Bolletino As.Pei 2/2014

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Aprile-Dicembre 2014 n. 2-4 TRIMESTRALE

SOMMARIO 1. Il mobbing: approcci scientifico-disciplinari per una conoscenza approfondita dei diversi aspetti problematici di un fenomeno complesso 2. Vita delle Sezioni

IL MOBBING: APPROCCI SCIENTIFICO-DISCIPLINARI PER UNA CONOSCENZA APPROFONDITA DEI DIVERSI ASPETTI PROBLEMATICI DI UN FENOMENO COMPLESSO Emilio Lastrucci

Il mobbing rappresenta, com’è noto, un fenomeno venuto alla ribalta solo alquanto di recente, ossia a partire dal finire degli anni Novanta. Dal momento in cui si è iniziato ad acquisirne coscienza e a concentrare l’attenzione su di esso, tuttavia, la consapevolezza della sua portata ed estensione e della rilevanza degli effetti che la presenza di situazioni di mobbing determina sui singoli soggetti che ne sono vittime e sulle dinamiche relazionali ed organizzative interne agli ambienti di lavoro è venuta crescendo ed intensificandosi molto rapidamente, generando l’esigenza sempre più avvertita in forma diffusa di approfondirne la conoscenza mediante approcci e strumenti di comprovato valore scientifico, nonché quella di pianificare ed attuare misure ed interventi atti a rilevarlo, prevenirlo e risolverlo in forma sistematica. L’analisi approfondita di un ampio repertorio di casi di mobbing ha posto in evidenza, in misura crescente, come questo costituisca un fenomeno estremamente complesso e dai contorni non facilmente delineabili. Fin dai primi studi sistematici sul mobbing è emerso, infatti, in forma sempre più chiara, che esso può essere precisamente identificato come tale solo allorché ricorrano specifiche e ben definite condizioni ed occorra quindi distinguere fra situazioni di mobbing, per dir così, “conclamato” e situazioni più generiche di abuso da parte di chi esercita funzioni direttive su suoi sottoposti o di datori di lavoro su lavoratori dipendenti. La consapevolezza della complessità del fenomeno ha posto in luce come il mobbing vada affrontato da molteplici angolature e pertanto come una conoscenza ben fondata di esso 1


