ondadimare - enzo gerbino

Page 1

1


ondadimare enzo gerbino (legoista)

Š enzo gerbino 2014 – ondadimare 3° edizione enzogerbino@hotmail.com photo sulla copertina di enzo gerbino (vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata)

2


capitolo 1 Leggo, scrivo, passeggio e penso. E’ così che trascorro il mio tempo, da quando Marta mi ha lasciato, e sono passati più di dieci anni da allora. Eravamo riusciti a stare insieme per così tanto che non me lo ricordo più e poi, un giorno, dopo mille tempeste, lei prese un aereo col biglietto di sola andata e si trasferì da sua sorella in Sicilia. Adesso, mi telefona ogni fine mese ma non ci vediamo più da tre anni. In verità, stiamo bene così come siamo e, intanto che il tempo passa, ancora meno abbiamo voglia di rivederci. Siamo due vecchi, appesantiti da rancori che non vogliono dimenticare e neppure perdonare. Io mi sono nascosto in una casa mezza isolata in collina, dove la campagna mi rasserena e d’estate non soffro il caldo. Milano è lontana solo un’ora da questo posto ma è un secolo che non ci vado. Prima ci vivevo e adoravo quella città, ma adesso non più. Voglio starmene qui, lontano da tutto il resto e poi… mi piace quest’orizzonte di montagne lontane, mi piace sentire soffiare il vento, mi affascina guardare il volo degli uccelli che migrano e i disegni delle nuvole nel cielo, e mi piace perdere lo sguardo tra i vigneti e i campi. Io, tra questi alberi così grandi… io mi sento al sicuro, come un santo protetto da Dio. L’odore della terra e i suoi rumori mi fanno stare bene e il mio cuore è in equilibrio con l’universo. Ho imparato ad ascoltare le mie emozioni, a sentirmi parte di questa natura e risvegliarmi sereno ogni mattino.

3


Seduto sulla poltrona di vimini, fumo una buona sigaretta, qui sulla mia terrazza, alle sei del pomeriggio di questo settembre già a metà, e lascio i miei pensieri liberi di volare. Prima, quando Marta se ne partì, mi vinceva spesso l’abbandono e non fu raro che mi lasciassi tramortire dal vino o dimenticassi di nutrirmi o lo facevo male e che stranezza… sebbene viverle accanto fosse stato un continuo farsi del male, mi colse impreparato quel distacco e poi la solitudine. Era forse il timore di avere perduto l’idea di una certezza, ciò che mi angosciava, e mai mi balenò che un laccio si era spezzato dopo una vita che mi legava, ma questo lo intuii molto tempo dopo. Il fatto è che di certezze ne avevo ben poche, in quegli ultimi anni. Mi sentivo fragile e imperfetto, senza riuscire a dare un senso alla mia vita e, quello starmene inerte e pigro dentro la mia famiglia, era un riparo dalle mie stesse paure. Quando i nostri ragazzi seguirono altrove le loro vite, e uno dopo l’altro ci lasciò, anche Marta, che finì di amarmi molti anni prima, decise che sarebbe morta lontano da me. Se ci penso, mi scuote ancora il pensiero di quel tempo in cui mi abbandonò il coraggio e scelsi di isolarmi, stanco e sconfitto, in attesa di una qualunque fine e questa casa, che comprai durante uno dei miei girovagare da solo per contrade e campagne, divenne il mio nascondiglio dagli uomini e da Dio. Come potei, per mesi e mesi, odiare ogni sole che sorgeva, io non lo so, ma più nulla mi convinceva che potessi avere a che fare ancora con la vita. Ero stato un egoista, cattivo marito e pessimo padre, assente e infedele… ma, se alcuna avrebbe saputo vivermi accanto non era di certo Marta e, se una donna avrei voluto accanto, non era lei ugualmente. Forse, simile intuizione indugiò in Marta fino a che non ebbe consapevolezza che tutto sarebbe peggiorato della sua vita, continuando a starmi accanto e così, un giorno,

4


avviò le pratiche di divorzio. Non ne fui sorpreso, tuttavia percepii un tremore e la coscienza di un evento irreversibile. Vendemmo l’appartamento di Milano e stabilii affinché l’intero ricavato fosse destinato a Marta. Forse volli comprarle una specie di perdono, un risarcimento materiale e sterile come tutte le cose che avevo saputo darle, poi mi rifugiai tra queste mura e non volli vedere più nessuno. Non ci vuole troppo a superare i confini che separano gli uomini dalle bestie ed io superai quel limite in capo a pochi mesi. A volte, me ne stavo chiuso in casa senza uscirne anche per un’intera settimana e un giorno, credetti di morire per essermi cibato di alimenti scaduti …ché vomitai per cento volte l’anima; un altro, invece, mi ubriacai tanto da caderne sopraffatto e cadendo mi ruppi il pollice destro …che ancora oggi posso piegarlo a stento e con dolore, per non averlo curato allora. Avevo la mente così confusa tra vino e pensieri, da non rendermi più conto dello scorrere del tempo e frantumai l’ultimo specchio per non guardarmi più e dimenticarmi. Molte volte accadde che i miei figli tentassero di persuadermi a tornarmene in città prima che non potessi più pentirmene, e ogni vota io gli urlavo contro di sparire e di lasciarmi in pace. Poi, la casa fu invasa dagli scarafaggi e dalla spazzatura, e non c’era differenza tra quello e la mia vita, e fu allora che desiderai finisse tutto e in fretta. Troppo codardo per togliermi la vita da solo, avevo lasciato che per me lo facessero l’inedia e il disordine e poi il vino e il fumo di mille sigarette. Attendendo la morte, tra tosse e sputi, come una benedizione, un giorno mi venne meno il cuore e il mio corpo cadde, come crolla un pupazzo, malamente e miseramente, sul selciato davanti alla porta di casa: due anni dopo, una sera che pioveva piano, senza avviso, a tradimento. Chissà se fu Dio a mandare Marisa… Lei era lì come un destino. Bagnata dalla pioggia leggera, minuta e sfuocata come un’ombra, io la guardai e mi parve di vedere un angelo ma… fui sorpreso di non vederle ali.

5


Mentre mi allontanava l’incoscienza, io sentii una carezza sulle ciglia e il sussurro di una voce che mi ripeteva di non temere nulla… Marisa strinse forte la mia mano e il dolore che mi spaccava il petto divenne distante e lieve, poi chiusi gli occhi e l’universo si dimenticò di me. Fu lei ad avvertire l’ambulanza.

6


capitolo 2 L’inferno non mi volle. Il giorno dopo, mi risvegliai da un sonno confuso e profondo, e non fu subito che capii d’essere ancora vivo. Padre Pio mi guardava da dentro un quadretto sgangherato appeso alla parete bianca davanti a me e il suono di un bip, scandiva un silenzio irreale. Cercai con lo sguardo, seguendo quel suono breve fino al monitor, dove un punto di luce danzava galleggiando su uno schermo nero. Quel bip era l’eco di ogni mio battito di cuore e certificava la mia presenza ancora sulla Terra. Mi pervadeva una spossatezza mai provata però, allo stesso tempo, un’immensa calma mi proteggeva da ogni ansia. Mi balzò un ricordo primordiale e, solo per un momento, mi rividi embrione… Le braccia mi dolevano, quando provai a muovermi, e mi accorsi di aghi infilati alle mie vene sul dorso delle mani: rilasciai lentamente i muscoli e un respiro, e mi fermai così, a fissare il soffitto, ad aspettare… Fu allora, che compresi di troppe cose che dovevo ancora fare e che c’era ancora tempo per morire. Marisa, che salvò la mia vita, sebbene per lei fossi uno sconosciuto, mi fu vicino, durante tutta una settimana di degenza all’ospedale ed io, per la prima volta dopo tanto tempo, fui contento di non essere solo. Lei si preoccupò di avvertire i miei figli di quanto mi era accaduto e, da allora, è sempre Marisa che ancora oggi si prende cura di me e di tutto il resto. Quella sera, Marisa era venuta a casa mia a chieder lavoro da governante, che forse io ne avrei avuto giovamento… che Dio la benedica..! Fui dimesso dall’ospedale, assieme a un pacco di raccomandazioni, cento proibizioni, una lista di medicine, una terapia da seguire e una nuova opportunità…

7


Marisa, a quel tempo, aveva forse trent’anni e, ogni sera, dopo aver finito con me, ricominciava a casa sua con un marito e i suoi due ragazzini. Son passati quasi otto anni da allora ed è sempre così che vanno le cose. Per tutto quel mese che subito dopo seguì, mi dedicai alla lettura e allo scrivere. Costretto dalla convalescenza a un riposo forzato, sentii scorrere in me una forza nuova, e mai fu tanto prepotente la voglia di ricominciare a vivere. Marisa necessitò di molta energia e pazienza per rendere vivibile la casa che avevo lasciato andare allo sfacelo ma, dopo qualche settimana, questa casa assunse un aspetto ben diverso, che mi parve quasi di non riconoscerla. Lei scandiva i ritmi della mia vita, dosava le medicine che dovevo prendere e cucinava per me ed io, ogni giorno che passava, miglioravo nel corpo e nello spirito. Scrivo, non so se è un lavoro vero, però mi pagano per le storie che penso e a me piace farlo. Avevo smesso per quei due lunghi anni ma, poco alla volta, ripresi carta e penna. Completai due o tre racconti iniziati e mai finiti prima, sistemai le mie carte e la mia libreria, comprai un computer nuovo, uno di quelli piccoli e portatili, riallacciai contatti abbandonati con gli editori, e piantai fiori in giardino. A volte mi concedevo al vagabondare dei miei pensieri, che mi allontanavano per ore, oppure mi capitava di starmene a studiare Marisa, di nascosto, perché mi affascinava il moto perenne del suo muoversi per casa senza mai stancarsi, come una formica. Lei, così piccola e in verità un po’ sgraziata, era invece forte di una pazienza biblica e mai la sentii lamentare d’infelicità o del destino, sebbene ne avesse avuto ben ragione di farlo ed io, mi chiedevo quale forza la muoveva...

