Le stigmate di Padre Pio di Nicola Michele Campanozzi (Direttore Sezione Teoresi de “Il Laboratorio”)
Abstract Sull’ “affaire P: Pio” sembra che non si voglia ancora scrivere la parola “fine”. Ogni tanto il dibattito si riapre, come sta accadendo in questi ultimi tempi con il libro di Sergio Luzzatto “Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento”. Sembrava che il tutto si fosse chiuso con la solenne canonizzazione del 16 giugno 2002. E invece…Si pensa di aver trovato nuove prove “contro”, che poi si rivelano non essere tali, perché già da tempo ben note, discusse e valutate per quello che potevano valere. In questo studio non solo viene ripercorso il fatto oggettivo del fenomeno delle stigmate, ma si avanza con sufficiente e motivata convinzione la necessità che esse debbano finalmente essere dichiarate di origine soprannaturale: un dono e un mistero da accettare con apertura di mente e umiltà di cuore.
Padre Pio (Pietrelcina 25.05.1887-San Giovanni Rotondo 23.09.1968) fra gli stigmatizzati nella storia è l’unico a essere stato un sacerdote: S. Francesco d’Assisi era un diacono e le altre sono state perlopiù donne (Santa Caterina da Siena, Teresa Neumann, morta nel 1962, la californiana Cloretta Robertson, Natuzza Evolo durante la Settimana Santa…). Questa novità si è prestata a una serie di lotte, di gelosie fra il clero, di avversione da parte di tanti ambienti ecclesiastici e laici e per motivi non sempre nobili. Alla fine hanno vinto la verità della santità della sua vita e da parte della Chiesa il riconoscimento ufficiale dell’esercizio eroico delle sue virtù teologali (fede, speranza e carità) e cardinali (prudenza, fortezza, giustizia, temperanza, obbedienza, castità e povertà) con la Beatificazione prima (2 maggio 1999) e la Canonizzazione poi (16 giugno 2002). Sulla natura delle stigmate, però, un pronunciamento solenne sulla loro origine soprannaturale non c’è stato, ma è una storia ancora tutta da scrivere e da portare avanti, come voleva il Vice Postulatore Generale della Causa di Canonizzazione P. Gerardo Di Flumeri. Il presente breve saggio non vuol essere altro che un modesto contributo in questa direzione. Procediamo con ordine.
1. Il misticismo di Padre Pio La personalità di Padre Pio, sin da quando era bambino, era profondamente orientata al soprannaturale, al dialogo con Dio, a una visione di vita per la quale i parametri di valutazione non erano le misure umane ma quelle che si richiamavano al trascendente. Amava raccogliersi in preghiera, riempire is suoi pensieri di contenuti fortemente religiosi e conseguentemente agire lasciandosi guidare da una luce interna che andava crescendo con l’approfondirsi della fede.. La struttura fisica di P. Pio era piuttosto fragile, gracile e soggetta a tanti malanni (febbre con ipertermia fino a 52°, broncoalveoliti frequenti, disturbi gastrici, ecc.), quella mentale e psicologica, però, si presentava integra e lucida e, come si evince dagli scritti giovanili, anche molto attenta agli studi della filosofia e della teologia. Certamente non era quella tipica di un intellettuale, come noi l’intendiamo oggi, (la sua cattedra era ben altra!), ma non sottovalutiamo il suo amore per la cultura e la scienza. Non a caso nel giorno della inaugurazione della Casa Sollievo della Sofferenza (5 maggio 1956) ebbe a dire: “Questo luogo deve diventare un centro internazionale di studi e di ricerca”. Chi legge con attenzione 1
critica il suo vasto Epistolario si accorge subito di trovarsi dinanzi a una intelligenza aperta, vivace, duttile, talora molto sottile, talaltra ironica, ma comunque una mente che non sapeva affatto di ignoranza, come maldestramente voleva P. Gemelli, di fine e accorta saggezza e sapienza nel modo di organizzare il pensiero e di offrirne i risultati sotto forma di consigli. Ovviamente i contenuti dello stesso erano dominati da quelli religiosi (a ognuno la sua peculiarità!). Era un’anima con una psiche ben orientata al di là di una dimensione puramente materiale nel modo di vedere, affrontare e vivere le cose. A una disponibilità interiore del genere chiaramente il divino risponde, si pone in contatto, quasi tende a plasmare di Sé una tale coscienza, che, con l’andare del tempo, acquista una così grande familiarità con esso da sembrare come una cosa naturale. Non diversamente si spiegano i tanti fenomeni paranormali o soprannaturali legati alla vita di P. Pio: lettura del pensiero, chiaroveggenza, bilocazione, mediazione taumaturgica, ecc. Era come se il divino volesse stupire, agendo tramite di lui e sparigliando così l’ordine cosiddetto scientifico della realtà. Più una persona si accosta alla dimensione più ala dello Spirito, più quest’ultimo si manifesta e fa “meravigliare” chi è attorno. Questo incontro fra P. Pio e Dio è stato profondo, intenso, di abbandono fiducioso e totale fra le Sue braccia, mirabile apportatore di pace interiore e di bene per il prossimo. Questo è il misticismo, del quale, peraltro, hanno scritto molto ampiamente e dettagliatamente altre grandi figure del cristianesimo, come San Giovanni della Croce e Santa Teresa d’Avila e non da meno anche P. Pio, per il quale lo stesso P. Gerardo Di Flumeri tanto desiderava il riconoscimento di Dottore della Chiesa. Tale misticismo non prescindeva dalla severità verso il male, ma anche dalla praticità della bonomia: quante facezie raccontano i suoi confratelli che alla sera, dopo cena, non vedevano l’ora di riunirsi attorno a P. Pio per sentirlo parlare e scherzare. Il suo misticismo era sorretto da una forte memoria e da una squisita delicatezza di animo. Spesso ricordava a me P. Gerardo l’episodio del suo onomastico (16 ottobre): “ Il 16 ottobre ricorreva il mio onomastico. Come sempre mi ero ritirato in ufficio a lavorare. Non avevo veduto il Padre e aspettavo, perciò, le ore 11 per salutarlo. Quella mattina non sentii il suo passo cadenzato e strisciante, accompagnato dai forti colpi di tosse. Continuai il mio lavoro, quando, all’improvviso, mi sembrò che qualcuno si fosse fermato vicino all’uscio e lo toccasse delicatamente. Insospettito, mi alzai e aprii. Era Lui: sorridente e un po’ imbarazzato come un fanciullo sorpreso dalla mamma a fare qualche marachella. “Auguri”, mi disse, e togliendolo dalla toppa dove l’aveva inserito, mi diede il fiorellino. Lo ringraziai commosso e gli baciai la mano. Conservo quel fiorellino fra le mie cose più care”. Questo era l’uomo e il santo P. Pio!. Non meraviglia allora se un’anima mistica tenda ad assumere su di sé l’interlocutore con il quale parla mediante una identificazione anche fisica: è nell’ordine naturale del bene tutto ciò. Psicologicamente è così. Gli antichi latini dicevano: “Amicitia aut inventi aut facit aequalem”. A maggior ragione l’amore. Non a caso le prime avvisaglie si ebbero nel 1910 (P. Pio aveva appena 23 anni). (Fig. 1)
Figura 1
Nella sua lunga permanenza nel paese natìo, Padre Pio viveva in una condizione di grande sofferenza fisica e morale. Nessuno riusciva a diagnosticare con esattezza la natura della sua malattia. Sembrava quasi che la Provvidenza avesse deciso di inchiodare il frate nella sua Pietrelcina, non volendo che vivesse la normale vita conventuale. In un colloquio con P. Agostino da San Marco in Lamis (10 2
ottobre 1910) P. Pio rivelava in maniera confidenziale il fatto che il 14 agosto del 1910 aveva ricevuto le stigmate ma aveva supplicato il Signore di liberarlo, sicché le ferite scomparvero alla visibilità, ma non il dolore che rimase “acutissimo”.. Per gli stessi direttori spirituali, specialmente per P. Benedetto da San Marco in Lamis, la prolungata permanenza fuori del convento non era una cosa lodevole, insinuando addirittura il sospetto di qualche insidia diabolica. E allorché gli chiese: "Quando ti vedrò in convento?", Padre Pio così rispose, l'8 settembre del 1911: "Si figuri poi se è mio desiderio di ritornarmene in convento. Il maggiore dei sacrifici che ho fatto al Signore è stato appunto di non aver potuto vivere in convento". Ma in questa lettera per la prima volta in uno scritto padre Pio accenna al dono della stigmate, avuto proprio a Piana Romana: "...mi trovo in campagna a respirare un po' di aria più sana, dietro che
