioni Corraini, si è potuto vedere come si racconta una personalità, un’ideologia, talvolta anche senza l’uso del testo. Così, mentre nel manifesto è stata fatta una sintesi della filosofia visiva, qui nel sedicesimo si cerca di fornire un quadro più completo dell’autore. Le sette caratteristiche che sono state fuse nel manifesto, vengono qui
Un Sedicesimo, di Anthony Peters per Corraini Editore.
spiegate attraverso le parole stesse di Apeloig: con delle sue citazioni. Ogni coppia di pagine affiancate è considerata un capitolo e prevede due parti: la pagina di sinistra, con il numero del capitolo, l’argomento, e la citazione che lo spiega; e la pagina di destra, che contiene un’immagine d’esempio del tema trattato. Si tratta di un disegno vettoriale che, riproducendo un’opera di Apeloig o solo una parte, mette in evidenza la caratteristica di cui si sta parlando. La pagina di destra è inoltre sempre a vivo, occupando l’intero spazio visivo. La copertina del sedicesimo riprende il tema del poster attraverso l’uso del Carré disposto a modulo. Il titolo è 1234567Philippe Apeloig ma proprio per la sua composizione non è fatto per essere
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letto quanto per essere interpretato: i numeri elencano le caratteristiche, e quindi i capitoli, trattate nel sedicesimo e la lettura è fondamentalmente grafica, va interpretata come un puzzle che componendosi ha come risultato l’artista stesso. I numeri da 1 a 7 sono stati disposti in una griglia di tre colonne e tre righe, le quali ultime due caselle (precisamente la otta-va e la nona) fanno da supporto al testo “Philippe Apeloig”. I numeri da 1 a 7 sono gialli ma con opacità diversa e crescente con l’aumentare dei numeri, ovvero: il numero Uno ha opacità 40%, il Due 50% e così via, progressivamente con un aumento del 10% a numero si giunge al Sette con l’opacità al 100%. Questa progessione, oltre a ribadire la caratteristica della
trasparenza, sottolinea la compo-sizione del puzzle e quindi del personaggio, il cui nome è scritto infatti dopo l’ultimo numero, come se fosse la somma dei numeri precedenti. Il nome del grafico è in colore ciano pieno ed è affiancato al numero 7, Per concludere la descrizione della copertina, c’è da aggiungere che lo sfondo è lo stesso del manifesto: nero pieno. Così l’immagine coordinata, nata col poster, viene declinata per il sedicesimo. All’interno la grafica della copertina viene ripresa per scandire i capitoli: il numero del capitolo è in giallo e gli altri sono grigi, come se fossero spenti, mentre al posto del nome c’è il titolo del capitolo, sotto al quale c’è la citazione, in nero. La quarta di copertina contiene le informazioni riguardanti lo sviluppo
Parte della prima di copertina che ne illustra la grafica; esempio della declinazione di tale grafica per la suddivisione dei capitoli; parte della quarta di copertina che ne illustra la grafica.
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del progetto e di nuovo il nome del grafico, questa volta però fuso con il concetto del sedicesimo. “Un Sedicesimo” viene interpretato come frazione e inserito, in ciano, nel nome di Apeloig scritto invece in giallo. Le font utilizzate, oltre al Carré, sono il Gotham nelle versioni Book e Bold. Come già detto, le parti testuali del sedicesimo sono citazioni dell’artista. Queste sono state prese da sue interviste trovate sul suo sito e dal suo libro (op.cit). Tra tutte le citazioni sono stase scelte quelle più efficaci e sintetiche. Nel sedicesimo infatti si è scelto di non usare citazioni troppo lunghe e discorsive, poiché l’attenzione e l’immaginazione del lettore devono concentrarsi maggiormente sull’immagine, che spiega più di quanto una frase possa fare.
Le immagini originali, poi reinterpretate nel sedicesimo. Dall’alto verso il basso: 1.filosofia, 2.tipografia, 3.modulo
D’altronde, Apeloig stesso preferisce esprimersi attraverso la potenza visiva della tipografia piuttosto che attraverso la sua lettura. Le citazioni, inoltre, non sono state messe tra virgolette e non è stato esplicitato che lo siano. Questa scelta è stata presa di conseguenza alla selezione della prima citazione, che essendo in prima persona ed affiancata ad un immagine dell’artista, già lascia intuire che sia lui stesso a raccontarsi. Poiché nelle foto scattate non è sempre possibile leggere i testi, vengono qui riportati, nello stesso ordine in cui sono nel sedicesimo: con il numero e il titolo in maiuscolo del capitolo, e la citazione a seguito.
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1.FILOSOFIA La maggior parte delle volte comincio i miei lavori con la scelta del testo, poi mi sposto sull’immagine. Uso una tecnica compositiva molto cinematografica, tagliando e componendo in ordine differente Le mie idee seguono un processo molto complesso e labirintico.