8


Un giorno, spinto dal desiderio della sua risposta, fui io a trascinarla tra le preoccupazioni del mio futuro incerto e lei mi fulminò sentenziando: “…Se guardi quello che sei adesso, saprai cosa sarai domani..!” Non ci avevo mai pensato, però, quella mi parve la cosa più saggia che avessi mai sentito. Scoprii in Marisa una donna intelligente e giudiziosa e, ogni giorno che passava, mi meravigliavo di quanto io traevo beneficio della sua presenza…: mi guarì più lei, d’ogni medicina. Ieri mi ha telefonato Marta. Dice che sta bene, “…tu come te la passi…”, “…hai sentito i ragazzi..?”, “…riguardati…”. Siamo lontani anni luce e non sappiamo dirci che le stesse cose da anni ma ieri, che era domenica, sono anche venuti a trovarmi Paolo e Luisa: i miei figli. Solo a Natale mi raggiungono insieme fin qui e, siccome non mi avevano avvisato, per un momento avevo temuto fossero portatori di una brutta notizia e invece no, solo il desiderio di una gita e di rivedermi li aveva convinti: Luisa e la sua bimba, Paolo e Morena con i due ragazzini con l’argento vivo dentro. Marisa, per l’occasione, ha apparecchiato una bella tavolata proprio qui sulla terrazza e ha cucinato le lasagne e uno squisito arrosto. Qualunque cosa, ieri mi è parsa migliore: il sole era tiepido, il pane più buono e il vino più rosso. Non mi sentivo così bene da un secolo. Come una chioccia, ho tenuto i tre pulcini, che ridevano come pazzi, a cavalluccio sulle mie ginocchia ed io che imitavo versi di animali da indovinare, ridevo con loro e riscattavo un po’ del tempo in cui mai tanta pazienza ebbi, quando fui anch’io un giovane padre. Dopo il caffè ci siamo sistemati comodi, a conversare all’ombra del pergolato dove, chissà da quanto, si arrampica un fitto intreccio di rami e di viticci d’uva fragola, per raccontarci storie

9


nostre, parlare del tempo, delle cose che dovrebbero cambiare, del futuro e del passato, e anche di cazzate… fino a che, piano piano e un po’ distratti, ciascuno ha seguito in silenzio la scia dei propri pensieri. Forse ieri era l’ultimo sole prima dell’inverno ed è stato bello restarsene qui a goderselo, fuori dal mondo, alle due del pomeriggio. Marisa ha organizzato i bimbi davanti alla tv in cucina. Potevo vederli da qui fuori, così presi da una fiaba di Disney. Luisa si era addormentata sulla sdraio, il capo reclino sulla spalla, le gambe allungate tra i vasi dei gerani e mezza sigaretta spenta tra l’indice e il medio di una mano abbandonata che cadeva dal bracciolo. Le linee del suo volto erano morbide e prive di cattivi pensieri ed è stato come rivederla bambina per un attimo, quando sul divano, davanti alla televisione accesa, il sonno la prendeva a tradimento… Morena aveva lo sguardo perso dietro all’orizzonte. In piedi alla ringhiera, le mani dietro la schiena e i pollici affondati dentro la cintura, lei però …chissà dov’era. Paolo sfogliava distratto una rivista e ogni tanto guardava il suo orologio al polso. Sembrava sconfitto da un disagio, senza che lui capisse bene cosa. «Hai dei pensieri?» Gli avevo chiesto dopo un po’. «No, papà, va tutto bene.» «E’ che ti vedevo così… mi sembravi preoccupato, ecco.» «No, no, sta tranquillo… è tutto a posto.» Va sempre tutto bene. E’ che non ci diciamo mai le cose… Lui pensa che io non lo comprenda, forse ha paura di manifestarsi o forse si vergogna di una debolezza... io non parlo, e faccio finta di non capire... E’ la ricetta giusta per rimanere lontani. Paolo è così. Anche da piccolo, me lo ricordo introverso, rifugiato dentro un suo mondo fantastico, dove giochi solitari erano giocati con amici invisibili. Adesso, scherza poco e parla meno.

10


Insegna letteratura all’università e s’è sposata la bella Morena, biologa, amica dagli anni di studio. Ogni volta, di Morena …mi pare di cogliere dentro i suoi occhi, un mucchio di segreti nascosti. Questa donna mi affascina perché è bella quanto ermetica e misteriosa, ma è troppo diversa da Paolo. Chissà se lo tradisce… probabile ma non certo. Il loro matrimonio comunque regge e insieme han fatto due figli, Luca e Marco. Secondo me, doveri e obblighi morali li tengono uniti più dell’amore. Qualche anno prima li avevo aiutati a comprarsi una casa giù a Milano dove vivono e lavorano. Paolo mi telefona ogni quindici giorni, puntuale come una cambiale, ma viene a trovarmi ogni due o tre mesi. Capita spesso che i nostri sguardi s’incrocino, per sorprenderci imbarazzati e disarmati e allora, intuisco una domanda, bloccata nella sua gola da troppi anni, che non vuole fare uscire, ed io che aspetto, aspetto col timore che la sputi… …Cosa ti posso dire figlio mio? …Che mentre mi cercavo dentro la mia vita, nulla, neanche tempo, mi era rimasto se non denaro per tutti? …Io lo so che tu mi rimproveri l’assenza ma adesso… adesso, non posso più tornare indietro… La sua vita è scandita da precise regole, dove mai una pazzia ne sconvolge la misura. Tutto il mio contrario… ma Paolo è così e, se sta bene a lui: …sta bene..! Morena possiede un magnifico sedere, dono di Dio del quale mi auguro che Paolo ne sappia ben godere. Lei è un equilibrio, mai un tono di voce irritato, mai una frase sconveniente, mai nulla di troppo... lei è perfetta ma io… credo che dentro ogni donna perfetta ci sia una grande troia... chissà quanto fuoco arde in lei e chissà se Paolo è per lei abbastanza… Luca ha quattro anni e Marco cinque. Marco non somiglia a nessuno dei due.

11


Luisa: Luisa è una croce Bellezza e carattere di merda, sono i doni ereditati da sua madre. Natura indomita e disordine sono tra i miei e i suoi cromosomi. Da bambina non c’era mai verso di domare la sua linguaccia e, la natura ribelle di solito l’ha portata alla rovina… perché non sa mai quando fermarsi, perché segue gli impulsi e non sa nulla di “buon senso”, perché mai intravede un confine da non dover superare… insomma, Luisa è un vero disastro! Io, però, so quanto lei sia invece vulnerabile. Nascosta dalla corazza che le protegge la vita, non vuol capire che questa vita è fatta così, che troppe volte esige accomodamenti e compromessi. Spesso le rammento che non si può lottare contro tutti e tutto, ma Luisa è fatta come me e a volte vince grandi guerre, ma perde pure troppe battaglie. Aveva convissuto per tre anni con un musicista e ci aveva fatto pure questa figlia, poi qualcosa andò storto e puff... si lasciarono per sempre. Qualche anno dopo, aveva sposato un bancario testa di cazzo. Con lui riuscì a tener duro per due anni, e pure tanto… poi, anche questa storia d’amore finì nel cesso. Adesso Luisa vive da sola, pure lei a Milano, in una grande casa, con Alice, la sua bimba di cinque anni e una ragazza filippina, che le governa l’appartamento e cura la bambina. Scrive, come me, giornalista. Si occupa di moda e cronaca rosa. Luisa è una free-lance e pubblica articoli per varie testate, ha talento e riesce a guadagnare parecchio. Fuma e beve caffè, dice “cazzo” troppe volte per rendere più incisivi i suoi discorsi, qualche volta beve un bicchierino di troppo, perde la pazienza con facilità, tutti gli uomini sono dei coglioni o “vogliono solo quello”… Luisa è un sacramento e se pisciasse in piedi, non me ne meraviglierei troppo, ma lei è così ed io non so se l’amo perché è così. Con lei ho un legame forte e mi telefona quasi ogni settimana.

12


Quando Marta mi lasciò, lei ne soffrì molto ma riuscì a superare ogni afflizione. Paolo no, ci odiò entrambi e forse vive ancora in lui un rancore, invece d’essersene fatto una ragione… Se ne sono andati via prima di cena e mi era parso come se una paura mi avesse ingoiato, quel loro andarsene. Ricacciando quell’angoscia, a forza dentro ad un respiro, una lacrima invece mi ha tradito e, anche se avevo cercato di mascherarla incolpando un moscerino, nessuno ci ha creduto. Li rivedrò tra qualche mese, se non mi fotte un accidente... anche Marisa è dovuta andar via e così, son rimasto solo, assieme ad un silenzio assordante… Ecco, la mia vita trascorre così, a volte lenta e noiosa, altre meno grave e sopportabile ma oggi… oggi, il mio cuore ha battuto più forte…

13


capitolo 3 Da questa terrazza, se voglio, riesco a vedere il mare… è l’erba di questa campagna che ho davanti, che ondeggia docile e fluida, alle carezze del vento, come fosse mare. Oggi, ho guardato a lungo questo movimento, inseguito da un ricordo che avevo nascosto in me per dimenticarlo… Ho ritrovato, tra vecchie carte che riordinavo, qualcosa che volevo credere perduta e mai più ritrovare e invece è qui, tra le mie mani, questa cosa che mi toglie il respiro se la guardo. Sbiadita dal tempo, la cartella di cartoncino rosso, l’avevo sigillata col nastro adesivo per non riaprirla più, ma prima… ci avevo abbandonato il cuore, là dentro. Adesso, rileggo su quel cartoncino una parola che non pronunciavo più da tanti anni… Indelebile, scritta come un graffio, come una sfida a farsi ridire, io l’ho ripetuta per cento volte dentro al mio cervello per riscoprirne il suono dolce di una volta, quando m’inventai quel nome di ondadimare… E’ stato scivolare vertiginosamente incontro alla malinconia di un tempo lontano e a questo, non ero per nulla preparato. Era dimenticata dietro due file di libri, giusto nel ripiano più inaccessibile, tra quelli poco importanti, che mai avrei scelto di leggere o rileggere e allora, mi domando se era destino o qualcosa di ultraterreno, che mi abbia spinto a cercare proprio là dietro a quei volumi perché, adesso che ci penso, io non mi ricordo d’avere voluto cercare qualcosa proprio lassù, ma ho sentito invece l’impulso, un ordine subliminale, di arrampicarmi su una sedia fino a quello scaffale, infilare la mano tra quei volumi e afferrare questa cartella nascosta, come se sapessi già dov’era… ma io, non lo sapevo per niente. Sì, mi ha stordito… E’ il senso di questo ritrovamento che io non so orientare perché, il pensiero che il caso nasconda sempre un suo scopo, sebbene io voglia ricacciarlo, riaffiora ogni volta più marcato, e sento… che una volontà diversa dalla