ne ho sperimentato la miglioria.....Ieri sera poi mi è successo una cosa che io non so né spiegare né comprendere. In mezzo alla palma delle mani è apparso un po' di rosso quasi quanto la forma di un centesimo, accompagnato anche da un forte e acuto dolore in mezzo a quel po' di rosso. Questo dolore era più sensibile in mezzo alla mano sinistra, tanto che dura ancora. Anche sotto i piedi avverto un po' di dolore. Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo, però adesso per la prima volta glielo dico; perché mi sono fatto vincere sempre da quella maledetta vergogna. Anche adesso se sapesse quante violenza ho dovuto farmi per dirglielo! Molte cose avrei da dirle, ma mi viene meno la parola; solo le dico che i battiti del cuore, allorché mi trovo con Gesù sacramentato, sono molto forti"(Epistolario, I, p. 234). Ma alle sofferenze si aggiunsero anche le tentazioni e le vessazioni da parte del demonio. Nella lettera che scrisse al suo affezionatissimo P. Agostino da San Marco in Lamis, il 18 gennaio del 1912, così Padre Pio descriveva la sua lotta con "Barbablù", uno degli ironici appellativi con il quale egli chiamava lo spirito del male:"Barbablù non si vuole dare per vinto. Ha preso quasi tutte le forme. Da vari giorni in qua mi viene a visitare assieme con altri suoi satelliti armati di bastoni e di ordigni di ferro e quello che è peggio sotto le proprie forme. Chi sa quante volte mi ha gittato dal letto trascinandomi per la stanza. Ma pazienza! Gesù, la Mammina, l'Angioletto, ed il padre San Francesco sono quasi sempre con me.."(Epistolario, I, p. 252). Sempre a Padre Agostino confidò i profondi sentimenti di amore e di fusione del cuore con quello di Gesù. Lo fa il 21 marzo del 1912: "Ieri festività di San Giuseppe, Iddio solo sa quante dolcezze
provai, massime dopo la messa, tanto che le sento ancora in me....La bocca sentiva tutta la dolcezza di quelle carni Immacolate del Figlio di Dio... Quanto mi rende allegro Gesù! Quanto è soave il suo spirito! Ma io mi confondo e non riesco a fare altro se non che piangere e ripetere: Gesù, cibo mio!...Gesù, amore nel cuore non ce ne ho più, tu sai che l'ho donato tutto a te; se vuoi più amore, prendi questo mio cuore e riempilo del tuo amore e poi comandami pure di amarti, che non mi rifiuterò; anzi te ne prego di farlo, io lo desidero". E accennando ancora al dolore delle stigmate così lamenta: "Dal giovedì sera fino al sabato, come anche il martedì è una tragedia dolorosa per me. Il cuore, le mani ed i piedi sembrami che siano trapassati da una spada; tanto è il dolore che ne sento"(Epistolario, I, p. 265 s.). Il 2 aprile del 1912 Padre Pio indirizzò a padre Agostino un’altra lettera nella quale diceva::"...son contento più che mai nel soffrire, e se non ascoltassi che la voce del cuore, chiederei a Gesù che mi desse tutte le tristezze degli uomini; ma io non lo fo, perché temo di essere troppo egoista, bramando per me la parte migliore: il dolore: Nel dolore Gesù è più vicino; egli guarda, è lui che viene a mendicare pene, lacrime...; Egli ne ha bisogno per le anime"(Epistolario, I, p. 270) .
2. Il 1918, le indagini e il calvario Dal mese di maggio 1918, dopo brevi soste in vari luoghi (Napoli, Foggia, Pietrelcina, Roma, San Marco La Catola), P. Pio dimorava ormai stabilmente nel convento di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo, dove aveva la possibilità di respirare un po’ di aria fresca. Il 5 agosto 1918, mentre stava confessando i ragazzi del collegio, gli si presentò, come egli stesso racconta, “dinanzi all’occhio dell’intelligenza un personaggio celeste, con in mano una specie
di arnese, simile ad una lunghissima lamina di ferro con una punta bene affilata e che sem3
brava da essa punta uscisse fuoco. Vedere tutto questo ed osservare detto personaggio scagliare con tutta violenza il suddetto arnese nell'anima fu tutta una cosa sola”. Questo martirio durò, senza interruzione, sino al mattino del giorno sette. Persino le viscere sentiva “strappate e stiracchiate dietro di quell'arnese”-, il tutto era messo “a ferro e fuoco”, da quel giorno è ferito a morte: sentiva nel più intimo dell'anima una ferita che era “sempre aperta”, che lo faceva “spasimare assiduamente”(Epist. I, 1065). La ferita “sanguina e sanguina sempre”, mentre si vedeva ”sommerso in un oceano di fuoco”. Tutto il suo interno ”piove sangue e più volte l'occhio è costretto a rassegnarsi a vederlo scorrere anche al di fuori”; il personaggio misterioso non dava tempo al tempo, sulle piaghe antiche ancora aperte aprì delle nuove ”con infinito strazio della povera vittima”(Epist. I, 1072s.). P. Pio nella stessa Lettera aggiungeva: “Non l’è questa una nuova punizione inflittami dalla giustizia divina? Giudicatelo voi…se io non ho tutte le ragioni di temere e di essere in una estrema angoscia” (Epist. I, 1061) Per quanto accadde il 20 settembre è P. Pio stesso che un mese dopo lo racconta: “Era la mattina del 20 dello scorso mese in coro, dopo la celebrazione della santa messa, allorché venni sorpreso dal riposo, simile ad un dolce sonno. Tutti i sensi interni ed esterni, non che le stesse facoltà dell'anima si trovarono in una quiete indescrivibile. In tutto questo vi fu totale silenzio intorno a me e dentro di me; vi subentrò subito una gran pace ed abbandono alla completa privazione del tutto e una posa nella stessa rovina. Tutto questo avvenne in un baleno. E mentre tutto questo si andava operando, mi vidi dinanzi un misterioso personaggio, simile a quello visto la sera del 5 agosto, che differenziava in questo solamente che aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue. La sua vista mi atterrisce; ciò che sentivo in quell'istante in me non saprei dirvelo. Mi sentivo morire e sarei morto se il Signore non fosse intervenuto a sostenere il cuore, il quale me l sentivo sbalzare dal petto. La vista del personaggio si ritira ed io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati grondavano sangue. Immaginate lo strazio che esperimentai allora e che vado esperimentando continuamente quasi tutti i giorni. La ferita del cuore gitta assiduamente del sangue, specie dal giovedì a sera sino al sabato. Padre mio, io muoio di dolore per lo strazio e per la confusione susseguente che io provo nell'intimo dell'anima. Temo di morire dissanguato, se il Signore non ascolta i gemiti del mio povero cuore e col ritirare da me questa operazione. Mi farà questa grazia Gesù che è tanto buono? Toglierà almeno da me questa confusione che io esperimento per questi segni esterni? Innalzerò forte la mia voce a lui e non desisterò dal scongiurarlo, affinché per sua misericordia ritiri da me non lo strazio, non il dolore perché lo veggo impossibile ed io sento di volermi inebriare di dolore, ma questi segni esterni che mi sono di una confusione e di una umiliazione indescrivibile ed insostenibile. Il personaggio di cui intendevo parlare nell'altra mia precedente non è altro che quello stesso; di cui vi parlai in un'altra mia, visto il 5 agosto Egli segue la sua operazione senza posa, cori superlativo strazio dell'anima. Io sento nell'interno un continuo rumoreggiare, simile ad una cascata, che gitta sempre sangue. Mio Dio'. E' giusto il castigo e retto il tuo giudizio, ma usami fine misericordia. Domine, ti dirò sempre col profeta: Domine, ne in furore tuo arguas me” {Epist. I, 1092-1095). Quanta sincera spontaneità e semplicità in tutto questo racconto e anche quanto drammatico dolore vi è espresso! Altro che piacere di soffrire! Il 20 dicembre continuò nell'anima e nel corpo lo strazio per le “operazioni” avvenute. Da più giorni avvertiva “una cosa simile ad una lamina di ferro che dalla parte bassa del cuore si estende sino a sotto la spalla destra in linea trasversale”, che gli causava “acerbissimo” dolore e lo privava anche di un po' di riposo {Epist. I, 1106). In un primo momento P. Pio tentò in tutti i modi di tener nascoste le ferite, forse per vergogna, per pudore o per umiltà: certamente non gli procuravano alcun giovamento fisico, anzi.. Alla fine la cosa dovette essere resa nota ai suoi superiori, mentre la notizia, nel frattempo, cominciò a circolare nel paesino garganico e fuori. Naturalmente il fatto iniziò a preoccupare le autorità ecclesiastiche del luogo e il “problema P. Pio” scoppiò nell’estate del 1919, quando, essendo allora Arcivescovo di Manfredonia Mons. Pasquale Gagliardi (ritenuto non in buona stima), da parte di alcuni preti di San Giovanni Rotondo, gelosi della notorietà che andava assumendo il convento (e le relative offerte che vi arrivavano), furono inviate alcune lettere al Sant’Uffizio e alla Prefettura di Foggia, perché, per motivi 4
