graphic designer
Indice
1. Biografia 2. Milton Glaser, il padre di “I love New York” 3. Logo “I love New York more than ever” 4. Campagne pubblicitarie per il sociale 5. Intervista: Glaser, il colore della rabbia 6. Milton Glasere e i geobrands: 30 anni d’amore per New York 7. Altre opere: 1960 - 2000
pag. 7 pag. 23 pag. 25 pag. 27 pag. 37 pag. 45 pag. 47
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Milton Glaser a cura di Vincenza Carlino
1. Bibliografia
Milton Glaser, nato a New York il 26 giugno 1929, è uno dei più famosi e apprezzati graphic designer contemporanei. Glaser ha compiuto gli studi superiori alla High School of Music and Art di New York tra il 1943 e il 1946, alla Cooper Union Art School tra il 1948 e il 1951, all’Accademia di Belle Arti di Bologna (borsa di studio Fulbright) tra il 1952 e il 1953. Nel periodo bolognese ha avuto l’opportunità di studiare con Giorgio Morandi e di innamorarsi dell’arte e della cultura italiana. Ha conseguito la laurea nel 1959. È stato fondatore a New York, insieme a Seymour Chwast e a Reynold Ruffins del mitico Push Pin Studios, caratterizzato da 9
un’enorme puntina da disegno (push pin) sulla porta d’ingresso, e presidente dello stesso dal 1954 al 1974. Ha dato vita anche al Push Pin Graphic Magazine nel 1957 e ha fondato e diretto dal 1957 al 1977 il progetto del Village Voice. Fondatore di WBMG, una società di progetti grafici per pubblicazioni, Glaser tiene dal 1961 conferenze al Pratt Institute ed è professore e membro del consiglio di amministrazione della Cooper Union di New York. È inoltre, dal 1972, membro del consiglio dei direttori della International Design Conference di Aspen e vicepresidente dell’American Institute of Graphics Arts. Da più di vent’anni dirige un proprio studio composto da numerose persone in una 10
palazzina di quattro piani nella Trentaduesima strada East di New York. Nel 1974 gli è stato affidato l’incarico di disegnare un murale di circa 183 metri sull’edificio del Nuovo Ufficio Federale di Indianapolis. Riguardo agli incarichi di grafica architettonica, sono degni di essere menzionati i programmi di decorazione dei ristoranti e la progettazione del Ponte di Osservazione delle due Torri Gemelle del World Trade Center di New York. Glaser ha progettato inoltre gli interni e la struttura architettonica del Childcraft Store di New York e gli interni del Sesame Place, un parco-giochi pedagogico in Pennsylvania e Texas (1981-1983).
Ha riprogettato la grafica di una delle principali catene di supermercati americani, la Grand Union Company e ha realizzato tra il 1983 e il 1985 il design grafico del Golden Tulip Barbizon Hotel. Numerosissimi sono i lavori di Glaser nel campo della pubblicità affidatigli da grandi aziende di tutto il mondo: per limitarsi all’Italia, gli hanno affidato la realizzazione di manifesti pubblicitari l’Olivetti e la Campari. Per incarico dalla World Health Organization, Glaser ha disegnato nel 1987 il simbolo e i poster internazionali per la lotta contro l’AIDS.
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Ăˆ stato designer scenografico per la Mostra Internazionale della Triennale di Milano svoltasi negli anni 1987 e 1988, designer grafico e presidente del comitato di selezione per lo sviluppo del Rainbow Room per il Rockfeller Center Management Corporation.
Milton Glaser ha esposto il suo lavoro artistico e grafico in ogni parte del mondo; sono da ricordare le esposizioni al Museum of Modern Art di New York (1975), al Centre Georges Pompidou di Parigi (1977), al Lincoln Center Gallery di New York (1981).
