Manuali diritto internazionale privato ebook provvisorio

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Edizione APRILE 2016 Copyright Š MMXVI KEY SRL VIA PALOMBO 29 03030 VICALVI (FR) P.I./C.F. 02613240601 ISBN 978-88-6959-562-2 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione, di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. Stampato da Furlan Grafica Via Garegnano, 41 Milano 20156



Collana diretta da Dario Primo Triolo

“Manuali Brevi”

DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO

Roberta Cantone Ranno



A Dario, insuperabile maestro, con profonda stima.



L’autore Roberta Cantone Ranno si è laureata in giurisprudenza con 110 e lode. Ha compiuto la pratica forense ed attualmente lavora presso uno studio legale. Ăˆ praticante abilitato al patrocinio dal 27 gennaio 2015. Da sempre appassionata di diritto, ha frequentato la scuola di preparazione all'esame di avvocato Il Cenacolo degli Studi Giuridici Etneo.

L’Opera L'opera analizza compiutamente il vasto ambito del diritto internazionale privato. Nei primi capitoli vengono approfonditi gli argomenti di parte generale. Si passa, poi, all'analisi dei singoli istituti ed infine alla parte piÚ strettamente procedurale. L'utilizzo di schemi e di griglie di approfondimento permette una lettura rapida ed aiuta una memorizzazione visiva, in modo da facilitare il candidato nello studio dei diversi argomenti. Ogni capitolo analizza sinteticamente gli argomenti trattati, senza tralasciare gli ultimi apporti forniti dalla giurisprudenza, in modo da assicurare un aggiornamento effettivo. Un valido ed utile strumento di studio per la preparazione dell'esame orale del concorso in magistratura o dell'abilitazione di avvocato.



INDICE GENERALE CAPITOLO PRIMO IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO 1.1. Il diritto internazionale privato (d.i.p.): nozione e incertezze terminologiche ............... 15 1.2. Il diritto internazionale privato dalle origini ad oggi: brevi cenni .................................. 17 1.3. Diritto internazionale pubblico, privato e diritto penale internazionale ........................ 19 1.4. Il diritto internazionale privato convenzionale ............................................................. 21 1.4.1. segue: il ruolo delle organizzazioni internazionali .................................................... 23 1.5. Il diritto internazionale privato dell’Unione europea e la cd. comunitarizzazione del d.i.p............................................................................................... 23 1.6. Il sistema italiano di d.i.p.. La L. 218/95 ...................................................................... 26 1.6.1. Diritto transitorio ....................................................................................................... 29 1.7. Le fonti del diritto internazionale privato ...................................................................... 30 1.7.1. La lex mercatoria ..................................................................................................... 31

CAPITOLO SECONDO FUNZIONE E STRUTTURA DELLA NORMA DI D.I.P. E I CRITERI DI COLLEGAMENTO 2.1. La funzione delle norme di d.i.p. ................................................................................. 35 2.2. La struttura della norma di d.i.p. ................................................................................. 37 2.3. Il problema delle qualificazioni .................................................................................... 37 2.3.1. La teoria della doppia qualificazione ........................................................................ 41 2.3.2. Il dèpeçage .............................................................................................................. 44 2.4. I criteri di collegamento. Classificazione ..................................................................... 46 2.4.1. Il criterio di collegamento della cittadinanza ............................................................. 47 2.4.2. Altri criteri di collegamento ....................................................................................... 50 2.5. Il concorso dei criteri di collegamento ......................................................................... 51

CAPITOLO TERZO FUNZIONAMENTO DEL D.I.P. E LIMITI ALL’APPLICAZIONE DELLA NORMA STRANIERA 3.1. Il funzionamento della norma di d.i.p. ......................................................................... 55 3.2. Il rinvio “oltre” e il rinvio “indietro” ................................................................................ 61 3.3. Interpretazione ed applicazione del diritto straniero richiamato .................................. 65 3.4. Il diritto applicabile in caso di ordinamento plurilegislativo .......................................... 66 3.5. Il diritto applicabile in caso di apolidi, rifugiati e persone con più cittadinanze........................................................................................................................ 68 3.6. L’adattamento ............................................................................................................. 69


CAPITOLO QUARTO I LIMITI ALL’APPLICAZIONE DELLA NORMA STRANIERA 4.1. I limiti all’applicazione del diritto straniero ................................................................... 71 4.2. La costituzionalità della norma straniera ..................................................................... 72 4.2.1. L’incostituzionalità nell’ambito dell’ordinamento straniero ........................................ 72 4.2.2. L’incostituzionalità rispetto all’ordinamento di provenienza ...................................... 74 4.3. Il divieto di rinvio ......................................................................................................... 75 4.4. Norme di applicazione necessaria .............................................................................. 76 4.4.1. Le differenze con le norme di d.i.p. materiale .......................................................... 79 4.4.2. Le differenze con le norme di ordine pubblico ......................................................... 80 4.4.3. Il rapporto con il diritto dell’Unione europea ............................................................. 81 4.5. Il limite dell’ordine pubblico internazionale e le sue caratteristiche ............................. 81 4.5.1. Ordine pubblico interno ed ordine pubblico internazionale ...................................... 85 4.5.2. Concezione negativa e positiva di ordine pubblico internazionale ........................... 89 4.5.3. Il contenuto dell’ordine pubblico internazionale ....................................................... 91 4.5.4. Gli effetti dell’ordine pubblico internazionale e i limiti di operatività .......................... 92 4.5.5. Il profilo processuale dell’ordine pubblico ................................................................ 94 4.6. La reciprocità .............................................................................................................. 96 4.7. La lex mercatoria ........................................................................................................ 98

CAPITOLO QUINTO STATO, CAPACITÀ E DIRITTI DELLE PERSONE FISICHE 5.1. Lo stato delle persone............................................................................................... 101 5.2. La capacità giuridica e la capacità di agire delle persone fisiche .............................. 101 5.3. La tutela dell’affidamento .......................................................................................... 104 5.4. Commorienza, scomparsa, assenza, morte presunta ............................................... 106 5.5. Gli istituti a protezione degli incapaci ........................................................................ 109 5.6. I diritti della personalità ............................................................................................. 111

CAPITOLO SESTO STATO E CAPACITÀ DELLE PERSONE GIURIDICHE. LE SOCIETÀ E LE PROCEDURE DI INSOLVENZA

6.1. Stato e capacità delle persone giuridiche e il criterio di collegamento del luogo di costituzione ........................................................................................................ 115 6.2. La legge regolatrice dell’ente .................................................................................... 118 6.3. Le vicende societarie: trasferimenti e fusioni ............................................................ 119 6.4. Le società costituite all’estero ................................................................................... 122 6.5. Le procedure di insolvenza ....................................................................................... 123


CAPITOLO SETTIMO LA FORMA E LA PUBBLICITÀ DEGLI ATTI 7.1. La forma degli atti ..................................................................................................... 131 7.2. La pubblicità degli atti ............................................................................................... 132

CAPITOLO OTTAVO IL MATRIMONIO 8.1. Le fonti della disciplina .............................................................................................. 135 8.2. I presupposti del matrimonio ..................................................................................... 137 8.2.1. La promessa di matrimonio .................................................................................... 137 8.2.2. I requisiti per contrarre matrimonio ........................................................................ 138 8.2.3. Lo status riconosciuto a chi contrae all’estero un matrimonio poligamico o omosessuale.................................................................................................................... 141 8.2.4. Le pubblicazioni ..................................................................................................... 142 8.3. La celebrazione del matrimonio ................................................................................ 142 8.4. Il matrimonio concordatario ....................................................................................... 143 8.5. La trascrizione del matrimonio all’estero ................................................................... 146 8.5.1. La trascrivibilità del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso .................................................................................................................... 148 8.6. I rapporti coniugali..................................................................................................... 154 8.6.1. I rapporti personali tra i coniugi .............................................................................. 155 8.6.2. I rapporti patrimoniali tra i coniugi .......................................................................... 156 8.7. La separazione e il divorzio ...................................................................................... 159 8.8. Il regolamento 1259/2010 ......................................................................................... 161 8.9. La giurisdizione ......................................................................................................... 165 8.9.1. L’efficacia delle decisioni in materia di annullamento, separazione e divorzio ............................................................................................................................ 167

CAPITOLO NONO LA FILIAZIONE 9.1. Le recenti modifiche in tema di filiazione .................................................................. 169 9.2. Lo status di figlio ....................................................................................................... 170 9.3. La giurisdizione ......................................................................................................... 173 9.4. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di filiazione ......................... 175

CAPITOLO DECIMO L’ADOZIONE 10.1. L’adozione nel diritto italiano. Brevi cenni ............................................................... 179


10.2. L’adozione internazionale ....................................................................................... 180 10.3. La disciplina prevista dalla L. 218/95 ...................................................................... 183 10.4. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione ...................... 187

CAPITOLO UNDICESIMO LA TUTELA DEI MINORI E DEGLI INCAPACI 11.1. Le fonti internazionali a tutela di minori e incapaci .................................................. 191 11.2. La protezione dei minori.......................................................................................... 193 11.3. La legge applicabile in materia di protezione dei minori.......................................... 196 11.4. Giurisdizione in materia di protezione degli adulti incapaci e legge applicabile ........................................................................................................................ 198 11.5. Riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di tutela degli adulti incapaci e dei minori ........................................................................................................ 201 11.6. Le obbligazioni alimentari ....................................................................................... 201 11.6.1. La disciplina convenzionale ................................................................................. 202 11.6.2. La disciplina comunitaria. Il regolamento 4/2009 ................................................. 204 11.6.3. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri ....................................................... 207

CAPITOLO DODICESIMO SUCCESSIONI E DONAZIONI 12.1. Le successioni. Brevi osservazioni generali ............................................................ 211 12.2. La disciplina della L. 218/95 .................................................................................... 213 12.3. La giurisdizione in materia successoria .................................................................. 217 12.4. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri .......................................................... 221 12.5. Il testamento internazionale .................................................................................... 222 12.6. I patti successori ..................................................................................................... 224 12.7. Le donazioni ........................................................................................................... 225

CAPITOLO TREDICESIMO I DIRITTI REALI 13.1. I diritti reali. Generalità ............................................................................................ 229 13.2. I diritti reali su beni in transito ................................................................................. 231 13.3. L’usucapione di beni mobili ..................................................................................... 232 13.4. I diritti reali sui beni immateriali ............................................................................... 234 13.5. La forma e la pubblicità degli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali .................................................................................................................................. 235 13.6. La giurisdizione e il riconoscimento dei provvedimenti stranieri .............................. 236


CAPITOLO QUATTORDICESIMO LE OBBLIGAZIONI 14.1. Le obbligazioni contrattuali e la Convenzione di Roma del 1980 ............................ 239 14.2. Il reg. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (cd. Roma I) ............................................................................................................................ 244 14.3. La vendita internazionale ........................................................................................ 251 14.4. L’e-commerce ......................................................................................................... 252 14.5. Il trust ...................................................................................................................... 254 14.6. Le obbligazioni non contrattuali. Generalità ............................................................ 257 14.6.1. La promessa unilaterale ....................................................................................... 259 14.6.2. I titoli di credito ..................................................................................................... 261 14.6.3. La rappresentanza volontaria .............................................................................. 263 14.6.4. Le obbligazioni nascenti dalla legge .................................................................... 265 14.6.5. La responsabilità per fatto illecito ......................................................................... 267

CAPITOLO QUINDICESIMO IL DIRITTO PROCESSUALE CIVILE INTERNAZIONALE 15.1. Nozione e funzione del diritto processuale civile internazionale ............................. 273 15.2. Ambito della giurisdizione italiana ........................................................................... 274 15.2.1. La ripartizione di giurisdizione nei regolamenti 44/2001 e 1215/2012 ................. 276 15.3. L’accordo delle parti e gli altri casi in cui sussiste la giurisdizione italiana .............. 279 15.4. La litispendenza internazionale ............................................................................... 287 15.5. L’immunità dalla giurisdizione italiana ..................................................................... 291

CAPITOLO SEDICESIMO LA DISCIPLINA PROCESSUALE 16.1. La disciplina processuale. Generalità ..................................................................... 295 16.2. Le notifiche ............................................................................................................. 295 16.3. I mezzi di prova ....................................................................................................... 299

CAPITOLO DICIASSETTESIMO IL RICONOSCIMENTO DEGLI ATTI E DEI PROVVEDIMENTI GIURISDIZIONALI STRANIERI 17.1. Il riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri ................................................... 303 17.2. Il riconoscimento automatico nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e nel reg. 44/2001 ............................................................................................................... 317 17.3. Il riconoscimento automatico nel reg. 1215/2012 .................................................... 319 17.4. Il titolo esecutivo europeo e il procedimento di esecuzione .................................... 320 17.5. Il procedimento europeo di ingiunzione di pagamento ............................................ 324


17.6. Il procedimento europeo per le controversie di modesta entità ............................... 327 17.7. Il riconoscimento delle sentenze arbitrali straniere ................................................. 329 17.8. L’arbitrato commerciale internazionale ................................................................... 331

BIBLIOGRAFIA...............................................................................................335 LEGGE 31 MAGGIO 1995, N. 218 ....................................................................337




CAPITOLO PRIMO IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO Sommario: 1.1. Il diritto internazionale privato (d.i.p.): nozione e incertezze terminologiche – 1.2. Il diritto internazionale privato dalle origini ad oggi: brevi cenni – 1.3. Diritto internazionale pubblico, privato e diritto penale internazionale – 1.4. Il diritto internazionale privato convenzionale – 1.4.1. Segue: il ruolo delle organizzazioni internazionali – 1.5. Il diritto internazionale privato dell’Unione europea e la cd. comunitarizzazione del d.i.p. – 1.6. Il sistema italiano di d.i.p.. La L. 218/95 – 1.6.1. Diritto transitorio – 1.7. Le fonti del diritto internazionale privato – 1.7.1. La lex mercatoria

1.1. Il diritto internazionale privato (d.i.p.): nozione e incertezze terminologiche Per “diritto internazionale privato” si intende l’insieme di norme giuridiche dello Stato destinate a regolare rapporti privatistici che presentano elementi di estraneità rispetto ad esso. In particolare, sono quelle regole con cui uno Stato individua il diritto applicabile alle fattispecie che presentano un collegamento con uno o più Stati esteri. Come, per esempio, un matrimonio celebrato in Italia tra cittadini tedeschi o un contratto concluso tra un’impresa spagnola ed una inglese. Appare evidente che, in IL DIRITTO INTERNAZIONALE presenza di tali situazioni, si PRIVATO determina un potenziale -insieme di norme giuridiche dello Stato destinate a regolare rapporti privatistici concorso o conflitto tra le che presentano elementi di estraneità norme dei diversi rispetto ad esso; ordinamenti giuridici che -la funzione del d.i.p. è di delimitare l’ambito di applicazione del diritto interno appaiono collegabili, o e richiamare, se necessario, le norme di meglio applicabili, alla diritto straniero. fattispecie. Nell’esempio di prima ci si dovrà chiedere, in particolare, se al matrimonio sarà applicabile la legge italiana o quella tedesca e se al contratto si dovrà applicare la legge spagnola o quella inglese.

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Per tale ragione, si dice che le norme di d.i.p. sono quelle in cui ciascuno Stato risolve, a suo modo, tale conflitto stabilendo in quali casi il rapporto dovrà essere disciplinato dalle proprie norme e in quali, invece, dovranno essere applicate le norme di un diritto straniero. Non è un caso, infatti, che spesso, anziché utilizzare la locuzione di d.i.p., si preferisce parlare di “conflitto di norme” o meglio di “norme in conflitto”. La stessa definizione (alternativa a quella di d.i.p.) di “norme in conflitto” è, in verità, impropriamente utilizzata, giacché le norme di d.i.p. sono emanate dal legislatore interno esclusivamente in base a considerazioni di opportunità economica, politica e sociale, e non per comporre un eventuale conflitto (in realtà soltanto apparente) tra la propria legislazione e quella degli altri Stati. È la dottrina anglosassone che, probabilmente, ha dato la definizione più corretta alle norme di d.i.p., concentrandosi sul particolare modo in cui le stesse operano. Invero, poiché queste, anziché regolare direttamente un rapporto, si limitano a designare la legislazione che, tra quelle che presentano punti di contatto con la fattispecie, si occuperà di disciplinarlo, sono, per tale ragione, state definite come “norme di scelta di legge” (Vitta). Infine, altri ancora parlano, più semplicemente, di “diritto interno in materia internazionale”, proprio per sottolineare che tali norme, interne dal punto di vista della fonte di produzione e dell’ambito di applicazione, sono destinate a regolare rapporti e fattispecie che sono in qualche modo collegati ad una pluralità di Stati. Nonostante le perduranti incertezze definitorie, anche per il largo uso fattone dalla dottrina, si preferisce continuare ad utilizzare l’espressione “diritto internazionale privato”, pur nella consapevolezza della sua imprecisione. Le norme di d.i.p., inoltre, si distinguono dalle norme interne non per l’origine o la natura giuridica (sono, invero, pur sempre norme di diritto interno al pari di tutte le altre che ciascuno Stato emana in campo civile, penale, commerciale, etc.), quanto per l’oggetto e la funzione. In tale ottica, la connotazione di “internazionalità” si giustifica proprio per la circostanza che tali norme regolano soltanto fattispecie e rapporti connotati, come già anticipato, da elementi di estraneità, ovvero da punti di contatto (cittadinanza, 16


luogo di svolgimento del rapporto, etc.) con ordinamenti giuridici stranieri.1 La funzione del d.i.p., quindi, è proprio quella di delimitare l’ambito di applicazione del diritto interno e richiamare, se necessario, le norme di diritto straniero.2 Si dice, infatti, che esso opera come una “valvola che mette in collegamento il nostro con gli altri ordinamenti” (Armellini). Tuttavia ciò non sempre accade, atteso che vi sono alcune disposizioni della legge italiana che sono considerate irrinunciabili e casi in cui, nonostante alla fattispecie da regolare andrebbe applicata la norma di diritto straniero, i valori giuridici di quest’ultimo sono assolutamente incompatibili con quelli dell’ordinamento italiano, e quindi non applicabili (si pensi, per esempio, al limite dell’ordine pubblico o alle norme di applicazione necessaria; vedi infra, Cap. IV).

1.2. Il diritto internazionale privato dalle origini ad oggi: brevi cenni Dal punto di vista scientifico si comincia a parlare di d.i.p. soltanto nel secolo scorso, grazie al contributo teorico di giuristi come lo Story, il Savigny e l’italiano P. Stanislao Mancini. Tuttavia, già in epoche molto più remote, si era avvertita l’esigenza di predisporre una disciplina giuridica speciale per quei rapporti economico-sociali che coinvolgevano soggetti e/o beni collocati nell’ambito di comunità politiche diverse. Nel diritto romano, per esempio, era il cd. ius gentium, di elaborazione giurisprudenziale, che si occupava di disciplinare rapporti (di solito traffici commerciali) connotati da elementi di estraneità rispetto alla civitas romana. Il cd. “elemento di estraneità” (assieme al criterio di collegamento) è uno dei due elementi tipici della norma di d.i.p.. Esso indica ogni circostanza (nazionalità delle parti, luogo dove si sono svolti i fatti, etc.) che pone in collegamento la vicenda con l’ordinamento nazionale e con uno o più Stati esteri. Emerge, con tutta evidenza, lo stretto rapporto di complementarietà sussistente tra gli stessi. 2 Le diverse concezioni (bilaterale ed unilaterale) elaborate dalla dottrina internazional-privatistica in merito alla funzione da riconoscere alle norme di d.i.p. saranno analizzate compiutamente nel Capitolo II. 1

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Dopo le invasioni germaniche, la funzione propria del d.i.p. era stata svolta dal cd. ius commune, ovvero quel sistema giuridico tendenzialmente universale risultante dalla rielaborazione, ad opera dei giuristi medievali, del diritto romano giustinianeo e, in special modo, del Corpus iuris civilis, il quale riusciva a risolvere i problemi di coordinamento tra gli statuti locali. In epoca moderna, grazie I "PADRI FONDATORI" DELLA DISCIPLINA INTERNAZIONALanche al fenomeno della PRIVATISTICA codificazione giuridica, il - Story: concezione cd. pragmatica; d.i.p. acquista, anche dal - Savigny: tenta di individuare un punto di vista scientificocomplesso di regole di validità universale dogmatico, specificità ed grazie al quale risolvere ogni problema di coordinamento tra le diverse leggi autonomia rispetto agli altri nazionali; settori del diritto. - Mancini: individua tre criteri (nazionalità, Un contributo decisivo allo libertà, sovranità) al fine di individuare la sviluppo degli studi legislazione applicabile. internazional-privatistici viene dato, in particolare, da tre giuristi (che potrebbero definirsi “padri fondatori” della disciplina), quali Story, Savigny e Mancini. Il giurista americano Story, cui si deve la denominazione di d.i.p., scorge il fondamento dell’applicazione delle norme straniere nel vantaggio che ne deriverebbe per ciascuna nazione. Si tratta, dunque, di una concezione pragmatica, tipica della cultura anglosassone, secondo cui l’unico presupposto di tale applicazione risiederebbe proprio nella “convenienza”, per ogni Stato, del rispetto reciproco delle leggi di ciascun ordinamento (cd. comity). Il giurista, filosofo e politico tedesco Savigny, nella sua opera fondamentale “Sistema del diritto romano odierno”, tenta di individuare un complesso di regole di validità universale grazie al quale risolvere ogni problema di coordinamento tra le diverse leggi nazionali. Egli, quindi, rovescia l’impostazione tradizionale ed anziché determinare la sfera di applicazione di tutte le diverse norme di un ordinamento, cerca di individuare, in riferimento alle diverse tipologie di rapporti (matrimoni, contratti, etc.), a quale legge essi debbano ricollegarsi. Per Savigny era fondamentale stabilire il criterio in funzione del quale i vari tipi di rapporto possono essere ricondotti ad un sistema giuridico piuttosto che

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ad un altro. Questa impostazione è stata poi accolta dalla gran parte dei sistemi di d.i.p. vigenti. Anche Mancini, padre della scuola italiana del d.i.p., ritiene necessario individuare i principi che permettono agevolmente di capire quale legislazione debba applicarsi “a ciascuna specie di rapporti di diritto”. Egli, in particolare, individua tre fondamentali criteri: -il criterio della nazionalità, per la disciplina dei rapporti di famiglia, della condizione delle persone e delle successioni (cd. diritto necessario); -il criterio di libertà, relativo alle obbligazioni, in cui era ammessa la possibilità di scelta della legge applicabile (cd. diritto volontario); -il criterio di sovranità, che opera al di fuori del diritto privato e sancisce che gli stranieri, al pari dei cittadini, sono assoggettati alle stesse norme di diritto interno per ciò che attiene il diritto penale ed il diritto pubblico.

