NOTA DEL CURATORE
Gli scritti di Don Orione copiosissimi hanno, nella quasi totalità, origine occasionale. Si tratta per lo più di lettere, alcune delle quali, sotto forma di « circolare », più ampie e curate - per tutta la sua Famiglia religiosa e, normalmente, di argomento unitario. Altri scritti derivano da articoli, o da minute di articoli, preparati per la stampa periodica della Congregazione. Di Don Orione, inoltre, sono stati raccolti dalla viva voce numerosi interventi orali (conferenze, prediche, esortazioni familiari, conversazioni) che i suoi Figli custodiscono gelosamente. Gli stralci più significativi sono stati inseriti nelle varie biografie ' che di lui sono uscite e in qualche raccolta offerta ai soli suoi religiosi'. Di questi « discorsi » - così li chiameremo nella raccolta - abbiamo scelto, per le pagine seguenti, solo qualche brano significativo, citandone, di volta in volta, la fonte. Gli altri brani che qui si trovano sono quindi, per la quasi totalità, tolti dalle sue lettere. Quando non si indica altrimenti,
---------------------------1 Noi citeremo in particolare: Don Orione, v. 1, a cura della Postulazíone, Roma, pp. 804, pro manoscritto; G. Papasogli, Vita di Don Orione, Torino 1974. 2 Don Orione alle Piccole Suore Missionarie della Carità, Roma 1962 (pro manoscritto).
si rimanda all'ultima edizione - la terza -di esse, curata in due volumetti, dalla Postulazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza (Roma 1969). In alcuni casi, si rimanda ad un'altra raccolta di lettere, uscita nella collana di Paravia « Epistolari cristiani » a cura del sacerdote Domenico Sparpaglione (Torino 1947). Indichiamo, infine, i criteri cui ci siamo attenuti nella presente raccolta: - abbiamo scelto gli scritti píú significativi e più attuali, quelli cioè in cui Don Orione mostra veramente la sua anima evangelica, quella che non conosce limiti di tempi o di culture; - abbiamo omesso quanto fosse riferibile esclusivamente o quasi, ai religiosi e alla vita religiosa; - abbiamo, nei vari brani, tralasciato quelle parti che, nel discorso occasionale, si riferivano a persone, fatti, luoghi, notizie contingenti; ciò viene indicato con puntini di sospensione chiusi in parentesi; - ad ogni brano abbiamo premesso un titolo che ne evidenzia immediatamente il contenuto; - dov'è stato possibile, abbiamo ritenuto doveroso non spezzare i vari brani, di modo, che apparisse, anche in questa raccolta, il discorso continuato dell'originale; ciò ha fatto sí che la raccolta si presenti diseguale nell'ampiezza dei brani; non ci è sembrato un difetto; - abbiamo diviso il florilegio in alcune grandi sezioni, anche per dare a prima vista un quadro completo della spiritualità di Don Orione; - le note sono state volutamente contenute al massimo e solo per dare la necessaria chiarezza al dettato;
- inutile dire che manteniamo la stesura originale dell'Autore, generalmente anche per quanto riguarda l'ortografia e la punteggiatura; - delle numerose citazioni in latino,, quando non c'era nel testo, abbiamo aggiunto noi la traduzione, cosi pure abbiamo fatto per i riferimenti precisi delle citazioni bibliche. Don Orione è un'anima di fuoco, in linguaggio popolare «un santo». Invano quindi si cercherebbe in lui lo scrittore, supposto che abbia voluto esserlo. Chi tuttavia volesse un giudizio su Don Orione... scrittore, può rileggere quello di un intenditore. Eccolo: « Si potrà dissentire sulle su ' e qualità di scrittore, negarle addirittura, ma bisognerà convenire che le sue lettere sono, quasi sempre l'espressione genuina del suo temperamento. Un po' ingombra la forma, ma chiaro e travolgente il pensiero,, come risoluto e nitido è il suo carattere, come salda è la sua figura sbozzata sul tipo del montanaro piemontese: volto energico e rugoso,, occhi protetti da folte sopracciglia, capelli canuti e fitti : mascella robusta ( ... ). Il suo, stile passa per un fluido misterioso nella scrittura, virile, bellissima. E come il volume calligrafico non sempre è contenuto nella stessa misura e spesso anzi ingrossa per esprimersi con libertà o si riduce, utilizzando spazi impossibili, attuando, nella pagina una certa anarchia, o se vi piace un ben controllato novecento, così molte frondosità stemperano di frequente il suo pensiero, e le ripetizioni gli sbalzi le rincorse le riprese le disgressioni. magari anche sproporzionate, lo, travolgono. In alcune circolari non mancano i plagi eleganti e disinvolti, con l'aggravante delle contaminazioni e degli adattamenti al proprio scopo: perché tutto egli vede in funzione del suo apostolato. E l'esuberanza talvolta degenera in retorica.
Generalmente però dove tocca, assimila trasforma rianima e l'efficacia è sicura ( ... ). Anche se ha il libro aperto davanti e da esso deriva ispirazioni e concetti, domina dall'alto della propria convinzione quella dottrina, la innerva del suo slancio, quando non la mette ruvidamente da parte per far posto all'idea originale che gli rimbalza viva alla penna ( ... ). Una nota non cade mai, è sempre alta e distinta, e lo rivela, anche quando tratta gli argomenti più triti e usuali: la forza di volontà che emana da quel dominatore di anime che egli è, umile nella considerazione di se stesso, ma compreso della missione che Dio gli affida. Del resto ha pagine che fanno spicco per un pretto sapore letterario e per valore artistico ( ... ). Conveniamo però senza sforzo nel giudizio negativo di De Luca, poiché l'interesse essenziale delle lettere di Don Orione non è affatto di natura artistica. Ma certe cosettine son dette proprio bene e rivelano in Don Orione capacità costruttiva, umorismo, sensibilità, potenza di impressione, e comunicativa di quell'intimo pathos che regge la sua ispirazione » (cf. Sparpaglione, Lettere scelte, op. cit., pp. XXXIV ss.).
I. « INSTAURARE 0MNIA IN CHRISTO »
Tutti conoscono bene la intraducibilità di questa espressione paolina (cf. Ef. 1, 10), ricchissima di contenuto teologico. Don Orione, sin dai primi anni del suo apostolato, la scelse come motto della sua Famiglia religiosa, prima ancora che il suo grande amico, il Papa san Pio X, ne facesse come la sintesi del suo programma pontificale. Lasceremo a Don Orione stesso il compito di spiegarcene il significato e la forza, quali gli balenarono prestissimo alla mente e palpitarono nel cuore (cf. brano n. 1). Qui noi assumiamo il motto paolino a indicazione precisa di quel centro focale verso cui converge in Don Orione la molteplice attività. Tale centro focale è, appunto, Cristo e Cristo soltanto. Cristo contemplato e ascoltato nella Sacra Scrittura, Cristo amato e servito in tutti gli uomini, specie i più poveri e rifiutati, Cristo vissuto nella intima comunione della preghiera e della grazia, Cristo testimoniato con la parola, la vita le opere, Cristo in cima ai pensieri e agli ideali, Cristo movente ed esemplare dell'inesauribile prodigarsi per il bene di tutti, Cristo, speranza suprema dell'individuo e dell'umanità.
1 - « Instaurare omnia in Christo » (Ef. 1, 10)
Fu per sempre quasi una invocazione, l'idea che tutta assomma la missione dell'Opera e i suoi sacrifici: la parola d'ordine, la luce che vivifica, rialza e tutto segna il fine del nostro vivere e opera in comune, e il sospiro della nostra vita e della nostra morte; - con esso specialmente intendo rivolgere a Dio un voto, un'aspirazione, una preghiera, un desiderio ardentissimo che in Gesù Signor Nostro tutto l'uomo si rinnovi e si rinnovi tutta la umanità. Dopo però l'Instaurare omnia in Christo, veniva assun to, con grande indicibile consolazione di noi della Provvidenza, dal nostro S. Padre Pio X, e veniva lanciato al mondo sospeso come la prima parola e il programma di tutto il suo glorioso pontificato. Da quel giorno l'« Instaurare omnia in Christo » venne illustrato da pagine splendide di dotti e piissimi uomini di fede, i quali ne mostrarono la divina sapienza. 1 pastori della S. Chiesa poi, e Vostra Eccellenza non ultimo, le ripeterono ai loro popoli, e fu un grido festoso di novella vita per tutto il mondo cristiano. (Da una lettera al suo vescovo, Mons. Igíno Bandi, di Tortona, del 18-1-1905; cf. Lettere, I, p. 44).
2. Il suo ritratto evangetico
Cristo non aveva soldati, non ne volle avere mai. Non sparse il sangue di nessuno, non abbruciò la casa di nessuno. Non volle inciso il suo nome sulle rocce dei monti, ma nei cuori degli uomini! Questo re non fece del male a nessuno, fece del bene a tutti, come la luce del sole che piove sui buoni e sui cattivi. Egli stese la mano ai peccatori, andò loro incontro, sedendo e mangiando pur con essi, ad ispirare fiducia, per riscattarli dalle loro passioni, dai vizi e, riabilitati, indirizzarli a vita onesta, al bene, a virtù. Posò dolcemente la mano sulla fronte frebbricitante degli ammalati, e li guarì da ogni languore. Toccò gli occhi ai ciechi nati, ed essi ci videro, e videro in lui il Signore! Toccò le labbra dei muti, e parlarono e benedirono in Lui al Signore! Ai colpiti da sordità disse: « Udite! », e udirono; ai lebbrosi e reietti disse: « Voglio mondarvi » (Mt. 8, 3), e la lebbra cadde a squame, furono mondati. Portò la luce del conforto nel tugurio, ed evangelizzò i poveri, vivendo nel paese più misero della Palestina. Non cercò seguito tra i grandi, né esaltò i potenti dell'intelligenza, del braccio o della borsa, ma gli umili e i poverelli, poverissimo anche Lui. « Le volpi hanno la tana -diceva - e gli uccelli il nido, ma il Figliuolo dell'Uomo non ha dove posare il capo » (Mt. 8, 20). Viveva frugalmente, abituando i suoi seguaci alla disciplina della mortificazione, della preghiera, del lavoro, onde fortificarli nella vita dello spirito. Egli primo si mortificò, pregò, lungamente lavorò, santificando così, con le sue mani e con la sua vita, il lavoro. D'aspetto semplice, amava la mondezza, schiva da qualsiasi adornamento; la santità della vita e della dottrina aveva tali che sarebbe bastato a mostrarlo l'Inviato di Dio. Gli occhi e la fronte gli erano illuminati da tanta celeste beatitudine che
nessun onesto poteva sentirsi infelice dopo aver visto quel volto. A chi gli domandava come si dovesse vivere, rispondeva: « Amate Iddio sopra ogni cosa e il prossimo come voi stessi; spogliatevi del superfluo per darlo ai poveri, e poi, se volete essere perfetti, rinnegate voi stessi, abbracciate la vostra croce e venite, seguitemi! ... » (cf. Mt. 19, 21). Alla turba che lo circondava per ascoltarlo, o perché una stupenda virtù sanatrice emanava da Lui, diceva parole di sovrumana dolcezza e di vita eterna: « Un nuovo comandamento vi do: amatevi reciprocamente nel Signore e fate del bene a chi vi fa del male » (Gv. 13, 34; Mt. 5 ' 44). Dei bambini disse che i loro angeli vedono sempre il volto di Dio e che beato sarà colui che nel cuore sarà sempre bambino, puro come i bambini. Benedisse all'innocenza, e di altissimo e divino amore amò i pargoli, tanto che - benché non alzasse mai la voce - gridò « Guai a coloro che avranno dato scandalo agli innocenti... » (cf. Mt. 18, 6). Moltiplicò il pane, ma non per sé, per le turbe. Non fece piangere nessuno, pianse Lui per tutti, e pianse sangue! Asciugò, invece, le lacrime di tanti e di tante anime perdute. Ai cadaveri disse: « Sorgete! » e, a quella voce onnipotente, la morte fu vinta, a vita novella risorsero i morti. Per tutti aveva una parola di perdono e di pace: su tutti spirò un soffio di carità ristoratrice, un raggio vivificante di luce, alta, divina! Iniquamente perseguitato e tradito, fin sulla croce invocò dal Padre celeste, e a gran voce, il perdono sui barbari che lo avevano crocifisso. Egli, che aveva rimesso la spada di Pietro nel fodero, che non aveva sparso il sangue di alcuno, volle dare tutto il suo sangue divino e la vita sua per gli uomini senza distinzione di ebreo, di greco, di romano o di barbaro: re vero di pace: Dio, Padre, Redentore di tutti! Volle morire a braccia larghe, tra cielo e terra, tutti chiamando e gli angeli e gli uomini - al suo Cuore aperto, squarciato:
anelando abbracciare, salvare in quel Cuore divino tutti, tutti, tutti: Dio, Padre, Redentore di tutto e di tutti! (Da «Strenna natalizia ai benefattori», Natale 1920; cf. Lettere, 1, pp. 265 ss.).
3. Noi ti vogliamo amare e servire Adoriamo, o fratelli, adoriamo! E che tutta la terra lo adori e lo ami, e inneggi a Gesù, Dio d'amore! Cantiamo al Signore un cantico nuovo, e tutta la nostra vita sia un cantico d'amore a Dio e al prossimo. Sorgi, o anima mia, e corri incontro alla nuova Luce, che è Gesti-Carità. Egli viene a te, poiché la misericordia infinita del Signore è discesa più ampia del mare e dei cieli: terra, mare e cieli diventarono un nulla davanti alla carità di Gesù, quando risplendette la gloria del Signore. O Gesù dolce, o Gesù amore! Noi ti vogliamo amare e servire in carità grande e santa letizia, sempre contenti per la beata speranza, amando e vivendo delle cose umili e povere, come, o Gesù, ci hai insegnato con la tua nascita, la tua vita e la tua morte. Fare del bene sempre e del bene a tutti, o Gesù, benedicendo sempre e non maledicendo mai. (Da una lettera dell'8-X11-1935 ad alunni e benefattori, da Buenos Aires; Lettere, II, pp. 316 ss.).
4. Egli solo resta
Fratelli, siamo buoni della bontà del Signore, e poi non temete mai che la vostra opera vada perduta: ogni parola buona è soffio di Dio; ogni santo e grande amore di Dio, e degli uomini è immortale! La bontà vince sempre: essa ha un culto segreto anche nei cuori più freddi, più solitari, più lontani. L'amore vince l'odio; il bene vince il male; la luce vince le tenebre! Tutto l'odio, tutto il male, tutte le tenebre di questo mondo, che sono mai davanti alla luce di questa notte di Natale? Nulla! Davanti a Gesù, e a Gesù Bambino, sono proprio un nulla! Confortiamoci ed esultiamo nel Signore! L'effusione del Cuore di Dio non va perduta per i mali della terra, e l'ultimo a vincere è Lui, sarà il Signore! E il Signore vince sempre nella misericordia! Chi vince diversamente passa, e non se ne parla più! Passano i re; passano i conquistatori della terra; cadono le città, cadono i regni: arena ed erba coprono il fasto e le grandezze degli uomini, e i venti e le piogge disperdono i monumenti delle loro civiltà. « ... I buoi - nell'urne degli eroi spengon la sete », cantò Zanella. Tutto: passa: solo Cristo resta! t Dio, e resta! Resta per illuminarci, resta per consolarci, resta per dare a noi, nella sua vita, la sua misericordia. Gesù resta e vince, ma nella misericordia! Sia benedetto in eterno il tuo nome, o Gesù! (Da « Strenna natalizia ai benefattori, Natale 1920; Lettere, 1, pp. 269 s.).
5. L'avvenire è di Cristo
… Fratelli, i popoli sono stanchi, sono disillusi; sentono che tutta è vana, tutta è vuota la vita, senza Dio. Siamo noi all'alba d'una grande rinascita cristiana? Cristo ha pietà delle turbe: Cristo vuole risorgere, vuol riprendere il suo posto: Cristo avanza: l'avvenire è di Cristo! Se dal piedestallo possiamo arguire le dimensioni del monumento, per Colui che ha avuto almeno 60 secoli di preparazione, che cosa sono mai 20 secoli di vita? Cristo è risorto! - Vedo Gesù che torna: non è un fantasma, no! t Lui, il Maestro, è Gesù che cammina sulle acque limacciose di questo mondo così torbido, così tempestoso. L'avvenire è di Cristo! T'avanza, t'avanza, o divino Risorto! La barca di questo povero, mondo fa acqua da tutte le parti: senza di te va a fondo; vieni, o Signore, vieni! Risuscita in tutti i cuori, in tutte le famiglie: su tutte le plaghe della tetra, o Cristo Gesù, risorgi e risorgi! Senti il grido angoscioso delle turbe che anelano a te: vedi i popoli che vengono a te, o Signore. A te appartengono, sono la tua conquista, o Gesù, mio Dio e mio Amore! (Da lettera del 19-111-1935 da Buenos Aires; Lettere, II, pp. 216 ss.).
6. Viviamo per Lui! Anno nuovo, vita tutta in Gesù, di Gesù, per Gesù! Miei Figli, viviamo in Gesù! Perduti nel suo Cuore, affocati d'amore, piccoli, piccoli, piccoli; semplici, umili, dolci. Viviamo di Gesù! Come bambini tra le sue braccia e sul suo Cuore, santi e irreprensibili sotto il suo sguardo; inabissati nell'amore di Gesù e delle anime, in fedeltà e obbedienza senza limite a Lui e alla sua Chiesa!
Viviamo per Gesù! Tutti e tutto per Gesù; niente fuori di Gesù, niente che non sia Gesù, che non porti a Gesù che non respiri Gesù! In modo degno della vocazione che abbiamo ricevuta, modellati sulla sua Croce, sul suo sacrificio, sulla sua obbedienza usque ad mortem, in oblazione e totale olocausto di noi stessi, qual profumo d'odore soave 0 Gesù, aprici il tuo Cuore: lasciaci entrare, o Gesù, ché solo nel tuo Cuore potremo comprendere qualche cosa di quello che Tu sei, potremo sentire la tua carità e misericordia, comprendere e amare anche noi il sacrificio e quella santa obbedienza, per cui Ti sei sacrificato. (Da lettera dell'Epífania del 1935 da Buenos Aires; Lettere, 11, pp. 154 ss.).
7. Testimoniare Cristo crocifisso (...) Che io viva solo e sempre dell'amore di Gesù e degli uomini, stretto e immedesimato all'amore di Nostro Signore crocefisso: che la croce sia tutta la mia ricchezza ed il mio gaudio. Sai, caro don Benedetto, che Gesù crocefisso ti vuole un gran bene? Sai che vorrebbe tu gli dessi tutto il sudore e il sangue tuo? E che andassi glorificando la sua croce e il suo amore per tutta Italia, araldo del crocefisso? Su, fratello mio, edifica nei cuori Gesù e Gesù crocefisso. Va' a Milano rivestito della potenza del Signore e infiammato del fuoco della divina carità, e da' gloria a Dio. Dilata i cuori e portali tra le braccia e sul cuore trafitto di Cristo crocefisso: questo dolcemente e con umilissima mansuetudine ti chiede il Signore e direi che lo implora. Don Benedetto, alzati nel nome di Dio e sii l'umile servo di Gesù crocefisso; con te e in te parlerà la sua parola viva di amore e di
sangue il Signore e sarà fiamma che arderà i cuori e le moltitudini e sarà luce che trarrà le anime. E aprirai una nuova, grande crociata, la crociata della Passione di Cristo: Su tutto e su tutti alziamo Gesù Cristo e Cristo crocefisso: non vi è altra salute e altra vita. Sí, Gesù vuol regnare, ma a ligno; si, Gesù vuol vincere, ma nell'amore; vuol trionfare, ma nella misericordia. E poi ti consumerai stretto all'Agnello, assistito dalla Santa Madonna. Su, virilmente, caro don Benedetto; io ti prego per l'amor di Cristo crocifisso e da umile servo suo; e bisogna far presto, ché il cuore del Signore è squarciato e grida perché è soffocato; e sarà un bene grande per la santa Chiesa e per la nostra Italia: Il tempo è breve; e non vi è altra salute che alzare sui popoli Gesù Cristo e Gesù crocifisso. Su, virilmente; levati con ardore e apri la nuova crociata, che Dio sarà con te: mura la tua pietra nel monte della Chiesa e alzavi su il Crocefisso e chiama a Lui tutti con parola evangelica che sia fuoco e luce di pietà per le anime... (Da lettera a don B. Galbiati del 6-XII-1937, in Sparpaglíone, Lettere, op. cit., pp. 227 ss.).
8. Alla scuola di Cristo (...) Non vi è altra scuola per noi, né altro Maestro, né altra cattedra che la croce. Vivere la povertà di Cristo, il silenzio e la mortificazione di Cristo, 1
l'umiltà e obbedienza di Cristo nella illibatezza e santità della vita: pazienti e mansueti, perseveranti nella orazione,
tutti uniti di mente e di cuore in Cristo; in una parola: vivere Cristo. E sempre lieti nel Signore, con gioia grande, diffondendo bontà e serenità su tutti i nostri passi e nel cuore di tutte le persone che incontriamo: sempre contenti, sempre alacri, tesoreggiando il tempo, ma senza troppo umana fretta: in ogni giorno, in ogni cosa, in ogni tribolazione, in ogni dolore, letizia grande, carità sempre e carità grande, sino al sacrificio; in ogni cosa solo e sempre Cristo. Gesù Cristo e la sua Chiesa, in olocausto di amore, in odore dolcissimo di soavità. Attuare in noi il santo Vangelo, applicare a noi Gesù Cristo, invocando ad ogni ora la sua grazia, e la grazia di vivere sempre piccoli e umili ai piedi della santa Chiesa romana e del Papa. (Da lettera del 22-X-1937 da Tortona; cf. Lettere, 11, pp,. 500 s.).
9. Lezioni di Nazareth Nella Palestina, e precisamente nella bassa Galilea, vi era una cittadina che non aveva per sé nessuna importanza, tanto che, quando l'Apostolo Sant'Andrea disse che di là doveva venire il Messia, risposero: Può venire qualcosa di buono da Nazareth? Ebbene, Nazareth fu il luogo santo, diremo così, la culla, che attirò lo sguardo della Santissima Trinità, e che raccolse tre grandissimi personaggi, vissuti là nel raccoglimento e nel duro lavoro... Nazareth è il luogo scelto dalla Provvidenza per l'abitazione della Sacra Famiglia: Gesù, Maria e Giuseppe! Guardiamo a questi tre personaggi, che formano la Sacra Famiglia e vediamo se la nostra famiglia che è per noi la comunità - ha in sé quei caratteri che si trovano nella famiglia di Nazareth. Quella è il modello; in quella c'è tutto ciò che ci vuole per noi. Prima di tutto c'è una lezione per
tutti i cristiani; la grande lezione della carità, dell'amore a Dio. Che amore grande essi portavano a Dio! Dio era la loro vita, non amavano che Dio, non parlavano, che di Dio, non operavano che per Dio- Dio era il movente di tutto! Maria e Giuseppe avevano per Gesù l'affetto più grande, perché in Gesù riconoscevano il Figliuolo di Dio. Essi operavano sempre per amore del Signore. L'amore del Signore deve essere anche per noi di guida in tutte le nostre azioni. Guardate voi, se questo amore dirige tutte le vostre azioni. Oltre l'amore di Dio c'era, in quella casa, la carità fraterna. Gesù amava Maria e vedeva in lei la Madre sua santissima; amava Giuseppe con amore di figlio e riconosceva a lui l'autorità stessa del suo divin Padre. Mai una parola offensiva, mai uno sgarbo, mai, e poi mai, atti poco caritatevoli. Era la famiglia dove regnava la pace e l'amore voluto tra noi dal Signore, l'amore santo. Anche questo amore vicendevole, quest'amore di compatimento deve essere fra di voi. In quella santa famiglia c'era l'amore di Dio e l'amore del prossimo! La vostra famiglia non sarà mai abbastanza modellata su questo esemplare. In questa famiglia si lavorava molto; anche nella vostra famiglia religiosa ci deve essere il lavoro continuo; non solo pregare, ma anche lavorare. La vostra è vita contemplativa e di lavoro insieme. Quando siete davanti al santissimo Sacramento, pregate, state tutte in Dio, non pensate a niente, perdetevi, per così dire, in Dio. Quando, però, operate, compite bene il vostro dovere, come e perché lo vuole il Signore. La famiglia di Nazareth è la famiglia della rassegnazione: quantunque santa, non pensate che essa non abbia avuto, appunto perché santa, delle afflizioni; fu la famiglia più provata sotto il torchio del dolore. Non vi lamentate, se avete dei dolori; basta che non siate voi la cagione di un rimprovero, basta che non facciate soffrire il prossimo; ma, quando voi
adempite il vostro dovere e tuttavia viene il dolore, rassegnatevi, perché viene da Dio! ... In quella famiglia si viveva nella santità, nel più schietto entusiasmo per il bene. Voi vivete e operate nella santità? Solo nella santità sta la vita religiosa, sta la vera pace; senza questa non si può far del bene, e tutto quello che facciamo non val niente, se essa non ci è di guida e norma. Queste sono le lezioni che la Sacra Famiglia ci dà in generale; ma ciascuno di questi tre personaggi ci parlano sublimemente, a loro volta, in particolare: Giuseppe, Maria e Gesù. La più grande figura è Gesù; eppure, in apparenza, è l'ultimo; quello che deve ubbidire a tutti. C'è un mistero, ma un grande mistero davvero in questo! Gesù Cristo, venuto per predicare la legge di Dio, fino all'età di 30 anni sempre ubbidisce, e non cerca di dar prova di essere qualche cosa, ma vuole insegnarci il modo con cui devono comportarsi le anime religiose. ( ... ) Dovete far la parte di Gesù, dovete sempre ubbidire. Non dovete mai trovar a ridire, a criticare, ma ubbidire con generosa soggezione, sempre, sempre e poi sempre. Guardiamo il modello che abbiamo in un Dio! Gesù che ubbidisce sempre!... Vi è poi san Giuseppe. Egli ci rappresenta chi in comunità, o in famiglia, deve dare gli ordini e vedere che nulla manchi per il buon andamento della famiglia o della comunità. Non perché i superiori siano migliori di voi dovete ubbidirli, ma perché hanno autorità da Dio. Voi non dovete vedere come vi comandano, chi vi comanda, o se chi vi comanda usa modi aspri, o non è atto a comandare: vi comanda Iddio. Come Gesù, riconoscete l'autorità nei superiori. Anche Iddio non mandava l'angelo a Gesù o a Maria, ma a san Giuseppe. Il Signore prende e mette superiore di una casa chiunque crede. Avranno difetti, voi non dovete vederli; è superiore e basta! ...
E da Maria che cosa dobbiamo imparare? Dovete avere della casa quella cura che aveva Maria Santissima. Maria vigilava, stava attenta su tutto, aveva gli occhi aperti, perché tutto procedesse bene e nulla mancasse, anche nelle piccole cose che servivano ad allietare di più la vita di Gesù e di san Giuseppe. ( ... ) Dovete portar nelle cose tutto l'impegno e operare avendo cura di tutto, di non sprecare niente, di non rompere, che niente vada a male; anche se la roba non è nostra, dovete averne cura, perché la roba della comunità è roba di Dio. Avete la custodia dei poveri vecchi? Quando siete coi vecchi, diportatevi con grande carità, come se doveste curare i vostri genitori; anzi, mi par già di avervelo detto, metteteci tutta la vostra attività, come se aveste da curare i vostri. Quando poi avete da fare con le ragazze, dovete stare molto attente. Inculcate nelle ragazze l'amore alla preghiera; fate loro capire la necessità di pregare, perché di preghiera non sanno niente: entrano ed escono dalla chiesa senza capir niente. Che cosa importa che vengano in chiesa, se poi escono per andare a ballare o peggio? Insistete in bel modo, istillate loro l'amore alla preghiera, fate che preghino, e che capiscano che cos'è l'amore del Signore. Anche dove andrete, e nelle altre case, dite questo che sentite ora, e, se c'è qualche cosa che forse non va, scartatelo. Ripeto: è meglio far più poco e fare santamente; scartate, scartate, meglio un numero, meglio dieci numeri di meno. ( ... ) Quanti insegnamenti ci dà la famiglia di Nazareth. Impariamo: intanto voi considerate la vostra casa di San Bernardino, o qualunque altra casa, come la vera Nazareth, perché venga sopra di voi la benedizione del Signore! (Dai Discorsi, 10-1-1932; cf. Don Orione alle Piccole Suore..., op. cit., pp. 342 ss.).
II. « ANIME! ANIME! »
Anche questo è uno dei motti preferiti di Don Luigi Orione. Lo si trova, come un grido di battaglia, o meglio come un programma e un ideale di vita, in cima a quasi tutti i suoi scritti. Esprime l'anelito di una vita spesa completamente per gli altri, a far loro del bene, a servire, a salvare. Salvare le anime: ecco lo scopo della molteplice, instancabile, sovrumana attività di Don Orione; ecco l'eredità da lui lasciata ai suoi Figli; ecco l'essenza di quella missione che Cristo affldò alla sua Chiesa. Don Orione fu chiamato giustamente, per questa sua ansia di salvare tutti: « venator animarum », cacciatore di anime. Avrebbe voluto salvarle tutte, specialmente le più dimenticate, le più lontane, le più perdute. Andò loro dietro, le cercò con passione, le attrasse dolcemente alla sua carità, e quindi a Cristo. Ci fu persino chi vide in questo suo prodigarsi dietro i lontani d'ogni specie, quasi una connivenza con l'errore. E da questo sospetto dovette difendersi. Ma Don Orione, pur di salvare un'anima sola, avrebbe accettato dal buon Dio di esser messo sulla bocca dell’inferno... 1. Anime e anime! (…) Noi non guardiamo ad altro che alle anime da salvare. Che se una preferenza la dovremo fare, la faremo a quelli che ci
sembreranno più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti. Anime e anime! Ecco tutta la nostra vita, ecco il nostro grido, il nostro programma, tutta la nostra anima, tutto il nostro cuore: anime e anime! (Da lettera ad un sacerdote del 5-VII1-1920, da Tortona; cf. Lettere, 1, pp. 249-250).
2. Sete di anime Di questa celebre pagina così ha scritto don Giuseppe Zambarbieri, che fu il terzo successore di Don Orione: « Il brano è stato raccolto da me nella primavera del 1939. Don Orione aveva buttato giú forse il frutto di una sua meditazione, i fogli poi erano rimasti sul suo tavolo a lungo. Visto che non gli servivano e non li usava, li avevo dati come ricordo a mio fratello, don Angelo (poi vescovo di Guastalla) sapendo che li avrebbe graditi molto e custoditi gelosamente» (cf. Messaggi di Don Orione, n. 10, p. 11, Roma 1971). E don De Luca: « ... un foglio in ottavo, scritto sulle quattro facciate, a piena pagina, e tumultuariamente, con molto uso di a capi, sviste evidenti, qualche cancellatura e giunte nell'interlinea. Che cosa in tendesse Don Orione, io non so, né sa l'amico o almeno non me l'ha detto. Traccia di discorso, non pare; e poi, quella data in parentesi fa pensare a notazione intima. Che sia uno scritto per altri, non pare nemmeno: tante confidenze di sé, non le avrebbe mai fatte. Noi crediamo queste quattro pagine il residuo sulla carta d'un'ora di preghiera; il tentativo di salvare, con l'inchiostro e in ombra, un ricordo di affetti, un passaggio di luce, un segno di momenti carichi esplosi nel silenzio e caduti poi quietamente, come cade una sera tra gli alberi in campagna ». (Giuseppe De Luca, Don
Orione: Piccola Opera della Divina Provvidenza, Tortona 1963, p. 70). Non saper vedere e amare nel mondo che le anime dei nostri fratelli. Anime di piccoli, anime di poveri, anime di peccatori, anime di giusti, anime di traviati, anime di penitenti, anime di ribelli alla volontà di Dio, anime di ribelli alla S. Chiesa di Cristo, anime di figli degeneri, anime di sacerdoti sciagurati e perfidi, anime sottomesse al dolore, anime bianche come colombe, anime semplici pure angeliche di vergini, anime cadute nella tenebra del senso e nella bassa bestialità della carne, anime orgogliose del male, anime avide di potenza e di oro, anime piene di sé, che solo vedono sé, anime smarrite che cercano una via, anime dolenti che cercano un rifugio o una parola di pietà, anime urlanti nella disperazione della condanna o anime inebriate dalle ebbrezze della verità vissuta: tutte sono amate da Cristo, per tutte Cristo è morto, tutte Cristo vuole salve tra le Sue braccia e sul Suo Cuore trafitto La nostra vita e tutta la nostra Congregazione, deve essere un cantico insieme a un olocausto di fraternità
universale in Cristo. Vedere e sentire Cristo nell'uomo. Dobbiamo avere in noi la musica profondissima e altissima della carità. Per noi il punto centrale dell'universo è la Chiesa di Cristo e il fulcro del dramma cristiano, l'anima. o non sento che una infinita, divina sinfonia di spiriti, palpitanti intorno alla croce, e la croce stilla per noi goccia a goccia, attraverso i secoli, il sangue divino sparso per ciascuna anima umana. Dalla croce Cristo grida: « Sitio! ». Terribile grido di arsura, che, non è della carne, ma è grido di sete di anime, ed è per questa sete delle anime nostre che Cristo muore. lo non vedo che un cielo; un cielo veramente divino, perché è il cielo della salvezza e della pace vera io non vedo che un regno di Dio, il regno della carità e del perdono, dove tutta la moltitudine delle genti è eredità di Cristo e regno di Cristo. La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé
a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente, moralmente deformi, ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi. Ponimi, o Signore, sulla bocca dell'inferno perché io, per la misericordia tua, la chiuda. Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, di tutte le anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine. Amore delle anime, anime, anime! Scriverò la mia vita con le lacrime e col sangue (25-2-1939) L'ingiustizia degli uomini non ci affievolisca la fiducia piena nella bontà di Dio. Sono alimentato e condotto dal soffio di speranze immortali e rinnovatrici. La nostra carità è un dolcissimo e folle amore di Dio e degli uomini che non è della terra. La carità di Cristo è di tanta dolcezza e sí ineffabile che il cuore nol può pensare, né dire,
né l'occhio vedere, né l'orecchio udire. Parole sempre affocate, soffrire, tacere, pregare, amare, crocifiggersi e adorare. Lume e pace di cuore. come agnello mansueto. Salirò al mio calvario Apostolato e martirio: martirio e apostolato. Le nostre anime e le nostre parole devono essere bianche, caste, quasi infantili, e devono portare a tutti un soffio di fede, di bontà, di conforto che elevi verso il Cielo. Teniamo fermo l'occhio e il cuore nella divina bontà. EDIFICARE CRISTO! EDIFICARE SEMPRE! PETRA AUTEM EST CHRISTUS! 3. Alla testa dei tempi A meglio riuscire a salvare anime, bisogna pur saper adottare certi metodi, e non fossilizzarci nelle forme, se le forme non piacciono più, se diventano, o sono diventate, antiquate e fuori uso. Facciamo cristiana la vita; facciamo cristiana l'anima degli orfani e dei giovani a noi affidati: questo è ciò che Iddio e che
la Chiesa chiedono da noi. E adoperiamo tutte le sante industrie, tutte le arti píú accette e più atte per arrivare a questo! Anche quelle forme, quelle usanze, che a noi possano sembrare un po' laiche, rispettiamole, e adottiamole, occorrendo, senza scrupoli, senza piccolezze di testa; salvare la sostanza bisogna! Questo è il tutto. 1 tempi corrono velocemente e sono alquanto cambiati, e noi, in tutto che non tocca la dottrina, la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare a camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare. Per poter tirare e portare i popoli e la gioventù alla Chiesa e a Cristo bisogna camminare alla testa. Allora toglieremo l'abisso che si va facendo tra il popolo e Dio, tra il popolo e la Chiesa. (Da lettera al sac. Carlo Pensa, suo secondo successore, da Tortona, 5-V111-1920; cf. Lettere, I. pp. 250 ss.).
4. Un olocausto di amore Il rinnegamento di noi è nel fare continuo sacrificio, fare della nostra vita un olocausto di amore, felici di offrire le nostre pene, i nostri dolori al Signore, in espiazione dei nostri peccati e per dar gloria a Dio e salvare le anime, se il Signore ci destina a fare un po' di bene con la sua santa grazia. (Dai Discorsi, 2-X-1927; cf. Don Oríone alle Piccole Suore---, op. cit., p. 294).
III. LA SFIDA DELLA FEDE
La più grande utopia è l'uomo ad una sola dimensione, l'uomo tutto terrestre, orizzontalista, chiuso al divino. Don Orione, come tutti i santi, del resto, osa capovolgere la prospettiva in cui si muove l'uomo scientista, materialista, autosufficiente, e colloca la fede e una illimitata fiducia in Dio come criterio base della sua attività. L'à d'ove la umana preveggenza, la prudenza terrena suggeriscono calcoli, statistiche, preventive precauzioni, Don Orione sostituisce la «Divina Provvidenza» - da cui trasse il titolo per la sua famiglia religiosa -, ossia un'illimitata confidenza nella bontà di Dio. E quando, verso la fine della vita, il panorama delle sue istituzioni gli attirava ammirazione e proclamazioni di stima da tutto il mondo, egli continuava a dire, quasi supplicando per essere creduto: « Noi siamo nulla, siamo un nulla » (Lettere, II, p. 237). E ancora: « E’ Dio che fa, non noi, che siamo miserabili strumenti, buoni soltanto a guastare i piani della Provvidenza » (cf. Don Orione, 1, p. 380). E’ la sfida di Don Orione.
I. Fede!
Guai a noi, se non avremo fede e gran fede! La fede è ]a base di tutto l'edificio: l'anima che deve dar vita e far camminare. La Sacra Scrittura dice che l'uomo giusto vive di fede. La fede in Dio, che tutto vede e tutto dispone, in Dio che ci è padre, in Dio che è la Provvidenza da cui prendiamo spirito e nome, ingrandisca, o miei fratelli, i nostri cuori e sia il più grande balsamo e conforto della nostra vita. La 1fede, una viva fede, ci farà sempre contenti in qualunque momento, in qualunque circostanza. Le armi della fede sono tante e potentissime, ma una d, le più efficaci è la fiducia in Maria SS., nostra Madre: basta essa sola, la Madonna benedetta, a sostenerci e a farci trionfare, insieme con Nostro Signore, col suo divin Figlio Gesù Cristo. Fede! Fede! Fede! (Da lettera del 12-V111-1936, da Buenos Aires; Lettere, II, pp. 416 s.).
2. O Divina Provvidenza! O Divina Provvidenza, o Divina Provvidenza! Nulla è più amabile e adorabile di Te, che maternamente alimenti l'uccello dell'aria e il fiore del campo: i ricchi e i poverelli! Tu apri le vie di Dio e compi, i grandi disegni di Dio nel mondo! In Te ogni nostra fiducia, o Santa Provvidenza del Signore, perché tu ci ami assai più che noi amiamo noi stessi! No, che col divino aiuto, non Ti voglio più indagare: no, che non ti voglio più legare le mani: no, che non ti voglio più storpiare; ma solo voglio interamente abbandonarmi nelle tue braccia, sereno e tranquillo. Fa' che Ti prenda come sei, con la semplicità del bambino, con quella fede larga che non vede confini! « Fede, Fede, ma di quella... », di quella del Beato
Cottolengo, il quale trovava luce dappertutto, e vedeva Dio in tutto e per tutto! - Divina Provvidenza! Divina Provvidenza! Da' a me, povero servo e ciabattino tuo, e alle ani-me che pregano e lavorano in silenzio e sacrificio di vita intorno ai poverelli, da' ai cari benefattori nostri quella latitudine di cuore, di carità che non misura il bene col metro, né va con umano calcolo: la carità che è soave e dolce, che si fa tutta a tutti: che ripone la sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri silenziosamente: la carità che edifica e unifica in Gesù Cristo, con semplicità e candore. O santa Divina Provvidenza! Ispiratrice e madre di quella carità che è la divisa di Cristo e dei suoi discepoli: anima Tu, conforta e largamente ricompensa in tetra e in cielo quanti, nel nome di Dio, fanno da padre, da madre, da fratelli, da sorelle agli infelici. (20-V1-1927, in un foglietto volante; cf. Papasogli, op. cit., pp. 350 s.).
