FORME RICORRENTI E DISSONANTI DELL’ARCHITETTURA URBANA NEL RAPPORTO TRA PUBBLICO E PRIVATO. IL CASO SAN BERILLO A CATANIA Relatore: Prof. re Fabrizio Foti Laureanda:Enrica Proietti
1
In copertina: disegno del Prof.re Fabrizio Foti
“Va’ nella città, uomo, e collabora con chi vuol renderla più umana, più simile a te” Giancarlo De Carlo
FORME RICORRENTI E DISSONANTI DELL’ARCHITETTURA URBANA NEL RAPPORTO TRA PUBBLICO E PRIVATO. IL CASO SAN BERILLO A CATANIA
Università degli studi di Catania SDS Architettura Siracusa Corso di laurea magistrale a ciclo unico Tesi di laurea AA 2018/2019 Relatore : Prof.re Fabrizio Foti Laureanda : Enrica Proietti
Abstract Le forme ricorrenti e dissonanti alle quali fa riferimento il titolo di questa tesi, sono le forme della città e degli edifici che la popolano. Da una riflessione sugli spazi urbani, e sulla loro natura, trae origine questa ricerca che si propone l’obiettivo di approfondire la gerarchia degli spazi urbani e il sistema di relazioni che li regola. All’interno della realtà complessa di una città, si mettono a fuoco le dinamiche che la animano e il linguaggio attraverso il quale essa si esprime e propone le sue regole. Lo sfondo su cui si sviluppa questa ricerca è quello della città di Catania, e del suo tessuto storico; nello specifico, il quartiere San Berillo, ha fornito gli spunti necessari per dar vita a questa ricerca. Si tratta di un’ampia area a ridosso del centro storico della città, oggetto, sul finire degli anni ‘50, di uno sventramento “à la Hausmann” che, rinunciando a tradursi in un progetto di rinnovamento e riqualificazione, ha finito per segnarne il fallimento, rappresentato, oggi, dallo stato di degrado in cui versa l’intera area. A partire dalle ragioni che hanno condotto allo scenario odierno, e ricostruendo la memoria di questo luogo, la ricerca mira a mettere in luce una serie di riflessioni sullo spazio urbano, sulla sua qualità e sulle prassi urbanistiche che hanno dominato molte delle scelte progettuali a Catania, e che devono essere superate nelle sfide del presente. Attraverso le forme dell’architettura, si propone, infine, una strategia d’intervento per le aree in esame, che ambisce a ricostruire l’immagine della città laddove, come a San Berillo, appaia imperfetta e frammentata.
Indice
8
06. Introduzione 10. La cittĂ 18. Le infrastrutture 22. Il quartiere 32. Il progetto 62. Conclusioni 64. Bibliografia
Introduzione
6
L ’interesse, maturato durante gli anni di studio, verso le dinamiche urbane, ha
Steven Holl, all’interno del suo libro Urbanism, definisce «lavorare con il dubbio»; adottare cioè, una condotta mentale aperta alle riflessioni sul luogo e sulla cultura. La città è, dunque, esperienza soggettiva e realtà oggettiva; e nessuna progettazione urbana può prescindere dalla sintesi di questi due elementi:
spinto e indirizzato questa ricerca ad indagare la complessa relazione tra gli spazi pubblici e quelli privati, analizzando il linguaggio attraverso il quale queste due dimensioni foggiano gli spazi della città. All’interno dell’architettura urbana, un ruolo sempre più rilevante assume la progettazione dello spazio pubblico, inteso come luogo destinato ad accogliere la vita sociale di una collettività; nell’ottica di un qualsiasi intervento alla macro-scala della città, risulta, dunque, necessario sapere leggere e interpretare questi spazi, non solo dal punto di vista fisico, ma anche dalla prospettiva della loro dimensione pubblica. Attraverso il ricorso al linguaggio musicale, si intende esprimere e snocciolare il complicato rapporto che l’architettura urbana innesca tra la “regola”, che desume dall’identità stessa del luogo, e la sua eccezione, o dissonanza, rispetto ad essa, nella composizione dell’armonia urbana. Si tratta, dunque, di « osservare la città attraverso la lente dell’architettura », attraverso, cioè, le forme che la definiscono. La dimensione pubblica di uno spazio è solitamente espressa attraverso l’adesione alle regole formali della città e al suo linguaggio; esso infatti permette al city user di riconoscersi nei luoghi e appropriarsene, partecipare alla loro dimensione collettiva; il complicato passaggio alla dimensione privata è, invece, segnato dal ricorso a forme personali, appunto dissonanti, che ne rappresentano l’eccezione, legittimata dalla regola stessa. Questo atteggiamento verso la progettazione urbana concretizza quell’approccio che
«La sintesi tra soggettivo e oggettivo dovrebbe essere il criterio centrale della progettazione urbana, fin dal principio»1. Nell’ottica della città come realtà molto complessa, lo spazio urbano va concepito come sequenza di elementi architettonici, che definiscono esperienze urbane, in grado di offrire nuove percezioni spaziali. Fondamentale diventa, dunque, concentrarsi sull’articolato sistema di relazioni che definiscono lo spazio urbano. « Esattamente come il cervello è imprigionato sul nostro corpo,così la città è imprigionata nel suo ambiente circostante; occorre incentrare il nostro lavoro sul valore delle relazioni»2. Il rapporto tra pubblico e privato, si è poi riportato e approfondito alla scala del singolo edificio, attraverso il tema della residenza collettiva. All’interno delle forme del social housing, si è dunque analizzato il difficile passaggio dalla macroscala urbana a quella della singola residenza,
Le quattro condizioni dell’architettura. Steven Holl, Parallax, Postmedia Books (2005)
Plan Voisin per Parigi, Le Corbusier (1924)
1. Steven Holl, Urbanism. Working with doubt, New York, Princeton Architectural, 2007, op. cit. p.16.
2. Ibid.
7
le differenze formali tra i luoghi della collettività e quelli intimi della singola abitazione. Il progetto di una residenza collettiva, infatti, non afferisce solo a questioni tipologiche ma rappresenta una pratica che interviene e modifica una condizione urbana 3. I luoghi per la collettività e gli spazi privati, si trovano dunque a doversi confrontare da una parte con la città, con le sue leggi e la sua identità radicata, dall’altra parte con il parco urbano che essi stessi racchiudono. Il tema dell’housing si propone , infatti, di ricostruire una nuova urbanità tramite l’interazione tra gli spazi pubblici e privati, riattivando un tessuto urbano attualmente vuoto, attraverso l’inserimento della funzione residenziale. L’obiettivo è quello di restituire e riconsiderare il valore sociale , culturale e architettonico del progetto urbano, sottraendolo alle mere logiche economiche che, fino ad ora, ne hanno determinato il fallimento. Lo sfondo sul quale si è tentato di mettere a fuoco le tematiche sopra descritte è quello della città di Catania. All’interno della realtà complessa che la città etnea costituisce, i ragionamenti sugli aspetti culturali e architettonici del progetto urbano si fanno più pregnanti. Dominata dalla presenza dell’Etna e del mare, sul cui limite stabilisce i suoi confini, Catania è frutto di una storia che si arricchisce di eventi, spesso catastrofici, che ne hanno determinato, nel corso degli anni, una certa instabilità fisica e, inevitabilmente, ne hanno trasformato la forma urbis; essa rappresenta la sintesi perfetta della città stratificata. Elementi barocchi, neoclassici, eclettici e moderni, si affiancano, infatti, alle più antiche e residuali tracce di un passato arcaico.
paesaggio mediterraneo siciliano, nel dialogo tra suolo e sottosuolo e in una permanenza dei tracciati, con espressioni nascoste o distorte, ma pur sempre presenti»4. Le tracce del passato, si trasformano in ferite all’interno del quartiere San Berillo, oggetto delle strategie progettuali che questa tesi si propone di mettere in atto. San Berillo, che comprende un’ampia area a ridosso del centro storico, riporta, nel suo asse principale, il corso Martiri della Libertà, i segni di uno sventramento che ne ha ineluttabilmente segnato la trasformazione e decretato lo svuotamento. Il fallimento degli obiettivi, auspicati dal piano di sventramento, ha di fatto creato un enorme vuoto urbano che, sebbene fisicamente apra il collegamento tra il centro storico e il mare, nella percezione dello spazio nega la stessa relazione e si costituisce perlopiù come una ferita, che conserva poche e residue testimonianze del passato fervido del quartiere, tra i vicoli superstiti della “vecchia San Berillo”, risparmiata dalle operazioni di sventramento. Prende forma dunque, tra le cave del corso Martiri della Libertà, un paradosso che si concretizza nella connotazione di quest’area come di una periferia, sebbene la sua posizione sia tutt’altro che periferica e, sebbene, la storia dello sviluppo di questa città le riservi un ruolo tutt’altro che marginale. L’obiettivo della ricerca è, dunque, quello di risolvere un complicato intervento all’interno del tessuto storico di una realtà così articolata come Catania, attraverso un approccio che tenga conto del complesso sistema di relazioni che in esso convivono e, tramite esso, restituire alla città lo spazio pubblico di cui, l’attuale “ferita” l’ha privata; offrendole una nuova esperienza urbana e una nuova percezione dello spazio.
« Rileggibili nel “valore affettivo” di Riegl le forme dell’antico e le realtà barocche si intrecciano nei contenuti di una comune tradizione culturale greco-romana, specifica del
Nella pagina accanto: Vista del corso Sicilia, da piazza Stesicoro
3. Luca Reale, La Residenza collettiva, Napoli, Sistemi editoriali, 2015, p.27. 4. A c. di A. Atripaldi, M. Costa, Catania. Architettura, città, paesaggio, Roma, Mancosu editore, 2008, p.44.