1.3. Diritto internazionale pubblico, privato e diritto penale internazionale Il diritto internazionale privato differisce da quello pubblico non solo per la differente funzione svolta dalle norme che lo compongono, ma, soprattutto, per i diversi soggetti cui esse sono destinate: soggetti privati nel diritto internazionale privato, gli Stati nel diritto internazionale IL DIRITTO INTERNAZIONALE pubblico. Le norme di quest’ultimo, PUBBLICO E PENALE invero, si formano non all’interno dei - nel diritto internazionale singoli Stati, bensì al di sopra degli pubblico le norme sono stessi, regolando i rapporti tra di indirizzate agli Stati; - il diritto penale internazionale essi nell’ambito della comunità regola fattispecie criminose internazionale. connotate da elementi di Per diritto penale internazionale si estraneità. intende, invece, quell’insieme di norme di diritto penale interno che regolano fattispecie criminose connotate da elementi di estraneità (o meglio di collegamento con altri Stati) e la collaborazione penale processuale tra più

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Stati. L’allarmante sviluppo della criminalità organizzata, la cui attività trova spesso il suo maggiore sviluppo in ambito internazionale o, addirittura, mondiale (es. il traffico internazionale di stupefacenti) ha portato il legislatore del codice di procedura penale a sancire il principio della prevalenza delle norme di origine internazionale su quelle del codice. L’art. 696 c.p.p., infatti, stabilisce che le norme del codice trovano applicazione soltanto in via sussidiaria, quando cioè la materia non è regolata dalle norme della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, o dalle altre norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale. Nell’ambito del diritto penale internazionale è possibile riscontrare due distinte aree di norme: quelle che delimitano l’ambito di applicazione della legge penale sostanziale e quelle, invece, più strettamente processuali. Le prime mirano a definire i criteri in base ai quali individuare la normativa (nazionale o straniera) applicabile ad attività criminose che presentano elementi di estraneità (es. omicidio di un cittadino italiano commesso da un cittadino francese in territorio statunitense). Il principio fondamentale a cui le stesse si ispirano è quello di territorialità, in forza del quale la legge penale nazionale si applica a tutti coloro, cittadini o stranieri, che commettono reati nel territorio dello Stato (art. 6 c.p.). Tale principio, espressione dell’idea di sovranità territoriale dello Stato, viene, però, derogato, in alcuni casi, in ossequio ai principi della difesa dello Stato e dei suoi cittadini nonché delle altre comunità. Così, per esempio, l’art. 10 c.p. prevede la punibilità, secondo la legge italiana, del cittadino straniero a condizione che egli si trovi nel territorio dello Stato e a patto che per il delitto (commesso al di fuori del territorio italiano in danno di cittadino italiano) sia prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo ad un anno (es. rapina). Le norme più strettamente processuali, invece, regolano la cooperazione tra gli Stati nella repressione dei reati (Mantovani). Tra esse si rinvengono quelle in materia di estradizione, rogatorie

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internazionali, riconoscimento pronunciate da giudici stranieri.

di

efficacia

di

sentenze

1.4. Il diritto internazionale privato convenzionale Poiché ogni Stato è dotato di un proprio sistema di diritto internazionale privato, l’eventualità che il medesimo rapporto giuridico possa trovare soluzioni normative differenti all’interno di ciascun ordinamento, rende concreta la possibilità di una cooperazione “poco serena” fra gli Stati. La necessità di ovviare a tali difficoltà, ma soprattutto la consapevolezza dell’utilità della cooperazione internazionale, volta a far sì che, situazioni non totalmente interne ai singoli Stati, vengano disciplinate in maniera uniforme, hanno indotto gli stessi Stati (a coppie o, volta a volta, a gruppi più o meno IL DIRITTO INTERNAZIONALE numerosi) a dotarsi di regole PRIVATO CONVENZIONALE uniformi, attraverso la - le regole uniformi contenute nei trattati stipulazione di un crescente internazionali perseguono lo scopo di favorire l’armonia delle soluzioni e ridurre numero di trattati il rischio del cd. forum shopping; internazionali. Sono, queste - alcune norme mirano a sostituire in toto regole di diritto speciale che, quelle di ciascuno Stato contraente; altre in quanto tali, prevalgono su si affiancano al diritto materiale degli Stati; altre, infine, pongono norme uniformi di quelle comuni, d.i.p.; autonomamente poste dal - anche le organizzazioni internazionali singolo legislatore (che affiancano gli Stati) hanno un notevole ruolo nella produzione delle nazionale, e che, pur con norme di d.i.p.. modalità diverse, perseguono lo scopo di favorire l’armonia delle soluzioni e ridurre i margini del cd. forum shopping.3 Proprio con lo scopo di pervenire ad una unificazione convenzionale del d.i.p. degli Stati, i vari Paesi stipulano veri e propri trattati internazionali al fine di unificare, in un determinato

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Con tale espressione si suole indicare la preferenza a promuovere il giudizio in quello Stato che, in base alle sue norme, può far conseguire una decisione più favorevole per l’attore. Tale strategia processuale è oggi censurata e ostacolata attraverso gli strumenti di concertazione per la creazione di norme di d.i.p., al fine di favorire uniformità di disciplina.

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settore, le norme di d.i.p. degli Stati parti di tale accordo. In questo modo gli stessi si obbligano ad emanare, nel proprio ordinamento, le norme di d.i.p. concordate. Se taluni di questi trattati pongono norme di diritto materiale 4 rivolte a sostituire in toto quelle di cui ciascuno Stato contraente si era unilateralmente dotato (è il caso, per esempio, della Convenzione di Ginevra del 19 marzo 1931 recante la legge uniforme sugli assegni), altri, invece, affiancano al diritto materiale degli Stati contraenti norme materiali uniformi che troveranno applicazione nelle sole fattispecie che presentano elementi di internazionalità (è il caso, per esempio, di due Convenzioni elaborate in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite: la Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980 sui contratti di vendita internazionale di merci e la Convenzione di New York del 23 novembre 2005 sull’uso di comunicazioni elettroniche nei contratti internazionali). Vi sono, infine, altri trattati che pongono norme uniformi di diritto internazionale privato (la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ad esempio, pone regole uniformi in ambito processuale). Naturalmente norme che assolvono due o addirittura tutte e tre le funzioni indicate possono anche trovare posto in un medesimo trattato (es. Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 relativa alla competenza delle autorità e alla legge applicabile in materia di protezione dei minori), così come anche norme di d.i.p. sono talora presenti in accordi aventi portata più generale, ad esempio nelle convenzioni consolari.

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Per norma di diritto materiale si intende una norma che detta una disciplina idonea a regolare concretamente la situazione o il rapporto giuridico (es. l’art. 2 c.c. stabilisce che “la maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno” e che “con la maggiore età si acquista la capacità” di agire). Esse si distinguono dalle norme di d.i.p. che hanno carattere strumentale e rispettivamente indicano se il giudice abbia titolo per giudicare –norme di diritto processuale civile internazionale, e in base alle norme di diritto materiale di quale Stato dovrà eventualmente farlo – norme di conflitto- (per es. l’art. 23, comma 1, della legge 218/1995 stabilisce che “la capacità di agire delle persone fisiche è regolata dalla loro legge nazionale”).

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1.4.1. segue: il ruolo delle organizzazioni internazionali Un fenomeno che acquista dimensioni ed importanza sempre crescenti è quello relativo alla produzione di norme di d.i.p. ad opera di enti che, in numero crescente, affiancano gli Stati –per loro stessa volontà- nella vita di relazione internazionale: si tratta della organizzazioni internazionali. Esse, invero, svolgono spesso una funzione di preparazione e di stimolo nei confronti degli Stati in vista della stipulazione di accordi come quelli summenzionati, ed anzi, per talune organizzazioni, è proprio questo il compito primario loro assegnato dai rispettivi trattati istitutivi e statuti. Si pensi, ad esempio, all’Istituto Internazionale per l’unificazione del d.i.p. (UNIDROIT) che ha sede a Roma. Ad esso aderiscono oltre 60 Stati la cui finalità istituzionale è, per l’appunto, studiare, elaborare e predisporre nuove regole di d.i.p..

1.5. Il diritto internazionale privato dell’Unione europea e la cd. comunitarizzazione del d.i.p. L’uniformità del diritto LA COMUNITARIZZAZIONE DEL D.I.P. internazionale privato è -Trattato di Maastricht del 1992: la promossa non solo cooperazione giudiziaria in materia civile è mediante l’adozione delle una questione di interesse comune; convenzioni internazionali, -Trattato di Amsterdam del 1999: contribuisce a rafforzare l’unione (politica e ma anche attraverso l’attività giudiziaria) tra gli Stati; di armonizzazione posta in -Trattato di Lisbona del 2009: allo scopo di essere con l’approvazione di realizzare lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, sancisce che atti giuridici dell’Unione l’Unione possa sviluppare una europea, la quale, negli cooperazione giudiziaria nelle materie civili ultimi anni, ha assunto, e (il processo di comunitarizzazione del d.i.p. trova la sua massima espressione). continua ad assumere, una crescente importanza. In questo settore, gli Stati membri dell’Unione hanno avviato azioni comuni già dal 1992 con il Trattato di Maastricht, che ha fatto della cooperazione giudiziaria in materia civile una questione di interesse comune, anche se, in origine, ha avuto un

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carattere intergovernativo e non vedeva il sostanziale coinvolgimento delle istituzioni europee. La sua comunitarizzazione è avvenuta con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (1° maggio 1999) ed era regolamentata dall’art. 65 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (TCE). Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) la disciplina è stata trasfusa nell’attuale art. 81 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Tale articolo prevede che, ai fini della realizzazione dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, l’Unione possa sviluppare una cooperazione giudiziaria nelle materie civili, che può comportare l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri al fine di garantire, per esempio, il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione; la cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova; un accesso effettivo alla giustizia; lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie; la compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di legge e di giurisdizione. Condizione necessaria e preliminare perché le misure adottate rientrino nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile è il carattere transnazionale della controversia, ossia l’esigenza che una parte sia domiciliata o regolarmente soggiornante sul territorio di uno Stato dell’Unione diverso da quello ove pende il processo o in cui la sentenza deve essere eseguita. Generalmente, poi, le misure nel settore della “cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali” vengono adottate attraverso lo strumento del regolamento che, oltre ad essere (in base al TFUE) direttamente applicabile all’interno degli ordinamenti nazionali (e, dunque, non richiedendo atti di adattamento ad hoc), ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi e consente di uniformare completamente le normative nazionali (la direttiva, infatti, necessiterebbe di integrazioni che potrebbero essere diverse da Stato a Stato). Dal punto di vista delle gerarchia delle fonti, inoltre, ai regolamenti si riconosce, nelle materie riservate alla

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competenza comunitaria dei trattati istitutivi, forza di legge, con prevalenza sulle leggi statali incompatibili ancorché successive.5 L’Unione europea è intervenuta anche nel settore delle obbligazioni. Invero, sono state dettate norme in materia di obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali, rispettivamente con il regolamento n. 593/2008 del 17 giugno 2008 (cd. Roma I, in quanto trasforma in regolamento la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali) e, prima, con il regolamento n. 864/2007 dell’11 luglio 2007 (cd. Roma II). È, dunque, in corso un processo di unificazione del d.i.p. a livello comunitario sia per le controversie intracomunitarie che per quelle che presentano elementi di estraneità rispetto alla Comunità/Unione (essendo collegate ad uno o più Stati terzi). Si tratta di un processo aperto, conseguente al trasferimento di competenze operato dagli Stati membri a favore dell’Unione e al concreto progressivo esercizio delle medesime da parte dell’Unione stessa, che ha anche ridimensionato il potere degli Stati membri di procedere uti singuli (ossia ciascuno per proprio conto) alla stipulazione di convenzioni di d.i.p. con Stati terzi. Una significativa manifestazione dell’intento dell’Unione di svolgere un ruolo a tutto campo nella elaborazione di norme uniformi di d.i.p. nonché della disponibilità degli Stati terzi a riconoscerle questo ruolo, va ravvisata nell’adesione alla Conferenza dell’Aja di d.i.p..6 Tale adesione è stata oggetto della decisione del Consiglio del 5 ottobre 2006 dopo che la Conferenza dell’Aja, procedendo alla modifica del proprio Statuto – sino ad allora aperto solo agli Stati - aveva reso finalmente possibile l’adesione dell’Unione (2005). Quest’ultima è diventata 5

Tra i regolamenti più recenti, si segnalano, per esempio, il regolamento del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (n. 4/2009), oppure il regolamento del 15 maggio 2014 che istituisce una procedura per l’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari al fine di facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale (n. 655/2014). 6 Organizzazione internazionale alla quale partecipano oggi ben 77 Stati, oltre alla Unione europea, e che si muove non nel senso della stipulazione di un trattato generale, ma nel senso della conclusione di una pluralità di convenzioni in settori specifici.

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effettiva dal 3 aprile 2007 con il deposito dello strumento di accettazione dello Statuto. L’Unione quindi può divenire parte delle nuove Convenzioni dell’Aja rientranti nelle sue competenze (così, il 1° aprile 2009 l’Unione ha firmato la Convenzione dell’Aja del 30 giugno 2005 sugli accordi di scelta del foro). Per quanto concerne, invece, le convenzioni già adottate dalla Conferenza (e aperte all’adesione solo di Stati), l’Unione dovrà valutare, di volta in volta, se autorizzare, con decisione del Consiglio, gli Stati comunitari ad aderire o ratificare nell’interesse dell’Unione stessa. Questa progressiva comunitarizzazione del d.i.p. fa sì che i legislatori dei singoli Stati membri svolgano, ormai, una funzione residuale rispetto all’Unione europea, nel senso che il loro intervento si è inevitabilmente ridotto ai settori lasciati scoperti dall’Unione, settori che, in prospettiva, saranno sempre meno. Notevole ruolo, inoltre, deve essere riconosciuto alla formazione della giurisprudenza internazional-privatistica ad opera della Corte di Giustizia dell’U.E., che garantisce (o mira a garantire) un’applicazione omogenea della normativa dell’Unione. La stessa legge di riforma del sistema italiano di d.i.p. del 1995 ha, in vent’anni, subito una notevole erosione ad opera di regolamenti comunitari e resta applicabile alle sole fattispecie rispetto alle quali il legislatore comunitario non è (ancora) intervenuto.

1.6. Il sistema italiano di d.i.p.. La L. 218/95 LA L. 218/95 Si articola in quattro gruppi di norme: - il primo stabilisce e delimita la sua sfera di operatività (Titolo I); - il secondo costituisce il nuovo sistema del diritto processuale civile internazionale (Titolo II); - il terzo è costituito dalle norme di conflitto (Titolo III); - il quarto si occupa del riconoscimento e dell’efficacia delle sentenze e degli atti stranieri (Titolo IV).

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Per lungo tempo, e fino all’approvazione della legge 31 maggio 1995 n. 218, il sistema italiano di diritto internazionale privato è stato costituito da un numero piuttosto esiguo di disposizioni contenute in varie fonti normative. Il nucleo


principale era formato dagli artt. 17-31 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile. Altre disposizioni si ritrovavano nel codice civile, in quello di procedura civile e nel codice della navigazione (artt. 1-14). In merito ai contenuti e ai principi informatori, il sistema previgente di diritto internazionale privato rimaneva fedele al modello, formulato da Mancini per il codice civile del 1865, caratterizzato da una parità tra diritto interno e diritto straniero, temperata da numerose eccezioni e, quanto alle regole per l’individuazione del diritto applicabile, dalla prevalenza del criterio della nazionalità. Tuttavia, tale complesso normativo si era rilevato inadeguato rispetto alla incessante crescita dei rapporti intersoggettivi, patrimoniali o meno, che presentavano elementi di collegamento con una pluralità di Paesi, e questo tanto per l’eccessivo valore attribuito al criterio della nazionalità quanto per l’estrema laconicità della disciplina positiva. Si pensi, per esempio, alla regolamentazione previgente delle obbligazioni contrattuali, affidata ad una sola e scarna disposizione (art. 25 preleggi) che, oltre a privilegiare il criterio della nazionalità delle parti, se comune, ovvero quello del luogo di perfezionamento del contratto, irragionevolmente non prendeva in considerazione alcuna il luogo in cui doveva trovare prevalente esecuzione la prestazione.7 Se inizialmente, in assenza di un intervento legislativo organico (pur frequentemente sollecitato, in particolar modo dalla dottrina), una prima forma di arricchimento e rinnovamento del sistema di d.i.p. italiano si è avuta attraverso il ricorso alle fonti convenzionali,8 successivamente, portando a definitivo 7

Si immagini, per una maggiore comprensione, un contratto concluso tra una multinazionale americana, con sede legale in Svizzera, e un fornitore italiano per la prestazione di materie prime (es. olio) destinate ad uno stabilimento industriale alimentare di prodotti indirizzati al mercato statunitense che, pur facendo capo alla predetta multinazionale, si trova in America Latina. Ai sensi dell’abrogata normativa, tale attività avrebbe dovuto essere regolata, in caso di proposta accettata dall’impresa italiana con un fax indirizzato alla sede legale della multinazionale, dal diritto svizzero ovvero dall’ordinamento di un paese totalmente estraneo in termini economici e sostanziali alla vicenda in esame. 8 L’Italia, invero, ha aderito a numerose convenzioni internazionali volte a sostituire, nei rapporti con le parti contraenti ed in specifiche materie, le norme di d.i.p. dei

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compimento un disegno di legge già presentato nel corso della precedente legislatura, si è giunti all’approvazione della Legge n. 218/1995 che, con i suoi 74 articoli, si pone come un vero e proprio codice, per la prima volta raccolto in un unico testo di legge, del diritto internazionale privato e processuale italiano. Tale legge, dedicata appunto alla “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”, è entrata in vigore il 1° settembre 1995 (ad eccezione del Titolo IV, la cui entrata in vigore è stata più volte differita ed è avvenuta il 31 dicembre 1996); ha carattere onnicomprensivo, in quanto “determina l’ambito della giurisdizione italiana, pone i criteri per l’individuazione del diritto applicabile e disciplina l’efficacia delle sentenze e degli atti stranieri” (art.1). Sostituisce, abrogandole espressamente (con l’art. 73), norme racchiuse nelle disposizioni preliminari sulla legge in generale al codice civile (gli artt. 17-31 delle preleggi), nel codice civile (artt. 2505 e 2509) e nel codice di procedura civile (artt. 2,3,4,37.2,796-805),9 nulla disponendo, invece, circa le norme di d.i.p. altrove collocate, per esempio nel codice della navigazione e nella legge concernente l’adozione (L. 4 maggio 1983 n. 184, modificata con L. 31 dicembre 1998 n. 476 e L. 28 marzo 2001 n. 149). Rimangono, altresì, al di fuori della legge 218/1995, la disciplina dell’arbitrato internazionale e dell’efficacia dei lodi stranieri, e quella dell’ordinamento dello stato civile (D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396), così come non viene contemplata la materia del fallimento. Non sono stati abrogati (ma hanno in seguito, per altra via, subito ritocchi) gli artt. 115-116 cod. civ. riguardanti il matrimonio del cittadino all’estero e dello straniero in Italia, e le norme del codice di procedura civile in tema di notificazioni e di assunzione di prove all’estero (e più precisamente in Paesi non comunitari; in ambito comunitario, infatti, vigono, rispettivamente, i regolamenti n. 1393/2007 del 13 novembre 2007 e n. 1206/2001 del 28 maggio 2001). rispettivi ordinamenti giuridici nazionali (si pensi alla già citata Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 in materia di obbligazioni contrattuali che, per la sua efficacia tendenzialmente universale, aveva finito per sostituire ed abrogare, di fatto e quasi per intero, la norma dell’art. 25 delle preleggi). 9 I riferimenti sono ovviamente ai codici che erano in vigore nel 1995.

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Infine, non trattandosi di problemi di d.i.p., la legge 218/1995 non affronta la questione del trattamento dello straniero e della condizione di reciprocità di cui si occupa l’art. 16 disp. prel. cod.civ. 1942 (che, infatti, non è stato espressamente abrogato dalla legge in questione). Tuttavia, già pochi anni dopo la sua emanazione, la legge n. 218 ha subìto progressive e significative “evizioni” ad opera del diritto dell’Unione europea. Invero, l’ambito di applicazione della legge italiana è oggi, in quasi tutti i settori, puramente residuale rispetto al d.i.p. di origine comunitaria. Formalmente, comunque, essa è stata oggetto solo di un’unica revisione: con il decreto legislativo 28 dicembre 2013 n. 154 (“Revisioni delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012 n. 219”) sono state introdotte modifiche agli artt. 33, 35 e 36, a cui è stato contestualmente aggiunto un art. 36 bis. La struttura della suddetta legge si articola in quattro gruppi funzionali di norme: -il primo (Titolo I, artt. 1-2) stabilisce e delimita la sfera di operatività della legge; -il secondo (Titolo II, artt. 3-12) costituisce il nuovo sistema di diritto processuale civile internazionale; -il terzo (Titolo III) è costituito dalle norme di conflitto, cioè quelle che, per le diverse tipologie di rapporti con elementi di estraneità, stabiliscono a quale ordinamento giuridico fare riferimento (quest’area corrisponde a quella storica e tradizionale del diritto internazionale privato); -il quarto (Titolo IV) regola le condizioni e le procedure alle quali è subordinato il riconoscimento dell’efficacia anche nel nostro Paese di sentenze e atti stranieri.

1.6.1. Diritto transitorio Le disposizioni transitorie sono contenute nel Titolo V (artt. 7274). Con riferimento allo stesso, la Suprema Corte ha precisato che le norme del nuovo sistema di d.i.p. trovano applicazione in tutti i giudizi iniziati successivamente all’entrata in vigore della

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legge 218/1995 anche se riferiti a rapporti giuridici di fatto sorti prima di tale epoca. A tale principio di parziale retroattività sostanziale si deroga, con conseguente applicazione del vecchio sistema, solo in riferimento a situazioni giuridiche che possono dirsi “esaurite” al momento dell’entrata in vigore della presente legge e che si identificano in quelle definitivamente accertate in sede giurisdizionale o in quelle che abbiano già compiutamente realizzato tutti i loro effetti (cfr. Cass, sez. I, n. 12538/99).