3. Più fede! PIU’ FEDE! Fratelli, non siamo spiriti scoraggiati: abbiamo fede, più fede! Che cosa manca un po' a tutti, a noi tutti, oggi, per adoprarci, nel nome di Dio e in unione con Cristo, a salvare il mondo e ad impedire che il popolo si allontani dalla Chiesa? Che cosa ci manca perché la carità, la giustizia, la verità non siano vinte, e non rientrino nel seno di Dio, maledicendo all'umanità, che avrà rifiutato di dare il suo frutto? Ci manca la fede! « Se aveste della fede soltanto come un grano di senape, ha detto Gesù, voi trasportereste le montagne, e niente vi sarebbe impossibile » (cf. Mt. 17, 20). Fede, fratelli, più fede!
Chi è di noi, che crede si possano trasportare le montagne, guarire i popoli, far predominare la giustizia nel mondo, far risplendere la verità allo spirito umano, unire nella Vita di Cristo tutta la terra? Dove sono questi credenti? Più fede, fratelli, ci vuole più fede! Manca la fede in quelli che bisogna salvare, e la fede manca, talora - ah, con quanto dolore dell'anima lo dico-, manca o langue assai la fede in me e pur in altri di noi che vogliamo o crediamo di voler illuminare e salvare le folle. Siamo sinceri. Perché non sempre rinnoviamo la società, perché non abbiamo sempre la forza di trascinare? Ci manca la fede, la fede calda! Viviamo poco di Dio e molto del mondo: viviamo una vita spirituale tisica, manca quella vera vita di fede e di Cristo in noi, che ha insita in sé tutta l’aspirazione della verità, e al progresso sociale; che penetra tutto e tutti, e va sino ai più umili lavoratori. Ci manca quel1a fede che fa della vita un apostolato fervido in favore dei miseri e degli oppressi, com'è tutta la vita e il vangelo di Gesù Cristo. ( ... ) La preghiera che è necessario fare è questa: « O Signore, accresceteci la fede! » (cf. 17, 6). (Febbraio 1919; cf. Don Orione nella luce di Maria, III, pp. 1368-1369).
4. La fede Oggi ho riletta la lettera dell'Apostolo Paolo agli Ebrei, lettera che ben può chiamarsi la lettera della Fede, perché l'Apostolo vi fa un mirabile elogio della Fede. Dopo aver concluso il capo X, dicendo che « il giusto dalla Fede attingerà la vita », entra, con pensiero profondo, a definire la Fede, e per tutto il capo XI canta la Fede dei
maggiori e la vita di fede degli antichi Padri. E subito comincia: « Fede è sostanza di cose sperate, argomento di non vedute ». Da Paolo ha preso Dante, e alla lettera ha preso, lui, il divino cantore della Fede: « Fede è sostanza di cose sperate, et argomento delle non fallenti ». La nostra Fede, fatta Potente contro ogni battaglia, divenuta il più grande e divino conforto della vita umana, essa è la più alta ispiratrice di ogni valore, di ogni santo eroismo, di ogni arte bella che non muore, di ogni vera grandezza morale, religiosa e civile. Onde Dante la dice « cara gioia », e base granitica « sopra la quale ogni virtù si fonda ». E’ la nostra Fede che ha cantato con Dante, con Tasso, col Manzoni: dipinse con Giotto, Raffaello, col Beato Angelico: scolpì col Michelangelo e col Canova, navigò con Colombo, e ci fa cittadini non vili. Ma lasciamo queste umane divagazioni, e torniamo alla parola ispirata di Paolo. « E’ per la fede, egli ci dice, che riconosciamo esser creati i secoli dalla parola di Dio ». Sicchè il fiat creatore dell'universo, solo, dalla Fede vien fatto manifesto: « non da parventi son venute le visibili cose ». Per la Fede, per la virtù della Fede, Abele offerse a Dio un sacrificio più degno di Caino, onde Dio rese testimonianza ai suoi doni, e, morto, ancora parla. - Per la Fede Enoch non vide la morte, e fu accetto a Dio. E qui l'Apostolo soggiunge: «Senza la Fede è impossibile riuscire accetti a Dio. Per la Fede Noè andò preparando l'Arca. Per la Fede Abramo obbedì di muovere per un paese che doveva ricevere in retaggio, e si mosse non sapendo dove andava: per la Fede stette pellegrino sotto le tende, e così Isacco e Giacobbe, coeredi della divina promessa, aspettando la città dai saldi fondamenti. E Iddio si chiamò Dio loro, per la loro fede ».
Ma l'Apostolo continua: « Per la Fede Abramo, messo alla prova, offerse Isacco, lui al quale era stato detto: "In Isacco ti sarà riconosciuta una grande progenie", ritenendo che anche da morte Dio poteva risuscitarglielo. Per la Fede Isacco diede la più ampia benedizione di futuri beni. Per la Fede Giacobbe, morente, benedisse a ciascuno dei figli di Giuseppe, e nello spirito di Fede adorò, curvo, sulla cima deI suo bastone. Per la Fede Giuseppe, vicino alla fine, ricordò, profeticamente, l'uscita dei figli d'Israele. Per la Fede Mosè rinunziò al nome di una Figlia di Faraone, ed elesse piuttosto d'essere afflitto insieme col popolo di Dio, e più che i tesori d'Egitto riputò maggior ricchezza l'obbrobrio di Cristo. Per la Fede celebrò la pasqua e l'aspersione del sangue. Per la Fede Mosè e il popolo eletto traversarono il Mai Rosso, come per terra asciutta. Per la Fede le mura di Gerico crollarono ». Poi S. Paolo aggiunge: « E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo a raccontare di Gedeone, Barack, Sansone, Iefte, Davide e Samuele e i Profeti ». Oh, con quale ardore di Fede il grande Apostolo delle genti ricorda ed esalta i campioni della Fede! « Con la Fede, egli aggiunge, debellarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, turarono fauci di leoni, spensero violenze di fuoco, scamparono da colpi di spada, rinvigorirono da malattie, si mostrarono forti in guerra, misero in fuga eserciti nemici. Altri poi morirono fra le torture, rifiutata la liberazione per avere la sorte di migliore risurrezione: conobbero, a prova, altrui ludibri e flagelli, e di più catene e prigioni. Furono sottoposti ad ogni sorta di tormenti e lapidati, bruciati, segati, trafitti, morirono di spada: altri andarono raminghi, in pelli di pecora, di capra, mendichi, oppressi, afflitti: essi, di cui non era degno il mondo, errarono pei deserti e sui monti e nelle spelonche e caverne della terra ». Fin qui San Paolo.
Ecco la fede dei Padri, la Fede dei Martiri: ecco i nostri esempi, i nostri modelli! Leviamoci i calzari, e, in umiltà grande, in ardore di Fede e di amore grande e santo accostiamoci ad Essi: sono i nostri Maggiori, sono i nostri Fratelli di Fede e di carità imitiamoli, imitiamoli: gettiamoci con loro, fidando nel Signore! Se non vivremo di Fede e di carità, di che vivremo noi, o miei figli? E come oseremo dirci ancora Figli della Divina Provvidenza, se non vivremo di Fede, di quella Fede onde vive l'uomo giusto, di quella Fede grande che, occorrendo trasporta le montagne? « Ubi est Fides vestra? ». Deh! che Gesù mai abbia a rivolgerci il rimprovero rivolto ai Discepoli, impauriti dalla tempesta! La nostra Fede riposa in Lui e nella sua infinita bontà e misericordia: Egli è il Dio e il Padre nostro, è il Signore che sempre ci conforta in ogni nostra tribolazione, è il Padre, grande e buono, che ci affanna, suscita, se abbatte, consola, e «non turba mai la pac, de' suoi figli, se non per darne loro una più grande ». … Come l'oro si prova al fuoco e l'amore coi fatti, così la fede si prova con le opere di misericordia, si prova nei cimenti e immolazioni interne, personali: si prova nei cimenti e combattimenti esterni e pure nei vilipendi e persecuzioni. Ma per la Fede, le persecuzioni e i vilipendi, anziché essere cagione di separarci da Cristo, saranno invece, accrescimento di vita cristiana, di vita veramente di abnegazione, di perfezione religiosa, di soda virtù, di verace amore a Dio ed agli uomini, di unione a Gesù ed alla sua Chiesa. Oh, non finiamo, o miei cari, di ringraziare e di benedire il Signore pel dono della Fede, e supplichiamolo che ce la accresca ogni dì più.
Specie in questi tempi, osserviamo tutte le cautele, e qui parlo particolarmente ai giovani Sacerdoti ed ai Chierici- per conservare la fede e conservarla pura ed incontaminata: la purezza della fede è cosa preziosa che va anteposta a tutte le altre. E’ la Fede in Dio e nella Sua Chiesa che ci mantiene l'animo tranquillo e sereno, che ci fa sempre contenti in qualunque luogo e circostanza l'obbedienza ci pone. – E’ la fede che ci toglie di quaggiù e ci solleva, direi, là dove Dio medesimo vede le cose, e si in alto ci sublima, che, le basse, volubili e vane cose e i così detti beni di questa misera terra, si direbbe che si cangino quasi interamente: allora ben si capisce il « vanitas vanitatum et omnia vanitas, praeter amare Deum et Illi soli servire ». Oh, quanto si comprendono, allora, le espressioni di Nostro Signore ai discepoli, quando diceva loro: « Non vi mando ai gaudi temporali, ma ai combattimenti, non ad onori, ma ai vilipendi, non ad ozio, ma a fatiche, ai sacrifizi, non a riposo, ma a riportare molto frutto nella pazienza ». Tutto è possibile a chi crede, a chi sta fermo e umile nel Signore, in ginocchio ai piedi della Chiesa e di Chi la rappresenta. Oh, ben vengano, dunque, e molte e grandi, le esperienza della Fede, e Dio tutti ci assista ad attuare in noi virilmente, santamente, la Fede! Sorretti dalla mano del Signore, confortati dalle benedizioni della Sede Apostolica, dei vescovi non si turberanno, , no, i nostri cuori. Le prove, le sofferenze, prese dalle mani di Dio non faranno che sopraccrescere la nostra Fede, o miei figli: essa arderà di nuovo ardore, risplenderà di nuova luce, e sarà vita e calore spirituale a noi, sarà vita e luce di Cristo a turbe di poveri fanciulli d'ogni stirpe e colore, ed a moltitudini immani di operai e di popoli straviati da Cristo.
Coraggio, o miei figliuoli, ché l'avvenire è di Cristo e di chi vive di Fede, di Fede operosa nella verità e nella carità, sino a morire sino all'olocausto, a salvezza dei fratelli. Coraggio, e avanti nello spirito di Fede e di fedeltà, di pietà soda, ignita: dilatiamo il cuore alla più grande fiducia, al più dolce amore di Dio e del prossimo. Dalla Fede sgorga la vita! Non in parole è il regno di Dio, ma in possanza di fede e di carità in Cristo. Spazziamo via, in questi Santi Esercizi, il vecchio lievito, purifichiamo la nostra vita, vestiamo l'usbergo della Fede, e saremo benedetti, più che i figli di Abramo. Quando in Cristo fummo battezzati, allora abbiamo rivestito Cristo: ora in Cristo Gesù tutti siamo figli di Dio, per la Fede. E i beni stessi che noi speriamo, cioè la Vita eterna, noi li aspettiamo dalla Fede, per la grazia dello Spirito Santo. Siamo dunque forti nella Fede, ed esercitiamola con le opere della carità. « Estote fortes in Fide ». « Non turbetur cor vestrum», ha detto Gesù. Credite in Deum et in me credite... non turbetur cor vestrum, neque formidet. Parole di sicurezza e di tenerezza ugualmente divine! “Estote fortes in Fide!”. Perseveranti nell'orazione, saldi nella Fede, piccoli e umili ai piedi della S. Chiesa, Madre della nostra Fede e delle nostre anime attendiamo tranquilli, serena, l'ora di Dio. Il Si,more che con la Sua Mano ha asciugato tante nostre lacrime, convertirà in gaudio ogni nostra tristezza: abbiamo fede! (Da lettera del 24-VI-1937, da Buenos Aires; Letlere, 11, pp. 453 ss.).
5. Prima regola: Il Vangelo Prima nostra regola sia la osservanza del santo Evangelo. Ma per osservare il Vangelo è, anzitutto, necessario
conoscerlo: conoscerlo bene e poi, con l’aiuto di Dio, viverlo il santo Vangelo, viverlo nello spirito e nella forma: - solo così saremo veri cristiani e poi saremo veri religiosi, se seguiremo Gesù anche nei suoi consigli Evangelici della perfezione. Noi siamo cristiani in quanto imitiamo la vita e viviamo la dottrina di Cristo, e saremo, veri religiosi se vivremo la vita perfetta, consacrata interamente al Signore ed alla Chiesa, con i santi voti, rinunciando generosamente a noi stessi ed alle cose del mondo, abbandonati nelle mani di Dio e dei nostri superiori. E affinché l'Evangelo meglio si possa conoscere e osservarlo, è bene sia impresso nelle nostre menti, e non solo a pezzi e bocconi. Onde vi raccomando, o miei cari, la lettura assidua e lo studio del santo Evangelo. Ecco perché la Imitazione di Cristo ci dice sin dal primo Capitolo: « sia nostro sommo studio meditare nella vita Gesù ». E non dice meditare la vita, ma nella vita di Gesù, cioè entrare nell'intimo e vivere della vita di Gesù. Noi dobbiamo, dunque, avere il Vangelo sempre davanti agli occhi della mente e portarlo nel cuore, viverlo. (Da lettera del 10-VIII-1935, da Buenos Aires; cf. Lettere, 11, p. 278).
6. Fede nella tribolazíone Fondiamo dunque tutta la nostra confidenza e il nostro coraggio nel nostro caro Padre celeste, nel nostro Dio grande e buono, sempre buono e sempre Padre! In noi, più che suoi servi, suoi figli, non deve entrare alcuno scoraggiamento e neppure alcuna tristezza e, peggio, avvilimento. Siamo tutti nelle mani del Signore: vogliamo amare e servire il Signore, e che si compia in noi la sua santa volontà, sorretti e affidati alla sua grazia, stando in ginocchio ai piedi di Marla SS., nostra grande Madre consolatrice, ma anche e sempre ai piedi della
Santa Chiesa, Madre della nostra fede e delle nostre anime. Di che temeremo noi? Il Signore sta sempre vicino a quelli che lo amano, che desiderano amarlo e servirlo, da sani e da malati, sempre e sempre più fedelmente, da buoni soldati di Cristo, e vogliono, con Gesù e per Gesù, vivere a faticare in amore santo di carità, di sofferenze, di consumazione di noi stessi, divina ostia, divino olocausto nella volontà di Dio, nella carità di Gesù Cristo. Questo è che piace a Gesù: si vive morendo e si fatica dolorando e immolandosi per il Papa, per la Chiesa, per la santificazione del clero, per le anime, per la conversione dei peccatori, per la conversione degli infedeli, per la pace del mondo, per chi piange, per chi soffre delle umane ingiustizie, per tutti, per tutti: per vincere il male col bene! A gloria di Dio! Figliuoli miei, il Signore vi stia vicino, è vicino a tutti che lo amano, che desiderano di amarlo. Vi sta vicino e tiene conto d'ogni vostro dolore morale e fisico, e mette ogni vostra pena nelle mani materne della santa Madonna, la quale vi leva i difetti, le scorie delle vostre debolezze, le vostre deficienze, e poi le rioffre, le vostre pene, a Gesù, in riparazione nostra e dei fratelli, a salvezza di mille e mille anime, ogni giorno e ogni ora, e per quante anime soffrono ed espiano laggiù, nel secondo regno, anelando di gettarsi di Nostro Signore. Su animo, cari figliuoli! E siate fin lieti di soffrire: voi soffrite con Gesù Crocifisso e con la Chiesa; non potete fare nulla di più caro al Signore ed alla SS. Vergine: siate felici di soffrire e di dare la vita nell'amore di Gesù Cristo. L’esempio dei Santi vi animi. Beati quelli che patiscono qualche cosa, che dolorano nello spirito e nel corpo, nel nome e per l’amore di Gesù Cristo! Da lettera a due chierici ammalati, da Tortona, il 21 -VIII-1939; cf. Lettere, op. cit., pp. 241 s.).
7. Noi siamo nulla
Noi siamo nulla, siamo un nulla, ma la cognizione del nostro nulla e la cognizione di Dio, la fede e la fiducia piena in Dio ci daranno una vita superiore, un aiuto, un coraggio, una grazia da diventare, nella mano di Dio e della Chiesa, dei santi e degli apostoli; e tutto faremo e a tutto riusciremo in gloriam Dei: « Omnia in gloriam Dei », ha detto S, Paolo (cf. 1 Cor. 10, 31). Viviamo da umili, da pii, da buoni religiosi, e la Divina Provvidenza si servirà di noi, suoi stracci e suoi figli, per la gloria di Dio e per dare grandi consolazioni al Papa e ai vescovi, e guadagnare anime. Se verranno tribolazioni e persecuzioni, benediciamone il Signore: esse vengono a noi come a servi del Signore, per nostra emendazione e purificazione, e non per nostra perdizione. Noi cerchiamo di stare con Dio e con la Chiesa, umilissimi sempre; riposiamo nelle braccia della Divina Provvidenza, come il bambino sul seno di sua madre. (Da lettera del 2-V111-1935, da Buenos Aires; Lettere, 11, pp. 237 ss.).
8. Una piccola parola Fiat! P- una piccola parola, dolce ricovero innalzato dal buon Dio in mezzo a questo deserto sí arido e difficile d'attraversare, che si chiama la vita. Fiat! esprime l'atto del fanciullo che si getta con amore sul seno del padre finché passa l'uragano: l'atto del povero abbandonato che, dopo lunghi anni di vita triste e solitaria, ritrova la sua madre; l'atto dell'esiliato che, ricondotto sotto il tetto della sua infanzia e rivedendo commosso tutto ciò che egli ha amato, non sa altro ripetere che: Io qui voglio morire!
Fiat! Pronunciatela questa parola, cuori spezzati dalla sofferenza e dalla lotta, o straziati dalla sofferenza dei vostri píù cari, e sarà per voi un balsamo che vi guarirà. Fiat! Pronunciate questa parola, cuori rattristati dalla solitudine, scoraggiati per l'abbandono, e sarà per voi l'amico che consola, l'appoggio che sostiene! Fiat! Pronunciate questa parola, cuori timidi, che siete incerti sulla strada da scegliere e non sapete a chi indirizzarvi, e per voi sarà luce che vi mostrerà il cammino. Fiat! Pronunciate questa parola, o voi che volete allontanare che amate il timore che li agita od il male che li minaccia,ed essa li ospiterà sotto le sue ali, e l'uragano passerà senza toccarli. Fiat! Pronunciate questa soave parola, o figli e amici miei, pronunciatela ad ogni respiro, ad ogni battito del cuore, ad ogni movimento delle labbra. Dio la comprenderà sempre nel modo in cui volete che egli la comprenda, ora come preghiera, ora come atto di fede, nel dubbio, come atto di speranza, nel timore, e sempre come atto di amore. Fiat! Questa parola non si può dire che a Voi, o mio Dio, perché a Voi solo possiamo pienamente confidarci, dedicarci, abbandonarci interamente. Fiat! Nelle vostre mani dunque, nelle vostre mani, o mio Dio! Fiat!! Fiat! in questi giorni di mortale tristezza, io ve la grido dal fondo dell'anima desolata, m'inabisso in questa parola suprema con tutto ciò che più amo: Fiat! Fiat!
Lavorate, lavorate questo fango, o mio Dio, dategli una forma e poi spezzatela ancora: essa è vostra e di chi fa per Voi, e non avrà mai più nulla a ridire. O quanti sforzi, o Signore, per arrivare sino a questo punto! Quanto di umano si è dovuto abbattere e calpestare! Ora vi ringrazio da profondo del cuore! Fiat! Fiat! Sofferente, innalzato, abbassato, utile a qualche cosa od inutile a tutti, io vi adorerò sempre e sarò sempre vostro, o mio Dio! Nessuno mi staccherà da Voi! Nelle gioie e nei dolori sarò sempre tuo, o dolcissimo mio amore Gesù. Solitario ed ignorato, come il fiore del deserto, errante come l'uccello senza nido, sempre, sempre, Signore e Amore soavissimo dell'anima mia, uscirà dalle mie labbra la parola sottomessa di quella che mi hai dato per Madre: Fiat! Fiat! Sia fatto di me secondo la tua parola! (Dall'articolo su « Piccola Opera della Divina Provvídenza », del 3-1X-1899).-
IV CARITA! CARITA! CARITA! Don Orione fu definito « il pazzo della carità ». E Pio XII, appresane la morte, lo additò al mondo come « il grande apostolo della carità,, il padre dei poveri, il benefattore dell’umanità dolorante e abbandonata. Tutti gli ideali, tutte le imprese, tutte le opere di Don Orione convergono verso questo centro: la carità. E le pagine più belle sulla carità Don Orione le ha scritte soprattutto con la vita Ci appare cosí immediatamente la dimensione più spiccata della carità di Don Orione: la concretezza, l'universalità, la delicatezza, la lungimiranza. Amore concreto il suo: le opere che ha lasciato ne sono irrefragabile testimonianza. E quanto avremmo qui da imparare noi, abituati, oggi, a parlare tanto d'amore ma cosí restii a fare le opere dell'amore! Amore universale: nessuno si sottrae al fuoco cbe brucia nel cuore di Don Orione: i malati nel corpo e nell'anima, i vicini e i lontani, i poveri materialmente e i poveri nello spirito… Amore delicato: quello che, manzonianamente, ti fa accetto il dono del soccorso, del servizio. Certamente, Don Orione non fece pesare il suo amore, su nessuno; nemmeno sugli eretici, i lontani, i persecutori… Amore lungimirante: Don Orione ha aggiornato per sempre la sua opera quando ha detto che i suoi Figli si sarebbero dovuti dedicare a tutte « quelle opere di Fede e di carità che, secondo i bisogni dei paesi e dei tempi, piacesse alla
Santa Sede di indicarci, come più atti a rinnovare in Gesù Cristo la società ». Anche oggi, soprattutto oggi vorremmo dire, c'è bisogno di gente che sappia amare cosí... 1. La carità … Santa Caterina da Siena, della quale abbiamo celebrata pure l'altro ieri, lasciò scritta questa sublime e profonda espressione: « Con carità fraterna vivete caritativamente (Lett. CCIII) e mi pare volesse dire: che la carità degli atti esteriori e interiori e delle accoglienze fraterne in Gesù Cristo dev'esser tale da formare la CARITA della vita. … La carità divina vince tutto, « e aumenta le forze dell’anima, dice l'Imitazione di Cristo, cioè, le virtù, perché essa è madre di tutte, e dà vita ad ogni opera buona, che è secondo il Cuore di Dio, e ci sostiene nel lavoro e nel nostro facchinaggío per le anime. … Santa Caterina da Siena in uno dei suoi inni alla Carità, esce con queste parole, piene della luce di Dio: « O Carità piena di letizia, tu sei quella madre che nutri i figli delle virtù al petto tuo. Tu sei ricca sopra ogni ricchezza, intanto che l’anima , che si veste di te, non può essere povera. Tu le doni la bellezza tua». « I doni della natura - dice il santo abate di Vercelli, Giov. Gersenio, al Cap. 45 del III libro dell'Imitazione di Cristo - sono comuni ai buoni e ai malvagi; ma dono proprio degli eletti è la grazia, ossia la Carità » e, più sotto, dice ancora: « tanto gran cosa ella è questa grazia che dono di profezia, né far miracoli, né qualsiasi più sublime contemplazione, non valgono punto senza di Lei. E neppure la fede, la speranza, le altre virtù sono accette a Dio, se non accompagnate dalla Carità ».
Non vale né vírtù, sine Charitate et Gratia: la Grazia è il dono dei doni, la Carità è delle virtù la regina. Per questo non acquietiamoci, finché non ci sarà dato di avere in noi e di vedete fiorire nei nostri fratelli e nelle nostre case la santa Carità fraterna che al dire di san Paolo, « è vincolo di perfezione ». Se possederemo questa vera e perfetta Carità del Signore, non cercheremo punto noi medesimi, ma solo desidereremo tutto che è gloria di Dio e della sua Chiesa, e che tutto si faccia, non a gloria nostra, ma a maggior gloria del Signore. La Carità « non quaerit quae sua sunt, sed quae lesu Christi » scriveva ai Corinti l'Apostolo, e l'Imitazione di Cristo, con frase non meno viva dice che chi ha Carità « in nulla re se ipsum quaerit » (Lib. 1, Cap. XV). E santa Caterina da Siena: « Colui che è arso e consumato di questa Carità, non vede sé ». Non ama il proprio contento, né vuol godere di sé e in sé, come fa l'egoista il quale non vede che se stesso e il comodo suo e il suo avvenire, mq invece chi ha Carità desidera di vivere per gli altri e consumarsi per gli altri nell'amore dolcissimo di Gesù Crocifisso, e null'altro vuole che di beatificare tutti in Dio. « O qui scintillam baberet verae cbaritatís, profecto omnia terrena sertiret plena fore vanitatis! ». Chiediamo alla Madonna SS. che è Madre del celeste e divino amore, che dia alla anima nostra una grande fiamma di amore di Dio, di vera Carità del Signore, tale che ci stringa tra noi inseparabilmente e nella vita e nella morte, nel divino servizio della Chiesa e delle anime. Che ci stringa tra noi e con tutti anche nel soffrire i difetti dei nostri fratelli e del prossimo, con forte e diuturno esercizio di pazienza. Carità anche con noi stessi (non tolleranza o debolezza del male, o colpevoli accondiscendenze in noi di ciò che non è virtù, ma forse indolenza e tiepidezza di vita
religiosa), carità con noi stessi nel sopportare il i i nostri propri difetti. Noi viviamo in un secolo che è pieno di gelo e di morte nella vita dello spirito: tutto chiuso in sé stesso, nulla vede che piaceri, vanità e passioni e la vita di questa terra, e non più. Chi darà vita a questa generazione morta alla vita di Dio, se non il soffio della carità di Gesù Cristo? La faccia della terra si rinnovella al calore della primavera; ma il mondo morale solo avrà vita novella dal calore della carità. Noi dobbiamo dunque chiedere a Dio non una scintilla di carità, come dice l'Imitazione di Cristo, ma una fornace di carità da infiammare noi e da rinnovellare il freddo e gelido mondo, con l'aiuto e per la grazia che ci darà il Signore. Avremo un grande rinnovamento cattolico, se avremo una grande carità. Dobbiamo però incominciare ad esercitarla oggi tra di noi: a coltivarla nel seno dei nostri Istituti,che debbono essere veri Cenacoli di carità. Nemo dat, quod: non daremo alle anime fiamme di vita, foco e luce di carità, se prima, non ne saremo accesi noi, e molto accesi. La carità deve essere il nostro slancio e il nostro ardore, la nostra vita: noi siamo i garibaldini della carità di Gesù Cristo.Niente più mi spiace che adoperare quel nome in cosa sì santa e sì pura, sí divina, ma lo fo onde più esprimermi. La causa di Dio e della sua Chiesa non si serve che con una grande Carità di vita, e di opere: non penetreremo le coscienze, non convertiremo la gioventù, non i popoli trarremo alla Chiesa, senza una grande Carità, e un vero sacrificio di noi, nella Carità di Cristo. V'è una corruzione, nella società, spaventosa; vi è una ignoranza di Dio spaventosa: vi è un materialismo, un odio spaventoso: solo la Carità potrà ancora condurre a Dio i cuori e le popolazioni, e salvarle. Ma ogni moto non giova, o poco giova se non ci impadroniremo della gioventù, delle scuole e della stampa:
bisogna prepararci con grande amore di Dio e riempirci il petto e le vene della Carità di Gesù Cristo, diversamente faremo nulla: apriremo un solco profondo se avremo una profonda carità. Che avrebbe mai fatto san Paolo senza la Carità? Che avrebbe fatto san Vincenzo de Paoli senza la carità? Che avrebbe fatto san Francesco Saverio senza la carità? Che avrebbe fatto il Cottolengo senza la carità? Che avrebbe fatto il ven.le Don Bosco? Nulla. Nulla. Nulla senza la carità! Senza la carità non avremmo né gli Apostoli né i Martiri né i Confessori né i Santi. Senza la carità non avremmo il sacerdozio che è missione e frutto insieme e fiori di divina carità. Ed è lo spirito di Dio che è spirito di celeste carità che deve portarci a curare nel giovani le sante vocazioni religiose ed i futuri sacerdoti perché tante scuole, tante rinnovazioni di anime di popoli e di opere non fioriscono che per il sacerdozio e per la vita religiosa. Che faremo noi, che veniamo vecchi e già siamo quasi logori, se non avremo dei continuatori? lo ci penso dí e notte e non gemo tanto sulle umane miserie, quanto nel vedere la crisi che vi è nella Chiesa in fatto di vocazioni. Ah, san Vincenzo de Paoli si è venduto per riscattare uno schiavo, e noi saremo indifferenti e freddi nel lavorare per dare alla Chiesa e alle anime dei buoni sacerdoti che continuino l'apostolato di Gesù Cristo: per dare alla nostra Congregazione dei figli e dei Santi che continuino le opere da noi iniziate per l'aiuto che Dio ci ha dato; e dei lottatori della fede nella carità a servizio della Chiesa e delle anime? … Il Signore non guarderà in noi secondo la nostra miseria e i nostri peccati nostri, ma secondo la grandezza della sua bontà e la moltitudine delle sue misericordie, ed esaudirà la preghiera di noi suoi poveri servi se avremo e vivremo della sua carità e sotto la scorta della sua grazia, ci guiderà per la via della pace e del sacrificio di noi ai piedi di questa sua
santa Chiesa di Roma, che è la Madre nostra e la Madre dei viventi; e benedirà il Signore e santificherà i nostri passi i passe della Congregazione nostra, e la porterà con la benedizione celeste a stendere le tende di Dio, e i confini stessi della terra diventeranno la nostra abitazione se saremo umili e fedeli figliuoli della Chiesa di Roma e vivremo della carità senza limite di Gesù Cristo, e solo cercando Gesù Cristo e il suo regno, cioè le anime e le anime e le anime! Chi farà vivere e prosperare la Congregazione sarà la Carità, questo amore grande e dolcissimo e fortissimo insieme di Dio, della Sua Chiesa e delle anime. Iddio sarà sopra di essa, se in essa sarà lo spirito di Dio che è la Carità. La Congregazione e ciascuno di noi non deve vivere per se, ma per la carità e per la Chiesa di Roma che è il Corpo mistico del Signore e la Madre delle anime e dei Santi. Noi dobbiamo vivere ciascuno per noi, ma ciascuno per tutti i fratelli, nella Carità del Signore. Ci siamo uniti in Cristo per vivere ciascuno per tutti e non ciascuno per sé. Noi non Viviamo che per la Carità e per la Chiesa; solo così si è veri figli della Divina Provvidenza, e Dio vivrà in noi, se noi vivremo in lui e di lui, per la carità e l'unione alla sua Chiesa. (Da lettera del 2-V-1920, da Roma; cf. Lettere, 1, pp. 178 s.).
2. Il salmo della carità. E’ il salmo 132 (133) uno dei più brevi del Salterio, che don Orione viaggiando sul piroscafo Re Vittorio, sull’oceano Atlantico, commentò per i suoi figli d’Italia, datando il suo scritto 24 giugno 1922, anniversario del suo battesimo.
A gloria di Dio benedetto! Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum! Sant'Agostino, appunto nell'Enarratio in Ps. CXX, dice che la carità e unione fraterna fu la madre delle comunità religiose. E noi, Figli poverelli della Divina Provvidenza, tanto, per la grazia del Signore, lo sentiamo, che ogni anno, e nel riunirci e nel dividerci dopo i Santi Spirituali Esercizi, ci abbracciamo cantando a coro questo piccolo ma grande salmo, che celebra i beni della carità fraterna e le pure gioie della santa vita religiosa, e lo cantiamo, nel dividerci, non una, ma tre volte con dolcissime lagrime di amore e di dilezione purissima. Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum! Questa cara odicella, tutta spirante aure orientali, decanta, come ho detto, i pregi dell’amore fraterno, più anzi: i precipui beni e i vantaggi della carità, e di quella carità nella quale noi religiosi dobbiamo essere radicati et fundati, come vuole l'Apostolo. Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum! Come voi ben sapete, si compone, questo salmo, di soli quattro versetti, in ciascuno dei quali e segnalato uno dei quattro vantaggi della santa unione delle anime in Dio, della fratellanza cristiana e soavissima carità religiosa Essi sono: a) I'ineffabile dolcezza; b) il buon odore di edificazione; c) la spirituale fecondità; d) la copia di tutti i doni celesti, onde son benedetti da Dio i fratelli concordi, e le anime tutte che vivono della carità di Nostro Signore. E in prima: “ Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum ”. Oh, quanto buona e quanto gioconda cosa è il vivere dei fratelli concordi! E vedete che “fratelli” va inteso non unilateralmente, quasi si volesse parlare solo di noi uomini; ma di tutte le anime si parla, le quali vivano nell'armonia dello spinto, nella pace e concordia dei cuori, per l’amor di Dio benedetto. Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!
Vuol dire che vi hanno sulla terra delle cose buone che, per sé, non sarebbero gioconde, come la penitenza, i digiuni, l'abnegazione di sé e simili altre; e vi ha poi delle cose gioconde, che non sono buone, come tutti i piaceri cattivi, sensuali e morbosi; ma questa della carità scambievole è forse la sola virtù che è, tutt'insieme, buona e anche gioconda: ecce quam bonum et quam jucundum! Anzi, appena potremmo credere di trovarci in esilio, ma ci parrebbe di essere in patria, se non fosse mai turbata la carità e l'unione fra gli uomini: vi sarebbe un piangere con quelli che piangono, un godere con quelli che godono: un non sospettare di nessuno, un confidare di ciascuno in tutti e di tutti in ciascuno: un dare più frequente che il ricevere, o, più veramente, una comunanza che non ammetterebbe né il mio né il tuo - frígidum illud verbum -, e una unità di pensiero, di volontà, di parole, di gioie e di dolori, di timori e di speranze, che poco più ci rimarrebbe, quanto a ciò, a desiderare in Paradiso. Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum! Ma, a questo bene nostro, che è la soavità e la felicità della vita, il Salmista soggiunge un secondo vantaggio, che è quello della edificazione altrui. E gli odorosi olii sparsi sul capo di Aronne (come si legge nell'Esodo al Cap. XXX, 23-39 e nel Levitico, VIII, 10-12), - olii benedetti che colavano, ad Aronne, per la lunga barba fino allo estremo delle vestimenta figurano appunto il buon odore di edificazione, che di sé spandono intorno i fratelli concordi e tutte quelle anime di Dio e Comunità Religiose che umilmente avanzano nella fedeltà della loro vocazione, coltivando la pace e la fraterna unione e carità. “ Sicut unguentum in cápite, quod descéndit in barbam, barbam Aaron, quod descendit in oram vestimenti eius ” (versicolo 2° del Salmo). E chi non vede non poter essere che edificante una società, una comunità bella, forte e pacifica? Pace, forza e bellezza, che necessariamente provengono dalla concordia e dalla unione fraterna. L'unione, infatti, non è altro che unità nella molteplicità e forma la bellezza: onde Platone già diceva: pulchritudo únitas in varietate. E così in André: “ Essai sur le beau ”. Per questo, vedete, è lodata nelle Sante Scritture la bellezza dei padiglioni d'Israele, lo spettacolo di seicentomila guerrieri e di oltre due milioni di credenti distribuiti in dodici campi, che viaggiano in una immensa pianura, e si posano, e si ordinano sotto le armi e combattono e vincono, come un solo uomo, e costringono i loro stessi nemici ad ammirarli e ad esclamare: Quam pulchra tabernácula tua, Jacob, et tentória tua, Israel!