di sicurezza pubblica (c’era allora il pericolo del vaiolo e molti pellegrini potevano esserne affetti) trovassero un rimedio alla situazione, anche perché già si raccontavano miracoli e prodigi che avvenivano per opera di P. Pio. Delle stigmate si diceva che erano “macchie di forma quasi circolare, di colore giallo scuro, come quelle prodotte dalla tintura di iodio”. E si aggiungeva: “Si procura le stigmate con l’acido nitrico e poi le profuma con l’acqua di colonia”. La prima foto di esse risale proprio al maggio 1919 e venne scattata, quasi furtivamente, dal suo ex compagno di classe P. Placido Bux da San Marco in Lamis. (Fig. 2 e 3)
Figura 3: Prima foto delle stigmate (particolare)
Figura 2: Prima foto delle stigmate
Nel frattempo anche la stampa (Il Mattino di Napoli) iniziò a interessarsi al “fenomeno P. Pio”, che aveva una media giornaliera d visite di oltre 500 persone, notizia che poi si estese anche in Francia e soprattutto in Spagna, dove venne pubblicata la prima biografia di P. Pio da parte del frate Peregrino da Matarà (1921). Il primo medico a studiare le stigmate di Padre Pio, per ordine del Padre Superiore Provinciale, fu il prof. Luigi Romanelli, primario dell'ospedale civile di Barletta, , nei giorni 15 e 16 maggio 1919. Nella sua relazione, fra le altre cose, scrisse:: “Le lesioni che presenta alle mani, sono ricoperte da una membrana di colore rosso bruno, senza alcun punto sanguinante, niente edema e niente reazione infiammatoria nei tessuti circostanti. Ho la certezza, che quelle ferite non sono superficiali perché, applicando il pollice nel palmo della mano e l'indice sul dorso e facendo pressione, si ha la percezione esatta del vuoto esistente “. E aggiunse: “È da escludere che la eziologia delle lesioni di P. Pio sia di origine naturale”. Da qui Il Mattino di Napoli e La Nazione di Firenze presero lo spunto per concludere che P. Pio era un “dono di Dio”. Due mesi dopo, il 26 luglio, su incarico del Ministro Generale dell’Ordine, arrivò a San Giovanni Rotondo il prof. Amico Bignami, ordinario di patologia medica all'Università di Roma. Le sue considerazioni mediche non si discostarono da quelle del prof. Romanelli, in più, però, affermò che secondo lui quelle stigmate erano cominciate come prodotti patologici (necrosi neurotonica multipla della cute) ed erano state completate, forse inconsciamente, e per un fenomeno di suggestione, con un mezzo chimico, per esempio la tintura di iodio. In una seconda visita il prof. Bignami riesaminò le piaghe e ordinò al P. Superiore P. Pietro da Ischitella di eliminare qualunque forma di medicinali, bendarle per una settimana e tenerle sotto controllo. Dopo tale periodo, tolte le bende, si notò che le stigmate non solo non si rimarginarono, ma né si cicatrizzarono né andarono in suppurazione, anzi continuarono a sanguinare più di prima. La relazione della vicenda venne firmata sotto giuramento dai PP. Paolino da Casacalenda, Basilio da Mirabello Sannitico e Ludovico da San Marco in Lamis. Se P. Pio se le fosse procurate con la tintura di iodio, l’acido nitrico o fenico si sarebbero richiuse o comunque andate incontro a grave infezione e ciò non accadde!
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Il 9 ottobre del 1919 il dr. Giorgio Festa, su incarico del Ministro Generale dell’Ordine dei PP. Cappuccini, compì la prima visita a P. Pio.. Nel tentativo di smontare le tesi di P. Gemelli, vi ritornò, insieme al prof. Romanelli, il 15 luglio del 1920. Nel novembre del 1919 il Card. Gasparri, allora Segretario di Stato del Vaticano, scrisse una lettera al P. Superiore del Convento chiedendo preghiere per sé e per il Papa (Benedetto XV). Il 18-20 aprile 1920 P. Agostino Gemelli, medico, psicologo e consulente del Sant'Uffizio, fu incaricato, anche se in maniera non formale, dal cardinale Merry Del Val a visitare Padre Pio ed eseguire "un esame clinico delle ferite". Perché il Segretario del Sant'Uffizio, chiamato in causa per via dei sospetti su presunte attività scandalose del cappuccino, avesse scelto il Gemelli, è dato supporre sia stato per le sue conoscenze scientifiche di altissimo livello e per i suoi studi specialistici sui "fenomeni mistici", che aveva condotto sin dal 1913.. Il Gemelli volle invece esprimersi compiutamente in merito e decise di incontrare P. Pio, nonostante una malcelata ritrosia di questi. Padre Pio, infatti, mostrò nei confronti del nuovo investigatore un atteggiamento di netta chiusura, nonostante l'approccio iniziale del messo vaticano fosse stato di buona apertura sul piano personale. P. Pio rifiutò la visita motivandola con il fatto che mancava l'autorizzazione scritta del Sant'Uffizio. Furono vane le proteste di P. Gemelli che, anche se incaricato informalmente dal Sant'Uffizio e inviato di persona dal cardinal Merry Del Val, riteneva di avere il diritto di effettuare un esame medico delle stigmate. P. Gemelli, pur non avendo mai esaminato direttamente le stigmate né averle mai viste, interpretò il rifiuto come un'implicita ammissione di colpa. Padre Pio, supportato dai suoi superiori, condizionò l'esame ad un permesso da richiedersi per via gerarchica, disconoscendo le credenziali di P. Agostino Gemelli, che comunque era in missione perlomeno non ufficiale. Questi abbandonò allora il convento, irritato e offeso. "Perciò, pur essendosi recato nel Gargano di propria iniziativa, senza che alcuna autorità ecclesiastica glielo avesse chiesto esplicitamente, P. Gemelli non esitò a fare della sua lettera privata al Sant'Uffizio una sorta di perizia ufficiosa su padre Pio" (Sergio Luzzatto, o.c., p. 60). P. Pio, però, non aveva tutti i torti ad agire così: era ben consapevole della propria dignità né si riteneva un “fenomeno da baraccone” sul quale tutti potessero arrogarsi la licenza di esercitare “ad libitum” il personale diritto a una “visita” o, peggio, alla curiosità. E questo comportamento è decisamente un punto a vantaggio suo e della sua serietà. Padre Gemelli espresse quindi la sua diagnosi:: “È un bluff... Padre Pio ha tutte le caratteristiche somatiche dell'isterico e dello psicopatico... Quindi, le ferite che ha sul corpo fasulle,. frutto tutto di un'azione patologica morbosa... Un ammalato si procura le lesioni da sé... Si tratta di piaghe, con carattere distruttivo dei tessuti... tipico della patologia isterica”. In una seconda lettera al Sant’Uffizio lo chiamò:: "psicopatico, autolesionista ed imbroglione", consigliando di allontanare il suo Direttore Spirituale, P. Benedetto, dal convento. I suoi giudizi, pur non potendo contare su un esame clinico diretto rifiutatogli, avrebbero poi pesantemente condizionato, per l'autorevolezza della fonte, la vicenda di P. Pio. Perché un simile accanimento, con tutto quello che dopo ne è seguito? Misteri della storia! Ma non tanto poi…! Eppure lo stesso P. Gemelli sul Registro dei visitatori di San Giovanni Rotondo aveva scritto di suo pugno: “Ogni giorno constatiamo che l’albero francescano dà nuovi frutti e questo è il conforto
più grande a chi trae alimento e vita da questo meraviglioso albero. Fra’ Agostino Gemelli O.F.M, , 18 aprile 1920” ! Il 28 ottobre 1920, dopo le due visite, il dr. Giorgio Festa scriveva una dettagliatissima relazione accertando che le stigmate “non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna e neppure sono dovute all’applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti”. Alcuni anni dopo, e precisamente il 15 dicembre 1924, chiese ufficialmente al Sant’Uffizio di poter eseguire un ulteriore e più accurato esame delle stigmate, ma non ottenne l’autorizzazione.