14


mia, mi abbia condotto a confronto di ciò che racchiude questa cartella. Me ne sono stato per tutto il pomeriggio qui sulla terrazza, seduto sulla poltrona di vimini a guardare il mio mare, tra sigarette e vino rosso, a caccia di ciò che è nella memoria… così, fino a sera, fino a che non hanno sentito freddo le mie ossa. Venute da lontano, nubi scure che odorano di pioggia, si sono addensate lente lente trascinate dal vento e promettono tempesta. Sono rientrato in casa ed ho richiuso con cura le imposte. Marisa ha lasciato la mia cena sul tavolo in cucina e, prima di andarsene via, ha sprecato raccomandazioni perché la consumi prima che si freddi. Non l’ho fatto. Non ho fame, forse più tardi. Seduto al mio scrittoio, incido con un coltellino la striscia adesiva che chiude la cartella. L’avevo lasciata là, senza il coraggio di riscoprire ciò che vi avevo nascosto molti anni prima, ma adesso non posso più sfuggirle e l’apro… E’ stato emozionante rivederti, ondadimare... tu, bella che sorridi, prigioniera di una piccola fotografia e dietro di te, cento fogli e tutte le mie parole… Il tuo sguardo mi fissa ed ha fermato il tempo in cui ci amammo. Tu, così raggiante e lontana da ogni tristezza… Ora però, mi trafigge come una lama il tuo ricordo, quando persi il tuo cuore e non lo volli più cercare e poi, dimenticare. Chissà dove sei adesso, ondadimare… Annego in mille rimpianti, ora che ti ho ritrovato tra i ricordi e sapessi… c’è una goccia di pianto, tra la tua immagine e il mio sguardo… La solitudine ha indurito la mia anima e l’abitudine ai tradimenti della vita mi fa vivere più forte questa vecchiaia però, mi scopro debole all’inquietudine che mi pervade adesso perché, ritrovando in me il nascondiglio dove tenevo velato il tuo

15


ricordo, io lo rivivo così presente da rimanerne incredulo però, richiamarti alla memoria è un dolore dolce e non fa male… Quante cose non ti ho detto e quante te ne saprei dire adesso, bella ondadimare, che solo Dio sa dove tu sei ma, se una linea della tua mano sono io, e tu mi riconosci, stringimi forte dentro il tuo pugno e regalami ogni tanto un tuo pensiero… Tra questi fogli zeppi di appunti e versi che ti dedicai, rileggo le parole antiche di quell’amore… Se mi fai entrare nel tuo cuore, sarò con te quando ti sentirai sola e, se sarai triste, io ti farò sorridere. Se mi fai entrare nel tuo cuore, mi troverai ogni volta che ti perderai e non sarò mai stanco di restarti accanto. Se mi fai entrare nel tuo cuore, saprò ascoltare i tuoi pensieri e leggere ogni tuo sguardo. Se mi fai entrare nel tuo cuore, saprò curarti l’ansia e la malinconia e non ingannerò i tuoi sogni… Se mi fai entrare nel tuo cuore, ti addormenterò ogni sera dentro un abbraccio e ti risveglierò al mattino con un bacio. …Era un luglio lontano vent’anni, e Milano soffocante da far desiderare di fuggirsene al mare. In macchina, un vero calvario. Avevo già fatto due giri d’isolato, prima di trovare un buco di parcheggio, ma riuscii ad arrivare in tempo al ristorante.

16


La società per cui lavoravo aveva organizzato un pranzo. Accadeva due volte ogni anno: a Natale e prima delle ferie estive. Eravamo piuttosto numerosi, forse in trenta o quaranta, collocati in due sedi: Nord e Sud. Le chiamavamo così per la loro posizione topografica in città. Ci occupavamo di progettazione e gestioni immobiliari. Io ero della sede Sud, responsabile delle vendite. In verità, quelli erano tediosi incontri dove, solo poche volte avveniva qualcosa di singolare da potersene ricordare e quella volta, sembrava uguale e noiosa come tante altre. Soliti discorsi, identiche facce, vecchie battute… sì, l’unica nota positiva sarebbe stata il pranzo: quello era un ottimo ristorante..! Avevo cominciato a masticare salatini sorseggiando un aperitivo e intanto distribuivo sorrisi e saluti quando, dal fondo della sala, mi fece cenno il “grande capo”… ingoiai una patatina e mi avvicinai per salutarlo… «…Caro Fabio, aspettavamo giusto lei… credo che adesso non manchi più nessuno…» « Mi spiace, ho fatto più in fretta che potevo e… » «Sì, sì, lasci perdere… piuttosto, voglio presentarle una persona…» Accanto a lui c’era una giovane donna …molto carina, molto bionda… «Fabio, le presento la signora Giulia Carisi… Giulia, le presento il signor Fabio Trevi…» Fu la prima volta che i nostri sguardi s’incrociarono. «…Giulia è con noi da oggi e non poteva essere migliore occasione di adesso, per presentarla al resto del gruppo. Farà parte del nostro ufficio legale…» Eri bella, ed io stregato… «Giulia, il nostro Fabio è responsabile del settore vendite, avrete parecchie occasioni per scambiarvi pareri.»

17


«Benvenuta tra noi, Giulia…» Riuscii a spiccicare. Strinsi la tua mano e mi sembrò di conoscerti da sempre… Ricordo che ti cercai con lo sguardo per tutto il tempo e studiai ogni tua movenza, perché era irrefrenabile l’attrazione al fascino che ti avvolgeva… Tu eri là, come una margherita in un cesto di patate e cercavi una formula che annullasse quell’imbarazzo che si vive quando ci si trova in un ambiente nuovo, tra gente sconosciuta che ti analizza e ti seziona. Le altre signore poi… ti avrebbero data alle fiamme con vero piacere… Intuivo i loro commenti e indovinavo i pensieri dei maschi… Era evidente quel tuo disagio, ma la tua bellezza annullava ogni impaccio. Mi ero accorto che, durante quel pranzo, curando che nessuno potesse vederti, avevi concesso un accenno di libertà ai tuoi piedi, esausti d’essersene stati a lungo in bilico su tacchi troppo alti e allora, ti eri sfilata lievemente le scarpe, sfiancata dal continuare a immolarti al sacrificio del mal di piedi che dovevi avere e, questa tua naturale spontaneità, mi parve tenera e disarmante. I tuoi capelli, belli e disubbidienti, ti racchiudevano come due carezze il viso, e gli occhi si accendevano a ogni tuo sorriso. Il vestito leggero esaltava morbidi profili ma, accompagnava ogni tuo gesto qualcosa d’indefinibile, di magico e sublime, che solo una regina poteva vantare uguale grazia alla tua, seppure tu soffrissi un mal di piedi. Gesù, quante volte ti guardai, che per ciascuna avrei dovuto chiederti un perdono, ma io m’innamorai di te perché di te io vidi l’invisibile e, quale pazzia sarebbe stata chiedermi di non amarti… sarebbe stato dire al vento di non soffiare o a un uccello di non volare…

18


capitolo 4 Il giorno dopo ti venni a cercare. Volli rivederti presto. Eri stata un pensiero ricorrente, ma diverso da quelli percorsi da altre donne. C’era qualcosa di te che sfuggiva al mio intuito però, averti in mente mi faceva stare in pace col mondo. Intimamente, mi pareva di sentire una specie di allarme ma, non riuscivo a decifrarlo e comunque, qualunque cosa fosse a spingermi a te, superava ogni timore e così, bussai alla porta del tuo ufficio… «…Ciao, posso entrare..?» «…Sì, sì, certo, vieni pure …scusa, è che …non ricordo il tuo nome…» «Fabio, Fabio Trevi.» «Sì, giusto. Perdonami Fabio, siete in tanti e faccio ancora fatica…» «Normale. Come va, Giulia..?» «Bene, sto cercando di organizzarmi.» «E’ facile?» «Più o meno...» Eri fantastica, così com’eri, tutta indaffarata tra carte e fascicoli e una matita infilata fra i capelli raccolti. «…Hai una matita tra i capelli...» Ti feci notare, e tu arrossisti. «…E’ che mi ricadevano giù continuamente, rovistando tra i cassetti bassi… era per tenerli su…» E facesti per risistemarti. «No, non farlo …stai benissimo così… » Trattenesti quel gesto per un momento e abbozzasti un sorriso assieme a una domanda nello sguardo. «…Ecco, volevo dirti… insomma, passavo solo per un saluto… continua pure a fare le tue cose… comunque stai veramente bene con i capelli su e poi, non sembra neanche una matita… è una buona idea… sì, stai proprio bene…» Mi fissasti come a chiederti dove volessi giungere…

19


«Bene, adesso devo andare… allora, buon lavoro, Giulia…» Tagliai corto. «…Grazie …buon lavoro anche a te…» Mi seguì il tuo sguardo fino a che non mi allontanai e mi portai il ricordo del tuo ultimo sorriso… Che stronzo, pensai, avrai creduto che fossi il solito coglione… Chissà quanti, erano venuti a darti il benvenuto quella stessa mattina, sparando cazzate… ecco, io avevo allungato la lista. M’imposi di non ripetere più simili sciocchezze e decisi di evitarti per quanto potevo: solo un “ciao, come va…”, appunti sul tempo che fa, un sorriso discreto e mai essere pressante o sconveniente… Confesso che attuavo un’ignobile tattica per volermi distinguere e rendermi interessante e misterioso. Poi, un giorno, mi prese una botta di coraggio… Seduto alla mia scrivania, disegnavo ghirigori su un angolo di planning. Mancava una settimana alla chiusura estiva e la città cominciava a vuotarsi, il caldo era opprimente, il condizionatore annaspava e tu passeggiavi ostinata tra i miei pensieri. Alzai la cornetta del telefono e composi il numero del tuo interno. «Giulia..? Sono Fabio Trevi... » «Salve, Fabio, dimmi pure… » «Manca mezz’ora alla pausa pranzo. Ecco, volevo chiederti… ma a te, piacciono gli spaghetti..?» Chissà cosa pensasti in quel momento… «Aglio e olio..?» Mi piacque, il tuo modo deciso di affrontarmi. «E vino rosso.» Proposi. «CocaCola.» «CocaCola e vino rosso.» «E gelato…» «Naturalmente..!» Fatto!

20


La trattoria era proprio dietro l’ufficio e la raggiungemmo a piedi in pochi minuti. Il locale era fresco. Scegliemmo un tavolo tranquillo e ordinammo gli spaghetti con i frutti di mare, la tua passione, CocaCola per te e un bicchiere di vino rosso per me, macedonia, e caffè. Pranzammo chiacchierando di lavoro e delle vacanze che ciascuno aveva organizzato per quell’agosto alle porte, ma poi la conversazione assunse toni meno generici… «…Allora, signor Fabio Trevi, parlami un po’ di te...» Mi chiedesti a tradimento, e i tuoi occhi a fissarmi, pronti ad analizzare la risposta… «…Ci provo, dunque: sono a un passo dai ‘cinquanta, sposato, due figli, mi piace leggere, scrivere, passeggiare, amo i film d’avventura, odio la televisione, è bello l’autunno, ascolto jazz, bevo vino rosso, fumo sigarette e adoro il caffè…» Era bello guardarti… «Continua…» «…Condanno le ingiustizie… cerco di vivere le emozioni, c’è sempre qualcosa che riesce a meravigliarmi… odio la sveglia, mi piace la notte… e tu..?» «…Io cosa...?» «Mi pare giusto, che anche tu dica qualcosa di te, no?» «Okkey…» Ecco, io credo che ti amai da quell’okkey in poi… «Vediamo un po’..: il mese prossimo compirò trentatré anni… sono sposata da due, per adesso niente figli, mi piace leggere, viaggiare, ballare, mi appassionano i misteri, mi affascina lo yoga, adoro i Beatles, sono una sognatrice, mi piace cucinare, odio stirare… Tutto qui.» Avrei voluto baciarti… Per tutta quella settimana dividemmo insieme le ore di pausa dedicate al pranzo.