4.COLORE Devo ammettere che mi piacciono i colori vivaci, contrastanti, che rendono le composizioni d’impatto.
2.TIPOGRAFIA Il mio interesse per l a parola stampata si sposta dal contenuto alla forma. Le lettere non sono solo un mezzo per esprimere pensieri, ma anche materiale creativo.
6. ESSENZIALITÀ L’obiettivo del grafico è comunicare, ma il talento sta nel farlo col minor materiale possibile. Il messaggio dev’essere ovvio, originale e facile da ricordare.
3. MODULO Per cominciare disegno la griglia, le linee mi servono come supporto al testo. Poi la trasgredisco.
7.SPAZIO Mi affascina l’idea della profondità, dello spazio e del movimento immobile e mi interessa tutto ciò che la terza dimensione ha apportato al supporto bidimensionale.
5.SOVRAPPOSIZIONE Attraverso la sovrapposizione e la trasparenza riesco ad unire l’immagine al testo, il testo all’immagine.
Le immagini originali, poi reinterpretate nel sedicesimo. Dall’alto verso il basso: 4.colore, 5.sovrapposizione, 6.essenzialità, 7.spazio.
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foto del sedicesimo di Philippe Apeloig per la Galleria Anatome a Milano.
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IL PROGETTO
L’INVITO
Per la comunicazione esterna della mostra è stato progettato anche un invito, che chiuso è in formato cartolina (10x15 cm). L’obiettivo dell’invito è quello di informare chi lo riceve sulla presenza della mostra, il luogo, l’orario, ecc. Questo scopo lo rende molto più vicino concettualmente al manifesto che al sedicesimo, ma diversamente dal manifesto nell’invito si può introdurre il concetto di interazione con l’utente. La prima idea infatti si sviluppa attorno al principio della trasparenza e al gioco della sovrapposizione che avviene nel manifesto. L’intento è quello di creare una cartolina che misuri 30x15 cm, così da piegarla poi in tre sezioni uguali ed ottenere il formato giusto. Le ali laterali sarebbero in foglio acetato, sulle quali si è pensato di scomporre il disegno del
esempi di cartoline interattive: Lovi di Anne Paso, “One For You, One For Me” Wishbone and Popsicle di Threefold, Ein Großes Hallo di Danbo.
manifesto: quella di sinistra ha sovrastampato il nome, in giallo, e quella di destra il cognome, in ciano. Sovrapponendole si ottiene ovviamente lo stesso effetto del poster, con le tre lettere in verde. L’utente ha così modo di scoprire l’artista componendo e scomponendo l’invito. Interazioni di questo genere permettono sia di attirare maggiormente l’attenzione del fruitore, sia di trattenerla, poiché tendenzialmente, gli artefatti con cui si può interagire e che stimolano l’interesse vengono, dai più, anche conservati. Continuando la descrizione della cartolina, vi è poi la parte centrale in cartoncino, con stampate le informazioni per la mostra. La tipografia in questa sezione è stata posizionata in modo tale che si legga tra una lettera e l’altra del Carré, se i fogli di acetato sono
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chiusi. Questa scelta si distacca dal manifesto ma non dall’artista, che spesso tende a scrivere le informazioni tra le immagini, siano esse tipografiche o no. Il cartoncino all’interno dell’invito è studiato in modo tale da essere alto più del suo doppio: in questo modo lo si può piegare dopo i 15cm di altezza, che deve avere la cartolina, e ne avrà altri 17 che vanno dietro, a costruire il retro dell’invito. I 2cm di eccesso serviranno per poter creare una linguetta da riattaccare poi all’altro lembo, e formare una fascia in cui verrà inserito, e incollato, il foglio di acetato. Sul retro, quindi, c’è una citazione di Apeloig sulla sua filosofia, e il marchio della Galleria Anatome a Milano.
disegni per la cartolina: aperta, mentre si chiude, chiusa e retro.
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an at ome milano
Sig. Antonio Magrini via Aosta, 21 Milano, 20155 Italia
Galleria Anatome Milano Facolt del Design Via Durando, 10
Illustrazione della grafica vettoriale per la busta istituzionale della Galleria Anatome Milano.