risulti possibile esclusivamente attraverso una investigazione che chiama in causa modelli di analisi, impianti concettuali e strumenti di indagine di natura eterogenea, vale a dire mediante un approccio di carattere multi- ed inter-disciplinare. Sul piano tecnico-scientifico, infatti, il mobbing è stato fino ad oggi studiato, prevalentemente, sotto il profilo giuridico-legale, sotto quello psichiatrico/psico-patologico e – allo stato presente in misura più limitata – sotto quello psico-sociale, ossia nell’ambito di discipline come la psicologia, la sociologia e le scienze dell’educazione. Sul piano dei provvedimenti volti ad arginare il fenomeno del mobbing, in molti Paesi europei, a partire dalla metà degli anni Novanta, sono state elaborate normative ed adottate misure di carattere specifico. In Italia, la legislazione in merito ha avuto un’evoluzione piuttosto rapida, in particolare attraverso i contratti collettivi nazionali delle varie categorie di dipendenti della Pubblica Amministrazione, i quali istituiscono commissioni paritetiche per il monitoraggio e la prevenzione del fenomeno (tali aspetti legislativo-normativi sono approfonditi nel contributo di Rocco Infantino). Sono sorte numerose associazioni con finalità precipue ed in particolare sono stati istituiti, presso varie istituzioni scientifiche o organizzazioni sindacali osservatori nazionali sul fenomeno del mobbing. Nella letteratura scientifica più accreditata il mobbing (dall’inglese to mob = aggredire) viene generalmente definito come un atto o, più generalmente, una sequenza di atti di violenza psicologica, in massima parte di natura consapevole e intenzionale, perpetrati, sovente in modo ripetuto o addirittura sistematico, in un ambiente di lavoro nei confronti di un dipendente da parte di uno o più colleghi, o, più spesso, superiori. Tali comportamenti sono finalizzati a condizionare negativamente l’attività lavorativa e i risultati prodotti dal soggetto “mobbizzato” (così identificato con un termine gergale ormai ampiamente diffusosi), a destabilizzare il suo ruolo nell’assetto organizzativo e a metterlo in cattiva luce all’interno del contesto organizzativo medesimo, fino a determinare la sua emarginazione, producendo di conseguenza effetti deteriori più o meno gravi sul suo equilibrio psichico oltre che sulla sua produttività e generando una condizione di demotivazione, di perdita dell’autostima e talora di grave disagio esistenziale o addirittura di vera e propria disperazione, che può condurre persino a conseguenze estreme come il suicidio. In molti casi il mobbing (così come il bossing, che definiremo fra breve) si manifesta nella forma di una vera e propria persecuzione attuata in forma deliberata e organizzata in associazione da parte di più soggetti “mobbizzatori”, attraverso l’assegnazione al “mobbizzato” di compiti dequalificanti, la diffusione di maldicenze, il “terrorismo psicologico” (sottoforma di minacce, ricatti ecc.), il sabotaggio di compiti e funzioni, l’ostruzionismo di ogni opportunità utile al pieno esercizio e al perfezionamento delle sue competenze e alla crescita della sua professionalità. Secondo la definizione utilizzata nei documenti ufficiali dell’Osservatorio Nazionale sul Mobbing istituito presso l’Università “La Sapienza”, i comportamenti “mobbizzanti” hanno sempre quale fine “l’emarginazione del dipendente, in termini di frantumazione delle sue sicurezze lavorative, psicologiche ed esistenziali” e rappresentano il risultato dell’intenzione “di escluderlo dal suo ruolo di lavoro e di destabilizzarlo nelle sue difese esistenziali e psicosociali, onde metterlo in conflitto con se stesso e con la microsocietà in cui si muove e dentro la quale espleta le sue scelte ed i suoi interessi sociali e culturali”. Nella letteratura più recente si tende generalmente a delimitare l’identificazione di fenomeni di mobbing ai contesti organizzativi di natura pubblica, mentre si utilizza il termine bossing per denotare i fenomeni di violenza psicologica, di grave abuso sulla persona e di emarginazione-esclusione attuati da un datore di lavoro nei confronti di un dipendente in contesti lavorativi 2