8
9
La cittĂ , storia ed evoluzione
10
La comprensione delle dinamiche che hanno determinato la nascita e l’espansione del quartiere San Berillo, può essere raggiunta solo attraverso la cognizione degli scenari evolutivi della città di Catania; per questa ragione, un approfondimento delle vicende urbanistiche che l’hanno interessata, si ritiene imprescindibile. L’atto fondativo della città è indissolubilmente legato, come spesso accade nelle città siciliane, alla conformazione del paesaggio naturale sul quale essa sorge; l’Etna e il mare, rappresentano elementi fondamentali di un paesaggio che costituisce lo scenario dell’insediamento urbano e con il quale, ogni scelta urbanistica deve confrontarsi. La nascita della città risale al 729 a. C., quando i calcidesi, provenienti da Naxos, occuparono la collina di Montevergine, corrispondente all’attuale area di piazza Dante e del Monastero dei Benedettini, e nei pressi dell’area portuale, fondarono la colonia Katane, come ci racconta Tucidide nella Guerra del Peloponneso. La documentazione, seppur carente, ci permette di ricostruire quello che sembra essere l’impianto di un tipico insediamento coloniale, fondato cioè su due elementi principali: l’acropoli, che sorgeva sulla collina del monte Vergine, circondata dal fiume Amenano e la città bassa,delimitata dall’antica linea di costa. Alcune tracce murarie, rinvenute nell’angolo sud-ovest del Monastero dei Benedettini, lasciano emergere un impianto regolare nord-est e sud-ovest. La mancanza di aggiuntive fonti letterarie o archeologiche, ci impedisce di individuare ulteriori elementi e di stabilire con certezza se i nuclei analizzati fossero effettivamente abitati. Come ci racconta M. Frasca:
città antica emerge fino ai nostri giorni ». Sulla scia degli scavi archeologici del ‘700, e grazie alle operazioni di scavo intraprese da Ignazio Paternò principe di Biscari, viene riportato alla luce il mondo sotterraneo della Catina romana, conquistata nel 263 a. C. e citata nel IV secolo d. C. dal poeta gallico Ausonio nella Lista delle città illustri. Dell’impianto dell’epoca, ritroviamo traccia nell’attuale via Crociferi, che rappresentava l’asse di collegamento nord-sud della città con l’area portuale, e nella via Vittorio Emanuele, antico asse di attraversamento trasversale, ripreso poi anche nella ricostruzione post-sismica. Lo schema era dunque quello tipico degli insediamenti romani: un decumano, con orientamento est-ovest, e una fitta rete di strade ad esso perpendicolari che definivano una maglia di isolati rettangolari sviluppati longitudinalmente in direzione nord-sud; il foro, infine, era collocato all’interno del cortile San Pantaleone, sui resti dell’agorà greca. Con il passaggio della città alla condizione di colonia, nel 21 a. C, e l’inizio della fase imperiale, si inaugura un periodo di grande espansione e fervore edilizio testimoniato dalla presenza di numerosi documenti-monumenti quali il teatro, l’anfiteatro, diversi complessi termali e i resti del complesso del Foro; simboli, questi, di un «passato partecipe e dialogante con la realtà urbana con la quale continua a convivere»5. Dopo le invasioni barbariche del 535 d. C. , la città vive tre secoli di grave decadimento, del quale rimangono pochissime tracce e che si concludono nel 1060, con l’arrivo di Ruggero d’Altavilla e l’inizio del periodo normanno, durante il quale si avvia una nuova fase di fioritura della città, ben esemplificata dall’avvio della costruzione della cattedrale di Sant’Agata, sulle rovine delle terme Achilliane. La chiesa, dotata di un alto campanile assolvente anche alla funzione di controllo, rappresentava il nucleo del borgo
«L’assetto greco si rinnova nel IV secolo a.C. con un impianto ruotato verso nordsud, confermato nei successivi insediamenti come probabile permanenza continuativa in un tracciato regolatore che dalla
5. A c. di A. Atripaldi, M. Costa, Catania. Architettura, città, paesaggio, op. cit. p.48.
11
fortificato e, con la sua imponenza ,si contrapponeva alla mole della Cattedrale. Nel 1266 il papa Clemente IV incorona Carlo I d’Angiò re di Sicilia, allo scopo di assoggettare l’isola all’influenza della chiesa, superando di fatto le restrizioni imposte fino a quel momento dalla dinastia sveva; ma il periodo di dominazione angioina si concluse nel 1282, con il ritiro di Carlo I, in seguito alla ribellione dei Vespri siciliani, e l’inizio della dominazione aragonese, durante la quale la Sicilia venne annessa al regno, sotto il potere degli Asburgo di Spagna. Durante il Cinquecento, la Sicilia, come tutte le altre aree del mediterrano, fu notevolmente esposta al rischio di invasioni; questo costrinse le città a dotarsi di cinte murarie fortificate che la proteggessero da eventuali attacchi. Carlo V d’Aragona incaricò dunque il vicerè De Vega di adeguare le mura difensive e costruire i baluardi. Il perimetro
delle mura, alla fine del Cinquecento, è ben descritto da Tiburzio Spannocchi:
Tiburzio Spannocchi, pianta di Catania (1578) Descipcion de las Marinas de todo el reyno de Sicilia In rosso le mura medievali, in nero i baluardi di Carlo V.
Nicola Van Aelst, incisione rame (1592) Veduta a volo d’uccello della città di Catania
«Està cercada de murallas dunque a lo antiguo con sus teorroncillos todavìa de muy buena fabrica» L’incisione di Nicola Van Aelst, del 1592, ci mostra invece il tessuto all’interno delle mura, che si presenta denso e fitto, attraversato da un reticolo di strade che confluiscono nelle sette porte d’accesso alla città. Il perimetro difensivo delle mura, cederà tristemente il passo ad un sistema difensivo naturale, in seguito ai due catastrofici eventi che colpiranno la città durante il XVII secolo. Nel 1669 , infatti, una vasta colata lavica circonda la città da Ovest e da Sud, distruggendo parte della cortina difensiva. Dovuto a questa circostanza, la città subì importanti trasformazioni: la linea di costa, infatti, fu allontanata di circa cinquecento metri, gran parte dei corsi d’acqua furono sepolti dalla lava, mentre il castello Ursino perse di fatto ogni rapporto con il mare. Sul piano economico-sociale, il danno fu enorme e comportò conseguenze gravissime per l’intera popolazione; la distruzione, inoltre, dei casali a Nord-Ovest della città, costrinse parte della popolazione a migrare verso la città, formando i primi nuclei degli agglomerati urbani del Borgo, di Grotte Bianche, della Consolazione
12
e di Cifali, attuale Cibali. Superate le gravi conseguenze economiche, il nucleo urbano presente all’interno delle, ormai inutili, mura difensive non subì particolari alterazioni sul piano morfologico. Ad opera di alcuni privati vennero ricostruiti i passaggi già esistenti, e a questi si aggiunsero nuovi percorsi, tra cui la strada della Vittoria, attuale via Plebiscito, che attraversava il perimetro esterno della città, fornendo di fatto una traccia per le successive espansioni urbane. Nel 1693, la storia della città di Catania viene segnata da un evento catastrofico che ne determina la quasi totale distruzione. La sera dell’11 Gennaio, dopo diversi giorni interessati da scosse di minore intensità, un fortissimo terremoto colpisce gran parte della Sicilia orientale, radendo al suolo circa settanta centri abitati, tra cui Catania; i danni sono enormi e gran parte della popolazione rimane vittima del terremoto. A due mesi esatti dall’ evento sismico, fu affidato a Giuseppe Lanza duca di Camastra, affiancato dall’ingegnere militare Carlos Grunembergh, l’incarico di redigere un piano di ricostruzione. Dopo un controverso dibattito, si optò per la ricostruzione in situ della città; le ragioni sono rintracciabili non solo nella posizione strategica, ma anche nella permanenza di alcune tracce delle fortificazioni precedenti; questa scelta agevolò le operazioni di ricostruzione che, infatti, iniziarono già nel maggio dell’anno successivo. Ilpiano elaboratodaLanza,proponevaun impianto del tutto nuovo e moderno, il cui obiettivo era quello di aspirare ad una città che, seppur nelle stesse condizioni, garantisse la sicurezza dei cittadini in previsione di ulteriori eventi sismici. Il duca di Camastra diresse le prime fasi pianificatorie della ricostruzione, con un piano che si basava su un rigido impianto di strade ortogonali, la cui ampiezza rispondeva ai nuovi requisiti di sicurezza e che ben si adattavano alle residue
tracce delle mura superstiti e alla difficile orografia della città. Il piano si limitava, tuttavia, al disegno delle principali strade e piazze pubbliche, mentre veniva affidata ai privati, agli ordini monastici e alle confraternite l’iniziativa per la realizzazione della viabilità secondaria e di eventuali ulteriori piazze innanzi i prospetti di chiese e palazzi; di fatto il piano rappresenta più uno strumento generale attraverso cui regolare la rinascita e la successiva espansione della città. «All’indomani dell’apocalittico terremoto del 1693, Catania è una distesa angosciosa e dolente di rovine e di cadaveri: il paradosso è anche che proprio su quella morte si radica, e poggia materialmente le fondamenta, la fase forsepiùcreativadell’interastoriadellacittà»6 Risulta infatti che Lanza, avesse un’idea ben chiara e definita della forma che dovesse raggiungere l’espansione della città, idea che concretizza tramite un sistema di contrattazioni con i privati. Quella che Giuseppe Dato definisce la regola camastriana trova la sua attuazione nello scambio con i cosiddetti poteri forti,