1.7. Le fonti del diritto internazionale privato Le fonti del diritto internazionale privato si distinguono in fonti interne e fonti esterne. Sono fonti interne: la legge (nel nostro caso, la L. 218/1995), nonché gli artt. 5-14 delle FONTI DEL D.I.P. preleggi al codice della - fonti interne e fonti esterne; navigazione e gli artt. 115 e - principio della preminenza delle norme di diritto comunitario sia sulle norme 116 cod. civ.. interne di d.i.p. sia sulle norme Per quanto riguarda, invece, convenzionali nei rapporti tra Stati il diritto non scritto, quindi la membri; - principio del coordinamento tra le consuetudine, ha anche diverse convenzioni di d.i.p.. nell’ambito del d.i.p., come degli altri settori del diritto, una rilevanza piuttosto modesta a causa della presenza di un sistema di norme scritte notevolmente sviluppato. In altri paesi, come quelli del Common law, il sistema di d.i.p. è, invece, quasi interamente fondato su principi di carattere consuetudinario. Sono, invece, fonti esterne: il diritto internazionale privato convenzionale (vedi supra, par. 1.4) e, in merito allo stesso, si rammenta che in virtù del tradizionale criterio “lex specialis derogat legi generali”, le norme di d.i.p. che provengono dall’esecuzione di trattati e convenzioni internazionali vengono applicate a preferenza di quelle di carattere generale10; il diritto 10

Proprio in virtù di questo rapporto di specialità, il sistema di diritto interno ha valenza residuale. Ne consegue che ogni giudice chiamato a risolvere una controversia con elementi di estraneità, prima di ricorrere alla disciplina prevista

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dell’Unione europea (vedi supra, par. 1.5), le cui disposizioni, sia pure con esclusivo riferimento ai rapporti riconducibili agli ordinamenti di Stati aderenti alla UE, proprio per il loro valore cogente diretto, che le colloca a pieno titolo tra le fonti del diritto di ciascun paese, entrano a far parte del nostro sistema di diritto internazionale privato prevalendo, in virtù del principio di gerarchia, su quelle, eventualmente incompatibili, della L. 218/1995. In alcune occasioni (sebbene, come sopra detto, i regolamenti siano lo strumento maggiormente utilizzato) è stato impiegato anche lo strumento della direttiva, come, ad esempio, la direttiva n. 2008/122/CE relativa a contratti di multiproprietà che è stata recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 79/2011 che ha modificato il Codice del Consumo. Per ciò che concerne il rapporto tra il diritto comunitario e il diritto convenzionale, vige il principio della preminenza delle norme di diritto comunitario sia sulle norme interne di d.i.p., sia sulle norme convenzionali nei rapporti tra Stati membri. In merito ai rapporti tra le diverse convenzioni di d.i.p., invece, vige il cd. coordinamento tra le stesse attraverso “l’interpretazione sistematica dei vari strumenti convenzionali” che dovrebbero guidare interpreti ed operatori verso un sistema integrato (Mosconi). Spesso le convenzioni stesse prevedono clausole di abrogazione espressa. Tra le fonti esterne, infine, è da menzionare anche la prassi, ovvero regole di tipo consuetudinario11, ed in particolare la cd. lex mercatoria.

1.7.1. La lex mercatoria Essa consiste in un sistema di norme nate spontaneamente (ossia senza la mediazione del potere legislativo degli Stati) tra i dalla L. 218/95, deve verificare l’assenza di eventuali convenzioni internazionali. Tale principio è espressamente sancito all’art. 2 della L. 218/95 secondo cui “le disposizioni della presente legge non pregiudicano l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l’Italia”. 11 Esse sono, per esempio, state collocate tra le fonti del diritto internazionale privato da Goldman, Carbone, Draetta.

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soggetti operanti in diversi settori commerciali (ad esempio nel settore del trasporto aereo, nel settore assicurativo, nelle transazioni informatiche, etc.) al fine di evitare che i rapporti caratterizzati da elementi di estraneità vengano regolati dalle norme di diritto internazionale privato degli Stati interessati o dalla normativa convenzionale, che, in sede applicativa, potrebbero sollevare notevoli problemi di coordinamento.12 Tali regole hanno LEX MERCATORIA applicazione generale e - sistema di norme utilizzato tra i soggetti sono utilizzate per regolare operanti in diversi settori commerciali; - origine non statale delle norme; contratti tra soggetti - la risoluzione delle controversie viene economici appartenenti a spesso demandata ad organi arbitrali Stati diversi, e mirano a internazionali. sopperire all’incapacità dei diritti interni di regolare in maniera appropriata relazioni economiche internazionali, cercando di garantirne l’uniformità applicativa. Invero, la lex mercatoria costituisce una garanzia di terzietà delle fonti del diritto e, pertanto, assicura una potenziale situazione di parità alle parti. A differenza del sistema di diritto internazionale privato, essa ha un’origine non statale, in quanto le sue norme derivano o dalla ripetuta e spontanea osservanza di regole da parte della generalità degli operatori economici in quel dato settore (lex mercatoria consuetudinaria) o dalle codificazioni nate dall’esperienza di operatori del settore, volte a soddisfare esigenze di certezza ed imparzialità applicativa (come ad esempio, IATA - International Air Transport Association- per i vettori aerei). Altri esempi di lex mercatoria sono: il prontuario delle pratiche standard dei contratti di vendita internazionale; alcuni tipi di clausole contrattuali, come le FOB, sul rischio di perimento delle merci durante il trasporto, e le CIF, sull’assicurazione del trasporto a carico del venditore.

Battifol e Lagarde definiscono efficacemente la lex mercatoria come “una sorta di diritto spontaneo della società internazionale dei mercanti”.Ancora più incisiva la descrizione fornita da G. Teubner secondo cui la <<lex mercatoria, quale “diritto transnazionale delle transazioni economiche” è il più riuscito esempio di diritto globale senza Stato>>. 12

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La risoluzione di eventuali controversie che insorgono relativamente all’applicazione di tali regole viene, di solito, pattiziamente demandata ad organi arbitrali internazionali. Data la fonte non statale delle stesse, si ritiene che debbano operare in concorso con le norme dei diversi ordinamenti e non giĂ in loro sostituzione. Essa è, infine considerata, da una parte della dottrina, uno fra i possibili limiti all’applicazione della norma straniera (vedi infra, Cap. IV, par. 4.7).

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CAPITOLO SECONDO FUNZIONE E STRUTTURA DELLA NORMA DI D.I.P. E I CRITERI DI COLLEGAMENTO Sommario: 2.1. La funzione delle norme di d.i.p. – 2.2. La struttura della norma di d.i.p. – 2.3. Il problema delle qualificazioni – 2.3.1. La teoria della doppia qualificazione – 2.3.2. Il dèpeçage – 2.4. I criteri di collegamento. Classificazioni – 2.4.1. Il criterio di collegamento della cittadinanza – 2.4.2. Altri criteri di collegamento – 2.5. Il concorso dei criteri di collegamento

2.1. La funzione delle norme di d.i.p. Sono state elaborate diverse teorie dottrinarie volte a chiarire la funzione delle norme di diritto internazionale privato. Invero, se l’oggetto di queste è da sempre stato facilmente individuato, non si può affermare lo stesso in merito alla funzione di tali norme. Secondo un primo FUNZIONE DELLE NORME DI D.I.P. orientamento (cd. - concezione bilaterale: la funzione delle concezione bilaterale), la norme di d.i.p. è duplice; funzione delle norme di d.i.p. - concezione unilaterale: la funzione è duplice e consiste sia nel della norma di d.i.p. è unica. Si distingue in estroversa o introversa. delimitare l’ambito di applicazione del diritto interno, sia nel richiamare norme di diritto straniero. In altri termini, l’efficacia delle norme di d.i.p. può spiegarsi tanto in direzione interna, determinando l’applicazione della lex fori13, cioè della legge nazionale, quanto in direzione esterna, giustificando l’applicazione di norme di altri Stati. Così, ad esempio, l’art. 46, comma 1, L. 218/1995 (come già l’art. 23

Con tale espressione latina si designa la “legge del foro”, cioè la legge dell’autorità o del tribunale investito di una controversia caratterizzata da elementi di estraneità. Più propriamente, per lex fori si intende la legge nazionale, a cui la dottrina internazionale privatistica tende ad attribuire un ruolo di supplenza tutte le volte in cui non sia possibile applicare, per una qualche ragione, il diritto straniero richiamato. 13

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delle preleggi al c.c.), nella parte in cui prevede che la “successione per causa di morte è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta, al momento della morte”, può avere, sia la funzione di escludere l’applicazione del diritto italiano in favore di quello straniero (qualora il de cuius non sia di nazionalità italiana) sia quella di statuire l’osservanza della stesso diritto interno nei casi in cui, invece, il defunto sia italiano. Tale concezione, prevalente in dottrina, è coerente al tenore delle moderne codificazioni di diritto internazionale privato, ispirate al principio dell’uguaglianza e sostanziale parità tra diritto statale e diritto straniero. Secondo un altro orientamento (cd. concezione unilaterale), invece, la funzione della norma di d.i.p. è unica in quanto consiste nel richiamo o rinvio agli ordinamenti stranieri per le fattispecie che presentano elementi di estraneità (concezione unilaterale estroversa) o nella delimitazione dell’ambito di applicazione dell’ordinamento interno (concezione unilaterale introversa). La concezione unilaterale cd. estroversa (sostenuta da Morelli) nasce partendo dal presupposto che l’applicazione del diritto interno non ha bisogno di una particolare giustificazione, in virtù di un principio di naturale effettività dell’ordinamento e per tale ragione l’unica funzione che può essere riconosciuta alle norme di d.i.p. è quella del richiamo agli ordinamenti stranieri. La concezione unilaterale cd. introversa, invece, di cui è fautore Quadri, nasce dal presupposto che l’applicazione del diritto straniero a determinati rapporti non sarebbe il risultato delle norme di d.i.p., ma di un principio di coordinamento con gli ordinamenti stranieri, ovvero di un principio fondamentale, fondato sulla buona fede, di garantire la continuità ed uniformità della vita giuridica, la quale richiede, talvolta, di limitare l’applicazione del diritto interno al fine di una omogeneità applicativa della fattispecie. Tra le due concezioni, unilaterale e bilaterale, appare preferibile la seconda, atteso che le tesi unilaterali sembrerebbero essere contraddette già dalla stessa struttura delle norme di d.i.p., le quali, ispirandosi al principio di uguaglianza tra tutti gli ordinamenti, prestano il fianco sia alla possibile applicazione di una norma interna sia al potenziale rinvio ad una straniera 36


(doppia direzione su cui, per l’appunto, si basa la concezione bilaterale).

2.2. La struttura della norma di d.i.p. Sono due gli elementi in cui si articola una tipica norma di d.i.p.: -il primo descrive in maniera astratta, cioè per categorie, i fatti o i rapporti che intende disciplinare (ad es. l’art. 56 L. 218/1995 è dedicato alla fattispecie delle donazioni); -il secondo è costituito dal criterio di collegamento, ossia dalla circostanza che pone la vicenda in relazione ad uno o più Stati esteri, oltre che con l’ordinamento nel quale è sorta la questione della regolamentazione. Come più volte ribadito, infatti, una norma di d.i.p. disciplina i rapporti connotati da elementi di estraneità. Occorre, quindi, dare evidenza, nella struttura della norma, a quelle circostanze od aspetti che conferiscono carattere di estraneità ad un determinato rapporto. È chiaro che non devono, né possono, prendersi in considerazione tutti gli elementi di estraneità che emergono in una certa categoria di rapporti, ma solo quelli che il legislatore ha ritenuto prevalenti sugli altri attribuendo loro rilevanza giuridica. Ad esempio, in tema di diritti reali, la cittadinanza straniera del proprietario è senz’altro un elemento di estraneità della fattispecie. Tuttavia, nella formulazione dell’art. 51, tale elemento non è stato considerato rilevante per determinare la connessione con un ordinamento straniero. Il legislatore ha voluto, infatti, dare prevalenza all’elemento della localizzazione dei beni, quale criterio di collegamento con l’ordinamento concretamente applicabile.

2.3. Il problema delle qualificazioni Proprio il primo degli elementi sopra descritti, ossia la descrizione per categorie di fatti o rapporti che la norma intende disciplinare, pone il problema delle cd. qualificazioni.

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Invero, il costante “gioco di specchi” (Mosconi) tra ordinamenti giuridici di Stati diversi ha destato notevoli dubbi in merito al significato e all’ambito di IL PROBLEMA DELLE comprensione delle QUALIFICAZIONI. TEORIE descritte dalle -teoria della qualificazione in base alla lex categorie causae; norme di d.i.p., in quanto ci -teoria della comparazione giuridica; si domanda se le stesse -teoria della qualificazione in base alla lex debbano essere individuate fori. alla luce dell’ordinamento interno, cui appartengono le norme di d.i.p., o alla stregua degli ordinamenti stranieri cui si fa rinvio. Tale problema nasce dalla circostanza che le norme di d.i.p., nel descrivere le fattispecie che intendono regolare, utilizzano categorie tecnico-giuridiche astratte, le quali necessitano, per la loro applicazione, di un inquadramento giuridico, al fine di evitare incertezze interpretative. Così, ad esempio, nella categoria delle successioni, che rappresenta l’ambito di operatività dell’art. 46 della L. 218/95, si ricomprende, secondo il nostro ordinamento, anche il diritto della moglie ad ottenere parte dei beni del coniuge defunto, mentre in altri sistemi giuridici tale questione potrebbe essere ricompresa nella categoria dei rapporti patrimoniali tra coniugi che, nel nostro sistema di d.i.p., è disciplinata da una disposizione diversa, e cioè dall’art. 30, L. 218/95. In proposito, la dottrina ha formulato diverse teorie: la teoria della qualificazione in base alla lex causae (Pacchioni), in virtù della quale la qualificazione deve essere fatta in base ai principi che appartengono all’ordinamento richiamato dalla norma interna. La critica che si può muovere a tale teoria è che, in questo modo, la qualificazione dovrebbe essere effettuata sulla base di un ordinamento che ancora non è stato individuato, generando, così, un vero e proprio “circolo vizioso” o “petizione di principio”, in quanto l’individuazione dell’ordinamento straniero competente non precede l’interpretazione ed applicazione della norma di d.i.p., ma ne costituisce, al contrario, il risultato. È inevitabile, quindi, che tali norme debbano essere interpretate inizialmente secondo il criterio della lex fori (cioè della legge nazionale), in quanto, in caso contrario, non si potrebbe

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nemmeno giungere ad un qualsivoglia ordinamento straniero competente14; la teoria della comparazione giuridica (Meriggi), la quale postula un’analisi comparativa al fine di giungere ad un significato comune per tutti gli ordinamenti giuridici coinvolti. In particolare, essa ritiene che il senso delle locuzioni adoperate dalle norme di d.i.p. debba essere ricostruito attraverso la comparazione tra i principi dell’ordinamento a cui appartiene la norma di d.i.p. e quelli propri dell’ordinamento straniero che verrà richiamato. Da tale comparazione si dovrebbe, poi, risalire a principi comuni per ridefinire i singoli istituti. La critica che potrebbe essere mossa ad una tal teoria è che non sempre è possibile, né agevole, risalire a principi comuni. Le maggiori difficoltà, invero, si rinvengono nei casi in cui un istituto esiste in un ordinamento ma è sconosciuto in un altro, né può essere ricondotto ad alcunché (es. il trust15). Altresì, tale teoria, presupponendo un’attività di sintesi, necessariamente in larga parte discrezionale, non sembra idonea a fondare una disciplina il cui obiettivo fondamentale è quello di assicurare certezza del diritto applicabile e risolvere l’apparente concorso di più sistemi normativi in relazione ad una medesima fattispecie; essa risulta, quindi, inadeguata rispetto allo scopo che essa stessa si prefigge; teoria della qualificazione in base alla lex fori16. Secondo tale teoria, le norme di conflitto, in quanto norme interne, devono 14

Così, per esempio, se tra cittadini tedeschi viene concluso un atto di liberalità, quest’ultimo andrà in primo luogo classificato come donazione (perché questa è la categoria in cui tale attività viene ricompresa nel diritto italiano) e soltanto dopo, applicandosi l’art. 56, L. 218/95, si giungerà alla designazione del diritto tedesco come competente a disciplinare l’atto stesso. 15 Assai diffuso nei paesi di common law, ma sconosciuto nel nostro ordinamento, il trust è un rapporto giuridico fiduciario trilaterale che coinvolge: un soggetto proprietario di beni, il settlor, il quale costituisce il trust con beni mobili o immobili, con atto tra vivi o mortis causa; un soggetto che amministra uno o più beni su incarico del costituente e ne diventa proprietario fiduciario, il trustee (tale patrimonio resta comunque separato da quanto posseduto a titolo personale; pertanto, non entra in comunione e non è aggredibile dai creditori personali); un soggetto beneficiario, il cestui que trust, a vantaggio del quale è amministrato il trust. Spesso il costituente si nomina anche beneficiario. 16 È questo l’orientamento dottrinale maggioritario. Tra i sostenitori dello stesso si segnalano, tra gli altri, Morelli, Mosconi, Ballarino.

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essere interpretate sulla base dei canoni ermeneutici propri dell’ordinamento che le comprende, alla stregua di ogni altra norma dello stesso sistema. Tale tesi, applicata dalla giurisprudenza, appare preferibile, sia perché le norme di d.i.p. sono norme interne dello Stato e, dunque, è certamente più naturale interpretarle in base ai criteri ermeneutici propri dell’ordinamento cui appartengono, sia perché è più logico pensare che, al momento della loro emanazione, il legislatore abbia inteso fare riferimento al significato che a tali categorie comunemente si assegna all’interno del sistema giuridico di riferimento. A ciò si aggiunga l’ulteriore considerazione in base alla quale è difficile immaginare che lo stesso giudice possa evitare, in sede di applicazione concreta delle norme di d.i.p., di fare riferimento al significato della categoria più vicino alla propria esperienza culturale. Tuttavia, non sono mancate critiche anche nei confronti di tale teoria. In particolare, sono state sollevate due obiezioni. La prima, secondo cui la qualificazione del rapporto con elementi di estraneità alla stregua dei canoni della lex fori potrebbe condurre a risultati pratici poco accettabili in considerazione della possibile eterogeneità o addirittura incompatibilità tra il sistema giuridico nazionale e quello straniero richiamato17; la seconda solleva il problema della qualificazione di istituti giuridici del tutto sconosciuti in alcuni ordinamenti, come, per esempio, il trust, la bigamia o il ripudio del diritto ebraico ed islamico. È stato, altresì, rilevato, in particolare da Bartin (studioso francese, tra i primi ad occuparsi del problema), che la qualificazione secondo la lex fori può in realtà compromettere l’armonia internazionale delle soluzioni anche in presenza di

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Come nel caso in cui, per esempio, un giudice italiano sia chiamato a regolare le conseguenze patrimoniali di una filiazione naturale di un cittadino tedesco. Mentre nel sistema giuridico italiano tale situazione socio-economica viene inquadrata nell’ambito dei rapporti familiari, rispetto ai quali vale il criterio della nazionalità (ex artt. 36-37 L. 218/95), nel sistema tedesco, invece, tale situazione viene inquadrata nell’ambito dei rapporti obbligatori. L’interprete, di conseguenza, richiamato il diritto di famiglia tedesco, ricercherebbe invano la disciplina della problematica patrimoniale di una filiazione naturale.

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norme di d.i.p. identiche. Invero, la risoluzione di un determinato caso può essere diversa a seconda che venga sottoposta ai giudici dell’uno o dell’altro dei due Stati che pure abbiano identiche norme di conflitto, in quanto potrebbe dagli stessi essere inquadrata in istituti giuridici differenti. Approfondimenti Il caso Bartholo In particolare, Bartin ha basato la propria esposizione su un caso giurisprudenziale che ha destato notevole interesse: il caso Bartholo del 1889.18 Occorreva decidere se la signora Marie Aquilina, vedova di François Bartholo, avesse diritto ad una parte dei beni del marito. I coniugi, originari di Malta, dove si erano sposati, si erano poi trasferiti in Algeria e algerina (cioè, allora, francese) era l’ultima cittadinanza del marito. Per il diritto di Malta, la questione era da qualificare come successoria. Per il diritto algerino/francese, invece, rientrava nei rapporti tra i coniugi. Ebbene, Bartin rilevava come, nonostante il d.i.p. maltese e quello algerino fossero identici e avessero entrambi previsto che alle questioni successorie si applicasse la legge nazionale del defunto al momento della morte e a quelle matrimoniali la legge nazionale comune al momento della celebrazione, gli esiti del caso sarebbero stati diversi a seconda che la decisione fosse spettata ai giudici di Malta in luogo di quelli di Algeri. Invero, i primi avrebbero considerato la questione come ereditaria, applicando, in questo modo, la norma di conflitto relativa alle successioni (quindi il diritto materiale vigente in Algeria, in quanto legge nazionale del defunto al momento della morte). I giudici di Algeri, invece, sussumendo il caso nell’ambito dei rapporti tra coniugi, avevano applicato la norma di conflitto relativa a tale categoria di fattispecie e, quindi, il diritto materiale vigente a Malta (in quanto legge nazionale comune ai coniugi al momento della celebrazione del matrimonio).

2.3.1. La teoria della doppia qualificazione Proprio per superare gli inconvenienti della teoria della qualificazione in base alla lex fori, sono stati suggeriti due “correttivi”. Il primo suggerisce una certa “larghezza” o “elasticità” quando si procede alla qualificazione. Esso parte dal presupposto che le 18

App. Algeri, 24 dicembre 1889.

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norme di d.i.p., quando utilizzano parole come “obbligazioni” o “fatti illeciti” (o altre categorie giuridiche “generali”), non intendono, in verità, fare riferimento specificamente agli istituti dell’ordinamento interno, così come disciplinati e regolati dalla lex fori, bensì a concetti e categorie giuridiche che appartengono, sebbene con diverse sfumature di significato, al patrimonio comune di molteplici sistemi normativi e, per tale ragione, vanno interpretati con una certa elasticità. Ciò comporta che la qualificazione delle norme di conflitto (o, ma è lo stesso, della fattispecie ai fini della riconduzione all’una o all’altra norma di conflitto) non sia totalmente “appiattita” sul diritto materiale del foro (cd. qualificazione omogenea), ma debba, per così dire, essere “autarchica”19. Ciò comporta che bisogna sì partire dalla lex fori (e, quindi, ricavare il concetto di base), ma l’inquadramento dei fatti dedotti in giudizio nella norma di conflitto appropriata deve comunque essere fatta con un certo grado di flessibilità, atteso che funzione della norma di conflitto è regolare non già fattispecie puramente interne all’ordinamento del foro, ma fattispecie che, rispetto a tale ordinamento, presentano più o meno marcati caratteri di estraneità. Il secondo correttivo ha dato TEORIA DELLA DOPPIA vita alla cd. teoria della QUALIFICAZIONE doppia qualificazione. - nasce come correttivo alla teoria della Secondo questa tesi, la qualificazione in base alla lex fori; di diritto - per individuare la norma di d.i.p. cui fare norma riferimento prevede due passaggi internazionale privato cui progressivi: una prima qualificazione fare riferimento e, quindi, il secondo la lex fori ed una seconda sistema giuridico estero al qualificazione secondo la lex causae; - è prevista dall’art. 15 L. 218/95. quale la stessa fa rinvio, debbono essere individuati attraverso due passaggi progressivi. Una prima qualificazione da effettuare secondo la lex fori (quindi alla stregua dell’ordinamento giuridico nazionale), per poi passare alla seconda qualificazione dell’istituto sulla base della lex causae, affinchè venga correttamente interpretato secondo le categorie

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L’espressione è di Mosconi.