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Il 13 giugno 1921, su disposizione del Sant’Uffizio (26 aprile 1921), fu inviato a San Giovanni Rotondo, come Visitatore Apostolico, il carmelitano Mons. Raffaele Rossi, Vescovo di Volterra. Il giorno 17 successivo Mons. Rossi osservò con attenzione le piaghe di P. Pio e lo interrogò a lungo. P. Pio spiegò che l’acido fenico era stato richiesto per disinfettare le siringhe per le iniezioni ai ragazzi. Comunque rispose a tutte le domande. Alla fine Mons. Rossi si convinse che non c’erano né dolo né impostura, ma che si era veramente dinanzi a un intervento divino. Ebbe “una impressione favorevole”. (Fig. 4)
Figura 4: Piaga del costato disegnata da Mons. Rossi
Nel giugno del 1922 arrivarono le prime restrizioni da parte del Sant’Uffizio: non esibizione delle stigmate, evitare ogni “rumore” e pubblicità. Il Decreto fu inviato alla Curia Generalizia dei PP. Cappuccini con preghiera di pronta applicazione. Come risultato di questa vicenda, il 31 maggio 1923 su “Acta Apostolicae Sedis” uscì il Decreto vero e proprio in cui esplicitamente si pronunciava la condanna. Il Sant’Uffizio dichiarava che “Non constat de supernaturalitate eorumdem factorum” ed esortava i fedeli a non credere e a non andare a San Giovanni Rotondo, Il Decreto venne pubblicato dall’Osservatore Romano, organo di stampa del Vaticano, il 5 luglio 1923 e subito ripreso dai giornali di tutto il mondo. P. Pio era dichiarato ufficialmente imbroglione e impostore!! Il 24 luglio 1924 fu promulgato il Monitum del Sant’Uffizio perché si applicasse la Declaratio del 31 maggio 1923 e si ingiunse al Superiore Generale dei PP. Cappuccini di trasferire P. Pio in un “luogo remoto” (si pensò al convento di Cingoli, in provincia di Ancona). Al ventilato trasferimento da San Giovanni Rotondo, P. Pio così scriveva al Sindaco di San Giovanni Rotondo Morcaldi: “ Se come ella mi ha comunicato, che è stato deciso il mio trasferimento, io
la prego di adoperarsi con ogni mezzo perché si compia la volontà dei superiori che è volontà di Dio ed alla quale io obbedirò ciecamente” (Epist. IV, 734) Nella primavera del 1925 si tentò di dar seguito all’ordine del Sant’Uffizio del trasferimento “coatto” di P. Pio, ma la Prefettura di Foggia si oppose per motivi di ordine pubblico. Nello stesso periodo Don Orione si schierò apertamente a favore di P. Pio. Sempre nel 1925 Civiltà Cattolica, la Rivista dei PP. Gesuiti, criticò la posizione di P. Gemelli secondo la quale solo S. Francesco sarebbe stato stigmatizzato. Nel frattempo P. Gemelli rincarò la dose affermando che P. Pio presentava una “deficienza mentale di grado notevole” (6 aprile 1926). Fra il 1925 e il 1926 su Il Messaggero di Roma uscì una serie di articoli su P. Pio e da Emanuele Brunatto venne pubblicato il libro “Padre Pio”, nel quale difendeva apertamente il frate dalle varie accuse infamanti e nello stesso tempo poneva duramente sotto accusa la corruzione della Chiesa e del clero locale.Il libro fu messo all’Indice dei libri proibiti. Nel mese di giugno 1928 Mons. Farina, Vescovo di Foggia, prese le difese di P. Pio, definendolo “umile, pio e semplice”
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L’inchiesta su P. Pio si chiuse con l’arrivo del quinto e definitivo Decreto di condanna (23 maggio 1931), che faceva seguito agli altri due del 2 marzo 1931 e del 14 maggio 1931: con esso si invitavano i fedeli a non considerare come “soprannaturali” le manifestazioni psichiatriche verificate dal Gemelli, ma i più fervidi sostenitori di P. Pio non considerarono il Decreto di Roma vincolante. A P. Pio comunque venne vietata la celebrazione della S. Messa in pubblico e l’esercizio della confessione. Così, nei fatti, fu costretto a essere confinato e esiliato nella propria stessa casa (cappellina del convento), condizione che accettò e visse certamente con sofferenza, ma anche con tranquillità di spirito, in silenzio, in disparte e senza mai ribellarsi Nel 1932 il dr. Giorgio Festa pubblicava il libro “Tra i misteri della scienza e la luce della fede”, nel quale esponeva una minuziosa analisi delle stigmate e in ciò, dopo averlo sottoposto alla sua attenzione, ebbe l’incoraggiamento da parte del Card. Gasparri. Il 14 luglio 1933 il Sant’Uffizio comunicò la fine delle restrizioni. La decisione, grazie anche all’interessamento da parte del nuovo Arcivescovo di Manfredonia Mons. Andrea Cesarano, venne motivata come un “favore” concesso a P. Pio in occasione dell’Anno Santo. Molti incoraggiamenti arrivavano, nel frattempo, a P. Pio soprattutto da devoti bolognesi: Del Fante, Cuppini, Tonelli, Giovannini e da parte dello stesso scrittore Riccardo Bacchelli. Il 10 agosto 1935 P. Pio celebrava solennemente il 25° del suo sacerdozio, mentre il 7 ottobre 1939 veniva inaugurata la Via Crucis (quella che fiancheggia l’attuale Viale dei Cappuccini). Negli anni ’40 il flusso dei pellegrini a San Giovanni Rotondo si accrebbe sempre di più tanto da arrivare nel 1951 a circa 100.000 all’anno. Papa Pio XII, per la profonda venerazione che nutriva verso P. Pio, lo protesse molto e, insieme a lui, anche molti Cardinali (Siri, Tedeschini, Wojtyla, Lercaro, che il 5 maggio 1966 volle celebrare, presente P. Pio, una S. Messa in occasione del decennale della inaugurazione della Casa Sollievo della Sofferenza ) Risale al 25 giugno 1960 la scoperta delle registrazioni fatte subdolamente ai danni di P. Pio con microfoni posti in confessionale e nella foresteria. Sia il Sant’Uffizio che Papa Giovanni XXIII sapevano della cosa (quest’ultimo probabilmente male informato della situazione, che, del resto, “de visu” mai aveva conosciuta). Il 28 giugno Don Terenzi, l’autore della “bravata”, portava in Sant’Uffizio “ le deposizioni prese da lui, di Elvira Serritelli, contenenti gravissime accuse circa la moralità di Padre Pio”. Il S.U... “decretò sub poena a don Terenzi di consegnare i nastri; di tenere il secreto sulla vicenda e di non recarsi più a San Giovanni Rotondo”. In quei giorni, “anche nello stesso S. Uffizio vi fu molta burrasca in cui entrarono un po' tutti” {CP, XLI, 7489s.). Il 13 luglio 1960 Mons. Carlo Maccari veniva nominato Visitatore Apostolico del convento dei cappuccini di San Giovanni Rotondo e della Casa Sollievo della Sofferenza {CP, XXIV, 280s.), mentre a P. Pio . il 21 luglio fu proibito, “fino a nuovo ordine, di ricevere donne in udienze private, per qualsiasi motivo” {CP, XLV, 9771; XXV, 619; XXVII, 1174).(Fig. 5)
Figura 5
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Il 30 luglio arrivò il Visitatore Apostolico, che. Il 6 agosto lasciò provvisoriamente San Giovanni Rotondo per Roma “per non turbare, con la sua presenza, la celebrazione del 50° di Messa di Padre Pio” {CP, XLI, 7447; Cronistoria, II, 567), che ricorreva quattro giorni dopo (10 agosto), e vi ritornò il 16 agosto.. Durante la sua permanenza il Visitatore Apostolico sottopose P. Pio a un severo interrogatorio, raccomandando ai superiori il massimo controllo e la più attenta vigilanza. Il 17 settembre Mons. Maccari lasciò San Giovanni Rotondo e il 5 novembre successivo scrisse una lettera al Card. Alfredo Ottaviani, con la quale accompagnava la relazione sulla visita compiuta. In conseguenza di ciò il Sant’Uffizio il 31 gennaio 1961 rendeva definitivi i provvedimenti presi dal Visitatore Apostolico, che vennero elencati e notificati al Superiore Generale per la “loro esecuzione e fedele osservanza” {CP, XXIV, 283s.; XXV, 643-645) Nel febbraio dello stesso anno Mons. Paolo Philippe O.P.