F. Orlando, pianta di Catania (1761)
6. A c. di A. Atripaldi, M. Costa, Catania. Architettura, città, paesaggio, op. cit. p.60.
13
mentre entra in crisi quando i soggetti coinvolti sono “deboli”; questa distinzione è ben leggibile nel tessuto urbano, e sancisce una sorte di selezione in base alla quale i poteri forti si appropriano dei luoghi centrali, che le dinamiche di mercato rendono inacessibili al popolo; anticipando, di fatto, un principio di moderna zonizzazione e decretando una dualità spaziale che troverà il suo superamento solo nel piano Cusa. Al modello flessibile proposto da Lanza, che trova negli assi di Via Uzeda, attuale via Etnea, e via Lanza, attuale via di Sangiuliano, le principali direttive di espansione, si contrapporrà il modello rigido e definito dell’architetto Sebastiano Ittar, figura chiave della storia urbana della città e autore della pianta del 1833. Prima di lui, arriva in Sicilia il padre Stefano che, all’interno della griglia camastriana, interviene con alcuni contributi che potremmo definire straordinari perchè espressione di un linguaggio nuovo, fino a quel momento estraneo alla città; è autore, tra le altre opere, della chiesa della Collegiata, la prima chiesa con facciata campanile realizzata a Catania. Il rilievo di Sebastiano Ittar risulta, invece, una risorsa fondamentale per ricostruire l’espansione della città, che, agli inizi dell’Ottocento, ha oltrepassato le mura in tutte le direzioni, protendendo principalmente verso Nord, per via dell’esigenza di ricollegarsi ai terreni agricoli; mentre ad Est e ad Ovest, l’ampliamento era frenato dai limiti fisici imposti dalle colate laviche. Le aree delle antiche sciare, rimaste escluse dalle iniziative di espansione, furono interessate dall’insediamento dei ceti subalterni formando così vere e proprie realtà marginali, come nel caso del quartiere San Cristoforo. La pianta di Ittar registra, inoltre, una serie di interventi urbanistici, testimoni del grande fervore edilizio che caratterizza tutto il Settecento; nel 1732 viene inaugurata la strada che
costeggiava il mare, oggi via Cristoforo Colombo; mentre nel 1755 la strada del Corso fu prolungata in direzione Est, fino all’attuale Piazza dei Martiri, che rappresentava un ulteriore affaccio della città sul mare, dalle scogliere laviche dell’Armisi, infine, nel 1769, venne prolungata verso Ovest la strada San Filippo, oggi via Garibaldi, che, superando la strada della Vittoria, culminava nella porta Ferdinandea, sopra la quale fu fatta incidere la significativa locuzione «melior de cinere surgo». Alla fine del secolo, altri due importanti interventi urbanistici segnano in maniera decisiva la storia del centro storico della città: il prolungamento della via Stesicorea, oggi via Etnea, fino al borgo, e la costruzione del molo del porto a cui la città aveva sempre aspirato. I primi anni dell’Ottocento costituiscono una fase di revisione, durante la quale l’attività edilizia si limita al completamento della forma urbis delineata dal piano nel secolo precedente; per ritrovare un nuovo fervore, bisognerà attendere l’unità d’Italia. Le ragioni di questo rinnovato fermento sono da rintracciare nella nuova classe borghese che
Bernardo Gentile Cusa, Piano regolatore di risanamento e d’ampliamento della città di Catania (1887)
14
introduce in città temi architettonici già presenti nell’ambiente europeo e che ben si adattano a rappresentare la classe emergente, intenzionata a spodestare la vecchia nobiltà. Durante questi anni, vengono realizzate alcune opere di importanza fondamentale, quali, ad esempio, la villa Bellini, sorta di fronte alla neonata via Santa Caterina, attuale via Umberto, e testimone di un nascente interesse verso lo spazio pubblico e la sua rilevanza all’interno di un’ opportuna progettazione urbana. Nella secondo metà dell’ Ottocento si realizza il tratto ferroviario Messina-Catania e la cosiddetta “cintura di ferro” per il collegamento con Siracusa e Palermo, che nel 1869 porta alla realizzazione del viadotto ferroviario sopraelevato sul mare; le due operazione, relative all’area Nord-Est della città, accendono di fatto gli interessi sulla zona di San Berillo, quartiere formatosi spontaneamente e sviluppatosi privo di qualsiasi pianificazione, già dalla fine del Settecento, ad est dell’attuale piazza Stesicoro. Dopo il piano di Camastra, nel 1887 viene affidato a Bernardo Gentile Cusa l’incarico di redigere un nuovo piano per l’ampliamento della città; il cui nucleo si concentra sui nuovi “4 canti”, quelli formati, cioè, dall’incrocio della via Stesicorea con il nascente viale Regina Margherita. L’ obiettivo di Cusa consiste nel restituire alla città un impianto definito, introducendo il “viale”, che collegava le campagne collocate sulla parte orientale della città fino al mare, attraverso un sistema di piazze che definiscono e anticipano il modello della nuova città. Con il piano di Cusa viene portata a termine l’operazione di progressivo spostamento del baricentro del centro storico, originariamente collocato all’incrocio degli assi romani e gradualmente avanzato verso Nord; l’espansione della città, porta dunque con sè l’espansione del suo centro, che non rimane racchiuso nella sua dimensione originaria
ma cresce contestualmente alla città, anche attraverso un sistema di edifici monumentali e rappresentativi che ne accrescono il prestigio. Il piano di Cusa pone, inoltre, l’attenzione sulle aree marginali, per le quali vengono proposti programmi di risanamento mirati a migliorare le condizioni igieniche dei quartieri; rientra in questa iniziativa anche il quartiere di San Berillo, per il quale viene però confermato da Cusa, l’ampliamento fino alla stazione, determinandone così il suo assetto finale. All’inizio del Novecento, dopo una fase di crisi economica legata al crollo dell’agricoltura locale, si dà avvio ad un periodo di svolta sotto la guida di De Felice che, attraverso l’incoraggiamento delle iniziative private, riesce a dare forma concreta alle previsioni del piano Cusa. Sulla spinta delle aspirazione della città, ben sintetizzate dalla definizione sempre più dilagante di “Milano del Sud”, si raggiunge una fase di boom edilizio; le dinamiche urbanistiche, si intrecciano però ad interessi di carattere economico che decretano scelte non solo rispondenti alla necessità, sempre più invocata dalla popolazione, di risanare
IGM, Catania, Piano topografico della città e suburbio (1928) La città, prima dello sventramento
15
le aree marginali della città ma anche all’intenzione di innescare meccanismi economici finalizzati alla produzione di rendita edilizia. Nasce quindi un’idea di pianificazione programmata guidata dalla mano pubblica, che lascia però ampio margine al privato; nell’ambito di queste dinamiche, vengono inizialmente finanziate le opere di risanamento, gli interventi di espansione della città verso il mare e la collina, e l’adeguamento della rete idrica, opere tuttavia mai realizzate per il sopraggiungere della depressione economica.Rimane, però, attuale l’esigenza di creare nuovi collegamenti che connettessero la città vecchia alla Nuovissima Catania; a questo scopo viene bandito nel 1931 un concorso per il “Progetto di massima del piano regolatore di ampliamento e di sistemazione interna della città di Catania”. Le proposte emergenti dal concorso, sebbene delineano due diversi modelli di città, presenteno numerose analogie quali lo spostamento della linea ferrovia verso Nord, liberando il centro dal gravoso problema del mancato rapporto con il mare, la creazione di un asse sussidiario alla via Etnea, l’apertura di collegamenti tra il centro città e le zone di recente espansione verso il mare; entrambe inoltre rifiutano l’operazione di sventramento del quartiere San Berillo, espressamente richiesta dal bando, prevedendo per lo stesso quartiere il mantenimento del suo assetto. La ridotta flessibilità dei due piani, spinge il comune a non dichiarare un vincitore, acquisendo però entrambe le proposte e riservandosi il diritto di attuarle con le dovute modificazioni. Gli anni successivi sono interessati da un ampio dibattito relativo all’indirizzo da dare alla città moderna; dalle sedute che precedono la redazione del piano del 1934, emerge una profonda distinzione tra il modello di città policentrica, al quale aspirano le spinte più ambiziose del Consiglio, e un’idea di
città monocentrica, caldeggiata dalla fazione più conservatrice; le due posizione si sintetizzano in una proposta di piano che mira all’adozione di soluzione di «maggiore fattibilità tecnica ed economica». Tra i principali temi affrontati, emerge la proposta di un rettifilo che costituisse il collegamento tra il centro città e la stazione ferroviaria, in vista di un ulteriore espansione della città verso il mare; questa soluzione è individuata nell’apertura di un asse che, a partire da piazza Stesicorso, attraversi l’intero quartiere di San Berillo e culmini nella piazza antistante la stazione ferroviaria. Questa operazione attribuisce, di fatto, un ruolo di importanza primaria al quartiere all’interno delle scelte di piano. I tempi per l’approvazione del piano si protrassero fino al periodo prebellico, quando l’insorgere della guerra e il mutamento delle condizione della città, ne compromisero l’adozione. In seguito alla guerra, la questione San Berillo si fece sempre più pressante, a causa dei danneggiamenti bellici che si aggiunsero alle già precarie condizioni del quartiere; per queste ragioni, in attesa di un piano organico e completo, vennero affidati a diversi componenti dell’ufficio tecnico , i compiti di redigere dei piani di risanamento destinati ai quartieri più compromessi. A Gino Nicotra viene affidato l’area di San Berillo; della sua proposta rimangono poche documentazioni; essa verrà infatti superata dalla proposta elaborata dall’ingegnere Brusa, e acquisita poi dell’Istica, Istituto Immobiliare di Catania. La società, appositamente costituita nel 1950 per il risanamento del quartiere San Berillo, finanzia e avvia i lavori del piano Brusa che iniziano nel 1957, quando è sindaco Luigi La Ferlita. Lo sventramento attuato nel cuore di San Berillo,apre di fatto una ferita nel tessuto storico della città con la quale dovrà confrontarsi anche Luigi Piccinato, autore del piano regolatore della città
16
approvato nel 1964 e tuttora vigente. Piccinato, che vede nell’operazione di sventramento appena compiuta, un forte limite alla città policentrica da esso delineata, si limita a non prevedere alcun intervento per il quartiere, in quegli anni ancora in costruzione, e opera delle scelte mirate ad un’espansione urbana non più «correlata ad una dimensione imprenditoriale non più tradizionale, ma demandata ai grandi interventi di edilizia pubblica«7. Nella città etnea, Piccinato aveva, inoltre, previsto la realizzazione di un “asse attrezzato”, cioè una via urbana a scorrimento veloce, che collegasse la zona industriale ai centri direzionali settentrionali; tuttavia, a causa di alcuni vincoli che l’Anas impose alla realizzazione del progetto, l’idea fu progressivamente abbandonata. Episodi come quello appena citato, ben descrivono le logiche di profitto che ostacolano ogni tentativo di modernizzazione della città e adeguamento delle proprie strutture alla dimensione metropolitana, delineando ,di fatto, il quadro della “metropoli imperfetta” che racconta Franco Porto: “E’ l’immagine della metropoli imperfetta, la storia di questa città ci consegna un palinsesto del passato con un difficile peso, una forte densità storica a confronto con la disgregazione dell’intorno.” 8
Ricostruzione planimetrica dell’espansione della città, dall’alto: Catania nel 1760; Catania nel 1833, tratta dalla pianta di Sebastiano Ittar; Catania nel 1928, tratta da una pianta IGM 7. P. Busacca, F. Gravagno, L’occhio di Arlecchino. Schizzi per il quartiere San Berillo, Roma, Gangemi, 2004, p.82. 8. A c. di A. Atripaldi, M. Costa, Catania. Architettura, città, paesaggio, op. cit. p.216.