21


Mi piaceva parlare con te, Giulia, perché non eri mai banale. Io rimanevo incantato dal suono della tua voce e come ne modulavi il tono ed erano affascinanti le tue riflessioni, quando si percorrevano strane filosofie per chiederci se i misteri della vita fossero poi tanto misteriosi e… mi torna in mente, quasi da sentirlo, quell’adorabile e tuo contagioso modo di ridere, quando ti facevo ridere… Eri dolcezza mescolata a pazzia, e fu così facile amarti perché in te io riconobbi la mia essenza. Mi dicevi che t’insegnavo sempre nuove cose, ma io non ti ho mai detto che imparavo da te a diventare ogni giorno migliore. Mi domandavo perché, un destino bizzarro ci fece incontrare così tardi..? Un giorno ti chiesi se eri felice… «…Non lo so… forse sì… forse no…» «Cosa vuol dire forse sì, forse no…? » «…Forse perché credevo che la felicità fosse qualcosa di diverso… una specie di diritto…» «Continua..» «Difficile saperlo spiegare chessò, i sogni per esempio, i desideri, i progetti… troppe cose alla fine non si realizzeranno mai…» «Io dico che bisogna sapere vivere bene il presente… Dentro ogni presente ci può essere un briciolo di felicità da cogliere, basta solo riconoscerla…» «Ti seguo poco…» «Voglio dire che la vita si vive attimo dopo attimo… Pensa, non c’è altra vita oltre il momento in cui la vivi… Oltre, c’è solo la morte …e nessun’altra possibilità…» «…Cogliere al volo ogni opportunità..?» «Magari non tutte, ma quelle buone sì.» «Come fai a saperle, e se poi sbagli..?» «Se lo lascerai fare, è il tuo cuore che saprà guidarti…»

22


«Quando l’ho fatto, è di solito combaciato col dolore di qualcuno, e ne ho goduto poco…» «Si chiama “senso di colpa”, e ti frega continuamente… Facci caso: ogni scelta implica una rinuncia e, quando una rinuncia è qualcuno… hai sempre a che fare con la tua coscienza…» «Vero. E tu, sei felice..?» «Poche volte, ho ascoltato il mio cuore…» «Cos’è, una questione di coraggio…? Di palle..?» «Mi sa tanto di sì. Comunque, c’entra il fatto di dover pensare ogni tanto a se stessi…» «Odora di egoismo…» «Credo che sia meglio dire “volersi bene”…» Adesso, i nostri sguardi si scontravano nudi e in essi, ciascuno intravedeva i segreti dell’anima dell’altro… «Giulia… sei felice con tuo marito...?» Ti chiesi a bruciapelo. Tirasti su un respiro e distogliesti lo sguardo dal mio. «Ti chiedo perdono… forse, sono stato indiscreto…» «Non farci caso… comunque sì, sto bene con mio marito…» Era un secco No..! Era stata una domanda infelice e comunque fosse, adesso conoscevo la risposta… Quell’indomani, ti donai un libro da poter leggere al mare. Saresti partita e non ti avrei rivisto per l’intero mese d’agosto. Avevo insistito perché mi seguissi, appena fuori città. C’era un laghetto artificiale, in un ritaglio tranquillo di campagna, lontano dai rumori, all’ombra di grandi alberi che lo circondavano. Un capanno di legno era attrezzato come un bar e vi si potevano comprare panini e bibite fresche e c’era una serie di panche, sotto un tetto di canne al riparo dal sole, da potersi sedere tranquilli a chiacchierare. Un po’ più distante, una piccola stalla era circondata da un recinto, dove tre cavalli annoiati cacciavano via le mosche scuotendo la coda e, proprio accanto, nello spazio di un’aia, protetta da un girotondo di reticolato, passeggiavano alcune oche e due o tre galline.

23


A me questo posto piaceva e anche tu, te ne stupisti… Era una pausa di campagna, dove mi rifugiavo spesso a riflettere, contemplando l’orizzonte disegnato dai palazzi di Milano e, ogni volta, avevo la sensazione di avere lasciato me laggiù in città e l’anima invece qui, a rigenerarsi, in armonia con questo pezzetto di natura. Tirai fuori il libro dalla mia borsa… «Ti ho comprato un libro… lo potrai leggere mentre ti abbronzerai…» Disegnasti un bel sorriso… «Sei un tesoro, grazie…» «E’ la storia di un amore… Sono sicuro che ti piacerà… Ci ho scritto sopra, alcune parole per te…» Sfogliasti le prime pagine, curiosa di sapere… «Aspetta… vorrei leggertele io…» Mi porgesti quel libro ed io lo aprii sul primo foglio bianco, e lessi quelle parole … …Ti ho cercato per mille volte dietro a ogni orizzonte… dentro gli sguardi della gente, e in fondo a ogni cassetto… Peccato, che ti ho riconosciuto troppo tardi… Ti penserò ogni giorno, amica mia, perché, so già, che tu mi mancherai… Vidi due piccole gocce danzare sulle tue ciglia ed io… le asciugai con una carezza…

24


capitolo 5 Settembre ti strappò via e ti portò lontano. Qualcuno decise di spostare l’ufficio legale nella sede NORD. Ricevesti l’ordine di trasferimento quella stessa mattina. Neanche il tempo di realizzare…. In piedi, appoggiato alla porta del tuo ufficio, io ti osservavo mentre raccoglievi le tue cose, dentro una scatola di cartone. Il mio cuore era nel cesso… Ero oppresso da un senso d’impotenza e privo di parole, e l’idea di non vederti più ogni giorno, ebbe lo stesso effetto della consapevolezza di un lutto… «… Vedi? Son tornata ieri sera dal mare… arrivo, e mi becco questa novità...!» «Appena l’ho saputo son corso qui…» «Cazzo! Mi ero abituata e poi… pensa, è così distante, quell’altro ufficio, che dovrò svegliarmi un’ora prima per arrivarci in tempo…» «Credo di non poter impedire questa cosa…» «Lo so… è così e basta… e pure con effetto immediato!» Eri veramente amareggiata e, il solco sottile di una ruga si accaniva sulla tua fronte… «Posso aiutarti..?» «Potresti portare questa scatola fino alla mia auto… non credo di farcela da sola…» Ci infilasti dentro ancora due o tre cose e poi ti aiutai a chiuderla col nastro adesivo. Era la prima volta che ti vedevo così risentita. «Hai fatto buone vacanze..?» Ti chiesi, per allentare la tua tensione. «Sì, e fino a stamattina ero pure contenta…» «Stai molto bene… hai la pelle colorata d’ambra e i tuoi capelli sono così biondi… e così arricciati…»

25


«Mi stai prendendo in giro. Sembro una pazza, dovrei correre dal parrucchiere…» Mi avvicinai e con le mani strinsi le tue spalle… «E invece sei bellissima… Dico sul serio, sei molto bella… Giulia, io non voglio perderti.» Io non so in che modo te lo dissi, ma le tue gote s’infiammarono… Non ci vedemmo per quasi tutta una settimana. Ogni tanto ti sentii al telefono ma, quella lontananza, rendeva ancora più esile il filo che ti legava a me e intanto, naufragavo in un oceano di dubbi e mi chiedevo quale diritto mi concedeva di volere invadere la tua vita. Io, cinquant’anni, moglie, due figli, e l’ombra di una noia e tu..? Tu poco più di trenta, mai stata madre e un matrimonio nuovo di due anni… che ero certo, ne avesse cento… Mi domandavo se fossi confuso dal desiderio, dalla tua bellezza, oppure dalla tua giovane età, ma tu, che mi toglievi sonno e fame, non potevi essere tra i cuori di cui fino allora avevo abusato con l’animo leggero di un infedele perché, per la prima volta, sentivo pulsare il mio, in modo così disordinato da temere che qualcuno si accorgesse. Non riuscivo a sottrarmi a questa emozione ma essa, era avvelenata dalla consapevolezza dell’inganno… L’estremo bisogno di rivederti mi coglieva impreparato e mi spaventava, perché tu non potevi che essere una scelta… Eri stata un risveglio e, da quel momento, riportai tutto in discussione. Sentii necessità di dovere riscattare una vita piatta e rassegnata, vissuta senza neanche avvertire stanchezza di viverla ogni giorno identico a quello prima poiché, precise e anestetiche inerzie ne avevano regolato il flusso ma adesso, mi sentivo accerchiato dalle mie bugie e, anche se mai avrei potuto averti, ciò non avrebbe frenato l’inizio di quel processo di presa coscienza.