(domenicano) nella visita fatta in segreto a Padre Pio “ha contestato il medesimo Padre sulle accuse raccolte dal visitatore Mons. Maccari”. Padre Pio rispose “netto” a Mons. Philippe: “tutto questo è una montatura, niente di vero. Come si può credere a questo, quando dico e ripeto che mai ho baciato neppure mamma mia”. Alla insistenza dell'interrogatorio, Padre Pio ripeté::”Questo è falso, falsissimo. È una montatura”{CP, XLI, 7491). Il 19 aprile 1961 il giudizio di padre Philippe fu “ molto severo e terminava la sua relazione, proponendo il trasferimento di Padre Pio da San Giovanni Rotondo”. La Plenaria del Sant’Uffizio“ non accettò la proposta e si limitò a confermare le disposizioni già date dopo la visita di Mons. Maccari”. Il padre Philippe, diventato Arcivescovo e Segretario del S.U. nel 1969, scriveva a proposito di quella visita: “ [...] ritengo adesso troppo severa la mia relazione sulla missione a San Giovanni Rotondo, avendo allora dato troppa fiducia alle denunzie formali e troppo peso al giudizio di Mons. Maccari su Padre Pio” {CP, XLI, 7492). Il 24 aprile Mons. Pietro Parente, Assessore del S. Uffizio, ribadì le disposizioni del 31 gennaio 1961 e ordinò che: “ Padre Pio celebri la Messa in mezz'ora o al massimo in 40 minuti e venga invitato ad ottemperare a questa regola in virtù dell'ubbidienza religiosa e, nel caso di una deprecabile inadempienza, non si escluda l'uso delle pene canoniche” {CP, XXIV, 287s.). Il 25 settembre 1962 P. Pio ricevette la visita del Card. Antonio Barbieri, Arcivescovo di Montevideo, e nell’ottobre successivo di diversi Vescovi partecipanti al Concilio Ecumenico Vaticano II. Il 3 giugno 1963 moriva Papa Giovanni XXIII e al Soglio Pontificio saliva Paolo VI. Il clima attorno a P. Pio cambiò radicalmente. Il Card. Cicognani, Segretario di Stato, scriveva a P. Pio chiedendogli preghiere per il S. Padre (16 luglio 1963) e lo stesso Card. Ottaviani raccomandò di favorire il “più largamente possibile la gente che si recava a visitare P. Pio” (20 luglio 1963). (Fig. 6)) Il 1-2 aprile 1964 il Card. Antonio Bacci fece visita a P. Pio, che, nel frattempo, nel suo testamento, dichiarava la S. Sede “erede universale. di tutti i beni mobiliari e immobiliari di sua proprietà” (11 maggio 1964).
Figura 6
Il 23 settembre 1968, alle ore 2,30 P. Pio moriva con sulle labbra le parole “Gesù…Maria”. Le stigmate erano scomparse da qualche giorno. Al suo funerale, al quale presenziò anche l’eminente fisico Enrico Medi, si registrò l’afflusso di circa 100.000 persone. 9
Il 20 febbraio 1971 Paolo VI definiva P. Pio: “Un rappresentante stampato delle stimmate di Nostro Signore” (Voce di Padre Pio, marzo 1971, p. 3) (Fig. 6) Dopo tante esitazioni e resistenze da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex S.U.) ”Pro nunc obstare” (28 maggio 1976), nonostante la “Positio” avesse presentato una voluminosa duplice documentazione (1975-1979, 1980-1983), finalmente il 20 marzo 1983 con una cerimonia solenne presso il Santuario di Santa Maria delle Grazie. l’Arcivescovo di Manfredonia Mons. Valentino Vailati poté avviare ufficialmente il Processo Canonico Diocesano, che durò fino al 21 gennaio 1990. Il 23 maggio 1987 Giovanni Paolo II si recò a San Giovanni Rotondo per pregare sulla tomba di P. Pio. Il 18 dicembre 1997 P. Pio, dopo il riconoscimento della eroicità delle sue virtù, grazie anche all’infaticabile lavoro profuso dal Vice Postulatore Generale P. Gerardo Di Flumeri (Fig. 7), veniva dichiarato “Venerabile Servo di Dio”, il 2 maggio 1999 Beato e il 16 giugno 2002 Santo!. Due anni dopo, nel 2004, si festeggiava l’inaugurazione del nuovo Santuario, quello progettato e realizzato dall’architetto Renzo Piano. Il calvario, per il momento, era finito per un frate, un sacerdote, un santo e, perché no, anche una vittima! Oggi San Giovanni Rotondo è meta di pellegrinaggio per oltre 7 milioni di persone all’anno.
Figura 7: Padre Gerardo Di Flumeri
Un “bluff”, come sosteneva P. Gemelli, non può durare 50 anni (1918-1968) né sarebbe certamente elegante pensare che milioni di persone che si recano ogni anno a pregare sulla tomba di P. Pio siano tutti degli ingenui sprovveduti, anzi!
3. Il libro di Sergio Luzzatto È proprio vero quello che P. Pio, con la sua intelligente ironia prediceva, che cioè avrebbe fatto più “rumore” da morto che da vivo. L’ultimo è quello provocato dalla pubblicazione da parte dello storico torinese Sergio Luzzatto del libro “Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento “ (Einaudi, Torino 2007, pp.419, € 24.00). 10
L’Autore con indubbia analisi critica, attingendo a documenti, peraltro già noti al Sant’Uffizio, rivisita non solo la vita di P. Pio, ma l’intera storia italiana e pugliese del ‘900 e conclude sostanzialmente affermando che il “fenomeno P. Pio” non sarebbe stato altro che il frutto naturale di una politica religiosa non moderna, fatta di pressioni popolari o di gruppi più o meno interessati a salvare la figura di P. Pio in una visione conservatrice e ancora medioevale della fede e pratica cristiana. A sostegno di questa tesi riporta due documenti risalenti al 1921 (che richiamano fatti del 1919-20) e mai pubblicati, ma ben conosciuti e conservati presso gli archivi della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si tratta di due lettere inviate al Vescovo di Foggia del tempo Mons. Bella rispettivamente dalla farmacista Maria De Vito e dal suo cugino Valentino Vista, anche lui farmacista. Scriveva la ventottenne farmacista De Vito nel marzo 1921: “Io sono stata un'ammiratrice di P. Pio e l'ho conosciuto di presenza la prima volta il 31 luglio 1919. Dopo essere ritornata sono rimasta a San Giovanni Rotondo un mese. Durante il mese in cui ho avuto occasione di avvicinarlo più volte al giorno, ne ho riportata sempre ottima impressione. La vigilia della mia partenza per Foggia, il P. Pio mi chiamò in disparte e con tutta segretezza, imponendo il segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli, mi consegnò personalmente una boccettina vuota, richiedendomi che gliela facessi pervenire a mezzo dello "chauffeur" che presta servizio nell'autocarro per trasporto passeggeri da Foggia a San Giovanni Rotondo con dentro quattro grammi di acido fenico puro, spiegandomi che l'acido serviva per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi. Insieme mi venivano richiesti altri oggetti come pastiglie Valda, nasalina, etc. che io mandai”. A questa richiesta faceva seguito una lettera personale di P. Pio: “Carissima Maria, Gesù ti conforti sempre e ti benedica! Vengo a chiederti un favore. Ho bisogno di aver da duecento a trecento grammi di acido fenico puro per sterilizzare. Ti prego di spedirmela la domenica e farmela mandare dalle sorelle Fiorentino. Perdona il disturbo". La cosa veniva confermata dal cugino dr. Valentino Vista: “Quando ella tornò a Foggia - racconta il dottor Valentino Vista parlando di sua cugina - mi portò i saluti di Padre Pio e mi chiese a nome di lui e in stretto segreto dell'acido fenico puro dicendomi che serviva per Padre Pio, e mi presentò una bottiglietta della capacità di un cento grammi, bottiglietta datale da Padre Pio stesso, sulla quale era appiccicato un bollino col segno del veleno (cioè il teschietto di morte) e la quale bottiglietta io avrei dovuto riempire di acido fenico puro che, come si sa, è un veleno e brucia e caustica enormemente allorquando lo si adopera integralmente. A tale richiesta io pensai che quel acido fenico adoperato così puro potesse servire a Padre Pio per procurarsi o irritarsi quelle piaghette alle mani”. Naturalmente questa è solo la supposizione del titolare di una farmacia di Foggia. Nella cella di Padre Pio fu poi rinvenuto veramente dell'acido fenico (un potente veleno disinfettante estratto dal catrame). Ma le perplessità, fino a quel momento tenute segrete, vennero confermata da un'altra richiesta da parte di P. Pio: quattro grammi di veratrina (alcaloide estratto dal veratro con effetti medicinali contro le malattie del cuore). A scopi terapeutici la posologia consueta per la veratrina è compresa tra uno e cinque milligrammi. Padre Pio, invece, ne