17
Le infrastrutture
18
L’approccio progettuale a scala urbana, presuppone un’analisi approfondita e contestuale del sistema infrastrutturale che governa le dinamiche della città; nello specifico, il tema della mobilità riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo della società sviluppata e industrializzata, nelle quali costituisce «il sistema circolatorio che le permette di svolgere le sue funzioni vitali»9 rappresentando, quindi, un problema centrale della città. In materia di trasporti e mobilità a livello regionale, il principale strumento di pianificazione è rappresentato dal Piano Direttore, documento di inquadramento generale degli interventi nel settore dei trasporti.
a doppio binario ed elettrificati, ed i restanti 1.199 km a semplice binario, di cui 621 km elettrificati. Sulla rete ferroviaria è stata avviata da tempo una significativa azione di ammodernamento della linea, per la gran parte non adeguata ad un livello di servizio in linea con gli standard nazionali ed europei; in riferimento a queste esigenze, si è delineato un quadro di interventi che prevedono, tra gli altri obiettivi, il completamento della direttrice Palermo-Catania-Messina, attraverso il raddoppio dei tracciati e il collegamento con i nodi aeroportuali di Palermo e Catania. Nel territorio etneo, i progetti, contenuti nel Piano Generale del Traffico Urbano, riguardano: l’interramento della stazione Centrale e dell’intero percorso della linea ferroviaria, da piazza Europa alla stazione Acquicella, attraverso l’apertura di un percorso ferroviario interrato a doppio binario, che giunge fino all’area aeroportuale; e l’apertura di due nuove stazioni, Catania Duomo-Porto e Catania San Cristoforo. L’altro tracciato ferroviario, invece, è quello della Circumetnea; si tratta di una ferrovia a scartamento ridotto, lunga 110 km da Catania a Riposto, per la quale sono previste opere di ammodernamento e potenziamento, mirate ad incrementarne la velocità commerciale e la frequenza.
«Esso individua le scelte strategiche di valenza istituzionale, gestionale e infrastrutturale e prevede gli indirizzi generali per la pianificazione regionale dei sistemi di trasporto, in modo da renderla in linea con i riferimenti metodologici di livello nazionale»10. Gli obiettivi del piano rispondono principalmente ai criteri di sostenibilità ambientale, sicurezza dei trasporti, ammodernamento delle reti e miglioramento dell’intermodalità. Lo strumento del Piano Direttore, corredato dai piani attuativi e dagli studi di fattibilità, forma il Piano Regionale dei Trasporti e della Mobilità. Il PRTM definisce degli obiettivi specifici per la regione, quali l’aumento della mobilità sostenibile nelle aree urbane, il potenziamento dell’offerta ferroviaria, il miglioramento dei collegamenti multimodali con i principali nodi urbani, e l’ampliamento del sistema portuale e interportuale; interventi, dunque, mirati all’adeguamento del sistema regionale ai riferimenti di livello nazionale. Il sistema ferroviario siciliano consta di 1.490 km di rete, di cui 111 appartenenti alla linea Circumetnea “Catania Borgo-Randazzo-Riposto”. La rete RFI presenta uno sviluppo complessivo di 1379 km, di cui 180
«Nell’ambito di tale programma è stata, infine, realizzata ed è in esercizio, a partire dal luglio 1999, una tratta di linea ferroviaria metropolitana,ricadente nel centro urbano di Catania, in galleria a doppio binario, avente uno sviluppo complessivo di 1,8 km»11. Tale tratta comprende ben 10 stazion i realizzate, alle quali si aggiungono altrettante stazioni in fase di progetto. Con la recente apertura della stazione metropolitana Giovanni XXIII, antistante la stazione Centrale, si concretizza l’obiettivo di integrazione
9. E. Musso, C. Burlando, Economia della mobilità urbana, Torino, UTET, 1999.
10. Piano Integrato delle Infrastrutture e della Mobilità, 2017, pp.7-8. 11. Relazione del Piano Generale del Traffico Urbano, 2012, p.32.
19
dei sistemi di trasporto nell’ambito urbano, gia raggiunto all’interno dello scalo portuale , che troverà ulteriore compimento con il prolungamento della linea metropolitana fino all’aeroporto. La tratta Giovanni XXIII- Stesicoro, che ricade all’interno dell’area in esame, riveste un’importanza strategica perchè consente, alla restante linea, di penetrare nel centro storico e commerciale della città, favorendo il conseguente incremento della domanda di mobilità. La rete del trasporto pubblico urbano è stata , negli ultimi anni, potenziata attraverso l’introduzione delle linee Bus Rapid Transit; si tratta fondamentalmente di un sistema di trasporto collettivo di superficie che integra autobus specifici con una infrastruttura separata, escludendo ogni interferenza con altro traffico, consentendo velocità, affidabilità, regolarità e sicurezza maggiori rispetto ad un sistema convenzionale. Con il ricorso, inoltre, alla presenza di parcheggi scambiatori, scoraggiano l’utilizzo del mezzo privato, a favore di quello pubblico. La tecnologia BRT rappresenta, infatti, una delle più recenti strategie comunali per contenere il congestionamento veicolare. Ulteriori attrezzature infrastrutturali sono costituite dal sistema portuale, che si estende per una superficie di 1 milione di m2 e ospita 26 banchine operative, rappresentando uno scalo di interesse nazionale;
collegato alla città attraverso “l’Asse dei servizi”, che connette la tangenziale di Catania, il porto e l’aeroporto stesso. Il sistema della mobilità privata,rappresenta invece, una delle principali criticità delle dinamiche urbanistiche del capoluogo etneo; aggravata da un’inadeguata attuazione delle scelte pianificatorie. Il sistema stradale siciliano, colloca la regione al terzo posto, in Italia, per estensione della rete autostradale; la cui conformazione permette di individuare: un anello perimetrale, costituito dalle autostrade A18, A20, A29, e una serie di collegamenti trasversali che consentono di raggiungere la costa, dall’entroterra; mentre il collegamento con le aree interne dell’isola è permesso da una fitta rete di strade provinciali. Lo stato attuale della rete stradale siciliana, presenta condizioni inadeguate e di scarsa sicurezza- come nel caso dell’autostrada Palermo-Catania- per far fronte alle quali, oltre a diverse azioni di manutenzione, sono stati previsti interventi mirati a risolvere criticità relative all’accesso “verso e tra” i principali nodi urbani e all’avvio del programma di rafforzamento dei collegamenti con le aree interne. Sono stati, inoltre, pianificati interventi di tipo impiantistico, a sostegno di una mobilità a basso impatto emissivo. La dotazione media di infrastrutture stradali della città di Catania appare, tuttavia, tra le più basse della Sicilia e la carenza dei servizi di trasporto e
« Il Porto di Catania gode di una particolare relazione con il territorio: da una parte infatti il porto è squisitamente urbano, trovandosi sul fronte mare del centro storico cittadino; dall’altra è direttamente connesso con il sistema infrastrutturale dei trasporti grazie alla vicinanza con il cosiddetto asse dei servizi e con la rete ferroviaria nazionale»12.