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Nel 1989 a Glaser sono state dedicate due mostre importanti in Italia: una personale di manifesti a Vicenza e una mostra dal titolo Giorgio Morandi/Milton Glaser alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna. Nel 1991 è stato incaricato dal Governo italiano di preparare una mostra in occasione del 500° anniversario della morte di Piero della Francesca. La mostra è stata presentata ad Arezzo e successivamente esposta a Milano e a New York.
Sempre in Italia Glaser ha realizzato manifesti nel 1980 per la Biennale di Venezia e nel 2000 per il Carnevale della stessa città. Glaser inoltre è l’inventore del marchio Krizia. 13
Nel 1992 Glaser ha realizzato un lavoro composto da 80 pastelli originali sulla vita di Claude Monet, presentato a Milano dalla galleria Nuages e successivamente in Giappone Sempre in Giappone, nel 1997, il Suntory Museum ha allestito una grande retrospettiva del Push Pin Studios.
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Su Milton Glaser e sul suo lavoro artistico esistono molte pubblicazioni e articoli. Alcune sue opere fanno già parte di collezioni permanenti, tra cui quelle del Museum of Modern Art di New York, dell’Israel Museum di Gerusalemme, dello Smithsonian Institute di Washington e del National Archive di New York.
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Glaser ha rinnovato il progetto grafico di numerose riviste, tra cui Paris Match, Cur, New West, L’Espresso, L’Europeo, Alma,The Washington Post, La Vanguardia, Fortune,The Nation, Jardin des Modes,Village Voice e Esquire.
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2. Milton Glaser, il padre di “I Love New York” Glaser è entrato nell’immaginario collettivo grazie a quello che, forse, è il più noto dei suoi lavori, il logo “I Love New York”, nel quale la parola “love” è sostituita da un cuore, commissionatogli dallo Stato di New York. e studiato nel 1975. La geniale idea di associare graficamente al concetto di amore un cuore è ormai usata da tutti. Vero e proprio esempio di marketing territoriale, ha resistito alla storia e ai tanti cambiamenti diventando l’icona, il simbolo, la sintesi grafica di una città e dei suoi valori.
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3. Logo “I Love New York More Than Ever” Ne esiste una seconda versione studiata dallo stesso Glaser nel 2001 dopo l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre. Il marchio (visibile di seguito) proclama l’orgoglio di appartenere alla città di NY ancora di più di quanto non fosse già prima dell’attacco terroristico e colpì nel segno in qual momento di bisogno di sentirsi parte di una popolo unito. Molti visitatori sul luogo della tragedia decisero di aiutare la città proprio acquistando le magliette su cui campeggiava il cuore ferito di NY facendo sentire così il proprio appoggio morale ed economico. Milton Glaser, dopo tanti progetti grafici ed illustrazioni diventate icone storiche ), dimostra ancora una volta la sua sensibilità progettuale, dove la soluzione semplice e diretta è 27
dettata dalla storia e dalla cultura del popolo newyorkese che in quella “identità” si riconosce. Il marchio infatti mantiene le stesse caratterisctiche dell’originale del ‘76 “sporcato” da una piccola macchia nera sulla parte bassa del cuore che identifica idealmente la parte geografica di NY ove risiedevano le Twin Towers.
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4. Campagne pubblicitarie per il sociale Sono comunque tanti i lavori geniali prodotti da Glaser in questi anni, per cui val davvero la pena visitare il suo sito ufficiale e sfogliare con calma tutta la sua produzione. “We are all africanâ€? ne è un esempio: semplice e geniale.
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In memoria dell’olocausto.
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Glaser ha realizzato numerosi manifesti: il piÚ noto è forse quello del 1967 dedicato al cantante Bob Dylan, in cui echi Art Nouveau testimoniano un’indipendenza e un anticonformismo non comune nel panorama della grafica del dopoguerra. In altri lavori, utilizzando il disegno per accostamenti figurali inconsueti, Glaser ha elaborato uno stile vario e libero che ha forti legami con la cultura artistica Pop.