richiese, sempre alla devota De Vito, quattro grammi, una richiesta piuttosto insolita. Questi documenti, tramite l’Arcivescovo di Manfredonia Mons. Pasquale Gagliardi (nemico di P. Pio), vennero fatti pervenire al Sant’Uffizio, dal quale poi partì l’invito a P. Gemelli di recarsi a San Giovanni Rotondo per verificare di persona la cosa. Questi sono i fatti definiti “clamorosi” da Sergio Luzzatto. Come interpretarli? Perché P. Pio chiese sia l’acido fenico puro, un potente veleno in grado di procurare gravi ustioni, che la veratrina? La motivazione ufficiale addotta fu quella di sterilizzare le siringhe in uso nel convento per le iniezioni che si ritenevano necessarie ai ragazzi del collegio serafico ivi ospitati. Ma si domandano gli scettici: perché P. Pio non ha richiesto il tutto, tramite il medico curante, alla farmacia del luogo? Qui le risposte possono essere molteplici: - Innanzitutto, per rispondere alla tesi di fondo del libro, c’è da precisare che generalmente non sono gli eventi a determinare la nascita dei personaggi, ma più spesso sono questi ultimi a segnare il cammino della storia, come a dire che non è il pulpito a creare l’oratore ma l’oratore a rendere importante un pulpito. Nel nostro caso non è stata la religiosità popolare a generare il “fenomeno P. Pio”, ma quest’ultimo a smuovere e a “dare un senso” e una svolta alla religiosità popolare. Ci sarebbe da chiedere: perché altrove non è accaduto altrettanto? - Stando sul piano medico, allora non c’era, come oggi, l’assistenza sanitaria nazionale né le medicine erano acquistabili gratuitamente. Un po’ di risparmio per il convento non sarebbe
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stato un male. E poi la farmacia di un paesino di poche anime, come era all’epoca San Giovanni Rotondo, poteva anche non disporre di tali farmaci. Ammesso che i due farmacisti foggiani abbiano riferito l’ “esatta verità”, era comunque vera la circostanza che P. Pio aveva la necessità di disinfettare quotidianamente le stigmate e non è assolutamente proibito usare prodotti del genere né è pensabile che egli li abbia assunti tutti insieme. Non era così sciocco dal farlo né amava procurarsi inutili, fastidiose e, peraltro, temute sofferenze! L’uso scriteriato e continuo dell’acido fenico o della veratrina, essendo sostanze molto pericolose, non poteva esserci senza produrre nel contempo gravi conseguenze per la salute di P. Pio, già di per sé malferma. La richiesta dell’ “eccessiva” quantità lamentata dai due farmacisti era giustificata dal fatto di poter disporre di una sufficiente scorta per il suo fabbisogno sanitario giornaliero, per il cui acquisto è da supporre non volesse minimamente pesare sul già magro bilancio d un piccolo e povero convento dell’epoca oltre che sulla pazienza dei confratelli (da qui la “segretezza”), e poi c’era un collegio abitato da ragazzi (dei quali egli era il padre spirituale) e da frati, soggetti anch’essi a malanni e infezioni varie, per i quali tali farmaci potevano ritornare utili. Dove starebbe allora il problema? In tutte le famiglie si agisce altrettanto così con i medicinali di pronto soccorso, non certamente posti sempre alla portata di tutti, specialmente dei bambini: nessuno si sognerebbe di farne indiscriminatamente un minestrone! P. Pio era delicato, discreto e riservato con se stesso e con gli altri e non desiderava essere di peso o di fastidio a nessuno, anche sul piano economico, e poi non voleva che in giro si sapesse delle stigmate o, peggio, le si vedessero sanguinare, ciò anche per evitare inevitabili disagi a sé e contraccolpi alla quiete della propria comunità. Egli provava “vergogna” per quei “segni” non richiesti e da lui ritenuti addirittura una sorta di punizione divina e che oltretutto gli causavano non poco dolore. Un isterico o un impostore non agisce assolutamente così, perché tende a teatralizzare tutto e conseguentemente a ribellarsi a ogni forma di contrarietà, perché vuole sentirsi al centro di ogni situazione: P. Pio invece era una persona schiva, pacifica, umile, serena e prudente, ma talora anche molto burbera e scontrosa verso i curiosi. Non amava esibire le ferite, considerate come sue cose intime, tutt’altro: perciò, senza le debite autorizzazioni, rifiutò di farlo con P. Gemelli come con chiunque altro, compresi i suoi stessi confratelli. Ne hanno sperimentato qualcosa P. Nazareno d’Arpaise (che da P. Pio, rifacendosi a un brano del libro di Tobia 12.7, si sentì rimproverare:: “Bonum est donum Regis abscondere”) e P. Fortunato da Serracapriola che tentò di vedere forzatamente la piaga del costato, ma venne allontanato bruscamente da P. Pio (1921). Solo durante la celebrazione della S. Messa, per rispetto al momento sacro, egli si toglieva i semiguanti. (Fig. 8 e 9)
Figura 8
Figura 9
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Inoltre era molto contrariato e come infastidito per ogni forma di fanatismo e di feticismo esercitati nei confronti della sua persona e da parte di chiunque: non rare volte, per questo motivo, si lasciò andare a reazioni sgradite anche sul piano verbale. Voleva che al centro venisse posto Cristo e non lui. - Le ferite, pur rigorosamente bendate, isolate e controllate per ben una settimane, secondo le disposizioni del prof. Bignami (v. sopra), non solo non si cicatrizzarono né andarono in suppurazione, ma continuarono a sanguinare lo stesso e più abbondantemente di prima, anche non ricorrendo al presunto uso dell’acido fenico o di quant’altro. - Se il tutto fosse dipeso dall’acido fenico, la faccenda si sarebbe da tempo già chiusa e invece…durò per ben 50 anni, senza che P. Pio morisse mai dissanguato o avvelenato! - Il tutto infine va inquadrato e contestualizzato alla luce di vari elementi storici da tenere sempre ben presenti nella loro globalità: il racconto diretto e minuzioso fatto da P. Pio a P. Benedetto, l’assoluta rettitudine umana e onestà mentale e morale riconosciute a P. Pio, le varie relazioni mediche, e non, che furono redatte in seguito (Romanelli, Bignami, Festa, Mons. Rossi), il sostegno convinto offerto da parte di tre Papi (Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo II) oltre che di numerosissimi Vescovi e Cardinali, il rispetto tributatogli da illustri uomini di scienza (Pietro Valdoni, Enrico Medi, Pontoni, Gasparrini…), la venerazione da parte di milioni di persone di ogni ceto sociale e culturale . L’insieme di ciò deve pur significare qualcosa e comunque volge a favore della “realtà” oggettiva, e non procurata artificialmente, delle stigmate. Il castello, dunque, costruito dal Luzzatto non regge e qui crolla e con esso anche la tesi che voleva P. Pio fosse un mistificatore
4. Possibili ipotesi Le ipotesi che si possono avanzare sul fenomeno “stigmate” sono sostanzialmente riconducibili agli studi fatti da Bob Rickard, dal dr. Ted Harrison (uno dei massimi esperti al mondo in materia) e dal dr. Marco Margnelli (neurofisiologo). Le elenco brevemente: A. Un prodotto dell'uomo Il fattore fondamentale che deve esser tenuto presente è come le persone siano nella “possibilità” di ricevere questi segni. La comunità scientifica internazionale oggi ritiene che non sia più necessario chiamare in causa un'origine paranormale, o dovuta a Dio stesso, per tali manifestazioni, ma probabilmente si debba vedere nei soggetti stigmatizzati delle risposte a Dio, e delle risposte all'idea che questi hanno della sofferenza e delle ferite subite da Gesù in croce. Si tratta comunque di un fenomeno profondamente religioso che tocca intimamente l’interiorità di molte persone. Non è possibile parlare di frode, poiché la maggior parte delle volte questi segni appaiono in maniera inspiegabile. L'unico effetto visibile di questa fenomenologia è che incoraggia la fede, intensificandola. Come ci possiamo spiegare, però, il fatto che prima di San Francesco esistessero pochi casi documentati di stigmatizzati, e dopo la sua morte iniziassero in tutta Europa a dilagare tali manifestazioni? La ricerca scientifica nell'ultimo secolo ha tentato di comprendere, in maniera sempre più vasta, che cosa realmente si può nascondere dietro tali segni. Delle oltre quattrocento persone che ricevettero le stigmate, ben 62 vennero canonizzate e di tutte queste il 90% era costituito da donne. Dietro tale cifra si può celare un significato? Il motivo per cui la stragrande maggioranza dei soggetti stigmatizzati appartiene al sesso femminile potrebbe risiedere nel fatto che esso è forse maggiormente soggetto a manifestazioni neuropsichiatriche di tipo isterico-ideoplastico, rispetto a quello maschile. Ovviamente, però, la cosa non è semplicisticamente generalizzabile, 13