Oltre di ciò, I'unità nella varietà e molteplicità forma e mantiene la pace fra gli uomini. E un cuor solo e una anima sola, in una moltitudine e varietà di fedeli, è ciò che viene celebrato negli Atti degli Apostoli. E questo il fatto che nei primordi della nostra Santa Chiesa edificava maggiormente i Gentili, i quali dicevano: - Vedete i cristiani come si amano! Essi sarebbero pronti a morire uno per l'altro. - Così riferisce l'antico scrittore cristiano Tertulliano nell'Apologetico. In un'ardente giornata del secolo IV dell'era cristiana, un soldato romano entrava con la sua legione in Tebe d'Egitto. Egli era di famiglia pagana, e chiamavasi Pacomio. I suoi compagni, spossati dalla fatica e dalla fame, già cominciavano a cadergli d'intorno, quand'ecco dalle case e dai vicini recinti uscire uomini, donne, fanciulli, che, mossi a compassione, recavano soccorso e, con sollecitudine delicata e paziente, chi medicava le ferite e chi forniva cibi e vivande per ristorarli. Pacomio domandò chi fossero quegli ignoti benèfici, e gli fu risposto che erano cristiani. Nella notte Pacomio non dormì, meditò e pianse. Egli sentì che entrava in una grande e divina luce, in una grande e divina onda e vita di dolcissima e di sovrana Carità. Sentì Pacomio che solo Dio, “ che tutto di sé riempie ”, è conforto dell'anima e vera letizia e felicità del cuore. Si sentì affascinato da Dio e pur libero in Dio della più alta libertà dei Figli di Dio, e che Cristo-Dio era nato in lui, era vivo entro di lui, ardeva nel suo petto: Cristo era stato in lui edificato dalla carità di quei cristiani, di quei fratelli concordi nella carità del Signore. Cristo sorgeva dalla carità, ed era carità. Comprese Pacomio che, dall'umanità del vero e dalla vera Fede, nasceva quell'unione cristiana degli animi e da questa il desiderio vivo d'essere agli altri di benedizione: sentì il suo spirito quanto sia vero ciò che il pio Autore della Imitazione di Cristo avrebbe poi scritto, da umile figliuolo di San Benedetto, parecchi secoli dopo, che “ Nil altum, nil magnum, nil gratum, nil acceptum, nisi Deus, aut de Deo sit ”, - e che una scintilla di carità vera vale ben più che tutte le cose terrene, piene di vanità. “ O qui scintillam habéret verae charitatis, profecto omnia terrena sentíret plena esse vanitatis! ” (Imit. Christi, Lib. I). Pacomio quella notte non dormì: Gesù gli stava nel petto: lo aveva tratto da un abisso di tenebre ad una luce. ad una vita nuova e divina: Gesù lo chiamava a Sé con la dolcissima e celeste forza della carità. Onde Pacomio, non potendo più resistere, e pur liberamente volendo seguire Cristo, uscì dalla sua tenda ed, agitando la spada verso il Cielo, esclamò: O Dio dei cristiani, che insegni agli uomini a tanto amarsi l'un l'altro, anch'io voglio essere uno dei tuoi adoratori! Poco tempo dopo
quel soldato riceveva il battesimo, diventava poi un santo, e si univa al grande S. Antonio abate nel condurre alle solitudini dell'Egitto quelle schiere di solitari, che vi coltivarono per tanti anni le terre, l'industria e le lettere e, sovrattutto, la santità nella fraterna e dolce carità. Quell'anima guerriera, che non era mai stata domata dal ferro, era stata vinta dalla carità. Oh! com'è bella questa virtù! Il Paradiso stesso non sarebbe Paradiso senza carità, perché un Paradiso senza carità sarebbe un Paradiso senza Dio. Infine, nessuno ignora che l'unità nella molteplicità costituisce la forza, come di un popolo e di una società, così di un ceto e di una Comunità religiosa qualsiasi. Chi accresce la unione accresce l'amore verso i fratelli, che è vincolo dell'amore di Dio, e accresce la forza spirituale, e va a formare sempre più in Gesù Cristo un solo cuore e un'anima sola. Ma chi diminuisce la carità, diminuisce pure la forza del bene operare. La forza dei Religiosi sta nella unione, il cui vincolo è Gesù Cristo e la Santa Madre Chiesa, la Madre di Roma. Da questa nostra umile, filiale e fraterna unione noi sentiremo tutta la nostra forza: ci sentiremo come l'esercito di Dio bene ordinato: ci sentiremo, ed effettivamente saremo l’esercito del Signore formidabile ai nemici di Lui ed invincibile. Vis uníta fórtior, dicevano già gli antichi, mentre il Vangelo dice. renum in se divisum desolabitur. Ma chi mai di noi vorrà essere debole e più diviso da Cristo, perché non così unito santamente e intimamente dalla carità ai suoi fratelli? Chi vorrà essere un debole e un separato nella carità dopo che Nostro Signore ci ha dato il nuovo grande comandamento: “ Amatevi gli uni gli altri ”? Anzi dopoché disse: “ Com'io v'ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri ”. Dopo che pur aggiunse: “Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli: dall'amore che avrete gli uni per gli altri”? (Giov. XIII, 34-35). Dunque, come la carità si vede che è il precetto del Signore, il precetto proprio di Cristo, così lo spirito del Signore non solo è spirito di unione di carità, ma è sorgente di forze morale e spirituale; e anche il Santo Patriarca Benedetto parla, nella Regola, di questa forza divina, che separa dai vizi “ et ducit ad Deum et ad vitam eternam ”, onde vuole che i Monaci “ zelum ferventissimo amore exérceant”; vuole che “ caritátem fraternitatis caste impéndant” (Cap. 72). Ma una società o comunità bella e forte, dove vive la dolce concordia dei cuori e la pace non può non essere cara e desiderabile, di edificazione a tutti, come, per contrario, sarebbe sempre di malo esempio, e fin dispregevole presso tutti, una associazione o comunità religiosa debole, disordinata e dilacerata da discordie intestine.
E qui ponete ben mente e attenzione che il Salmista non senza ragione somigliò questo odore di edificazione non a una fragranza qualunque, benché squisitissima, sì bene alla fragranza degli unguenti, onde fu consacrato il sacerdozio di Aronne, perché l'amore santo e scambievole, di cui parla il Salmista, non è che l'olio della divina carità, onde fu inunto il vero Aronne, cioè Gesù Cristo Signor Nostro. Quest'olio fluì sulla sua barba e gocciò fino al lembo della sua veste sacerdotale, poiché - dice acutamente Sant’Agostino - la barba di Nostro Signore Gesù Cristo sono gli Apostoli e i Martiri, essendo la barba segno di forza, di gioventù, di energia: “ illud primum unguentum descendit in Apostolos, descendit in illos qui primos ìmpetus saèculi sustinuèrunt ”. Quell'unguento di divina carità discese da Cristo negli Apostoli e discese in quelli che, primi, sostennero l'impeto del mondo contro il cristianesimo, contro la Chiesa nascente, cioè i Martiri. La veste poi di Gesù Cristo, come ognuno sa, è la Santa Chiesa universale, la Chiesa cattolica, che il nostro Manzoni sublimemente chiama “ Madre dei Santi ”, e unica conservatrice “ del Sangue incorruttibile ” di Cristo, cioè della Carità. Ora l’ultimo lembo di questa veste indivisibile di Cristo, che è la Chiesa, è il privato e più umile stato della rnedesima, che è il nostro stato religioso, cioè sono quelli che, per questa unzione della carità, si adunarono nelle Congregazioni Religiose e nei Monasteri. “Si neque a barba descendisset unguentum, modo monasteria non haberemus”. È sempre l'alta mente di Agostino. E vuol dire: se dagli Apostoli e dai Martiri non ci fosse fluito lo spirito della carità di Nostro Signore, né noi avremmo i Monasteri, né avremmo alcuna altra Comunità religiosa, perché la carità è stata ed è la madre delle Comunità. Ma la concordia e l'unione degli amici ci arreca un terzo vantaggio, che è la fecondità spirituale in ogni maniera di opere buone. A questa spirituale fecondità accenna il Salmista con la bella similitudine della rugiada, onde in Oriente si ricoprono, si rinfrescano e si giovano i monti soprattutto. “ Sicut ros Hermon, qui descendit in montem Sion ” (versetto 3 ). Le estive e fresche rugiade che, nei più caldi mesi della Palestina, cadono a fecondare i monti di Ermon e Sion, non sono che pallida immagine della spirituale fecondità delle anime dei fratelli uniti nel Signore, perché, ove sono anche solo due o tre riuniti neI Nome di Dio, Dio è in mezzo di loro e la mano di Dio è sovra di essi, e allora avviene che là, dove finisce la mano dell'uomo, là comincia la mano di Dio. E, infatti, è agevole a intendersi qual bene, e quanto grande, si può sperare
colà, ove si vive concordi e di un sol sentimento nel Signore, ed ove tutti vanno osservando la Regola nella carità, camminando diritti per la diritta via del Signore, e portati dallo spirito del Signore, là ove vigoreggi la carità di Cristo, ove fiorisca, sotto lo sguardo di Dio, I'amorevole concordia di molti buoni uniti in Domino. Come, per contrario, è troppo chiaro che niun'opera grande può condursi a buon termine, senza il concorso di molti. Ciò spiega l'ammirabile fecondità dei religiosi Istituti in ogni maniera di opere d'ingegno, di cuore e di mano. Aprite il Martirologio della Chiesa, e vedrete che forse una metà dei Santi, toltine i Martiri, si formarono nei Monasteri o nelle Comunità Religiose. Entrate nelle biblioteche e ditemi se vi ha ramo di scienze sacre e profane che non abbia avuto celebri scrittori religiosi, sia antichi che moderni; andate per tutte le parti del mondo, e contate il numero dei Missionari, di quegli eroi della Croce che portano per tutto il Vangelo di Cristo, che lo seminano nelle anime e nel cuore dei popoli e poi lo fecondano dei loro sudori sempre e, ben di frequente, del loro sangue. Ebbene, noi troviamo che la migliore e la più gran parte di loro è composta di religiosi spiritualmente fecondi e santamente fecondatori della loro vita stessa, come e ben più che le feconde rugiade di Ermon e di Sion: sicut ros Hermon, qui descendit in montem Sion. E il tempo nostro, mirando, in parecchi paesi, a disperdere questi uomini uniti e concordi, mostra, purtroppo, di non conoscere il dono di Dio, e si tira in capo le maledizioni dei monti di Gélboe, sui quali non cadono né piogge, né rugiada: “ Montes Gelboe nec ros nec plúvia véniat super vos ” (II dei Re, 1, 21). E di certo la copia delle divine benedizioni e l'abbondanza di tutti i doni celesti è promessa ai fratelli, cioè è dal Cielo promessa e data a tutti quelli che vivono nella carità del Signore, insieme uniti e concordi, il che è il quarto vantaggio della fraterna carità in Cristo: “Quòniam illic mandavit Dominus benedictionem et vitam usque in saeculum” (versetto 4 del salmo). E, infatti, noi, che possiamo fare noi, poveri uomini, senza la benedizione di Dio? Senza Dio, no che non si edifica, o si edifica sulla sabbia. “Nisi Dominus aedificàverit domum, in vanum lavoravèrunt qui aedìficant eam”. E anche il nostro Tasso, nella Gerusalemme Liberata, dice: “ Non edifica quei che vuol gli imperi - su fondamenti fabricar mondani... ma ben move ruine, ond'egli oppresso - sol costrutto un sepolcro abbia a sé stesso ”. Senza Dio non si unifica, non si edifica, ma si disperde, ma si ruina.
Ora, non sono benedetti da Dio che i fratelli consenzienti e uniti fra loro da amore e da carità scambievole; non sono e non saranno mai benedette da Dio che le anime, nelle quali è carità, che le Comunità religiose, dove vi è concordia, unione, pace, dove si vive, si respira, si alimenta e si diffonde, si irradia e entro e fuori lo spirito di Nostro Signore Gesù Cristo, che è carità: Deus Chàritas est! Quòniam illic mandavit Dòminus benedictionem! Il Vangelo non potrebbe parlare più chiaramente: “ Se due di voi consentiranno sulla terra, ogni cosa che chiederanno sarà loro accordata dal mio Padre che è nei Cieli ” (Matt. XVIII, 19). Ma, chi offre a Dio l'incenso delle sue preghiere, e ricorda che il fratello suo ha della ruggine in cuor suo contro di lui, vada prima a riamicarsi con lui, e poi venga ad offrire il sacrificio della sua preghiera ” (Matt. V, 23-26). E, dunque, evidente che Iddio non benedice che i fratelli e le anime concordi:“ Quoniam illic mandavit Dominus benedictionem ”. E notate che queste benedizioni di Dio non sono già come quelle di Mosè o di Giacobbe, che promettevano abbondanza di armenti e di biade e una terra stillante latte e miele; ma sono benedizioni ben più grandi e ben più alte, sono benedizioni di cielo e di vita eterna: quoniam illic mandavit benedictionem, et vitam usque in saeculum. Questo Salmo, infatti, pare sia stato composto perchè venisse cantato, in un trasporto di gioia, dagli Ebrei, reduci dall'esilio babilonese a Gerusalemme loro patria, ove doveva rifiorire l'antica fratellanza, e togliersi lo scisma tra Giuda e Israele. (cfr. Rosemuller, Scholia in Vetus Test. P. IV). Ma, checchè sia di ciò, il vero si è che molto più propriamente e con più sublime altezza di poesia e di santi affetti, vuol cantarsi questo Salmo dai fratelli uniti e da tutte le anime che, pur ancora sentendosi nell'esilio della terra, vogliono, però, camminare e, col divino aiuto, camminano, peregrinanti alla patria del Cielo, ove tutti i giusti saranno consummati in unum, come ha detto l'Apostolo Giovanni al Cap. XVII. E colà giunti, e accolti a festa dagli Angeli e dai Santi, cioè dai nostri Fratelli, che ci hanno preceduti da questa misera vita a vita beata, e accolti dai Martiri e dagli Apostoli del Signore, da quelli che a noi trasmisero la carità di Cristo Signore Nostro, e pur venendoci incontro la nostra Beatissima Madre, che è Regina Sanctorum omnium e la Madre del Dio e Signore e Redentore nostro Cristo Gesù, - tolti tutti i dispiaceri e i dissapori di questo misero mondo - con gli Angeli e con i Santi, con le Vergini, con i Confessori, con i Martiri, con gli Apostoli e con la Santissima Madre di Dio e nostra, perpetueremo quel Cantico per tutti i secoli: Usque in saeculum! Usque in saeculum!
Oh quanto, oh quanto mi è dolce il pensare che, ad ogni arrivo dei nostri fratelli, i quali dall'esilio torneranno alla patria celeste; che ad ogni arrivo di ciascuna delle anime a noi più care nel Signore, noi rinnoveremo nel Cuore stesso di Gesù, nostro Dio e nostro Padre dolcissimo, nostro sospiro, nostro Amore e vita nostra eterna, noi rinnoveremo gli antichi abbracciamenti, e, con lagrime di soavissima gioia e di santa felicità, canteremo a coro, sulle arpe degli Angeli, il cantico della nostra fratellanza spirituale e della carità: “ Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in Unum! cioè in Dio! ”. Unificati in Lui, che, avanti di patire e di morire per noi, per noi ha pregato, onde fossimo una sola vita con Lui: “ ut unum sint! ”. Oh sì, Gesù mio, che io anelo a cantarlo soavissimamente il cantico divino della tua carità; ma non voglio aspettare, no, a cantarlo entrando in Paradiso, ma, per la Tua infinita misericordia, ti supplico, o mio dolce Signore e Padre e Maestro e Salvatore dell'anima mia, che tu mi voglia pietosamente concedere di incominciare questo dolce cantico qui dalla terra; qui, o Signore, da questa amplitudine di acque e di cielo, da questo Atlantico immenso, che tanto mi parla della tua potenza e della tua bontà. Fà, o mio Dio, che tutta la vita mia sia un olocausto, sia un inno, un cantico sublime di divina carità e di consumazione totale di me nell'amore a Te, o Signore, ed alla Santa tua Chiesa, e al tuo Vicario in terra, e ai Vescovi tuoi e a tutti i miei fratelli. Che tutta questa povera vita mia sia un solo cantico di divina carità in terra; perché voglio che sia - per la tua grazia, o Signore - un solo cantico di divina carità in cielo! Carità! Carità! Carità! “ O amor di caritade, - perché m'hai sì ferito? - Lo cor tutto ho partito, - et arde per amore! ” Fa, o Gesù, che una scintilla di questo divino foco, che ardeva nel petto dei tuoi Santi, che struggeva in amore di carità Francesco d'Assisi, il quale fu “tutto serafico in ardore”, discenda a me e a tutti i fratelli miei, o Amore Gesù, e perpetuamente e dolcissimamente in Te solo ci unisca e ci dia vita e benedizione! Che da Te, o Gesù, Amore e Vita mia; da Te Crocifisso, o Signore mio; da Te Eucarestia, da Te Carità Infinita, da Te Capo e divina Misericordia, venga e copiosa si diffonda su di me peccatore e su tutti i miei fratelli: - si diffonda come la luce del sole che tu fai piovere sulla testa dei buoni e sulla testa dei cattivi: - come il sole e ancora e ancora e ancora più si diffonda su tutti l'onda della tua carità, che tutti ci purifichi e ci pervada e ci trasformi, onde, immersi in Te, o mio Dio, - in un oceano di carità ben più immenso che questo oceano, su cui vado navigando e donde a voi scrivo, in un oceano infinito di luce e di splendori, che ci farà ben più gloriosi che non i monti di Ermon e di Sion -
cantiamo in eterno le misericordie del Signore, e siamo eternamente benedetti dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo! Quoniam nobis mandavit Dominus benedictionem, et vitam usque in saeculum! Fiat! Fiat! Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in Unum! E pregate per me povero peccatore, e vogliate, nella vostra carità, pregare sempre! E Dio ve ne ricompensi! Dal Piroscafo “ Re Vittorio ”, in viaggio dal Brasile all'Italia, il 24 giugno 1922, festa di San Giovanni Battista e 50° anniversario del mio Santo Battesimo, attraversando oggi la linea dell'Equatore. A gloria di Dio Benedetto.
3. L'inno della carità Don Orione mandò in Italia questo testo stupendo, inciso sii disco - cosa rara per quel tempo! -, di modo che i suoi Figli e i suoi amici italiani potessero sentire la sua viva voce. Quel disco e quella voce si conservano ancor oggi, e non possono essere riascoltati senza un'indicibile commozione. … « Charitas Christi urget nos ». Noi siamo dei servi inutili, ma è la carità, l'amore di Cristo e dei fratelli che ci anima, che ci spinge e ci incalza. Sia gloria a Dio! Oggi vorrei essere un poeta ed un santo per cantare i1 più bell'inno che si possa cantare sulla terra: l'inno della carità. E che io, italiano e sacerdote, voglia cantare questo inno, non vi sembri strano, Fratelli, poiché io vorrei fare echeggiate quaggiù quella melodia che risuona nei cieli. Oh, chi ci darà l'inno dell'umanità redenta da Cristo, l'inno della carità? Vi fu già un uomo che cantò quest'inno e ne scrisse le più belle e più alte parole, dopo averlo attuato nella sua vita: san Paolo. Ed egli poteva ben cantarlo questo inno, così conie l'ha cantato, poiché nessuno più di lui lo sentì vibrare nel suo cuore, nessuno ha sentito più di lui l'amore di Gesù Cristo e dell'umanità; e gli echi di quella divina poesia sono giunti fino a noi, poiché, a partire da Cristo la religione diventò ispiratrice di carità e con lei è talmente congiunta che Cristianesimo senza carità non sarebbe che un'indegna ipocrisia. L'Evangelo insegna che non possiamo aver pace coli Dio se siamo in discordia col prossimo, e san Giovanni scrisse: Non ami Dio che non vedi, se tu non amerai il fratello che vedi.
La carità è il precetto proprio di Cristo; egli ha detto: In questo si conoscerà se siete miei discepoli se vi amerete a vicenda. Non vi è niente di più caro al Signore, che la carità so il prossimo e specialmente verso le anime. Anime e Anime! Oh, la carità di quel san Francesco d'Assisi che fu tutto serafico in ardore! Oh, la carità che affocava il cuore di Vincenzo de' Paoli e del Cottolengo, il padre degli infelici! Dio è carità, e chi vive la carità, vive Dio. La carità ci edifica e unifica in Cristo, la carità è paziente e benigna, è soave e forte, è umile, illuminata e prudente, compatisce gli altrui difetti, gode del bene altrui, Me la sua felicità nel fare del bene a tutti, anche ai nemici, si fa tutto a tutti,, è onnipossente e trionfatrice di tutte le cose. Un giorno Gesù, chiamando gli eletti alla sua destra, dirà loro: Venite, o benedetti dal Padre mio, avevo fame e avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero nudo e mi avete vestito, ero orfanello e mi avete accolto. Meravigliati di tal lode, domanderanno: O Signore, quando mai ti abbiamo fatto tutto questo? Cristo risponderà: Tuttoo quello che avrete fatto ai miei poveri ed ai miei miniimi per l'amor mio, l'avrete fatto a me. Il nostro Dio è un Dio appassionato di amore, Dio, ci a più che un padre ami il suo figlio, Cristo. Dio non ha esitato a sacrificarsi per amor dell'umanità. Nel più misero degli uomini brilla l'immagine di Dio. Chi da al povero, dà a Dio ed avrà dalla mano di Dio la ricompensa. Oh ci mandi la Provvidenza gli uomini della carità! Come un giorno dalle pietre Dio ha suscitato i figli di Abramo, così susciti la legione e un esercito, l'esercito della carità, che colmi di amore i solchi della terra, pieni di egoismo, di odio, e calmi finalmente l'affannata umanità.
Già troppo odiammo, ha cantato pure il Carducci, amiamo. Siamo apostoli di carità, soggioghiamo le nostre passioni, rallegriamoci del bene altrui come di bene nostro; in cielo sarà appunto così, come ce lo esprime anche Dante con la sua sublime poesia. Siamo apostoli di carità, di amore puro, amore alto ed universale, facciamo regnare la carità con la mitezza del cuore, col compatirci, coll'aiutarci vicendevolmente, col darci la mano a camminare insieme. Seminiamo a larga mano sui nostri passi, opere di bontà e di amore, asciughiamo le lacrime di chi piange. Sentiamo, o fratelli, il grido angoscioso di tanti altri nostri fratelli, che soffrono e anelano a Cristo; andiamo loro incontro da buoni Samaritani, serviamo la verità, la Chiesa, la Patria, nella carità. FARE DEL BENE A TUTTI, FARE DEL BENE SEMPRE, DEL MALE A NESSUNO, e come il sole innonda della sua luce l'universo, così sulla nuova grande Italia, purificata dalle sètte e stretta alla Chiesa, splenda bello il sole della gloria, in una effusione ineffabile della carità di Cristo, e, spezzate le catene di popoli ancora barbari e schiavi vedan le genti raggiare la tua fronte, o Roma, che sola non conosci la confusione delle lingue, e vivano la carità nella cristiana e civile luce della vita nuova. (Da Buenos Aires, marzo 1936; cf. Lettere, 11, pp. 327 ss.).
4. Portare gli uni i pesi degli altri Alter altèrius ònera portate: Portate volentieri il peso l'una dell'altra! ... (Gal. 6, 2). Che ci vuol dire con queste parole l'Apostolo san Paolo? Vuol dire che, per arrivare al Signore, noi dobbiamo avere in cuore la carità! Noi, in questo mondo, non siamo soli, ma siamo in compagnia di altre anime, che
dobbiamo, amare, aiutare, santificare; e tutto questo si ottiene con la carità, che si compendia nei due comandamenti così detti della carità: primo: Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore; secondo, che è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso, per amor di Dio. Chi è il nostro prossimo? Quello che ci sta più vicino. Bisogna amare tutti gli uomini, è vero, e questo è amore teorico; ma l'amore pratico è dimostrare amore e carità a chi ci sta vicino. lo non vi dico che non dobbiamo amare chi sta in Sicilia, in Calabria, in Francia, nell'Africa; dovete pregare per tutti, amare tutte le anime in Nostro Signore! Ma il « nostro prossimo » sono più specialmente coloro che ci sono più vicini. Disse bene uno scrittore cristiano: - Come volete che amino gli uomini coloro che li guidano tanto fuori?... - Noi diciamo: come volete che amino tutti gli uomini coloro che si dicono pieni di carità, di filantropia per tutti, e poi sono la disperazione della loro famiglia? Fuori sono tutto amore, tutta pietà, e nelle loro case sono diavoli. Le parole di san Paolo ci dicono, di sopportarci scambievolmente, di portare il peso l'uno dell'altro: dunque, compatitevi a vicenda! ... Senza difetti non c'è nessuno a questo mondo! Compatitevi, amatevi, sopportatevi; così osserverete la legge di Cristo, sarete care a Dio, virtuose, perfette, per quanto è possibile esserlo a questo mondo. Il Vangelo ci avverte pure: « Non siate come coloro che vedono la paglia nell'occhio del loro fratello, e non vedono il trave che hanno nel loro » (cf. Mt, 7, 3). Il Signore ancora ci dice: « Se sei ai piedi dell'altare per immolare la vittima e ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia l'altare, va' a fare pace con tuo fratello, poi torna sull'altare » (Mt. 5, 23-24). Amatevi sempre con carità fraterna con la carità vera di Gesù Cristo; e non tramonti mai il sole sulla vostra ira! ... Vuol dire che, se avete avuto qualche cosa con una vostra sorella, non passi il giorno senza che abbiate chiesto scusa.
Dobbiamo, in questo, essere come i bambini; guardateli: essi vanno in collera, magari si picchiano e, dopo un momento, giocano ancora insieme. San Giovanni dice che non dobbiamo volerci bene soltanto con la lingua, cioè a parole, ma con le opere di carità cristiana (cf. 1 Gv. 3, 18). Edificatevi una con l'altra, dandovi buon esempio; e poi, se vedete che qualcuna non va bene, avvisatela a quattr'occhi, con carità, dicendo: - A me pare così e così... Se lo facessi io e voi mi avvisaste, ve ne sarei riconoscente; io mancherò più di voi certamente... Pregherò per voi; se vorrete aiutarmi, vi sarò grata di quel che farete per me ... ; forse, io vedo la pagliuzza che è nell'occhio vostro... e non vedo, forse, la trave che è nel mio... - Così dovete parlare alla sorella! Se essa vi dà ascolto, benedetta lei!... Se no, benedette voi! Queste mortificazioni, fanno del bene! Potreste forse credervi qualche cosa di grosso, mentre non siete nulla! proprio nulla! Nella Santa Scrittura si legge: - Il fratello, aiutato dal fratello, diventa una città fortificata, inespugnabile, che resiste ai nemici (Prov. 18, 19). ( ... ) Quante volte avrete già udito quel che dice san Luca, negli Atti degli Apostoli -che, come sapete, è uno dei libri, di cui si compone il N. Testamento -: san Luca, che era anche medico e scrittore, scrive che i primi cristiani si amavano tanto, e tanta era la benevolenza che regnava tra loro: - La moltitudine dei primi cristiani - egli dice - era un cuor solo ed un'anima sola (Atti, 4, 32). Ed erano certamente i santi Apostoli che non cessavano di raccomandare che si amassero tra di loro. E così i cristiani erano invidiati dai gentili, dai pagani, fra i quali regnava sempre la discordia ed il malumore. Sicuro! I pagani avevano il diavolo addosso! Quando Nostro Signore fu alla fine della sua vita, nell'ultima cena, non cessò di raccomandare ai suoi discepoli che stessero uniti, che si amassero scambievolmente, ed, alzando gli occhi e le mani al Cielo, pregò così: - Padre, che
questi siano una cosa sola con me, come tu ed io siamo una cosa sola (Gv. 17, 11)! Si legge, nei Commentari di san Girolamo, che san Giovanni, il più giovane degli Apostoli - che fece anche da figlio alla Madonna, nei dodici anni circa che Essa sopravvisse a Gesù, e che fu poi gettato in una caldaia d'olio bollente e ne uscì illeso, e, infine, fu mandato in esilio, dove scrisse l'Apocalisse, e mori vecchissimo -, ebbene, si legge che san Giovanni evangelista, essendo in Efeso, dove aveva fondato la Chiesa efesina, vecchio cadente, si faceva portare alle assemblee, che vuol dire nella chiesa dove i primi cristiani si radunavano, felici di aver con loro l'ultimo discepolo del Salvatore, essendo san Giovanni sopravvissuto a tutti gli altri! ... E lo pregavano di dar loro qualche ricordo, di dire loro qualche cosa; ed egli: - Figliolini miei, amatevi l'un l'altro. Ed un'altra volta, in una festa, avutolo ancora in mezzo a loro, lo pregarono ancora allo stesso modo, ed ebbero la stessa risposta: - Fígliolini miei, amatevi l'un l'altro. - E così per varie volte, finché, un giorno, gli dissero: Ma, santo Apostolo, perché ci dite sempre la stessa cosa? Ed egli a loro: - Perché questo è il precetto del Signore: se fate questo, tutto è fatto: se anche moveste il cielo e la terra, e non aveste la carità, l'amor del prossimo, tutto sarebbe inutile! ... In Paradiso non ci si va che con l'innocenza e con la penitenza, perché anche la penitenza è carità, è amor di Dio, che ci porta a mortificare noi stessi per andare più vicini a Dio. Tutti abbiamo dei difetti, e, chi dice di non averne, ne ha più degli altri! E’ come quei malati che stanno per morire, e che hanno tanto male e non lo sentono più... Non siate scontrose, permalose!... Non siate di quelle suore, che, quando sono riprese od avvisate di qualche loro difetto, mettono su un muso lungo una spanna, e nessuno le può più avvicinare, né parlar loro... Sappiate compatirvi a vicenda, sopportarvi per amor di Dio e, quando vi capita
qualche umiliazione, qualche contrarietà, ringraziatene il Signore, che vi dà il mezzo di evitare il Purgatorio e guadagnarví il Paradiso! (Dai Discorsi, 11-1X-1917; cf. Don Orione alle Piccole Suore, op. cit., pp. 82 ss.).
5. Non ci sono confini La carità ha sí gran braccia da non vedere né monti, né mari, non confini o barriere di nazionalità, ma tutti ci « conglutina », come la Scrittura si esprime che avvenne dei cuori di Gionata e di Davide, e di tutti noi fa « un cuore solo ed un'anima sola », per la vita e per la morte, e oltre! - perché nella carità si vive di Dio e l'uomo si eterna! Vi ha gaudio invero più sentito, vi è più alta e spirituale consolazione, vita più sublime, pace e felicità più grande che la santa carità del Signore e Dio Nostro Gesù Cristo? Oh!, com'è dolce questo volerci bene in Gesti Cristo e per Gesù Cristo! Com'è bello e vitale questo vicendevolmente amarci nell'amore sovrannaturale a Gesù Cristo e al Papa, come da noi, poveri Figli della Divina Provvidenza, ci amiamo. … O Signore, fate che siamo una cosa sola con Voi, che tutti siamo sempre con Voi, nel vostro cuore adorabile! Tenga Iddio, per la divina virtú del nome suo benedetto, tenga sempre più salda la nostra minima Congregazione nella concordia e carità fraterna: in quella carità che genera la fiducia scambievole, che rende facile e dolce la religiosa convivenza e comunanza: che dà cuore di padre ai superiori, e ai più piccoli e giovani fratelli cuore di figlioli, poiché «questo è il comandamento mio - ha detto il Signore -che vi amiate insieme com'io ho amato voi » (Gv. 15, 12).
Si che anche di noi, mancandoci ogni altra lode, almeno possa dirsi come dicevasi dei primi cristiani: « Vedete come si amano! ». Amarci dobbiamo, ma nel Signore, perché questo è l'amore che vuole e piace al Signore: amarci l'un l'altro ed amare ognor più Gesù Cristo e il Papa. (Da lettera « Strenna natalizia » 1922, da Tortona 8-X11-1922; cf. Lettere, 1, pp. 446 ss.).
6. spirito di unione Lo spirito del signore è spirito di unione e di carità, e la forza di noi religiosi sta nell'unione il cui centro è Cristo, e il cui vincolo è il Vicario di Cristo, il Papa. Se saremo tutti indivisibilmente uniti da un grande, da un inestinguibile amore a Dio, in noi e fra noi, formeremo un esercito formidabile ai nemici di Dio ed invincibile; e Iddio sarà con noi, benedirà e prospererà le opere nostre. ( ... ) Io prego Iddio ogni giorno perché intensifichi in me ed in voi lo spirito religioso, onde viviamo in modo degno della vocazione che abbiamo ricevuta « con tutta umiltà, con mansuetudine, con longanimità, sopportandoci gli uni gli altri con amore, studiandoci di conservare l'unità dello spirito col vincolo della pace », come scriveva san Paolo agli Efesini (Ef. 4, 3). (Da lettera dell'11-X1-1921, dal Sud-America; D. Sparpaglione, Lettere, op. cit., p. 114).
V. PER LA CHIESA E PER IL PAPA
E’ stato giustamente osservato che Don Orione si comprenderebbe, si, senza la sua molteplice carità in servizio del prossimo, senza i suoi poveri, ma non si comprenderebbe senza il suo sviscerato amore alla Chiesa e al Papa. Difatti, uno dei primi nomi che balenò alla mente del Fondatore per qualificare la sua fondazione fu appunto « Compagnia del Papa », dove sì sente l'eco dello spirito battagliero del Fondatore dei gesuiti, con la nota distintiva di un ardentissimo amore per il Papa, « il dolce Cristo in terra ». L'amore di Don Orione al Papa ha espressioni così vibranti, così enfatiche, talvolta persino esagerate (per es.: «Tutto il mondo solo da Lui, il Papa, "vice di Dio in terra” ( ... ) avrà vita salvezza e gloria ». Lettere, I, p. 312), che non si può fare a meno di rimanere stupiti. Non sarà fuor di luogo annotare che tale amore e le sue espressioni vanno collocati nel clima storico, sociale, teologico in cui fiorirono nel suo cuore e sul suo labbro. Quello che rimane perenne ed attualissimo, in tale caratteristica della spiritualità orionina, è la fedeltà senza limiti alla Chiesa, al Papa, ai vescovi, in quello spirito di comunione piena, di cui oggi . si . avverte la urgente necessità. Anche in questo, e soprattutto in questo, Don Orione ha da trasmetterci il suo messaggio.
1. Il suo primo programma appena abbozzato Perché Nostro Signore G,esú Cristo designò propriamente nel Beato Apostolo Pietro chi doveva farsi servo dei servi di Dio, e su lui fondò la Sua Chiesa, e a lui commise l'unità del governo visibile che avvicinasse sempre più gli uomini a Dio, e, per la assistenza dello Spirito Santo, diede in lui ai suoi successori sino, alla fine dei secoli le parole infallibili di vita eterna - onde riuscire allo scopo della Redenzione, che è rinnovare in Gesù Cristo tutto l'uomo * tutti gli uomini, e il regno sociale di Gesù Cristo: “instaurare omnii in Cristo”, il nostro minimo Istituto che, per bontà del Signore, sorse sotto la denominazione di Opera della Divina Provvidenza, riconoscendo nel Romano Pontefice il cardine dell'opera della Divina Provvidenza nel mondo universo, siccome in lui venera il successore del Beato Pietro, il Vicario in terra di Nostro, Signore Gesù Cristo, questo ha per fine suo precipuo: - Di « compiere, con la divina grazia, la volontà di Dio nella volontà del Beato Pietro il Romano Pontefice, e cercare la maggiore gloria di Dio con attendere alla perfezione dei suoi membri, e impiegarsi, coli ogni opera di misericordia, a spargere e crescere nel popolo cristiano, - e specialmente nell'evongelizzare i poveri, i piccoli e gli afflitti da ogni male e dolore, - un amore dolcissimo al Vicario in terra di N. Signore Gesù Cristo che è il Romano Pontefice, successore del Beato Apostolo Pietro, con l'intento di concorrere a rafforzare, nell'interno della santa Chiesa, l'unità dei figli col Padre e, nell'esterno, a ripristinare l'unità spezzata col Padre ». La cui parte attiva più ampiamente è: - Per una azione interna nella santa Chiesa: lavorare a togliere la confusione delle idee, e, colle opere di misericordia, ravvivare, stringere e mantenere l'unità dei fedeli col
Beato Pietro, penetrando in prima di un vigoroso ed operoso amore al S. Padre: a) la educazione della gioventù dalla scuola ai campi; b) la evangelizzazione degli umili, secondo i principi sociali cristiani; c) gli afflitti dai tanti mali e dolori, e ogni istituzione a favore del popolo. Si che Nostro Signore Gesù Cristo entri pel suo Santo Vicario in tutti i cuori, e nel cuore specialmente di quelli che il Divino Maestro ha mostrato di amare tanto: - i piccoli di età e di condizione -, che sopra tutti tanto bisogno hanno del conforto di conoscerlo e di seguirlo; e, per questi, entri in tutte le manifestazioni di ciò che il cristiano, - e come individuo e come popolo, - pensa, vuole ed opera. Per volontà espressa del S. Padre poi, è proprio di questo Istituto di coadiuvare, nella sua piccolezza, l'opera della Divina Provvidenza col faticare e sacrificarsi a togliere la confusione dei tabernacoli, e a far ritornare alla piena dipendenza e unità col Beato Pietro le chiese separate; - si che, per l'unità col B. Pietro, che è il Romano Pontefice, e per la attuazione delle sue volontà (cioè di quello che per tutto e pei vari Stati va col nome di programma papale), arrivi a tutti e dappertutto la carità soavissima del Cuore SS. di Gesù, e per essa le genti e le nazioni stabiliscano un giusto ordinamento sulla terra, e vivano e prosperino in Nostro Signore Gesù Cristo crocifisso: « Instaurare omnia in Christo ». - Questo fine, - unire al Papa per instaurare omnia in Christo, - che è proprio di nostra vocazione, pone l'Opera della Divina Provvidenza ed ogni suo membro alla pronta ed assoluta obbedienza del Vicario, di N. Signore Gesù Cristo, il Romano Pontefice, - Padre, Pastore e Maestro supremo, universale ed infallibile dell'unica vera, santa, cattolica ed apostolica Chiesa di Dio; - per eseguire, sempre con la divina grazia e secondo gli ordini e i desideri che Egli si degnerà
manifestare al superiore dell'Istituto, in qualsiasi parte del mondo, in ogni ordine di idee e di fatti, con ogni attività e sacrificio delle sostanze, dell'intelletto, del cuore e della vita, tutto quello che a lui, Vescovo e Papa della santa Chiesa cattolica e delle anime tutte, piacerà di comandare, o mostrerà desiderare, alla massima gloria e dilatazione del Regno di Dio, e per il bene delle anime e dei popoli. - Epperò in prima, accesa di grandissimo e filiale amore al Vicario in terra di Nostro Signore Gesù Cristo, l'Opera della Divina Provvidenza gode di obbligarsi con vincolo speciale alla Cattedra del Beato Pietro, pronta a recarsi ovunque al Santo Padre piacesse di inviarla. - Va inoltre gloriosa di poter prestare ogni sua opera e servigio ai Vescovi, cui lo Spirito Santo pose a governare la Chiesa di Dio. (Da lettera al suo Vescovo, dell'11-11-1903; cf. Lettere, 1, pp. 15 ss.).
2. Dare la vita nella Chiesa e per la Chiesa Iddio ha posto da più anni questo anelito e affocato desiderio nell'anima mia, e così prego che sia di voi e in voi: di poter consumare e dare la vita nella Chiesa, cioè ai piedi della santa Chiesa e per la santa Chiesa, che, al dir di sant'Anselmo, è la cosa più cara a Gesù. Viviamo morti ai piedi di essa, legati insieme nel vincolo dolce della carità del Signore. Questa sia la nostra gloria in Gesti Cristo crocifisso! (Lettera da Mar de Hespana, 17-X-1921; cf. Don Orione nella luce di Maria, Roma 1969, 1, p. 137).