26


Quel pomeriggio, guidai fino al tuo ufficio e ti portai una rosa rossa. «…Avevo voglia di vederti…» «Sei qui per me..?» «Solo per te…» Accennasti un sorriso, mentre sistemavi la tua rosa sopra la scrivania. Forse un dubbio, governò un minuto di silenzio ma poi, una forza ti spinse… «…Enrico è partito questa mattina …un meeting di medici a Roma… Per questa sera, mio fratello e la sua ragazza, mi avevano proposto una pizza…» «Hai un fratello..?» «E’ cinque anni più giovane. Sta per laurearsi in architettura.» «…Bene, allora… se hai un impegno, magari… potremmo vederci un’altra volta…» Avevo un mattone dentro al cuore. «Dovevo ancora dargli una conferma… Potrei dire che avevo già programmato con un’amica… se ti va…» «Ne sei sicura?» Affondasti i tuoi occhi nei miei per un momento. «Sì, ne sono sicura.» E cominciasti a frugare nervosamente dentro la tua borsetta… «…Dove cavolo son finite le chiavi della macchina..?» Tirasti fuori un groviglio e sbrogliasti le chiavi da una collana di perline nere. «…Ti aspetto tra due ore. Sotto casa. Beh, non proprio sotto casa… Fammi uno squillo quando sei nei paraggi, meglio... Hai il mio numero? Aspetta, te lo scrivo…» Quella sera eri straordinaria. Il vestito nero aderente, che esaltava il tuo corpo, e la cascata dei tuoi capelli biondi e impazziti, mi aveva stregato… Ti portai in un posto speciale, ricordi..? Si chiamava “SWING”… Era un piccolo locale, dove si beveva dell’ottimo vino e, a qualunque ora della notte, cucinavano gli spaghetti in cento

27


salse diverse e poi, suono di pianoforte si mescolava alle luci soffuse ed era come starsene dentro il film “Casablanca”… «…Volevo che conoscessi questo posto…» «Non ho parole, è fantastico..!» «Temevo il contrario.» «No, giuro, è proprio bello..! Ma come l’hai scovato..?» «Per caso. Una sera di pioggia che vagavo per la città…» «A volte mi stupisci…» «Meglio così, no..?» «Penso che tu… non mi abbia raccontato tutto di te…» «Non ho segreti… è che sono una specie di lupo solitario… Capita, che la sera me ne vada in giro per la città a risistemare i pensieri e così, una volta, son finito qua. Ogni tanto ci torno a bere un bicchiere di vino…» «E tua moglie …che torni a casa tardi?» «Non è sempre…» «T’inventi scuse?» «A volte.» «Perché..?» «Non lo so… Amo la solitudine, è un’esigenza, e succede spesso che ne senta il bisogno. Non condivido con nessuno questa cosa.» «Misterioso e solitario..!» «Non è poi così allegro…» «Però affascina…» «Sarà un effetto collaterale… Hai fame? » Fu una bellissima sera, densa di noi dimentichi di tutto. Io ti desiderai e so che tu ascoltasti quel pensiero… La macchina era in fondo alla strada. Lungo il ritorno camminammo piano sotto un magnifico cielo stellato. Quella sera profumava di magia e mai i rumori della città mi erano parsi così distanti e tutto era come sospeso in un’attesa…

28


Camminammo ascoltando i nostri pensieri e poi… quando mi fermai un momento e cercai la tua mano, spesi tutto il mio coraggio per affrontare il tuo sguardo, ma ugualmente mi avvicinai alle tue labbra e tu, che socchiudesti gli occhi in un’arresa, le abbandonasti a un bacio. Io, ricordo ancora il sapore dolce di quel primo bacio, adesso che l’ho ritrovato nella mia memoria, e c’è una tenerezza, c’è una nostalgia, e c’è un rimpianto… Perché non si può tornare indietro a cambiare i destini..? Guidai verso casa tua e non dicemmo una parola. Tu, girata verso il finestrino, seguivi uno scorrere di case, le mani strette tra i ginocchi e chissà dove navigava la tua mente. Io, nascosto dentro un silenzio e l’anima annegata in un secchio d’acqua sporca… Giunti sotto il tuo portone, ti chiesi scusa… «Sono stato uno stupido… So che non avrei dovuto... Ho agito d’impulso, perdonami…» «Io… voglio andare a casa…» Rimasi lì, con le mani strette sul volante, a guardarti aprire la portiera, cercare le tue chiavi e dopo un attimo sparire dentro il tuo palazzo. Non un saluto, né uno sguardo. Solo una fuga.

29


capitolo 6 …Un tuono. Spero che non vada via la luce. Prima, un lampo aveva stracciato il cielo fino alla terra e adesso, un boato spaventoso ha fatto traballare tutti i vetri. Piove da almeno un’ora e non accenna neppure a diminuire. E’ un temporale come Dio comanda. L’ultima pioggia era stata alla fine di giugno, un nubifragio che aveva causato anche qualche allagamento ma adesso, che sono tre mesi che non lo faceva, questo, pare un diluvio peggiore dell’ultimo… Vabbè… Sotto il piatto capovolto, c’è una zuppa di ceci. Marisa l’aveva cucinata perché è una delle pietanze che prediligo. Ne ho assaggiata un po’, così, fredda come l’avevo dimenticata. Mi sono riempito un bicchiere di vino rosso, ho acceso una sigaretta e sono tornato a riordinare questi fogli sparsi però, adesso, mi sento preso da un senso di profonda solitudine. Rileggere quelle parole, che tanto tempo fa ti dedicai, mi rivela quanto fu grande l’amore di cui ti amai… non accadde mai più che ad altre feci simile dono e, ripetendole, rivivo ancora la nostra storia, così bella e così infelice… Voglio guardarti spogliata, ondadimare. Voglio accarezzare le tue spalle e baciare le tue ciglia, voglio giocare coi tuoi capelli e scivolare lungo il tuo profilo. Voglio sussurrare parole alle tue orecchie, sentire il ritmo del tuo cuore ed inseguire il tuo respiro, voglio annusarti, assaggiarti… e morsicarti piano… Voglio attraversare la tua pelle, come morbida terra da esplorare e conquistare le tue colline per assaggiarne le delicate fragole… e voglio le tue labbra, che così bene sanno farsi baciare e sanno baciare

30


Voglio sentire tra le mie dita, vertebre e muscoli tesi, stancarmi tra battiti di cuore e linee di sudore, unghia sulla mia schiena e sculacciare il tuo sedere… Amo le tue mani, i tuoi piedi freddi, e quella sottile ruga sulla fronte… Io… voglio essere stretto dalle tue gambe in un abbraccio e abbandonarmi nel tuo cespuglio magico di peli… ...Tu ti nascondesti ed io ebbi paura di cercarti. Trascorsero parecchi giorni dopo quella sera e, dopo quella sera, tutto il mio mondo mi parve così inutile e lontano, ed io talmente dissonante... Mi sentivo sospeso in un’esitazione ed era come se più nulla avesse un senso, importanza o motivo perché… si era acceso il ricordo della mia anima soffocata e dimenticata per troppo tempo dentro chissà quale tasca o cassetto... Era una di quelle che sa farti rimanere ragazzo per sempre, che ti fa credere che i sogni possono avverarsi, che sa farti emozionare e ridere o piangere anche per niente e, se tu lo vuoi, riesce anche a farti volare… mi ricordai di quell’anima prima che la mia vita la ammazzasse… Era quello stesso soffio vitale che tu, ondadimare, inconsapevole racchiudevi, ed io volevo respirare. Ecco perché in te, identificai la mia decifrazione. Ma, se io annegavo tra dubbi e concetti, tu non eri tra più sereni mari… Poi… poi, composi il tuo numero… «…Sono io.» ...uno…due…tre…quattro… «…Ti aspettavo.» «Come stai..?» «Così…» Tirai su un respiro per dare forza all’animo… «Ecco, io… penso che dovremmo parlare…»

31


Attesi ancora, la fine di un breve silenzio «…Sì.» «Giulia… non so neppure da che parte cominciare…» «Fabio, forse io…» «No, aspetta… voglio prima dirti che… non era un gioco…» «Fabio…» «ASPETTA..! Non era un gioco perché io… io credo di amarti» Sembrò che si fosse spento il mondo per un momento e poi… «Lo sapevo..! Lo sapevo che la mia vita s’incasinava… ero tranquilla… ERO SERENA! …Il lavoro, il matrimonio, la casa…. CAZZO! …Arrivi tu… e mandi tutto all’aria…!» Ascoltai i frammenti di un pianto. «Giulia… stai piangendo..!?» «SI, CAZZO..! STO PIANGENDO..!» «Lasciati parlare…» «Mi hai mandato in confusione, lo capisci..!?» «Ascoltami… solo un momento… Voglio parlarti…» «Ma cosa devi dirmi..! Non c’è nulla che può farmi stare bene in questo momento…» «…Ti ho pensato, ho riflettuto e… volevo dirti che mi dispiace… io non ho saputo frenare l’impulso di volerti baciare… Non avrei dovuto farlo lo so, ma… quella sera… tu eri così bella ed io… così sconsiderato… Ecco, io ti chiedo di volermi perdonare… non accadrà mai più che io possa procurarti un imbarazzo. Per quanto riguarda il resto… è solo un problema mio…» Ti sentii tirar su col naso… «Riesci a perdonarmi..?» Ti chiesi ancora… «…Non doveva accadere..! Sono stata male… non riesco neppure a guardare Enrico negli occhi…» «…Mi spiace, ma non posso cancellare ciò che è accaduto… non voglio perderti… riesci a perdonarmi..?» Qualche secondo per scegliere il tuo verdetto… «…Va bene…» Lo dicesti con un filo di voce: il tono di una concessione e, dentro al mio cuore, ficcata a forza, una spina…

32


Cercai di evitarti ma, in un modo o l’altro, il lavoro ci dava ugualmente modo di scontrarci e allora, non fu per niente facile far finta di non amarti mentre ti studiavo, quando eri assorta, seguendo l’eco dei tuoi movimenti... Passarono i giorni e dopo, i giorni divennero mesi. Pensai: forse non avevo più diritto all’amore e poi… avrei cominciato a non sapere più amare… L’inverno di Milano non era mai stato così freddo. Io anestetizzai il tuo pensiero affogandomi di lavoro ma la sera, quando ero a casa, mi affliggeva spesso la malinconia e me ne andavo assieme a mille pensieri. Stavo cominciando a non metabolizzare più me stesso… e avvertivo la necessità di una metamorfosi. Marta era diventata una straniera. Era un incessante sgretolamento, quel nostro matrimonio, e i nostri cuori erano colmi di rancori, solidi come macigni… non riuscivo neppure a comprendere perché ci si ostinasse a sopportare l’agonia di quell’amore moribondo e allora, lo ripercorrevo alla ricerca dell’errore, dell’imprecisione, del difetto… Forse era un amore acerbo, che ci aveva confuso nello sceglierci e poi, la vita aveva fatto il resto. Differenti strade, interessi, necessità diverse, e silenzi… ci avevano allontanato senza che ci accorgessimo fino a che, ogni cosa era adesso irreversibile. Le promesse non mantenute… per distrazione o negligenza, le cose non dette… per timore di manifestarsi, i desideri taciuti, le passioni frenate, i dispiaceri trattenuti, in nostri egoismi… Non cèra più nulla di tollerabile e il nostro letto non aveva storie da raccontare da tanto tempo. Si era perduto e spento per sempre quell’amore acerbo… ne avvertivo solo la nostalgia ma io, non potevo vivere solo di quello, eppure… una paura mi tratteneva e sconfiggeva il mio coraggio, e succedeva ogni volta che credevo di avere battuto ogni apprensione

33


perché ogni volta, un nuovo esercito di doveri morali mi arrestava a quella vita. Mi lasciai trascinare dagli eventi e dalle stagioni ma, in qualche modo riuscii a nasconderti in fondo al cuore e li, tu vivevi come l’illusione di un miraggio. Poi, mi cintai di una solitudine infinita e mi allontanai da tutti… Forse, in quel tempo, io non mi accorsi di certe flebili emozioni, forse non ti capii oppure io non volli farlo ma ti odiai… ti odiai perché tu lasciasti che io ti smarrissi. Chissà perché destini e amori non s’incrociano quasi mai… Fu allora che presi l’abitudine di registrare ogni mio pensiero sui fogli di un quaderno e scrivere era terapeutico. Scoprii che i dolori dell’anima li assorbiva ogni parola che buttavo giù e, più scrivevo, più si diradavano i disordini della mente. La notte mi pacava. Scrivevo per ore e dormivo poco ma tutto ciò mi beneficava. Marta mi guardava e tentennava il capo. Io diventavo sempre più irraggiungibile, in un processo lento e inesorabile che non mi avrebbe riportato indietro. Questa necessità di riflessione m’isolava ma, rimanermene in disparte, mi faceva stare bene. La sera, me ne andavo spesso a girovagare per le vie di Milano così, senza una meta precisa, oppure mi rifugiavo dentro un pub per uno o due bicchieri di vino rosso. Appagavo il bisogno di ripercorrermi a ritroso, ed era un riprendermi cose che avevo lasciato… Non ti cercai più e invece sei stata tu a farlo: cinque mesi dopo … Risposi al telefono e ascoltai la tua voce così inattesa. «…Fabio..? Sono Giulia… come stai...?» Ecco, io credo di avere desiderato che… che non fossi tu… «…Sto bene …non so cosa dire, è passato tanto tempo… sono sorpreso, ecco.»