Il problema della cartolina si presenta nella realizzazione: il cartoncino e l’acetato non riescono a rimanere incollati a lungo, creano uno spessore notevole e scomodo da imbustare. Inoltre la stampa del ciano e del giallo sull’acetato non sembra dare i risultati previsti in progettazione: è molto chiara, non omogenea e si cancella con molta facilità. Questi problemi, nonostante molte prove e riadattamenti, non sono stati risolti, se non togliendo l’acetato. La decisione di eliminare questo materiale comporterebbe però un cambiamento, non radicale ma quasi, del concept: se il foglio trasparente serviva a rendere l’idea della sovrapposizione e della composizione dell’opera, senza di questo va trovato un metodo alternativo per comunicare gli stessi principi,
altrimenti bisogna cambiare l’idea iniziale. Ma la soluzione arriva, dopo molti esperimenti, senza dover rivoluzionare la concezione del progetto: la sovrapposizione c’è ancora, ma al posto del foglio di acetato si usa il cartoncino stesso della cartolina. Quindi, per spiegare meglio, la cartolina è un pezzo unico, di dimensioni 30x15cm, piegata in tre parti uguali. Questa volta le ali sono nere come la parte centrale, e quando la cartolina è chiusa compongono l’immagine del poster. L’ala di sinistra contiene, come nel progetto precente, il nome, con la differenza che le ultime tre lettere sono verdi perché già sovrapposte alle prime tre del cognome. Stesso discorso per l’ala di destra, il cognome con le prime lettere già sovrapposte. Nella parte interna delle ali è stato scelto di inserire le infor-
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mazioni sulla mostra: a sinistra quelle riguardanti ora e luogo dell’esposizione, a destra una citazione di Apeloig che ne descrive la filosofia visiva e progettuale, per incominciare ad inserire l’utente nel suo mondo. Al centro, è stata messa una sua foto, in bianco e nero. Questa foto è estremamente rappresentativa dell’autore, in quanto è una delle poche fatte in studio su sua richiesta: voleva uno scatto fotografico di sé con il volto ricoperto di tipografia, come se le lettere facessero parte di lui stesso. La scelta di mettere questa foto è motivata, oltre che dalla sua empatia con il personaggio, anche dal fatto che una sua opera non ne avrebbe svelato l’universo. Per concludere, sul retro vi è una breve descrizione dell’autore e della mostra. La busta per la lettera è sta-
ta progettata in modo estremamente semplice e pulito, ma soprattuto è estranea all’autore, nel senso che è istituzionale della Galleria Anatome a Milano e non presenta riferimenti esterni con il suo contenuto; é di colore nero e le scritte sono bianche: sul lato dell’apertura ci sono Il
nome della galleria, la sua sede e il suo marchio; sul retro vi è il destinatario e lo spazio per il francobollo.
fotografia della busta contenente l’invito alla mostra, retro.
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foto della cartolina d’invito alla mostra di Philippe Apeloig alla Galleria Anatome Milano.
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IL PROGETTO
Per la stampa è stata progettata una cartella contenente un cd e le informazioni sulla mostra, stampate su carta intestata della Galleria Anatome Milano. Il primo tentativo per la cartella stampa è stato sviluppato in contemporanea alla cartolina trasparente di cui si è parlato in precedenza, e quindi prevede anche lui una parte in acetato: l’ala sinistra, con il nome in Carré. Sull’ala destra ci sarebbe stato il cognome in Carré ma su cartoncino a sfondo nero. Anche qui si pone il problema della rilegatura, poiché il foglio di acetato risulta difficile da unire alla parte in cartone. Anche questo progetto quindi viene abbandonato e sostituito dalla seconda prova, che risulta essere ancora quella definitiva. Seguendo la grafica della car-
LA CARTELLA STAMPA
tolina, anche la cartella stampa diventa un pezzo unico, in cartoncino, completamente a sfondo nero. Le due ali che erano presenti nell’invito diventano una tasca e la rispettiva chiusura. L’apertura infatti qui avviene in modo differente, perché se fosse stata laterale si sarebbe dovuto aggiungere un ulteriore pezzo per costruire la tasca, in cui devono rimanere i fogli stampa e il cd. La divisione della tipografia del manifesto, che nella catolina era orizzontale, qui è verticale e permette alla parte in cui c’è il cognome di contenere il materiale. La parte con il nome ha al suo interno le informazioni riguardanti l’evento (titolo, data, ora e luogo) ed ha la funzione principale di chiudere completamente la cartella stampa, così da non far scivolare fuori nulla.
Il cd è stato apposto al centro di un cartoncino formato A4 che si trova all’interno; si è preferito attaccarlo ad un supporto mobile e non direttamente al fondo della cartelletta in moodo tale da non aver problemi ad infilare e sfilare i fogli stampa. Il cartoncino del cd è a sfondo nero come il resto della cartelletta e riporta le informazioni sulla mostra fornite anche dal manifesto, ovvero il titolo, la data, orario e luogo. Sul cd è stata stampata una texture creata dalla ripetizione del disegno tipografico del manifesto, ritagliando due spazi per inserire il nome dell’artista e il marchio della galleria. Sul retro della cartella sono riportati lo stesso testo e la stessa grafica presenti dietro all’invito. Per quanto riguarda la carta intestata, è stata scelta un’impostazione
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molto semplice, che vede il marchio Anatome in alto a sinistra, affiancato sulla destra dal suo indirizzo, al quale è allineato, più in basso, il testo con il titolo, le informazioni istituzionali della mostra e un breve testo d’introduzione all’autore. La carta intestata non presenta caratterizzazioni legate all’immagine coordinata della mostra, perché è pensata per essere utilizzata in tutte lle occasioni richieste da Anatome Milano.