3. Il Papa, ecco il nostro credo! Non sia mai che noi siamo uomini dalla fede languida! Abbiamo il Papa e la Provvidenza Divina che sempre sa trarre
da ogni male grandissimi beni religiosi e sociali. E oggi stesso, mentre tutti siamo afflitti per le dolorosissime condizioni fatte alla Chiesa e al suo Vicario, il celeste Agricoltore già diffonde i semi di una messe di trionfi, destinati a fruttificare nelle ore delle divine misericordie. O miei Figli, mi pare in questa circostanza di dovervi aprire il cuore, e dirvi che vedo la Chiesa entrare negli estremi cimenti. La setta non andrà indietro e non si fermerà, no: non illudiamoci! Umiliamoci invece sotto la mano di Dio: baciamola e benediciamola, poiché essa mortifica e vivifica, deducit ad inferos et reducit! (1 Sam. 2, 6). Ma qualunque esse siano le estreme prove che la potestà delle tenebre, dominante ora nel mondo, si appresta a tentare specialmente contro del Vicario di Gesti Cristo, e per fare il deserto attori-io a lui, abbiamo fede nel Signore che le porte dell'inferno non praevalebunt! « Est Deus in Israel: niente ci turbi! », esclamava il ven.le Don Bosco, in altri terribili momenti per la Chiesa. Si, cari Figliuoli, Gesù Signore è con la sua Chiesa, anima la sua Chiesa, e non abbandonerà il suo Santo Vicario nelle mani dei suoi nemici: Gesù nulla ama più che la libertà della sua Chiesa e del suo Vicario. E’ venuta però l'ora che tutti prendano posizione netta: o col Papa o contro del Papa! Noi serriamoci umilmente e fortemente attorno a lui, a saldo propugna colo del Regno di Cristo! Dobbiamo essere risoluti a dare il cuore, la mente, l'anima, la vita e tutto pur di francare la Chiesa e il suo Capo e difenderne la libertà. La Verità e l'infallibilità, racchiuse in un solo Uomo, nel Vicario di Gesù Cristo, noti possono essere in schiavitù, né in balia, foss'ancbe solo apparentemente, di alcuna umana potestà. Guai il giorno che ciò accadesse! Sarebbe giorno di
incalcolabile perturbazione per la cristianità, e di minaccia per l'unità stessa della Chiesa. Ed è a questo che mirò sempre la setta! Ma la giornata di Dio, la potenza di Dio non è mai così vicina, come allora che i nemici della Chiesa ridono di essa perché non la vedono, ridono di essa perché non la credono, o la pensano cosi lontana come se essa non fosse! Allora Dominus propre est! … Il nostro sentimento, che è cieco e uso a operare colla celerità propria degli istinti, è impaziente di veder la fine cui vanno a parare gli avvenimenti, e si attedia per ogni indugio, e i più deboli ondeggiano nel dubbio, o cedono. Niente ansietà, o miei Figli, e non dubitiamo mai, checché avvenga, della fedeltà delle divine promesse. La Provvidenza di Dio, che alimenta gli uccelli dell'aria e veste i gigli del campo, provvederà alla Chiesa: la Provvidenza di Dio, che dal centro della eternità padroneggia i secoli, non può temere che le manchi il tempo a compiere i disegni dell'Altissimo, e il trionfo della Chiesa. Riposiamo il cuore abbandonatamente nelle sue braccia, e lavoriamo e preghiamo - e preghiamo e lavoriamo: aspettando questo tempo, che sarà quando che sia, ma che certamente verrà, poiché l'ultimo a vincere è sempre Iddio. Ma è necessario, o cari miei, di fondarci bene negli insegnamenti del Signore, che ci vengono in sicuro, modo dal Sommo Pontefice, dalle Sacre Congregazioni di Roma e dai Vescovi; - e guardarci, specialmente oggi, dai nemici interni, seminatori di zizzania e avvocati della morte più che della verità. Figli della Provvidenza, lasciamoci reggere dalla Provvidenza, ma a mezzo della Chiesa, che Dio ci ha dato, e stiamo perinde ac cadaver nelle sue mani. Lasciamoci guidare, portare, maneggiare ovunque si sia e comunque si
voglia dalla Sede Apostolica: questo è lo spirito e la mente della piccola Congregazione. Supplichiamo ogni giorno Iddio che non permetta mai che essa risenta delle massime che sconvolgono tante teste: di quello spirito funesto di novità, di insubordinazione, di superbia nel pensare, parlare ed operare per cui si pretende dare una smentita ai Dottori maggiormente stimati e venerati dai cattolici, - si tenta screditarli, e quasi si compatiscono, e si trascorre sino ad attentare alla divina costituzione della Chiesa e a scalzare, se fosse dato, le radici stesse della nostra santa fede. Siamo sordi, quando alcuno, ci parli senza Papa, o non esplicitamente in favore del Papa e della sana ed esatta dottrina della Chiesa; costoro non sono piantagione del Padre celeste, ma maligni germogli di eresia che producono frutto mortifero. Quelli che non sono concordi in un solo cuore coi Vescovi e col successore di san Pietro, per me sono colonne sepolcrali e tombe di morti, su le quali sono scolpiti soltanto i nomi degli uomini vani che portano con ipocrisia il titolo di cattolici. Poiché, come in realtà essi non partecipano al calice della Madre Chiesa e del Vicario di Cristo, così, affetti da malattia difficilmente curabile, c'è a temere assai che muoiano nella impenitenza, e non partecipino alla resurrezione della vita eterna dell'anima e del corpo nella incorruttibilità dello, Spirito Santo, essi che sono i corruttori della pura fede per la quale Gesù Cristo fu crocifisso, e che vanno macchinando con molte astuzie contro la santa Chiesa di Roma, Madre e Maestra di tutte le Chiese, nella quale risiede la pienezza dell'autorità fondata sulla terra da Nostro Signore Gesù Cristo. Miei Figliuoli nel Signore e amici: amiamo la santa Chiesa, amiamo il Papa e i Vescovi passionatamente. Nati in questi ultimi tempi, tempi di nuovi pericoli, non cessiamo mai, mai,
mai di porgere al mondo esempi luminosi di affetto sviscerato, di umiltà, di obbedienza intera, di carità verso la Chiesa e il Papa. Teniamo presente l'augusta povertà a cui è stata ridotta la Sede Apostolica: le catacombe morali che si vanno preparando alla Chiesa Madre di Roma e al Papa, - e teniamoci grandemente onorati se ci fosse dato di fare o patire qualche cosa per la santa causa della Chiesa e del Papa, che è la causa di Dio. Amiamo la santa Chiesa con tutta la nostra mente, avendo sempre come nostre tutte quante le dottrine di lei e del suo Capo visibile, il Romano Pontefice: i desideri di lei e del Romano Pontefice! Amiamola con tutto il nostro cuore, come da un buon figlio si ama una madre, e tal Madre, qual è la Chiesa!; come da un buon figlio si ama un padre, e tal Padre qual è il S. Padre! Il Papa! ecco il nostro credo, e l'unico credo della nostra vita e del nostro Istituto! L'Apostolo Paolo, nella I ai Corinti, ha detto anatema chi non ama Gesù Cristo; ma anatema, o miei Figliuoli, sarà pure chi non ama il Vicario di Gesù Cristo, il Papa! Oh noi beati, se potessimo fare qualche cosa o patire persecuzione in difesa del Papa! Oh noi più beati, se Dio ci rendesse degni di dare pel suo Vicario anche la vita! Sarebbe un sacro pegno della vita eterna che il Signore ha promesso e preparata in Cielo ai suoi servi fedeli. Noi siamo pochi, piccoli e deboli, ma nostra gloria, o cari figli della Provvidenza, ha da essere che niuno ci vinca nell'amare con tutte le nostre forze il Papa e la Chiesa, che è la Sposa diletta di Gesù Cristo: la santa e immacolata Sposa del Verbo Umanato. La Chiesa è cosa sua, è l'Opera sua, come dice l'Apostolo san Giovanni al cap. 17. Ed essa è anche la Madre nostra dolcissima, e, sino, alla fine dei secoli, l'oggetto delle compiacenze di Colui che è la compiacenza del celeste
Padre: la Colonna di verità, com'è il termine ultimo di ogni eterno consiglio. Niuno dunque ci vinca nella sincerità dell'amore, nella devozione, nella generosità verso la Madre Chiesa e il Papa: niuno ci vinca nel lavorare, perché si compiano i desideri della Chiesa e del Papa, perché si conosca, si ami la Chiesa e il Papa. Niuno ci vinca nel seguire le direttive pontificie tutte: senza reticenze e senza piagnistei, senza freddezze e senza titubanze. Adesione piena e filiale e perfetta: di mente, di cuore e di opere - non solo in tutto quanto il Papa, come Papa, decide solennemente in materia di dogma e dimorale, ma in ogni cosa, qualunque siasi ch'egli insegna, comanda o desidera. Niuno ci vinca nelle attenzioni più affettuose al Papa e nel sacrificarci e anelare ad ogni giorno e ad ogni ora a renderci quasi olocausti viventi di riverenza e di amore tenerissimo alla Chiesa e al nostro dolce Cristo visibile in terra, il Papa! « Ci preservi il Signore, vi dirò, o miei figli, con Ausonio Franchi, - il celebre e troppo presto dimenticato autore dell'Ultima Critica, - ci preservi il Signore dall'arroganza e temerità stoltissima di farei noi giudici degli ammonimenti e dei precetti del Papa. Ci salvi dalla diabolica superbia di voler noi regolare, limitare i suoi diritti, e suoi poteri. Non spetta a noi di giudicare chi tiene sulla terra il luogo di Dio: chi è il rappresentante sommo della sua autorità e l'interprete infallibile della sua parola. A noi tocca solamente di credere tutto quanto egli dice, e di fare tutto quello ch'egli vuole. Che il giudizio del Papa sia il criterio dei nostri giudizi: la sua volontà sia la legge del nostro volere, e la norma del nostro operare ». E non solo i suoi ordini formali, ma anche i suoi consigli, i suoi semplici desideri siano ritenuti sempre e sempre secondati come la espressione di quello che piace a Dio, che
Dio vuole da noi, e che noi, con la grazia di Dio, abbiamo da osservare senza discutere. Il Papa si deve riguardare come il Signore medesimo; «quando parla il Papa, parla Gesù Cristo », diceva sempre Don Bosco. Stare in tutto col Papa, vuol dire stare in tutto con Dio: amare il Papa, vuol dire amare Dio; né Dio si ama davvero e il sempiterno Pontefice Gesù Cristo, Figlio di Dio, se davvero non si ama il Papa. Amare Dio, amare Gesù Cristo, Dio e Salvatore Nostro, e amare il Papa è lo stesso amore. Il nostro Amore, Gesù Cristo, è stato crocifisso. Deh! che noi siamo tutti e siamo sempre un cuore, una mente e un'anima sola nel Cuore adorabile di Gesù Cristo crocifisso, e crocifissi insieme con Lui. Il nostro Amore, il Papa, è moralmente crocifisso. Deh! che noi siamo tutti e sempre un cuore, una mente e un'anima sola nel Cuore della Chiesa, che è il Papa: sul Calvario con lui: crocifissi insieme con lui! Gesù si ama in croce, o non si ama a§atto, diceva il ven.le padre Ludovico da Casoria; e del Papa è la stessa, identica cosa: il Papa si ama in croce: e chi si scandalizza della umiliazione cui è ridotto, chi non lo ama in croce, non lo ama affatto. E più che mai in questi tempi malaugurati nei quali la Chiesa è lacerata con istrazio crudele delle sue viscere, adoperiamoci, o miei Figliuoli e amici, a lenirne, come meglio ci è dato, i dolori, studiandoci di essere a tutti esempio e modello di virtù, affinché la nostra vita e tutte le nostre operazioni attestino di qual Madre siamo noi generati, - e la Chiesa e il Vicario di Gesù Cristo di noi, benché si poveretti, abbiano sempre a compiacersi e si onorino. E cosi, e solo così, sarà con noi la benedizione di Dio!
Il Signore ci guardi e abbia misericordia di noi: e la benedizione del Signore sia sopra di noi, pegno della futura nostra resurrezione e dell'eterna beatitudine. (Da lettera del giorno di Pentecoste del 1912, ove ricorda una memorabile udienza avuta da Pio X (19-1V-1912); cf. Lettere, I, pp. 91 ss.).
4. Concordia ecclesiale Al Papa, più che essere soggetti e obbedienti come Superiore Supremo, amo che si sia stretti ed uniti inscindibilmente come a Padre, e che la nostra obbedienza non sia soggezione, ma amore di Figli. Così ai vescovi si abbia grande venerazione, e si faccia di tutto per secondarli e metterli in amore del clero e del popolo. A tutti i sacerdoti poi, et in primis, ai parroci portiamo dovuto rispetto e poniamoli in buona vista, tacendo sempre qualche loro difetto, e facendo invece rilevare quanto c'è in essi di virtù e di bene. Stiamo poi sempre guardinghi e lontani da persone, da gruppi, da conversazioni che vanno a finire nella critica, nella mormorazione od ostilità ai superiori siano ecclesiastici che di Congregazione. Portate amore e rispetto a tutti i superiori siano essi superiori alti o bassi, tenendo per fermo che quanto più è, direi, da poco la persona alla quale si obbedisce per amore di Dio benedetto, e tanto più meritevole è l'obbedienza e a Dio più grata. E così facendo la Congregazione fiorirà di santità, e si dilaterà. (Da lettera del 10-VIII-1935, da Buenos Aires; cf. Lettere, II, p. 282).
S. Pietro vive nel Papa E’ la festa di san Pietro Apostolo, divenuta ormai la festa del Papa. (...)
San Pietro era un pescatore e Cristo lo fece pescatore di uomini e su di lui edificò la sua Chiesa. A lui diede le chiavi del regno dei cieli e il potere di confermare i suoi fratelli, i Vescovi, nella fede: a lui dunque la pienezza della fede e la infallibilità, poiché per poter sempre confermare nella fede gli altri, la sua fede non doveva mai venire meno, né deflettere. Tale è Pietro: Maestro infallibile della piena potestà: Pastore dei pastori: primate di onore e di giurisdizione: Capo supremo, Padre universale delle anime e dei popoli. E tale è il Papa. Il Papa è Pietro: parla il Papa, parla Pietro, parla Pietro, parla Cristo; amare il Papa, è amare Pietro, è amare Cristo: in Pietro si celebra il Papa, si celebra Cristo! Che grande conforto è oggi per le nostre anime, questa festa di san Pietro: cara festa del Papa. L'Apostolo Paolo (e mi è gioia e dovere citare san Paolo, dacché mai la Chiesa disgiunge i due Apostoli), scriveva ai Romani che dava grazie a Dio perché diceva loro « La fede vostra - la fede romana vien celebrata in tutto il mondo ». Anche noi, o miei figli, dobbiamo render grazie al nostro Dio per Gcsù Cristo, poiché oggi il nome del Papa risuona benedetto ed è celebrato per tutto il mondo. Da per tutto si prega oggi per il Papa, si esalta il Papa, si guarda con sguardo dì dolcissimo amore a Roma e al Papa « dolce Cristo in terra ». Oh, le gioie grandi della fede! Come la fede e l'amore alla Chiesa e al Papa ci fanno sentire particolarmente in questa festa, che la Chiesa cattolica e romana è veramente il corpo mistico, di Cristo, e che tutto prende unificazione e incremento, vigore e amore da Cristo e dal beatissimo padre nostro il Pipa! Quanto si sente e si tocca, direi, la verità delle espressioni di Paolo, che cioè: come il mistico corpo di Cristo, la Chiesa, è uno e tutte le membra di questo corpo, pur essendo molte, sono un sol Corpo; così per il suo dolce Cristo visibile in
terra, per il Papa, la Chiesa si sente ed è una, santa, cattolica ed apostolica: la stessa per ogni dove, per ogni plaga, inscindibilmente unita, pel Papa, al suo capo, Cristo. Mirabile unità, vitale e organica della santa Chiesa! Noi per il battesimo e pel Papa, non fermiamo più che un corpo solo, vivificato dall'unico e medesimo Spirito Santo: un solo ovile, sotto la guida di un sol Pastore: il Papa. La festa di san Pietro è la festa del Papa, e Per questo, assurse a festa dei cattolici; essa è precisamente LA NOSTRA FESTA PATRONALE, o Figli della Divina Provvidenza. R la festa della Congregazione, che ha per fine proprio di consacrare tutti i suoi affetti e le sue forze ad unire, con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore il popolo cristiano della classe più umile e i figli del popolo al beato Pietro e al suo successore il PAPA. Vogliamo col divin aiuto, ridare Cristo al popolo e il popolo al Vicario di Cristo. Noi, dunque, nelle nostre case e chiese dobbiamo sempre pregare per il Papa, parlare del Papa, inoculare amore e obbedienza al Papa e celebrare col più grande fervore di pietà, col più grande slancio di amore filiale la festa del Papa. Essa deve segnare per noi per tutti, di anno in anno, una rinnovata onda di entusiasmo nell'attaccamento alla fede di Pietro. Il Papa è la sintesi vivente di tutto il cristianesimo, è il capo e il cuore della Chiesa, è luce di verità indefettibile, è la fiamma perenne che arde e che splende sul monte santo. Dove è Pietro, è la Chiesa; dove è la Chiesa è Cristo; dove è Cristo, è la via, la verità, la vita! Oh, quanto i Figli della Divina Provvidenza devono propagarla la festa del Papa! questa cara festa che prima ancora fosse, direi, istituita; prima cioè che la festa di san Pietro, fosse trasformata in festa del Papa, già, come festa del Papa, era data alla nostra Congregazione quale festa propria
della Congregazione perché consacrasse il grande amore al Papa della Congregazione, e suo fine precipuo. Promuovere la festa del Papa, è promuovere e diffondere l'amore al Papa; è aderire alla sua dottrina, ai suoi desideri; è riconoscere nel Papa il primato di Pietro e dei suoi successori; è venerare nel Papa il padre della fede e delle anime, il Pastore Supremo, il Pontefice Massimo, il condottiero dell'esercito di Cristo; è celebrare e glorificare il Papa quale Cristo visibile e pubblico sulla terra. Cari Figli della Divina Provvidenza, voi ben sapete chi è Pietro, è il Papa il fondamento vivente della Chiesa, colui al quale Gesù Cristo ha detto: Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle, i fedeli cioè e i Vescovi; solo a Pietro, al Papa fu detto: « Ho pregato per te, e la tua fede non verrà mai meno... rafferma i tuoi fratelli ». Oggi, festa di san Pietro, la Chiesa canta: « Tu es Pastor ovium: Tu sei il Pastore delle pecorelle: Tu il Principe degli Apostoli: a Te Iddio ha dato le chiavi del regno dei cieli ». Oh, la bella antifona, viva espressione del primato di Pietro e del Papa! Figli della Divina Provvidenza, noi dobbiamo palpitare e far palpitare migliaia e milioni di cuori attorno al cuore del Papa; dobbiamo portare specialmente a lui i piccoli e le classi degli umili lavoratori, tanto insidiate; portare al Papa i poveri, gli afflitti, i reietti, che sono i più cari a Cristo e i veri tesori della Chiesa di Gesù Cristo. Dal labbro del Papa il popolo ascolterà, non le parole che eccitano all'odio di classe, alla distruzione e allo sterminio, ma le parole di vita eterna, parole di verità, di giustizia, di carità: parole di pace, di bontà e di concordia che invitano ad amarci gli uni e gli altri e a darci la mano per camminare insieme verso un migliore, più cristiano e più civile avvenire. Il Papa è il Padre del ricco, come del povero, per lui non esistono nobili o plebei, ma solo dei figli fede, dal Papa la la
luce, la mansuetudine del Signore, che porta balsamo ai cuori, conforto e consolazione ai popoli. « Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam ». Passarono i secoli, e queste parole di Cristo a Pietro, risuonando attraverso i tempi e su tutte le tempeste del mondo, furiose e terribili contro il papato e la Chiesa, anziché subbissare e Chiesa e papato, ne fecero la più grande potenza spirituale e morale del mondo, e mostrano ogni dí più, che Chiesa e papato sono l'opera di Dio, sono la forza di Dio. Quelle parole di Cristo oggi infondono nuova vita e vigore al Bianco Vegliardo che dalla rocca del Vaticano regge con tanta sapienza e fortezza la santa Chiesa, guida, pasce e salva il mistico gregge di Cristo. Le porte dell'inferno mai prevarranno contro la Chiesa, né contro il Papa, a cui Cristo ha dato le chiavi del regno dei cieli, e la solenne promessa che tutto quello che avrebbe legato sulla terra, sarebbe stato legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierebbe sulla terra, sarebbe sciolto nei cieli. Pio XI, il Papa della fede intrepida, è il depo,sítario di quel celeste potere e di quella divina promessa. Egli è il grande Padre e Pastore dell'unica vera Chiesa di Gesù Cristo, una, santa, cattolica, apostolica e romana: la Chiesa, colonna e fondamento di verità, che riconosce Cristo come solo Dio e Signore, Redentore del mondo, e nel Papa vede, obbedisce e venera il legittimo successore di san Pietro, Vicario di Cristo sulla terra. Nel Papa noi riconosciamo non solo il Vicario di Cristo, non solo il capo infallibile della Chiesa, ispirato e condotto dallo Spirito Santo, non solo il fondamento di nostra religione, ma ben anco la pietra inconcussa della società umana. Con amore dolcissimo e devotissimo di figli noi pregheremo sempre per il beatissimo nostro Padre il Papa, per quanto ci sentiamo miserabili.
E con eguale amore e venerazione, oggi, festa di san Pietro, festa del Papa, festa papale del nostro umile Istituto, tutto papale, noi ci gettiamo in ginocchio e deponiamo ai piedi del Santo Padre Pio XI, tutti i nostri cuori e la nostra vita, piccolo olocausto del nostro grande e sviscerato amore. E tutti uniti, cor unum et anima una, noi poveri Figli della Divina Provvidenza, alziamo a Dio la più fervida, devota e filiale preghiera affinché il Signore, che lo elesse, conservi il nostro Santo Padre lunghi e felici anni al bene della Chiesa di Gesù Cristo, compia tutti i voti del suo cuore, sì che egli veda l'aurora, di quel giorno, tanto auspicato, che segnerà sul mondo tranquillo la PAX CHRISTI IN REGNO CHRISTI! Cari miei figli: VIVA IL PAPA! (Da lettera del 29-VI-1937, da Rosario di Santa Fé (Argentina); cf. Lettere, II, pp. 485 ss.).
6. Il Vescovo Gesù Cristo ha istituito l'Episcopato per governare regolarmente la santa Chiesa. Al Capo 20 degli Atti degli Apostoli, scritti da san Luca, poi è detto: « Lo Spirito Santo ha posto i Vescovi a reggere la Chiesa di Dio ». 1 Vescovi, dunque, sono di diritto divino. Essi sono i successori degli Apostoli, i pastori e i maestri in Israele, i custodi del deposito della fede, i padri delle anime.
Capo dei Vescovi, è il Papa, successore di san Pietro e Vicario in terra di Gesù Cristo. Lo stato del Vescovo è il più perfetto di tutti, anche dello stato religioso; a lui la pienezza del sacerdozio, a lui, sovra ogni altro, lo spirito di fede, di sapienza e di fortezza. Il Vescovo, nella sua diocesi, è il rappresentante di Cristo. Egli ha la potestà di pascere il suo gregge colla dottrina del Signore e con l'amministrazione dei sacramenti, e quella di governare. Il divino mandato, che il Vescovo ha ricevuto da Gesù Cristo, è così sublime e santo che non v'ha cautela soverchia da adoprarsi perché nessun altro affare terreno ne impedisca l'esercizio. Sopra tutti gli umani interessi, opinioni, passioni e partiti si leva il Vangelo e col Vangelo si leva il Vescovo, che ne è l'interprete, il maestro, il vindice. Egli predica a tutti ugualmente la fede, la morale, la bontà, il dovere, la giustizia, la mansuetudine, il perdono, il sacrificio e tutte le altre virtù evangeliche, e il cristiano amore di Patria, che è tra i più sacri amori del cuore umano: Gesù pianse su Gerusalemme, e quel pianto era anche amore di patria! La dominazione del Vescovo è paterna, ed è la più potente perché dominazione spirituale, tutta di carità, di morale grandezza e di civiltà. Egli sparge olio balsamico di dolcezza sulle piaghe dell'umanità e il suo cuore, come il cuore di Paolo, è cuore di Cristo. Il Vescovo non vede nemici, per lui non vi sono che figli, e i più piccoli, i più umili, i più infelici sono a lui più cari; per tutti egli prega, per tutti ha parole di vita eterna, per tutti sale l'altare e offre il Sangue dell'Agnello immolato, che cancella i peccati del mondo. Il Vescovo è il buon pastore, che vigila, pasce ed evangelizza, che sa soffrire nel silenzio e sa dare la vita per le
sue pecorelle. P- mite il Vescovo come fu mite Gesù, ma è anche la forza di Dio; egli sa combattere come leone le battaglie del Signore, sa procombere per la libertà della Chiesa, per la salvezza del suo popolo. Le sue invocazioni e il suo sacrificio attirano le benedizioni sulle moltitudini, sulla diocesi e sulla nazione. Quale grandezza quella del Vescovo! Parecchie nazioni anche di prim'ordine, Francia compresa, furono create dai Vescovi. Mai l'Episcopato cattolico fu più unito e più potente di oggi: è la forza morale più formidabile. Dall'unione dell'Episcopato con la Santa Sede e dalla viva sorgente di. vita spirituale, dal conforto ineffabile che l'alta gerarchia ecclesiastica trae dal beato Apostolo Pietro vivente in Pio XI, nasce il coraggio nei singoli pastori, quella concordia fraterna, quella fortezza apostolica, quella libertà evangelica che ai nostri giorni è così necessaria, specie là dove la Chiesa è si crudamente perseguitata. Il Vescovo nelle Lettere di sant'Ignazio martire Sant'Ignazio, dopo san Pietro ed Evodio, fu il terzo Vescovo di Antiochia, capitale della Siria, città dove, per la prima volta, i seguaci di Cristo furori chiamati cristiani. Con sufficiente certezza si. può ritenere che abbia conosciuto gli Apostoli Pietro, Paolo e Giovanni. Molto probabilmente fu fatto Vescovo nel 78. Molte notizie intorno al suo martirio si desumono specialmente dalle Lettere che egli scrisse a Smirne e a Troade, quando era condotto a Roma incatenato e in custodia di dieci soldati, che egli chiamò leopardi, perché, sebbene da lui beneficati, si mostravano sempre più crudeli. Con Gesù compagno e alleato di tanto viaggio, il beato Ignazio, benché cadente per età, non si indeboliva, ma « di-
ventava assai più forte », dice san Giovanni Crisostomo, in una omelia bellissima in lode del santo Martire. « E della forza che era in lui, le Chiese più saldamente confermava nella Fede. Al suo passaggio nelle varie città dell'Asia proconsolare, le popolazioni, che si trovavano lungo la via, accorrendo da ogni parte, confortavano l'Atleta con preghiere e ambascerie. Ed esse poi ricevevano non comuni consolazioni, mirando il Martire con alacrità correre alla morte, quanta conveniva a chi era chiamato ai regni del cielo », continua san Giovanni Crisostomo. A Smirne poi dove conobbe il Vescovo san Policarpo, ebbe un vero trionfo; e là giunsero anche Vescovi e depu~ tazioni di molte Chiese. Sant'Ignazio volle mostrare la sua gratitudine scrivendo lettere agli Efesií, ai Magnesii, ai Tralliani. E’ da Smirne che indirizzò la nota lettera ai Romani, scongiurandoli con tutta la forza dell'anima di non voler impedire il suo martirio. In questa lettera egli si rivolge alla Chiesa che « presiede », e chiama la Chiesa romana « la legislatrice della carità, che custodisce la legge di Cristo, e porta il nome del Padre ». E dice: « vi scongiuro a non essere per me di una benevolenza inopportuna. Concedetemi di essere pasto delle belve. Sono frumento di Dio, e sarò maciullato con i denti delle fiere per essere trovato pane mondo di Cristo ». E poi viene a dire che Pietro e Paolo furono a Roma, poiché scrive: « Non come Pietro e Paolo io vi comando... ». Riportò la corona del martirio in Roma, damnatus ad bestias. Mandò lettere ai Filadelfi, agli Smirnei, a san Policarpo. Gli Efesii inviarono a Smirne il loro Vescovo Onesimo perché consolasse il Santo, e tutti li rappresentasse. Sant'Ignazio scrisse sublimemente sull'Episcopato. Ignazio alla Chiesa di Efeso
Sant'Ignazio scrive alla Chiesa che è in Efeso: « Vi affrettaste a vedermi. Dunque la vostra moltitudine nel nome di Dio accolsi in Onesimo, uomo di carità inenarrabile, e vostro Vescovo nella carne, che vi prego secondo Gesù Cristo di amare e a lui tutti rendervi simili. Poiché benedetto chi ha fatto la grazia a voi, che n'eravate degni, di possedere un tale Vescovo ». E più avanti: « E’ dunque conveniente che, in ogni modo glorifichiate Gesù Cristo che vi ha glorificati, affinché in una sola obbedienza perfetti, subordinati al Vescovo e al collegio dei sacerdoti, in tutto siate santificati ». E oltre: « La carità non permette che io taccia con voi, per questo mi feci innanzi nell'esortarvi ad unirvi nella parola di Dio. Giacché anche Gesù Cristo, inseparabile vita nostra, Verbo del Padre, come pure i Vescovi, stabiliti per le regioni, sono nella parola di Cristo. Perciò si addice a voi conformarvi alla parola del Vescovo, il che per altro fate. Poiché il nobilissimo collegio dei vostri sacerdoti, degno di Dio, è così in armonia col Vescovo, come le corde alla cetra. Giacché se io in breve tempo strinsi tanta famigliarità col vostro Vescovo, che non è umana, ma spirituale, quanto più beati stimo voi incorporati a lui come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutto armonizzi nell'unità... Se ha tanta forza la preghiera di un solo e di due, quanto più quella del Vescovo e di tutta la Chiesa. Studiamoci, quindi, di non resistere al Vescovo, affinché siamo sottomessi a Dio. E finché uno vede il Vescovo tacere, più lo tema; perché chiunque il padre di famiglia manda all'amministrazione della propria casa, bisogna che noi lo accogliamo così come quello che lo manda. Il Vescovo dunque e chiaro che conviene riguardarlo come il Signore medesimo ... Voi tutti insieme nominatamente per mezzo della grazia unitevi in una sola fede e in Gesù Cristo, secondo la
carne della stirpe di David, figlio dell'uomo (2 Figlio di Dio, per ubbidire al Vescovo e al presbitero con mente non divisa, un solo Pane spezzando, che è farmaco d'immortalità, antidoto per non morire, anzi per vivere sempre in Gesù Cristo ». Ignazio ai Magnesii Sant'Ignazio ebbe a Smirne anche la visita di Doma, Vescovo dei Magnesíi; col Vescovo era una deputazione tra cui i sacerdoti Basso e Apollonio, e il diacono Zotione. Ignazio, sempre da Smirne, scrisse alla Chiesa che è in Magnesia presso il Meandro, ringraziando. Ecco che dice ai Magnesii, del Vescovo: « ... Fui tenuto degno di vedervi per mezzo di Doma, vostro Vescovo, degno di Dio, e dei presbiteri Basso e Apollonio e del mio conservo Diacono Zotione, della cui compagnia oh! Potessi godere, Perché subordinato al Vescovo come alla grazia di Dio ». Il Vescovo Doma era ancora di giovane età, e sant'Ignazio scrive: « A voi conviene di non approfittarvi dell'età del Vescovo, ma, secondo la potenza di Dio Padre, portargli ogni riverenza come ho veduto che anche i santi presbiteri non si sono approfittati della apparente sua giovanile età; ma, come prudenti in Dio, cedono a lui, o piuttosto non a lui, ma al Padre di Gesù Cristo, Vescovo di tutti. In onore, dunque, di colui che volle, dovete obbedirlo senza alcuna ipocrisia, giacché l'ingannatore non solamente questo Vescovo visibile inganna, ma l'invisibile. Chi inganna il Vescovo, inganna Dio. Dobbiamo dunque non solamente esser chiamati cristiani, ma esserlo, poiché taluni nominano bensì il Vescovo, ma fanno tutto senza di lui. Cotali non mi sembrano siano di buona coscienza, perché non sono, secondo il mandato fermamente raccolti in uno... Nella concordia di Dio studiatevi di fare ogni cosa, presiedendo il Vescovo in luogo di Dio.
Nulla sia in voi che possa dividervi, ma state uniti al Vescovo... Come dunque il Signore senza il Padre nulla fece, essendo a Lui imito... così neppure voi nulla fate senza il Vescovo e dei presbiteri. Siate subordinati al Vescovo, -!ali uni agli altri, come Gesù Cristo al Padre nella sua natura umana e gli Apostoli a Cristo, al Padre e allo Spirito Santo ». Ignazio ai Tralliani I Tralliani inviarono a Smirne, a congratularsi e a baciare le catene del grande Vescovo di Antiochia il loro Vescovo Polibio. E Ignazio profondamente grato, scrive alla Chiesa santa che è in Tralli dell'Asia, la saluta secondo il costume apostolico, e le prega un grandissimo gaudio. Egli in Polibio vide la moltitudine dei Tralliani. E del Vescovo dice: « Quando siate soggetti al Vescovo come a Gesù Cristo, mi sembra che viviate non secondo l'uomo, ma secondo Gesù Cristo che è morto per noi. E’ necessario pertanto, come fate, che niuna cosa facciate senza il Vescovo... il Vescovo è figura del Padre. Accolsi ed ho con me il modello della vostra carità nel vostro Vescovo, la cui stessa condotta è una grande scuola, e la mansuetudine fortezza; verso il quale penso che anche gli atei sentano rispetto ». Poi parla degli eretici e dice: Guardatevi dunque da questi tali » (eretici). Questo poi vi accadrà se non andrete tronfi e sarete inseparati da Dio Gesti Cristo e dal Vescovo e dai precetti degli Apostoli. E chi fa qualche cosa senza il Vescovo... costui non è mondo in coscienza. Vi scongiurano le mie catene, che per amore di Gesù Cristo porto, pregandovi di conseguire Dio; perseverate nella vostra concordia e nella reciproca preghiera. Giacché con-
viene a ciascuno di voi, e particolarmente ai presbiteri, di recar sollievo al Vescovo in onore del Padre, di Gesti Cristo e degli Apostoli. Siate forti in Gesti Cristo, subordinati al Vescovo come al comando ». Ignazio ai FíIadelfii Sempre in viaggio per Roma, verso il martirio, il Santo saluta da Troade la Chiesa di Dio, che è in Filadelfia dell'Asia Minore; e la saluta nel Sangue di Gesù Cristo, che è letizia costante ed eterna, « specialmente se siamo in unità col Vescovo. Ho conosciuto il Vescovo, che non da se stesso, né per mezzo degli uomini ha ottenuto il ministero riguardante la comunità, né per vanagloria, ma nella carità di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. Figli della verità, fuggite la divisione e le perverse dottrine; ma dove è il pastore, là come pecorelle seguitelo. Poiché tutti quelli, che sono di Dio e di Gesù Cristo, stanno col Vescovo. .. Gridai a gran voce in mezzo a quelli fra i quali parlavo con la voce di Dio: "Obbedite al Vescovo e al collegio dei presbiteri e ai diaconi". Lo Spirito annunziò cose, dicendo: senza del Vescovo non fate nulla. A tutti quelli che si pentono il Signore perdona, se si convertono all'unità di Dio e alla comunione con il Vescovo ». Ignazio agli Smirnei Ancora da Troade, Ignazio scrisse anche alla Chiesa di Smirne, che chiama degnissima di Dio e ferace di santità, invitandola a spedire legati ad Antiochia e a rallegrarsi della pace restituita a quella sua Chiesa. Ecco che dice loro del Vescovo:
« Obbedite tutti al Vescovo, come Gesù Cristo al Padre... Nessuno senza il Vescovo faccia alcuna delle cose spettanti alla Chiesa. Sia ritenuta valida quella Eucaristia che si celebra sotto L’autorità del Vescovo o di colui al quale egli abbia concesso facoltà. Dove comparisca il Vescovo, ivi sia il popolo, come (I()ve è Gesù Cristo, ivi è la Chiesa Cattolica. Bisogna tener rivolto lo sguardo a Dio e al Vescovo. Chi onora il Vescovo, è onorato da Dio. Chi di nascosto del Vescovo fa qualche cosa, serve al diavolo ». Ignazio a Policarpo Al suo passaggio a Smirne, sant'Ignazio conobbe il Vescovo san Policarpo, discepolo di san Giovanni evangelista e di altri Apostoli. Policarpo aveva conversato con molti che avevano visto Gesù. Dagli Apostoli, e forse dallo stesso san Giovanni, fu ordinato Vescovo di Smirne, probabilmente nell'anno 100, vale a dire quattro anni prima della morte dell'Evangelista. Ebbe a discepolo sant'Ireneo. Fu così geloso nel custodire e ardente nel divulgare il Vangelo e la verità, che divenne il martello degli eretici. Si narra che, imbattutosi una volta con Marcione, e dicendogli questi: « mi conosci? », gli rispose: «conosco il primogenito di Satana ». Ma fu anche animato da viva sollecitudine di richiama re gli eretici su la retta via, e quando sotto Papa Aniceto venne a Roma, convertì molti valentiniani e marcioniti. Giunto dunque sant'Ignazio antiocheno a Smirne, íncatenato e condotto a Roma per essere gettato in belve, Policarpo ne baciò le catene, lo confortò modi e strinse con lui intima, fraterna amicizia.
E sant'Ignazio da Troade, prima d'imbarcarsi per l'Occidente, gli scrisse una lettera,_di cui riportiamo qualche passo, dove parla del Vescovo. San Policarpo poi, condannato al fuoco e bruciato vivo il 23 febbraio del 155, ottenne la palma del martirio. « Lodando l'animo tuo pio, fondato come su pietra immobile, glorifico Dio. Di tutti "porta le infermità", come perfetto atleta... Dove è maggior la fatica, molto è il guadagno. Se alcuno si vanterà, andrà Li rovina, e, se si reputerà da più del Vescovo, è morto. Date ascolto al Vescovo, affinché anche Dio ascolti voi ». (Da lettera del 6-11-1935, da Buenos Aires, in occasione dell'ingresso in diocesi di Tortona di mons. E. D. Melchiori; cf. Lettere, 11, pp. 180ss.).
7. Dinanzi alla bara dei Vescovo Parecchi giorni innanzi la mia partenza da Tortona ero stato a licenziarmi e anche ad invocare un'altra benedizione: la benedizione di S. E. Rev.ma il compianto nostro Vescovo (Mons. S. Pietro Grassi). Lo trovai a letto, molto Più giù dell'ultima volta che lo avevo veduto; era in uno stato che mi fece molta impressione e pietà. Voleva farsi forte, ma, se nello spirito era ancora lui, il corpo suo più non reggeva. Povero Vescovo, La sua fibra, già fortissima, aveva lasciato sperare una più tarda vecchiaia; purtroppo però la vita sua era minata da tempo. Non era solo dalla festa di san Marziano che il Vescovo non stava più bene e non era più lui; lo si vedeva deperire anche prima. Egli doveva soffrire; in certe visite pastorali fu rilevato che faticava, faticava... e si reggeva solo per forza di vo1ontà e zelo del suo pastorale ministero.
In quell'udienza privata, concessami dal S. Padre qualche settimana prima, avevo chiesto, come sempre, una speciale benedizione pel mio Vescovo. Sua Santità me ne domandò con un interessamento particolare, e ricordò uno scritto ricevuto da Sua Eccellenza Rev.ma alcun tempo prima. Con telegramma da Castelgandolfo comunicai tosto la speciale Benedizione Apostolica. Di quell'atto il Vescovo, in questa visita mi ringraziò sentitamente; poi, udendo che ero andato per congedarmi, e che mi sarei imbarcato sul « Conte Grande », chiese quanto tempo sarei stato lontano. Forse riandava col pensiero a certo discorso che, mio malgrado, gli avevo dovuto fare una sera del maggio; o dubitò egli che, se la lontananza fosse di molto prolungata, non lo avrei più trovato? Nel parlare però mostrava la più grande certezza di guarire; e, come con me, così con mons. Albera, che lo visitava giorni dopo. L'udienza non fu lunga, e di proposito. Sapevo che il medico aveva fatto raccomandazioni; il malato era visibilmente molto stanco, ed io profondamente commosso. Già poco o nulla restava più di speranza; sentivo che quella poteva essere l'ultima volta che lo vedevo. Facendomi forza e frenando l'emozione, ho parlato a lui con somma delicatezza e amore, come si parla quando ci si congeda per l'ultima volta in questa vita da persona venerata: gli ho parlato come figlio a padre. Egli deve aver compreso: era troppo intelligente per non aver compreso. La voce stessa mi tradiva: quello era veramente l'ultimo commiato e per il mio cuore fu momento supremamente doloroso. Oggi, davanti alla bara del Vescovo, vi posso dire, o miei Figli, che la Piccola Opera della Divina Provvidenza è sempre stata agli ordini del Vescovo. In venti anni circa di suo
Episcopato, non ricordo che, avendomi egli espresso un desiderio io non mi sia fatto in quattro onde accontentarlo, per quanto potevo. Tale fu l'ossequio verso del Vescovo, padre, pastore e maestro in Israele da mortificare in me, per divina grazia, diversità di carattere e di sentimenti anche non lievi, senza nulla sacrificare alla sincerità. Se egli abbia mai rilevato questo, non so, né importa; ciò che oggi mi è caro dirvi è che in diocesi e fuori il Vescovo avrà avuto servi fedeli, amici devoti, figli obbedienti come noi, si; non so se più di noi. Questo non è vanto né superbia, è un insegnamento che vi do: questo è dare gloria a Dio nella verità, è dar gloria a Dio, che ci ha sempre assistiti, e in un'ora come questa, molto penosa per me e per voi, o miei cari Figlioli. Un giorno lo comprenderete meglio. Vi dirò, dunque, che, alzatomi da sedere ed in piedi ho ringraziato il Vescovo del bene che egli aveva fatto a me e Ma Piccola Opera della Divina Provvidenza, e lo assicurai che io e tutta la Congregazione lo avremmo sempre ricordato con profonda gratitudine, che sempre avremmo pregato per lui, «vivo e morto ». Poi, in ginocchio, gli ho chiesto perdono « nel modo più umile e più ampio e con tutto l'amore di figlio, senza limite devoto, di tutte le mancanze, dispiaceri, dolori che io e voi gli avessimo dato ». E ho chiesto la sua Benedizione per me e per la Congregazione e sulle opere tutte cui essa attende. Mons. Vescovo era visibilmente commosso. Egli benedisse ampiamente a me e a voi tutti; disse che pregava Iddio perché la Congregazione si propagasse e continuasse a lare sempre bene e molto del bene. E fece voti che il Signnore sempre mi assistesse, sì che la potessi diffondere, disse, , “In Europa, in America, in Asia, in Oceania...”, poi non poté continuare, era troppo emozionato.