34


«Volevo vederti… è tanto che non pranziamo insieme. Sei libero?» Mille pensieri s’inseguirono così veloci da non riuscire a decifrarne uno… «Va bene… Sì, certo…» «Perfetto, vieni a prendermi diciamo… un quarto all’una…?» «D’accordo…» «Ti aspetto.» «Va bene… allora, a dopo...» «A dopo, ciao…» E mettesti giù. Che posso dire..? Eri stata un uragano improvviso … Quando di là dal traffico e la gente vidi te, mi venne in mente un vento caldo d’inverno e ti chiamai col nome che per te io m’inventai… «Ciao ondadimare…» Prima un sorriso e poi ti avvicinasti perché sfiorassi con due baci le tue guance. Ci allontanammo in auto. …Eravamo nel tuo ufficio quando, tra cento cose da fare e la musica di una radio lontana, tu danzasti per me che te lo chiesi come uno scherzo e invece, rimasi lì a guardare i movimenti morbidi e lenti di una danza che ti fecero sembrare fatta d’acqua… Fu allora, che per la prima volta io ti chiamai ondadimare… Mi distraeva un’ansia… Ebbi timore che tu mutassi forma o chissà cos’altro sarebbe potuto accadere e, mentre guidavo, cercavo di strappare le parole al tuo sguardo… «…Come stai? » Tu mi chiedesti, per allontanare un disagio… «Sto bene, e tu?» «Sto bene anch’io.» «E’ tanto… che non si stava più insieme.» «Già, è tanto…»

35


«Portami dove si mangiano gli spaghetti.» …Fu bello riaverti accanto, non succedeva da mesi. Adesso, mi ricordo tutto e mi chiedo… come ho potuto nasconderti per così tanti anni..! Da uno spiraglio del finestrino, un soffio di vento disordinava i tuoi capelli, e gli occhi erano due schegge d’ambra annegate: eri una meraviglia! Ti portai in una trattoria fuori città. C’erano quei tavolini piccoli e rotondi, apparecchiati per due… quelli con al centro un vasetto con tre o quattro margherite dentro e i tovaglioli come una rosa sbocciata sopra un piatto bianco, tra il coltello e la forchetta. Noi, a cercare di sfuggire allo sguardo dell’altro mentre il mondo chissà dov’era… «….Cosa vuoi dirmi..? » Ti chiesi a bruciapelo. Tu guardavi muta le tue dita che si torturavano, unghia contro unghia. Gesù, com’eri bella… e come avrei voluto baciarti...! Invece, ti osservavo e ascoltavo il mio batticuore… «….Cosa vuoi dirmi, Giulia..?» Ripetei… e la tua voce, fu solo un filo… «…Non so da che parte cominciare» «Io e te..?» «Sì, noi due…» «Bene, parlane.» Ti mordesti il labbro e sollevasti lo sguardo. «Ripenso molto a quella sera, a quello… a quello che è accaduto…» «Ti avevo chiesto un perdono…» Inspirasti aria e coraggio e mirasti dritta i miei occhi. «… Credo che… forse non ne avevi bisogno… Ed io… per mille volte ti ho baciato ancora dentro ogni sogno…»

36


Mi centrasti dritto al cuore. «Giulia…» «Non dire nulla, ti prego…» Frugasti nella tua borsetta… «Dove cazzo..!?» …Non ne avevi… Usasti il tovagliolo per asciugarti gli occhi umidi, attenta a non sbavare il trucco ed io, mi resi conto di quanto amassi ogni tuo gesto… poi, inseguii ancora la tua voce assieme ai miei pensieri… «…Mi manchi… mi manca ogni cosa di te… Rileggo le parole che mi dedicavi… e conservo le tue poesie come un bene prezioso… mi mancano le nostre pause pranzo, le tue rose improvvise, le tue attenzioni… e quando mi chiamavi ondadimare… Sento la tua assenza, così prepotente e forte, perché io… io ti amo…» Volli sfiorare la tua mano, ma tu la indietreggiasti. «Fabio, io non voglio perderti… ho bisogno che tu esista nella mia vita ma… è tutto così difficile perché… perché è un amore clandestino, dove c’è scritto “disastro” da tutte le parti…» «…Giulia, non seminare rimpianti per quando sarai vecchia… Prendi questo amore… prendilo adesso, prendilo prima che finisca oppure tu appassisca…» «Ho un marito, e tu una moglie… è un amore impossibile…» Cercai il tuo sguardo bagnato da due lacrime… tirasti su col naso e rilasciasti il tuo respiro come in una resa in attesa d’indulgenza… Un cameriere si era avvicinato a chiederci cosa si era scelto dal menu. Lo pregai di far di testa sua e di portarci vino rosso. «…No, non posso vivere un amore a metà… ha il sapore di un delitto!» Ripresi. «…Non riesco a essere razionale. Hai combinato un casino, dovevi lasciarmi stare, non scrivermi tutte quelle cose. Non dovevi giocare con me…» «Giocare..? Che cazzo dici..?» «Eravamo amici e questo dovevamo rimanere!» «Siamo entrambi nascosti dietro matrimoni che ci annullano.» «...Io ero felice!»

37


«ERI, felice..?» «SONO felice!» Gli occhi ti erano infedeli. «Illusa..! Non potrai impedirti di amarmi.» «Io voglio essere fedele a Enrico… non ho mai chiesto un amore in eccesso..» «Parli come se avessi pianificato la tua vita, i sentimenti, tutto.. ma vivi un ruolo che non ti si addice e il destino di un’esistenza pallida ti ucciderà..!» «Tu sei pazzo!» Stavi ingannando te stessa. «Non capisco proprio perché mi hai cercato…» Adesso eri vinta, battuta, inerme… Il cameriere tornò con due risotti e vino rosso e ci lasciò in una cascata di silenzi. «Ti ho cercato tutta una vita, ondadimare, lasciati amare…» Io avvicinai ancora una volta la mia mano alla tua e tu ti lasciasti prendere ma, dentro quella mano, io sentii solo un addio. C’era una rassegnazione, una rinuncia, e la sentenza di una condanna per entrambi…

38


capitolo 7 Il tempo ci lasciò alle sue spalle. Tempo inquieto, denso d'ansia. Mi sentii solo. Fu senza piètà, quel tempo che mi spogliò d’ogni forza d'animo e cessò di tenermi stretto alle abitudini ed io, non avvertii più alcuna certezza. Manifestavo la mia assente presenza, tanto palese da accorgersi chiunque che io fossi in tutt’altro luogo fuorché dov’ero, e fu indolenza, fu indifferenza, e fu pigrizia… Ben presto, tutto ciò ebbe un effetto devastante anche sul lavoro e finì che lo lasciai: non mi piaceva più. Marta e i ragazzi non furono indulgenti. Possedevo dei risparmi che forse ci avrebbero garantito tre o quattro mesi d’autonomia però, tutto faceva presupporre un disastro imminente. Non sarebbe stato facile, alla mia età, trovare un’occupazione soddisfacente e me ne accorsi subito dopo le prime settimane di ricerca. Marta, che non aveva mai lavorato in vita sua, trovò da far da commessa nella boutique di una sua amica. Non mi diceva più nulla, ma il suo sguardo mi disapprovava ogni giorno di più. Avvertivo con disagio il suo biasimo e, silenzi e indifferenza diventarono invalicabili barriere. Il nostro tempo era già scaduto e non c’era più futuro per noi, solo l’attesa… Accettai di svolgere il lavoro esterno di uno studio legale. Umiliante, quello di fotocopiare documenti, portar carte in tribunale o far la fila per un protocollo… Mi pagavano in nero e da fame, ma dopo due mesi non avevo trovato di meglio. Il terzo mese dovetti vendere la mia automobile. Non fu facile quel tempo, quando più volte immaginai la scena di me che mi ammazzavo… quando la stanchezza di vivere mi sfibrava e più di nulla m’importava… Avevo bisogno di raccoglimento, ma in verità, non sapevo più cosa raccogliere di me e allora, me ne andavo spesso lungo interminabili passeggiate a macinare pensieri.