Elaborazione del sistema della viabilità In blu, la viabilità principale; in rosso, la viabilità secondaria Scala 1: 5 000
Infine, il sistema aeroportuale, che con lo scalo di Fontanarossa, rappresenta il punto di riferimento nel traffico aereo della Sicilia Orientale;
Nella pagina accanto: Elaborazioni dei sistemi di mobilità pubblica e privata Scala 1: 20 000
12. Relazione del Piano Generale del Traffico Urbano, 2012, p.36.
20
di logistica rappresenta una delle principali cause di limitata crescita economica. Il capolouogo etneo, presenta uno degli indici di motorizzazione più elevati in Italia, giustificando, di fatto, l’allarmante grado di criticità del congestionamento del traffico e l’alto valore dell’inquinamento urbano. Una delle più rilevanti emergenze del modello di mobilità catanese è rappresentata dagli ingenti flussi di traffico veicolare di penetrazione dai comuni conurbati; la soluzione proposta dal piano, punta allo spostamento di questi flussi verso il trasporto pubblico, migliorando i collegamenti con l’area extra-urbana, potenziando il sistema di trasporto pubblico urbano su gomma e la rete metropolitana, e estendendo il numero di parcheggi scambiatori che consentono di limitare il flusso veicolare in entrata, a favore di quello pubblico. L’indirizzo del piano punta verso la realizzazione di un sistema in grado di accogliere i volumi di traffico previsti, attraverso l’adeguamento delle sezioni stradali; favorendo dunque una classificazione funzionale delle strade che superi la tradizionale rigida dualità tra la strada con funzione di “mobilità” e quella con funzione di “accessibilità”. Il corso Martiri della Libertà rappresenta, in tal senso, un esempio chiaro e concreto ; esso costituisce, assieme al corso Sicilia, un asse rilevante della viabilità interna, poichè accoglie il flusso di traffico proveniente dalle aree a Nord che , attraverso l’arteria di via Dusmet, si avvicina al centro città; per questa ragione l’area risulta interessata da una notevole mole di traffico, durante tutte le fasi della giornata; questo dato, unito alla ridotta presenza di parcheggi regolamentati, ostacola e compromette l’accessibilità pedonale della zona, sacrificando il valore di un’area che rappresenta un accesso alla città e il suo diretto collegamento con il centro storico.
Analisi della mobilità pubblica
Linea ferroviaria
Rete metropolitana
Esistente Di progetto Stazione esistente Stazione di progetto
Principali infrastrutture
Stazione ferroviaria Aeroporto Porto Linea Bus Rapid Transit
Analisi della mobilità privata Autostrade Strade di scorrimento Strade a scorrimento veloce Strade di interquartiere
21
Il quartiere
22
Il quartiere San Berillo, che sorge a ridosso del centro storico, tra la piazza Stesicoro e la stazione ferroviaria, rappresenta uno degli esempi più concreti delle logiche economiciste che, a partire della seconda metà del Novecento, hanno guidato una moltitudine di scelte urbanistiche nella città di Catania, delineando scenari problematici e incompiuti. Alla fine degli anni ‘50,infatti,una grande operazione di sventramento sacrificò un ampio brano della città storica, il quartiere San Berillo, appunto, con l’auspicio di far spazio ai luoghi della città moderna; ma lasciando, nel concreto, un’enorme ferita che rimane tuttora insanabile. Non solo, dunque, sulle condizioni attuali ma anche sulle prospettive future, grava il peso di un passato ad oggi irrisolto, e la cui ricostruzione diventa fondamentale in previsione di qualsiasi scenario futuro. La nascita del quartiere si attesta nel corso del Settecento, quando l’espansione della città inizia a varcare i confini delle proprie mura; la sua conformazione originaria, sviluppata attorno ad un sistema di viabilità irregolare, si plasmava, sulle asperità morfologiche del terreno dovute alla colata lavica dell’806 d. C. Tre importanti elementi segnano i riferimenti del neonato quartiere: il convento dei carmelitani riformati, in prossimità della porta Aci; la via Amato, che segue il profilo delle mura fino alla porta di S. Orsola; e la via Decima-via Maddem, che costituiva il principale collegamento tra la città e i centri a Nord.
Il tessuto del quartiere, il cui impianto a scacchiera è ben visibile nella pianta di Orlando, è abitato perlopiù dal ceto povero e protetto, tramite una cortina di edifici, dalla vista della città egemone, che mirava a nascondere le aree più marginali13. La rapidità con cui si espande il quartiere lo conduce, già nella seconda metà dell’Ottocento, ad ospitare più di 1200 famiglie, che occupano gli isolati estesi ormai fino a via Cosentino, secondo una trama dettata dall’espansione della viabilità cittadina verso Nord. Durante questi anni, come accennato nei capitoli precedenti, si delinea all’interno dell’organizzazione spaziale della città, una dualità tra i luoghi destinati ai ceti dominanti e quelli riservati, invece, ai ceti subalterni; questa divisione comporta di fatto un differente trattamento che, se da una parte incentiva la cura e la magnificenza dei luoghi “da mostrare”, dall’altra decreta l’abbandono e l’incuria dei quartieri “da nascondere”; in quest’ottica viene dunque rivalutata piazza Stesicoro che, con lo spostamento del mercato nella sua sede attuale, in piazza del Carmine, aveva perso la sua vocazione commerciale, assumendo il ruolo di luogo rappresentativo in virtù della sua acquisita centralità; costituendo di fatto una cerniera tra la città vecchia e la città nuova. La collocazione della ferrovia sulla scogliera dell’Armisi e il potenziamento del porto favoriscono, sul finire degli anni ‘60, l’espansione verso Est del quartiere, la cui popolazione ha ormai raggiunto i 12 000 abitanti. L’area di San Berillo è compresa tra la neonata via Ventimiglia, attuale arteria fondamentale del traffico cittadino, e la via De Gaetani; la maglia, tuttavia, non si presenta più densa e fitta come nelle prime tracce dell’impianto, ma lascia spazio ad isolati più ampi che ospitano nuovi fabbricati da affiancare all’edilizia minuta 14 esistente; l’asse di demarcazione è costituito dalla via Grande Albergo
F. Orlando, pianta di Catania (1761) In prossimità delle aree coltivate, nella zona Nord-Est, sono già visibili le prime tracce del tessuto del quartiere
13. P. Busacca, F. Gravagno, L’occhio di Arlecchino. Schizzi per il quartiere San Berillo, op. cit. p. 15. 14. Op. cit. p.18.
23
che separa la zona Ovest, caratterizzata da un impianto regolare con strade larghe 10 m, determinato da una precisa scelta tipologica, dalla zona Est, la cui espansione è principalmente informata alle tracce della viabilità di inizio secolo. Una nuova attenzione alla qualità urbana emerge durante il mandato di Domenico Bonaccorsi, marchese di Casalotto, portatore delle istanze di trasformazione sociale che tracciarono il disegno di una nuova città, moderna ed egualitaria. In quest’ottica viene redatto il piano d’arte generale, all’interno del quale trovano spazio anche i quartieri degradati, sacrificati dai precedenti piani. Si tratta, dunque, di un’importante opera di trasformazione che coinvolge l’intero territorio urbano, avviando alcune delle dinamiche che animeranno il dibattito negli anni a venire. In questo scenario, San Berillo, considerato non prioritario tra le emergenze igienico-sanitarie, assume, tuttavia, un ruolo rilevante dovuto al suo rapido processo di crescita, alla sua posizione di connessione tra la città vecchia e le sue recenti aree di espansione e al fiorire di nuove e importanti attività economiche. L’indirizzo della città moderna di Bonaccorso, viene ripreso e proseguito da Sangiuliano, sindaco della città dal 1878, promotore di una lunga serie di interventi mirati all’allineamento della città etnea con i più alti standard di città moderna, sotto l’impulso della pubblica utilità. Si tratta di una nuova visione della pianificazione urbanistica, in cui il comune assume un ruolo centrale, come interprete delle istanze espansionistiche della città e portavoce delle esigenze dei cittadini; a tal scopo viene istituitio l’ufficio d’Arte, affidato a Fichera, Nicotra, Gentile Cusa e Giuffrida; protagonisti, della storia dell’urbanistica catanese di inizio Novecento. Sarà Fichera a focalizzare l’attenzione sul tema della salubrità, individuando in esso la chiave fondamentale per una razionale organizzazione urbana,
Prima del 1780
1830
1884
1897
Dall’alto: Elaborazione del processo di espansione del quartiere verso Est IGM, Catania, Piano topografico della città e suburbio (1928) L’assetto finale del quartiere è ormai delineato
24
nonchè per il perseguimento della ambizioni di modernità; al piano di Fichera, si affianca quello di Cusa che, alle attenzioni alle ragioni di igiene e sicurezza, antepone i problemi legati all’espansione e alla crescità della città. Tuttavia, è il piano di Fichera a preoccuparsi maggiormente della questione San Berillo, ormai diviso in due sezioni, a causa della sua estensione: Carmine, che comprende l’area a ridosso del centro e del mercato, e Ferrovia, che si riferisce alla zona di ultima espansione, adiacente la stazione ferroviaria; le due sezioni presentano una configurazione differente; nel primo caso, la maglia densa e fitta è popolata da un’ edilizia “rustica” e fatiscente, mentre nella seconda parte l’impianto ortogonale si presenta ben organizzato ma con un sistema viario non adeguato a reggere la prevista densificazione del quartiere. Risulta, dunque, prioritario per Fichera ridisegnare la struttura del quartiere in vista della sua naturale espansione. Al contrario, il piano di Cusa inserisce le aree Carmine e Ferrovia all’interno del programma di risanamento destinato ai quartieri marginali, prevedendo per essi solo alcuni interventi di sanificazione destinati alle parti più degradate, trascurando le rilevanti questioni architettoniche quali la creazione di un rettifilo che collegasse il centro alla stazione, il riassetto dei nuovi margini della città e la configurazione dell’area antistante la stazione. All’alba del Novecento, l’immagine di San Berillo è quella di un quartiere ormai completo nel suo assetto, ma con numerose emergenze che ne limitano il valore; in esso convivono il popolo, a cui è destinata la parte marginale e degradata del quartiere, e la borghesia, stanziata nei pressi della stazione e dei nuovi stabilimenti industriali. Con l’insediamento di Giuseppe De Felice, si inaugura una nuova fase per la città e per San Berillo; il ritardo della città rispetto alle sue aspirazioni, infatti, spinge
il sindaco ad avviare una serie di interventi finanziati da privati, che riuniscano il concetto di risanamento e quello di ampliamento della città, nell’ottica di un’auspicata crescita economica; nello specifico, per San Berillo si rivela necessaria l’apertura di un collegamento tra il centro storico e la stazione, ignorato da Cusa. La prima proposta riguarda la creazione del rettifilo Mario Rapisardi, che prevede lo sventramento di buona parte dei quartieri San Berillo e Stazione, in prossimità della via Archimede: «Costruire il magnifico rettifilo a portici Mario Rapisardi, nel cuore della città, perpendicolarmente alla via Etnea; impiantarvi i servizi pubblici, acqua, luce, fognatura, tramwais, ecc.»15. Tuttavia, l’insorgere della depressione economica mette in crisi il socialismo municipale di De Felice, arrestando il piano per San Berillo, che rappresenterà, però, la traccia per le riflessioni successive. La zona Ferrovia ritorna, infatti, al centro dei dibattiti quando, in seguito al concorso del 1931, vengono riuniti alcuni tecnici, tra cui Fichera e Giovannoni, con l’incarico di redigere il nuovo piano per la città.Le riflessioni sul rapporto della città con il mare, negato dalla presenza della linea ferrata, inducono a valutare lo spostamento della stessa stazione a Nord, intervenendo così sul quartiere Ferrovia; si ragiona, inoltre, sulla costruzione del nuovo palazzo di giustizia a San Berillo, allo scopo di rafforzare la centralità dell’area, nel quadro di una proposta di città monocentrica. Il progetto del rettifilo, si concretizza in uno slargo ad imbuto, simmetrico rispetto all’asse del rettifilo, che risolve l’accesso da piazza Stesicoro e conduce fino alla stazione, attraversando la via Archimede. Tuttavia, ancora una volta il progetto viene abbandonato a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale, in seguito alla quale, i danni su 15. Comune di Catania, Piano edilizio e di risanamento della città di Catania. Relazione della giunta comunale, Catania, Galatola, 1913.