perché comunque andrebbe sempre dimostrata caso per caso. Né sembra plausibile l’ipotesi dell’intervento da parte di intelligenze “aliene”: quand’anche esistessero, cosa tutta da provare, a che pro la natura e il significato di tali “segni” particolari? Non se ne vede proprio la ragione! E poi P. Io parla di “messaggero celeste crocifisso”. Né si può pensare a un’azione di origine diabolica, magari per confondere le coscienze: se i frutti sono stati la santità e il bene del prossimo, paradossalmente ben vengano più spesso tali eventi! Ma siamo fuori da ogni forma di logica realistica e teologicamente è insostenibile! B. Spiegazioni cliniche
1. Dermografia Un fenomeno medico conosciuto e documentato, diverso dalle stigmate ma assimilabile alle stesse, è la dermografia. A differenza delle stigmate, che durano mesi o anni, se non l'intero arco di una vita, la dermografia persiste solamente per pochi minuti o poche ore dopo cui si è manifestata o è stata prodotta. Sono stati condotti numerosi studi al fine di appurare la natura del fenomeno: gli sperimentatori scrivevano o disegnavano con un dito o un bastoncello sulla pelle di un soggetto posto in trance, e dopo pochi istanti quella parola (o quel disegno) apparivano sulla cute del soggetto (probabilmente per una dilatazione dei vasi sanguigni causata dalla suggestione ipnotica). Il dottor Lébeault condusse alcuni esperimenti veramente interessanti nel settore dermografico. Dopo aver toccato con un ferro freddo la pelle di alcuni soggetti posti in trance ipnotica, e dicendo loro che si trattava di un ferro rovente, era possibile entro un poco lasso di tempo notare il formarsi nei medesimi punti delle vesciche da ustioni.
2. Ematoidrosi Esistono diverse fenomenologie mediche che potrebbero aiutare a capire maggiormente il fenomeno della stigmatizzazione. Nel caso di Cloretta Robertson, per esempio, solo poche persone ritengono che si sia trattato di una vera manifestazione stigmatica; è invece oggi opinione comune che la bambina abbia vissuto una patologia definita sudorazione ematica o ematoidrosi. È stato appurato come un forte stress emozionale possa determinare un'importante vasodilatazione associata ad un considerevole incremento della permeabilità dei capillari. Queste due situazioni promuovono un'extravasazione del sangue nelle ghiandole sudoripare che in questo modo secernono sudore misto a sangue, fatto questo che può facilmente trarre in inganno anche l'occhio esperto di un medico che, in questo modo, può interpretare erroneamente questo fenomeno come un'effettiva e copiosa emorragia. Un
esempio di ematoidrosi lo si ritrova nel Nuovo Testamento, quando si parla della sudorazione di sangue di Gesù nel Gethsemani. 3. Ideoplastia
In campo parapsicologico, nell'ambito degli studi condotti fino ad oggi esiste una fenomenologia che i ricercatori, fin dalla metà del XTX secolo, hanno sempre associato alla manifestazione delle stigmate l'ideoplastia. Con tale termine si tende a identificare il potere che la mente avrebbe di agire sul corpo. Questo neologismo venne coniato da Durand du Groy nel 1860 per indicare l'impressione di una idea su di un soggetto suggestionato. Nel 1884 il professor Julien Ochorowicz estese il concetto definendolo come l'azione fisiologica di una idea, esaltata dai processi di suggestione o autosuggestione, sull'organismo umano.
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4. L'incognita tra la mente e il corpo
La mente può agire sul corpo: come però? Nel corso dei secoli l'uomo ha sempre creduto che la propria mente potesse essere utilizzata come uno strumento estremamente potente: ne sono una dimostrazione alcuni culti o alcune sette religiose che fondano alcuni loro principi proprio su questi presupposti. Attualmente la scienza è concorde nel ritenere che le potenzialità, e non i poteri, della mente siano estremamente vasti ed importanti. Soprattutto, grazie a studi di tipo psicologico e psichiatrico, sono stati indagati nuovi ambiti della mente. Oggi si possono riprodurre in alcuni casi fenomenologie simili a quelle delle stigmate in soggetti sottoposti ad esperimenti di laboratorio. 5. Vescicolazione ipnotica
Tra queste è interessante evidenziare un fenomeno poco conosciuto, ma ampiamente studiato dal XIX secolo, la vescicolazione ipnotica. Con tale termine oggi si tende a designare tutta una serie di fenomeni che i ricercatori sono in grado di far comparire sulla pelle dei soggetti sottoposti ad esperimenti, estremamente simili ai segni presenti negli stigmatizzati. La vescicolazione ipnotica avviene attraverso una semplice induzione ipnotica in seguito alla quale lo sperimentatore utilizza un qualsiasi oggetto, a temperatura ambiente, sottoponendolo a zone differenti della cute di un soggetto, facendogli credere che questo sia incandescente. I risultati di tali esperimenti sono estremamente interessanti. Nel giro di pochi minuti, fino a qualche ora, i soggetti sottoposti a tale procedura riportano ustioni più o meno gravi proprio nel (o nei punti) specifici scelti dal ricercatore. Questi esperimenti suscitarono forti discussioni ed accesi dibattiti accademici quando dalla metà dell' ‘800 si iniziò a pubblicare i primi risultati. Grazie agli studi condotti nella fenomenologia delle stigmate oggi non si può escludere aprioristicamente l'apporto di meccanismi inconsci o psicodinamici che possono essere attivati da forme di isterismo o di ipnosi autoindotta. Tali spiegazioni sembrano non essere per ora in grado di spiegare nella loro totalità la complessità del fenomeno. Usualmente si distinguono diversi tipi di trance: ipnotica: mistica, medianica, psichedelica. Se durante la trance l'attenzione della persona persiste per un tempo sufficiente in un monoideismo (ovvero se l'attenzione, durante la trance, si focalizza per un certo periodo di tempo solamente su di una idea cardine.), allora è altamente probabile la manifestazione di forme ideoplastiche. In tale caso la mente attua un procedimento fisiologico, per ora sconosciuto o appena ipotizzato, che permetterebbe la trasformazione di una idea, e del suo contenuto, in una forma esteriore, tangibile e visibile. Tale psicosomatizzazione potrebbe condurre alla manifestazione delle stigmate.
6. Psìconeuroimmunologia Oggi la possibilità di un meccanismo di feedback tra mente e corpo viene studiata dalla psiconeuroimmunologia. Queste sono solo alcune delle ipotesi che attualmente potrebbero permettere di comprendere questa strana fenomenologia. La psicologia e la psichiatria psicosomatica hanno realizzato, nel loro iter di ricerche, delle scoperte estremamente interessanti su quelli che potrebbero essere i meccanismi alla base di tali manifestazioni. Oggi sappiamo che non è più improponibile considerare la mente, ed il nostro cervello, come una macchina estremamente potente dalle potenzialità straordinarie. Tali potenzialità si potrebbero esplicare, secondo tali studi, anche attraverso la manifestazione di una fenomenologia a carattere prettamente religioso.