39


Nessuno più mi cercava. Avevo perso gli amici e pensai che presto sarei anche diventato invisibile… Accadde spesso che lo sconforto mi costringesse a un pianto muto, di nascosto, e mi sentii fortemente responsabile di non sapere più garantire sicurezza alla mia famiglia, obbligandola a una condizione instabile e precaria. Quell’anno, Marta dovette vendere i suoi pochi gioielli per saldare bollette arretrate e i ragazzi si arrangiarono a scuola senza i libri di testo. Io fui costretto a liberarmi della mia Nikon con tutta una serie di obiettivi, per l’affitto di un solo mese di casa... credo che tutto questo si chiami povertà. La povertà acceca, inaridisce, fa diventare cattivi e un giorno, Marta mi scagliò ogni suo sdegno per essere causa di quegli stenti, attribuendomene colpa per essere un fallito: come marito, come padre, e come uomo… soprattutto come uomo..! Io non le risposi, ero privo di parole e d’argomenti. Scivolò dentro al mio cuore come lava infuocata, quella parola, “fallito”, pronunciata così marcata dal disprezzo, e bruciò ogni cosa che ancora era rimasto di lei… Io volli convincermi di sopportare tutto ciò. Forse si accese in me un motivo di rivalsa, il volere a tutti i costi dimostrare a me stesso e all’universo che dopo tutto ero ancora vivo, e la vita lascia sempre un’opportunità e una scelta. Durante la notte scrivevo, bevevo vino e fumavo sigarette. Tu eri dimenticanza… Conobbi Rita, e fu un bene che mi rese lieve. Accadde una domenica, per caso, dentro ad una libreria del Duomo: scegliemmo l’unica copia dello stesso libro ed io, per galanteria, lasciai che fosse suo. Chissà di che passione fummo presi, perché pareva che ci conoscessimo da una vita e allora, dieci minuti dopo, passeggiando sottobraccio a lei lungo la Galleria, ci scambiammo consigli sui libri assolutamente da comprare e i nuovi autori da leggere e ancora, sorseggiando cioccolata calda

40


seduti al tavolino di un bar, ci lamentammo del governo e del freddo che faceva, e ci raccontammo delle nostre vite, e ridemmo di cose buffe fumando sigarette ed io, affascinato dai suoi cerchi di fumo, mentre si parlava e si parlava… io la baciai. Tre ore dopo, respiravo la sua pelle che odorava d’ambra, tra le lenzuola del suo letto e poi, la prima cosa che Rita mi disse fu: «…Io non ti amo, sia ben chiaro, mi piaci, ma non ti amo. Saremo solo amici se ti sta bene e, se dovessimo ritrovarci ancora dentro a un letto, sarà solo perché sarà capitato… ma non farti troppe illusioni perché potrebbe non succedere più…» Lo disse come si dettano patti e condizioni di una compravendita: fredda e spietata. In verità, mi tolse un peso perché era lo stesso mio pensiero, ma io non avrei saputo dirglielo in modo migliore anzi, non glielo avrei detto proprio per niente, per timore di ferirla. Sì, mi ripetei, nessuna storia: né amori né legami. «…Certo, solo amici…» Le avevo risposto, e non dissi altro per paura che potesse non essere così. Rita mi salvò dalla nebbia in cui annaspavo e molte volte ancora mi ritrovai dentro il suo letto. Lei aveva dieci anni meno dei miei: piccola e gracile, il ricordo di un amore finito male, i capelli neri e corti come la Valentina di Crepax, una laurea in filosofia, la passione per la fotografia, di cui se ne occupava anche per professione, e la magia di rendere semplici anche le cose complicate. Io, che non avevo mai avuto una donna per amico, fui contento di potere condividere i miei pensieri con qualcuno e in fondo, non ci trovavo nulla di male se mi scopavo un amico. Un giorno le raccontai di te e Rita, che mi aveva ascoltato tanto a lungo e così attenta, alla fine dichiarò: «…Non si può scegliere chi amare, né chi ti amerà. E’ il caso che governa certi misteri, ma chi ama è debole e sta sempre dalla parte sbagliata…»

41


Ecco, in quelle poche parole c’era la coscienza di una fine, l’essenza di una rassegnazione, e un motivo per dimenticare e guardare avanti. Io pensai che Rita era fantastica. Ogni giorno, finito il mio lavoro già alle quattro del pomeriggio, aspettavo il tram che mi portava fino alla stazione centrale, a due passi dalla redazione di un’importante rivista femminile della quale Rita era responsabile per quanto riguardava le scelte fotografiche. M’infilavo dentro la cremeria proprio dietro l’angolo e, tra un caffè e una sigaretta, aspettavo che si facessero le 17.30 per vederla venirmi incontro. Diventammo inseparabili: si facevano passeggiate, si discuteva di mille e più cose, si andava al cinema oppure per una pizza e, se ci prendeva… si faceva pure all’amore. Quando un giorno le feci leggere un mio racconto, Rita ne rimase affascinata. Mi disse che scrivevo magnificamente e si domandò come mai non avessi mai considerato di propormi a un editore. Io pensai che esagerasse… sì, ero consapevole di avere dimestichezza con la scrittura, ma non mi sentivo uno scrittore, scrivevo per me stesso e basta… «Ti sbagli. Tu scrivi veramente bene e mi sta venendo una mezza idea…» «Pensi sul serio quello che dici..? Quale idea?» «Certo che lo penso… ma non voglio dirti nulla per adesso. Dimmi, quanti racconti hai completato?» «Due… un altro da finire, poesie e scritti, pensieri sparsi…» «Voglio leggerli. Portami le tue cose, voglio capire fino in fondo, ma sono certa di non sbagliarmi su di te…» «Va bene, ti porterò i miei quaderni da leggere…» Quella sera telefonai a casa e dissi a Marta di trovarmi piuttosto distante fuori città, che mi era necessario il giorno dopo per completare alcune commissioni per conto dello studio legale per cui lavoravo e quindi ero costretto a pernottare in albergo. Non era importante che Marta ci avesse creduto oppure no, importante era che invece quella fu la prima volta che rimasi a

42


dormire a casa di Rita e, quella notte fu dolce addormentarmi e straordinario risvegliarmi il mattino dopo. Accadde altre volte che rimanessi a dormire da lei. Una sera di qualche settimana dopo, a casa di Rita, mi aspettava una notizia straordinaria… «…Sei pronto..? Tieniti forte..!» I suoi occhi brillavano e un sorriso splendido le accendeva il viso. Non l’avevo mai vista così felice. «Durante questi giorni ho letto le cose che scrivi. Mi hanno preso… sei bravo, sul serio… Le ho proposte alla nostra direzione… loro sono d’accordo a pubblicare i tuoi racconti, un capitolo a settimana…» Aspettò la mia reazione. «Beh, cosa mi dici..?» Ero confuso e dovetti ripetere mentalmente il concetto. «E’ un inizio…» Continuò. «…Ti pagheranno… non aspettarti chissà cosa, ma sono certa che avrai successo… Credici..!» «…Non so cosa dire… non mi pare vero…» Rita mi regalò un sorriso. «Invece lo è, ci puoi giurare…» Prese il mio viso tra le sue mani e mi sbaciucchiò tutta contenta, come si fa con i bimbi piccoli, quando te li vorresti mangiare… «E’ tutto vero, è tutto vero amore mio…» Ecco, quella parola sfuggita al suo controllo la irrigidì. Fece scivolare le sue mani dal mio viso e divenne seria… mi fissò ancora per un momento, prima di fermare un silenzio improvviso … «Bene… Adesso dobbiamo festeggiare...» Si riprese, ma sul suo viso si era spenta quella luce di prima… «Ho preparato una cena speciale per noi due… forza, mettiamoci a tavola.» Mi aveva detto "amore mio"... non mi aveva mai chiamato “amore mio”. Quella volta i sentimenti tradirono Rita, quando mai lo avrebbe voluto. Io, come non avessi compreso il

43


significato di quella parola e lei, dimentica di averla mai pronunciata. Fummo abili a scansare sguardi sfuggevoli e abili a celare di conversazioni gli intimi pensieri. Cenammo e poi brindammo al futuro. «…A te Fabio Trevi… scrittore di parole che arrivano al cuore..!» Disse Rita alzandosi in piedi… e bevve aranciata dal suo bicchiere. Mi alzai anch’io …col mio bicchiere in mano e gli occhi dentro i suoi… «…A te Rita, benedetta perché sei una carezza alla mia vita…» Ingoiai il mio vino rosso, posai il bicchiere sul tavolo e mi avvicinai a lei fino a respirare il suo respiro, poi attesi le sue labbra per una certezza che non avrei voluto… …Era diverso da tutti gli altri mille, quell’ultimo bacio, perché era racchiuso in esso tutto ciò che Rita nascondeva dentro al cuore. Me ne tornai a casa dentro un taxi, assieme a confusi pensieri…

44


capitolo 8 Sono le tre di notte, piove ancora e non accenna a smettere. Prima, il boato di un tuono è stato talmente assordante da avermi fatto sobbalzare. Mi fanno male le gambe e sento un milione di formiche risalire lungo le vene. E’ la circolazione, dice il dottore… dice che devo smettere di fumare, dice che il mio cuore è affaticato e dice che devo stare attento… vabbè! Sai, Giulia, ho ritrovato la piccola conchiglia che tu mi regalasti. Quella conchiglietta rosa, il fossile, te la ricordi..? M’avrebbe portato fortuna se l’avessi tenuta sempre con me... ma non l’ho tenuta con me. Era qui, dimenticata tra queste tue cose e le tue poesie… Ti ho immaginato mentre dormivi, amore, cullata dalla musica trasmessa dalla radio. Piano, per non svegliarti, a te vicino, io ti annusai, ma la tua bocca, bella di labbra rosa, leggero, mi rubò l’ultimo bacio. Tu, presa dal sonno, avevi abbandonato il corpo, cui non importava d’esser guardato così disordinato, le braccia raccolte in un abbraccio al tuo cuscino e le tue gambe nude, dischiuse come un’offerta muta… Chissà dov’eri, allontanata coi tuoi sogni, quando poi ti rannicchiasti come un bimbo sopra a un fianco, ché ti girasti, e un gemito raccolsi, ma si scoprì la tua schiena e in una carezza contai le vertebre col dito. Il lenzuolo, scivolato, si era imbrogliato coi tuoi piedi e tu, Gesù… così scoperta eri un impulso, perché tra misteriose ombre mi guardava rotondo il tuo sedere, a malapena nascosto dal pizzo di mutandine bianche… Come potei tirare su il lenzuolo a ripararti, ma lo feci…! Forse, non volli che prendessi freddo, oppure non ti volli amare a tradimento...