25
tutto il quartiere saranno ingenti e gravi. Il piano di ricostruzione viene affidato a Gino Nicotra; le poche fonti rintracciate, consentono di individuare i punti chiave del rettifilo proposto da Nicotra; si tratta di un asse del tutto nuovo,che non poggia sulle tracce esistenti, come le precedenti proposte, ma prospetta un nuovo viale lungo 24 m, formato da due carreggiate, separate da una banchina alberata. Il rettifilo diventa, dunque, esclusivamente un elemento ordinatore, rinunciando a configurare un nuovo spazio. Vengono, inoltre predisposti del lunghi corpi di fabbrica a redent, lungo il secondo tratto; mentre il piazzale della stazione, viene escluso da qualsiasi proposta d’intervento e rimane definito dai fronti degli edifici che lo circondano. Il piano di Nicotra non venne attuato, a causa del mancato stanziamento dei fondi, destinati ad opere di ricostruzione più urgenti; tuttavia i ragionamenti in esso contenuti, costituiranno la base delle proposte successive. Il tema del rettifilo, infatti, negli anni a seguire, continua ad essere particolarmente sentito; a testimonianza di questo dato, si segnalano i risultati di un referendum indetto dal quotidiano La Sicilia, nel 1949, che chiedeva ai propri elettori di selezionare l’intervento pubblico più urgente al quale destinare un finanziamento di mezzo miliardo; la ricostruzione di San Berillo, ottenne la maggioranza dei consensi, alimentando però molti sospetti sui risultati del referendum. I ragionamenti finora descritti, compiono un passo reale verso la concretizzazione
con la fondazione dell’Istica, nel 1950, che inaugura quella fase della storia del quartiere che culminerà nello sventramento, fino a questo momento solo teorizzato. L’Istica, Istituto immobiliare catanese, viene costituita con lo scopo principale di avviare l’opera di risanamento del quartiere San Berillo, ed occuparsi, eventualmente, di altre iniziative edilizie di carattere sociale. Viene quindi acquisito il progetto redatto dall’architetto L. Brusa, che nel 1951 viene approvato dal comune di Catania.
Il piano De Felice_1913
Il piano Paternò-Raddusa_1927
Il piano Nicotra_1945
Il piano di ricostruzione_1951
Vista prospettica degli interventi previsti dal piano Nicotra in piazza Stesicoro
Elaborazione della cronologia dei piani proposti per la creazione del rettifilo
26
L’area coperta dal progetto si estende su una superficie di 240 000 mq totali, la cui metà è destinata ad essere spazio libero. Il piano Brusa, ripropone il rettifilo disegnato da Nicotra, con una sezione “a baionetta” , divisa in due dall’attuale piazza della Repubblica; la prima parte, che coincide con l’attuale corso Sicilia, popolata da grandi edifici da destinare alle attività pubbliche, e il secondo tratto, quello di Corso Martiri della libertà, principalmente rivolto all’edilizia residenziale. L’obiettivo era quello di creare un grande boulevard di collegamento con la stazione, sradicando un quartiere storico e le cui condizioni risultavano inadeguate all’immagine della nascente metropoli, per fare spazio ai luoghi dell’economia, necessari alle esigenze di una grande città. Sebbene la questione San Berillo fosse presente nei dibattiti cittadini già da diverso tempo, le modalità con le quali l’intervento viene attuato, creano uno scenario caratterizzato da un clima di generale dissenso. L’istituzione tempestiva dell’Istica, infatti, nonchè la ridotta partecipazione pubblica al processo di pianificazione, ha evitato ogni discussione sul progetto; alimentando la preoccupazione che l’intero affaire fosse dominato da logiche di speculazione economica, piuttosto che da legittimi interessi collettivi; preoccupazione aggravata da una serie di controversie che inficieranno negativamente la fase di cantiere, culminate poi nell’interruzione dei lavori, mai più ripresi.
«L’operazione San Berillo, così come anche qui ricordata, non è altro che una sorta di “patto territoriale” ante litteram, con tutte le “specialità” di legge, necessarie per imporre a qualunque costo e in qualunque tempo il disegno “concertato” all’epoca dagli attori finanziari, politici e immobiliari in gioco. E così [...] l’ affaire San Berillo proposto a metà degli anni Cinquanta, imponendo la prevalenza dei suoi “speciali” parametri sulle norme urbanistiche ordinarie, continua a desumere benevola giurisprudenza in favore dei soliti proprietari di aree e a danno della collettività catanese»16. Il contratto tra il comune e l’Istica, prevedeva la cessione di tutte le aree coinvolte nel piano nonchè l’annullamento degli oneri di costruzione; in cambio l’Istica, favorita da una serie di benefici statali, si faceva carico delle spese di realizzazione del piano e si impegnava a garantire il diritto di prelazione agli ex-abitanti del quartiere, nel frattempo riunitosi in un comitato contro lo sventramento. E’ in questo clima che cominciano, nel febbraio 1957, i lavori che, dopo l’introduzione di diverse varianti relative alla cubatura prevista, vengono interrotti definitivamente nel 1965, quando, in seguito ad una verifica dell’ingegnere Mignemi, emergono una serie di irregolarità che conducono ad una denuncia nei confronti del presidente dell’Istica, con l’accusa di peculato; lasciando, di fatto, incompiuto il corso Martiri della libertà,
Piano Istica_1951
Edilizia speciale Edilizia residenziale
Elaborazione del piano Istica, redatto da L. Brusa (1951)
Vista prospettica del rettifilo disegnato da L. Brusa 16. A c. di A. Atripaldi, M. Costa, Catania. Architettura, città, paesaggio, op. cit. p.184.
27
mentre il corso Sicilia era stato completato, ma con una cubatura superiore a quella fissata. Risulta dunque evidente che le dinamiche economiche, politiche e sociali che, solitamente, bilanciano le scelte architettoniche all’interno della disciplina urbanistica, si rivelano, in questa circostanza, dominanti; delineando uno scenario problematico le cui conseguenze si riflettono nel presente del quartiere, e dell’intero centro storico. L’emergenza San Berillo, rappresenterà infatti un’evidenza con la quale tutti i successivi piani dovranno confrontarsi.
caratteri anomali e decontestualizzati rispetto alla morfologia delle parti da risanare. Lo stesso Piccinato, delegherà ai piani particolareggiati ogni decisione, di fatto mai attuata, su San Berillo; limitandosi ad esprimere il proprio disaccordo in merito agli interventi condotti. Nei fatti, l’area è , ancora oggi, interessata da una generale condizione di incompiutezza che non riguarda esclusivamente il corso Martiri della libertà, le cui cave sono effettivamente consegnate al degrado e all’incuria, ma anche il corso Sicilia che, sebbene risulti completo nella sua realizzazione, sembra soffrire la mancanza di quel sistema di relazioni necessarie alla sua sopravvivenza e che, di fatto, è stato negato dal mancato completamento del piano; questa privazione ha condannato il corso Sicilia all’asetticità, svuotandolo delle velleità che ne avevano promosso la costruzione.
«Si è persa l’occasione (a Catania come nel resto del Meridione), sotto le spinte condizionanti degli interessi fondiari, di impostare il rinnovo urbano su più calibrati rapporti qualitativi delle parti nuove con quelle antiche, e delle città col proprio contesto»17. Il corso Sicilia, che costituisce l’unica effettiva concretizzazione del piano, se da una parte ha implementato il centro storico di una serie di funzioni necessarie ad evitare il suo decadimento, nonchè obbligatorie nell’ottica di una città moderna; dall’altra è protagonista di un intervento che denuncia una mancata comprensione del passato, presentando
«La città mastica tutto, la città divora tutto,quindi il tempo le darà la possibilità di far diventare catanese anche corso Sicilia. Non è un processo facile,ma probabilmente riuscirà. In parte sta già riuscendo. Però corso Sicilia resta alieno al tessuto della città: a quello fisico e a quello dei comportamenti umani»18.