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proprie dell’ordinamento giuridico straniero richiamato.20 Il richiamo all’ordinamento straniero non deve essere inteso quale richiamo alla singola norma da applicare, ma all’ordinamento stesso nella sua globalità: leggi, dottrina e giurisprudenza (comprese le norme di d.i.p. sue proprie, che potrebbero rinviare ad un ulteriore ordinamento). Alla luce di tale patrimonio giuridico si procede ad una nuova interpretazione, ovvero il giudice italiano si comporta esattamente come se fosse il giudice straniero e applica la legge (straniera) secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo. Invero, la teoria della doppia qualificazione trova espressa previsione nel dettato dell’art. 15 legge 218/95, il quale stabilisce che, dopo il richiamo, il diritto straniero deve essere applicato secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo, esattamente come farebbe il giudice straniero. Le eventuali e possibili divergenze tra la prima qualificazione e la seconda dipendono dal fatto che la seconda di esse è relativa ad un ordinamento diverso ed ha funzione diversa. Le due diverse qualificazioni, quindi, anche se divergono, non si contraddicono e sono reciprocamente indipendenti (Perassi). La doppia qualificazione è un principio di maturità giuridica che consente di evitare ogni supremazia o preferenza per le categorie ermeneutiche dell’ordinamento di appartenenza, nel rispetto della parità tra ordinamenti. Infine, quando la norma di d.i.p. è prodotta dagli organi legislativi dell’Unione europea, l’individuazione delle norme applicabili alla fattispecie non deve essere effettuata alla stregua dell’ordinamento richiamato, bensì, in virtù del principio di supremazia del diritto comunitario sia sulle norme interne di d.i.p. sia sulle norme convenzionali nei rapporti tra Stati membri, alla Si pensi, per esempio, all’ipotesi in cui si debbono regolare le conseguenze patrimoniali di una filiazione naturale di un cittadino tedesco. Orbene, una volta individuata, sulla base della prima qualificazione (operata secondo la lex fori e, quindi, quale istituto da ricomprendere nell’ambito dei rapporti familiari), il diritto straniero applicabile in quello tedesco, le successive interpretazioni e valutazioni (seconda qualificazione) dovranno tener conto della natura meramente obbligatoria (infatti, nell’ordinamento tedesco tale istituto viene inquadrato nell’ambito dei rapporti obbligatori) che tale rapporto riveste nell’ordinamento nel quale, per effetto del richiamo, ci si muove. 20

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luce dei principi di diritto risultanti dai trattati istitutivi e dalle applicazioni giurisprudenziali della Corte di Giustizia dell’Unione. Ed infatti, è un dato di fatto, ormai, che quello dell’Unione sia un vero e proprio sistema normativo con proprie fonti primarie (i Trattati) e derivate (regolamenti, direttive) e con propri organi giurisdizionali con funzioni di nomofilachia (Corte di Giustizia), sia pure con connotazioni peculiari, quali la redazione degli atti normativi in lingue diverse e l’impiego di terminologie che possono assumere nel diritto degli Stati membri accezioni difformi. Analogamente, la qualificazione non andrà effettuata secondo la lex fori quando trovano applicazione norme di diritto internazionale privato contenute in accordi internazionali. In tal caso, l’art. 33 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 23 maggio 1969 stabilisce che, in caso di differenza di significato non eliminabile in via interpretativa, si adotterà quello che, alla luce dell’oggetto e dello scopo del trattato, permette di meglio conciliare i testi in questione. Anche in tale circostanza, la qualificazione potrebbe assumere un significato del tutto nuovo e peculiare rispetto a quello degli ordinamenti interni dei Paesi contraenti. D’altro canto, però, se si privilegiasse il criterio della lex fori, risulterebbe frustrato l’obiettivo dell’uniformità internazionale delle soluzioni che costituisce la stessa ragion d’essere dei trattati di d.i.p..

2.3.2. Il dèpeçage Ulteriori problemi di qualificazione vengono creati dal cd. depèçage (o “frazionamento”). Si tratta di una particolare tecnica legislativa in base alla quale il legislatore preferisce disciplinare un singolo istituto utilizzando più norme, in modo da Il dèpeçage distinguerne gli aspetti - amplifica il problema della qualificazione; (quali, ad esempio, - trattamento cd. “a mosaico” della sostanza, forma, effetti, fattispecie. capacità di agire, etc.).

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Questo strumento è generalmente utilizzato per distinguere tra la disciplina che si occupa della forma dell’atto e quella che, invece, concerne gli elementi sostanziali del medesimo. Tuttavia, con l’utilizzo di tale tecnica legislativa il problema della qualificazione si amplifica, atteso che occorre non solo inquadrare concretamente l’istituto, ma, altresì, rintracciare correttamente le singole norme che ne disciplinano i diversi aspetti. Il risultato del frazionamento è, dunque, il trattamento cd. a mosaico della fattispecie, alla cui disciplina partecipano, a diverso titolo, più leggi. Talvolta, la tecnica legislativa impiegata dal legislatore del 1995 mira a facilitare il compito dell’interprete, in quanto ai singoli aspetti dello stesso istituto viene applicato il medesimo criterio di collegamento. Ad esempio, sotto la rubrica “Condizioni per contrarre matrimonio”, l’art. 27, che fa esplicito riferimento alla capacità matrimoniale, e l’art. 35, relativo al “Riconoscimento del figlio” che, al 2° comma, si occupa della capacità del genitore di compiere il riconoscimento, utilizzano lo stesso criterio di collegamento –quello della cittadinanza- che è impiegato nelle norme generali concernenti la capacità (artt. 20 e 23). Per quanto riguarda gli aspetti formali di tale istituto, invece, il legislatore, in assenza di una norma generale, fornisce la disciplina in un articolo apposito (ad esempio, l’art. 28 rubricato “Forma del matrimonio”) oppure in una disposizione specifica inclusa nell’articolo relativo a ciascuna categoria di fattispecie (ad esempio, l’art. 35, sul riconoscimento del figlio, che al comma 3 contempla la forma di tale atto).21

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Accanto al dèpeçage tradizionale, è possibile individuarne un altro diverso e nuovo: si tratta del frazionamento operato dai contraenti. Lo si può, per esempio, riscontrare nel regolamento Roma I sulla legge applicabile ai contratti. L’art. 3, comma 1, ultima frase di tale regolamento consente, infatti, ai contraenti di “designare la legge applicabile a tutto il contratto, ovvero ad una parte soltanto di esso”. In questo caso, quindi, ad operare il frazionamento non è il legislatore, bensì l’accordo dei privati contraenti ed oggetto dello stesso non è la fattispecie contrattuale, bensì il contenuto stesso del rapporto.

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2.4. I criteri di collegamento. Classificazione Il secondo elemento tipico della norma di d.i.p. è costituito dal cd. criterio di collegamento (vedi supra, par. 2.2). Invero, come più volte detto, tutte le fattispecie I CRITERI DI COLLEGAMENTO di rapporti regolate dalle Si distinguono in criteri: norme di d.i.p. si - di diritto o di fatto; - soggettivi od oggettivi; caratterizzano per la - territoriali o non territoriali; presenza di un elemento di - costanti o variabili. estraneità o transnazionalità, cioè una qualche circostanza (nazionalità delle parti, luogo dove si sono svolti i fatti, etc.) che pone in collegamento la vicenda oltre che, come è ovvio, con l’ordinamento nazionale, anche con l’ordinamento di uno o più Stati esteri. L’espressione “criterio di collegamento”, quindi, designa quella circostanza, quel fattore materiale che il legislatore considera idoneo a esprimere un legame, una connessione, un collegamento, appunto, di una data (categoria di) fattispecie con un dato ordinamento: collegamento che diventa, quindi, determinante ai fini dell’individuazione della legge applicabile.22 Esso è stato definito da Raape come un “ponte che collega la fattispecie ad un determinato ordinamento giuridico”. I criteri di collegamento si distinguono in: - criteri di diritto, quando esso è espresso mediante il ricorso a nozioni giuridiche (cittadinanza, domicilio, residenza), e criteri di fatto, quando, invece, risulta da rilevazioni fattuali (luogo in cui si trova la cosa, luogo in cui si deve eseguire la prestazione);

Così, per esempio, quando l’art. 43, L. 218/95, stabilisce che la tutela è regolata secondo la legge dello Stato cui appartiene l’incapace, individua nella nazionalità dell’incapace il criterio di collegamento valido in tema di tutela ed altri istituti di protezione degli incapaci. È anche possibile che, nell’ambito della fattispecie concreta, vi siano altri aspetti, elementi o circostanze che collegano la fattispecie stessa ad un determinato ordinamento (ad esempio, la nazionalità straniera del tutore o la residenza estera dell’incapace). Tuttavia, l’unica circostanza che il legislatore ha ritenuto giuridicamente rilevante, tanto da richiamarla nella struttura della norma di d.i.p., è quella relativa alla nazionalità dell’incapace. 22

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- criteri soggettivi, se l’elemento preso in considerazione per l’individuazione del diritto applicabile attiene a qualità soggettive delle parti (cittadinanza, domicilio, volontà espressa), o oggettivi, se, invece, l’elemento considerato riguarda aspetti oggettivi del rapporto (luogo di celebrazione del matrimonio, luogo in cui si trova il bene);23 - criteri territoriali o non territoriali: tutti i criteri di collegamento, infatti, ad eccezione della cittadinanza, si connotano per un legame con un determinato territorio ed esprimono una localizzazione (anche il domicilio e la residenza); - criteri costanti, ovvero indipendenti dal trascorrere del tempo (ad esempio, luogo in cui si trova un bene immobile),24 e criteri variabili, che pongono, invece, l’ulteriore problema della disciplina concretamente applicabile all’esito della variazione (ad esempio, mutamento di cittadinanza, mutamento di domicilio). Nella maggior parte dei casi, i criteri di collegamento variabili vengono ancorati ad un determinato momento, al fine di consentire un più agevole richiamo.25

2.4.1. Il criterio di collegamento della cittadinanza Nel nostro sistema, come nella maggior parte dei sistemi di d.i.p. moderni (ad eccezione dei paesi anglosassoni in cui prevale il criterio del domicilio), il criterio di collegamento fondamentale è quello della cittadinanza, sulla base del quale sono regolati molti rapporti attinenti allo stato ed alla capacità delle persone (art. 23), 23

Sfugge a questa distinzione il criterio della "prevalente localizzazione della vita matrimoniale" (artt. 29 e 31). Esso, infatti, è considerato un criterio misto in quanto sintesi di elementi soggettivi ed oggettivi. In merito a tali ipotesi, c’è chi opera una ulteriore distinzione tra criteri flessibili, che favoriscono la ricerca della legge più idonea alla disciplina del caso concreto, e criteri rigidi o tradizionali, che si caratterizzano perché l’individuazione del fattore di collegamento della fattispecie è rimessa direttamente al legislatore. Sono flessibili, in particolare, quei criteri che, per operare, necessitano di un’attività valutativa discrezionale da parte dell’interprete (come, appunto, gli artt. 29 e 30, in relazione al concetto di “prevalente localizzazione”). 24 L’immutabilità del criterio comporta la certezza dell’ordinamento richiamato. 25 Ad esempio, ai sensi dell’art. 46, per le successioni si applica la legge nazionale del de cuius, al momento della morte.

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alla filiazione (art. 33), alle successioni mortis causa (ma su questa è intervenuto il Reg. 650/12), alle donazioni (artt. 46 e 56) e alle questioni inerenti gli incapaci (art. 43). In merito a tale criterio di LA CITTADINANZA collegamento, si è posto il È disciplinata dalla L. n. 91/92. problema di quale disciplina Si può acquistare per: - ius sanguinis; dovesse applicarsi in caso di - ius soli; doppia cittadinanza e - beneficio di legge; apolidia. In tali casi, infatti, - ius communicatio; - naturalizzazione. risultava impossibile Si può perdere per: applicare il criterio della - rinunzia; cittadinanza. - mancata osservanza dell’ingiunzione In relazione alla prima, si è dell’autorità italiana di abbandonare un certo impiego o carica pubblica; ritenuto che, se una di - accettazione o mancato abbandono di queste cittadinanze è quella posizioni analoghe nell’ipotesi di stato di italiana, allora si applicherà guerra tra lo Stato straniero e l’Italia; - rinunzia alla cittadinanza da parte di figli senz’altro la legge italiana; stranieri divenuti maggiorenni; invece, in caso di doppia - revoca dell’adozione. cittadinanza straniera, troverà applicazione la legge dell’ordinamento la cui cittadinanza viene attribuita secondo i criteri più vicini a quelli in base ai quali si concede la cittadinanza italiana. Questi criteri, già elaborati in sede dottrinale e giurisprudenziale, trovano ora espresso riconoscimento legislativo all’art. 19, comma 2, L. 218/95 secondo cui se la persona ha due o più cittadinanze prevale, se posseduta, quella italiana. In caso contrario, si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto.26 In caso, invece, di soggetti apolidi, cioè che non hanno alcuna cittadinanza, l’art. 19 stabilisce, al comma 1, che si applica, in luogo della legge nazionale, quella dello Stato del domicilio o, in mancanza, la legge dello Stato di residenza. Nel nostro ordinamento la cittadinanza è disciplinata dalla L. 5 febbraio 1992 n. 91, in base alla quale essa si può acquistare: 26

Nel 2003 la Corte di Giustizia europea ha di fatto ridotto la portata del secondo comma dell’art. 19, stabilendo che la cittadinanza italiana non può prevalere se in concorso con altra cittadinanza comunitaria. La prevalenza della cittadinanza italiana contrasterebbe, infatti, col principio che vieta ogni prevalenza all’interno dell’Unione.

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per ius sanguinis ovvero per nascita all’estero da padre o madre italiani o in caso di minore straniero adottato da un italiano; per ius soli, in virtù del quale acquista la cittadinanza italiana il figlio di genitori ignoti trovato in Italia (in tal caso, si presume, fino a prova contraria, che sia cittadino italiano), come anche chi nasce in Italia da ignoti o apolidi o rifugiati o da persone appartenenti ad ordinamenti che non riconoscono al neonato la cittadinanza dei genitori; per beneficio di legge: in tal caso lo straniero diventa cittadino italiano se sussistono almeno un requisito di fatto ed uno di diritto tra quelli previsti dalla legge.27 per ius communicatio (art. 5, L 91/92): lo straniero o apolide che contrae matrimonio con un/una cittadino/a italiano/a acquista, a sua volta, la cittadinanza, se, dopo il matrimonio, risiede in Italia da almeno due anni oppure, se residente all’estero, se il matrimonio continua, senza scioglimento, annullamento o separazione personale, per almeno tre anni. In questo modo si è cercato di evitare che venissero celebrati cd. “matrimoni di comodo” finalizzati cioè, unicamente, ad acquisire la cittadinanza italiana da parte di uno dei coniugi; per naturalizzazione: in questo caso la cittadinanza viene concessa, su domanda dello straniero o apolide, con decreto del Capo dello Stato per meriti, o per ascendenti, o per un lavoro alle dipendenze dello Stato (anche all’estero, per almeno cinque anni), o in caso di residenza in Italia, per almeno tre anni, se si

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Sono requisiti di fatto (art. 4, L. 91/1992): 1) la nascita in Italia e la residenza nel suo territorio, senza interruzioni, fino alla maggiore età; 2) l’origine italiana (padre o madri o ascendenti fino al secondo grado italiani di nascita). Sono requisiti di diritto, limitatamente agli stranieri o apolidi di origine italiana (quindi con riferimento al requisito di fatto n. 2 summenzionato): 1) l’aver prestato, previa dichiarazione di voler acquistare la cittadinanza italiana, servizio militare italiano; 2) l’assumere, dichiarando di voler acquistare la cittadinanza italiana, un pubblico impiego alle dipendenze, anche all’estero in Italia; 3) la residenza legale in Italia da almeno due anni prima del compimento della maggiore età e dichiarazione, entro un anno dal suo compimento, di voler acquistare la cittadinanza italiana. Per gli stranieri o apolidi in possesso del requisito di fatto n.1, unico requisito di diritto è la dichiarazione di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dal compimento della maggiore età.

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tratta di cittadino comunitario, cinque se si tratta di apolide e dieci per tutti gli altri stranieri (art. 9).28

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La L. 91/92 ha, altresì, individuato le cause di perdita della cittadinanza italiana. Infatti, la stessa si può perdere in caso di: rinunzia alla cittadinanza da parte del cittadino italiano che, dopo aver acquistato una cittadinanza straniera, stabilisca la propria residenza all’estero;29 mancata osservanza dell’ingiunzione proveniente dall’autorità italiana di abbandonare un impiego, carica pubblica o servizio militare prestato a favore di uno stato straniero; accettazione o mancato abbandono di posizioni analoghe nell’ipotesi di stato di guerra tra lo Stato straniero e l’Italia. Tale ipotesi è ricollegata alla precedente, con la differenza, però, che, in caso di conflitto, risultando rafforzato l’obbligo di fedeltà allo Stato, si è ritenuta non necessaria l’intimazione da parte dell’autorità italiana. La cittadinanza si perde al termine delle ostilità; rinunzia alla cittadinanza da parte dei figli di stranieri, divenuti, da minorenni, cittadini italiani in uno dei modi previsti dalla legge. La rinunzia può essere esercitata solo dopo il compimento della maggiore età; revoca dell’adozione, nell’ipotesi di straniero adottato da cittadino italiano a condizione, però, che la revoca dell’adozione sia dovuta a fatto dell’adottato e che lo stesso sia in possesso di altra cittadinanza o la riacquisti.

2.4.2. Altri criteri di collegamento Al criterio della cittadinanza, sono stati preferiti, in alcune materie, criteri di collegamento differenti. In alcuni casi, il legislatore ha dato rilevanza ad altri elementi di estraneità, ritenuti più idonei a localizzare il centro di interessi di una persona, tanto a livello economico quanto a livello familiare (si 28

Il procedimento di acquisto della cittadinanza è regolato dal D.P.R. 18 aprile 1994 n. 362. 29 Prima di tale legge, in presenza della medesima situazione, la perdita operava automaticamente, senza necessità di rinuncia espressa.

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parla, infatti, di criteri di localizzazione del centro di interessi della persona). Così, in materia di obbligazioni ALTRI CRITERI DI non contrattuali (ad es. COLLEGAMENTO risarcimento per fatti illeciti), il - obbligazioni non contrattuali: luogo criterio di collegamento è il luogo in cui è avvenuto il fatto da cui in cui è avvenuto il fatto dal derivano; - possesso, proprietà o altri diritti quale esse derivano (art. 62, L. reali: luogo in cui le cose si trovano; 218/95). Oppure, in materia di - titoli di credito: luogo in cui deve possesso, proprietà od altri diritti essere eseguita l’obbligazione o luogo di emissione; reali, si fa riferimento alla legge - ambito familiare: prevalente del luogo in cui le cose si localizzazione della vita trovano (art. 51). Ancora, in matrimoniale; - obbligazioni contrattuali: volontà tema di titoli di credito (art. 59), il delle parti. luogo in cui deve essere eseguita l’obbligazione (in caso di cambiale, vaglia cambiario e assegno) o il luogo di emissione (per gli altri titoli di credito). Infine, in ambito familiare, il criterio è quello della prevalente localizzazione della vita matrimoniale (artt. 29 e 31 L. 218/95) in virtù del quale i rapporti personali e patrimoniali dei coniugi, aventi cittadinanze diverse, sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita familiare è prevalentemente localizzata. In altri casi, invece, il legislatore ha rinunciato ad individuare il criterio di collegamento, rimettendo tale compito alla volontà delle parti (cd. criterio dell’accordo delle parti). Per le obbligazioni contrattuali, il criterio sancito dall’art. 57 è quello della volontà manifestata dalle parti. L’articolo, in particolare, stabilisce che tutte le obbligazioni contrattuali sono disciplinate dalle regole dettate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 (poi sostituita dal reg. 593/80), e tanto la convenzione quanto il regolamento fissano nella volontà comune delle parti il criterio principale di collegamento.

2.5. Il concorso dei criteri di collegamento Si parla di concorso o compresenza di criteri quando, nell’ambito di una stessa norma di d.i.p., sono indicati più criteri

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CONCORSO DEI CRITERI DI COLLEGAMENTO - concorso successivo: tra i diversi criteri c’è un rapporto di sussidiarietà; - concorso alternativo: i criteri sono posti sullo stesso piano; - concorso cumulativo: si tratta, in realtà, di un unico criterio che coinvolge due o più ordinamenti diversi.

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di collegamento, passibili di individuare una pluralità di ordinamenti giuridici (es. artt. 25, 31, 35, 46, 48, 62, L. 218/95).

In particolare, si parla di: concorso successivo: quando tra i diversi criteri c’è un rapporto di sussidiarietà, nel senso che il secondo criterio di collegamento è utilizzato solo nell’ipotesi di mancato funzionamento del primo. Quindi, proprio per superare l’“empasse” del mancato funzionamento (per un qualsiasi motivo) del primo criterio, ci si rivolge al secondo e così via. Così avviene, per esempio, in tema di separazione personale e scioglimento del matrimonio (art. 31): se il criterio della cittadinanza comune dei coniugi non può funzionare, perché essi posseggono diversa nazionalità, subentra il criterio del luogo dove la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata. Questo tipo di concorso è previsto anche all’art. 26, secondo cui “la promessa di matrimonio e le conseguenze della sua violazione sono regolate dalla legge nazionale comune dei nubendi o, in mancanza, dalla legge italiana”; concorso alternativo: quando tra i diversi criteri indicati dalla norma di d.i.p. non viene stabilito un rigoroso ordine di preferenza (quindi sono posti sullo stesso piano), ma tra di essi deve essere scelto quello che, nel caso concreto, designa la legge più favorevole in funzione del risultato da raggiungere. Esso è individuabile, per esempio, nell’art. 48 in tema di forma del testamento. In particolare, tale norma individua tre criteri di collegamento alternativi nell’ambito dei quali, in omaggio al principio generale di conservazione dell’efficacia dell’atto (favor validitatis), la scelta cadrà su quello che richiama la legge rispetto alla quale l’atto può considerarsi formalmente valido. L’art. 48, L. 218/95, infatti, dispone testualmente “il testamento è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge dello Stato nel quale il testatore ha disposto, ovvero dalla legge dello Stato di cui il testatore, al momento del testamento o della morte, era 52


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cittadino o dalla legge dello Stato in cui aveva il domicilio o la residenza”; concorso cumulativo: è, in CONCORSO CUMULATIVO realtà, un’espressione impropria L'art. 35 (Riconoscimento del figlio), in quanto si tratta, formalmente, comma 1, L. 218/95 sancisce che " di un unico criterio di Le condizioni per il riconoscimento collegamento che finisce di fatto del figlio sono regolate dalla legge nazionale del figlio al momento della con il coinvolgere nascita o, se più favorevole, dalla contemporaneamente due o più legge nazionale del soggetto che fa il ordinamenti diversi. Così riconoscimento, nel momento in cui questo avviene; se tali leggi non avviene, per esempio, in tema di prevedono il riconoscimento si riconoscimento del figlio quando applica la legge italiana" questi ha nazionalità differente dal soggetto che lo vuole riconoscere (art. 35). In tale caso, infatti, vi è un unico criterio di collegamento (quello della cittadinanza) ma, al fine di individuare la legge più favorevole, è necessario coinvolgere (e quindi confrontare) due ordinamenti diversi: quello nazionale del figlio al momento della nascita e quello del soggetto che effettua il riconoscimento.