Alzò ancora la destra e ripeté ben due volte il segno della Benedizione. Gli ho baciato in umiltà grande il santo anello, soffocando il pianto. Nell'uscire dalla camera mi volsi ancora fuggevolmente a guardarlo, povero Vescovo! Per la misericordia di Dio, lo rivedremo in Paradiso. Iddio conceda a lui tutta la gloria del santo Paradiso. Nel lasciare l'episcopio, incontratomi col segretario canonico Piccoli, riuscii a padroneggiarmi e, direi a fare il disinvolto; ma, quando fui fuori e solo, ho dato libero sfogo Alle lagrime, e fu gran sollievo! Durante l'udienza mons. Vescovo aveva mostrato desiderio di avere una mia fotografia, fatta di recente sul Soratte dai nostri chierici che studiano all'Università di Roma, i quali erano a passare le vacanze in quell'eremo, allorché andai a salutarli. Sono preso su d'un asino. Gliela mandai tosto, con qualche espressione gioiosa e di devozione. Poi, già da bordo, gli ho inviato ancora un telegramma di ossequio con parole augurali e di conforto. Durante la navigazione e il Congresso eucaristico di Buenos Aires sempre abbiamo pregato per lui. A lui ho scritto al ritorno del « Conte Grande », due giorni dopo il Congresso, una lunga lettera, bagnata di pianto, pianto di amore e di dolore, ma egli non la ricevette più. Quando il « Conte Grande » giungeva a Genova, il Vescovo, da qualche giorno, era passato, da questa misera vita a vita beata. La dolorosa notizia mi giunse qui nel pomeriggio del l' Novembre, quando il suono mesto delle campane invitava a pregare per i poveri morti. Dio sa quanto ho sofferto! S. E. mons. Grassi pregherà dal Cielo per noi e ci amerà di più puro amore. Il dì dei morti e dopo gli abbiamo applicate più sante Messe; gli abbiamo fatto, in Victoria, un ufficio funebre con Messa solenne; ora continueremo a pregare.
Raccomando l'anima del nostro amato Vescovo alle preghiere degli amici e benefattori, e dispongo che a suo suffragio in tutte le case della Congregazione si dica l'Ufficio del Defunti con Messa cantata. Nelle case poi che sono in diocesi di Tortona, o che furono aperte durante il suo Episcopato, tutte le sante comunioni, rosari, pratiche di pietà siano offerte per lui, e alle preghiere del,mattino e della sera si aggiunga d'ora innanzi per lui un De profundis, e ciò sino a nuovo ordine. Gli si celebrino subito al santuario della Guardia le Messe Gregoriane e al santuario stesso gli si farà ogni anno l'Ufficio anniversario con Messa in terzo, sino alla morte del suo primo successore. Et requiescat in pace! (Da lettera dei 4-1X-1934> da Victoria (Argentina); cf. Lettere, 11, PP. 118 ss.).
8. Il distintivo del vero cattolico L'amore e l'obbedienza intera al Papa è il carattere distintivo del vero cattolico. Senza questo dolce amore al Papa, non si è buoni cattolici. … Chi non ha questo amore non può stare tranquillo in coscienza: egli non è a posto e non avrà le benedizioni di Dio. Oggi taluni credono che la religione sia un concetto o un’ispirazione della propria coscienza, o della propria opinione, o della propria ragione. Essi si dicono cattolici, ma lo sono sino ad un certo punto: vogliono essere cattolici ma a modo loro. Vogliono stare nella Chiesa, ma pensare e agire contro il Pastore della Chiesa; in verità, essi sono eretici: gli eretici oggi; sono i più pericolosi fratelli, che dilaniano la Chiesa; i nemici più fervidi della santa Chiesa, di Gesù Cristo e del suo Vicario in terra, il Papa. (Dal Bollettino « opera della Divina Provvidenza », dicembre 1912; cf. Lo Spirito di Don Orione, Venezia 1941, pp. 121 s.).
VI. FUOCO AL MONDO
Don Orione è stato definito « anima di fuoco ». E fuoco fu il suo inestinguibile amore per Iddio e per i fratelli. Fuoco il suo inesauribile prodigarsi per le anime, per tutte le anime. Fuoco la sua ardente brama di consumarsi in olocausto a Dio, ai piedi della Chiesa, a servizio di tutti gli uomini. Il fuoco ha bisogno di materia con cui alimentarsi. In Don Orione, il fuoco interiore si manifesta nella molteplicità incredibile delle sue realizzazioni e delle sue opere, l'elenco delle quali, come vedremo, è interminabile (cf. brano n. 1). Per chi ama veramente, nessuno sforzo è impraticabile, nessuna iniziativa difficile, nessun rischio non preventivato. In questa sezione, vogliamo mostrare come, attraverso i suoi scritti e le sue esortazioni, Don Orione intenda portare il suo fuoco di divina carità in una vastissima, staremmo per dire illimitata, area di interessi e di interventi.
I. il fuoco dello Spirito Presso gli Ebrei la Pentecoste era la festa della mietitura (Esodo 23, 16); era la solennità della messe e – poiché lo spazio che passava tra la solennità della Pasqua e la solennità della mèsse era di 50 giorni - fu detta Festa del cinquantesimo giorno, ossia Pentecoste. Era giorno, solennissimo e santissimo. Ma non è questo il lato pel quale la Pentecoste ebraica ha relazione con la Pentecoste cristiana. La tradizione ebraica dava a tale festa tanta solennità carattere della più alta santità, perché il popolo ebreo con tale festa intendeva e voleva ringraziare Dio di aver data, in questo stesso giorno, la legge sul monte Sinai. E anche oggi gli Ebrei chiamano la Pentecoste la festa della legge. Ora, come gli Ebrei solennizzavano, con la Pentecoste, la promulgazione della legge mosaica, così noi cristiani solennizziamo la promulgazione del Vangelo, lo stabilimento della legge di Gesù Cristo e la fondazione pubblica della santa Chiesa, avvenuta con la discesa miracolosa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli. Questa discesa dello Spirito Santo è raccontata da san Luca negli Atti degli Apostoli, al Capo 2, 1-21 . Gli Atti degli Apostoli sono il secondo volume di un'opera, della quale il Vangelo di san Luca è il primo dei due volumi. San Luca è il «diletto medico », di cui parla san Paolo più volte; egli fu discepolo di san Paolo, e il suo Vangelo si può chiamare « il Vangelo predicato da san Paolo », come san Marco, discepolo di san Pietro, ci tramandò « il Vangelo predicato da san Pietro ». Il piano degli Atti degli Apostoli è appunto questo: « Voi riceverete forza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria e fino all’estremità della terra » (Cap. 1, v. 8). …
La Pentecoste nostra è una delle tre principali feste dell'anno: Pasqua, Natale, Pentecoste; ed è di tanto superiore alla Pentecoste degli Ebrei, di quanto la legge di grazia è superiore alla legge mosaica, e quanto il compimento dei nostri grandi misteri supera tutto ciò che n'era soltanto la figura. Quali meraviglie non iscopre la fede in questo mistero! La terza Persona della Santissima Trinità è discesa sopra gli uomini per riempirli, con immensa e divina liberalità, delle sue grazie più abbondanti e dei doni celesti! In questo giorno della Pentecoste, Nostro Signore dà l'ultima mano alla grande opera, alla quale Egli mirava in tutti i suoi misteri. PE in questo giorno di Pentecoste che Gesù si è formato un nuovo popolo di adoratori. Oggi Iddio ha mandato il suo Santo Spirito sulla terra per rínnovellare la faccia del mondo, per creare la sua Chiesa, «conservatrice eterna del suo Sangue e Madre dei santi», come la chiama il Manzoni, proprio in quell'inno così sublime, che egli sciolse alla « Pentecoste ». Oggi è la proclamazione non più della legge di giustizia del Sinai, ma della legge di grazia, di carità, di misericordia! La Pentecoste è il fine e la consumazione di tutto ciò che Iddio ha operato e sofferto per l'umanità. Che gran giorno è mai questo! E non è già la celebrazione di un mistero passato, come nelle altre feste, ma è un mistero che continua anche attualmente, e si rinnovella, e si va Compiendo in noi stessi, pel mistero della Santa Chiesa di Gesù Cristo. E lo Spirito Santo discese, visibilmente. sulla Chiesa nascente in un giorno di domenica, nella gran festa della Pentecoste degli Ebrei; affinché, in quello stesso giorno in cui Dio aveva dato l'antica legge sul Sinai, essa fosse abolita dalla nuova. Sul Sinai la legge fu data fra tuoni e lampi, con apparato tremendo, e fu scritta su tavole di pietra, per accennare alla durezza di cuore del popolo al quale veniva data. La nuova
legge invece, essendo legge di grazia e di amore, fu data dallo Spirito Santo, principio e fonte inesausta di carità, e da Lui scolpita nelle anime con tutta la dolcezza e incisa nello spirito, cioè nei cuori degli uomini, con segni tutti di santissimo e di divino amore. Oh, preghiamolo Nostro Signore, che voglia scrivere, nello stesso modo, la sua santa legge, nei nostri cuori, col dito della sua destra, e stamparvela sì profondamente che non vi si cancelli mai più! San Luca (Atti, 2, 3) parlando della discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, dice: “E apparvero loro, separate le une dalle altre, delle lingue, che parean di fuoco; e se ne posò una su ciascuno di loro; e furon tutti ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito dava loro d'esprimersi”. Di questo fuoco aveva evidentemente già parlato Nostro Signore (Luca 12, 49) quando disse: « lo sono venuto a spargere il fuoco sulla terra, e che altro bramo io, se non che esso arda in tutti i cuori? ». Era il fuoco della carità di Gesù Cristo, era il fuoco dell'apostolato, che ricevettero gli Apostoli e sparsero per tutta la terra. E questo fuoco apparve sotto forma di tante lingue, perché li Apostoli, con le loro lingue, spandessero il fuoco della divina carità in tutti i cuori docili alla grazia. Queste lingue di fuoco, dice san Bernardo, significavano ancora che, quando lo Spirito Santo mette la luce della fede e accende lo spirito di pietà in un'anima, è come una lingua di fuoco che produce al di fuori, con tutti gli effetti dell'amore divino, una diversità meravigliosa ed una effusione, che ad ogni ora rinasce, di atti di adorazione, di lode, di obbedienza, di umiltà, di tutti gli omaggi, in una parola, dello spirito e del cuore. Le lingue di fuoco erano anche, una figura sensibile del «dono delle lingue », in grazia del quale gli Apostoli poterono farsi intendere dalle genti di tutte le nazioni. « L'Arabo, il
Parto e il Siro in suo sermon l'udí », dice il Manzoni. Ma chi udirono? « La voce dello Spiro! ». Era, dunque, lo Spirito Santo che parlava, per la lingua degli Apostoli. Le lingue di fuoco spartite significavano la carità - il fuoco -e la diversità dei linguaggi. E « tutti furono ripieni dello Spirito Santo ». Il divin Paracleto si sparse in tutte le loro potenze e su tutte le loro facoltà. Empì di luce celestiale i loro intelletti; i misteri più profondi furono rivelati agli Apostoli; diede fortezza e coraggio sovrumano al loro petto, perché propagassero il Vangelo e dessero il sangue per la fede. Essi ebbero una fede apostolica e un eroismo apostolico. Diede loro doni interiori e doni esterni, e una santità singolare, e, direi, superiore. E la eloquenza di san Pietro, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, bastò a illuminare nella fede, ad ammonire, a persuadere e a convertire, in quella sua prima predica, circa tre mila persone, le quali furono immediatamente battezzate (Atti, 2, 41). Ecco la Pentecoste dei cristiani, e i doni sovrumani dello Spirito Santo, di cui parla san Girolamo nella sua lettera « ad Fabiolam », ravvisandovi e facendo un esatto parallelo con la manifestazione del Sinai. E’ grande gioia cristiana la Pentecoste! E il digiuno di oggi non è già, nello spirito della Chiesa, digiuno di penitenza, ma jejunium exultationis! digiuno di esultanza! Oggi, benché vigilia, già si dice, nella Messa, il Prefazio della Festa, si leggono le profezie si benedicono i fonti battesimali. La Messa del giorno di Pentecoste ha la bella sequenza del Veni, Sancte Spiritus. Nei secoli passati, poi, si suonava nelle chiese una tromba, come per imitare il rumore venuto dal cielo. E in altre chiese si facevano cadere, a simboleggiare le lingue di fuoco, delle foglie rosse, onde il nome di « Pasqua rosata » venuto a questa dolcissima solennità. Oh, invochiamolo anche noi lo Spirito Santo! Venga Egli sovra di noi e dentro di noi, e ' come fece con gli Apostoli, così trasformi anche noi, miserabili, per la infusione dei suoi
doni. E ci faccia umili e fervorosi servi e figli e missionari della carità! E, come il mistero della Pentecoste continua sempre invisibilmente nella Chiesa, così discenda in noi e viva sempre in noi la carità abituale o grazia santificante. E questo il primo e più necessario dono dello Spirito Consolatore, che noi dobbiamo implorare oggi e sempre. Egli illumini la nostra mente col dono della intelligenza: ci elevi, col dono della sapienza, al conoscimento delle verità divine. La scienza, che viene dal divino Paracleto, ci porti a disprezzare i beni e le bassezze della terra per la cognizione di Dio, e ci dia « quel gusto interno, come scrive san Bonaventura, che riempie l'anima di soavità, per cui disse il Salmista: Gustate e vedete, quant'è mai dolce il Signore » (Sal. 33, 9). Il dono del consiglio è la scienza sperimentale, e il piacere delle cose celesti. Il Signore ci mostri, pel suo consiglio, le sue vie, regga i nostri passi, ci guidi e preservi dai pericoli. Discenda in noi quel dono della fortezza che è virtù cardinale: la fortezza che rese invitti i Martiri, e trasformò in eroine di Cristo tante deboli donzelle. Venga su di noi e dentro di noi quella pietà soprannaturale, che fa docile lo spirito, e ignita di fervore santo l'anima; la pietà, che l'Apostolo Paolo raccomandava tanto al discepolo suo Timoteo, dicendogli che essa « è utile per ogni rispetto, in quanto che ha la promessa della vita presente e della vita a venire » (1 Tim. 4, 8). Il timore di Dio, come dono dello Spirito Santo, è il timore di spiacergli, per l'amore che gli portiamo. E’ un timore che nasce ed è nutrito dall'amore di Dio. 1 quattro primi doni guariscono, fortificano, ed innalzano l'intelletto: gli altri perfezionano la volontà e la informano alla pratica delle virtù. Essi sono una spada ed, insieme, uno scudo di difesa per l'anima: essi danno fame e sete di giustizia,
sentimenti di compassione e di misericordia, purità di cuore, pazienza nelle tribolazioni, nelle malattie, nelle persecuzioni, e una grande e soavissima pace di spirito. Lo Spirito Santo è fonte divina di verità, di carità, di umiltà, di consolazione, di beatitudine interiore! Oh, venga, dunque, su di noi lo Spirito Santo! Spirito di verità, Spirito di orazione, Spirito di unione, Spirito di misericordiosissima e divina carità! E la Beatissima Vergine, che certamente si trovava in quella eletta adunanza di Gerusalemme, raccolta insieme con gli Apostoli e i discepoli e le pie donne in orazione, quando verso l'ora di terza - le nove del mattino - venne di repente dal Cielo quel suono, quasi vento gagliardo, e riempi tutta la casa, dove abitavano, la Beatissima Vergine, Madre tenerissima e Capitana della nostra nascente Congregazione, ci ottenga da Gesti tutti i copiosissimi doni e i frutti dello Spirito Santo, doni che ci dilatino di carità il cuore, come lo dilatarono a san Filippo Neri, e ci ottenga di vivere affocati di carità e di infiammare di divina carità tutte le anime! (Da lettera del 19-V-1923; cf. Don Orione alle Piccole Suore…, op. c1t., pp. 236 ss.).
2. Un cuore largo come il mondo Il fine particolare e speciale (della nostra Congregazione) è di propagare l'amore e la dottrina di Gesù Cristo e della Chiesa, specialmente nel popolo: attrarre ed unire, con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del Cuore, i figli del popolo e le classi lavoratrici alla Sede Apostolica,
nella quale, secondo le parole del Crisologo, « il beato Pietro vive e presiede e dona la verità della fede a chi la domanda » (Ep. ad Eut., n. 2); e ciò mediante opere di misercordia spirituale e corporale e le seguenti istituzioni, destinate sia all'educazione e formazione cattolica della gioventù più umile e derelitta, sia a condurre. le turbe a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, per le vie della carità: oratori festivi - patronati - doposcuola - esternati -pie associazioni - centri e circoli di Azione Cattolica per fanciulli, aspiranti, giovani, studenti e operai -istituzioni per uomini cattolici e patronati operai -scuole di religione - scuole e collegi, sempre per fanciulli poveri scuole agricole, professionali, commerciali, industriali e magistrali - opere di prevenzione per minori abbandonati - riformatori - istituti pei figli dei carcerati case di redenzione sociale ~ segretariati - patronati per carceri e ospedali - ricoveri per orfani e deficienti - case di Divina Provvidenza per minorati di ogni genere e pci rifiuti della società - lebbrosari e lazzaretti - case di riposo per la vecchiaia - cattedre ambulanti popolari di propaganda religiosa - stampa - biblioteche popolari scuole di propagandisti - scuole per la formazione di pubblicisti cattolici - catechismi - predicazioni - pellegrinaggi - opere di prevenzione contro la propaganda protestante - circoli militari - opere sportive – scuole apostoliche - istituti missionari - seminari per provvedere vocazioni ai Vescovi e alle loro diocesi - convitti ecclesiastici - ritiri sacerdotali - case di santificazione per il clero... e quelle opere di fede e di carità che, secondo i bisogni dei paesi e dei tempi, piacesse alla Santa Sede di indicarci, come più atti a rinnovare in Gesù Cristo la società. Questa umile Congregazione è essenzialmente, per i poveri e per il popolo.
(Cap. I delle Costituzioni, in una lettera da Buenos Aires, del 22-VII-1936; cf. Papasoglí, op. cit., pp. 441 ss.).
3. Fuoco al mondo lo non vorrei, o carissimi Figli in Gesù Cristo, che alcuni di voi dormissero il sonno dell'anima, non vorrei che vivessero in quel languore e torpore di spirito che, al dir di Dante « poco è più morte ». Dio non voglia! Quando si pensa, o miei cari, a quello che gli uomini fanno per un po' di quella gloria vana che il mondo promette, ai rischi che affrontano per una ventata di umana vanità, o sia pure, per far progredire di qualche passo di più qualche ramo della scienza; non ci sentiamo noi umiliati di fare così poco per Iddio e per le anime? Quando si pensa a Nobile e ai suoi compagni, e noi si è pur troppo cosi inerti, così ignavi nel bene! - Ditemi: non c'è forse da vergognarci? Nessuna emulazione santa ci scuote? L'amore che gli uomini del secolo hanno per un po' di gloria in questo mondo, sarà dunque più forte che l'amore di Dio in noi? Nessuna divina virtù, né salvezza dei fratelli, né il sangue e la morte stessa di Cristo, non la carità di Gesù ci riscuote? Deh! che nessuno di noi abbia da rimproverarsi le parole che sono in un salmo: « Io dormii e mi assonnai », per quanto, si riferisce all'adempimento dei vostri doveri. Guai ai tiepidi! e a chi non sente spavento del tiepido spirito, e si abbandona all'indifferenza, ed è da Dio trovato negativo, non positivo. Guai alle acque ferme e stagnanti - esse non esaleranno che miasmi e microbi di morte -, perché imputridiranno!
Se dunque alcuno di voi comprendesse di essersi alquanto atrofizzato nei suoi doveri, di essere vissuto nell'indolenza e ignavia veda ora di scuotersi, e di darsi ad amare Dio e a servirlo con ardore, e con ardore da santi religiosi. Diamoci tutti ad amare davvero Nostro Signore Gesù che tanto ci ha amato, ad amare la santificazione nostra, la santa Chiesa e la Congregazione nostra e a prepararle in noi dei figli non indegni, ma degnissimi e di cui si possa onorare. Preghiamo, vigiliamo su noi stessi, in Domino, rinneghiamo il nostro amor proprio e operiamo virilmente e santamente pro Christo et Ecclesia: in umiltà e fervore, nel sacrificio della volontà, della mente, del cuore e di tutta la vita. Sentiamo in Domino la carità di Gesù Cristo che ci incalza e ci preme: Charitas Christi urget nos! Chi questa carità, che è amore di Gesù e spirito di apostolato, non sente, meglio che lasci la Congregazione, poiché non avrebbe spirito. Che i nostri occhi si aprano alla luce di Dio e si spronino insieme i nostri cuori alla carità di Gesù crocefisso, sì che tutti abbiamo a sentire e a vivere tutta la sublimità e santità della nostra vocazione, ed apprezzare il valore, la grazia di dono sì grande e sì celeste. Iddio non vuole una moltitudine di figli fiacchi e inutili (Cap. 15, 22 dell'Eccl.) né che compariscano davanti al Signore a mani vuote: « Non apparebis ante conspectum Domini vacuus » (Eccli., 35, 6). Sia la nostra una vita tutta ardente di divino amore e tutta consacrata a piacere di Dio! Non Gli basta la vostra fede, ha bisogno di vedere e di constatare le vostre opere: « la fede senza le opere è morta ». Guardate, o miei Figli, i campi sterminati che vi aspettano: i campi dove il male dilaga e fa strage di anime! I figli delle tenebre saranno dunque più alacri e più attivi nel male, che i figli della luce e della verità e del bene?
Preparatevi all'apostolato della carità, con la umiltà, con la preghiera incessante e fervorosa con la devozione a Gesù sacramentato e a Gesù crocifisso, al Cuore di Gesù: con una pietà tenera, figliale verso la Madonna SS., supplicandola che cresca in voi lo Spirito del Signore, e il sentimento dei vostri doveri e l'impegno nel loro adempimento, per coscienza dei nostri doveri, di tutti i nostri doveri, di tutti i vostri doveri, compìti non per gli occhi della gente, ma per l'amore di Dio e per coscienza Se crescete in voi lo Spirito vero di Gesù Cristo, che non è tiepidezza, ma foco, foco, foco di divina carità, non dubito che anche tutte le buone energie si desteranno in voi nell'amore di Dio: la vostra volontà sarà avvalorata da una maggior grazia del Signore, e il risultato non potrà essere che più soddisfacente. Ma vanamente parlerei se non sentiste Gesù, se non amaste Gesù, se non operaste per Gesù! (...) Accogliete, o carissimi miei Figli, questa lettera con umile e docile animo. Meditate davanti a Dio e alla vostra coscienza questi avvertimenti, questa paterna esortazione in Domino. Che le vostre lampade non siano prive d'olio né spente nelle vostre mani, ma ardano e risplendano, sempre! Ardere, diceva san Bernardo, è poco, bisogna ardere e splendere! (Da lettera del 3-VI1-1928, da Roma; cf. Lettere, 11, pp. 52 ss.).
4. « Crescere in tutto... » (Ef. 4, 15) Dobbiamo crescere e progredire in tutte le buone attività crescamus per omnia (cresciamo in tutto) (Ef. 4, 15). In Ilo, cioè in Lui, che è Capo, Cristo.
Sempre però veritatem facientes in charitate (facendo la verità nella carità) (Ef. 4, 15). E valerci di tutto che la Chiesa, la patria, la teologia, la filosofia, le lettere, le scienze, le arti onestamente ci offrono, sia di antico che di nuovo, nova et vetera (cf. Mt. 13, 52), di tutto servirci, tutto tesoreggiare, agli alti fini della gloria di Dio, della propagazione del Vangelo e della cristiana civiltà, della difesa della Chiesa, della patria, della famiglia, delle anime: tutto rinnovare in Cristo. (Da lettera del 22-11-1938, da Tortona; Cf. Lettere,II, p. 531).
5. Ci vuole generosità E ci vuole generosità, ma una generosità non comune, una generosità grande e coraggiosa, fondata nel nostro Dio e accompagnata da vera umiltà, una generosità ardente per spinto di fede e per giovanile ardimento in Domino. La nostra piccola Congregazione deve essere, corde magno et animo volenti (con grande coraggio ed animo volenteroso), una Famiglia religiosa di caratteri fermi e di elementi generosi: una Congregazione di umili e di forti nella fede e nella volontà di sacrificarsi con Gesù Cristo e per Gesù Cristo, ai piedi della santa Chiesa nel rinnegamento pieno di noi, e in olocausto d'amore a Dio, sorretti dalla grazia del Signore che non lascerà di confortarci, e tutto e solo a gloria di Dio e a conforto della Chiesa. Il nostro carattere deve essere ardente, leale, retto, magnanimo, ma tenero insieme e vivificato dalla carità del Signore, e, nella carità, generosissimo sempre. Generosissimi con Dio, senza limiti e generosissimi con le anime dei fratelli, per la carità di Cristo. Bisogna, miei cari Figli, che ci diamo a servire Dio ed il prossimo con amore santo, dolcissimo, con intelligenza e con animo grande, ardente di slanci sublimi, sino alla consumazione di noi, generosissimamente!
Senza generosità faremo le cose privi di spirito o a metà; retrocederemo, invece di avanzare nella pratica della vírtù; la nostra mortificazione andrà evaporando, la purezza diventerà vacillante, la carità difettosa, la obbedienza molto imperfetta od una parvenza, saremo languidi in tutti gli esercizi di pietà. Guai il giorno che venisse ad affievolirsi in noi quella generosità verso Dio, verso la Chiesa, verso le anime, che è fervore di spirito e spirito di pietà, che è linfa spirituale e carità che deve vivificare tutta la nostra vita! La nostra Congregazione sarebbe vecchia prima del tempo, e noi degli invalidi senza titoli ed a mani vuote. Noi siamo servi inutili, ma siamo servi di Gesù Cristo, e la mercede non ci sarà data che in proporzione dello Spirito di generosità e di letizia e di lavoro, almeno di desiderio, che avremo fatto nella vigna del Signore, nel luogo che ci verrà assegnato. Su, coraggio! Rimettiamoci in cammino con animo ilare e generoso: dice san Paolo (2 Cor. 9, 7): hilarem datorem dioligit Deus: Dio, ama chi si dà al suo servizio con tutta generosità e con animo gioioso. Di questo spirito vissero tutti i santi: i loro giorni furono pieni di Dio, pieni di serenità e di perfetta letizia, ché Dio non si serve né brontolando né a metà, né con faccia da quaresima, ma con generosità piena e in letizia. E più ancora: in ardore di carità! E questo spiega i loro rapidi progressi nella pratica delle più sublimi virtù. Certo, quanto più saremo di buon animo pronti a darci ai fratelli e generosi.con Dio, e più Dio sarà generoso con noi. Il Cuore di Gesù faccia vivere e palpitare i nostri cuori della più grande generosità e carità. Io prego per voi, pregate anche voi per me! Iddio ci ascolterà tutti: ci darà grazia, forza, volontà ferma, nelle vie del bene, generosità d'animo, coraggio! Il Regno di Dio verrà
più ampio in mezzo di noi, e, qualunque sia il nostro avvenire, cammineremo con passo fermo, verso la meta che la Divina Provvidenza e la santa Chiesa ci segneranno. Andiamo avanti con ardore, ma anche con semplicità e obbedienza piena e contenta, dove la misericordiosa Provvidenza e la mano materna della Chiesa ci condurranno, senza cercare altro che di amare e servire Gesù Cristo e la santa Chiesa, di vivere e morire ai loro piedi e sul loro cuore! (Da lettera dell'l-V11-1936, da Buenos Aires; cf. Lettere, 11, pp. 358 ss.).
6. « Farsi ammazzare ... » Bisogna andare al popolo, e sacrificarsi, e farsi ammazzare, ma rifarlo cristiano. Non si facciano illusioni le autorità: con le baionette e con la galera a nulla approderanno anzi sarà peggio. … Il fuoco arde sotto la cenere, e, domani, può divampare più furibondo di ieri. Il primo dovere lo dobbiamo fare noi preti: ed è quello di essere veri cristiani, se vogliamo rifare cristiani gli altri. Il moto rivoluzionario dei. giorni trascorsi (1-2 maggio 1917) deve servirci a farci fare un buon esame di coscienza. Che abbiamo fatto noi per il popolo? Siamo noi sempre il sale della terra e la luce del mondo? Onoriamo noi la Chiesa con opere di virtù e di sacrificio e di carità e siamo noi i servi di Gesù Cristo nei suoi poveri, nei derelitti e nelle sue membra più inferme ed abbandonate? Domani verrà un'ondata, e con le anime spazzerà via anche i nostri santi altari. E noi dormiamo? Sentiamo, o fratelli, la grave responsabilità che ci sta sulla testa. Con la mitragliatrice all'imboccatura delle strade si trattiene un popolo per qualche ora, ma non si ricostruisce la società.
Non col ferro e col fuoco si ammansa la fiera: e il popolo quando non ha più la fede, è belva. (1917; cf. Papaso,gli, oP. cit., p. 281).
7. Faticare! faticare! faticare! … Faticare, faticare, faticare bisogna, per l'amore di Dio e sull'esempio di Nostro Signore Gesù Cristo. « Perché fuggire la fatica? Sarà forse senza ricompensa? », diceva Don Bosco. Dio ha comandato all'uomo di lavorare. Gesù Cristo ', tutti i santi hanno lavorato, e san Paolo dice che chi non lavora non deve mangiare, a meno che sia malato, o in età di non poter lavorare. Noi dobbiamo essere grandi lavoratori: i lavoratori dell’umiltà, della fede, della carità! Grandi lavoratori delle anime: grandi lavoratori della Chiesa di Gesù Cristo Nostro Re e Salvatore! Ma che dico lavoratori? P poco, troppo poco, Dobbiamo essere i facchini di Dio! Chi non vuole essere e non è facchino della Provvidenza di Dio, è un disertore della nostra bandiera. Fuggite l'ozio e lavorate! Lavorate con umiltà; con zelo, con ardore di carità. Don Bosco morì raccomandando il lavoro. E Giobbe diceva: « L'uccello è nato per volare e l'uomo per lavorare ». Non amate il dormire, guardatevi dal cubiculum otiositatis. Se lavoreremo molto e lavoreremo e travaglieremo per mettere a frutto i talenti, e sotto lo sguardo di Dio, e per compiere la volontà del Signore e l'esempio del Signore, il lavoro sarà degno di noi e di Dio: il lavoro sarà il grande rimedio contro la concupiscenza, e un'arma potente contro
tutte le insidie del diavolo e le tentazioni del mondo e della carne. (Da lettera del 7-11-1923, da Roma; cf. Lettere, 1, pp. 469 s.).
8. Sfacchinare Non basta a noi solo il pregare, solo lo studiare, ma ancora bisogna SFACCHINARE, da un'Ave Maria all'altra, per il buon andamento degli istituti, con amore di Egli, pensando prima agli altri e poi a noi, e mostrando così se c'è o no vocazione, se c'è quello spirito di Dio, quel vero spirito di annegamento di noi e di martirio per la salvezza delle anime, che dev'essere proprio dei Figli della Divina Provvidenza. La pace non è nella inerzia, ma nella carità operosa e nel sacrificio. Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio e di piena morte di noi stessi per la vita delle anime e per la causa della Chiesa santa di Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina, e non raggiungerà il suo scopo. E noi dobbiamo volere che anche il lavoro e la scienza si facciano virtù: che la vita nostra si immoli e si faccia sacrificio: che il sentimento di Dio, la fede in Dio, l'amore di Gesù Cristo, della sua Chiesa, del suo Vicario in terra diventino per noi, come per la gioventù che ci è affidata, una vera opera di redenzione sociale e di vita eterna. Noi cadremo, ma mille anime sorgeranno e vivranno di Dio e anche di quella luce onde noi le avremo illuminate e amate nel Signore. (Da lettera del 19-1V-1920, da Tortona; cf. Lettere, 1, pp. 168 s.).
9. Evangelizzazione e promozione umana
Ci manca quella fede che fa della vita un apostolato fervido in favore dei miseri e degli oppressi, com'è tutta la vita e il Vangelo di Gesti Cristo. Manca la fede, quella fede divina, pratica e sociale del Vangelo, che dà al popolo la vita di Dio e anche il pane. Ecco la piaga! Se vogliamo oggi lavorare utilmente al ritorno del secolo verso la luce e la civiltà, al rinnovamento della vita pubblica e privata, è necessario che la fede risusciti in noi e ci i-isvegli da questo sonno « che poco è più morte ». E’ necessaria una grande rinascenza di fede, e che escano dal cuore della Chiesa nuovi e umili discepoli del Cristo, anime vibranti di fede, i facchini di Dio, i seminatori della fede! E deve essere una fede applicata alla vita. Ci vuole spirito di fede, ardore di fede, slancio di fede; fede d’amore, carità di fede, sacrificio di fede! Di fede dobbiamo riempire tutte le arterie umane; tutte le vie del mondo. Senza fede avremo il gelo, la decadenza, la morte: senza fede è sterile, è nulla, è vuota la scienza e ]n vita. Bisogna dunque rinascere a vita novella: a vita di fede soprannaturale, di fede vera, efficace, profonda, pratica; bisognerà, secondo lo spirito puro della nostra Chiesa Madre e cattolica, lavorare e sacrificarci per un'umanità migliore, alla luce alta e consolante della fede! Se sta scritto che solo con la fede infocata di carità salveremo gli uomini. Potremo ancora tutto sulle moltitudini, potremo in Cristo rinnovare l'Italia e il mondo, se avremo più fede, se fede respireremo, se di fede veramente cristiana, ardente, operosa vivremo. Un rifiorimento e viva fragranza di fede si effonda dunque sulle plaghe e pei liberi cieli d'Italia, in questi giorni di riscatto nazionale.
Una divina fede risplenda luminosa, grande inestinguibile su tutta « la riunita itala gente ». (Febbraio 1919; cf. Don Orione nella luce di Maria, III, p. 1369).
10. L'apostolato della verità ( ... ) Che la nostra nuova fatica sia pervasa di un grande amore a Dio e ai fratelli, ora e sempre! Sia posta a servizio della verità solo ispirata alla verità, senza mai deflettere dalla verità, ma e nella sostanza e nella forma, sia vivificata e irradiata dalla carità del Signore: facere veritatem in charitate (cf. Ef. 4, 15). Vivere la verità, praticarla, servirla, la verità, con dedizione piena e in tutti i modi, anche con la penna sì che essa viva e splenda in noi e alle intelligenze e al cuore di quanti vi leggeranno. Operate e scrivete sempre secondo gli insegnamenti della fede e della Chiesa: esse ci danno la verità rivelata; operate e scrivete solo quello che vi risulta vero, giusto, onesto, retto, ma sempre sotto l'impulso della carità: sempre e in tutto fedeli alla verità ma in una volontà e in uno spirito evangelico di santo e dolce amore di carità in Cristo. E’ l'Apostolo Paolo, che nella Epistola ai cristiani della Chiesa di Efeso scrisse Veritatem autem facientes in charitate, crescamus in illo per omnia qui est caput Christus (Ef. 4, 15). (Da lettera del 22-11-1938, da Tortona; cf. Lettere 11, pp. 530 s.).
11. La stampa La stampa è una grande forza: grande oratore che parla di giorno, che parla di notte, che parla nelle città e parla nelle
borgate, fin sui monti e nelle valli dimenticate. Dove non arriva la stampa? Non è la stampa che crea l'opinione pubblica, che trascina alla pace e alla guerra? Oh, quanto male ha fatto la cattiva stampa! Ma quanto bene fa la stampa, quando è in buone mani, quando è posta al servizio di Dio, della Chiesa, della patria! Può la nostra Congregazione disinteressarsi di una tal forza? Non siamo noi obbligati a valercene pro aris et focis? Con la stampa popolare porteremo Cristo al popolo e il popolo a Cristo. (Da lettera del 22-11-1938, da Tortona; cf. Lettere, 11, pp. 529 s.).
12. Consigli per 1,apostolato-stampa ( ... ) utto rinnovare in Cristo, anche la stampa, e per la stampa. Il vino nuovo sia in otri nuovi, ma anche il vino vecchio ponetelo in otri nuovi- « altrimenti - dice Gesù - (Mt9, .17) gli otri rompono- ed il vino si versa ». Voglio dire che, se volete farvi leggere, se volete piacere e penetrare e conquistare anime e far del bene, bisognerà che sappiate Adattare, ove occorra, la dottrina antica di Cristo a forme nuove e vive; bisognerà che usiate i modi più graditi ai tempi nuovi, ai lettori di oggi. Lingua semplice, propria, parlata, vivissima: periodi brevi, scintillanti: notizie, corrispondenze, articoli brevi, brevissimi, e sempre un raggio di luce alta, un tenero pensiero che letifichi e levi lo spirito a Dio. Fermi e saldi ai principi della fede e a tutto che è dottrina della Chiesa, attenetevi alla regola: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas! Precisi e chiari sempre, rifuggite dallo stile affettato come dai modi antiquati, che
sanno di muffa.. Siate disinvolti, ma la vostra frase sia calda: tenete serrati e vibranti i più dolci e sacri amori: Dio, Papa Evangelo, Chiesa, famiglia, patria, Congregazione: i Piccoli, i poveri, i lavoratori, il popolo. Non siate tardi al lavoro, ma alacri e celeri sempre nelle corrispondenze: sappiate essere tempisti, poneteci una santa passione: qui sta un grande segreto, dopo l’aiuto di Dio qui sta il segreto della riuscita: fede, lavoro, coraggio. (Da lettera del 22-11-1938, da Tortona; cf. Lettere, 11, pp. 531 ss.).
13. La scuola cattolica La scuola nostra dovrà essere rispettata come una chiesa e da noi trasformata in una cattedra di ministero sublime, in una palestra di vero apostolato. Essa deve essere amata da noi, e deve farsi amare dagli, alunni, anzi chi insegna deve farla amare così che essa`dovrà diventare come la casa sacra al sapere e alla virtù dei nostri alunni: essi non devono quasi avere altro pensiero, altro desiderio che di trovarsi con i loro maestri e nella loro scuola. E chi insegna otterrà questo se renderà amabile (non mai pesante) e attraente 1Insegnamento, conducendo avanti i suoi scolari come fa la mamma, che conduce a mano i suoi bambini. Per rendere meno faticoso lo studio, il maestro dopo aver studiato lui, ed essersi ben preparato per conto proprio, studierà quasi insieme con la scolaresca. La scuola dev'essere una famiglia, una famiglia morale bene disciplinata e condotta avanti con molto affetto nel Signore e con molta cura. Ogni tanto vogliate far vibrare nella scuola la corda del sentimento e del cuore, elevandovi roi fino a Dio, voi e i vostri alunni: così si educa! Un istituto di educazione è sempre una grand'opera di carità e dice la S. Scrittura: Qui ad iustitiam erudiunt multos, quasi stellae fulgebunt in perpetuas aeternitates.