F’ E’ F
E
N
Planimetria stato di fatto
1: 5 000
17. A c. di A. Atripaldi, M. Costa, Catania. Architettura, città, paesaggio, op. cit. p.182.
18. Op. cit.p.236.
28
Bisognerà, dunque, attendere la risoluzione del contenzioso tra l’Istica e il comune perchè si riaccendano gli interessi sul quartiere. Nel 2004, viene nominata una commissione di esperti che, dopo aver individuato gli elementi fondativi del progetto di risanamento, elabora con i proprietari un nuovo schema di utilizzo dell’area; mentre nel 2008, sotto la guida di Stancanelli, viene affidato a Massimiliano Fuksas, l’incarico di presentare un progetto per il corso Martiri della libertà. Il progetto proposto dall’architetto italiano, che prevede la risistemazione dell’area, sfruttando gli assi esistenti, non supererà l’iter di approvazione, a causa di alcune divergenze con i proprietari delle aree; mentre verrà successivamente approvato il progetto presentato dall’architetto Mario Cucinella, che propone la realizzazione di un grande parco centrale, circondato da una cortina di edifici destinati alla funzione residenziale, culturale e commerciale. L’intero impianto è attraversato, infine, da un lungo viale alberato, che accoglie anche una pista ciclabile, e diverse aree a verde. I lavori relativi alle prime opere di urbanizzazione hanno preso avvio all’inizio del 2019, tuttavia l’attuazione della configurazione prevista da Cucinella, sembra essere ancora lontana e incerta.
Sezione e masterplan del progetto proposto da Mario Cucinella
Sezione FF’_stato di fatto
29
Sezione EE’_stato di fatto
Dall’alto: I monumentali portici dei palazzi di corso Sicilia Piazza della Repubblica, ormai destinata ad enorme parcheggio
30
Dall alto: Lo sventramento in fase avanzata, nei pressi dell’attuale corso Sicilia Una delle quattro cave presenti nel corso Martiri della Libertà . Foto di C. Majorana, tratta da San Berillo, il quartiere degli emarginati nel centro di Catania, pubblicato su Vice magazine, giugno 2016.
31
Il progetto
32
Indagate le ragioni, ritenute uno strumento imprescindibile all’approccio progettuale, si è proceduto a delineare una strategia di intervento che, non solo restituisse alla città uno spazio pubblico del quale è stata illegittimamente privata, ma che miri anche a ricostruire il complesso sistema di relazioni in grado di rianimare e riconnettere una parte del tessuto storico della città, attualmente disgregata. Ricucire i margini del quartiere con la città e riconsegnare lo spazio all’identità del luogo, sono emersi, da subito, come obiettivi primari; in tal senso sono state, dunque, orientate le scelte progettuali che intervengono, già alla scala infrastrutturale. Il piano, previsto dal progetto, vista la rilevanza dell’area sulla mobilità cittadina, mette in atto alcune variazioni all’attuale viabilità, finalizzate non solo a favorire il decongestionamento, che rappresenta una delle criticità emergenti dell’area, nonchè il principale ostacolo alla sua vivibilità; ma anche, e principalmente, a proporre un modello di fruizione improntato ai criteri di sostenibilità. Le principali modifiche riguardano la viabilità principale, attualmente concentrata esclusivamente sull’asse di corso Martiri della libertà; il progetto, infatti, propone lo smistamento dei due sensi di marcia sulle vie parallele: via Archimede a Nord, destinata ad accogliere il traffico in ingresso, e via Giovanni di Prima a Sud, che raccoglierà, invece, il traffico in uscita; per poi ricongiungersi nell’asse trasversale di via Ventimiglia; le sezioni stradali di entrambe le vie, come emerge dalla loro analisi, risultano infatti pari a quella di corso Martiri, rivelandosi, dunque, idonee a contenere la mole di traffico prevista. Con lo spostamento della viabilità principale su via Di Prima si intende, inoltre, trasferire la centralità su questo asse che, costituisce una cerniera con la parte superstite del quartiere San Berillo, e sul quale si ritiene importante concentrare l’attenzione,anche attraverso
l’installazione delle fermate dei mezzi pubblici che contribuiscono alla rivalutazione dell’area, favorendo la riconnessione con il vecchio quartiere. Relativamente, invece, alla viabilità secondaria, le principali modifiche riguardano l’eliminazione degli attraversamenti trasversali al corso Martiri per lasciare spazio al parco pedonale. Su via Di Prima si prevede, inoltre, la realizzazione di una corsia riservata alla linea BRT, che si aggancia al sistema già esistente. Le modifiche alla viabilità appena descritte, si propongono dunque di risolvere il critico problema del congestionamento della zona e restituirla alla fruizione pedonale. La proposta include, inoltre, l’apertura di tre parcheggi pubblici destinati a contenere il problema della sosta non regolamentata che interessa l’area. Il sistema della viabilità si articola attorno ad un vasto parco urbano che costituisce l’elemento centrale del progetto, improntato all’idea di permeabilità e apertura dello spazio pubblico. Il parco risponde, in prima istanza, alla volontà di restituire alla città uno spazio pubblico, compensando anche la carenza di spazi verdi in città; in secondo luogo alla strategia di riunificare l’area con un unico elemento. Il sistema di accesso al parco è gestito attraverso una rete di viali pedonali alberati, che collegano l’area di progetto al corso Sicilia, introducendo una misura che ritroviamo nei percorsi interni al parco; quest’ultimi ,infatti, seguendo gli assi della viabilità esistente, ne consentono l’attraversamento trasversale. Il parco accoglie, inoltre, una pista ciclabile, che si sviluppa in sostituzione a quella esistente su via di Prima, e due nuovi nodi bike sharing. Sul parterre verde del parco, si sovrappongono quindi il layer dei percorsi pedonali e quello costituito dai filari d’alberi che, collocati in prossimità degli attraversamenti, creano zone d’ombra che permettono di fruire del parco durante tutte le ore del giorno. Il parco costituisce il
33
ViabilitĂ principale
N
P P
N
B E
34
ViabilitĂ secondaria Parcheggi Parcheggi interrati
Linea BRT Pista ciclabile Aree pedonali Parco urbano Bus urbani Bus extraurbani Nodi bike sharing
perno di un complesso sistema di edifici quali elementi ordinatori, che ridisegnano le relazioni con l’esistente e introducono ulteriori connessioni e nuove spazialità ridefinendo le quinte della città che si confrontano con l’area in esame. L’articolazione dei percorsi d’accesso al parco, è segnata da due edifici in linea, destinati alla funzione residenziale, che riprendono la tipologia prevalente sul corso Sicilia, e da un elemento di addizione che si aggiunge ad un alto edificio a corte, collocato sull’isolato compreso tra corso Sicilia e via Sada, per definire lo spazio pedonale e ricucire il collegamento con l’esistente; infine, un edificio a corte, destinato ad accogliere la scuola elementare, attualmente collocata in corso Martiri della libertà, risolve la quinta Nord del percorso che conduce all’accesso del parco e dialoga con l’esistente attraverso un elemento a torre che ospita al centro della sua corte e che, con la sua altezza, si raccorda agli edifici più alti che caratterizzano piazza della Repubblica. La strategia progettuale ambisce ad operare una mediazione tra gli interessi dei soggetti privati, ipotetici finanziatori di un qualsiasi intervento sull’area, e le esigenze della collettività, alla quale non può essere negata una porzione così importante e strategica di spazio pubblico. Si è tentato di raggiungere questo obiettivo, attraverso la proposta di un tessuto completamente permeabile, che affidi alla città lo spazio urbano, sottraendolo alle dinamiche economiche, e sposti i servizi e le funzioni residenziali ad un piano superiore, retto da un fitto sistema di setti e pilotìs. Questa scelta, consente di riunificare l’intera area, ricostruendo il tessuto frammentato e restituendogli un’identità organica. Attorno al parco, viene disposta come “quinta” scenica, una cortina di edifici di massimo 5 piani, che ospita le funzioni residenziali e delimita il parco stesso; esso si articola, come già detto, su una griglia di pilastri e setti, la cui
disposizione favorisce la direzionalità verso il parco e permette di configurare una sequenza di corridoi visivi che arricchiscono l’esperienza spaziale. Il ritmo regolare dei setti, è interrotto dalla presenza dei vani commerciali che occupano le unità comprese tra i setti stessi, proponendo uno spazio dinamico, grazie anche all’alternarsi discontinuo delle ombre. La disposizione centrale dei vani commerciali, permette di definire due corridoi porticati, caratterizzati da spazialità differenti: uno esterno che guarda verso la città, e uno interno, aperto verso il parco. Il duplice rapporto tra l’edificio e il parco, e tra l’edificio e la città, costituisce, infatti, uno dei temi principali che informano il progetto; l’impianto risolve con soluzioni differenti il dialogo con i due contesti: il prospetto esterno, comunica con la città attraverso le regole che essa stessa impone; per questo si articola in una cortina discontinua le cui altezze sono dettate dalla sequenza degli edifici dell’intorno, rispecchiandone, quasi come un’immagine riflessa, i profili; mentre, all’interno del parco, un elemento aggettante, riunifica la cinta edilizia e ricostruisce la percezione unitaria dell’intero impianto. Sui due lati corti, infine, tre edifici a torre si innestano come elementi di testa, imponendosi sulle prospettive d’accesso al parco. La cortina edilizia massiccia, presenta una facciata esterna scandita da un rigido e regolare sistema di aperture, con infissi a filo, che conferisce linearità al prospetto, negando ogni plasticità, destinata al profilo interno; dove, un sistema alternato di logge e ampie vetrate, conferisce dinamicità al prospetto e dà forma alla naturale proiezione degli interni verso il parco. Nella pagina a fianco: Proposta progettuale del sistema di mobilità privata Proposta progettuale del sistema di mobilità pubblica Scala 1: 5 000 Nella pagine seguente: Planivolumetrico Scala 1: 2 000