privati. Si tende, inoltre, a distinguere tra mobbing orizzontale, attuato fra dipendenti operanti nelle medesime strutture di base, mobbing verticale, attuato tra livelli diversi della struttura piramidale della gestione aziendale, dall’alto verso il basso, e mobbing trasversale, consistente nell’intervento vessatorio e violentemente aggressivo su entrambi i livelli della struttura organizzativa e concernente in genere le situazioni di maggiore gravità. Tra le prime ricerche di carattere organico sul mobbing figurano quelle realizzate in alcuni Paesi dell’Europa settentrionale e centrale (dove il fenomeno del mobbing è divenuto più precocemente oggetto di interesse) da H. Leymann. Questi stabilì per primo che il mobbing può essere considerato come una particolare forma di malattia professionale, a carattere altamente invalidante sul piano psicologico (Leymann, 1990, 1996a, 1996b). Una rilevazione eseguita su un grande campione in Svezia ha mostrato che una quota compresa tra il 10 e il 20% del totale dei suicidi in un anno ha avuto come causa scatenante situazioni riconducibili al fenomeno del mobbing. Ulteriori indagini, condotte sempre in Svezia e in Germania, hanno evidenziato la presenza di centinaia di migliaia di vittime di mobbing, le quali, nella maggioranza dei casi, sono state spinte al pre-pensionamento o addirittura costrette al ricovero in cliniche psichiatriche per gravi disturbi mentali, in particolare per depressione con manifestazioni deliranti. Secondo quanto riportato in un documento ufficiale diffuso dal già citato osservatorio nazionale, “a una prima sommaria indagine si è visto che anche in Italia il fenomeno mobbing sta assumendo proporzioni inquietanti e che oltre un milione di lavoratori sono soggetti direttamente alla “malattia” di mobbing, mentre almeno cinque milioni di persone sono in qualche modo coinvolte nel fenomeno, come spettatori o amici e famigliari delle vittime”. Attraverso alcune rilevazioni “sul campo”, condotte in vari comparti della Pubblica Amministrazione e in aziende ed enti privati, è emerso che «su 100 intervistati [tra coloro che avevano denunciato di essere vittime di situazioni di mobbing] … circa il 40% aveva avuto almeno un approccio terapeutico in psichiatria per disturbi somatomorfici, ansia, depressione, attacchi di panico ed insonnia; pochi invece i casi maniacali, con qualche incidenza di disturbo ossessivo-compulsivo”. Si è inoltre constatato che “i soggetti mobbizzati erano per almeno il 70% dipendenti da strutture pubbliche come i ministeri, le grandi aziende di stato, le banche, gli uffici istituzionali, gli ospedali, le cliniche e la scuola in genere. Ci è parso di capire che in tali posti di lavoro vige una condizione di disagio psicologico per la difficoltà di sentirsi integrati in un progetto di partecipazione globale e pertanto è la parcellizzazione dei ruoli che mal si rapporta con l’affettività dell’ambiente» (per una panoramica delle indagini condotte in Italia, cfr., in part. EGE, 1997, 1999, 2005; Gilioli, 2000). Sulla base delle indagini sinora svolte l’Osservatorio Nazionale de “la Sapienza” ha anche tracciato un profilo del soggetto esposto al rischio di mobbing: «personaggio comune, privo di forti riferimenti parentali, decisamente integrato nel livello medio della vita dove le regole di una convivenza astrattamente istituzionale si esprime più nella indifferenza relazionale che nell’entusiasmo di una partecipazione ai progetti sociali e culturali. La nuova figura del lavoratore si caratterizza più per il rapporto che ha col suo bisogno di salario, che gli consente di avvertire un senso di integrazione nella società dei consumi, non essendoci valori rappresentativi e significativi per l’essere, che per la volontà di incidere nel processo di trasformazione della realtà. Non ha certezze o rivendicazioni al di fuori delle esigenze materiali di base imposte dall’appartenenza alla storia del suo momento di cui si sente partecipe, ma solo in quanto interno ad un processo consumistico comune. Non ha valori se non quelli inerenti alla sua insicurezza ontologica che lo espone al rischio della solitudine. È indubbiamente l’uomo 3