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Sperimentatore di procedimenti espressivi indediti, Glaser è l’inventore della tecnica dello “split fount”, che consiste nel versare nel calamaio della macchina da stampa inchiostri di diverso colore, per ottenere sfumature imprevedibili. Omaggio alla sua passione per l’arte sono state le due mostre “Giorgio Morandi-Milton Glaser” (1989, Bologna) e “Milton Glaser-Piero della Francesca” (1992, Arezzo) e ad altri artisti.
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5. Intervista: Milton Glaser, il colore della rabbia “Il dissenso politico costituisce una risposta etica positiva, come il logo del bottone da me disegnato recentemente, `Il dissenso protegge la democrazia’. È necessario proprio perché l’istinto del potere istituzionale tende a indirizzarsi nella direzione di una posizione totalitaria. Siamo testimoni di questo per quanto avviene oggi in America. L’autorità sia essa politica, religiosa e accademica cerca sempre di emarginare persone e movimenti considerati devianti e non pertinenti dai loro obiettivi”. È con tono pacato, ma determinato che Milton Glaser (New York, 1929), tra i padri della grafica moderna, inizia l’intervista a il manifesto quasi a riassumere le immagini scioccanti del nuovo libro: The Design of Dissent creato con Mirki Ilic. Una raccolta di riproduzioni di poster, riviste, copertine di libri, bottoni per l’arte politica del dissenso alla guerra, all’ingiustizia.
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Perché per la copertina del libro ha scelto quella grafica con il colore rosso e bianco sbarrato da due bande nere di censura che coprono il titolo “Design of Dissent”? Generalmente le persone diventano reattive dinanzi a immagini forti e parole che contengono un appello a un senso di giustizia. Probabilmente esiste nella scelta di questa copertina un riferimento grafico del periodo del costruttivismo russo. Il significato, senza dubbio, vuole differenziare la produzione grafica americana, e non solo, dell’espressione del dissenso politico e culturale imposto dal governo americano nella sua forma ufficiale. L’obiettivo è quello specifico di provocare una presa di coscienza e rendere accessibile la polemica politica 40
all’opinione pubblica americana. Il libro vuole altresì stabilire una chiara espressione e posizione di dissenso politico alla passività culturale che stiamo vivendo negli Usa.
Quale collegamento vede tra il linguaggio del costruttivismo russo e i tempi odierni cui lei fa riferimento? Il linguaggio espressivo dei costruttivisti russi e le prime forme di comunicazione, pur essendo parte di un tempo passato rappresentano l’espressione di un momento storico molto importante e determinante. Può essere interpretato come una risposta rivoluzionaria oppure come u nuovo modo interpretativo degli eventi storici del mondo. La scelta
del color rosso corrisponde al nostro proposito di esercitare una forza provocatoria e critica di questo governo Bush e della guerra in Iraq.Volevamo avesse la forza di pugno, in opposizione alla passività culturale che pervade la società americana odierna.
A parte persone come lei con quel logo “I love New York more than ever”, perché molti sembrano aver paura di esprimere il proprio dissenso? Intanto ritengo che ci sia sempre più bisogno di forme d’espressione artistica che rendano pubblico e chiaro il dissenso politico. In modo particolare, con questa amministrazione Bush. Manifestazioni di protesta e di dissenso politico nei confronti
di questa America che Bush ci impone ce ne sono molte, ma non trovano visibilità pubblica. L’opposizione a questa guerra e all’invasione dell’Iraq è stata molto forte a livello reattivo dell’opinione pubblica. Il prezzo che il popolo americano sta pagando in termini economici, democratici e culturali è altissimo. Ma non viene ancora percepito. Non siamo ancora giunti al punto limite, quello di una reazione al governo Bush. Il clima di pericolo, paura e terrore propagandato dal governo Bush ha provocato l’inclinazione e tendenza istintiva a non voler esprimere pubblicamente il proprio dissenso. È una tecnica utilizzata e messa costantemente in atto dal governo. Persegue e ottiene il risultato voluto: la gente teme di parlare e tace. Rifiutiamo di essere 41
identificati come guerrafondai e razzisti. Dobbiamo credere nel moto della nostra storia democratica.