(Da lettera del 21-11-1922 da Vietoria (Argentina) cf. Lettere, 1, pp. 355 ss.)
14. « Farsi piccoli coi Piccoli... » … Di san Filippo Neri è detto, in una lapide sul Granicolo a Roma, là sotto la storica quercia, che egli « seppe farsi piccolo coi piccoli sapientemente ». Questo è il nostro spirito, o miei cari Figli in Gesù Cristo! Con ogni pia e santa e fraterna industria dobbiamo avvicinare il cuore dei giovani e farci come ragazzi con essi e, raccomandandoci a Dio, prendere in mano con grande riverenza l'anima dei giovanetti a noi affidati, come farebbe un buon fratello maggiore con i fratelli più piccoli. Bandire i castighi troppo lunghi, penosi ed umilianti evitando ad ogni costo di battere i giovani; ma invece, con vigilanza non interrotta, con esortazioni paterne, con l'anima piena di sincero affetto, dobbiamo cercare, o cari Figliuoli miei di prendere sempre più in mano il cuore dei nostri cari alunni per portare i loro cuori a Dio. Badate bene; dico per portare il loro cuore a Dio, perché guai se lo teneste per voi! Sareste perduti voi, i giovani e la Congregazione nostra insieme con voi. E a questo di portare a Dio i giovani arriveremo pregando e mortificandoci e adottando il sistema di educazione cristiano usato e con tanto felice esito dal santo Don Bosco mio confessore e mio Padre in Cristo; metodo savio, detto «Sistema Preventivo ». Sistema che vuol essere da noi Praticato scrupolosamente perché per esercitare una efficace influenza sul cuore dei nostri alunni è 1’unico metodo che convenga a religiosi, e che sia in perfetta armonia colle leggi che attualmente vigono in Italia.
Avviciniamo i giovani come Piccoli fratelli nostri, unendo al dolce, alla mitezza e bontà anche quel contegno dignitoso (ma non abitualmente severo), che valga a conciliarci la loro benevolenza. In tutto facciamo ]oro comprendere che vogliamo il loro verace bene e che li vogliamo morali, cristiani, educati, civili e formati tali da essere di onore a sé, alla famiglia, alla loro città e alla patria; giovani educati, onesti laboriosi e professionalmente capaci di essere un giorno bravi operai capaci di farsi largo nel mondo, perché sapranno guadagnarsi onorevolmente la vita e potranno aiutare le loro famiglie. Il giovane - diceva Lacordaire - è sempre di chi lo illumina e di chi lo ama..Ed è così. Il giovane ha bisogno di persuadersi che siamo interessati a fargli del bene, e che viviamo non per noi, ma per lui: che gli vogliamo bene sinceramente, e non per interesse, ma perché questa è la nostra vita, perché lui è tanta parte della nostra stessa vita, e il suo bene costituisce la nostra missione ed è il nostro intento e affetto in Cristo. Egli deve comprendere che viviamo per lui: che il suo bene è il nostro bene, che le sue gioie sono le nostre gioie e le sue pene, i suoi dolori, sono pene nostre e nostri sono i suoi dolori. Egli deve anche sentire che siamo pronti a fare per lui dei sacrifici e veramente sacrificarci per la sua felicità e per la sua salvezza. Il giovane deve sentire questo: deve sentire attorno a sé un'atmosfera buona, un soffio caldo d'affetto puro illibato e santo; e di fede, di carità cristiana, ed allora sarà nostro. Se non c'è questo soffio caldo di Dio, se egli non sentirà amore sincero per lui, se non ci stimerà per questo, non ne faremo nulla. Se invece ci amerà e ci stimerà, lo condurremo a Dio, alla Chiesa, lo condurremo dove vorremo. Ma egli deve leggere nel cuore! deve aver fiducia di noi, deve sentirci. Egli sentirà Dio, sentirà la Chiesa attraverso noi. …
Molte volte non si ottiene che Poco o nulla perché oltre i pregiudizi che i giovani hanno sul conto nostro, hanno pure talora dei veri motivi di diffidare: noi siamo poco sinceri coi giovani ed è grave sbaglio. Vigiliamo poi i giovani, vigiliamo sempre, ma ricordandoci che la nostra vigilanza non deve pesare, non deve opprimere: né dobbiamo tenere i giovani come sotto uno strettoio, come sotto una campana di piombo No!.. Questo, non è sistema preventivo, ma repressivo e odioso. Noi siamo religiosi e non dobbiamo fare né le guardie di pubblica sicurezza, né gli aguzzini, né gli sbirri con i giovani a noi affidati. La nostra vigilanza deve essere come la luce che penetra dappertutto, ma che non pesa; illumina, rischiara il cammino, ma non pesa. Non avvilite mai nessuno nelle correzioni e punizioni, quando di queste non si potesse proprio fare a meno; no, no, non avvilite mai, ed evitate di correggere davanti ad altri; si lodino tutti insieme, e si correggano e puniscano da soli, possibilmente. Solo eccezionalmente per togliere qualche malo esempio si usino castighi pubblici e pubblici rimproveri. E qui mi viene bene di avvertire di un difetto in cui si può cadere quasi senza accorgersene. Talora visitando qualche nostra casa, mi è capitato di sentire parlare così « Eh, qui in Calabria! (cito così per citare, puramente per farmi capire) Eh, questi calabresi di qui!... eh, questi calabresi di la »; oppure: «Sti romanacci!... ». E li giù quante se ne può dire. E si parla così anche davanti a calabresi, a romani ecc. e talora sono presenti sin dei nostri confratelli stessi che sono calabresi o romani, siciliani o abruzzesi, ecc. secondo il popolo di cui si parla; ed è certo che ne restano mortificati. E non si pensa alla indelicatezza, anzi alla sconvenienza di un tale linguaggio e all'atto poco educativo che si commette. Così alle volte si parla, e con troppa leggerezza si parla, e si critica e si mormora fin anche; si crea così il malumore tra noi e certi enti morali da cui magari si dipende. E si chiacchiera e si lascia
chiacchierare a proposito e a sproposito contro amministrazioni e persone. No, no, così, miei Figliuoli; bisogna assolutamente evitare qualsiasi critica ed apprezzamento di sorta a carico di enti e di persone. Se ci fosse qualche cosa di vero, non si deve dire che col solo superiore e non se ne parli mai più fuori, perché io solo so il male che questi modi di dire possono fare ed aver fatto, raffreddando le nostre relazioni anche con persone per bene e bene intenzionate ad aiutarci. E talora i ragazzi (e anche persone adulte) sono lì che ci sentono e poi vanno e riferiscono ciò che abbiamo detto e anche ciò che non avete mai detto. Lasciate adunque questi modi, ve ne prego, per l'amor di Dio. E così non direte mai: « Questi veneziani! e qui e là! E in Piemonte si fa così! e a Roma era meglio di qui! ecc. ». No, no, cari Figliuoli, ci faremo del male da noi; ci allontaneremo il cuore degli alunni e della gente di dove ci troviamo. Tutto ciò, vedete, che può toccare la suscettibilità delle popolazioni tra cui si è, evitatelo ad ogni costo. Ve ne prego e ve ne scongiuro per l'amore delle anime e per l'amore di Gesù Cristo che ci ha mandato affinché non allontaniamo la gente da noi, ma perché noi l'attiriamo per darla a Lui. Sono modi non atti a far del bene e niente secondo la santa politica dei santi; sono anzi alquanto contro l'urbanità, se pure non contrari alla carità di Nostro Signore. Come volete che la gente ci si affezioni se sente che critichiamo i loro usi, o i loro paesi? Ricordo di aver letto nell'Epistolarìo del Rosmini una sapiente e grave lettera che quel filosofo e santo fondatore scriveva ai suoi religiosi inviati in Inghilterra a farvi del bene. Da uomo abilissimo, piissimo e dottissimo, egli scriveva ai suoi di farsi e di rendersi « inglesi perfetti, per la carità di Gesù Cristo ». E li supplicava di assumere modi, vestiti, linguaggio e il fare tutto proprio degli Inglesi! Per attirare le anime e ciò in visceribus Cristi! E il
Rosmini era un sant'uomo, un profondo conoscitore del cuore umano ed un educatore di prima forza, malgrado certe sue teorie e certi errori riprovati dalla Chiesa. In tutto ciò che non è evidente male, scriveva il Rosmini «accettate e adottate piuttosto che perdere l'influenza, piuttosto che creare malumore, o mettersi in posizione da non poter più operare tutto quel bene che potevate fare. Ogni popolo ha i suoi costumi e sono buoni agli occhi suoi e in tutto che evidentemente, che chiaramente non è peccato, rendetevi Inglesi ». E i santi, i grandi santi Cirillo e Metodio, a fine di convertire gli Slavi, non resero slava anche la liturgia? E chiamati a Roma, a difendersi, vennero con umiltà da santi, e il Papa approvò e benedisse quanto avevano fatto, e Roma li accolse in trionfo, e poi il Vicario di Gesù Cristo li proclamò santi, e diede per loro tomba una delle basiliche più venerate di Roma, San Clemente. Don Bosco era solito dire: « Entriamo colla loro, per uscire con la nostra ». Cioè, adottiamo i loro sistemi, dove si può appena, per salvare le loro anime. San Paolo arrivò a scrivere che avrebbe amato di essere anatema, cioè scomunicato, pur di salvare le anime. Ed io vi dico, o Figliuoli miei, se siete a Venezia, e volete fare del bene, fatevi veneziani il più che potete! Più che potete, e fin che si può: e ciò fate per la carità di Cristo. E fatevi veneziani per meglio riuscire a educare e salvare gli orfani veneziani. Anzi, quando vi sia occasione esaltatela Venezia, che veramente merita, e sempre fu cattolica, anche all'epoca di Paolo Sarpi: e fu il propugnacolo della fede d'Italia contro l'eresia di Lutero. E vedrete che farete del bene. In Piemonte, siate piemontesi, a Roma romani in Sicilia siciliani. Negli anni che fui a Messina imparai, o cercai subito d'imparare il linguaggio e gli usi messinesi e a Messina io vestivo il robbone alla siciliana.
Perché noi della Provvidenza non abbiamo determinata forma di vestito? perché nel vestire dobbiamo adattarci ai paesi dove stiamo, dove la mano di Dio ci porta. E stiamo ben attenti che il regionalismo non ci impicciolisca. Non si può essere perfetti nella carità se non a condizione di spooliarci dei particolarismi e degli egoismi fini di paese. Noi di questa roba non ne abbiamo, ma bisogna stare attenti: sono dolorose e fatali le lotte in certe Congregazioni tra elementi di nazionalità diverse. Stiamocene in guardia noi; e rinunciamo con gioia, per amore della carità, ai costumi del proprio paese, quando ciò occorra per adattarci volentieri a quelli delle popolazioni tra cui viviamo. Evitiamo la leggerezza di fare confronti in pubblico, e anche tra di noi. Usiamo particolari riguardi a quelli di altra nazionalità. Non siamo dunque attaccati o almeno troppo e ridicolamente attaccati a modi e costumi che dovevamo magari tenere quando eravamo in altre case, in altri posti o nei paesi nostri. E’ un grande difetto nei servi di Dio il troppo attacco alle usanze dei paesi loro; è allora che nascono le antipatie alle cose e alle persone e queste antipatie sono un difetto che ci ruba la dolcezza dell'animo e fa diminuire in noi la carità e le forze spirituali. Ricordiamoci che en l'esercizio della carità va per un certo ordine, tuttavia il principio evangelico della beneficenza e della carità universale è quello solo che, diffuso e predicato, può apportare una vera pace nel mondo e insieme colla pace tutti i beni. Noi amiamo la nostra patria e come! ma tutto il mondo è patria pel Figlio della Divina Provvidenza, che ha per patria il Cielo. E così andiamo adagio, siamo prudenti con certi paragoni, con certe esaltazioni, con certi giudizi, con ogni parola che può allontanare la simpatia dei giovani, delle famiglie, delle amministrazioni e del pubblico. Nei partiti noi non dobbiamo mai entrarci assolutamente, e così non metterci in politica. La nostra politica dovrà consistere nel portare a Dio e alla Chiesa la povera gioventù e
le anime. Noi siamo italiani e sentiamo di amare di dolce, di forte, di santo amore questa nostra patria. Preghiamo per essa: lavoriamo a far del bene ai suoi figli, i più piccoli, i più deboli, i più abbandonati. Educhiamo i nostri giovani ,il rispetto e all'amore e all'obbedienza dell'autorità civile e politica, come a quella religiosa. Noi amiamo il nostro paese, e facciamo voti perché l'Italia, riconciliatasi finalmente con la Santa Sede, sia libera dalle sètte, sia grande, sia gloriosa. Oh, quanto sarebbe più grande e più gloriosa se fosse ufficialmente amica e figlia della Chiesa! Per la patria, noi siamo pronti a dare la vita. Ed effettivamente noi già sacrifichiamo tutta la nostra vita per dare all'Italia dei figli degni d onorati. Ma amiamo anche di un amore che sa di più alto, di più dolce, di più filiale, di più santo e divino, la nostra santa Madre Chiesa, la Chiesa Madre di Roma e il nostro Papa; perché la Chiesa è la vera Madre della nostra fede, e delle nostre anime, della parte più viva, più spirituale ed eterna di noi. E perché il Papa è il Vicario di Gesù Cristo Dio e Redentore, è il « dolce Cristo in terra » come lo chiamò santa Caterina da Siena; è la nostra guida sicura, il nostro Maestro infallibile. Ma noi non facciamo politica: la nostra politica è la carità grande e divina che fa del bene a tutti. Noi non guardiamo ad altro che sono anime da salvare. Che se una preferenza la dovremo fare, la faremo a quelli che ci sembreranno più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti. Anime e anime!, ecco tutta la nostra vita; ecco il nostro grido, il nostro programma; tutta la nostra anima, tutto il nostro cuore: Anime e anime! … Facciamo cristiana la vita; facciamo cristiana l'anima degli orfani e dei giovani a noi affidati; questo è ciò che Iddio e che la Chiesa chiedono da noi.
E adoperiamo tutte le sante industrie, tutte le arti più accette e più atte per arrivare a questo. E allorquando giungiamo in una città o in una casa, guardiamoci dal fare cambiamenti, perché correremo pericolo di guastare e non di aggiustare, di perderci in sciocchezze, e, per la velleità di cambiare, di offendere chi c'era prima di noi, e peggio, per della scorza di perdere delle anime. Attenti a questi pericoli! (Da lettera del 5-V111-192o, da Tortona; cf. Lettere, 1, pp. 240 ss.).
15. Santo e vivissimo desiderio di libertà Parte di questo spirito che dobbiamo coltivare sempre nella piccola e cara nostra Congregazione, è anche quel santo e vivissimo desiderio di libertà nelle opere di Dio per cui non vogliamo che il secolo, col suo soffio micidiale e laico, venga ad inaridire, ad intossicare a distruggere lo spirito della fondazione delle case della Divina Provvidenza. Le case della Divina Provvidenza non devono mai essere costituite in forma giuridica: le opere di carità che la Divina Provvidenza fa misericordiosamente sorgere sui nostri passi non devono essere governative, perché presto isterilirebbero, e non avrebbero più quel profumo di religiosità e di carità, che deve essere proprio dei nostri istituti. Noi viviamo in tempi incerti, passionali, mutevoli assai: non intendo che le nostre opere di carità si attacchino agli uomini, né alle istituzioni politiche degli uomini o degli Stati, né alla politica dei tempi o degli uomini o ai partiti politici. Io rispetto tutti, perché sono un cattolico, figlio della santa Chiesa cattolica e devotissimo al Papa, e sento anche di molto amare la patria, ma non voglio che il governo entri nelle nostre opere di carità, perché le guasterebbe e snaturerebbe; abbiamo uno spirito totalmente diverso.
Badate bene: non è affatto che io non voglia obbedire alle leggi del governo, né mancare al debito ossequio alle autorità civili e politiche dello Stato no, affatto! Voi sapete come tratto con le autorità e come sempre mi sono prestato, ove potei, per compiacerle e aiutarle. Solo voglio essere liberissimo nel bene, mentre nulla tralascio per costituire d’amore e d'accordo con le autorità ecclesiastiche e del governo, le nostre umili opere. (Da una lettera a don Carlo Sterpi, suo primo successore, del 15-X-1918; cf. Lettere, 1, pp. 139ss.).
16. « Pensare in grande... » … Noi null'altro desideriamo che amarlo, il Signore, in fedeltà e sacrificio totale di tutti noi, sperando in Lui, desiderosi di perfezionarci nel suo santo servizio e nella carità, amare Dio e i poveri. E' vogliamo, nel Signore, non impicciolirci, ma pensare in grande, perché Dio è grande, e amare tutti di amore santo e grande, e non perderci in piccolezze. (Da lettera del 10-111-1936, da Buenos Aires; cf. Lettere, 11, p. 441).
VII. DALLA PARTE DEI Più POVERI
Tocchiamo qui l'aspetto più caratteristico della multiforme, concreta carità di Don Orione. Egli si sentì chiamato da Dio ad avvicinare, sollevare, servire tutte le miserie umane, quelle che egli stesso più di una volta elencò nella sua preghiera, e che comprendono tutte le specie di sofferenti, o nel corpo o nello spirito. Egli parlò di «poveri più poveri », di «rifiuti della società» e a tutti apri le sue braccia ed il suo cuore. Forse a chi si meraviglia delle grandi opere di carità materiale cui dette vita Don Orione, bisognerà ricordare che egli non soltanto alle miserie fisiche dell'uomo si rivolse imitando in questo il grande santo della carità Giuseppe Benedetto Cottolengo, da cui trasse il nome per i suoi grandi istituti di carità - ma andò in cerca anche dei più miseri e afflitti nello spirito e Dio solo sa quanti, col suo amore, con la sua saggezza pastorale, con la sua parola, con la sua preghiera, riportò sul sentiero della bontà e della gioia... Proprio come Gesù che « passò bene facendo e sanando tutti », in primo luogo i peccatori. 1. Una preferenza La nostra politica è la carità: quella carità grande e divina che fa del bene a tutti. Noi non guardiamo ad altro se non che sono anime da salvare. Che se una preferenza la dovremo fare, la faremo a quelli che ci sembreranno più bisognosi di Dio, perché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti. (Da lettera del 5-VIII-1920 1, pp. 249 s.).
2. Non per i giusti ma per i peccatori Fine del sacerdozio è di salvare le anime e di correre dietro specialmente, a quelle che, allontanandosi da Dio si vanno perdendo. Ad esse devo una preferenza, non di tenerezza, ma di paterno conforto e di aiuto al loro ritorno, lasciando, se necessario, le altre anime meno bisognose di assistenza. Gesù non venne per i giusti, ma per i peccatori. Preservatemi dunque, o mio Dio, dalla funesta illusione, dal diabolico inganno che io prete debba occuparmi solo di chi viene in chiesa e ai sacramenti, delle anime fedeli e delle pie donne. Certo, il mio ministero riuscirebbe più facile, più gradevole, ma io non vivrei di quello spirito di apostolica carità verso le pecorelle smarrite, che risplende in tutto il Vangelo. Solo quando sarò spossato e tre volte motto nel correre dietro ai peccatori, solo allora potrò cercare qualche po' di riposo presso i giusti. Che io non dimentichi mai che il ministero a me affidato è ministero di misericordia, e usi coi miei fratelli peccatori un po' di quella carità infaticata, che tante volte usaste verso l'anima mia, o gran Dio. (1917; cf. Papasogli, op. cit., p. 288 n.).
3. Il tesoro della Chiesa Siamo noi i servi di Gesù Cristo nei suoi poveri, nei derelitti e nelle sue membra più inferme ed abbandonate? O non corriamo noi invece dietro al sorriso dei ricchi, malcelando il disprezzo dei poveri del Signore, che furono sempre il più dolce amore e il tesoro della Chiesa di Gesù Cristo? (1917; cf. Papasogli, op. cit., p. 281).
4. I piccoli, gli umili, il Popolo … sostenuto dalla grazia del Signore ho evangelizzato i piccoli, gli umili, il popolo, i poveri, procurando di confortarli con la fede e con lo spirito, di cristiana carità. Confesso che avrei dovuto fare molto e molto di più, e ne chiedo perdono al Signore. Ho evangelizzato i piccoli, gli umili, il popolo, il povero popolo che, avvelenato da teorie perverse, è strappato a Dio e alla Chiesa. Nel nome della Divina Provvidenza ho aperto le braccia e il cuore a sani e ad ammalati, di ogni età, di ogni religione, di ogni nazionalità: a tutti avrei voluto dare, col pane del corpo, il divino balsamo della fede ma specialmente ai nostri fratelli più sofferenti e abbandonati.. Tante volte ho sentito Gesù Cristo vicino a me, tante volte l'ho come travisto nei più reietti e più infelici. Questa opera è tanto cara al Signore che parrebbe l'opera del suo Cuore, essa vive nel nome, nello spirito e nella fede grande della Divina Provvidenza: non ai ricchi, ma ai poveri e ai più poveri e al popolo mi ha mandato il Signore. A questi ci chiama il Signore, o miei Figli: chiama noi della divina Provvidenza: saremo noi uomini di poca fede? ( da lettera del 24-V1-1937, da Buenos Aires; cf. Lettere, 11, pp. 462 s.).
5. Il primo dovere: gli orfani Noi daremo per gli orfani la vita - Ad essi dopo Dio e la chiesa, le migliori nostre energie, gli affetti più puri del cuore. Ogni fatica, ogni sacrificio più umile, più nascosto sarà dolce pur di riuscire a far di noi stessi un olocausto per gli orfani. Vorremmo che tutti sentissero che urge togliere dall'abbandono tanti figli di chi per l'Italia ha profuso il sangue; che urge avviarli, questi giovanetti, ad onesto vivere cristiano e civile; che urge soprattutto illuminarli sul loro fine, poiché
vana sarebbe qualunque opera educatrice non basata sul principio religioso. Oltre ai figli dei caduti, vi sono altri piccoli infelici abbandonati, che reclamano un tetto, un pane onorato, una cristiana e civile educazione. Non si può pensare alla sorte di questi figlioli senza commuoversi, tanto più che sono troppo piccoli, troppo ignari della. loro triste sorte per implorare la pietà di quelli che potrebbero venir loro in aiuto. Noi andiamo ad essi... Allargheremo le braccia ed il cuore per accogliere il più gran numero di orfani e la Provvidenza di Dio aumenterà ogni dì più, come aumentano i fanciulli derelitti e gli orfani da accogliere. E per chi non ci conosce è pur bene si sappia che la nostra non è solo opera di fede e di beneficenza, e la Piccola Opera non è un semplice ricovero di orfani, ma vuole essere anche e meglio di utilità pubblica e sociale. Noi vogliamo mantenere gli orfani nella religione dei padri: vogliamo crescerli alla virtù e ad un lavoro, onesto, intelligente e remunerativo, che li prepari e li formi lavoratori robusti, temperati, morali, gentili, franchi: per Dio, per la famiglia, per la patria. Questo non diciamo per prendere posto nella fiera delle vanità: ché avanti a Dio, sentiamo ben di essere servi inutili, e il modesto nostro lavoro altro non è che parte del nostro elementare dovere. Vi diciamo che questo vuole da noi Gesù Cristo: questo da noi vuole l'amor di patria, che è tra i più profondi e sacri amori del cuore umano, che è amore del prossimo. Congregazioni di carità, comitati pro orfani, Enti pubblici, non guardate se siamo preti o frati: noi non abbiamo partiti, come non hanno partiti la Chiesa e la carità di Nostro Signore Gesù Cristo: guardate piuttosto che ci facciamo Padri di orfani italiani. La nostra fede è anche olio che tiene accesa la lampada del nostro patriottismo: non abbiamo vergogna del nostro Dio e del nostro Papa (Cf. De Luca, Don Orione, Roma-Tortona 1963, pp. 93 s.).
6. I poveri sono i nostri padroni ( ... ) I nostri cari poveri... non sono ospiti, non sono dei ricoverati, ma sono dei padroni, e noi loro servi; così si serve il Signore. (Da lettera del 13-1V-1935, da Buenos Aires; cf Lettere, 11, p. 227).
7. Alla riscossa, con gli oppressi contro gli sfruttatori Proletariato della risaia in piedi! Un orizzonte nuovo si chiude, una coscienza sociale si va elaborando alla luce di quella civiltà cristiana, progressiva sempre, che è fiore di Vangelo. Lavoratori e lavoratrici della risaia nel nome di Cristo, che è nato povero, vissuto povero, morto povero: che tra i poveri visse, che lavorò come voi, amando i poveri e quelli che lavoravano: nel nome di Cristo, è suonata l'ora della riscossa. Il vostro lavoro deve essere adatto e limitato alle vostre forse e al vostro sesso: la vostra paga dev'essere Proporzionata ai vostri sudori , al vostro bisogno: le vostre condizioni devono essere meno disagiate; più umane, più cristiane. E’ il diritto, il vostro diritto. Noi cattolici, e come tali e come cittadini, ingaggeremo quest'anno la battaglia per le otto ore in risaia. Non lasciatevi sfruttare dal caporalato; non lasciatevi intimidire dalle minacce dei padroni; non prestatevi a certe manovre, che riescono sempre a danno vostro. E, occorrendo, legalmente, sì, ma insorgete! Unitevi contro i crumiri, e attenti a voi a non lasciarvi ingannare da un orario di lavoro oltre le otto ore. … Unitevi tutti e siate solidali! Se tutti i paesi della diocesi che danno lavoratori alla risaia saranno collegati da una fitta,
solida e cristiana rete di organizzazione risaiola, noi vi condurremo a certa vittoria. Per le vostre rivendicazioni, per l'intima giustizia della vostra santa causa, non ci daremo pace. No! non daremo pace né dì né notte agli sfruttatori della povera gente, che se ne va a sacrificarsi nelle marcite della risaia e nella malaria, forzatamente lontana dalla famiglia, per guadagnarsi un pezzo di pane. Ma sfruttatori non sono sempre né soltanto i padroni; i padroni sono quel che sono: ve n'è di cattivi e ve n'è di buoni; sfruttatori indegni però sono anche e sono sempre quelli che, per loro loschi disegni, abusano perfidamente di voi: che vi offrono un pane, ma vi avvelenano l'anima: che vi predicano l'odio, e vi strappano la fede, che è il grande conforto della vita presente e la base della vita futura. Lavoratori e lavoratrici delle risaie, guardatevi dai socialisti e dalle socialiste, non fidatevi di chi non ha religione; chi non ha religione non avrà coscienza: non ve ne fidate mai. Benedetti da Dio e dalla Chiesa, lavoreremo per voi, o fratelli e vinceremo con voi. Troverete lavoro tutti, avrete tutti paga rispondente: assistenza morale e religiosa; riposo festivo; tutela dei diritti inerenti al lavoro (tariffe, orari, applicazione della legislazione sanitaria); dignità di alloggiamenti. Vi difenderemo in tutto ciò che è giusto; realizzeremo le vostre legittime aspirazioni, e, valendoci delle apposite leggi, vigileremo, assisteremo, affrancheremo. … “L’unione fa la forza”! Ogni catena che toglie la libertà di figli di Dio, si deve spezzare; ogni schiavitù si deve abolire: ogni servaggio deve finire, e finire per sempre. Ogni sfruttamento di uomo su uomo dev'essere soppresso, nel nome di Cristo. La divina virtù di questo nome, e la vostra onorata condotta di lavoratori cristiani, come vi porteranno
all'adempimento di ogni dovere, così vi daranno la rivendicazione di ogni diritto. Proletariato della risaia, in piedi! Apri gli occhi e vedi l’aurora smagliante che sorge: essa è per te, è la tua giornata! Avanti, o proletariato, avanti portando con te le grandi Forze morali della tua fede e del tuo lavoro; un'era si apre: è il mondo che si rinnova! Il Signore Iddio tuo è con te: cammina alla luce di Dio, e nessuno potrà più arrestare la tua marcia trionfale. Per il tuo interesse, per la tua dignità, per la tua anima! Proletariato della risaia, in piedi e avanti! Dal periodico « La Val Staffora », a. 1, n. 2, del 18-V-1919; cf. Papasogli, op. cit., pp. 294 ss.). 8. L'ultimo desiderio: morire tra i poveri Mi vogliono mandare a San Remo perché pensano che là, quelle aure, quel clima, quel sole, quel riposo possano portare qualche giovamento a quel poco di vita che può essere in me. Però, non è tra le palme che voglio vivere! E se potessi esprimere un desiderio, direi che non è tra le palme che voglio vivere e morire, ma tra i poveri che sono Gesù Cristo. (Dall'ultima « buona notte » (pensiero serale) di Don Orione ai suoi figli, in Tortona, V8-111-1940 a quattro giorni dalla morte; cf. Papasogli, op. cit., p. 556) .
VIII. IL COMBATTIMENTO CRISTIANO
Abbiamo voluto titolare così questa sezione - che raccoglie insegnamenti vari, in una panoramica abbastanza completa della vita cristiana con i suoi ideali, le sue difficoltà, i suoi gravi impegni - non solo avendo in mente la parola sacra che assicura essere la vita dell'uomo sulla terra una vera milizia (cf. Giob. 7, 1), ma anche perché ci risuonavano in mente molte espressioni di Don Orione stesso che, fedele del resto ai canoni retorici del suo tempo, adopera spesso le metafore della vita militare per indicare lo slancio, il coraggio, la forza che la vita cristiana richiede da tutti. Della fede egli dice che, « fatta potente contro ogni battaglia », viene provata « nei cimenti e immolazioni interne » ed anche « nei cimenti e combattimenti esterni ». I suoi Figli egli vuole che siano « gli arditi » della Chiesa e del Papa. E infine, aprendo l'animo ad una visione luminosissima di speranza, egli grida che « la vittoria appartiene certamente a Cristo ». Un linguaggio marziale, dunque, che, forse, oggi dispiace - né sapremmo dar torto a chi così pensa -, un linguaggio, tuttavia, che esprime la continua grande tensione dell'animo verso l'ideale, che albergava in Don Orione e cbe vuole da lui trasmettersi a noi. Del resto, anche san Paolo godeva nella certezza di aver « combattuto la sua buona battaglia » (cf. 2 Tim. 4, 7) e di essere vicino alla mèta. A noi non resta che metterci sulla stessa strada. 1 - Un programma di vita
Questa pagina fu scritta da Don Orione nella primavera del ed è rimasta sul suo tavolo sotto forma d'appunti per diverso n). Fu pubblicata dal terzo successore di Don Orione in un
fascino dal titolo. Servire negli uomini il Figlio dell'Uomo, Tortona V-1972. ------------------Apriamo a molte genti un mondo Nuovo e divino pieghiamoci con caritatevole dolcezza alla comprensione dei piccoli, dei poveri, degli umili. … Vogliamo essere bollenti di fede e di carità Vogliamo essere santi vivi per gli altri, morti a noi. Ogni nostra parola dev'essere un soffio Di cieli aperti: tutti vi devono sentite La fiamma che arde nel nostro cuore e la luce del nostro incendio interiore trovarvi Dio e Cristo. La nostra devozione non deve lasciar freddi e annoiati perché dev'essere veramente tutta viva e piena di Cristo. Seguire i passi di Gesù fin sul Calvario, e poi salire con Lui in croce o ai piedi della croce morire d'amore con Lui e per Lui. Avere sete di martirio. Servire negli uomini il Figlio dell'Uomo. Per conquistare a Dio e afferrate gli altri, occorre, prima, vivere una vita intensa di Dio in noi stessi, avere dentro di noi una fede dominante, un ideale grande che sia fiamma che ci arda e risplenda - rinunciare a noi stessi per gli altri ardere la nostra vita in un'idea
e in un amore sacro più forte. Nessuno che obbedisca a due padroni - ai sensi e allo spirito potrà mai trovare il segreto di conquistare le anime. Dobbiamo dire parole e create opere che sopravvivano a noi. Mortificarci in silenzio e in segreto. Segui la tua vocazione e mantieni fede ai tuoi voti. Onoriamoci di poter fare i più umili servizi domestici. Dobbiamo essere santi, ma farci tali santi che la nostra santità non appartenga solo al culto dei fedeli, né stia solo nella Chiesa, ma trascenda e getti nella società tanto splendore di luce, tanta vita di amore di Dio e degli uomini da essere più che i santi della Chiesa i santi del popolo e della salute sociale. Dobbiamo essere una profondissima Vena di spiritualità mistica che pervada tutti gli strati sociali: spiriti contemplativi e attivi servi di Cristo e dei poveri». Non datevi alla vanità delle lettere non lasciatevi gonfiare dalle cose del mondo. Comumicare con i fratelli solo per edificarli , comunicare con gli altri solo per diffondere la bontà del Signore. 1. amare in tutti Cristo; 2. servire a Cristo nei poveri; 3. rinnovare in noi Cristo e tutto restaurare in Cristo; 4. salvare sempre, salvare tutti, salvare a costo di ogni sacrificio, con passione redentrice e con olocausto redentore.
Grandi anime e cuori grandi e magnanimi; forti e libere coscienze cristiane che sentano la loro missione di verità, di fede, di alte speranze, di amore santo di Dio e degli uomini, e che, nella luce d'una fede grande, grande, proprio di quella » nella Divina Provvidenza, camminino, senza macchia e senza paura, per ignem et acquam, e pur tra il fango di tanta ipocrisia, di tanta perversità e dissolutezza. Portiamo con noi e ben dentro di noi il divino tesoro di quella carità che è Dio, e, pur dovendo andare tra la gente, serbiamo in cuore quel celeste silenzio che nessun rumore del mondo può rompere e la cella inviolata dell'umile conoscimento di noi medesimi, dove l'anima parla con gli angeli e con Cristo Signore. Il tempo che è passato, più non l'abbiamo: il tempo che è a venire non siamo sicuri d'averlo: sol dunque questo punto del tempo presente abbiamo, e più no. Intorno a noi non mancheranno gli scandali e i falsi pudori degli scribi e dei farisei, né le insinuazioni malevoli, né le calunnie e persecuzioni. Ma, o Figli miei, non dobbiamo avere il tempo di « volgere il capo a mirare l'aratro », tanto la nostra missione di carità ci spinge e c'incalza, tanto l'amore del prossimo ci arde, tanto il divino cocente foco di Cristo ci consuma. Noi siamo gli inebriati della carità e i pazzi della croce di Cristo crocifisso.
Sopra tutto con una vita umile, santa, piena di bene ammaestrare i piccoli e i poveri, a seguire la via di Dio. Vivere in una sfera luminosa, inebriati di luce e di divino amore di Cristo e dei poveri e di celeste rugiada come l'allodola che sale, cantando, nel sole. 1a nostra mensa sia come un'antica agape cristiana. Anime! Anime! avere un gran cuore e la divina follia delle anime.
2. « Lavora energicamente a perfezionarti » … Ascolta adunque, o fratello, la parola dell'ultimo levita di Dio: ascoltala benché disadorna- da un cuore che sente di amarti molto, e da un'anima ch'è pronta a morire per salvarti. Non vedi che tutto passa? e la gloria e la felicità di quaggiù non esser che un sogno? Ah, ch'è pur tempo di finirla col mondo e di darci a Dio! Che ci gioverà in morte onori e comodità, se non saremo santi? Su dunque, fratello: coraggio! Gettiamo in faccia al mondo traditore l'onta dei suoi amari disinganni: e seguiamo Cristo! Non hai tu mai pensato al tuo avvenire? Non mai ai disegni di Dio sopra di te, ed alla santità della vita apostolica? Pensavi ora e decidi! Non saresti lieto in morte d’aver asciugato le lagrime a tante povere anime? d'aver salvati tanti miseri nostri fratelli, che supplici t'avranno tese mani? Non piangeresti tu di consolazione se allora vedrai d’aver corso la via del sacrificio, e d'aver irrorata dei tuoi sudori e del tuo
sangue la stola sacerdotale? Fratello mio, deh! pensavi bene, e risolvi generosamente per Cristo! Il Cuore di Gesù lagrima sangue perché gli uomini si dannano: e tu non violerai, angiol di Dio, a salvarli? Fratello, se Dio ti chiama, se Gesù t'invita a salire il Calvario, a vivere ed a morire con Lui: ascolta la sua voce, proponi, e fatti santo! Lavora energicamente a perfezionarti ed a farti un buon chierico, ed io spero che sarai un prete santo e forse un apostolo. Per ora pensa a farti un buon prete. Fare il prete! ... Lo so: il nome solo di prete muove oggi agli insulti le pecore del volgo e le anime vili che governano; il prete viene considerato come la mummia del sec. XIX: il vero prete vive oggi di sacrifizi ed è sacrificato! Ed appunto per questo noi saremo preti; vogliamo e dobbiamo essere santi e strenui preti: l'empietà dovrà tremare al nostro sguardo! Coraggio e avanti: avanti sempre nel bene! Gesù, Anime e Papa! Vivere e morire per Gesù: vivere e sacrificarsi per la salvezza della nostra e delle altrui anime: vivere e procombere da eroi per le sante ragioni del Papa che si identificano coi sacri diritti di Cristo: ecco il programma dei santi; facciamolo nostro! Azione e preghiera: sacrificio e coraggio! (Da lettera del 28-1-1892, da Tortona; cf. Sparpaglione, Lettere, op. cit., pp. 7 s.).
3. Una strada per ciascun'anima La vocazione... bisogna custodirla bene; la portiamo in un vaso di vetro... Il Signore, misericordissimo, traccia sempre davanti ai passi di ciascun'anima la strada che deve fare per arrivare alla salvezza; ma vuole che lavoriamo noi, domanda la nostra cooperazione. La vocazione è una dolce chiamata del Signore, l'invito a lasciare il mondo, le sue vanità, i suoi pericoli, per vivere una vita santa... Tu non sei nato per vivere una vita misera, terrestre: sarai la lampada che arde e si consuma, e ti
consumerai come cera al fuoco, per l'amor di Dio... Il Signore fa sentire la sua dolce voce. Chi la segue si fa santo. (Cf. Don Orione, 1, p. 196).
4. La forza dei deboli Noi viviamo di fede e crediamo che sopra tutti e sopra tutto c’è il Signore, che guida i popoli e sorregge le nazioni, specialmente nei periodi più burrascosi della loro storia... Opponiamo ai cannoni i rosari e mettiamo le mani giunte a posto di quelle che impugnano le armi che uccidono. La preghiera è sempre stata la forza dei deboli e la Chiesa ha vinto con essa le sue battaglie. Sempre la Madonna fu invocata dai popoli e sempre accorse: ... la gente sente che non può e non deve credere agli uomini, ma che tutta la sua fiducia deve metterla in Dio e nella Madonna, perché gli uomini da soli non fanno altro che disastri, se non li guida la luce divina. (Dai Discorsi, 3-1X-1939; cf. Papasogli, op. cit.,p. 493).
5. La prima battaglia, pregare! Coll'orazione potremo tutto, senza orazione non potremo niente. E’ coll'orazione che si f anno le cose. Noi potremo piantare e innaffiare, ma solo Dio può dare l'incremento, e però il mezzo più efficace di aiutare le opere nostre, le nostre fatiche, è quello che preghiate per tutti noi con fervore e costanza. (Da lettera del 4-X1-1934; cf. Lettere, 11, p. 124).