45


Così, sdraiato accanto a te sul fianco, annegai tra i tuoi capelli sparsi, e cercando un sogno tra i sogni che facevi, mi addormentai per incontrarti dove tu correvi… Mi tornano in mente un sacco di cose… come una frana, inesorabile, che scivola giù dalla schiena di una montagna fino a valle e ingoia ogni tempo. Adesso so che avrei voluto viverti e mi domando se ho dato tutto ciò che ti dovevo per averti… Che notte, questa notte..! …Quanto t’avrei amato, bella ondadimare, che nei pensieri ti avvicini quando mi sento solo, invisibile e piano, a lenire un dolore… T’avrei portato al mare, che ti arricciola i capelli, dove t’avrebbe riconosciuto il sole e ogni conchiglia, là, dove tu che ne sei figlia, dall’acqua sei nata. …E t’avrei portato in America e ancora più lontano, dove ogni sogno se tu lo vuoi si avvera, e poi ancora, e ancora… con gli occhi chiusi, tenendoti per mano. Fuori da questa Milano io t’avrei portato, perché ti fa dimenticare di pensare e di lavoro ti stordisce, e via alla folla ti avrei strappato, al sicuro da ogni paura o pianto. Io ti avrei sdraiato, come t’immaginavi nei sogni adolescenti quando mai, avevi dubbi su quanto amore ti spettava, mentre il tempo preparava il tuo corpo alle carezze … Ed io, che ti volevo prendere, così come si coglie un fiore,

46


e che volevo essere terra dove tu potessi camminare, io, sono stato solo un vento che ti ha scompigliato i capelli… Ti rivedrò in un gatto, tra mille anni, durante un’altra vita, e comunque io sarò, mi riconoscerai perché ti riconoscerò…, ma adesso no, e che peccato essere solo un segreto tuo nascosto, e basta… Non hai mai saputo di questi versi, Giulia, perché mai te li donai: furono le mie ultime parole del tuo ricordo per sempre. …Rita generò volontà ed energia e così, avvenne che sulla rivista femminile “Women” fu pubblicato il primo capitolo di un mio racconto. Seguì il secondo capitolo, il terzo, poi il quarto: uno a settimana. L’uscita del quinto capitolo determinò il successo di quella scelta editoriale, infatti la redazione fu inondata da centinaia di lettere di lettrici che condividevano il piacere della lettura del mio romanzo e si complimentavano con l’autore. Mi firmai con uno pseudonimo, non casuale, usai l’idea alla quale Marta mi aveva coinciso da una vita: aggiunsi un articolo, eliminai l’apostrofo e diventai “legoista”… Forte dei risultati ottenuti, la redazione decise di stampare in edizione economica l’intero romanzo e di farne dono, allegandolo alla rivista stessa, quando fu pubblicato l’ultimo capitolo. L’uscita di quella settimana ebbe un esito insperato, poiché quel numero andò letteralmente a ruba e occorse ristampare parecchie migliaia di copie per soddisfare le tantissime richieste: io ricevetti il premio di un’importante somma di denaro e un vantaggioso contratto perché assicurassi all’editore, l’esclusiva dei miei racconti per i prossimi due anni. Naturalmente, abbandonai lo studio legale e mi dedicai al solo scrivere. Di tutto ciò, io non dissi nulla a Marta. Adesso però, dovevo fare i conti con Rita.

47


Ripensai alle parole che Rita aveva detto una volta..: «…Non si può scegliere chi amare, né chi ti amerà, e chi ama è debole e sta sempre dalla parte sbagliata…» Adesso era lei che stava dalla parte sbagliata. Gli sguardi di Rita m’inchiodavano e, ogni giorno, frugavano nella mia anima in cerca della risposta che voleva. Conoscevo Rita da circa tre mesi: mi era stata vicina, quando mi sentivo solo, mi aveva dato forza, quando ero più debole, e aveva creduto in me, quando neppure io ci avrei scommesso un soldo e poi… poi, aveva cominciato ad amarmi. Rita che non voleva più legami, Rita che amava se stessa e il suo lavoro, lei così sicura e difesa dagli inganni della vita, adesso reclamava a quella stessa vita, le debolezze del cuore e i rischi delle incertezze ma io… io non riuscivo più ad amare nessuna e nulla. Volli cercare in me anche una sola briciola d’amore, ancora da potere spendere almeno per lei, ma in me scavavo tra sabbia arida: le volevo un gran bene, ma l’amore è tutto un’altra cosa… «…Perché non vuoi ascoltare il mio cuore..?» Mi disse un giorno, ed io non seppi cosa dirle. «…Tu lo sai che io ti amo, cosa ne faccio di questo amore se tu non vuoi prenderlo..?» Tre mesi ancora dopo, Rita abbandonò la mia vita. Lasciò Milano e il suo lavoro per sempre e si trasferì a Londra. Non l’ho più vista da allora, si negò al telefono, rimandò al mittente le mie lettere… solo un suo breve messaggio su un foglietto, infilato di nascosto dentro la tasca della mia giacca, il giorno prima di partire, diceva “…Avrei voluto condividere un amore, peccato che non sono un tuo destino…” L’assenza di Rita mi rese prigioniero di una profonda solitudine e mi tormentava la colpa di un dolore e allora, non volli più cercarla, perché potesse dimenticarmi e non farle male.

48


Non ho mai compreso se fosse stata quella, la cosa giusta da fare, oppure giustificai una paura, una vigliaccheria o un egoismo, ma so che Rita mi mancò. Trascorsero i mesi. Succedeva che i miei racconti su “Women” erano diventati lettura attesissima e, ogni giorno, in redazione arrivavano pacchi di posta indirizzata a “legoista”. Divenne per me obbligatorio rispondere a tutte quelle lettere e mi fu anche concesso un ufficio tutto per me. Le donne..! Erano così affamate di sentimenti, così sole, incomprese, fragili, deluse… ma io… io riuscii a farle sognare, quelle donne! Giustificai peccati, non mi scandalizzai di confessioni e conobbi segreti, non mi stupirono rivelazioni, compresi paure, perdonai capricci, non mi annoiai dei loro sogni e imparai i loro desideri e i loro codici controversi, i bisogni e i pensieri…: tutto un mondo, riversato su lettere a volte timide, altre urlate, altre disperate… Io riuscivo a comprendere quelle donne, perché le amavo tutte. Si pensò di creare uno spazio sulla rivista, dedicato a quelle domande e le mie risposte, come una sorta di “lettere al direttore”, e fu ancora successo. Poi, un’autorevole casa editrice mi propose di scrivere un nuovo romanzo, ed io accettai. Se tutto questo era così straordinario, io non ne assaporai la piacevolezza e accolsi quella popolarità quasi staccatamente. Sarei dovuto esserne appagato e invece, un oscuro male avvelenava ogni accenno di compiacimento, perché non sapevo con chi condividerlo. Come possono, non render felici denaro e successo..? Non potei più nascondere a Marta ciò che ero adesso e quando le raccontai, ne rimase incredula. Ciò mi ripagò di una rivalsa ma nulla cambiò tra di noi, perché nessuno dei due voleva più cambiare qualcosa. Sono certo che un amante rendeva

49


sopportabile la vita di Marta, ma non m’importava piÚ nulla di lei, e mai volli indagare. Luisa e Paolo erano il debole collante che ci teneva ancora uniti in quella casa. Ebbi molte donne e fui amato, ma non seppi mai dare nulla a esse in cambio, se non regali. Col denaro, sistemavo problemi e persone ma, per inseguire me stesso, ho lasciato cadaveri ovunque.

50


capitolo 9 Tra il sonno e la veglia, sento rumori di tazzine e pentolini. Un sottile raggio di sole attraversa le persiane e si perde tra l’armadio e il comò. Cazzo, mi ero steso un momento e invece mi sono addormentato senza rendermene conto. «Marisaaaa..!» Urlo, per farmi sentire. «Sono qui, arrivo…» La sua voce viene dalla cucina. Sdraiato sul letto, aspetto che si affacci alla porta della mia camera. «Buongiorno signor Fabio…» «Ma che ora è?» «Sono le dieci precise, signor Fabio, e ti sei messo a letto tutto vestito.» «Non farci caso, mi ero sdraiato un attimo e invece mi sono addormentato.» «Non hai mangiato nulla, ieri sera. La cena è precisa a come te l’avevo lasciata… e c’era pure la luce accesa nello studio.» «Hai toccato le mie carte?» «Lo sai che non tocco mai le tue carte…» «Sì, vero. Hai fatto il caffè?» «Ti preparo la colazione.» «Dammi dieci minuti. Prima voglio farmi una doccia…» «Va bene.» «Tra dieci minuti...» Le ripeto, mentre si allontana. Mi alzo e fatico a farlo, tra cento dolorini e colpi di tosse. «Hai fumato come al solito, vero?» E’ lei che sputa sentenze dall’altra stanza. «Smettila di sputar sentenze..!» Le urlo dietro. «Sì, si…» Che linguaccia..! Se non mi sbrigo, mi piscio addosso, maledetta vescica..! ………………….continua……….>>>>

51


Tutti i negozi online dove puoi acquistare ondadimare in versione eBook da poter leggere su qualunque dispositivo PC, Tablet, eBook-Reader a UltimaBooks: http://www.ultimabooks.it/ondadimare Il Fatto quotidiano: http://ebook.ilfattoquotidiano.it/catalog/product/view/id/124895/ L'UnitĂ ebookstore: http://ebook.unita.it/catalog/product/view/id/124895/ Amazon: http://www.amazon.it/Ondadimare-Enzo-Gerbinoebook/dp/B00JOLZC40/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1397635304&sr=11&keywords=ondadimare Libreria Rizzoli: http://libreriarizzoli.corriere.it/Ondadimare/xgqsEWcV00MAAAFFtaE9KGOK/pc?Catalog CategoryID=x_esEWcWR5oAAAErWbkdhq_J&Root=eBook LaFeltrinelli: http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/catalogo/searchresults.html?prkw=ondadim are&x=0&y=0&cat1=&prm= http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/catalogo/searchresults.html?prkw=ondadim are&x=0&y=0&cat1=16&prm= Ibs.it: http://www.ibs.it/ebook/gerbino-enzo/ondadimare/9786050300147.html In Mondadori: http://www.inmondadori.it/Ondadimare-Enzo-Gerbino/eai978605030014/ Kobobooks: http://store.kobobooks.com/it-IT/ebook/ondadimare Bookrepublic: http://www.bookrepublic.it/book/9786050300147-ondadimare/ Libreria Hoepli: http://www.hoepli.it/ebook/ondadimare/9786050300147.html Ebook.it: http://www.ebook.it/S/Enzo_Gerbino/Enzo_Gerbino/Narrativa/ePub/Ondadimare.html Sanpaolo Store: http://www.sanpaolostore.it/risultato-diricerca.aspx?searchtxt=ondadimare&searchtype=2

52


http://www.sanpaolostore.it/ondadimare-enzo-gerbino-9786050300147.aspx ebookizzati.it: http://www.ebookizzati.it/ebook-ondadimare-enzo-gerbino-enzo-gerbinoidprd549900.html#PrdAnc

libreriaebook.it: http://www.libreriaebook.it/ebooks/index.php?pag=scheda_ebook&isbn=978605030014 7&formato=EPUB mrebook.it/ebook: http://www.mrebook.it/ebook/__ondadimare1.php http://www.mrebook.it/ricerca.php?q=ondadimare librouniversitario.it: http://librouniversitario.it/scheda.aspx?idProdotto=54733 ebook.9am: http://ebook.9am.it/sito/Catalog/Language0/Default.aspx?template=ebookDettaglio.html &ck=WIUWWPIQTT&F=Codice&V=%279786050300147%27#.U04xOPl_uqg cubolibri: http://www.cubolibri.it/home.php/ebook-ondadimare-enzo-gerbino-enzo-gerbino9786050300147.html feedbooks: http://it.feedbooks.com/item/766122/ondadimare PlayGoogle: https://play.google.com/store/books/details/Enzo_Gerbino_Ondadimare?id=JUlbAwAA QBAJ&hl=it

53


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.