Secondo lei ci sono stati cambiamenti dall’11 settembre a oggi nella reazione generale dell’opinione pubblica Usa? I mutamenti sono enormi. L’opinione pubblica comincia a esprimere la propria opposizione alla guerra e il dissenso nei confronti del governo Bush, in maniera più visibile e senza paure. Nessuno crede più né ostenta il fervore della retorica patriottica utilizzata da Bush per deflettere questa società dai veri problemi. È uno strumento disonesto che poteva essere coperto dalla stupidità di chi è 42
ignorante di storia. Il dissenso non può essere represso a lungo da Bush. Siamo arrivati al punto di imprigionare i giornalisti. Sta emergendo chiaramente, che questo governo ha esercitato una oculata e voluta operazione di disinformazione. La conduzione politica dell’America di Bush è stata ancorata a menzogne, seguite da altre menzogne che ci hanno confinati ai margini di un sistema democratico. È sensato affermare che le istituzioni siano in un certo senso corresponsabili della bancarotta culturale e politica del sistema democratico negli Usa? Il congresso americano è così reticente e timoroso di poter esprimere apertamente qualsiasi forma di iniziativa che si opponga
alla guerra e al governo Bush da non rendersi conto di aver avallato l’invasione dell’Iraq e di tutti i valori etici imposti da Bush e il deterioramento culturale in cui siamo precipitati in America. Ma grande responsabilità di questa situazione va attribuita alla stampa che, e qui ci vuole, vigliaccamente, non ha esitato a essere complice e strumento di propaganda dell’amministrazione Bush. Non ha osato sino ad ora, neppure mettere in dubbio, né criticare con una opposizione forte e determinante le linee guida di Bush per informare adeguatamente l’opinione pubblica. L’atteggiamento prevalente è stato quello di compiacenza, di perseguire i propri interessi di sopravvivere a un possibile licenziamento e alla perdita del proprio posto di lavoro.
Soltanto ora, il New York Times, quotidiano autorevole ha dovuto con un “mea culpa” emettere le responsabilità della guerra in Iraq. Il resto dell’informazione, dei media ha continuato a seguire la linea propagandistica di questa amministrazione.
Nonostante il cambiamento di rotta di cui lei parla, l’opinione pubblica continua a mostrare segni di passività. L’informazione televisiva è servita a mettere tutti a dormire e a non far pensare. Fondamentalmente ha creato una realtà illusoria e elusiva, di conseguenza la popolazione ha perso il senso della realtà in cui vive. Non distingue più causa ed effetto. La guerra in Iraq e la 43
partita di baseball fanno parte dello stesso gioco. Si guarda alle immagini della guerra, senza attribuire loro altro significato se non quello di un gioco di “entertainment”. Alla luce di questo le persone che guardano le immagini televisive della guerra, hanno l’I-pod e viaggiano in Internet non pensano che questo possa pesare e influire sulla propria vita personale, sulla quotidianità. La realtà virtuale, è diventata la loro realtà senza gli imperativi della vita esistenziale. Ecco perché tutti sono così passivi, indifferenti a tutto quello che li circonda nel mondo e a quanto avviene nella loro vita quotidiana. Il senso del reale, con l’intervento tecnologico e sofisticato di informazione istantanea, non si sa già cosa sia. In alcune tribù africane non si riesce 44
a separare il mondo onirico dalla propria realtà. Nella nostra tribù non si riesce più a distinguere quello che vediamo sullo schermo televisivo dalla nostra vita reale. Tutto appartiene a questo mondo illusorio fantastico: la guerra, il deficit economico. E questa amministrazione ha tutte le serie intenzioni di continuare a mantenere vive queste fantasie. Un numero sempre maggiore di soldati americani continuerà a morire. La resistenza irachena si intensificherà ancora. L’economia americana va a rotoli. La Cina ha già una programmazione di espansione economica per i prossimi vent’anni. Noi non sappiamo cosa avverrà nei prossimi due anni. Noi stiamo pagando il prezzo di aver combattuto il terrorismo con il terrore, creando uno stato di
insicurezza nazionale, utilizzando la risposta alla paura con la repressione. La scelta ora spetta a noi per invertire questa traiettoria seguita da Bush.