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CAPITOLO TERZO FUNZIONAMENTO DEL D.I.P. E LIMITI ALL’APPLICAZIONE DELLA NORMA STRANIERA Sommario: 3.1. Il funzionamento della norma di d.i.p. – 3.2. Il rinvio “oltre” e il rinvio “indietro” – 3.3. Interpretazione e applicazione del diritto straniero richiamato – 3.4. Il diritto applicabile in caso di ordinamento plurilegislativo – 3.5. Il diritto applicabile in caso di apolidi, rifugiati e persone con più cittadinanze – 3.6. L’adattamento

3.1. Il funzionamento della norma di d.i.p. Il risultato pratico che persegue una norma di d.i.p. è quello di riuscire a regolamentare una FUNZIONAMENTO DELLA fattispecie che presenti elementi NORMA DI D.I.P. di estraneità rispetto - art. 13 L. 218/95: disciplina il rinvio all’ordinamento interno. Per far (o richiamo) della norma di d.i.p. ad ciò, essa utilizza una particolare un determinato ordinamento giuridico. tecnica, quella del cd. rinvio o Dubbi sulla natura del rinvio: richiamo ad un determinato - rinvio formale o non recettizio o mobile; ordinamento giuridico30. - rinvio materiale o recettizio o fisso; Esso trova la sua - rinvio di produzione; regolamentazione all’art. 13 L. - rinvio come attribuzione di efficacia 218/95 ed è quel fenomeno per al diritto straniero da parte del cui un ordinamento attribuisce legislatore nazionale. valore giuridico a norme appartenenti ad un ordinamento diverso, le quali, altrimenti, non avrebbero nel primo alcun valore.31 30

Il rinvio non è, in realtà, un fenomeno esclusivo del d.i.p. (si pensi, ad esempio, ai rapporti tra ordinamento italiano e quello canonico). 31 Talvolta, però, le norme di d.i.p. stabiliscono direttamente la disciplina applicabile. In tal caso si parla di norme di d.i.p. materiale, in quanto provvedono direttamente a disciplinare fattispecie con elementi di internazionalità, nel caso in cui le normali regole di richiamo non siano ritenute idonee a valorizzare gli elementi di estraneità della vicenda. Si distinguono dalle norme di applicazione necessaria (vedi infra, Cap. IV, par. 4.4), che hanno, invece, la funzione di assicurare la prevalenza delle norme interne su quelle di altri ordinamenti.

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Sulla natura del rinvio operato dalle norme di conflitto sussistono, in realtà, alcuni dubbi. C’è chi parla di rinvio formale o non recettizio o mobile, secondo cui le norme di d.i.p. effettuerebbero una sorta di delega di competenza al diritto straniero richiamato, il quale verrebbe applicato nel foro interno nella sua veste di vero e proprio diritto straniero. In questo modo, quindi, l’ordinamento richiamante riconosce direttamente all’ordinamento straniero la competenza ad emanare norme giuridiche in un determinato settore. Tali norme esplicano direttamente la loro efficacia anche nel territorio dello Stato richiamante e non necessitano di essere precedentemente inglobate in tale ordinamento. Da ciò deriverebbe che tutte le vicende modificative che potrebbero riguardare la norma straniera nel suo ordinamento di provenienza (come, ad esempio, un’eventuale abrogazione o una modifica) si ripercuoterebbero nell’ordinamento richiamante. Inoltre, essa dovrebbe essere interpretata sempre e solo secondo i criteri propri dell’ordinamento di provenienza. Si parla, in tal caso, di duplicazione della norma atteso che la stessa viene applicata (compresi gli effetti scaturenti da eventuali vicende modificative) in due diversi ordinamenti, quello italiano e quello di provenienza32. C’è, invece, chi parla di rinvio materiale o recettizio o fisso. In tal caso la norma straniera viene recepita e riprodotta nell’ordinamento nazionale, ma ogni successiva vicenda relativa alla stessa sarà indifferente per l’ordinamento che la richiama e i criteri interpretativi applicabili al testo saranno quelli dell’ordinamento richiamante, ovvero quello italiano. Pertanto, non si avrà alcuna duplicazione in quanto le sorti che la norma 32

Un tipico esempio di rinvio formale alla legge straniera si ha nel caso dell’adattamento automatico del nostro ordinamento alle norme internazionali generalmente riconosciute (art. 10, comma 1, Cost.). La disposizione costituzionale, con l’espressione «norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», intende riferirsi solo ai principi generali e alle norme di carattere consuetudinario, mentre non comprende le norme pattizie contenute in accordi internazionali, salvo il caso degli accordi di codificazione che riproducono principi o norme consuetudinarie del diritto internazionale. In questo modo l’interprete è chiamato ad assicurare la corretta interpretazione ed applicazione delle regole internazionali generalmente riconosciute, assicurando l’adeguamento automatico del diritto interno alla continua evoluzione del diritto internazionale.

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potrà avere nell'ordinamento richiamato non si ripercuoteranno in quello richiamante (parte della dottrina parla, a tal proposito, di sdoppiamento della norma). Ad entrambe le ipotesi, tuttavia, sono state mosse delle critiche. La prima tesi (Fedozzi, Romano), infatti, sembra contrastare con l’“immutabilità” della norma straniera richiamata, in quanto se la stessa fosse effettivamente recepita ed inglobata nell’ordinamento interno, dovrebbe cristallizzarsi in esso, senza seguire le successive vicende legislative avvenute nell’ordinamento d’origine. Cosa che, invece, non accade e, quindi, ogni mutamento della stessa si riflette anche nell’ordinamento richiamante. La seconda (Anzillotti, Chiovenda), invece, mal si concilia con il principio secondo cui non si può riconoscere valore assoluto ed immodificabile a norma estranee all'ordinamento. In tal modo, infatti, sembra che l'ordinamento richiamante si "appropri" di una norma straniera, riconoscendole, dunque, il medesimo valore giuridico che la stessa avrebbe laddove fosse prodotta direttamente nell'ordinamento richiamante. Viste le difficoltà riscontrate nell’individuare correttamente la natura del richiamo realizzato dalle norme di d.i.p., la dottrina più recente (Morelli, Perasso, Ago, Ballarino) ha elaborato una terza teoria, la quale fa riferimento al cd. rinvio di produzione.33 In questo modo, le norme di d.i.p. funzionerebbero come vere e proprie norme sulla produzione giuridica, in quanto attribuirebbero valore di fonte del diritto a quelle norme straniere che hanno già tale ruolo nell’ordinamento richiamato. Si parla, infatti, di nazionalizzazione del diritto straniero richiamato, il quale, quindi, verrebbe formalmente fatto valere in Italia come vero e proprio diritto italiano, salve le differenze di trattamento imposte dalla peculiare origine del medesimo. Un’altra versione di tale teoria (che appare maggiormente condivisibile) è quella secondo cui le norme di d.i.p., anziché

Sono definite norme sulla produzione giuridica quelle che regolano l’attività di formazione delle norme giuridiche e la loro gerarchia. Nel nostro ordinamento, tipiche norme di produzione giuridica sono quelle degli artt. 70 e 77 Cost. e dell’art. 3 disp. prel. c.c.. 33

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riconoscere il valore di fonte del diritto alle norme straniere 34, assumono un ruolo più incisivo, in quanto determinano la nascita, nell’ordinamento richiamante, di una norma interna identica per contenuto a quella richiamata. In questo modo si attiva automaticamente, cioè ogniqualvolta vi sia il richiamo alla norma straniera, il meccanismo di produzione normativa predisposto dalle norme di d.i.p..35 Anche la teoria del cd. rinvio di produzione non è scevra da critiche. È stato rilevato, infatti, che appare inverosimile attribuire valore di norme sulla produzione giuridica a disposizioni, come quelle di d.i.p., che non hanno rango di norme costituzionali. Tuttavia, si è obiettato che le norme di d.i.p. sono state emanate prima dell’entrata in vigore della Costituzione e che le stesse sono state collocate nell’ambito delle preleggi accanto a tipiche norme sulla produzione giuridica, quali gli artt. 1 e 3 disp. prel. cc..36 Altresì, ed è questo forse l’argomento maggiormente convincente, la tesi del cd. rinvio di produzione sembra trovare conferma all’art. 15 della L. 218/95, il quale stabilisce che il diritto straniero deve essere applicato secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo, esattamente come farebbe il giudice straniero e, quindi, tenendo conto di tutte le altre norme o atti stranieri che possano specificare o integrare il contenuto della singola norma richiamata. L’art. 15, pertanto, conferma che il rinvio si estende all’ordinamento giuridico straniero complessivamente e dinamicamente inteso. Non merita minore considerazione un’altra interessante tesi (Vitta), la quale ritiene che il rinvio operato dalle norme di d.i.p. vada inteso in termini di attribuzione di efficacia al diritto straniero da parte del legislatore nazionale. Esso si distingue dal rinvio formale o non recettizio, in quanto tale efficacia non viene

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Ciò, infatti, sarebbe in contrasto col principio di sovranità e di autonomia degli Stati. 35 Conseguenza pratica di tale concezione è la ricorribilità in Cassazione per errata applicazione del diritto straniero (in quanto violazione o falsa applicazione di legge: art. 360 c.p.c.) e l’applicazione del principio iura novit curia (vedi infra, Cap. III, par. 3.3) anche in tale ambito (art. 14, L. 218/95), con il potere/dovere del giudice di accertare d’ufficio il contenuto della legge straniera applicabile al caso concreto. 36 Inoltre, con l’entrata in vigore della Costituzione, il sistema di d.i.p. sembra trovare un valido sostegno anche agli artt. 10 e 11 Cost..

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attribuita in modo definitivo e generale, ma opera di volta in volta quando il caso pratico lo richieda. Tuttavia, nonostante il notevole sforzo della dottrina di fornire il corretto inquadramento al meccanismo del rinvio, non si può trascurare la circostanza che la progressiva espansione di strumenti di diritto privato internazionale uniforme (convenzionale od europeo) ha di fatto notevolmente ridotto il ruolo dello stesso.

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Teorie sulla natura del rinvio

Rinvio formale o non recettizio o mobile

L'ordinamento richiamante riconosce direttamente a quello straniero la competenza a emanare norme giuridiche in un determinato settore. Ne deriva che tali norme esplicano direttamente la loro efficacia anche nel territorio dello Stato richiamante.

Critica: contrasta con l'immutabilità della norma straniera richiamata, atteso che ogni mutamento della stessa si riflette anche nell'ordinamento richiamante.

Rinvio materiale o recettizio o fisso

La norma straniera viene recepita e riprodotta nell'ordinamento nazionale. Le sorti che la stessa potrà avere nell'ordinamento richiamato non si ripercuoteranno in quello richiamante.

Critica: mal si concilia con il principio della relatività dei valori giuridici, secondo cui un ordinamento non può riconoscere valore giuridico a norme ad esso estranee.

Rinvio di produzione

Le norme di d.i.p. funzionerebbero come vere e proprie norme sulla produzione giuridica in quanto attribuirebbero valore di fonte del diritto a quelle norme straniere che hanno già tale ruolo nell'ordinamento richiamato. Essa trova la sua conferma normativa nell'art. 15 L. 218/95.

Critica: appare inverosimile attribuire valore di norme sulla produzione giuridica a disposizioni, come quelle di d.i.p., che non hanno rango costituzionale.

Rinvio come attribuzione di efficacia al diritto straniero

Si distingue dal rinvio formale in quanto tale efficacia non viene attribuita in modo definitivo e generale ma opera di volta in volta quando il caso pratico lo richieda.

Tale teoria, ad oggi, non ha avuto molto seguito.

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3.2. Il rinvio “oltre” e il rinvio “indietro” La presenza negli ordinamenti stranieri richiamati di norme di d.i.p. che utilizzano criteri di collegamento del tutto diversi da quelli propri dell’ordinamento richiamante può determinare fenomeni cd. di “palleggiamento” del caso, che si sostanziano nelle ipotesi di “rinvio oltre” o “rinvio indietro”. Invero, può accadere che l’ordinamento dello Stato A richiami, in virtù dell’operare delle sue norme di d.i.p., l’ordinamento dello Stato B. Quest’ultimo, a sua volta, secondo il suo sistema di d.i.p., potrebbe operare un rinvio ad un terzo ordinamento (cd. “rinvio oltre”)37 o all’ordinamento da cui proviene il primo rinvio (cd. “rinvio indietro”).38 Prima della riforma del 1995, il legislatore italiano faceva divieto di rinvio oltre e indietro. Adesso, invece, l’art 13 L. 218/95 ammette senza limiti il rinvio indietro, mentre il rinvio oltre è ammesso solo se è definitivo (nel senso che non porta ad un ulteriore rinvio), cioè se il diritto dello Stato terzo accetta il rinvio (comma 1, lett.a)) o se si tratta di rinvio alla legge italiana (comma 1, lett.b)).39 L’ammissibilità del rinvio indietro e oltre è esclusa: - quando il diritto straniero richiamato è stato individuato sulla base di una scelta effettuata dalle parti concordemente (comma 2, lett.a)), perché si ritiene che in tal caso le parti abbiano voluto riferirsi solo alle norme di diritto materiale e non a quelle di d.i.p..

Ad esempio, secondo l’art. 46, L. 218/95 la successione mortis causa di un cittadino boliviano deceduto in Italia deve essere regolata dalla legge nazionale del de cuius anche se i beni dell’asse ereditario si trovano, ad esempio, in Francia. Supponendo, però, che l’ordinamento boliviano contenga una specifica norma di d.i.p. che, in materia di successione, attribuisce la competenza a regolarla all’ordinamento del luogo in cui si trovano i beni ereditari, si assiste ad un tipico fenomeno di rinvio oltre: dall’Italia alla Bolivia, dalla Bolivia alla Francia. 38 Ad esempio, nel caso di cui alla nota precedente, si avrebbe rinvio indietro qualora i beni dell’asse ereditario fossero collocati proprio in Italia, con la conseguenza che l’ordinamento boliviano, richiamato da quello italiano, finirebbe per rinviare nuovamente a quello italiano. 39 La scelta del legislatore del 1995 deriva dall’esigenza di considerare la norma straniera richiamata non come un precetto materiale isolato e statico, ma come parte di un più vasto ed organico sistema giuridico le cui scelte debbono, nei limiti del possibile, essere rispettate. 37

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Sarebbe, quindi, lesivo delle loro aspettative intendere il richiamo alla legge straniera come comprensivo delle norme di conflitto (Malatesta);40 - quando detto rinvio riguarda disposizioni concernenti la forma degli atti e delle obbligazioni non contrattuali (comma 2, lett. b) e c)). Nel primo caso, infatti, il legislatore italiano di d.i.p. persegue, attraverso l’impiego di più criteri che concorrono alternativamente tra loro41, il concreto obiettivo della salvaguardia della validità dell’atto (cd. favor validitatis), il quale rischierebbe di venire vanificato dal meccanismo del rinvio. Nel secondo caso, il rinvio è escluso perché le norme di conflitto mirano (con il primo rinvio) a ricercare il collegamento più stretto tra il rapporto e la disciplina da applicare ed un ulteriore rinvio potrebbe frustrare tale obiettivo;42 - in caso di accertamento del rapporto di filiazione il rinvio, oltre e indietro, è possibile solo se la legge richiamata sia più favorevole al figlio sotto il profilo della legittimazione e del riconoscimento (comma 3); - quando la legge dichiara in ogni caso applicabile una Convenzione internazionale, si seguirà, in tema di rinvio, la disciplina stabilita dalla stessa (cd. clausola di residualità, comma 4).43 40

Rientrano in tale ipotesi la materia dei rapporti patrimoniali tra i coniugi (art. 30, comma1); quella della successioni mortis causa (art. 46, comma 2); la divisione ereditaria (art.46, comma 3); le donazioni (art. 56, comma 2). 41 I casi di concorso alternativo di criteri di collegamento, nella nostra legge, riguardano per lo più la forma. Il risultato al quale il legislatore tende è la validità del negozio, come risulta chiaramente dal tenore dell’art. 28 che, in tema di validità del matrimonio, offre, per l’appunto, diversi criteri di collegamento alternativi tra loro. Tale articolo, in particolare, prevede che “il matrimonio è valido quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione, o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in quel momento”. 42 Il rinvio è escluso anche dal regolamento Roma II (art. 24), le cui previsioni ormai sostituiscono in larghissima parte quelle che erano state dettate dal nostro legislatore nel 1995. 43 Si tratta, in particolare, delle due Convenzioni riguardanti la protezione dei minori (art. 42) e le obbligazioni alimentari in ambito familiare (art. 45), che peraltro sono mute al riguardo, nonché della Convenzione di Roma (Roma I) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (art. 57), che esclude il rinvio, e delle Convenzioni sui titoli di credito (art. 59), che viceversa lo ammettono.

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In conclusione, il rinvio ex art. 13 risulta ammesso per le fattispecie relative a: capacità e diritti delle persone fisiche e giuridiche; rapporti di famiglia (senza accertamento della filiazione); successione mortis causa; diritti reali. Approfondimenti Il caso Forgo e la posizione della dottrina Il dibattito dottrinale intorno all’ammissibilità del rinvio oltre ed indietro ebbe inizio in Francia, sul finire del XIX secolo, in occasione del famoso caso Forgo, deciso dalla Cassazione francese nel 1882. François-Xavier Forgo, cittadino bavarese, figlio naturale di madre e padre bavaresi, si era trasferito bambino e aveva vissuto a lungo in Francia, senza averne mai acquistato legalmente il domicilio. Egli, morendo in Francia nel 1869, senza testamento, aveva lasciato un ingente patrimonio mobiliare, tutto situato in Francia. Apertasi la successione ab intestato in Francia, gli ingenti beni mobili del Forgo furono reclamati, in forza del diritto bavarese, dai parenti collaterali della madre (unici parenti del Forgo). Con una prima serie di decisioni, i giudici francesi stabilirono che la successione dovesse essere regolata dalla legge dell’ultimo domicilio del defunto: pertanto, poiché Forgo, al momento della morte, era domiciliato in Francia, si sarebbe dovuta applicare la legge francese e, di conseguenza, attribuire l’eredità allo Stato francese, data l’assenza di parenti dotati di vocazione successoria (in quel tempo il codice civile francese prevedeva, a differenza di quello bavarese, che gli unici soggetti che potevano succedere al figlio naturale erano esclusivamente i fratelli e le sorelle e non anche gli altri parenti collaterali). Successivamente, la Corte di Cassazione francese, investita della questione dall’Amministrazione pubblica francese, si pronunciò, invece, in senso opposto e cioè nel senso che la successione dovesse essere regolata dal diritto bavarese, in quanto Forgo non aveva mai acquisito un domicilio di diritto in Francia. A questo punto, la Corte proseguì affermando che secondo il diritto bavarese (ordinamento a cui si è rinviato) in materia di statuto personale si debba applicare la legge del domicilio o della residenza abituale e, in materia di statuto reale, la legge del luogo ove i beni mobili o immobili si trovano44. Pertanto, in virtù del primo rinvio operato al diritto bavarese e alla luce del “rinvio” indietro operato da quest’ultimo, la Corte ritenne che la questione andava decisa secondo il diritto francese, con la conseguenza, quindi, che i

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Non è necessario indagare se, per la legge bavarese, la materia delle successioni non testamentarie vada regolata dallo statuto personale o dallo statuto reale, in quanto in entrambi i casi l’ordinamento di riferimento, in virtù degli elementi del caso concreto, sarebbe sempre e comunque quello francese.

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parenti collaterali della madre non poterono essere considerati come “successori”. La soluzione data dai giudici francesi al caso Forgo mostra a chiare lettere la tendenza dei giudici a dichiarare applicabile la legge straniera ogniqualvolta essa, operando il cd. rinvio indietro, consenta comunque di applicare la legge nazionale in luogo di quella straniera. Nel caso Forgo, tuttavia, tra gli stessi studiosi francesi non è mancato chi ha ipotizzato che tra le ragioni che possono aver guidato la Court de Cassation vi sia stato il desiderio di assicurare allo Stato francese una “opulenta eredità”45.

Sull’ammissibilità di tali rinvii, la dottrina appare divisa. Invero, una parte ritiene non ammissibile il rinvio oltre ed il rinvio indietro in quanto esclude che nell’ambito del richiamo ad un ordinamento straniero possano ricomprendersi anche le norme di d.i.p. dell’ordinamento richiamato. Motiva, inoltre, tale rifiuto, osservando che il rinvio determina, soprattutto nel caso di rinvio indietro, un vero e proprio circolo vizioso che impedisce, o comunque ritarda, la soluzione del caso concreto.46 Un’altra parte, invece, ritiene ammissibile il rinvio sia perché il richiamo ad un ordinamento non può che essere integrale, comprensivo quindi anche delle norme di d.i.p. dell’ordinamento medesimo, sia per evitare la paradossale conseguenza di applicare ad una fattispecie le norme di un ordinamento straniero che non vuole essere applicato. Invero, se il legislatore ha ritenuto che un determinato sistema giuridico fosse il più adatto a disciplinare un particolare rapporto, allora, in virtù di un principio di coerenza, se ne deve rispettare la volontà anche quando la stessa si concretizzi in un rinvio “oltre” o “indietro”. Sempre il rispetto del principio di coerenza permette di superare il rischio che si crei un circolo vizioso che possa paralizzare la regolamentazione giuridica del caso. Infatti, l’ordinamento richiamante, nel ricevere il rinvio indietro, accetta tale competenza in quanto gli consente di applicare alla fattispecie le proprie leggi.

L’espressione è di Mosconi. Nell’esempio riportato alla nota 38, al rinvio indietro in Italia seguirebbe un successivo richiamo all’ordinamennto boliviano e così via all’infinito. 45 46

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3.3. Interpretazione ed applicazione del diritto straniero richiamato Le norme straniere richiamate da quelle di diritto internazionale privato debbono essere considerate norme giuridiche a tutti gli effetti. Ciò comporta che: - l’errata applicazione del diritto straniero può costituire motivo di ricorso per Cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di legge (art. 360 c.p.c.); - spetta al giudice, in virtù del principio iura novit curia, individuare la norma straniera applicabile al caso concreto, prescindendo da quelle eventualmente indicate dalle parti a fondamento delle rispettive richieste47. L’art. 15 precisa che il diritto Cass. civ. n. 5708/2014 straniero dovrà essere inteso in Il dovere del giudice di accertare il maniera organica e dinamica e, contenuto della legge straniera non dunque, applicato alla luce dei implica anche un obbligo per il giudice di acquisire fonti criteri interpretativi suoi propri. In giurisprudenziali o dottrinarie che questo modo, peraltro, si corroborino l’una o l’altra delle attribuisce valore agli possibili letture del testo normativo. ordinamenti dottrinali e giurisprudenziali affermatisi nell’ambito del diritto straniero richiamato. Nel caso in cui non si riesca ad individuare la norma straniera applicabile al caso concreto, neanche con l’aiuto delle parti (il cui intervento, si ricorda, è solo sussidiario e residuale rispetto agli altri mezzi di accertamento), il giudice potrà fare riferimento al diritto straniero richiamato mediante gli altri criteri di

L’applicazione dell’antico antico brocardo latino iura novit curia comporta, inoltre, che non sussiste un onere a carico delle parti di indicare la norma posta a fondamento della loro pretesa. In ambito di d.i.p., tale principio è sancito dall’art. 14 della L. 218/95 secondo cui l’accertamento della legge straniera è compiuto d’ufficio dal giudice. Atteso che questi può avere difficoltà ad acquisire la conoscenza del diritto straniero, la norma prevede la possibilità di rivolgersi ad esperti od istituzioni specializzate. Il secondo comma dell’art. 14, inoltre, prevede che qualora il giudice, neanche con l’aiuto delle parti, riesca ad individuare la norma applicabile, lo stesso possa ricorrere ad altri criteri di collegamento e, in via subordinata, all’applicazione della legge italiana. 47

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collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi (art. 14, comma 2) o, in mancanza, al diritto italiano (lex fori).48

3.4. Il diritto applicabile in caso di ordinamento plurilegislativo Può accadere che l’ordinamento dello Stato richiamato sia costituito da una pluralità di sistemi o sottosistemi giuridici49 o che si tratti di un ordinamento giuridico di uno Stato che, pur non essendo costituito propriamente su base federale, si caratterizza per la presenza di complessi di norme distinti dal diritto nazionale.50 Altresì, un altro tipo di ordinamento plurilegislativo può essere quello in cui ci sono discipline diverse in base all’appartenenza ad un determinato gruppo sociale (religione o etnia).51 In tutti questi casi si pone il problema di individuare il sottosistema a cui fare ORDINAMENTO riferimento per ricavare la norma PLURILEGISLATIVO. DIRITTO APPLICABILE applicabile al caso concreto. Teorie formulate prima della L. Prima della legge 218/95 erano 218/95: state formulate tre teorie: - teoria della competenza nazionale; - la teoria della competenza - teoria della competenza straniera; nazionale (prevista dall’art. 19 - teoria della competenza mista. L’art. 18 L. 218/95 individua il diritto della Convenzione di Roma del applicabile nel caso in cui 1980 e dall’art. 66 reg. 2201/03) l’ordinamento straniero richiamato secondo cui il criterio di abbia carattere plurilegislativo. individuazione è contenuto nella stessa norma di d.i.p. che opera il richiamo, la quale individua

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Ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto applicabile la legge italiana (in particolare, la disciplina dell’amministrazione di sostegno) in un caso in cui non era riuscito l’accertamento della norma di conflitto e materiale del Marocco applicabile alla protezione degli incapaci adulti (Trib. Verona, 11-03-2011). 49 Come nell’ipotesi di uno Stato federale (dal latino foedus, cioè patto, alleanza) in cui all’interno del più vasto sistema normativo federale sono ricompresi i diversi ordinamenti giuridici degli Stati membri (U.S.A., Repubblica federale tedesca, etc.). 50 Come, ad esempio, in Italia con riferimento alla legislazione delle Regioni. 51 È il caso, per esempio, di alcune norme degli ordinamenti degli stati islamici che non si applicano ai soggetti che non professano la religione mussulmana.