del momento: parziale, nevrotico, deluso, ma senza rivendicazioni ideali, fatalista e attendista, privo di iniziativa se non quella di procurarsi i mezzi della sopravvivenza, cosciente che ormai tutto è precario. In buona parte il suo malessere o la sua predisposizione al disagio sono strutturali e pertanto accettati come condizione dell’esistenza» (cfr. http://w3.uniroma1.it/ mobbing [20/02/2014]). Questo profilo appare senza dubbio efficace nel descrivere una tipologia di soggetti caratterizzati essenzialmente da insicurezza e fragilità psico-emotiva, che costituiscono indiscutibilmente tratti che rendono il soggetto particolarmente esposto a situazioni di mobbing. Quest’ultimo, nondimeno, viene sovente esercitato, soprattutto nelle forme più sistematiche ed organizzate, su soggetti che, invece, esibiscono palesemente qualità professionali e personali e quindi potenzialità di successo e di avanzamento nei ruoli organizzativi, così da favorire la coalizione di altri membri dell’organizzazione allo scopo di ostacolare in modo sistematico la realizzazione dei suoi obiettivi e l’ottenimento di riconoscimenti e gratificazioni all’interno dell’organizzazione medesima. L’Osservatorio, infine, ha proposto una definizione che, sulla base di precisi criteri, sia utile ad individuare i casi di mobbing “conclamato” per i quali si rende necessario un intervento mirato. “Per potere definire nella fattispecie il mobbing, si devono verificare, per un periodo continuativo di almeno sei mesi ed in forma vessatoria e lesiva della dignità personale, alcune condizioni ostacolanti la libertà di opinione, con grave turbativa dell’immagine, della riservatezza e della libertà del soggetto di esprimersi in materia di lavoro e di diritti materiali e morali”. Negli ultimi anni si sono altresì venuti formando gruppi di esperti che hanno assunto il compito di delineare criteri atti a meglio definire e delimitare processi e dinamiche che entrano in gioco nelle più tipiche situazioni di mobbing. In particolare, anche attraverso convegni, seminari e incontri di studio come quello da noi organizzato presso l’Università della Basilicata, gli specialisti e gli operatori sono attualmente concentrati sull’esigenza di mettere a fuoco i contenuti legittimi dell’esercizio del potere gerarchico e direttivo aziendale, al fine di tutelare il lavoratore ed arginare i danni che da questi possono derivare all’identità psicofisica del lavoratore; le modalità attraverso le quali, mediante maldicenze e condizionamenti diretti e indiretti, si concorre a determinare crisi di identità professionale e personale, con effetti destabilizzanti sui quadri relazionali individuali, sui rapporti familiari e sul più generale processo di integrazione sociale; gli effetti delle “manovre aziendali” di riorganizzazione e razionalizzazione, tendenti talora a determinare condizioni di dequalificazione professionale; l’uso strumentale e talvolta abusivo dei richiami (talora anche di natura ingiuriosa ed offensiva), delle sanzioni disciplinari e in casi estremi del licenziamento o della dimissione forzata; le forme di comportamento arrogante da parte di dirigenti o datori di lavoro, includenti in taluni casi anche la molestia sessuale sul luogo di lavoro; le competenze ed i requisiti richiesti alle figure manageriali, ed in particolare al top-management, che contribuiscono a determinare la capacità di creare nel contesto organizzativo un clima di serenità e collaboratività e di prevenire e sanare le dinamiche generanti conflittualità e forme negative di competitività. La ricerca condotta a livello psico-patologico, attraverso l’analisi della casistica relativa alle diverse tipologie di condizione patologica indotta dalle vessazioni attuate in situazioni di mobbing, attraverso la pratica clinica psico-terapeutica, ha condotto gradualmente ad isolare i tratti costitutivi della patologia da mobbing. Una crescente condizione di frustrazione ed il disadattamento sociale e familiare rappresentano i due tratti essenziali e più caratteristici della sintomatologia conseguente al mobbing, che si manifestano nella fase più precoce ed anche nei 4