35
A
N
36
A’
37
L’elemento di unione interno, che si sviluppa su due piani, è ritmato da una sequenza di cornici, che dilatano la percezione in altezza dell’intero aggetto e racchiudono le aperture di entrambi i piani, costituite da balconi e logge. Il rapporto tra la regola, e la sua eccezione, all’interno di questo progetto si concretizza in un insieme di soluzioni puntuali, la cui eccezionalità, rispetto alla regolarità dello schema generale, intende offrire nuove esperienze spaziali. Esse prendono forma, ad esempio, nella galleria proposta nell’angolo Sud-Est dell’impianto; si tratta di una costruzione “leggera”, la cui pianta circolare introduce, di fatto, una forma nuova nella griglia del progetto, componendo una sequenza di spazi che configurano un diverso modo di relazionarsi al parco. Il profilo esterno della galleria, in contrapposizione alla massiccia pietra che caratterizza il prospetto dell’intero complesso, è rivestito da un perimetro di lamiera forata,
la cui trama rafforza il senso di leggerezza dell’intervento. La stessa lamiera, diventa protagonista della soluzione proposta per l’angolo Sud-Ovest, nel quale le preesistenze ci costringono a confrontarci con la chiesa del SS. Crocifisso della buona morte. Si è pensato di riunificare l’impianto, interrotto dalla presenza della chiesa, attraverso un sistema a ballatoio, retto da una sequenza di pilastri che, correndo attorno alla facciata della chiesa, ne consente la fruizione e l’accesso alle parti più alte. Attraverso un sistema di collegamenti verticali, racchiusi in un perimetro vetrato, si raggiunge il ballatoio, il cui profilo a C, accoglie e protegge il prospetto della chiesa. La permeabilità della lamiera, infine, consente di ridisegnare il profilo della chiesa, in parte inquadrata dall’apertura, collocata al centro della parete forata. Negli altri angoli, invece, il ritmo dei pilastri cede il passo ad una sequenza di colonne, il cui diametro circolare declina gli stessi temi
Vista assonometrica dell’intero progetto Scala 1: 1 000
38
applicati nelle altre soluzioni d’angolo. La maggior parte della cubatura prevista è destinata alla funzione residenziale, come richiesto dal programma di fabbricazione e necessaria a rappresentare gli interessi dei privati; ad essa si associano la funzione commerciale, che trova alloggio al piano 0 dell’impianto, e un piano semi-pubblico che ospita gli uffici. Attraverso dodici vani scala, collocati lungo tutto il perimetro dell’edificio, si accede infatti al mezzanino che, con un sistema a ballatoio rivolto al portico esterno, serve gli spazi destinati alla funzione di ufficio, che si affacciano sul parco attraverso ampie vetrate. Il sistema residenziale, collocato ai piani superiori, presenta 7 tipologie di alloggi, mirate a coprire le diverse esigenze dell’utenza e a garantire la diversificazione delle unità abitative. Gli appartamenti sono serviti da un corridoio centrale, la cui illuminazione è consentita da una serie di aperture irregolari che si configurano come spazi semi-pubblici, che offrono l’affaccio sul parco e favoriscono le interazioni sociali; disposti, in modo casuale, su tutto il perimetro dell’edificio, garantiscono inoltre l’aerazione dei corridoi interni. Quest’ultimi, sono segnati nel loro percorso, da una serie di aperture sul solaio che ne consentono la permeabilità luminosa. Le unità abitative, al loro interno, prevedono diverse configurazioni; tutte improntate al criterio di flessibilità e apertura; si affacciano verso il parco attraverso una sequenza di vetrate e logge, a doppia altezza nel caso dei duplex, che proiettano lo spazio interno verso l’esterno. I tre elementi a torre, i cui attici ospitano delle ampie terrazze, risolvono, infine, la relazione con il parco attraverso ampie superfici vetrate. Nelle pagine successive: pp. 40-41 pianta piano 0 e prospetto Sud pp. 42-43 pianta piano 1 e sezione AA’ pp. 44-45 piano piano 2, prospetto Est e sezione BB’
Sezione prospettica AA’ Scala 1: 1 000
39
N
40
05
41
25
50 m
A
N
42
A’
05
43
25
50 m
B
B’
N
44
05
45
25
50 m
Housing
Uffici
Parco urbano
Esploso assonometrico
Nella pagina a fianco: UnitĂ abitative previste
46
Zona giorno Zona notte
Tipologia A 130 mq Abitanti previsti: 4 Camere da letto: 2 Bagni: 3
Tipologia B 140 mq Abitanti previsti: 4 Camere da letto: 2 Bagni: 2
Tipologia C 140 mq
Abitanti previsti: 2 Camere da letto: 1 Bagni: 2
Duplex 1 120 mq Abitanti previsti: 3 Camere da letto: 2 Bagni: 2
Tipologia D 100 mq Abitanti previsti: 3 Camere da letto: 2 Bagni: 1
Duplex 2 150 mq Abitanti previsti: 4 Camere da letto: 2 Bagni: 2
Tipologia E 90 mq Abitanti previsti: 2 Camere da letto: 1 Bagni: 1
47
Vista prospettica del parco
48
49
Viste prospettiche dell’ingresso Est e del parco
50
51
Vista prospettica del portico interno; sullo sfondo la galleria d’arte.
52
53
Vista prospettica del portico esterno, su via Archimede
54
55
Vista prospettica della zona uffici, al primo piano
56
57
Vista prospettica del portico esterno, su via Enrico de Nicola
58
59
Vista prospettica del fronte su via Giovanni di Prima
60
61
Conclusioni
62
Pur nei limiti di una strategia parziale e non esaustiva, si è tentato di trasmettere un principio di riappropriazione dei luoghi e operare una riconnessione delle relazioni. Ricucire le ferite, aperte dalla drammatica pratica delle speculazioni e alimentata da una stratificazione complessa di eventi storici e radicati modi operandi , ha rappresentato la sfida principale di questa tesi e presupposto un approccio metodologico non tradizionale. Lo studio delle dinamiche urbane, della memoria dei luoghi in analisi e delle pratiche umane ha consentito di delineare una strategia progettuale che ridefinisce le relazioni, riordina l’assetto urbano e affida alla qualità architettonica il compito di ricostruire l’immagine della città. La città auspicata da questa tesi è la città dell’uomo, che fa riferimento ad «un’appropriazione degli spazi di natura, non economica, ma simbolica e funzionale»18. In tal senso, è risultato necessario focalizzarsi sulla dimensione umana e sociale del progetto, che pone al centro della sua ricerca la comunità che abita i luoghi. E’ stato, dunque, opportuno definire una gerarchia di spazi, dal pubblico al privato, che passasse attraverso i filtri del semi-pubblico e del semi-privato e i cui confini non rappresentassero delle barriere, ma collaborassero alla costruzione di un luogo in cui la collettività potesse riconoscersi e che potesse vivere. Il caso di San Berillo è, in quest’ottica, emblematico e il paradosso di cui è protagonista, lo ha condotto ad essere il centro di questa ricerca, nell’auspicio che l’approccio proposto possa rappresentare un impulso alla riappropriazione legittima di questi luoghi, che passi attraverso la memoria di cui sono custodi.
«Quale bisogno o comandamento o desiderio abbia spinto i fondatori di Zenobia a dare questa forma alla loro città, non si ricorda, e perciò non si può dire se esso sia stato soddisfatto dalla città quale noi oggi la vediamo, cresciuta forse per sovrapposizioni successive dal primo e ormai indecifrabile disegno. Ma quel che è certo è che chi abita a Zenobia e gli si chiede di descrivere come lui vedrebbe la vita felice, è sempre una città come Zenobia che egli immagina, con le sue palafitte e le sue scale sospese, una Zenobia forse tutta diversa, sventolante di stendardi e di nastri, ma ricavata sempre combinando elementi di quel primo modello. Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati» .
18. B. Bottero, Il progetto dello spazio collettivo, in Housing 2, Clup, Milano, 1988, pp. 9-13
Foto di Sergio Attanasio
Italo Calvino, Le città invisibili
63
Bibliografia
64
• Atripaldi A. , Costa M. , Catania. Architettura, città, paesaggio, Roma, Mancosu editore, 2008. • Busacca P., Gravagno F. , L’occhio di Arlecchino. Schizzi per il quartiere San Berillo a Catania, Roma, Gangemi, 2004. • Comune di Catania, Piano edilizio e di risanamento della città di Catania. Relazione della giunta comunale, Catania, Galatola, 1913. • Id. , Piano generale del traffico urbano. Relazione generale, settembre 2012. • Dato G. , Urbanistica e città meridionale, Catania, C.u.l.c., 1984. • Id. , La città di Catania. Forma e struttura, Officina edizioni, Roma, 1988. • Giarrizzo G. , Catania. La città moderna, la città contemporanea, Catania, Sanfilippo, 2012. • Holl S. , Parallax. Architettura e percezione, Milano, Postmedia books, 2005, ediz. italiana. • Id. , Urbanism. Working with doubt, New York, Princeton architectural , 2007. • Koolhas R. , Delirious New York, Milano, Electa, 2001. • Magnano di San Lio E. , Relazione storica. Comune di Catania, Catania, 2016. • Regiona Siciliana, Assesorato delle infrastrutture e della mobilità, Piano integrato delle infrastrutture e della mobilità, Aprile 2017. • Scaglione G. , Cartografia tematica della città di Catania tra XVI e XIX secolo, tesi di dottorato di ricerca, Università degli studi di Catania, 2007-2010.
65