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direttamente il sottosistema legislativo cui far riferimento. Va rilevato, però, che ciò risulta possibile solo nel caso di utilizzo di alcuni criteri di collegamento (quelli basati sulla localizzazione52), ma non di altri (ad esempio, i criteri della cittadinanza o nazionalità possono designare solo l’ordinamento plurilegislativo nel suo complesso, quindi lo Stato centrale, ma non riescono ad andare oltre); - la teoria della competenza straniera, secondo cui è l’ordinamento straniero richiamato ad individuare il sottosistema di riferimento. Ne deriva, quindi, che quando l’ordinamento straniero consta di una pluralità di ordinamenti giuridici, in virtù dello stesso ordinamento, delle sue norme e dei suoi criteri interpretativi è possibile rintracciare l’ordinamento minore applicabile al caso concreto. Tale teoria sembra essere stata legislativamente accolta dall’art. 18 L. 218/95. - la teoria della competenza mista che prevede due distinte ipotesi. Nel caso in cui si utilizzi il criterio di collegamento della localizzazione, l’individuazione del sottosistema sarà operato direttamente dalla lex fori; nell’ipotesi, invece, di utilizzo del criterio della cittadinanza o di altri di cd. definizione giuridica, si rimanderà allo Stato centrale. La legge 218/95 ha, adesso, Cass. n. 11751/2014 risolto il problema. Invero, l’art. In caso di ordinamento straniero 18 prevede che se l’ordinamento plurilegislativo, il giudice italiano è straniero richiamato ha carattere tenuto a ricercare d’ufficio le norme plurilegislativo, la legge dell’ordinamento straniero applicabili e le stesse clausole di concretamente applicabile dovrà quell’ordinamento idonee ad essere determinata secondo i individuare il sottosistema territoriale criteri propri dell’ordinamento o personale cui si riferisce la fattispecie. straniero, ivi compresi quelli suggeriti dalla dottrina o elaborati dalla giurisprudenza. Nel caso in cui l’ordinamento plurilegislativo non individui un proprio criterio, ma rinvii ad un altro ordinamento, si applica la disciplina prevista dall’art. 13 per il rinvio “oltre” (vedi supra, par. 3.2). Se il criterio di collegamento non può in alcun modo essere individuato, il legislatore prevede che si applichi il sistema Come, ad esempio, l’art. 51 L. 218/95, che disciplina il possesso e i diritti reali, il quale fa riferimento al luogo in cui si trovano le cose. 52

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normativo con il quale la fattispecie presenta il collegamento più stretto, lasciando ampia discrezionalità all’interprete. Alcune convezioni internazionali individuano direttamente ed in maniera espressa la regola in base alla quale si identificherà, nell’ambito del sistema plurilegislativo, il sottosistema di riferimento. Così, ad esempio, la Convenzione dell’Aja del 1970 sul riconoscimento dei divorzi e delle separazioni personali che stabilisce, in caso di ordinamento plurilegislativo, di fare riferimento al sottosistema insistente sull’area territoriale cui appartiene il luogo in cui ha sede l’autorità che ha pronunciato il provvedimento di divorzio o separazione. Analoga soluzione è stata adottata in ambito di normativa comunitaria: il regolamento del 17 giugno 2008 (cd. Roma I) e quello 864 dell’11 luglio 2007 (cd. Roma II) stabiliscono, infatti, che se uno Stato si compone di più unità territoriali, ciascuna con una normativa propria, ogni unità territoriale è considerata come un paese ai fini della determinazione della legge applicabile.

3.5. Il diritto applicabile in caso di apolidi, rifugiati e persone con più cittadinanze Quando è richiamata la legge nazionale di una persona, se questa è apolide53 o rifugiata54, si applica la legge dello Stato del domicilio o, in mancanza, la legge dello Stato di residenza. In caso di concorso tra la cittadinanza italiana e una o più cittadinanze straniere, prevale la cittadinanza italiana. Qualora, invece, il concorso si verifichi tra più cittadinanze straniere, si applicherà la legge dello Stato di appartenenza con il quale la persona ha il collegamento più stretto.

Ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di New York del 28 settembre 1954 è apolide quella persona che nessuno Stato considera come proprio cittadino. Nel nostro Paese, l’apolidia può essere riconosciuta sia in sede giudiziaria che in via amministrativa. Per la certificazione dello status di apolidia è competente il Ministero dell’Interno (Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione) e la relativa procedura è disciplinata dall’art. 17 del D.P.R. 572/1993. 54 Ha la condizione di rifugiato chi è fuggito o è stato espulso dal proprio Paese a causa di discriminazioni politiche, religiose o razziali e trova ospitalità in un Paese straniero. 53

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3.6. L’adattamento Quando la norma di d.i.p., per difetto tecnico di formulazione o per volontà esplicita del legislatore, richiama, in relazione alla medesima fattispecie concreta, norme giuridiche appartenenti a sistemi normativi diversi, sorge il problema di amalgamare tra loro discipline eterogenee, e a volte anche contrapposte, al fine di individuare una regolamentazione che sia adatta al caso concreto. Questa operazione di coordinamento che l’interprete deve effettuare, prende il nome di adattamento.55 Emerge, quindi, per l’evidente difficoltà di un tale tipo di intervento, l’inevitabile tasso di discrezionalità creativa dell’interprete. Proprio per ovviare a tale rischio, parte della dottrina suggerisce due diverse soluzioni: applicare una sola norma giuridica straniera tra le diverse che vengono in rilievo oppure applicare la legge nazionale. Quest’ultima soluzione, che privilegia il diritto interno, è necessaria nei casi in cui i contenuti delle norme straniere richiamate contemporaneamente siano tra loro del tutto incompatibili.

55

Art. 7 Cost. e artt. 13 e ss. L. 218/95.

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L'art. 13 L. 218/95 ammette il rinvio (oltre e indietro), stabilendone principi e limiti:

Comma 1 art. 13 (principi generali)

Si tiene conto del rinvio operato dal d.i.p. straniero alla legge di un altro Stato

Se si tratta di rinvio definitivo (accettato dal terzo stato) Se si tratta di rinvio alla legge italiana Criterio della volontà: l'ordinamento individuato è stato scelto dalle parti La forma degli atti (per il favor validitatis)

Comma 2 art. 13 (eccezioni al primo comma)

Non si tiene conto del rinvio (oltre o indietro) se il collegamento è operato sulla base del:

Criterio della materia: non opera alcun rinvio se si tratta di ordinamenti richiamati per regolare:

Comma 3 art. 13 (rinvio in favorem)

Si seguono i principi generali del comma 1 solo se esso conduce all'applicazione di una legge che consenta lo stabilimento della filiazione

Il 3° comma fa ancora riferimento agli artt. 33 (filiazione), 34 (legittimazione) e 35 (riconoscimento del figlio naturale) ignorando che l'art. 34 è stato abrogato dal D.Lgs. n. 154/2013, che ha altresì modificato gli artt. 33 e 35

Le obbligazioni non contrattuali (l'art. 13 fa espresso riferimento al capo xi)

Se la l. 218/95 dichiara in ogni caso applicabile una convenzione Comma 4 art. 13 (clausola di residualità)

Rispetto alle convenzioni o altri atti non espressamente richiamati dalla legge ed applicati in base al principio sancito dall'art. 2 che dà all'intera L. 218/95 un'applicazione residuale

L'art. 13 ha valenza residuale

Capacità e diritti delle persone giuridiche Conclusioni ai sensi dell’art 13, quindi il rinvio risulta ammesso per le fattispecie relative a:

Rapporti di famiglia (senza accertamento della filiazione) Successione Mortis Causa Diritti reali

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CAPITOLO QUARTO I LIMITI ALL’APPLICAZIONE DELLA NORMA STRANIERA Sommario: 4.1. I limiti all’applicazione del diritto straniero – 4.2. La costituzionalità della norma straniera – 4.2.1. L’incostituzionalità nell’ambito dell’ordinamento straniero – 4.2.2. L’incostituzionalità rispetto all’ordinamento di provenienza – 4.3. Il divieto di rinvio – 4.4. Norme di applicazione necessaria – 4.4.1. Le differenze con le norme di d.i.p. materiale – 4.4.2. Le differenze con le norme di ordine pubblico – 4.4.3. Il rapporto con il diritto dell’Unione europea – 4.5. Il limite dell’ordine pubblico internazionale e le sue caratteristiche – 4.5.1. Ordine pubblico interno e ordine pubblico internazionale – 4.5.2. Concezione negativa e positiva di ordine pubblico internazionale – 4.5.3. Il contenuto dell’ordine pubblico internazionale – 4.5.4 Gli effetti dell’ordine pubblico internazionale e i limiti di operatività – 4.5.5. Il profilo processuale dell’ordine pubblico – 4.6. La reciprocità – 4.7. La lex mercatoria

4.1. I limiti all’applicazione del diritto straniero

-

Vi sono ipotesi in cui la legge straniera richiamata dalla norma di d.i.p. non può trovare applicazione nel nostro ordinamento per uno dei seguenti motivi: contrasto della norma straniera richiamata con la Carta Costituzionale; divieto di rinvio ex art. 13, comma 2, L. 218/1995; presenza di norme di applicazione necessaria; contrasto della norma straniera richiamata con l’ordine pubblico internazionale; condizione di reciprocità; azione della lex mercatoria.

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4.2. La costituzionalità della norma straniera La prevalente dottrina e la più recente giurisprudenza concordano nel ritenere che il giudice italiano abbia il poteredovere di non applicare le norme straniere che, ancorché richiamate dal nostro sistema di d.i.p., si pongano in contrasto con la Carta costituzionale.

4.2.1. L’incostituzionalità nell’ambito dell’ordinamento straniero L’INCOSTITUZIONALITÀ NELL’AMBITO DELL’ORDINAMENTO STRANIERO - se la norma di rinvio contrasta con norme costituzionali: la Corte Cost. la dichiarerà costituzionalmente illegittima; - se la norma è costituzionalmente legittima, ma la sua applicazione genera effetti incostituzionali: art. 16 L. 218/95.

Qualora l’interprete si trovi davanti ad una norma internazionalprivatistica in contrasto con le norme interne:

a) se il contrasto sussiste con norme costituzionali (sovraordinate alla L. 218/95) e riguarda la norma di rinvio, cioè la norma di d.i.p., la Corte Costituzionale ne decreterà l’illegittimità costituzionale, atteso che la L. 218/95, essendo una legge ordinaria dello Stato (le cui clausole hanno, quindi, collocazione gerarchica primaria), potrà essere soggetta al sindacato di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 134 Cost. (così è avvenuto, per esempio, con la sentenza della Corte Costituzionale 26 febbraio 1987 n. 71, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 18 disp. prel. –oggi abrogatoperché il criterio di collegamento ivi previsto violava il principio di uguaglianza, sancendo una preferenza del marito alla moglie); b) qualora, invece, la norma di rinvio sia costituzionalmente legittima, ma la sua applicazione generi effetti incostituzionali56, la norma straniera richiamata verrà, nel singolo caso, disapplicata dal giudice ordinario incidentalmente e con effetti

Nel senso che la norma straniera richiamata contrasta con l’ordine pubblico (internazionale). 56

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limitati al caso da decidere. In tale caso troverà, infatti, applicazione l’art. 16 L. 218/95, secondo cui “la legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico”57. In tale ipotesi, la locuzione ordine pubblico delinea un concetto più ampio di quello che può venire in rilievo in sede di legittimità costituzionale ex art. 134 Cost. (in cui l’eventuale contrarietà all’ordine pubblico sarà inteso esclusivamente come contrarietà a norme costituzionali), in quanto ricomprende non solo i “principi costituzionali”, ma anche quelli non costituzionalizzati, per cui non può affatto escludersi una sua utilizzazione giudiziale più ampia fino a travolgere precetti internazional-privatistici contrastanti con norme interne sub costituzionali. Pertanto, poiché è direttamente il giudice ordinario a non applicare la norma straniera valutata costituzionalmente illegittima, si dice che il sindacato di legittimità costituzionale delle norme straniere, anziché essere accentrato (come per le leggi italiane), viene esercitato in modo diffuso. Il controllo di costituzionalità è diffuso quando tutti i giudici hanno il potere di verificare la rispondenza di una norma al dettato costituzionale e disapplicarla, ove ne rilevino il contrasto con la Costituzione. In questo caso l’efficacia della disapplicazione è limitata al processo in corso; pertanto, un diverso giudice può comunque applicare la norma, ove ritenesse la stessa non contrastante con il testo costituzionale. È, invece, accentrato quando il potere di verificare la costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge è sottratto ai singoli giudici ed è prevista l’istituzione di un organo che ha lo specifico compito di esaminare le questioni di costituzionalità ed eventualmente procedere all’annullamento delle norme contrastanti (i Tribunali costituzionali: in Italia, la Corte costituzionale).

57

Si esclude, quindi, in tale ipotesi la possibilità di un intervento della Corte Costituzionale, giacché l’art 134 Cost. non menziona la legge straniera tra gli atti da essa sindacabili.

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4.2.2. L’incostituzionalità rispetto all’ordinamento di provenienza Per quanto riguarda il controllo di costituzionalità della norma straniera secondo i principi costituzionali dell’ordinamento di provenienza, la dottrina appare divisa. Secondo alcuni, occorre distinguere a seconda che nell’ordinamento di provenienza il sindacato di legittimità costituzionale sia di tipo diffuso o centralizzato, in quanto solo se la norma straniera richiamata proviene da un sistema in cui il controllo è di tipo diffuso, allora anche il giudice italiano può esercitarlo58. In tal caso, infatti, INCOSTITUZIONALITÀ DELLA NORMA STRANIERA RISPETTO così come anche sostenuto da ALL’ORDINAMENTO DI autorevole dottrina (Badiali), PROVENIENZA sebbene l'Italia preveda un La dottrina è divisa: giudizio di legittimità - occorre distinguere se, costituzionale di tipo centralizzato nell’ordinamento di provenienza, il sindacato di legittimità costituzionale (che cioè può esser effettuato da è di tipo diffuso o centralizzato; un solo organo giudiziario, ovvero - occorre distinguere se, la Corte Costituzionale), il giudice nell’ordinamento straniero d’origine, la norma dichiarata incostituzionale italiano potrà e dovrà procedere, sia sanzionata da nullità o da con riferimento al caso sottoposto annullabilità; alla sua cognizione, alla verifica - il giudice italiano non ha alcun potere di sindacare sulla legittimità della compatibilità della norma costituzionale d’origine della norma con i dettami costituzionali straniera richiamata; dell’ordinamento estero, Per la giurisprudenza: il giudice realizzando lo stesso risultato italiano deve applicare la norma straniera “come se sedesse sulla che, con altri strumenti poltrona del giudice straniero”. procedurali, avrebbe ottenuto il giudice straniero. Secondo altri (come Morelli), invece, occorre distinguere a seconda che, nell’ordinamento straniero d’origine, la norma dichiarata incostituzionale sia sanzionata da nullità o dalla più tenue annullabilità. Nella prima ipotesi, il giudice italiano

In caso contrario, infatti, eserciterebbe un potere non previsto nell’ordinamento d’origine. Tuttavia, potrà tener conto delle decisioni giurisprudenziali già adottate dall’organo competente (De Nova, Quadri). 58

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potrebbe rilevare il vizio mediante una pronunzia meramente dichiarativa; problematiche sorgerebbero, invece, nella seconda evenienza, atteso che la pronuncia costitutiva da parte del giudice italiano, necessaria per sancire l’annullabilità, non è ammessa nel nostro ordinamento. La dottrina più estremista (Ballarino) nega del tutto il sindacato del giudice italiano sulla legittimità costituzionale d’origine della norma straniera richiamata. La giurisprudenza, invece, richiama spesso il principio (tipico del sistema di Common Law) secondo cui il giudice italiano deve applicare la legge straniera “come se sedesse sulla poltrona del giudice straniero” verificando, dunque, anche la legittimità costituzionale della norma richiamata sulla base dei principi costituzionali dell'ordinamento di provenienza. Tale ultima tesi sembra da preferire in quanto, in caso contrario, si giungerebbe al paradosso di applicare in Italia una norma straniera la quale nell’ordinamento di provenienza (che le norme di d.i.p. hanno individuato come il più adatto a regolare la fattispecie concreta) non avrebbe alcuna possibilità di trovare applicazione. Ciò trova conferma anche nell’art. 15 L. 218/95, che ribadisce che la norma straniera richiamata deve essere interpretata ed applicata secondo il più ampio ed organico sistema normativo in cui si inserisce. Stessa cosa è stata sostenuta recentemente da autorevole dottrina (Badiali) la quale ha ritenuto possibile un tale intervento anche in quei paesi in cui il giudizio di legittimità costituzionale è accentrato.

4.3. Il divieto di rinvio Il problema del rinvio (“oltre” e “indietro”) è stato già ampiamente esaminato nel capitolo precedente (vedi supra, Cap. III, par. 3.2). In questa sede ci si limita solo a ricordare che i casi di divieto di rinvio sono quelli di cui al comma 2, art. 13 L. 218/95. In particolare, il rinvio è escluso e, quindi, la legge straniera non potrà trovare applicazione nello Stato richiamante nelle seguenti ipotesi:

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-se c’è una scelta di legge ad opera delle parti interessate; -in caso di disposizioni concernenti la forma degli atti; -in materia di obbligazioni non contrattuali; -in materia di filiazione, legittimazione e riconoscimento del figlio naturale, il rinvio, si ricorda, è ammesso solo se più favorevole sotto il profilo della legittimazione e del riconoscimento.

4.4. Norme di applicazione necessaria Le cd. leggi ad applicazione necessaria impongono l’applicazione delle legge nazionale anche laddove, per il richiamo operato dalle norme di NORME DI APPLICAZIONE d.i.p., dovrebbe applicarsi il NECESSARIA - sono norme interne che regolano diritto straniero. Sono, infatti, norme dell’ordinamento interno materie privatistiche; - hanno una funzione positiva e che, per inderogabili esigenze di preventiva; carattere nazionale, vengono - art. 17 L. 218/95; di una sfera di - non esiste un’elencazione dotate tassativa; applicazione spaziale e Autorevole dottrina ha individuato tre temporale che non tiene conto possibili criteri per la loro dei criteri previsti dalle regole di individuazione: - criterio formale; d.i.p., rispetto alle quali hanno - criterio tecnico; capacità di deroga.59 - criterio finalistico. L’art. 17 L. 218/95 sembra preferire il criterio finalistico. Storicamente, esse trovano la loro origine Si distinguono: - dalle norme di d.i.p. materiale; nella “Lois de police”, categoria - dalle norme di ordine pubblico; elaborata dalla dottrina francese Sono applicate in deroga alle norme comunitarie solo se attuative di per ricomprendervi, insieme alle precetti costituzionali. leggi penali e di polizia in senso 59

Una definizione di questa categoria di norme è andata col tempo consolidandosi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo la quale “le disposizioni nazionali qualificate da uno Stato membro come norme imperative di applicazione necessaria sono le disposizioni la cui osservanza è stata reputata cruciale per la salvaguardia dell’organizzazione politica, sociale od economica dello Stato membro interessato, al punto da imporre il rispetto a chiunque si trovi nel territorio nazionale di tale Stato membro o a qualunque rapporto giuridico localizzato nel suo territorio”. Così, per esempio, in Corte di Giust. 23 novembre 1999, causa C-369/96 e C- 376/96, Arblade e Leloup.

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stretto, le norme sottratte ai limiti di applicazione sanciti dalle norme di d.i.p.. Non bisogna, tuttavia, ritenere che le norme di applicazione necessaria siano (come, appunto, le leggi penali o di pubblica sicurezza o relative alla Pubblica Amministrazione) norme di matrice pubblicistica. Esse, infatti, sono pur sempre norme interne che regolano materie privatistiche. Grazie alla legge 218/95, la categoria delle norme di applicazione necessaria, di origine puramente dottrinale, ha trovato un solido fondamento normativo. Tali leggi, infatti, sono state espressamente previste dall’art. 17 L. 218/95, il quale stabilisce che sulle regole di d.i.p. prevalgono quelle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo della legge straniera. Non esiste, in realtà, un’elencazione tassativa delle norme di applicazione necessaria. Talora la loro individuazione è agevolata dalla stessa formulazione delle norme appartenenti a tale categoria, in quanto provvedono esse stesse a fissare il proprio ambito applicativo: sono quelle che vengono definite come norme autolimitate. Tra queste, ad esempio, vi rientra l’art. 116 c.c. laddove stabilisce che, anche per il matrimonio del cittadino straniero (che secondo gli artt. 26-28 L. 218/95 andrebbe regolato dalla legge nazionale dei nubendi), si applicano i divieti (precedente matrimonio, rapporti di parentela, etc.) stabiliti dagli artt. 86, 87, 88, 89 c.c.. Al di fuori di tali indicazioni esplicite, dovranno comunque valere criteri di tipo contenutistico e teleologico che prendano in considerazione sia la ratio legis sia l’importanza della materia regolata in ragione di interessi pubblici o sociali da salvaguardare. Una più articolata definizione di norma di applicazione necessaria è proposta all’art. 9, 1° comma, del reg. 593/2008 (sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali) venendo tali norme individuate come disposizioni il cui rispetto sia ritenuto cruciale da un Paese per la salvaguardia dei propri interessi pubblici, quali la sua organizzazione sociale, politica o economica, al punto di esigerne la loro applicazione.