Prima bozza per la cartella stampa, che prevede l’effetto della sovrapposizione attraverso il foglio di acetato.
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foto della cartella stampa per la mostra di Philippe Apeloig alla Galleria Anatome di Milano.
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IL PROGETTO
“AFFICHES” PHILIPPE APELOIG
“Vivo in Typo” 1~15 marzo 2011 dal luned al venerd h 09.00~13.00 . 15.00~18.00 Galleria Anatome Milano Facolt del Design Via Durando, 10 an at ome milano
LO STENDARDO
Lo stendardo è stato progettato per essere appeso nell’atrio dell’edificio N della Scuola di Design, nel campus del Politecnico Bovisa. Ha dimensioni notevoli (9x2,5 m) e un formato alto e stretto. Il procedimento per applicare l’immagine dal manifesto è stato in questo caso un pò differente, proprio perché il formato ha delle caratteristiche diverse dai precedenti supporti. La griglia in cui è sistemato il Carré è stata cambiata in due colonne e sei righe, e gli spazi tra una lettera e l’altra sono leggermente aumentati, per permettere alla tipo-
grafia di avere il giusto peso nel manifesto. Le informazioni sulla mostra sono state messe in fondo, assieme al marchio della galleria, allieneati a bandiera a sinistra. In questo caso cambia anche il colore delle informazioni, che ne permette una lettura a settori: Il titolo della mostra è in in grigio (percepito, come nel manifesto, in bianco sporco), ora e data sono in giallo, e il luogo in ciano. Il testo ha un corpo molto grande per facilitarne la lettura a distanza.
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fotomontaggio che illustra l’intallaziione dello stendardo nell’atrio dell’Edificio N, al Politecnico di Milano Bovisa.
Visualizzazione dell’immagine coordianta completa.
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CONCLUSIONI PERSONALI
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Il percorso formativo, i grafici, le scuole e gli artisti che hanno influenzato Philippe Apeloig lungo tutta la sua vita, hanno costruito il punto di partenza per comprenderne lo stile, la poetica e il metodo. Per creare il progetto grafico della mia tesi, ho dovuto attraversare questi mondi, per poi riproporre lo stesso viaggio culturale ai potenziali utenti della Galleria Anatome e della mostra di Apeloig. L’applicazione di questo intento avviene non solo attraverso un’accurata analisi dei suoi lavori, ma anche una lettura attenta e approfondita delle sue parole, sia nelle sue pubblicazioni, che nelle interviste.
Questo progetto mi ha insegnato come capire l’anima di un artista e plasmarla alle mie esigenze comunicative, attraverso il mio stile e le mie conoscenze, assimilate durante il percorso di studi in Design della Comunicazione. Ho imparato a valutare l’importanza di ogni singolo processo grafico, dal concept alla realizzazione, affrontandone i problemi e trovando le soluzioni. Il progetto per l’immagine coordinata della Galleria Anatome Milano e per la comunicazione della mostra di Philippe Apeloig sono il frutto di tutte le mie competenze, affrontate con professionalità ma soprattutto con passione e interesse.
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BIBLIOGRAFIA
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RINGRAZIAMENTI
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Per prima, la mia mamma. Grazie mamma, di tutto. Grazie papà, che in questi anni di Università mi sei stato vicino, con poche parole e tanti sorrisi, quei sorrisi che adesso posso solo immaginare. Grazie alle mie spendide zie che amo, Daniela e Giusy, e grazie ai miei nuovi cuginetti che hanno portato una nuova luce nella mia vita: Giorgia e Jacopo. Grazie ai miei nonni, che non hanno ancora capito bene cosa studio ma che sono molto orgogliosi di avere un’altra dottoressa (come amano precisare) in famiglia. Grazie ad Anna e Clara, quelle amiche che “se non le hai dovresti inventarle”.
Grazie ad Alice e alla sua follia, grazie a Biancanives e alla sua felicità contagiosa. Grazie a Fedo, a Lorenzo, ad Anni, i miei amici fratelli. Grazie ai miei compagni di classe, con i quali ho avuto un ottimo rapporto, specialmente Valentina, Ilaria, Giacomo, Mattia, Massimo, Luca, Simone e Marina. Un grazie particolare al professor Guida, che ha dedicato molto del suo tempo sia a me che a tutti i miei compagni, offrendo disponibilità, esperienza, professionalità e simpatia. Grazie all’AIAP ed al suo immenso archivio di testi. Grazie ad Apeloig, che non conoscevo ed ho scoperto, anche di persona.
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