La preghiera è elevazione e voce della nostra speranza. Le ore del mattino ci portano il dono di saper pregare, ed è nella meditazione, cioè nella riflessione sopra le grandi verità morali e dogmatiche, che si schiudono le sorgenti dell'anima. Anzi, la preghiera mattutina e principalmente la meditazione è il gran mezzo di dare alla nostra giornata e alla vita tutta la loro spirituale fecondità. Pitagora aveva diviso la giornata dei discepoli della filosofia in tre parti: la prima per Dio nella preghiera, la seconda per Dio nello studio e nel lavoro, la terza per gli uomini e per gli affari. Così tutta la prima metà del giorno era dedicata a Dio. Ed era un pagano! Or che faremo noi, che siamo cristiani e religiosi? Ricordiamo che il gran mezzo per salvarsi è la preghiera, e sant'Alfonso ci ha lasciato al riguardo un libro mirabilericordiamoci che non potremo venire a perfezione né acquistare in noi alcuna virtù vera, senza il mezzo dell'orazione umile fervorosa e continua. E’ nel mattino, prima di ogni distrazione e comunicazione cogli uomini, che bisogna pregare ed ascoltare Dio che parla, ara le anime, lavora in noi, plasma il nostro spirito, vivifica, rischiara. Nasce allora in noi un gran desiderio: la volontà di riformarci; e tutto il nostro interiore si riempie di sommissione e di amore a Dio; e tutto il nostro esterno di modestia, di dolcezza, di pace. Ma, per sentire questo, è necessario, fin dal mattino, summo mane, gettarci umilmente ai piedi di Gesù, nel silenzio e nella solitudine, e disporre almeno di una mezz'ora al giorno: è allora che Iddio parlandoci si fa Maestro. E nella meditazione non sonnecchiare né divagare: due debolezze che bisogna prendere di fronte e vincere, col divino aiuto, o non si fa nulla. Quando il libro dell'Apocalisse dice: « E si fece nel cielo un silenzio di mezz'ora », io credo che il testo sacro riveli un fatto ben significante nel cielo delle anime.
Ma, a ben meditare, è necessaria la presenza della nostra anima e la presenza di Dio; e saper stabilire il silenzio in noi, il silenzio vero, esteriore ed interiore. Allora il religioso, rialzandosi si volge all'acqua perigliosa, al torrente delle passioni del giorno, e dice: Tu non mi trascinerai. E -poi, levando il cuore al Crocifisso,: « Tu solo parlami, o Signore: Tu mihi loquere solus! Io ti seguirò, sarò tuo; o Signore: la giornata della mia vita sarà per Te, sarà amore di Dio degli uomini! Riponiamo in Nostro Signore ogni speranza e fiducia, rafforzando in Dio la nostra volontà e i buoni propositi, perché, senza Dio non si edifica. Senza Dio, i vincoli stessi sociali sono catene, , i frutti della scienza e delle arti immiseriscono, e la vita, sia pur condotta in una casa religiosa, diverrebbe uno sbadiglio o un martirio o peggio! ... Dio solo è il fondamento di ciò che resta, di ciò che ha valore eterno: Dio è il fine di tutti i beni, l'altezza della vita, il respiro dell'anima: e fortissimo conforto dei suoi servi è lo sperare in Dio. E qui mi viene spontanea e soave un'orazione assai pia e devota che è tutta un canto di fede nel Signore o di abbandono alla Provvidenza del Signore. E’ così elevata e spirituale, questa orazione, che mi ricorda le più belle della sacra Liturgia. La tolgo dal nostro libro di meditazione per quest'anno, dalla Imitazione di Cristo: - Guarda, o Signore, in me e nei miei fratelli secondo la grandezza della tua bontà e la moltitudine delle tue misericordie... Proteggi e conserva l'animo del tuo minimo servo fra tanti pericoli della vita caduca; e, sotto la scorta della tua grazia, guidalo per la via della pace alla patria della luce perpetua. Così sia. (Imit. Ckr. L. III, cap. LIX). Così, fedeli all'azione interiore e misteriosa dello Spirito e di quella eterna Verità che ci fa liberi: guidati dal magistero autentico, vivo e solo infallibile della Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica e romana: in uno spirito di amore, di
comunione soave, sacra, fraterna: i Figli della Divina Provvidenza, aiutando Iddio, credano, sperino, lottino, soffrano, amino! E, « con i fianchi succinti » e in mano « lampade accese »: lo sguardo e i cuori in alto, alla Vergine celeste, camminino fidenti sulla diritta via del Signore: e cresceranno in ogni cosa, per arrivare a Colui che è il nostro Capo, cioè, a Gesù Cristo. Per la Chiesa e per il Papa ascendiamo a Cristo! ... (Da lettera dell'8-X11-1922, da Tortona; cf. Lettere, 1, pp. 451 s.).
6. Preghiera, lavoro e temperanza … La prima carità dobbiamo farla a noi stessi: dobbiamo pregare di più, coltivare di più la pietà, l'umiltà, la dipendenza, la docilità di spirito e lo spirito religioso. Guai a noi, noi perduti, se la sorgente della pietà e della umiltà si sarà inaridita in noi, o andrà inaridendosi. … Ed ora passo a raccomandarvi la temperanza e il lavoro. Preghiera, lavoro e temperanza sono tre perle preziosissime, che devono risplendere sulla fronte e nella vita di ogni «Figlio della Divina Provvidenza ». Preghiera, lavoro e temperanza: ecco ciò che farà fiorire davvero la nostra cara Congregazione. Oratio, labor et temperantia!, che vuol dire: pietà, sacrificio, mortificazione! Oratio, labor et temperantia!, che vuol dire: unione con Dio, faticare per le anime, mortificare il corpo con le sue passioni e mortificare la gola. Oratio, labor et temperantia! che vuol dire tutta la vita del « Figlio della Divina Provvidenza »! In queste tre virtù c'è tutta la nostra vita! Non c'è altra vita.
Non c'è altra via per farci santi. Non c'è altro modo, né miglior modo di amare e servire Dio; per imitare Gesù Cristo; per servire davvero la santa Chiesa e il Papa. Non c'è altra né migliore via per imitare la Madonna, per esserle devoti sul serio, per amarla davvero. Non c'è altra via per servire e salvare le anime. (Da lettera del 7-11-1923, da Roma; cf. Lettere, 1, pp, 466 s.).
7. Pregare, soffrire, tacere Qualunque cosa sentiate che si facesse o dicesse di voi, non rispondete mai; pregate e tacete; non intrigatevi di ciò che fuori si fa o si dice; pregare; soffrire; tacere; fare del bene sempre e a tutti; non parlare mai; e neanche nominare le persone che vi fossero contrarie, né alte, né basse. (Da lettera del 7-11-1940, da Tortona, cf. Don Orione alle Piccole Suore, op cit., p. 449).
8. L'obbedienza è ancora una virtù Tutta la vita di Cristo è esempio ineffabile di carità e di obbedienza. Egli dichiarò ripetutamente d'essere venuto sulla terra non per fare la volontà proPria, ma la volontà del suo celeste Padre. E nella vita privata e nella pubblica, e quando nasce e quando muore, Gesù sempre ubbidisce al Padre, che lo ha mandato: fuit oboediens usque ad mortem mortem autem
crucis. Umiliò se stesso, scrisse san Paolo, e fu ubbidiente sino alla morte, e alla morte di croce, la più ignominiosa. Gesù, Agnello di Dio, si offrì vittima immacolata al Padre per redimerci, e ci redense nella carità e obbedienza la più umile e più grande. Con l'obbedienza noi offriamo dunque a Dio la parte migliore di noi, la volontà e la libertà, beni preziosi, che consacriamo a Cristo e alla Chiesa per amore, ed è tale offerta che ben vale e supera tutte le altre, sì che le Divine Scritture dicono: l'obbedienza vale più delle vittime (1 Sani. 15, 22). « L'obbedienza, scrisse san Tommaso (Quodlìbet. 10 -art. 2-3), è virtù che piega e rende pronta la volontà dell'uomo a chi ci comanda ». E questo soprannaturalmente, cioè per l’amore di Dio, e perché si compia in noi la volontà di Dio. Non dunque di malavoglia, non per timore servile, ma lietamente et in Domino noi obbediremo, e con cuore generoso e magnanimo, poiché Iddio ama l'ilare donatore: “tutto per amore e niente per forza”», diceva sapientemente san Francesco di Sales. « Allora la virtù dell'obbedienza arricchisce l'uomo religioso, rallegra la Chiesa, dona la pace, illumina e adorna la mente, castiga l'amor proprio, apre il cielo, rende l'uomo felice, custodisce tutte le virtù », scrisse il primo Patriarca di Venezia, san Lorenzo Giustiniani (De lig. vita, cap. 111). L'ilarità del volto, la dolcezza nel parlare, la voce sommessa sono poi di grande ornamento all'obbedienza, e rivelano le buone disposizioni interiori. L'Imitazione di Cristo, il gran libro che tanto insegna a vivere, ad amare, a soffrire cristianamente e da veri religiosi, aggiunge: « Molto più sicuro è lo stare in obbedienza che in autorità » (Libr. 1, IX). Perché l'obbedienza è la via retta, la via più piana, più sicura, più soave per procurarci la nostra salute. - Ecco perché, « la mente del giusto fa suo studio dell'obbedienza » (Prov. 15, 28). « Curre hic vel ibi:corri pur
qua o là, ma non avrai quiete, se non sotto il governo di un superiore, nell'umile obbedienza » (Imit. 1, IX). E perché mai? Perché obbedienza religiosa è annegamento della propria volontà, con allegro cuore: è vedere Cristo nel Papa, nei Vescovi, nei superiori: è amarli, ascoltarli, seguirli docilmente, con piena e filiale adesione di cuore e venerazione filiale. E come ubbidire? Santa Caterina da Siena vuole che ciascun religioso si ponga innanzi « l'obbedienza di Cristo crocifisso, il quale per l'obbedienza al Padre e per la salute nostra, corse all'obbrobriosa morte della croce ». Obbedienza senza reticenze, senza piagnistei, senza ondeggiamenti, o miei cari, altrimenti, dice sant'Ignazio di Lojola, l'obbedienza non sarebbe intera, ma a metà, o mista di disobbedienza. Obbedienza sull'esempio del Divin Salvatore che la praticò anche nelle cose più difficili, fino alla crocifissione; onde, qualora tanto volesse la gloria di Dio, l'amore alla Chiesa e alla Congregazione, dobbiamo noi pure ubbidire, con la divina grazia, sino, a dare la vita, felici di farne un'offerta al Signore: l'obbedienza è l'aroma del sacrificio. Obbedienza non solo in ciò che è di stretta obbligazione, ma anche ai desideri stessi dei superiori. Obbedienza quanto alla sostanza e quanto al tempo, obbedienza umile e costante, pronta e indistinta, cioè a tutti i superiori, anche ai subalterni, anche ai compagni, quando questi hanno qualche ufficio o responsabilità. Fossero pure i superiori, per sé stessi, impari al loro posto, fossero difettosi, e tanto per esprimermi, fin ripugnanti, si acquisterebbe un merito più grande e si sarebbe più sicuri di obbedire a Dio. 1 difetti dei superiori rendono infinitamente più meritoria e cara a Dio l'obbedienza; ché non si deve punto considerare le qualità umane, né se il comando sia ragionevole, ma se sia ragionevole l'obbedienza. Se si pone
per motivo la ragionevolezza del comando, l'obbedienza è distrutta. Noi dobbiamo, ai piedi della Chiesa e dei superiori, annientarci, obbedire per l'amore di Cristo, ed essere come stracci. Che se capitasse mai di cadere in qualche fallo, sappia ognuno prontamente umiliarsi e domandarne scusa a colui al quale si è disobbedito. Questo atto di umiltà gioverà immensamente ad avere il perdono della mancanza commessa, ad ottenerci grazia dal Signore per l'avvenire e a mantenerci in guardia, perché non ripetiamo più quel fallo. Nulla vieta che, in certi casi, si possa sottomettere al superiore, rispettosamente, qualche riflessione, le proprie difficoltà e ripugnanze, ma la cosa migliore e più perfetta è ubbidire per l'amor di Dio, con piena fiducia che la nostra buona volontà sarà largamente benedetta. A tutti i nostri pensieri e giudizi anteporre quanto, prescrive l'obbedienza. Vi è sempre una ragione di obbedire a qualunque comando, e questa ragione è quella di rendere noi stessi perfetti, per l'amore di Cristo. O miei cari, non si dà più funesto inganno dell'inimico che quello di un falso zelo, che ci porta ad obbedire meno spontaneamente, col pretesto di qualche bene spirituale che si pretende di far al prossimo. Come l'obbedienza trae seco tutte le virtù, così la disobbedienza trae tutti i difetti: per la disobbedienza entrò il peccato nel mondo e la colluvie dei mali. E un religioso che non ha la rettitudine, ma con meschine furberie, nascondigli, pretesti si sottrae alla sicurissima virtù dell'obbedienza, cadrà nei difetti più gravi, e perderà la vocazione; e la sua eterna salvezza sarà, per lo meno, molto incerta. Ed hanno animo basso quelli che ubbidiscono solamente per isfuggire ai rimproveri, o per attirarsi la benevolenza dei superiori. Questa non è obbedienza, no, ma opportunismo, vile interesse, e
potrei ben dire, vera ipocrisia. Costoro non conoscono né il pregio, né il merito dell'obbedienza. Fuori dell'obbedienza non vi ha virtù solida, ma solo amor proprio, superbia e inganno. Nell'obbedienza invece è grande sapienza, la sapienza che abbraccia il tutto. Non è il far molto all'esterno che conta davanti a Dio, ma l'avere un cuore umile, retto, obbediente. E la semplice obbedienza è virtù tanto cara agli occhi di Dio che sola basta a santificarci. La strada dell'obbedienza fu la strada di Gesù Cristo, di Maria SS. di san Giuseppe e dei santi. Obbedienza! Ed eviteremo di sbagliare, fracasseremo il nostro amor proprio, sfuggiremo agli inganni del demonio e alla illusione della nostra sregolata fantasia, la « pazza di casa ». Il far le cose che piacciono e tornano di proprio gradimento, è secondare la propria volontà. Ma la vera obbedienza, che ci rende cari a Dio e ai superiori, che edifica i fratelli e il popolo cristiano, consiste nel far di buon animo qualunque cosa sia comandata o desiderata dalla Santa Sede, dalle nostre regole o dai superiori. Consiste altresì nel mostrarci più arrendevoli anche nelle cose molto difficili e contrarie al nostro amor proprio, e nel compierle coraggiosamente, ancorché ci costi pena e sacrificio. E’ martire, senza spargimento di sangue, chi porta giulivo il giogo dell'obbedienza; di lui è detto: Vir oboediens loquetur victorias! Vincerà sempre! Quanto più l'obbedienza è difficile ed eroica, tanto più sarà meritoria, e ci condurrà al possesso del Regno dei cieli, secondo queste parole del Divin Redentore: « Il Regno dei cieli si acquista con la forza, ed è di coloro che si fanno violenza ». Ed è chiaro: senza forza d'animo, noli c'è virtù. (Da lettera del 6-1-1935, da Buenos Aires; cf. Lettere, 11, pp. 157 ss.).
8. Né presuntuosi, né conigli
Non solo bisogna mantenere le posizioni, ma bisogna progredire, progredire, progredire! Non progredi, regredi est. Come della virtù, come della grazia e vita spirituale, e così è delle istituzioni religiose: - Non progredi, regredi est. Bisogna fare; bisogna fare bene; bisogna fare di più, molto, ma molto di più! Non voglio dei presuntuosi, ma non voglio neanche dei conigli.... non voglio neanche gente fiacca, piccola di testa e di cuore, priva di ogni sana, moderna, necessaria e buona iniziativa, priva del necessario coraggio! Confidare non in noi, ma in Dio, e avanti con animo alto, con cuore grande, con grande coraggio! Dio assiste e dà la forza! Che temere? Nei servi di Dio non deve mai entrare nessuno scoraggiamento: noi siamo soldati di Cristo, e perciò dobbiamo pregare, guardare a lui, non temere mai: dobbiamo anzi aumentare un coraggio superiore di gran lunga alle forze che sentiamo: perché Dio è con noi! Non lasciatevi sgomentare dalle difficoltà o dal poco frutto, e state uniti nella carità di Gesti Cristo! La vostra vita sarà piena di triboli e di spine... Ma non dubitate: Dio è con voi, se voi sarete umili e con Dio! Pigliatevi il vostro carico con fede, con viva fede e fiducia nel Signore, poiché il vostro carico vi viene da Dio, e Dio vi sta sempre vicino. Il vostro zelo sia non volubile, non incostante, non a salti, non indipendente, né insubordinato alla disciplina la più rigida, quale deve essere la disciplina vera religiosa; ma sia zelo fervente, costante, illuminato; zelo grande e infiammato, ma prudente nella carità.
Ci vuole un illuminato spirito di intrapresa, se no certe opere non si fanno; la vostra diventa una stasi, non è più vita di apostolato, ma è lenta morte o fossilizzazione! Avanti, dunque! Non sì potrà far tutto in un giorno, ma non bisogna morire né in casa, né in sacrestia: fuori di sacrestia! Non perdere d'occhio mai né la chiesa, né la sacrestia, anzi il cuore deve essere là, la vita là, là dove è l'Ostia; ma con le debite cautele, bisogna che vi buttiate ad un lavoro che non sia più solo il lavoro che fate in chiesa. Via, via, ogni pusillanimità! Lungi da noi ogni pusillanimità sotto la quale si nasconde, talora, la pigrizia e la piccolezza dell'animo. La pusillanimità è contraria allo spirito del nostro istituto, che è ardito e magnanimo. (Da lettera del 12-1-1930, da Tortona; cf. Lettere, 11, pp. 72 ss.).
10. umiltà, umiltà, umiltà Dove c'è umiltà non ci sono contese, c'è compatimento reciproco, c'è l'unione dei cuori, e c'è carità fraterna; e si va avanti contenti, si lavora contenti, si prova una grande gioia e felicità interiore e spirituale. Tutti i doni celesti e le grazie e i conforti ad andare avanti vengono dalla umiltà; mentre tutti i malumori e le liti nascono dall'amor proprio e dalla superbia, che è una nostra grande miseria morale. L'umiltà, vedete, è tanto necessaria per poter far vera e buona vita religiosa e per acquistare la perfezione, che, tra tutte le vie per poter giungere ad avere vero spirito religioso e la verace perfezione, la prima via, diceva sempre sant'Agostino, è l'umiltà, la seconda via è l'umiltà, la terza via è 1’umiltà. E diceva ancora: « E se cento volte fosse doman-
dato qual è la via per diventare santo, qual è la via più breve, più sicura, anzi infallibile, altrettante volte io risponderei la stessa cosa: Umiltà, Umiltà, Umiltà ». E quanto più alto si vuol erigere l'edificio della santità, altrettanto più profondo si deve gettare il fondamento dell'umiltà. L'umiltà non è la prima virtù per eccellenza, che è la carità; però l'umiltà tiene il primo posto tra le virtù, perché è il fondamento e la base di tutte le altre. Come l'orgoglio, l'amor proprio, la superbia (che poi sono tutte una stessa cosa), come dunque l'orgoglio è il principio di tutti i peccati, così l'umiltà è la sorgente di tutte le virtù, perché sottomette l'anima a Dio e fa in tutto la volontà di Dio. L'umiltà è la madre delle altre virtù, ed è quella che le custodisce tutte: le tiene, per così dire, serrate e unite, e impedisce che ce le rubino. E’ dunque, di assoluta necessità, o mie buone Figliuole di Dio: che desiderando voi di essere ammaestrate nella vita religiosa, sollecitamente procuriate di fondare nei vostri cuori la radice della santa umiltà. Poiché san Bernardo ha scritto che « siccome la cera non riceve alcuna forma, se prima non diventa molle e, direi, liquida, - così noi non ci adattiamo alla forma e allo spirito delle virtù cristiane e religiose, se prima non ci abbassiamo, se non ci sottomettiamo all'altrui parere e volontà, se non ci spogliamo del nostro amor proprio e orgoglio, se non deponiamo quei modi aspri, duri e pieni di arroganza. Quanto più ci abbassiamo, tanto più ci accostiamo alla verità -, perché la umiltà sapete in che cosa consiste, o buone Figliuole di Dio? Consiste nel non attribuire a noi stessi quello che appartiene al solo Dio o agli altri; di modo che umiltà non è altro che giustizia e verità. E, quindi, la via dell'umiltà è la via della verità e della giustizia. E noi non ci abbasseremo mai troppo, non ci umilieremo mai di soverchio, dopo l'esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, Qui humiliavit semetipsum usque ad
mortem, mortem autem crucis!: il quale Signor Nostro Gesù umiliò Se stesso fino alla morte e alla morte di croce. Gli atti di Umiltà sono la maggior giustizia che noi povere creature possiamo rendere a Dio nostro Creatore. Essere umile è credere alla verità, credere alla nostra imperfezione, credere alla potenza della grazia di Dio che ci perfeziona. Riconoscendo il nostro nulla, diamo gloria a Dio. Noi non siamo che cenere. un pugno di cenere, che disperde ogni vento, e meno, meno ancora di cenere. Non solo siamo un nulla, ma peccatori. Ed essendo peccatori, e tanto peccatori, è giusto che desideriamo di essere disprezzati dagli uomini e tenuti a vile. Questi sentimenti devono essere inconcussi e profondamente scolpiti nell'animo di chi vuol essere tutto di Dio, di chi vuol essere vera suora, vera religiosa di Gesù Cristo e missionaria della carità. Non c'è carità senza umiltà. In questa dolce novena dell'Immacolata, chiediamo alla Vergine SS. la grazia della santa umiltà. La Madonna fu scelta da Dio ed elevata alla più grande dignità d'essere la Madre di Dio, perché fu trovata umile. E Dante dice della Vergine celeste: «umile ed alta più che creatura ». Ma fu alta perché fu umile. (Da lettera dell'l-XII-1925, da Tortona; cf. Don Orione alla Piccole Suore.... op. cit., pp. 261 ss.).
11. Lieti di cadere in terra come le foglie Non fastidiamoci per l'avvenire: non ci può accadere cosa che Dio non voglia! Se permette una tribolazione, non ci assisterà Egli?
Lasciamo un po' fare al Signore senza tanto umanamente affliggerci. Nostro Signore ci vuole bene più che non ce ne vogliamo noi, e la sorte nostra sta meglio nelle sue mani che non nelle nostre. Siamo lieti di cadere in terra come cadono le foglie e come cadono i semi, e di passare nel macero: non è chi semina, né chi irriga, ma chi dà incremento e vita, cioè è il Signore che condurrà avanti e moltiplicherà in noi vivi o morti, la sua carità (Da lettera del 5-V111-1923, da Venezia; cf. Don Orione alle Piccole Suore..., op. cit., p. 242).
12. Come specchi tersissimi O si è angeli o si è diavoli, circa la santa virtù La virtù della purezza è virtù preziosissima da conservarsi a qualunque costo. Si debbono fuggire i pericoli e fino le apparenze dei pericoli. Nessuna vigilanza è soverchia quando si tratta di custodire la santa virtù. Noi saremo gratissimi a Dio e di ammirabile edificazione e buon esempio, e spargeremo come un profumo di buon odore, che inviterà tutti alla virtù, se saremo perpetuamente modesti e riservati, pure mostrandoci non selvatici, ma cortesi, educati e civili: però meglio essere selvatico per un religioso che troppo spigliato specialmente con persone di diverso sesso; meglio essere selvatici che essere di modi liberi e secolareschi. Tutto in noi deve rivelare e predicare la modestia e la santità, come diceva san Paolo, che scriveva a Timoteo: Exemplum esto fidelium in conversatione (1 Tim. 4, 12). E di santa Caterìna da Siena si legge nel Breviario che: Nemo ad eam accessit qui non melior abierit (2 Noct. Fest.).
La grazia di Dio non ci manca, anzi sovrabbonda: gli esempi buoni e santi non vi mancano: la Vergine celeste nostra tenera Madre, è sempre lì pronta a prestar soccorso a chiunque eius sanctum implorat auxilium, massime a noi, suoi Figli prediletti, primi Figli di questa nascente Congregazione, dai quali, - dalla santità, illibatezza di vita dei quali, cioè nostra, - dipenderà tutto l'avvenire, tutto, il benessere spirituale dell'intera Congregazione. Ricordiamo che se Iddio benedisse il beato Cottolengo e ne fece il santo della Divina Provvidenza, è perché ebbe l'anima bella e di virtù grande, perché fu tutto candido di purezza illibata. E questo fin dalla sua fanciullezza, tanto che era conosciuto e chiamato col nome di Angelo. Tutte le virtù voglio che siano da noi praticate, ma quanto alla bella virtù, alla purità, voglio che sia la virtù speciale nostra, e per questo vi esorto alla Comunione quotidiana, alla devozione filiale alla Madonna, alla preghiera, alla fuga da ogni relazione pericolosa, e alla mortificazione. Vigilanza, vigilanza, vigilanza su di noi e su gli altri, vigilanza paterna o sacerdotale, ma rigorosa ed esatta e continua: in fatto di modestia non si transiga, non si tolleri: o correzione o espulsione! Nessun tratto familiare anche innocente, e, sopra tutto, o cari miei, diamo buon esempio, diamo buon esempio, diamo buon esempio. « Le parole muovono, ma gli esempi trascinano » dicevano gli antichi. La nostra vita sia come tino specchio tersissimo in cui tutti possano continuamente specchiarsi. Il nostro aspetto, il nostro sguardo, il nostro contegno, le nostre parole, tutto il nostro modo di fare deve spirare castità e angelica virtù. E adesso diciamo alla SS. Vergine Immacolata, nostra buona Madre, di coprirci tutti con il suo manto di miseri-
cordia, e di darci la sua santa mano; e di condurci lei, che è la nostra Madre, la nostra fondatrice celeste e la vera nostra guida in questa santa e tanto necessaria virtù, che è nostra forza e la nostra salvaguardia. Ah, Madonna, Madonna mia, disperdete fin le pietre dei nostri istituti il giorno in cui i Figli della Divina Provvidenza cesseranno dall'essere tali da non potersi più chiamare né essere i prediletti del vostro cuore per questa angelica virtù, a voi tanto cara! Confidiamo nella nostra Madre o cari miei Figliuoli, confidiamo tanto nella nostra Madre celeste, ma da parte nostra facciamo il nostro dovere ed edifichiamoci scambievolmente. (Da lettera del 3-VIII-1920, da Tortona; cf. Lettere, 1, pp. 210 ss.).
13. Allegrezza santa Che la grazia dello Spirito Santo si diffonda sempre più copiosa nei nostri cuori e ci faccia sentire quanto il Signore è vicino a noi, e ci avvezzi a sentirlo e ad esserne sempre consapevoli. E allora quanta allegrezza santa, quanta santa gioia e letizia! Allora sì gusteremo, fin da questa misera terra, quanto è dolce e soave attendere a servire e ad amare Iddio! Rallegrarci della sanità e dei doni e delle grazie che Dio ci ha dato e delle buone azioni che per sua grazia possiamo fare e siamo portati a fare, dandone sempre a Lui ogni onore e gloria, è pure una allegrezza santa a cui esorta lo Spirito Santo. ( ... ) La letizia è un grande aiuto a servire il Signore e a progredire nelle vie di Dio. (Da lettera del 27-V111-1934, da Tortona; cf. Sparpaglione, Lettere, pp. 164 s.).
14. Nel cuore la grandezza dell'uomo
La grandezza dell'uomo sta nel cuore. La grandezza dell'uomo morale sta nel cuore. Nelle carceri vi è molta gente, tutta gente intelligente, ma priva di cuore. Dai Discorsi; in Don Orione, I, p. 276).
15. La bontà vince sempre Vi raccomando di trattare, tanto con le autorità, come coi benefattori, coi grandi e coi piccoli, sempre con grande rispetto, dimostrando, verso di loro tutti, una grande stima; e, anche quando capite che chiedono qualche cosa alla quale non si può dire di sì, dovete rivolgere loro il no in modo che esso non abbia, possibilmente, a disgustarli. Ci sono tanti modi di parlare, tante maniere di parlare; anche dicendo sì, tante volte si dice in un modo che non lascia soddisfatti. Vi sono alcuni che, nel modo di fare, sanno accaparrarsi la benevolenza; altri, invece, hanno un modo di fare così rustico, così ruvido, che, anche quando dicono di sì, non fanno piacere. Vedete di usare modi garbati e tanto più quando dovrete dire di no. Ci vuol tanto poco a farsi voler bene dai nostri poveri!... Ci vuol tanto poco a far sorridere quelle povere labbra, che da tanto tempo, forse, non sorridono... Non adoperate mai parole altezzose; pensiamo che i poveri sono i tesori di Gesù Cristo, e che noi, servendo i poveri e i malati, serviamo Gesù Cristo. E, per quanto siano noiosi, sospettosi, pesanti, malcontenti, sempre inquieti, ebbene, è questo il modo di farsi dei meriti. Usate bontà! Ah, quanto bene fa la bontà, quanto bene fa la bontà! La bontà vince sempre!
Usate pazienza: con la furia, la superbia, con la parola che punge, con quel fare avvelenato si allontanano i cuori e non si fa più bene! (Dai Discorsi, 16-V111-1930; cf. Don Orione alle Piccole Suore..., op. cit., pp. 323 ss.).
16. il dono della sofferenza Se qualcuno venisse a dubitare di qualche prova, da far capire che non tutte le persone ci sono benevole, cercate di assopire, e vogliate coprire tutto con il manto della carità. Non dobbiamo neanche sospettare che si abbia intenzione di farci del male; tutti vogliono farci del bene, e, se non sempre ci sono favorevoli, è perché forse ci credono fuori di strada e mirano a farci camminare diritti, per le vie del Signore! Le prove Dio le manda, o le permette, specialmente nel tempo della fondazione. Con le tribolazioni il Signore vuole provare la nostra fedeltà e la perseveranza nella vocazione, o, nelle ostilità, esercitarci nel vero spirito di umiltà. Il Signore dispone così, perché rinneghiamo noi stessi; ci vuol far crescere nel buono spirito della rassegnazione e della pazienza; vuole, il Signore, quando permette le persecuzioni e le croci, purificare con un fuoco santo le nostre colpe e peccati, i nostri difetti e imperfezioni. Diamone grazie al Signore. Non cade foglia che Dio non voglia o lo permetta: tutto ciò che Dio vuole o permette, è tutto per nostro bene... Non perdiamoci d'animo! Il Signore per emendarci, per farci tenere la testa bassa, per renderci più buoni, per renderci più simili a Sé, ci getta sulle spalle un pezzo della sua santa croce. Che faremo noi? Abbracciarla! Abbracciarla! Abbracciarla la santa Croce!
Non basta venerarla, incensarla sull'altare: bisogna amarla, abbracciarla, riceverla: Gesù si ama e si serve in croce e crocifissi. (Da lettera del 5-X-1936, da Buenos Aires; cf. Don Orione alle Piccole Suore..., op. cit., pp. 411 ss.).
17. Fare tutto con gran pace Fate tutto con gran pace, con grande tranquillità senza affannarvi, senza turbarvi. Il Signore vuole che andiamo a Lui con grande pace di spirito; non dobbiamo nemmeno affannarci per avere l'amarezza dei nostri peccati: pace in tutto, spirito di pace, serenità d'animo e tutto andrà bene. Tutto con gran pace, che, badate bene, non vuol dire inerzia, ma serenità d'animo, cuore aperto e generoso. Guardatevi dal demonio ( ... ): ricordatevi che è il padre delle tenebre, che pesca nel torbido, che tutto ciò che produce confusione, irritazione, oscurità, non viene da Dio, ma dal demonio. Lo spirito di Dio è spirito di pace! (Dai Discorsi, 15-1X-1917; cf. Don Orione alle Pìccole Suore..., op, cit., P. 94).
18. Povertà, una vita felice ( ... ) . Guarda che, venendo con noi, noi siamo poveri, e pure tu dovrai fare vita da povero per amore di Gesù Cristo, il quale è il nostro divino esemplare, ed Egli nacque povero; visse
povero; povero morì sopra d'una croce, privo anche d'un po' d'acqua. Ma Gesù, nostro dolce Dio e Padre, è con noi, e noi facciamo una vita felice, poiché ci basta avere Gesù Egli sarà con te e ti consolerà, e troverai più gioia spirituale e più contento e felicità a vivere della povertà e umiliazione di Nostro Signore che se tu fossi ricco di tutti i beni e piaceri fugaci di questo povero mondo. Facendoti dei nostri, bada bene che dovrai vivere come crocifisso con tuo Signore Gesù Cristo crocifisso, poiché... Gesù si segue davvero, si ama davvero e si serve davvero in croce. (Da lettera del 31-1-1912, da Messina; cf. Lettere, 1, p. 7 1).
19. Semplici come bambini Siate semplici, miei cari Figli: siate sempre come bambini... Dobbiamo sempre essere come fanciulletti, ma non avere la leggerezza dei fanciulletti; averne il candore dell'anima, la semplicità, la confidenza, la fede, la generosità, l'umiltà. Se saremo sempre fanciulletti a questo modo, entreremo, come dice il Signore nel Vangelo, nel « Regno dei cieli » (cf. Mt. 18, 3), che è il regno degli umili, che non hanno volontà propria: ma la cui volontà è quella di Dio. Dio si manifesta e si compiace di abitare in quelli che sentono la loro nullità, che diventano come nulla, per l'amore di Dio. La sua volontà si rivela e si compie in quelli che hanno rinnegato e vinto la volontà propria, e che non sanno volere altro, se non lo stesso volere di Dio. (Da lettera del 9-V-1914, da Tortona; cf. Lettere, 1, p. 122).
20. C'è bisogno di santi Cerchiamo la santità, ma subito; non aspettiamo più; non tardiamo! La santità! Il desiderio della santità! Tutto verrà dietro a questo: i disegni di Dio si compiranno sopra di me e sopra voi tutti. La santa Chiesa, il Papa, il popolo credente e il popolo ancora selvaggio, i non battezzati come i battezzati, i giusti come i poveri peccatori non hanno da sperare altro che dalla santità. Ora la Chiesa ha bisogno di un gruppo di santi. Ebbene questa è la volontà di Dio, volontà certa sopra di noi: che ci facciamo santi (cf. i Tess. 4, 3). La faccia del Signore, la Provvidenza del Signore è tutta rivolta verso di quelli che sono generosi, qui volunt nimis, che vogliono farsi santi. Ma il Paradiso non è dei pigri, non è dei poltroni: è di chi fa violenza a se stesso, di chi prega, di chi si rinnega, di chi vive di umiltà e vive di carità. lo desidero anche assai che studiate; ma ricordate che il corso più importante è quello della virtù. Siate santi! (Da lettera del 9-V-1914, da Tortona; Cf. Lettere, I, p. 124).
21. Sana modernità Sono nuovi i tempi? Via i timori, non esitiamo; muoviamo alla loro conquista con ardente e intenso spirito di apostolato, di sana, intelligente modernità. Gettiamoci alle nuove forme, ai nuovi metodi di azione religiosa e sociale, sotto la guida dei Vescovi, con fede ferma, ma con criteri e spirito largo.
Niente spirito triste, niente spirito chiuso: sempre a cuore aperto, in spirito di umiltà e di bontà, di letizia. Tutte le buone iniziative siano in veste moderna, basta riuscire a seminare, basta poter arare Gesti Cristo nella società, e fecondarla di Cristo. Nelle mani e ai piedi della Chiesa, noi dobbiamo essere un lievito, una pacifica forza di cristiano rinnovamento: fidati in Dio, noi vogliamo tutto restaurare in Cristo. (Dal Bollettino « Opera della Divina Provvidenza », marzo 1934; cf. Lo Spirito di Don Orione, Venezia 1941, pp. 180 s.).
22. Preziosi insegnamenti 1. Non v'ha di amabile che la volontà di Dio sola. Essa è bene sì grande, che non ve ne può esser altro da metterle a confronto: la volontà di Dio è Dio stesso. - Buone Suore, molto guadagnate col dire: «Volontà di Dio, Paradiso mio! ». 2. Bisogna tener sempre: Iddio nel cuore; idee buone nella mente; i rispetti umani sotto i piedi. 3. Oh, l'ineffabile dolcezza del Cuore di Gesù! - Dolcezza, dolcezza, dolcezza; con la dolcezza si fanno i santi. Niente può resistere alla dolcezza e all'umiltà. 4. Nostro Signore Gesù Cristo crocifisso è la nostra scienza, il nostro tesoro, il nostro amore, la nostra vita, il nostro tutto; e la croce è il nostro libro. - Nella croce si trova ogni bene e la pace, e nella volontà di Dio dimora tutta la virtù, la vera allegrezza e la felicità. - La perfezione cristiana consiste nell'annientamento di noi stessi per l'amore di Gesù Cristo e a sua imitazione: consiste nell'amare Dio e il prossimo.
5.
Quelle che vedete in ogni modo di non poter trarre alla perfezione, dovete, dal canto vostro, cercar mezzi perché facciano meno difetti. 6. Noi siamo debitori a Dio; facciamo, per l'amore di Dio, quello che possiamo per l'uomo, ma non aspettiamo la ricompensa dall'uomo, ma da Dio. 7. La pazienza e la dolcezza s'impara solo alla scuola di Gesù, che disse: « Imparate da me, che sono mite e umile di cuore ». « Armiamoci di santa pazienza e pensiamo che abbiamo da fare con tante teste e temperamenti e umori..., l'uno ben diverso dall'altro. 8. Nessuno uomo è senza difetto, e tutti abbiamo i nostri. - Quando vi sentite disturbate dai difetti delle vostre consorelle, non correggetele mai, finché non vi siate pacificate nel vostro animo. 9. Nel correggere dovete mostrarvi sempre tranquille e serene, se volete che la vostra correzione sia quell'olìo che sana le piaghe; altrimenti, se lascerete entrare la vostra natura, sarà quel veleno che inasprirà i cuori e non vedrete mai il profitto della vostra correzione. 10. Ricordatevi d'imitare Gesù Cristo, col non aver altro occhio che quello della sua misericordia; di più ricordatevi che siamo uomini e non angeli; quindi bisogna condonare molto e non star attaccati a tutte le inezie, ché delle volte, col troppo volere, si ottiene molto meno. 11. Il monte della perfezione ha due strade: l'una dritta, religiosa e molto breve; l'altra lunga spinosa e molto ingombra di foltissime fronde, che rendono la vita tenebrosa; quindi il pellegrino è in pericolo d'inciamparsi. Figliuola del Signore, vuoi tu correre alla perfezione con velocità e presto arrivare alla vetta? Scegliti la strada religiosa della carità. Abbi carità verso Dio, amandolo senza limiti; verso te stessa, calpestando la tua natura e abbracciando quello che ti suggeriscono i tuoi superiori;
verso le tue sorelle, con molto compatire, soavemente correggere ed aiutare le deboli, col mostrarti sempre ilare e mansueta con tutte; verso i tuoi prossimi, mostrandoti pronta a qualche sacrificio in loro vantaggio, ritenendoti sempre indegna di lavorare per il loro bene. Per strada lunga, spinosa ed ingombra, io intendo parlare di quegli spiriti legati e scrupolosi, che, pel timore di far male o di essere troppo indulgenti con gli altri, credendo con ciò d'addossarsi i difetti altrui sulle proprie spalle, sono sempre incerti e dubbiosi, parendo loro necessarie le lunghe conferenze, i molti consigli, e non capiscono che la carità non risulta dal lungo parlare, ma bensì dal mettere in pratica ciò che si è udito. 12. Io non vi parlerei che di dolcezza, perché con la dolcezza si cangiono le fiere in mansueti agnelli... Il vostro spirito assai acquisterà con la santa dolcezza, poiché la nostra natura, alle volte, anche in via di bene e per zelo, si contrista e sente di doversi fare molta violenza nel trattare con dolcezza quelle consorelle con le quali sembrerebbe cosa ragionevole e virtuosa il diportarsi con severità. Quindi, a vostra consolazione, vi dico che ogniqualvolta farete un atto di dolcezza, facendo violenza a voi stesse, arrecherete gran gusto a Gesù, ed Egli, generoso, voi pure tratterà con dolcezza. Oh, beate voi, se gusterete le dolcezze di Gesù! Certamente ogni peso vi sembrerà leggero ed ogni sacrificio una consolazione. 13. L'albero della croce è il vero albero della pace; la sua radice è l'umiltà; l'asta della pianta è la purità; i rami, ossia il traverso, è la carità. Piantate, vi prego, questo fecondissimo albero e, a misura che si sprofonderà con le radici, sarà fecondo di fronde, di fiori, di frutti. Voi fortunate! Allora potrete dire di gustare un anticipato Paradiso nell'esilio ed una gran gloria nella celeste Gerusalemme.