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Approfondimenti Applicazioni giurisprudenziali In assenza di un’elencazione tassativa o di un criterio formale valido universalmente, è intervenuta la giurisprudenza. Essa ha individuato le norme di applicazione necessaria sulla base di criteri di prudenza e rigore che sappiano tener conto di tutti gli aspetti, strutturali e funzionali, della disposizione in esame. Così, oltre al già richiamato art. 116 c.c., possono essere considerate norme di applicazione necessaria anche l’art. 1384 c.c. sulla riducibilità della clausola penale eccessivamente onerosa, l’art. 1346 c.c. sui requisiti dell’oggetto del contratto (che deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile). In tale categoria possono essere ricomprese anche le leggi che, per motivi sociali, fissano vincoli in materia di locazione di immobili (ad esempio, blocco degli affitti o degli sfratti). Tali norme si applicano necessariamente a tutti gli immobili esistenti nel territorio italiano, anche quando l’osservanza delle norme di d.i.p. condurrebbe al richiamo del diritto straniero. Analoghe considerazioni valgono per la legislazione del lavoro e della previdenza. Così, si ritengono norme di applicazione necessaria quelle poste a tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori che si applicano a tutte le prestazioni di lavoro rese nel territorio dello Stato, a prescindere, quindi, dalla nazionalità del datore di lavoro o del lavoratore. Non è stata, invece, considerata norma di applicazione necessaria quella di cui all’art. 2744 c.c. che vieta il cd. patto commissorio, ovvero l’accordo con il quale il debitore, a garanzia della soddisfazione di un proprio debito, mette a disposizione un proprio bene, con l’intesa che, verificatosi l’inadempimento, detto bene passerà in proprietà del creditore. Le Sezioni Unite della Suprema Corte (sent. n. 14650/11) hanno ritenuto che tale principio, per quanto di lunga e consolidata tradizione, non potesse dirsi ricompreso tra quelli che sono destinati a trovare applicazione in luogo del diritto straniero astrattamente richiamato. Ciò dimostra efficacemente come una tale categoria di leggi ad applicazione necessaria sia difficile da definire nei suoi contorni.

Vista la difficoltà di individuazione delle norme di applicazione necessaria, in assenza di indicazione espressa del legislatore, autorevole dottrina (Ballarino) ha individuato tre possibili criteri che possono venire in soccorso al fine di una tale individuazione: - criterio formale, grazie al quale è possibile individuare quelle norme che contengono un’autonoma e circostanziata definizione del proprio ambito applicativo spaziale e personale (ad es. l’art.

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116 c.c. o l’art. 185 legge sul diritto d’autore). Sono le norme di applicazione necessaria più facilmente individuabili; - criterio tecnico, il quale individua quelle norme che possono ritenersi applicabili, anche in deroga alle norme di d.i.p., per il solo fatto di appartenere ad un complesso normativo che, per sua stessa natura, è dotato di efficacia territoriale assoluta (ad esempio, norme sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali). L’utilizzo di tale criterio è piuttosto discrezionale, per questo deve essere contenuto entro limiti rigorosi; - criterio finalistico, che si riferisce a norme le quali, pur non presentando alcuno dei requisiti summenzionati, producono, alla luce della ratio che le ispira, una deroga al sistema di d.i.p.. L’art. 17 L. 218/95, nel fare richiamo all’oggetto e allo scopo delle norme individuabili come di applicazione necessaria, sembra preferire il criterio finalistico.

4.4.1. Le differenze con le norme di d.i.p. materiale È bene distinguere le norme di Cass. n. 27592/06 applicazione necessaria dalle norme “la norma di applicazione di d.i.p. materiale. Queste ultime, si necessaria blocca l’applicazione ricorda (vedi supra, Cap. I, par. 1.4), del diritto straniero per effetto della funzione sua propria di sono quelle che, in presenza di un imporre l’applicazione del diritto rapporto o fattispecie con nazionale (distinguendosi elementi di internazionalità, dall’ordine pubblico internazionale, che ha per provvedono direttamente a funzione sua propria, disciplinare caratteristica e diretta, di tali situazioni, nel caso in cui le limitare il riconoscimento del normali regole di richiamo non si diritto straniero, ma è costituito soltanto da principi informatori) ritengono idonee a valorizzare gli e la cui individuazione rende aspetti di internazionalità della superflua, in via preliminare vicenda. Esse differiscono dalle ogni indagine sulla legge straniera competente in base al norme di applicazione necessaria, diritto internazionale privato”. più che nel funzionamento (sostanzialmente analogo), nella direzione in cui esse operano. Mentre, infatti, le norme di applicazione necessaria, assicurando

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la prevalenza delle norme interne, prevengono il richiamo ad ordinamenti stranieri, le disposizioni di d.i.p. materiale, invece, si propongono, al contrario, di assicurare a determinate fattispecie una disciplina con maggiori elementi di internazionalità rispetto a quella che si otterrebbe con il ricorso alle norme ordinarie di d.i.p., descrivendo, per ogni singola fattispecie, direttamente le conseguenze giuridiche da essa prodotte. In realtà norme del genere non sono state individuate nel nostro ordinamento, ma esistono in altri ordinamenti giuridici.

4.4.2. Le differenze con le norme di ordine pubblico La maggior parte delle norme di applicazione necessaria si basa sugli stessi principi che fondano il concetto di ordine pubblico (vedi infra, par. 4.5), ma ve ne sono altre che rispondono ad esigenze meno “alte”, dettate da necessità di carattere pratico od organizzativo (come, per esempio, quelle relative all’apertura dei negozi, che riflettono semplicemente la scelta pratica del legislatore di organizzare in un dato modo un settore di attività economica). Inoltre, mentre il limite dell’ordine pubblico interviene in negativo e a posteriori, dopo, cioè, che una norma straniera è stata individuata e richiamata, le norme di applicazione necessaria, invece, svolgono una funzione positiva e preventiva, nel senso che operano prima che possano entrare in gioco le norme di conflitto. Esse si “impongono”, nel senso che esigono di essere applicate dal giudice già prima che questi possa determinare quale diritto straniero sarebbe richiamato dalla norma di conflitto del foro, anzi, più correttamente, senza che il giudice prenda neanche in considerazione le norme di conflitto. Per tale ragione si dice che le norme di applicazione necessaria costituiscono una difesa avanzata dell’ordinamento giuridico del foro, giacché troveranno applicazione le regole materiali proprie dello stesso.

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4.4.3. Il rapporto con il diritto dell’Unione europea È evidente che, anche a causa della sempre maggiore espansione della normativa comunitaria nell’ambito del d.i.p., possa sorgere un eventuale contrasto tra le norme comunitarie e le norme interne di applicazione necessaria. In tal caso, allora, troverà applicazione il principio, ormai ampiamente consolidato nella giurisprudenza sia comunitaria che nazionale, della prevalenza del diritto comunitario sulla legislazione ordinaria interna, con la conseguenza che le norme di applicazione necessaria verranno applicate in deroga a quelle comunitarie solo se attuative di precetti costituzionali. Ed infatti, sulla base della teoria dei cd. contro limiti, fatta propria più volte dalla Corte Costituzionale, anche il diritto comunitario deve “cedere” qualora questo risulti in contrasto con le norme Costituzionali. Ne deriva che, salvo questa eccezione, le norme ad applicazione necessaria non possono trovare spazio se contrastanti con il diritto comunitario. Ci si è, altresì, domandato se, nell’ambito della normativa comunitaria, fosse possibile individuare norme di applicazione necessaria. La ricerca sembra aver fornito esito positivo60 atteso che sono state individuate norme di diritto comunitario (come ad esempio, quelle della direttiva CEE 93/13 sulla protezione dei consumatori) che risultano applicabili alle relazioni tra privati, a prescindere da quale sia la legge regolatrice di quel rapporto. Ne deriva, dunque, che esse troveranno applicazione automatica, così come avviene per le norme di applicazione necessaria dell’ordinamento nazionale.

4.5. Il limite dell’ordine pubblico internazionale e le sue caratteristiche Altro limite all’applicazione del diritto straniero richiamato dalle norme di d.i.p. è costituito dal cd. ordine pubblico, ovvero

60

Così, ad esempio, Bonomi.

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quell’insieme di principi e valori che il nostro ordinamento considera irrinunciabili. La nozione di ordine pubblico e l’individuazione dei principi che lo costituiscono hanno sempre IL LIMITE DELL’ORDINE rappresentato un problema per il PUBBLICO INTERNAZIONALE diritto internazionale privato. La - art. 16 L. 218/95; - artt. 64 e 65 L. 218/95 (profilo sua relatività storica, unitamente processuale); all’assenza di una qualsiasi, - si caratterizza per relatività (nel seppure implicita, definizione tempo e nello spazio) ed normativa rende, infatti, la norma indeterminatezza. in esame tra le più inquisite sotto il profilo della determinatezza. Si apprezza comunque lo sforzo della giurisprudenza nel cercare di fornire una definizione “costante” di ordine pubblico internazionale. Invero, in molte pronunce si legge la seguente definizione “l’ordine pubblico internazionale deve intendersi come complesso di principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico e fondati su esigenze di garanzia comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, sulla base di valori sia interni che esterni all'ordinamento purché accettati come patrimonio condiviso in una determinata comunità giuridica sovranazionale” (tra le più recenti, Cass., Sez. III, n. 19405/13). Tale istituto trova la sua disciplina all’art. 16 L. 218/95 secondo cui “la legge straniera non è applicabile se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico”. La suddetta norma si riferisce a quello che si suole tradizionalmente definire ordine pubblico “internazionale”, che si differenzia dall’ordine pubblico “interno” (sulla distinzione vedi paragrafo che segue). Già dalla stessa formulazione emerge che il giudizio di contrarietà all’ordine pubblico deve avere ad oggetto non la legge straniera in quanto tale bensì gli effetti che la stessa potrebbe avere nell’ordinamento italiano, per la regolamentazione di quella determinata fattispecie. Lo stesso divieto opera, ai sensi degli artt. 64 e 65 L. 218/95, per il riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri.

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Approfondimenti Cenni storici Analogo principio era sancito, prima della riforma del 1995, dall’art. 31 delle preleggi al codice civile, abrogato dall’art. 72 L. 218/95. Tale articolo, rubricato “Limiti derivanti dall’ordine pubblico e dal buon costume”, stabiliva che “Nonostante le disposizioni degli articoli precedenti, in nessuno caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni e convenzioni possono avere effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all'ordine pubblico o al buon costume [c.p.c. 797, n. 7; c.p.p. 733]. L'ordine corporativo fa parte integrante dell'ordine pubblico. Nella nuova formulazione (art. 16 L. 218/95) è, dunque, scomparso il riferimento al buon costume, di cui la prassi aveva messo in luce la ridondanza, ma anche quello agli atti di Stati esteri, agli ordinamenti e agli atti “di qualunque istituzione o ente”, nonché alle “private disposizioni”. In tal modo si evitano duplicazioni rispetto alla disciplina dei contratti (che all’art. 1343 c.c. definisce la causa illecita quando è “contraria a norme imperative, ordine pubblico e buon costume”) e a quella del blocco dell’efficacia di sentenze e altri provvedimenti di Stati esteri (in passato dettata dall’art. 797, n. 7, c.p.c. e ora dagli artt. 64 e 65 della L. 218/95).

L’ordine pubblico si caratterizza per relatività ed indeterminatezza: è, infatti, suscettibile di profonde trasformazioni nel tempo e nello spazio e non può essere predeterminato in modo analitico e rigido dal legislatore. La relatività nel tempo discende dalla possibilità che mutino i caratteri dell’ordinamento del foro: così, il radicale mutamento che la legge sul divorzio del 1970 ha apportato alla nostra disciplina del matrimonio introducendo la possibilità (prima del tutto esclusa) del divorzio, ha reso possibile al giudice italiano l’applicazione di leggi divorziste straniere che, fino al 1970, era preclusa proprio dal limite dell’ordine pubblico.61 La relatività nello spazio discende dai differenti valori che improntano i vari sistemi giuridici, alcuni dei quali impediscono l’apertura a soluzioni che sono, invece, del tutto corrette per altre. 61

Particolarmente significativo è anche quanto è avvenuto in Francia nel 2013 con l’adozione della legge cd. “mariage pour tous” (L. n. 404/2013). Prima di allora, il matrimonio tra persone dello stesso sesso incontrava il limite dell’ordine pubblico. Dopo l’introduzione di tale legge, invece, ad incontrare tale limite è proprio il divieto di matrimonio tra omosessuali.

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Si pensi, ad esempio, alle regole che vietano il matrimonio tra persone che professano religioni diverse, presenti nelle legislazioni di taluni Stati islamici. Il giudice italiano invocherebbe il limite dell’ordine pubblico per escludere l’applicazione di una regola di questo tipo, regola che sarebbe, invece, applicata senza problemi dal giudice di un altro stato islamico (il quale potrebbe invocare il limite dell’ordine pubblico di fronte alla regola italiana che permette il matrimonio tra islamici e non). Un altro interessante esempio è rappresentato dall’istituto di common law dei punitive damages: i giudici anglosassoni, ma soprattutto quelli statunitensi, possono, infatti, condannare l’autore di un illecito sia al risarcimento del danno sia al pagamento di una somma talvolta assai più elevata del danno effettivamente arrecato (o addirittura in assenza del danno) allo scopo di punire un comportamento particolarmente riprovevole. La Corte di Cassazione ha affermato che tale istituto “non solo si collega, appunto per la sua funzione (punitiva), alla condotta dell’autore dell’illecito e non al tipo di lesione del danneggiato, ma si caratterizza per un’ingiustificata sproporzione tra l’importo liquidato e il danno effettivamente subito”. Posto che nell’ordinamento italiano “alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione” e non una funzione punitiva o sanzionatoria, non è possibile riconoscere il provvedimento straniero che ha accertato i punitive damages. L’articolo 16 L. 218/1995 nasce dall’espressa esigenza di regolamentare fattispecie sempre più soggette a contaminazioni di principi, istituti e regole di provenienza straniera per l’effetto combinato dell’integrazione europea, dei flussi migratori (sempre più consistenti), della globalizzazione dei mercati e dei suoi operatori. Pertanto, i principi essenziali che sono alla base del nostro ordinamento trovano, così, tutela proprio nell’articolo 16 L. 218/1995, il quale pone un limite tassativo all’applicazione del diritto straniero ed è stato collocato dal nostro legislatore a salvaguardia dell’identità giuridica, sociale ed economica più intima dello Stato Italiano. Quello dell’ordine pubblico, comunque, lo si può ritenere un principio universale in quanto è previsto e garantito da tutte le

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convenzioni di diritto internazionale privato e da quasi tutti i sistemi giuridici nazionali.

4.5.1. Ordine pubblico interno ed ordine pubblico internazionale L’ordine pubblico S.U. n. 19809/2008 internazionale, di cui agli “non ogni vizio del consenso accertato nelle artt. 16, 64 e 65 L. sentenze ecclesiastiche di nullità del 218/95, va tenuto distinto matrimonio consente di riconoscerne la efficacia nell'ordinamento interno, dandosi dall’ordine pubblico rilievo nel diritto canonico come incidenti interno62, richiamato, sull'iter formativo del volere anche a motivi e al come limite foro interno non significativo in rapporto al all’autonomia negoziale nostro ordine pubblico, per il quale solo cause esterne e oggettive possono incidere sulla privata, dagli artt. 1343 e formazione e manifestazione della volontà dei 1418 c.c.. Si ritiene, nubendi, viziandola o facendola mancare. infatti, che l’ordine L'errore, se indotto da dolo, che rileva nell'ordinamento canonico ma non in quello pubblico internazionale italiano, se accertato come causa di invalidità abbia un contenuto più in una sentenza ecclesiastica, potrà dar luogo ristretto rispetto alla al riconoscimento di questa in Italia, solo se sia consistito in una falsa rappresentazione della nozione codicistica. realtà, che abbia avuto ad oggetto circostanze Invero, l’ordine pubblico oggettive, incidenti su connotati stabili e permanenti, qualificanti la persona dell'altro internazionale, riferendosi a fattispecie nubendo". È stata così riconosciuta conforme all’ordine pubblico una sentenza ecclesiastica che presentano elementi di nullità del matrimonio, pronunciata in quanto di estraneità e quindi di uno dei coniugi era risultato, a causa delle sue collegamento con altri condizioni psichiche, anaffettivo ed indifferente nei confronti dell’altro coniuge, e quindi ordinamenti, richiede un incapace di assumere gli obblighi essenziali rispetto meno rigoroso che nascondo dal matrimonio” dei principi propri dell’ordinamento nazionale. Tale rispetto, infatti, attenua la sua rigidità in virtù della necessaria considerazione anche dei principi dell'ordinamento straniero richiamato, i quali non possono essere aprioristicamente ignorati. L’ordine pubblico interno comprende l’insieme dei principi etici, economici, politici e sociali che, in un dato momento, determinano i caratteri essenziali degli istituti del nostro ordinamento, nei vari campi della convivenza sociale (Mosconi). 62

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Rapportarsi con gli altri Stati significa, per forza di cose, aprirsi anche ai principi di altri - l’ordine pubblico internazionale ha ordinamenti, ragion per cui un contenuto più ristretto rispetto all’ordine pubblico interno; l'ordine pubblico internazionale - le S.U. (sent. n. 19809/2008) non potrà mai avere quel "rigore" distinguono l’incompatibilità che invece caratterizza l'ordine dell’ordine pubblico interno con le sentenze degli altri ordinamenti può pubblico interno. essere “assoluta” o “relativa”; Quest'ultimo, pertanto, essendo - Cass. n. 10215/2007. più ampio e comprendendo in sé anche l’ordine pubblico internazionale, non lo si può ritenere sempre assolutamente inderogabile, in quanto, a volte, può e deve cedere il passo all’applicazione di una disposizione straniera, a condizione che da ciò non derivino conseguenze intollerabili per il nostro ordinamento. Non a caso, le stesse Sezioni Unite (sentenza n. 19809/08), pronunciandosi in materia di delibazione delle sentenze ecclesiastiche, hanno rilevato come l’eventuale incompatibilità con l’ordine pubblico della sentenza emessa a seguito del giudizio rotale, vada distinta in assoluta e relativa63. Si legge, infatti, che “occorre distinguere le incompatibilità delle sentenze di cui si chiede l'esecutività in Italia con l'ordine pubblico interno in "assolute" e "relative". La incompatibilità con l'ordine pubblico interno delle sentenze di altri ordinamenti è "assoluta", ancorché i fatti a base della disciplina applicata nella pronuncia di cui è chiesta la esecutività e nelle statuizioni di questa, anche in rapporto alla causa petendi della domanda accolta, non sono in alcun modo assimilabili a quelli che in astratto potrebbero avere rilievo o effetti analoghi in Italia. L'incompatibilità con l'ordine pubblico interno va qualificata invece "relativa", quando le statuizioni della sentenza ecclesiastica, eventualmente con la integrazione o il concorso di fatti emergenti dal riesame di essa ad opera del giudice della delibazione, pure se si tratti di circostanze ritenute irrilevanti per la decisione canonica, possano fare individuare una fattispecie almeno assimilabile a quelle interne con effetti simili. Impediscono l'esecutività in Italia della sentenza "ecclesiastica" solo le incompatibilità assolute, potendosi superare quelle ORDINE PUBBLICO INTERNO ED INTERNAZIONALE

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D. Triolo, Il diritto di famiglia, pag.16 e ss. Key ed., 2015.

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relative, per il peculiare rilievo che lo Stato italiano si è impegnato con la Santa Sede a dare a tali pronunce”. La pronuncia delle Sezioni Unite (sebbene riguardante, più che altro, il rapporto tra nullità ecclesiastiche e nullità civilistiche) offre un enorme spunto di riflessione al fine di comprendere il rapporto, non sempre facile da definire, intercorrente tra l’ordine pubblico interno e quello internazionale. È come se fossero due cerchi concentrici: quello più largo racchiude i principi dell’ordine pubblico interno, quello dal raggio più corto racchiude i principi dell’ordine pubblico internazionale. L’ordine pubblico interno, a sua volta, non esclude sempre e a priori l’applicazione della norma straniera, anche perché, altrimenti, le norme di d.i.p. risulterebbero praticamente inutili in quanto sarebbero in grado di funzionare soltanto quando conducano a norme straniere aventi il medesimo contenuto di quelle italiane. Significativa, a tal proposito, la pronuncia della Corte di Cassazione (sent. n. 10215/07) secondo cui “l’ordine pubblico non si identifica necessariamente con quello interno poiché, se così fosse, le norme di conflitto sarebbero in grado di funzionare solo quando conducano all’applicazione di norme materiali straniere aventi contenuto simile a quelle italiane; ciò cancellerebbe la diversità fra sistemi giuridici e irragionevolmente renderebbe per larga parte inutile il diritto internazionale privato”. Approfondimento Il dibattito dottrinale In passato, era sorto un dibattito dottrinale in merito ai rapporti intercorrenti tra ordine pubblico internazionale ed ordine pubblico interno. Invero, per una parte della dottrina, all’ordine pubblico descritto dall’art. 16 si doveva riconoscere carattere generale, in quanto concernente sia la non applicabilità delle norme straniere richiamate dalle disposizioni di d.i.p. (ordine pubblico internazionale) sia l’invalidità degli atti di autonomia privata (ordine pubblico interno) conclusi in contrasto con i principi fondamentali dello Stato. Tale idea sembrava trovare conforto nella formulazione dell’art.31 disp. prel.64, nella parte in cui, oltre a riferirsi alle leggi straniere, L’abrogato art. 31 delle preleggi testualmente recitava: “Nonostante le disposizioni degli articoli precedenti, in nessuno caso le leggi e gli atti di uno Stato 64

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faceva espresso riferimento anche alle “private disposizioni e convenzioni”. Tuttavia, tale tesi risulta smentita dal confronto tra la predetta disposizione ed il già citato art. 16. Quest’ultimo, infatti, nell’indicare l’ambito della sua operatività, fa espresso ed esclusivo riferimento alle sole leggi straniere, ragion per cui risulta evidente che la stessa non possa riferirsi all’ordine pubblico interno, ma solo a quello internazionale. Un’altra parte della dottrina (Ballarino) interpreta in maniera ampia l’inciso “private disposizioni e convenzioni” di cui all’art. 31 disp. prel., includendovi anche gli atti negoziali conclusi sulla base di una legge straniera richiamata dal d.i.p..65. Tale interpretazione estensiva porta con sé delle ovvie ripercussioni sul correlato art. 16. Difatti, il concetto di ordine pubblico, in esso richiamato, viene considerato sempre di carattere internazionale, atteso che gli atti negoziali sui quali esso andrà ad incidere non saranno tutti gli atti di autonomia privata, ma solo quelli (sempre alla luce della suddetta ampia interpretazione data all’art. 31 disp. prel.) caratterizzati da elementi di internazionalità per provenienza e disciplina giuridica. Quest’ultima tesi è quella che ha trovato maggiore riscontro tra gli studiosi (tra cui Ferri) ed oggi, pacificamente, si ritiene che l’ordine pubblico ex art. 16 (ed anche ex artt. 64 e 65) sia da tenere distinto da quello ex art. 1343 c.c. e sia da intendere come ordine pubblico internazionale. Nello stesso senso si è anche pronunciata la Corte di Cassazione, secondo la quale “il concetto di ordine pubblico di cui all’art. 64 […] non si identifica con il cd. ordine pubblico interno, e, cioè, con qualsiasi norma imperativa dell’ordinamento civile, bensì con quello di ordine pubblico internazionale, costituito dai soli principi fondamentali e caratterizzanti l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico” (Cass. n. 17349/02).

estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni e convenzioni possono avere effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all'ordine pubblico o al buon costume. L'ordine corporativo fa parte integrante dell'ordine pubblico”. 65 Così, ad esempio, l’ipotesi di un contratto stipulato all’estero tra stranieri avente ad oggetto beni che in Italia sono sottratti alla libera disponibilità dei privati. Tale contratto, ai sensi dell’art. 25 disp. prel., avrebbe dovuto essere regolato dalla legge straniera anche se destinato ad avere esecuzione in Italia.