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5. Ipotesi dell’origine soprannaturale Si dice che un buon albero si riconosce dalla natura dei suoi frutti: quelli prodotti da P. Pio, a dir poco, sono stati e sono tuttora sorprendenti: gruppi di preghiera diffusi in tutto il mondo, numerosissime conversioni, iniziative sociali a favore del prossimo (Ospedale San Francesco, Casa Sollievo della Sofferenza, due Asili, un Centro di Addestramento Professionale, ecc.). È anche vero che qualcuno ha usato la sua persona e la sua presenza per altri scopi meno nobili (caso Giuffré…), ma P. Pio è stato sempre completamente estraneo a queste operazioni umane poco chiare, anzi ciò ha costituito per lui una ulteriore fonte di sofferenza (cosa che egli certamente non amava perché non masochista), oltre che a fornire un’arma in più nelle mani dei suoi detrattori. Un uomo profondamente onesto, mite, umile, cauto, obbediente, di preghiera e di sacrificio non poteva che essere l’espressione vivente del soprannaturale e conseguentemente tutto ciò che avveniva in lui, compreso il fenomeno delle stigmate.. Il suo non poteva essere un bluff: avrebbe avuto poca vita nel tempo e certamente prima o poi, per la caduta in qualche inevitabile debolezza o défaillance comportamentale, sarebbe andato incontro inesorabilmente a sicuro smascheramento. E questo non è accaduto, perciò le stigmate sono state vive e presenti per ben 50 anni! È umanamente impossibile che una persona possa aver avuto la forza e la resistenza psicofisica di sostenere una “recita” di tale portata, facendola durare, per giunta, così a lungo! Né si può ipotizzare che si sia procurato artificialmente le ferite: non sarebbe, forse, morto subito per dissanguamento o per setticemia, dal momento che non si è mai sottoposto né a trasfusioni di sangue né a costanti terapie antibiotiche? E poi la cosa poteva prolungarsi così a lungo negli anni, con tutto il carico di lavoro che il suo fisico era costretto a sopportare (confessioni, cibo scarso, raro sonno…)? Se le stigmate fossero state semplici ferite “naturali”, perché allora sono scomparse improvvisamente e da sole qualche giorno prima della sua morte? (Fig. 10 e 11) Non avrebbero dovuto essere ancora visibili nel corpo?
Figura 10: Ultima Messa
Figura 11: Ultima Messa (particolare)
Neanche si può immaginare che il tutto sia stato frutto di autosuggestione. Per quanto la psicosomatica possa far rilevare molte cose, non è arrivata ad affermare ancora tanto, con effetti poi così duraturi, e potenzialmente pericolosi, nel tempo: P. Pio non si è mai sottoposto a ipnosi o a autoipnosi né è stato un soggetto-oggetto di esperimento da laboratorio e poi il tutto è durato decenni senza complicanze per il suo organismo (infarto, infezioni varie…). È vero che era un uomo di preghiera e di raccoglimento, ma queste non sono forme di trance durante la quale può avvenire qualunque fenomeno straordinario, inviandosi magari messaggi autoinducenti, che in ogni caso produrrebbero sempre qualcosa di provvisorio e di breve permanenza nel tempo. Se fosse così, dal momento che milioni di persone pregano costantemente, ci si dovrebbe trovare ogni giorno dinanzi a milioni di gente in trance “segnata” 16
da fatti miracolosi: la cosa non solo non è vera, ma non sembra né plausibile né immaginabile. Del resto P. Pio, pur essendo un grande mistico (ma che non viveva di sola contemplazione), non per questo non aveva i piedi ben piantati nella concretezza del quotidiano, anzi! Per sfatare la presunta onnipotenza dell’autosuggestione amava ripetere, scherzando ironicamente: “Immaginate di concentrarvi intensamente sul fatto di essere dei buoi e vedete allora se vi spuntano le corna!” Per tutta questa serie di osservazioni dettate più che altro dal buon senso e dalla obiettività storica degli eventi e che escludono comunque le ipotesi naturali o volontarie alle quali si accennava nel punto 4, non si capisce la ragione per cui ci si debba ancora ostinare a non voler riconoscere l’origine “ diversa” delle stigmate, cioè quella soprannaturale, come peraltro si è fatto per qualche altro santo (S. Francesco d’Assisi). Se nella loro genesi non sono spiegabili razionalmente sul piano umano, perché non pensare ad “altro”? Purtroppo il “rumore” prodotto e generato da altri ha coperto questa elementare esigenza di verità. Se di P. Pio, dopo tanti rigorosi esami, estenuanti accertamenti e vivisezioni quasi anatomiche di ogni fibra del suo essere, sono state riconosciute la santità di vita, il suo robusto equilibrio psicofisico, la sua onestà intellettuale e la sua realistica saggezza nel gestire la propria esistenza, non si comprende perché tale completa personalità non sia accettata nel suo insieme e “in toto”, compreso quindi anche nei segni esterni della crocifissione, come un dono gratuito da parte del divino: si può o si vuole, forse, porre un limite alla natura di Dio nella sua onnipotenza? La realtà è che Egli si nasconde agli orgogliosi e si rivela nel silenzio e quest’ultimo implica il “saper ascoltare” le vibrazioni del Trascendente, di sé e degli altri. Il linguaggio di Dio non è criptico ma lineare e solo intelligenze e occhi trasparenti, com’erano quelli di P. Pio, potevano e possono coglierlo in tutto il suo complesso significato. Eliminata “ a priori” questa possibilità, la conseguenza è quella di arrampicarsi sugli specchi pur di negarne causa e effetti. Questa, però, non è una posizione scientifica seria, ma un chiuso preconcetto che elude e rimuove domande e risposte. Ovviamente restano da capire,, per quanto è possibile, le modalità utilizzate dal divino per imprimere tali “segni” sul corpo di P. Pio: transverberazione, impregnazione diretta misteriosa da parte di Dio con produzione di radiazioni luminose ad alta temperatura come tanti fasci laser…? Qui nessuno può dirlo con certezza. Più che la fede religiosa qui gioca la coscienza della ristretta finitezza della conoscenza umana (e delle sue fonti, i sensi), che implica non tutto sia intelligibile con le sole anguste leggi della fisica, della medicina o della psicologia. Il mistero attorno e dentro di noi esiste (il “reale velato”, secondo la fisica quantistica) e rimane anche grande, quindi nulla di strano che possano accadere fenomeni dei quali non si riesce a capire l’ intima essenza: non per questo, però, essi non esistono o siano impossibili a verificarsi. Del resto chi può affermare di conoscere bene se stesso? Anche P. Pio diceva: “Sono un mistero a me stesso”. Il mistero è una continua sfida rivolta all’intelligenza umana e serve anche a ricordarle i suoi non pochi limiti. È ponendosi, dunque, in questa prospettiva aperta e più ampia che si può restituire a P. Pio quel giudizio di giustizia che alcuni trovano, o credono di trovare, tutti gli appigli per rifiutarglielo. Ma tant’è: il vissuto storico resta in tutta la sua integra genuinità. Alla verità bisognerebbe accostarsi sempre con libera disponibilità, rispetto e umiltà e saper accettare di essa qualunque frammento venga proposto, perché di questo si tratta: se le ipotesi “naturali” o scientifiche non reggono o spiegano poco o niente, allora la risposta, se non interviene il freno interessato del pregiudizio, è da cercare “altrove”, su un piano diverso cioè di conoscenza. In questo P. Pio, come l’evangelico “segno di contraddizione” ma nella sua persona (corpo-anima) anche della sofferenza del mondo, con la straordinarietà della sua esperienza terrena interpella le coscienze ponendo interrogativi e comunque ha sparigliato e spariglia tanti giochi di molte certezze umane fatte passare per assolute: perciò continua e continuerà ancora a far “rumore” nella storia. Diceva Pascal: “Solo per chi non vuol vedere c'è tanta oscurità, ma per chi vuol vedere c'è abbastanza luce!”
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Conclusione Concludo questo breve studio con due pensieri: il primo è tratto dalla Lettera scritta dal Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini P. John Corriveau in occasione del Decreto “Super miracela” di P. Pio (21 dicembre 1998) e il secondo da P. Pio stesso. Scriveva P. Corriveau: “La circostanza richiama alla mente la personalità di P. Pio, senza dubbio una delle più discusse nell’ambito cattolico di questo secolo sia in vita che dopo la morte. Quanta sofferenza in questo confratello e attorno a lui; quanta incomprensione, quante umiliazioni! Ma anche quanta fede, quanto silenzio, quanta obbedienza, quanta umiltà, quanta preghiera in lui!” E P. Pio: “Come farò a portare l’infinito nel mio piccolo cuore? Come farò a restringerlo nell’angusta cella dell’anima mia?” . A questi pensieri non c’è da aggiungere più altro!
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Conferenza a cura de “Il Laboratorio” (www.laboratorio.too.it) tenuta a Bologna l’1 marzo 2008 presso l’associazione culturale L’Esagono via montenero 17/a Bologna.
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