casi di minore gravità. Con l’aggravarsi della condizione patologica si manifestano poi sintomi di natura depressiva, talora di carattere border-line, nonché sintomatologie riconducibili a stati psico-patologici ben identificati nella letteratura psichiatrica come i disturbi d’ansia, tra cui, in special modo, il disturbo post-traumatico da stress e gli attacchi di panico. Come fu posto in evidenza già da Leymann, tali disturbi, di carattere più o meno specifico, producono con il tempo il degrado delle strutture psico-affettive del soggetto, causando perdita progressiva dell’autostima, auto-percezione di totale inadeguatezza e senso di annullamento, che rappresentano le condizioni-chiave determinanti la predisposizione al suicidio. Da alcuni studi è stato posto in risalto, inoltre, come i disturbi del comportamento e della coscienza provocati sul piano eziologico dalla situazione di mobbing si trasferiscano inevitabilmente, con il tempo, nel contesto familiare, inducendo squilibri spesso devastanti negli assetti affettivi, nella vita sessuale, nelle dinamiche e nei ruoli interni a quest’ultima. Il quadro offerto dalla rassegna essenziale che ho qui presentato pone chiaramente in risalto la complessità e la portata del fenomeno del mobbing e l’impatto che esso produce, in misura sempre crescente, in ambienti di lavoro interni a strutture organizzative complesse, nonché l’esigenza che ne deriva di promuovere iniziative atte a diffondere tra tutti gli operatori un’informazione puntuale, rigorosa e continuamente aggiornata in merito a tale fenomeno, attraverso incursioni nella varietà di dimensioni e aspetti nei quali il fenomeno stesso si manifesta e mediante l’approfondimento degli sviluppi della ricerca e delle prassi virtuose nei diversi ambiti disciplinari connessi. In tale prospettiva, l’approccio multidisciplinare necessario ad approfondire i diversi, complessi ed articolati aspetti del fenomeno dovrebbe garantire tanto il chiarimento, tramite indagini di rigoroso impianto scientifico, delle dinamiche psico-sociali sottese quanto ricadute importanti sul piano dell’informazione e divulgazione più corrette e fondate possibile, nonché delle politiche a livello di government e di governance da attuare ai fini della prevenzione. Queste indagini, peraltro, richiedono di essere costantemente aggiornate, sull’intero ventaglio di temi e questioni di rilevanza cruciale per la comprensione approfondita del fenomeno del mobbing. Un quadro minimamente esaustivo, a tal fine, implica infatti, per lo meno, la conoscenza delle coordinate generali di carattere legislativo, dottrinario e giurisprudenziale che concorrono ad offrire un inquadramento giuridico generale del fenomeno del mobbing e le diverse interpretazioni rinvenibili nella dottrina, quella del mobbing in quanto abuso di diritto e delle responsabilità civili e penali che ne derivano, quella delle questioni portanti legate ai provvedimenti tesi a prevenire e gestire il fenomeno del mobbing attraverso l’autoregolamentazione istituzionale e la contrattazione collettiva, e infine quella delle questioni inerenti la dimensione psico-sociale nella quale si inquadra il fenomeno del mobbing, con particolare riferimento alle variabili legate al clima organizzativo e al ruolo del management.

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VITA DELLE SEZIONI (Formazione all’) orientamento: riflessioni Giuseppina D’Auria

Tra soggetti con caratteristiche diverse e in varie fasi della vita, l’orientamento sta assumendo tanta rilevanza per l’aumento e la diffusione che stanno avendo i momenti di passaggio e di transizione tra formazione e lavoro; l’alternanza tra lavoro/ non lavoro, tra lavoro dipendente/lavoro autonomo e la necessità e/o opportunità di cambiare settore economico e livello professionale. Rispetto alle attività o servizi che un centro svolge, l’orientamento si può configurare come: – servizio autonomo rivolto a raggruppamenti omogenei, a singoli soggetti, o a raggruppamenti diversificati; – modulo autonomo rispetto alla formazione professionalizzante; – modulo trasversale al percorso formativo (iniziale, in itinere, finale); – modulo propedeutico ad un percorso mirato alla creazione d’impresa. L’attività di orientamento è fondamentalmente una azione a sostegno di una scelta consapevole ed autonoma rispetto ad un personale percorso di formazione/lavoro. La consapevolezza è intesa come conoscenza delle condizioni soggettive (conoscenza di sé, dei propri interessi, curiosità, disponibilità, abilità e competenze); delle condizioni oggettive (mercato del lavoro, mappa delle opportunità formative e di lavoro di un determinato territorio e/o una determinata area professionale). Sarebbe opportuno collocare al centro del processo di orientamento i soggetti; le relazioni di questi tra loro; le relazioni con la comunità ed i contesti di riferimento. Non esistono per l’attività di orientamento soluzioni precostituite né è possibile trovarne fuori dalla dinamica relazionale tra Soggetti e Comunità. Il percorso si caratterizza come ricerca della congruenza tra le condizioni oggettive e quelle soggettive e quindi alla fattibilità del percorso professionale di ciascuno. Bisognerebbe strutturare un percorso a partire da sé, dalla conoscenza delle proprie potenzialità e di come queste possono essere spese in termini professionali, nel mondo, facendo un’analisi e lettura critica degli ambiti e dei contesti di riferimento.

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