14. Guardatevi bene dai mali umori, dalle malinconie, dagli scrupoli, perché potrebbero essere motivo di omettere quel bene che il Signore da voi pretende e pel quale vi somministra le grazie necessarie. Se non corrisponderete alla sua bontà, vi farete usurpatrici della sua gloria. Di più, invece di camminare avanti, correrete indietro, e il Signore vi farà provare tanta difficoltà e tanto peso che, a vostro svantaggio, dovrete pur confessare essere più facile il cammino virtuoso, e assai più aspro e difficile il cammino difettoso. 19- Vi sono delle anime che passano quasi tutta la loro vita sotto il bersaglio delle tentazioni. Con loro voi dovete usare molta carità, o, per meglio dire, gran misericordia. E, se le vedrete commettere molti difetti e non praticare quelle virtù proprie della vostra Regola, non scandalizzatevi, ma umiliatevi, pensando che, se voi foste nello stato loro, commettereste non solo difetti, ma soccombereste nella tentazione. Di più, per codeste anime, dovete avere gran stima, pensando che, agli occhi di Dio, saranno forse più sante di quello che voi non credete, e che voi non siete. 15. Quelle che hanno da guidare anime, devono propriamente vestirsi di Gesù Cristo, e pensare che s'addossano non solo la cura del corpo, come le madri naturali, ma bensì quella dell'anima, cosa assai delicata, poiché Gesù Cristo chiamava le anime « pupille dell'occhio suo ». In questa affermazione di Gesù Cristo quante lezioni!... Anzitutto di carità e di dolcezza. Infatti, se praticherete la carità di Gesù Cristo, vi sentirete obbligate a compatir tutte, e penserete che le vostre dipendenti hanno la loro natura, e perciò bisogna trattarle con la massima dolcezza e con gran carità... Persuadetevi che ci vuol tempo per ridurle come voi volete. Anche in questo vi gioverà guardare Gesù; come Egli tratta voi instancabilmente, così voi non vi perderete d'animo nel non veder subito nelle vostre
dipendenti lo avanza mento nella virtù. - Bisogna cercare di avere dolcezza di dentro e di fuori, prefiggendoci d'imitare san Francesco di Sales. 16. Non temete mai di essere troppo indulgenti; è meglio eccedere in questo che trattar con durezza. Ogni asprezza strazia e guasta l'opera del Signore. Allorquando vi troverete al tribunale di Dio, se mai avesse a rimproverarvi di troppa indulgenza, potrete rispondere: « Ho imparato da Voi, buon Gesù! ». Ma, se il rimprovero sarà di troppa durezza, non avrete scusa; dovrete da voi stesse condannarvi. 17. Se volete camminare assai nella via della perfezione, dovete cercar sempre di far ciò che è contro la vostra volontà, e umilmente vivere secondo l'obbedienza dei vostri superiori. Ed è così che voi, di giorno in giorno, profitterete nello spirito; che avrete con voi un mezzo di vivere con grande purità d'intenzione e con santa libertà di spirito; che ciò che farete sarà di gran merito, unendovi mattina e sera al vostro Gesù con un bell'atto d'abbandono, simile a quello ch'Egli fece nel Getsemani e sulla croce: che avrete la ricompensa più bella e desiderabile, che mai si possa avere su questa terra, cioè sarete certe di fare la volontà di Dio, e di essere ferme e robuste nelle tentazioni. Le tentazioni non ci devono far timore; le potremo vincere facilmente: diffidando di noi, non avvilendoci, pregando; dobbiamo poi avere coraggio e ravvivare la nostra confidenza in Dio e nella Santa Madonna. 18. Amate il patire, e desiderate di morire per la gloria di Gesti Cristo e della sua santa Chiesa. - Beati quelli che patiscono insieme con Gesù Cristo e nel nome di Gesù Cristo! - « Gesù si ama e si serve in croce, o non lo si ama e non lo si serve affatto ». - E così della Chiesa: la Chiesa, il Papa, e Vescovi, le anime: si amano e si servono in croce; il patire è la via del Paradiso e la croce è il trofeo della
nostra vittoria, è il trono da cui si regna e si trionfa con Gesù Cristo. 19. La beata Maddalena Sofia Barat, fondatrice delle religiose del Sacro Cuore, aveva un profondo ossequio verso la Chiesa, e diceva che « tutto quello che riguardava la santa Chiesa le stava più a cuore di ogni privato o pubblico avvenimento, lietissima di santa gioia pei suoi trionfi, o ricolma di tristezza per i dolori di lei ». - E, nel ragionare del Papa, le fluivano spontanei dal labbro i termini della più tenera e profonda venerazione. - « Non parliamo dei dolori nostri »~ scriveva alle sue suore, quando Pio IX, nel 1848, aveva dovuto rifugiarsi a Gaeta, « non parliamo dei dolori nostri, ma di quelli del Santo Padre ». (Da lettera-strenna alle Sue Suore, del 6-1-1923; cf. Don Orione alle Piccole Suore..., op.cit., pp. 225 ss.).
23. Ricordi per la Quaresima Ho pensato di farvi Piacere mandandovi anch'io per questa Quaresima alcuni brevi ricordi, per la maggior perfezione del vostro spirito. 1. Orazione 24 ore al giorno, cioè fare tutto col cuore e con la mente elevata in Dio, stando in solitudine interna, e riposando in pura fede e santa carità di Dio. 2. Lavorare, patire e tacere. 3. Non ti lamentare, non ti risentire, non ti giustificare. 4. Non ti vantare, non parlare mai di te. Non presumere. Via la vanità, l'orgoglio e l'amor proprio. 5. Silenzio, silenzio e pazienza silente e mansueta. 6. Non far la critica alle tue consorelle, né ad altri, mai! Alle volte una falsa specie di zelo ci muove a guardar le cose degli altri con occhio nero.
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Niente di duro: tutto per l'amore di Dio benedetto, e niente per forza. t meglio conservare con la pace della carità il nostro cuore, che convertire il mondo. Prega umilmente, e abbi grande fede nella Divina Provvidenza. Non quella, che fa grandi cose esterne, edifica la sua casa sulla pietra, ma quella che sta fedele al Signore, alla santa Chiesa e all'obbedienza. Lo zelo non deve essere né torbido né amaro: non lasciarti ingannare: lo zelo è solamente buono, se è umile, dolce e obbediente. La santa Madre di Dio sia la tua tenerissima, dolcissima e amabilissima Madre... Benedire Dio sempre, e sempre Deo gratias! Sta' piccola ai piedi di Gesù crocifisso: sta' col tuo cuore dentro del santo Tabernacolo; sta' in mano della Santa Madonna, della santa Chiesa, dei Vescovi e del nostro Santo Padre, il Papa. Sta' contenta sulla croce. Ama di patire con Gesù e per suo amore. Le anime e i nostri cari poveri: Gesù Cristo, la sua Chiesa e la piccola tua Congregazione si amano e si servono stando sulla croce e crocifissi di carità. Sta' contenta sulla croce. Vicino alla croce troverai pure la nostra Madre, la Madonna SS., che sarà sempre la tua consolazione.
(Da lettera del 17-11-1926, da Roma; cf. Don Orione alle Piccole Suore..., op. cit., pp. 264 ss.).
IX. AVE MARIA, E AVANTI!
Anche questo è uno dei motti frequentissimi che cogliamo sulle labbra e negli scritti di Don Orione. E il nome di Maria rientra in un'altra espressione cara a lui e molto impiegata, specie nei primi tempi del suo apostolato molteplice: « Gesù, Papa, Anime, Maria! ». Si tratta, appunto, dei grandi amori di Don Orione, riuniti a formare icasticamente l'ideale della sua vita sacerdotale e apostolica e a tracci . are sicuramente il programma dell'azione sua e dei suoi, nonché i motivi ispiratori di tutto il molteplice prodigarsi di lui e dei suoiFigli. Una vita mariana, quella di Don Orione. Basterebbe scorrere le duemiladuecentotrenta pagine in cui l'impronta mariana delta sua vita e del suo pensiero è stata raccolta da amorevoli mani e da attentissimo studio per rendersene conto perfettamente (cf. Don Orione nella luce di Maria, Roma 1965, 4 voll., pro manoscritto). Del resto, la testimonianza di Don Orione stesso conferma: « Leggete sulla mia fronte, leggete nel mio cuore~ leggete nell'anima mi . a, non vi . vedrete cosa che non porti scritto "Grazia di Maria" », Ancora una volta, la autentica professione cristiana diciamo pure la santità -, non si smentisce. _P una dolcissima constatazione anche per noi ed è un possente invito a ridare a Maria il posto che le spetta nella nostra vita e nelle nostre sante imprese.
I. Maria Maria! Maria SS.!, non sei tu « il secondo nome »? E vi ha nome più soave e più invocato, dopo il nome del Signore? Vi è umana creatura, vi è donna, vi è madre più grande, più santa, più pietosa? « Maria, dice l'Evangelo, de qua natus est Jesus ». Da Maria è nato Gesù, - Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, onde Maria è la Mater Dei! Le nostre madri passano, muoiono: Maria Madre delle madri nostre, è la gran Madre che non muore. Son passati venti secoli, ed è più viva oggi di quando cantò il Magnificat e profetizzò che tutte le generazioni l'avrebbero chiamata beata. Maria resta, vive e resta, perché Dio vuole che tutte le generazioni la sentano e la abbiano per Madre. Maria è la gran Madre che splende di gloria e di amore su l'orizzonte del cristianesimo, - è guida e conforto a ciascuno di noi: è potente e misericordiosissima Madre per tutti che la chiamano e la invocano. E’ la misericordia e la santissima Madre che sempre ascolta i gemiti di chi soffre, che subito corre ad esaudire le nostre suppliche. La Chiesa, - dai tempi apostolici, e poi più e più volte, e solennemente nei Concili Ecumenici, specie ad Efeso, nel Niceno Il e nel Tridentino, - ha sentito il bisogno e il dovere di stabilire il suo culto: lo ha proclamato coi suoi Padri, con gli Apologisti, coi grandi Dottori, e lo ha difeso col sangue dei suoi Martiri. Oh, i travagli e le inaudite persecuzioni e sofferenze, gli esili e i tormenti atrocissimi sostenuti da Papi e da Vescovi venerandi e da molti santi per il culto e la divozione alla grande Madre di Dio e nostra, Maria SS.! La Chiesa madre di Roma poi ha le radici del suo culto a Maria nelle catacombe. Oh ' come nella Chiesa Maria fu
venerata con fervore costante ed universale! e quanto sublimemente venne celebrata. Quale santo e quale Ordine religioso non si è consacrato a lei? Poteva Iddio elevare a dignità più alta una creatura? Chi più grande di Maria? Non gli Apostoli, non i Martiri, non le Vergini, non i Confessori, non i Patriarchi, né i Profeti, non gli Angeli né gli Arcangeli: - Nessuna creatura, né in terra né in cielo, può uguagliarsi a lei, Madre di Dio! -E la Chiesa la onorò e vuole che da noi la si onori, si ami e si veneri, - per quanto è in noi, - quanto la sua dignità di Madre di Dio richiede. E ci insegna che l'onore e la gloria che tributiamo a Maria si rifonde in Dio medesimo. P- Dio che la fece grande, fecit mihi magna qui potens est, e la fece grande perché la vide umilissima, quia respexit humilitatem ancillae suae e la fece sì grande, piena di grazia, benedetta sovra tutte le donne, tutta pura e immacolata, perché la scelse per Madre, e perché tale la vuole sommamente onorata sovra ogni creatura. E l'onore dato a lei sale al Figlio suo, all'Uomo-Dio, a Gesù Cristo Signor Nostro. Questa è la dottrina della Chiesa su Maria: questa è la fede immortale che Dante esaltò nell'altissimo canto del Paradiso: « Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio, Umile ed alta più che creatura, Termine fisso d'eterno consiglio ». Questa è la nostra fede in Maria, il nostro culto e il nostro dolcissimo amore alla Santa Madonna, alla Mater Dei. E noi andiamo a Gesù per Maria. I pastori cercarono Gesù, e lo trovarono nelle braccia di Maria. 1 Re Magi vennero da regione lontana per cercare il Messia, e lo adorarono nelle braccia di Maria. E noi, o miei cari Figli, noi poveri peccatori dove troveremo noi ancora e sempre Gesù? Lo ritroveremo e lo adoreremo tra le braccia e sul cuore di Maria!
A Te, o mio Signore Gesù, Dio-Uomo, Salvatore del Mondo, crocifisso Redentore nostro. tutta la nostra adorazione e la povera nostra vita: a te, o Maria, Immacolata Vergine, Madre di Dio e nostra, che di Gesù hai accolto in adorazione e amore ineffabile il primo vagito e poi l'ultimo respiro là ai piedi della croce, dove ci fosti data da Cristo stesso solennemente per Madre: a te, o Maria, diamo tutta la nostra più grande venerazione, e l'amore più dolce di figliuoli amatissimi. Oh, come potremo mai adorare Gesù, e non aver uno sguardo, un palpito di amore per la sua Madre? A Te, dunque, o Gesù, adorazione e i palpiti del cuore, fatto altare e olocausto: a te o Maria, il più alto culto di venerazione e di amore, un culto tutto speciale, quale si conviene alla Madre di Dio. Adoriamo Gesù perché Dio: Maria noi non la adoriamo no, perché non è Dio, però la onoriamo e la veneriamo di specialissimo onore e venerazione, perché Madre di Dio. Noi sappiamo ben distinguere tra Dio e la creatura, per quanto eccelsa: tra Gesù Cristo e la sua Madre; ma, come sappiamo che una buona madre non si ama mai abbastanza, così sentiamo che non ameremo mai abbastanza la nostra celeste Madre Maria SS.ma. Grande conforto è per noi l'averci Nostro Signore lasciati per figli a te, o Maria, che a Lui sei Madre divina, a noi sei Madre onnipotente e misericordiosa. Certo, chi pensasse che Maria è onnipotente per se medesima, sbaglierebbe, ma chi pensa, crede e dice che Maria è onnipotente per grazia, pensa crede e dice la verità, professa la dottrina purissima della Chiesa cattolica, poiché Maria tutto può sul cuore di Gesti, suo Figlio, ond'è che Dante ha cantato: « Ti prego, o Madre, che puoi ciò che tu vuoi ». E altrove:
« Donna, se' tanto grande e tanto vali che, qual vuol grazia e a Te non ricorre, sua desianza vuol volar senz'ali ». E’ vero, l'Apostolo Paolo scrisse che uno è il Mediatore, e questi è Gesù Cristo (cf. 1 Tim. 2, 5). Gesti è il sommo Mediatore, tale è per natura. Ma se Cristo, Dio-Uomo, è il Mediatore supremo e onnipotente per natura, Maria, Madre di Dio, è mediatrice per grazia, come per grazia è onnipotente: la sua preghiera è efficacissima e la sua mediazione infallibile: Essa tutto ottiene da Dio, ond'è che molto giustamente fu scritto: «quod Deus imperio, tu prece, Virgo, potes». Ciò che Dio lo può perché Dio, tu, o Vergine celeste, lo puoi con la tua preghiera, che tutto può sul cuore di Dio. Cristo è mediatore primario, Maria è mediatrice secondaria. Il suo trono è più alto, dopo il trono di Dio: il suo potere è il più grande, dopo il potere di Dio. Grande è il potere del Re, ma pur grande è il potere della Madre del Re, perché tutto può sul cuore del Figlio. Noi invochiamo Dio perché usi del suo potere: noi preghiamo Maria perché usi della sua possente intercessione, e sia nostra avvocata presso Dio, nostra mediatrice, nostra arca di salvezza. Invochiamo Dio perché comandi, invochiamo Maria perché supplichi per noi. Se san Paolo promise ai suoi discepoli di pregare per loro, dopo la sua morte, non pregherà Maria per noi? Figliuoli miei, stringiamoci a Maria SS.ma, e saremo salvi! Invochiamo incessantemente il suo materno patrocinio e abbiamo viva fede: da Maria possiamo e dobbiamo sperare ogni cosa. Essa solo basterà a farci trionfare di ogni tentazione, di ogni nemico, a farci superare tutte le difficoltà, a vincere ogni più acre battaglia per il bene delle nostre anime, per la santa causa e il trionfo della Chiesa di Gesù Cristo.
Beati quelli che si abbandonano nelle mani di Maria! Beati quelli che offrono al Signore le loro preghiere, i loro sacrifici, i sudori le lagrime, le croci sulle mani di Maria. Non saranno le nostre preghiere più gradite a Dio e più efficaci? Non saranno le nostre buone opere, le nostre tribolazioni più avvalorate dai meriti altissimi di Maria? Grande fiducia, dunque, in Maria, o miei Figli, grande fiducia e tenerissima divozione a Maria! Oh, la utilità, per non dire la necessità, della divozione a Maria! - Si può concepire un religioso, voglio dire un buon religioso, che non abbia amore e divozione alla nostra dolcissima Madre? Saranno forse i Figli della Divina Provvidenza i più languidi e gli ultimi ad amare e a glorificare Maria? E non è Ella la Madre e la celeste Fondatrice nostra? La Piccola Opera è sua, è opera della sua materna bontà: essa è particolarmente consacrata a lei. Il nostro istituto è un suo figliuolino: come già altra volta vi ho detto, esso sta sotto le ali della Divina Provvidenza come un pulcino, e vive e cammina sotto il manto di Maria. Se qualche cosa c'è di buono, tutto è di Maria: tutto che ha, pur troppo, di difettoso, di storpiato e di male, è roba, è robaccia mia, e forse anche, anche di qualcuno di voi o miei cari Figliuoli in Gesù Cristo. Umiltà, mortificazione, purezza, carità, orazione e confidenza in Maria: a lei Gesù niente può negare: da lei tutto, con lei tutto possiamo. Ave Maria, e avanti! La sua benignità, dice l'altissimo cantore della fede, non pur soccorre a chi domanda, ma, molte fiate, liberamente al dimandar precorre. Figli della Divina Provvidenza, Ave Maria, e avanti, avanti!
Ci apra il cuore il Memorare, piissima Virgo, di san Bernardo. Pensiamo quante grazie abbiamo avute per le mani di Maria! Ricordiamo quanto disse san Pier Damiani, che Maria cioè, non ha, dopo Dio, chi la superi o la eguagli nell'amarci: ci confortino e ci infervorino nella divozione a Maria le parole di sant'Alfonso, il quale, nelle sue Considerazioni sullo stato Religioso asserisce... che la Beatissima Vergine sopra tutti gli uomini ama i religiosi; i quali hanno consacrata la loro libertà, la loro vita e tutto all'amore di Gesù Cristo, della Chiesa e delle anime. « Ah, come possiamo dubitare, dice testualmente il santo Dottore, che Maria non impegni tutta la sua potenza e la sua misericordia in benefizio dei religiosi, e singolarmente di noi, che ci troviamo in questa santa Congregazione, dove si fa una speciale professione di digiuno, colle mortificazioni particolari nelle sue novene, ecc., e col promuovere da per tutto la sua divozione? ». No, che i Figli della Divina Provvidenza non saranno mai né languidi né ultimi nella divozione alla Santa Madonna: primi vogliamo essere, o in prima fila, a nessuno secondi nell'amarti, o Vergine benedetta e santissima Madre del Signore, unica e sola celeste Fondatrice della nostra cara Congregazione, Madre di Dio, Madre e Regina nostra! O tutta Santa e Immacolata Madre! Ave, o Maria, piena di grazia, intercedi per noi! Ti ricorda, Vergine Madre di Dio, mentre stai al cospetto del Signore, di parlargli e d'implorare per questa umile Congregazione tua, che è la Piccola Opera della Divina Provvidenza, nata ai Piedi del Crocifisso, nella grande settimana del Consummaium est. 1 Tu lo sai, o Vergine santa, che questa povera Opera e opera tua: Tu l'hai voluta, e hai voluto servirti di noi miserabili, chiamandoci misericordiosamente all'altissimo Privilegio di
servir Cristo nei poveri; ci hai voluto servi, fratelli e padri dei poveri, viventi di fede grande e totalmente abbandonati alla Divina Provvidenza. E ci hai dato fame e sete di anime, di ardentissima carità: Anime! Anime! E questo nei giorni che più ricordavano lo svenato e consumato Agnello, nei sacri giorni che ricordano quando ci hai generati in Cristo sul Calvario. Che avremmo potuto noi, senza di te? E che mai potremmo, se tu non fossi con noi? Or dunque, dinne: a chi andremo noi ' se non a te? E non sei tu la meridiana face di carità? Non sei la fonte viva di olio e di balsamo, non la celeste Fondatrice e Madre nostra? Forse non è in te, o Benedetta fra tutte le donne, che Dio ha adunata tutta la potenza, la bontà e la misericordia? Oh, sì: « In te misericordia, in te pietade, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontade ». Sì, sì, o Santa Madonna mia! - Tutto tu hai, e « Tutto tu puoi, ciò che tu vuoi! » Or dunque discendi e vieni a noi: corri, o Madre, perché il tempo è breve: Vieni, e infondici una profonda vena di vita interiore e di spiritualità. Fa' che arda il nostro cuore dell'amore di Cristo e di te: fa' che vediamo e serviamo negli uomini il tuo divin Figliuolo: che in umiltà, in silenzio e con anelo incessante conformiamo la nostra vita alla vita di Cristo, che lo serviamo in santa letizia, e in gaudio di spirito viviamo la nostra parte di eredità del Signore nel Mysterium Crucis. Vivere, palpitare, morire ai piedi della croce o in croce con Cristo. Ai tuoi piccoli figli, ai Figli della Divina Provvidenza dona, beatissima Madre, amore, amore: quell'amore che non è terra, ma che è fuoco di carità e follia della croce. Amore e venerazione al « dolce Cristo in terra », amore e divozione ai Vescovi e alla santa Chiesa: amore alla patria, sì
come Dio lo vuole; amore purissimo ai fanciulli, orfani o derelitti; amore al prossimo particolarmente ai fratelli più poveri e doloranti; amore ai reietti, a quelli che sono ritenuti quali rottami, rifiuti della società; amore ai lavoratori più umili, agli infermi, agli inabili, agli abbandonati, ai più infelici, ai dimenticati; amore e compatimento per tutti; ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi; a tutti e amore infinito di Cristo. Dacci, Maria, un animo grande, un cuore grande e magnanimo che arrivi a tutti i dolori e a tutte le lagrime. Fa' che siamo veramente quali ci vuoi: i padri dei poveri! Che tutta la nostra vita sia sacra a dare Cristo al popolo e il popolo alla Chiesa di Cristo; arda essa e splenda di Cristo; e in Cristo si consumi, in una luminosa evangelizzazione dei poveri; la nostra vita e la nostra morte sia un cantico dolcissimo di carità, e un olocausto al Signore. E poi... e poi il santo Paradiso! - Vicini a te, Maria: sempre con Gesù, sempre con te, seduti ai tuoi piedi, o Madre nostra, in Paradiso, in Paradiso! Fede e coraggio, o miei figliuoli: Ave Maria, e avanti! La nostra celeste Fondatrice e Madre, ci aspetta, ci vuole in Paradiso. E sarà presto. (Da lettera del 28-V1-1937, da Itatì (Argentina); Cf. Lettere, 11, pp. 471 ss.).
2. Una pausa E’ P- uno scritto del 1933, due anni dopo l'inaugurazione del santuario della Madonna della Guardia in Tortona. Si può vedere, commentato, in De Luca, Don Orione, op. cit., pp. 77 ss. ------------
Il nostro più grande Concittadino mi parlava, un giorno, di musica - e ne parlava come sa parlarne lui, a me che di musica ne so un'acca, benché la bellezza dell'arte mi rapisca e senta vibrare in me una certa musica, quasi divina armonia della mia vita. Il Maestro diceva che una delle attrattive della musica è costituita - sapete da che? - dalla pausa! La pausa è diversa dal finale, perché fa presentire, anche nel silenzio, che la musica continuerà. Nella pausa l'animo assimila, aumentandole, le armonie che l'han preceduta, e sta, vivamente sospeso, nella desiderosa attesa delle armonie che seguiranno. Non è un vuoto la pausa, aggiungeva, ma è un legamento tenue ed è un inizio: una sospensione piena di fremiti di vita latente e tesa. Così parlava lui, il nostro grande Maestro. Ma diceva ben più e meglio che io non sappia ripetere: neanche so balbettarvi le sublimi cose che egli disse: poi, ve l'ho detto, io non so di musica! Solo so che, dopo la pausa, il genio musicale del nostro Perosi sa trarre i pezzi più belli. Avete mai udito gli Oratori, o qualche altra composizione perosiana? Dopo la pausa, a volte è il coro pieno, travolgente: a volte un motivo nuovo che si insinua in quell'armonioso silenzio, o ritorna, lieve, lieve, come una rievocazione lontana, il motivo dominante che lega e riassume tutta la mirabile coniposizione. La nostra pausa. Ora, o amici miei, anche Iddio e le opere della sua Provvidenza hanno, direi, le loro pause. E una pausa hanno avuto i lavori attorno al nostro caro santuario, pausa dovuta vuoi alla stagione invernale, vuoi alla nostra povera borsa che finì di trovarsi molto, ma molto in ribasso.
Qualcuno, vedendo il santuario rimasto là, non ultimato, e sempre con quell'ingombro di case davanti, avrà potuto scambiare la pausa pel finale. Ma no, cari lettori, non è così: non fu un punto fermo il nostro, non è la fine: è solo una pausa. Anche il santuario ha sentito i venti della crisi, ma porta in sé una forza di fede che vincerà audacemente le difficoltà e pur le tempeste. Non temete: il santuario votivo non può restare incompleto così, non soffocato così: né può essere sempre muto, senza campanile e senza campane: la Santa Madonna ci aiuterà! Che volete? era da aspettarselo! Avevamo fatto uno sforzo supremo, e siamo rimasti stremati, sfiniti: si sentiva il bisogno di un po' di sosta, di sederci, di respirare, d'un po' di pausa. Ma l'attesa, la pausa sta per finire: il cammino presto riprenderà, e sarà un cammino luminoso, luminoso tanto, sotto i raggi che piovono dalla fronte purissima della Santa Madonna, sotto lo sguardo stesso di Maria! Ci siam fermati un momento, ma fu pausa feconda: la musica già riprende: le armonie della fede, dell'arte, della santa fatica e della carità riprendono, e con quale divina armonia! Ho visto le pietre muoversi, ho udito canti di cielo e fin le pietre conclamare! Ho sognato la Madonna, ho visto la Madonna lavorare con noi! E le pietre del santuario e le opere di fede e di carità prendevano vita, fiorivano, cantavano insieme con noi, conclamavano: Maria! Maria! Maria! E verso di lei si alzavano, quasi angeli, e insieme con gli angeli, come anime quasi adoranti. Quanto era pura, quanto bella la Santa Madonna! Tanto sovranamente bella che pareva Iddio! vestita di luce,
circonfusa di splendori, coronata di gloria, era grande, era gloriosa della grandezza di Dio! Ma chi potrà dire di te, o Vergine Santa? E non era che un sogno! Che sarà dunque il Paradiso? Lo sguardo di Maria infondeva tale dolcezza che il solo ricordo mi tocca ancora con tanta forza di soavità che parmi uscire di me. Non era che un sogno, non durò che brevi momenti e ancora mi sento come rinascere: è caduta la memoria delle amarezze passate, l'anima esulta, l'intelletto si rischiara, il cuore si infoca di soavissima carità, provo una gioia estrema e non cerco, non bramo più altro. Te voglio, o Santa Madonna: te chiamo, te seguo, te amo! Foco, dammi foco, foco di amore santo di Dio e dei fratelli: foco di divina carità che accenda le fiaccole spente, che risusciti tutte le anime! Portami, o Vergine benedetta, tra le moltitudini, che riempiono le piazze e le vie, portami ad accogliere gli orfanelli ed i poveri, i membri di Gesù Cristo, abbandonati, dispersi, sofferenti, i tesori della Chiesa di Dio. Se sorretto dal tuo braccio potente, tutti io porterò a te, o beata Madre del Signore! Madre tenerissima di tutti noi peccatori, di tutti gli afflitti! Salve, o Vergine celeste, o Maria! Tu la benedetta fra tutte le donne! Salve, o tutta bianca, Immacolata Madre di Dio: augusta Regina! Salve, o grande Signora della Divina Provvidenza, Madre di misericordia! Salve, o santa Madonna della Guardia, Castellana d'Italìa, dolce e benigna! Quanto sei grande, quanto pietosa!
Tu sei onnipotente sul cuore di Gesù, tuo Dio e tuo Figlio, le tue mani sono piene di grazie! Perché, perché non ti posso io adorare? Ah, mille volte t'invoco e ti benedico, mille e mille volte ti amo! Morire, morire d'amore dolcissimo ai tuoi piedi immacolati, o Santa Madonna! Don Luigi Orione
3. Ave, o Madre amabilissima 1. Ave, o Madre amabilissima, che vedi e ascolti anche di lontano! Ricevi il mio saluto, umile riverente filiale; senti il palpito fervido di questo cuore, che passa i mari e giunge sino al tuo cuore! Esulta, o alma Donna del Cielo, e accogli il mio ringraziamento pei tuoi tanti benefici e prodigi! Tu sei la Madre delle madri nostre; tu onnipotente per grazia sul cuore di Dio, prega per noi peccatori! Ecco: anch'io sono presente alla tua grande festa, al tuo trionfo o Maria! M'inginocchio davanti a te, levo lo sguardo e gli affanni del mio spirito a te, o Beata « che un dì provasti il pianto »! Ti chiamo, ti supplico per me e per tutti, « o Vergine, o Signora, o Tutta santa »! Ai tuoi piedi depongo il mio cuore e tutta la mia povera vita: mille volte ti benedico, mille e mille volte ti amo! 2. O Stella, posta da Dio sull'orizzonte del cristianesimo, perché a te si rivolgano i voti di tutti coloro che soffrono e sperano; solo al pensarti l'animo si calma, la mente si rasserena, si diffonde la pace e la letizia!
Ah, tu sei veramente olio e balsamo ad ogni morale ferita, tu sei lo scudo invincibile delle migliori battaglie! Salve, Beata! Soave, e a noi « solenne, è il tuo nome, o Maria ». « Vergine Madre, figlia del tuo Figlio: umile ed alta più che creatura »; tu non hai redenta l'umanità, ma l'hai resa sì nobile agli occhi di Dio che per te l'umanità fu degna di essere redenta, poiché in te sono tutte le virtù: « In te s'aduna », canta Dante, « quantunque in creatura è di bontade ». Ond'è che « tutte le genti ti diran Beata ». E anche questa lontana terra, « che il Genovese divinò », cresce i tuoi devoti: porta ai tuoi miti altari. il tributo dei suoi fiori, alza a te santuari e basiliche. 3. Iddio, che ti ha dato la pienezza della grazia su questa terra, ti ha dato in Cielo la pienezza della potenza a favore di quanti implorano il tuo santo patrocinio. Deh, o Vergine santissima, a cui nessuno ha mai ricorso invano, da' a noi forza, da' amore di volere ciò che Dio vuole da noi! Rivolgi ognora sulle nostre miserie i tuoi occhi misericordiosi, e spargi copiose le tue grazie sulla moltitudine che ti circonda e ti ama! Ai poveri come ai ricchi, ai sani e ai malati, ai vecchi e ai giovani, ai buoni e ai non buoni, ottieni la luce e il conforto grande della fede, come Dio fa risplendere il sole sulla testa dei buoni e sulla testa dei cattivi. Quanti affetti gentili, quanti sentimenti di bontà, quanta viva sorgente di santità ha suscitato il tuo esempio, o Maria! (Dal Radiomessaggio del 29-VIII-1935; cf. Don Orione nella luce di Maria, II, p. 1739).
X. LA VITTORIA DELLA SPERANZA
Il cristiano potrebbe definirsi « l'ostinato della speranza ». Il cristiano è colui che più di ogni altro, grazie alle sue certezze, attinte dalla fede, può e deve essere ottimista, sanamente ottimista, ad ogni costo ottimista. Tale fu Don Orione. I brani che raccogliamo in questa ultima sezione della nostra raccolta - alcuni dei quali tra i più famosi e divulgati di lui - ne sono certissima conferma. Lasciarsi trasportare da questa onda incontenibile di speranza e di ottimismo non è soltanto un bisogno della nostra epoca malata di pessimismo e di sfiducia, ma è anche preciso dovere della nostra testimonianza cristiana. Il mondo l'attende da noi.
I. Guardare in alto ... Non guardate alla terra, ma sempre in alto, dove ci attende il premio, la mercede che abbiamo meritato. Lo sguardo fisso al cielo, e avanti nel nome del Signore, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Avanti nei dolori, nel sacrificio, nelle rinunce, nei disprezzi, nelle umiliazioni, e sempre in alto i nostri cuori! ... (Dai Discorsi, 24-1X-1926; cf. Don Orione alle Piccole Suore._ op. cit,, p. 278).
2. « Il Signore verrà... » Coraggio! ... Abbiate fede, che il Signore verrà, il Signore verrà. Quanto al dire che siete stanche per grande lavoro, vedete (se vi è possibile) di non dirlo più, perché la parola stanco nel vocabolario dei santi non c'è. E poi confortiamoci, ché presto si va in paradiso, e là potremo ristorare un po' le nostre povere ossa. E Deo gratias! Noi siamo nulla e peggio di nulla, siamo poveri peccatori e servi inutili; gettiamoci tutti nel Signore, e il Signore faccia di noi quello che vuole. (Da lettera del 23-111-1926, da Tortona; cf. Don Orione alle Piccole Suore..., op. cit., pp. 266 s.).
3. Sperare con fede La virtù della Speranza ha per base Gesù Cristo, il sacrificio e le promesse di Nostro Signore Gesù Cristo. Che lo Spirito Santo in questi giorni accresca in noi questa confortante virtù: ci dia una speranza ferma, incrollabile, altissima, che vada sino a farci toccare le porte del Paradiso. Se non va fin là, non è la
virtù teologale di cui abbiamo tanta necessità per salvarci e per essere religiosi non indegni. Sperare con fede: aspettare sperando con viva e sicurissima fede: in spe contra spem; in Deo spes nostra; Deus spes nostra! Questa speranza è la sola di buona lega: essa esige che confidiamo grandemente che, con la grazia e gli aiuti di Dio, potremo vincere tutti i nostri nemici interni ed esterni, tutti i nostri difetti, con la preghiera, con la umiltà, con la obbedienza alla santa Chiesa e ai superiori, e facendo gli sforzi necessari. Che la nostra speranza in Dio non abbia confine! Tutto possiamo e dobbiamo sperare da Dio, che tutto può e tutto vuol darci ciò che è nostro bene, purché Lo amiamo e Lo preghiamo, stando in ginocchio ai suoi piedi e ai piedi della santa Chiesa. Chi confida in Dio non perirà in eterno, diceva mia madre, buona anima, senza sapere che ripeteva una frase della S. Scrittura. E noi animiamoci di frequente nel cammino del santo servizio col ripetere: In te, Domine, speravi, non confundar in aeternum! (Da lettera del 12-VIII-1936, da Buenos Aires; cf. Lettere, 11, p. 417).
4. Il futuro di Dio Che cosa uscirà da tanta rovina? Siamo Figli della Divina Provvidenza, e non disperiamo, ma anzi, confidiamo grandemente in Dio! Non siamo di quei catastrofici che credono il mondo finisca domani; la corruzione e il male morale sono grandi, è vero, ma ritengo, e fermamente credo, che l'ultimo a vincere sarà Iddio, e Dio vincerà in una infìnita misericordia. Iddio ha sempre vinto così! Avremo novos coelos et novam terram. La società, restaurata in Cristo, ricomparirà più giovane, più brillante,
ricomparirà rianimata, rinnovata e guidata dalla Chiesa. Il cattolicismo, pieno di divina verità, di carità, di giovinezza, di forza sovrannaturale, si leverà nel mondo, e si metterà alla testa del secolo rinascente per condurre all'onestà, alla fede, alla civiltà, alla felicità, alla salvezza. Una grande epoca sta per venire, ciò per la misericordia di Gesù Cristo Signor Nostro e per la celeste materna intercessione di Maria SS. Un monumento grandioso vedo innalzarsi, non fondato sulla sabbia: una colonna luminosa di carità si eleva fondata sulla carità rivelata, su la Chiesa, su la pietra unica, eterna, inconcussa: petra autem erat Christus (1 Cor. 10, 4). Ma a questa èra, a questo grandioso e non più visto trionfo della Chiesa di Cristo, noi per quanto minimi, dobbiamo portare il contributo di tutta la nostra vita: per quanto è da noi, noi dobbiamo prepararla, affrettarla con la orazione incessante, con la penitenza, col sacrificio, e col trasfondere la nostra fede, la nostra anima specialmente, nella giovane generazione, specie di quella gioventù che è figlia del popolo, e che più necessita di religione, di moralità e di essere salvata. (Da lettera del 3-VII-1936, da Buenos Aires; cf. Lettere, 11, pp. 369 s.).
5. Il Signore sia la vostra speranza Il Signore sia la vostra speranza e la vostra fiducia: Egli è il nostro consolatore e la fiamma inestinguibile della nostra carità. In Lui riponete tutta la vostra speranza e il vostro cuore, per le mani della santissima Vergine.
Vi è nella Imitazione di Cristo, al libro III, cap. 59, una preghiera di meravigliosa dolcezza; diciamola insieme in ispirito, e poi imparatevela e ripetetevela, a conforto vostro, durante la vostra vita: « In Te, dunque, Signore Dio mio, io ripongo tutta la mia speranza e il rifugio dell'anima mia e della vita mia: in Te, o Signore Dio mio, depongo ogni mia tribolazione ed angustia, perché trovo tutto infermo ed instabile quanto veggo fuori di Te! ». Confortatevi e siate gagliardi nella carità. Confortatevi, o miei Figliuoli! « Vi è una gioia, dice sant'Agostino (Conf. X, 22), che non è concessa a chi vive di terra e per la terra, ma sì a coloro che amano e servono al Signore e alla Chiesa con disinteressato amore; e questa gioia sei tu, o Signore e Dio nostro! Qui sta la vita beata: nel godere di Te, in Te, per Te ». (Da lettera del 2-V-1920, da Roma; cf. Lettere, 1, pp. 186 s.).