Intervista di Patricia Lombroso – IL MANIFESTO – 15/09/2005
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6. Milton Glaser e i geobrands: 30 anni d’amore per New York Quando nel 1977 l’Agenzia Wells Rich Greene affidò a Milton Glaser la creazione di un marchio per la sua campagna pubblicitaria su New York, non sarebbero stati in molti a scommettere sull’efficacia e soprattutto sulla longevità di quel logo. Oggi abbiamo visto quanto quel segno semplice, dal lettering elementare e piuttosto primitivo per quello che riguarda il linguaggio dell’advertising (in fondo, si tratta di una specie di copy ad - rebus) sia stato capace non solo d’entrare nell’iconografia già ricchissima della città verticale, ma anche in quella del linguaggio grafico e pubblicitario e – soprattutto- in quella della società civile. Eppure nel 1977 quel simbolo rischiava di risultare piuttosto ironico e decisamente 47
overpromise. La metropoli era un incubo al quale sfuggire e nessuno avrebbe immaginato che, nei momenti più tragici, la popolazione si sarebbe stretta intorno ai suoi anonimi e schiaccianti grattacieli e a quel logo che è diventato così l’ennesimo simbolo globale della città più conosciuta al mondo. Così dal logo originale, caposaldo di ogni studio di branding sul destination marketing e slogan mitico e tuttora insuperato dell’advertising turistico (qualcuno fra voi si ricorda per caso di un California: Find Yourself Here o di un Arkansas: The Natural State?), si è arrivati a mille “citazioni”, a numerose parodie e a infinite declinazioni, fino alla più tragica: I Love NY More Than Ever, dopo l’attentato alle Twin Towers. 48
7. Altre opere: 1960 - 2000 A venticinque anni dalla pubblicazione di “Milton Glaser Graphic Design”, ancora oggi al vertice della classifica dei longseller dedicati al design, Milton Glaser guarda al futuro con “Art is Work”, un’indagine sul ruolo della tradizione nella creazione artistica. In questa poderosa retrospettiva, Glaser, uno dei maggiori protagonisti del design internazionale, non solo prende in esame il proprio lavoro e lo scenario contemporaneo, ma ribadisce anche - attraverso un’appassionata arringa contro la banalizzazione talvolta indotta dalla tecnologia e dal commercio - che l’arte e la creazione artistica sono un impegno serio. “Art is Work”, splendidamente illustrato da oltre 500 immagini a colori, è una raccolta esaustiva dell’opera ricca e varia di Milton 49
Glaser realizzata nell’ultimo quarto del XX secolo: giornali, riviste, giocattoli, tessuti, interni di ristoranti e di supermercati, manifesti, copertine di dischi e CD, libri, illustrazioni. Le immagini sono accompagnate da testi esplicativi e illuminanti che forniscono una chiave di lettura privilegiata della sua filosofia artistica e del suo metodo di lavoro. Glaser ricostruisce la storia di innumerevoli progetti: dall’ispirazione iniziale, ai tentativi di trasformare le intuizioni in immagini per arrivare al prodotto finale. In questo percorso, ci rivela i dibattiti intorno a idee scartate e a proposte alternative, le varie tecniche utilizzate, le influenze subite e i suoi temi prediletti e ricorrenti. Soprattutto, in questo affascinante intreccio di immagini e testi, egli, pur proiettato verso 50
le nuove opportunitĂ offerte dalla tecnologia, ci avverte del loro potenziale pericolo e ci induce a ricordare quelli che sono i fondamenti stessi del design.
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