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4.5.2. Concezione negativa e positiva di ordine pubblico internazionale La prevalente dottrina concepisce l’ordine pubblico internazionale conferendogli una valenza negativa, in quanto costituisce un limite, un’eccezione al normale funzionamento del d.i.p., al fine di impedire che possano trovare applicazione in Italia (con il meccanismo del rinvio operato dalle norme di conflitto), norme ed istituti contrastanti con i valori essenziali e le basi etiche del nostro ordinamento. La concezione negativa, quindi, conferisce all’ordine ORDINE PUBBLICO pubblico la funzione di “scudo INTERNAZIONALE protettivo” dei principi - concezione negativa: limite al fondamentali del nostro sistema normale funzionamento del d.i.p. rispetto all’ingresso di valori (ordine pubblico come limite successivo e negativo); giuridici stranieri (norme, - concezione positiva: è espressione sentenze). dell’ampia sfera dei principi propri A tal proposito si dice che l’ordine della lex fori; - il suo contenuto non può essere pubblico è un limite successivo determinato in modo analitico e e negativo: successivo perché rigido dal legislatore; presuppone (e, dunque, segue e - il giudizio di contrarietà con l’ordine pubblico deve avere ad oggetto i non precede) il normale suoi effetti (art. 16 L. 218/95); funzionamento delle norme di - si parla di “funzionamento conflitto (nel senso che attenuato” se il giudice deve inizialmente viene comunque riconoscere effetti già prodotti all’estero. individuata la legge straniera da applicare); negativo, perché esclude l’applicazione della legge straniera richiamata se, nel caso concreto, i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico. In tal caso si applica la legge straniera richiamata dagli altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi o, in mancanza, la legge italiana.66 Si è detto sopra che il limite dell’ordine 66

La concezione negativa di ordine pubblico consente di cogliere maggiormente la differenza tra questo e le norme di applicazione necessaria: infatti, mentre in caso di ordine pubblico, l’applicazione del diritto nazionale della lex fori è una mera conseguenza della mancata applicazione del diritto straniero richiamato, nel caso di norme di applicazione necessaria, invece, è la mancata applicazione del diritto straniero a rappresentare la conseguenza dell’efficacia eccezionalmente ampia della norma interna.

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pubblico opera anche per il riconoscimento delle sentenze e dei provvedimenti stranieri. In tal caso, però, esso è riferibile unicamente ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio. C’è anche chi ha elaborato una concezione positiva di ordine pubblico internazionale67 secondo cui “l’ordine pubblico internazionale deve essere costruito (…) con senso e portata positiva e non negativa”, non trattandosi giuridicamente di un limite o di un “ostacolo all’inserzione del diritto straniero”, ma al contrario della “stessa sfera di eccezionalmente ampio vigore di taluni principi della lex fori” che, proprio per questo, non potrebbero ammettere l’applicazione del diritto straniero ad essi contrario. Le critiche che sono state mosse a tale teoria sono essenzialmente due: da un lato, infatti, essa contrasta con la stessa formulazione letterale dell’art. 16 nella parte in cui recita che “… la legge straniera non è Cass. n. 16017/01 e Cass. n. applicata se i suoi effetti sono 19405/13 contrari all’ordine pubblico …”. È, La Cassazione ricorre volutamente a formule generiche nella descrizione del quindi, la stessa norma a contenuto del concetto di ordine qualificare l’ordine pubblico pubblico. Si legge, infatti, che il concetto di ordine pubblico comprende “il internazionale come limite complesso dei principi, ivi compresi negativo, cioè come ostacolo quelli desumibili dalla Carta Costituzionale che formano il cardine all’applicazione di norme della struttura economico-sociale della straniere già richiamate dalle comunità nazionale in un determinato norme di d.i.p.. Dall’altro lato, momento storico conferendole una ben individuata ed inconfondibile fisionomia l’espressione “sfera di nonché quelle regole che rispondono eccezionalmente ampio vigore” all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo” di principi dell’ordinamento nazionale è così ampia e poco delimitabile nei suoi confini che, come è facile comprendere, porta con sé il rischio di applicazioni del tutto arbitrarie e, quindi, contrarie al principio della certezza giuridica.

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Così Quadri, il quale ha ripreso l’impostazione più antica risalente al Mancini.

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4.5.3. Il contenuto dell’ordine pubblico internazionale Si è già detto che l’ordine pubblico si caratterizza per relatività ed indeterminatezza. Esso, quindi, è suscettibile di profonde trasformazioni nello spazio e nel tempo e, proprio per tale ragione, il suo contenuto non può essere predeterminato in modo analitico e rigido dal legislatore. Non è un caso, infatti, che le norme sull’ordine pubblico, sia internazionale che interno, sono formulate come se fossero “clausole generali”, ovvero in maniera generica ed elastica, la cui applicazione concreta viene rimessa all’apprezzamento dell’interprete ed in particolare del giudice in un dato momento storico. Definire in maniera precisa e netta il contenuto del principio di ordine pubblico è, dunque, impossibile. Proprio questa mancanza di confini definitori ha portato recentemente la Cassazione ad ampliare ancor di più il concetto di ordine pubblico internazionale, ricomprendendovi non solo i principi fondamentali dell’ordinamento italiano, ma anche quelli che provengono dall’ordinamento comunitario ed internazionale, inclusa la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Cass. n. 4545/13). A titolo puramente Cass. n. 10070/10 esemplificativo, nel Non può trovare applicazione nel nostro nostro ordinamento, ordinamento la legge argentina che prevede, in sono state ritenute caso di ingiustificato rinnovo, la conversione contrarie all’ordine del contratto a termine alle dipendenze della P.A. (nella specie, il Consolato d’Italia a pubblico Buenos Aires, articolazione del Ministero degli internazionale, le Esteri) in contratto di lavoro a tempo norme straniere che indeterminato. prevedevano: l’accesso al pubblico impiego senza concorso (Cass. 10070/10); il ripudio unilaterale della moglie; il divieto di matrimonio tra cittadini di razza o religione diversa; la revocabilità dell’adozione su accordo delle parti; l’esistenza di diritti di credito non soggetti a termini di prescrizione certi; l’istituto dei danni punitivi (cioè il risarcimento del danno con

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caratteristiche e finalità punitive e non di solo ristoro del pregiudizio subito dal titolare del diritto leso). Invece, non sono state Cass. S.U. n. 14650/2011 ritenute contrarie all’ordine La norma straniera (nella specie, inglese) che ammette l’acquisto di un bene in pubblico internazionale: la conseguenza di un patto commissorio, norma straniera che non è contraria all’ordine pubblico ammette il patto internazionale in quanto il relativo divieto (Sez. Un. non rientra fra i principi fondanti l’ordine commissorio pubblico internazionale (infatti, il patto 14650/11); la mancata commissorio non è conosciuto, né vietato previsione, nell’ordinamento in una parte rilevante dell’Unione europea), né, l’art. 2744 c.c. è norma di straniero, di un termine per applicazione necessaria denunciare la nascita.

4.5.4. Gli effetti dell’ordine pubblico internazionale e i limiti di operatività L’art. 16 L. 218/95 sancisce espressamente che il giudizio di eventuale contrasto con l’ordine pubblico non ha per oggetto la norma straniera, bensì i suoi effetti. Ciò significa che il giudice è chiamato ad effettuare una comparazione in concreto tra la norma straniera richiamata ed i principi dell’ordine pubblico e non, quindi, puramente astratta, ovvero guardando solo alla mera formulazione del precetto richiamato. La valutazione in concreto impone al giudice di guardare al risultato pratico cui può condurre l’applicazione della norma in esame alla singola e specifica fattispecie concreta posta alla base del rinvio. Così, ad esempio, una norma straniera che contempli il ripudio unilaterale della moglie potrebbe non contrastare, in concreto, con l’ordine pubblico internazionale italiano qualora il giudice italiano fosse chiamato ad applicarla al solo fine di riconoscere obbligazioni alimentari o speciali indennizzi previsti da tale legge a favore del coniuge ripudiato. Anche perché la stessa norma, in relazione a fattispecie diverse, può determinare conseguenze differenti, alcune conformi all’ordine pubblico internazionale dello Stato richiamante ed altre, invece, in contrasto con lo stesso.

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Qualora il giudice ravvisi l’impossibilità di operare il richiamo per la presenza del limite di ordine pubblico, provvederà (ex art. 16, comma 2) a richiamare un diverso ordinamento (qualora la norma utilizzata contempli l’ipotesi di un concorso, successivo o alternativo, di criteri di collegamento). Diversamente, nell’impossibilità di individuare un ordinamento utilmente applicabile, si ricorrerà alla legge italiana68. Occorre anche precisare che il limite dell’ordine pubblico non opera sempre con la stessa intensità. Esso, invero, attenua il suo rigore (cd “funzionamento attenuato” del limite dell’ordine pubblico) nei casi in cui il giudice è chiamato a decidere non tanto per l’applicazione delle leggi straniere richiamate, quanto piuttosto del riconoscimento di effetti già prodottisi, sulla base di tali leggi, all’estero. C’è chi, a tal proposito, parla di “diritti quesiti” per ribadire la necessità di evitare che, ricorrendo al principio di ordine pubblico, vengano travolti rapporti e situazioni giuridiche già venuti ad esistenza nell’ordinamento straniero, pregiudicando le aspettative delle parti e la certezza ed uniformità del diritto. Col mero riconoscimento degli effetti già prodotti all’estero, invece, si scongiurano tali pericoli. Così, per esempio, mentre il giudice italiano può ammettere senza difficoltà la legittimità dei figli nati da un matrimonio poligamico celebrato comunque all’estero, non può in nessun caso ammettere, applicando le norme straniere sulla poligamia, la celebrazione in Italia di un matrimonio poligamico tra cittadini stranieri, giacché questo contrasterebbe in maniera assoluta con l’ordine pubblico69. Tra l’altro, l’art.116 c.c. (“Matrimonio dello straniero nello Stato”) è norma di applicazione necessaria, la quale, si ricorda, nella maggior parte dei casi si basa sugli stessi principi che giustificano il limite dell’ordine pubblico.

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Pertanto, mentre per le norme di applicazione necessaria è inevitabile, per la loro stessa natura, l’operatività dell’ordinamento italiano, nel caso del limite dell’ordine pubblico, il richiamo alla lex fori è una conseguenza solo eventuale. 69 Vitta ha efficacemente giustificato tale fenomeno in base all’evidente differenza che c’è tra il fare direttamente qualcosa e limitarsi a riconoscere quanto è già stato fatto da altri.

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4.5.5. Il profilo processuale dell’ordine pubblico Si è già detto che, ai sensi degli art. 64 e 65 L. 218/95 il limite dell’ordine pubblico internazionale opera anche in sede di riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri. Si parla, in tal caso, di delibazione delle sentenze straniere. Prima della legge 218/95, che ha introdotto l’ingresso e il riconoscimento automatico delle sentenze straniere nel nostro ordinamento, si seguiva uno specifico iter giurisdizionale (ad oggi ancora richiesto per la delibazione delle sentenze ecclesiastiche di annullamento del matrimonio concordatario, ai sensi dell'art. 8, n. 2 dell'Accordo di revisione del Concordato -legge 121 del 1985-) che consentiva ad un soggetto di far valere in Italia una sentenza straniera, attribuendo alla medesima tutti gli effetti ad essa ricollegabili (in particolare efficacia di cosa giudicata ed efficacia esecutiva). Il giudizio si svolgeva presso la competente Corte d’Appello e consisteva in un controllo preventivo delle sentenze e degli atti stranieri. Tale procedimento di controllo, detto giudizio di accertamento, ha comunque luogo (ex art. 67 L. 218/95) quando si tratti di un provvedimento che la controparte abbia contestato o non abbia spontaneamente eseguito o in base al quale debba essere iniziata l’esecuzione forzata. È sostanzialmente diverso il compito che il giudice nazionale è chiamato a svolgere quando deve applicare una norma giuridica straniera o quando, invece, deve riconoscere gli effetti delle sentenze straniere. In quest’ultimo caso, infatti, la natura dell’ordine pubblico internazionale risulta senz’altro più circoscritta. A tal proposito, un’interessante sentenza della Cassazione (n. 365/2003), in tema di accertamento giudiziale di filiazione naturale, ha statuito che, per ciò che concerne la delibazione di sentenze straniere, il concetto di ordine pubblico assume connotati strettamente processuali, in quanto “è riferibile ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche alle modalità cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie”. La contrarietà all’ordine pubblico di una sentenza straniera da riconoscere è da sempre affrontata dalla giurisprudenza con

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molta cautela e manca, sul punto, una presa di posizione netta e precisa. Invero, non ogni difformità, anche di rilievo, col modello processuale italiano è considerata d’ostacolo al riconoscimento degli effetti di una sentenza straniera nel nostro ordinamento. Ciò accade perché, trattandosi pur sempre di una materia delicata in cui sono in gioco interessi rilevanti, si impone un necessario bilanciamento tra istanze di uguaglianza e giustizia processuale ed istanze di riconoscimento della sovranità statuale. Ad esempio, è stata ritenuta riconoscibile, nonostante il contrasto col principio fondamentale del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. (che al comma 6 stabilisce che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”), una sentenza straniera del tutto priva di motivazione (Cass. n. 9247/02). La Cassazione ha però precisato che la mancanza di motivazione diviene rilevante se la motivazione è indispensabile per valutare l’eventuale compatibilità o meno della sentenza con l’ordine pubblico (Cass. n. 62133/12). È stata, invece, esclusa la riconoscibilità della sentenza straniera per menomazione dei diritti di difesa quando, nell’ordinamento di provenienza della sentenza, non fosse contemplata la possibilità di far valere con mezzi di impugnazione la violazione dei propri diritti processuali. Nell’ottica di una sempre maggiore “comunitarizzazione” dei principi processuali, sta prendendo sempre più piede l’idea di considerare, in sede di riconoscimento delle sentenze straniere, come parametro certo e vincolante del funzionamento del profilo processuale dell’ordine pubblico, l’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (CEDU), che racchiude efficacemente tutti i principi fondamentali in tema di giusto processo. La stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha varie volte affermato che tra i limiti di ordine pubblico che possono ostacolare l’ingresso nell’ordinamento nazionale di una decisione straniera vi si devono senz’altro ricomprendere anche i diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

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4.6. La reciprocità La cd. condizione di reciprocità costituisce un ulteriore limite al funzionamento del sistema di d.i.p.. È quel meccanismo in virtù del quale le norme di un ordinamento straniero trovano applicazione nell’ordinamento richiamante solo se, alle stesse condizioni, l’ordinamento straniero applica il diritto dello Stato richiamante. La condizione di reciprocità ha CONDIZIONE DI RECIPROCITÀ natura “ambivalente”, in quanto Natura “ambivalente”: presenta risvolti tanto positivi - espressione del principio di giustiza commutativa a livello quanto negativi. internazionale; Sotto il primo punto di vista può - espressione di una concezione essere intesa come un principio “egoistica” dei rapporti internazionali. di giustizia commutativa a livello L’unico caso di reciprocità in Italia: internazionale, che agisce quale art. 5, co. 2, preleggi al codice della stimolo e invito ad altri navigazione. ordinamenti a modificare la loro legislazione in senso più liberale, mediante l'abrogazione di norme discriminatorie nei confronti dello straniero. Sotto il secondo punto di vista, però, si collega ad una concezione “egoistica” dei rapporti internazionali, in quanto l’ordinamento che la prevede sembra voler ribadire una sorta di “superiorità” delle proprie leggi rispetto a quelle degli altri Stati, o comunque una maggiore idoneità delle stesse a tutelare gli interessi dei propri cittadini. Per tale ragione c’è chi ne auspica un uso più limitato, in quanto la ritiene in contrasto con una concezione moderna e sempre più evoluta di d.i.p.. Nel sistema italiano di d.i.p., l’unico caso di reciprocità è quello previsto dall’art. 5, comma 2, delle preleggi al codice della navigazione, la quale subordina l’applicazione della legge di bandiera (applicazione della legge nazionale della nave o dell’aeromobile per la disciplina dei fatti e degli atti compiuti a bordo nel corso della navigazione in territorio soggetto alla sovranità dello Stato italiano) alla reciprocità, cioè a patto che, a parti invertite ed alle medesime condizioni, la stessa cosa sia prevista dallo Stato richiamato.

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Dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono non inquadrabile nel sistema di d.i.p. l’art. 16 delle preleggi al codice civile secondo cui “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali” e prova di ciò è data anche dal fatto che tale disposizione è stata esclusa dall’abrogazione, a seguito della Cass. n. 405/2011 riforma del 1995, degli artt. 17-31 È stato riconosciuto il diritto al disp. prel c.c.. Inoltre, si è risarcimento del danno non ritenuto che inquadrare tale patrimoniale (il cd. danno morale), norma all’interno del sistema di conseguente a reato, in favore di una cittadina peruviana, anche in d.i.p. avrebbe potuto comportare mancanza di riconoscimento di tale il rischio di ostacolare diritto nel suo Paese. Ciò in virtù del l’ammissione dello straniero al fatto che il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, rientrando godimento dei diritti fondamentali tra i diritti fondamentali della persona della persona deducibili dalla (in quanto riguardante il diritto alla Costituzione. Occorre, invero, salute), spetta a tutte le persone, indipendentemente dalla un’interpretazione cittadinanza. costituzionalmente orientata della stessa, alla stregua dell’art. 2 della Cost., in modo da riconoscere ad ogni soggetto, a prescindere dalla sua cittadinanza, i diritti inviolabili della persona tutelati dal nostro ordinamento, indipendentemente dalla circostanza che essi siano riconosciuti o meno nel sistema giuridico nazionale dello straniero che li invoca. Pertanto, allo straniero, che sia o meno residente in Italia, è sempre consentito, a prescindere da qualsiasi condizione di reciprocità, domandare al giudice italiano il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, quali il diritto alla salute e ai rapporti parentali o familiari, ogniqualvolta il risarcimento dei danni sia destinato ad essere disciplinato dalla legge nazionale italiana (Cass. n. 7210/13). Ciò non sarebbe possibile se si ritenesse la norma in questione inquadrabile nel d.i.p., atteso che, come sopra detto, il limite della condizione di reciprocità, in esso operante, potrebbe impedire il riconoscimento dei suddetti diritti nel caso in cui gli stessi non fossero riconosciuti al cittadino italiano nello Stato straniero.

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Infine, è evidente che il giudizio comparativo previsto È stato riconosciuto ad un cittadino dalla condizione di reciprocità egiziano il diritto ad accedere al fondo vittime della strada anche in assenza, in tra i vari ordinamenti non Egitto, di un istituto analogo sulla base richiede un'esattezza di del rilievo che, perché la condizione di disciplina, ovvero che stessi reciprocità sia soddisfatta, è necessario identici diritti e facoltà che e sufficiente che l’ordinamento straniero (nella specie, quello egiziano) preveda l’ordinamento italiano un diritto al risarcimento a chi è rimasto riconosce allo straniero vittima di incidenti stradali, a prescindere debbano essere, in termini dalla sua nazionalità. uguali, riconosciuti all’italiano all’estero. È sufficiente che nel settore interessato non emerga alcuna discriminazione dei non cittadini. Cass. n. 10504/2009

4.7. La lex mercatoria Della lex mercatoria si è già ampiamente parlato (vedi supra, Cap. I, par. 1.7.1). In questa sede essa viene in rilievo in quanto può essere considerata come un (ulteriore) limite al normale funzionamento delle norme di d.i.p.. Non esiste ancora un orientamento unitario in merito al ruolo da riconoscere alla lex mercatoria rispetto al d.i.p. (anche convenzionale) vero e proprio. Per la dottrina maggioritaria (Goldman, Carbone, Draetta) costituisce un limite all’operatività delle norme di d.i.p. in quanto la si ritiene essere un vero e proprio ordinamento giuridico di categoria, in grado di operare in luogo del sistema di d.i.p. nazionale, perché ritenuto maggiormente idoneo a disciplinare i rapporti ai quali si indirizza. Tale tesi sembra corroborata dal fatto che gli stessi consociati sono consapevoli del carattere vincolante delle sue regole, la cui inosservanza determina l’applicazione di sanzioni di carattere professionale (ad esempio, discredito, boicottaggio, etc.). Non manca, tuttavia, quella parte di dottrina (Ballarino) secondo cui, invece, la lex mercatoria non può mai integralmente sostituire il d.i.p. nella disciplina dei rapporti commerciali internazionali, e quindi operare come limite alla sua applicazione. Essa ritiene, infatti, che tale sistema di norme abbia (solo) natura

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contrattuale, nel senso che opera esclusivamente se voluta dai contraenti e che non possa mai integralmente sostituire il d.i.p. nella disciplina dei rapporti commerciali internazionali. Anche in questo settore, peraltro, è comunque il d.i.p. statale a disciplinarne gli elementi fondamentali (come la capacità di agire, i vizi della volontà, etc.), senza trascurare la circostanza che, anche nell’ambito dei rapporti commerciali internazionali, devono trovare applicazione i principi generali di d.i.p. e le norme di applicazione necessaria. A voler seguire quest’ultima tesi, la lex mercatoria, nel settore del commercio internazionale non sostituisce, ma opera insieme alle norme di conflitto nazionali.

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Limiti all'applicazione della legge straniera

Contrasto della norma straniera richiamata con la Carta Costituzionale

Il Giudice italiano ha il potere - dovere di non applicare la norma straniera richiamata al caso concreto se i suoi effetti sono contrari alla Costituzione.

La legge straniera non troverà applicazione: - se c'è una scelta di legge ad opera delle parti interessate; - in caso di disposizioni sulla forma degli Divieto di rinvio atti; ex art. 13 co. 2 L. - in materia di obbligazioni non contrattuali; - in materia di filiazione, legittimazione e 218/95 riconoscimento del figlio naturale, il rinvio è ammesso solo se più favorevole sotto il profilo della legittimazione e del riconoscimento.

Norme di applicazione necessaria

In virtù del loro oggetto e del loro scopo sono ritenute irrinunciabili per l'ordinamento italiano. Esse svolgono una funzione preventiva e positiva nel senso che operano prima che possano entrare in gioco le norme di conflitto. Non esiste un elenco tassativo di tali norme.

Ai sensi dell'art. 16 L. 218/95, il giudizio di contrarietà dell'ordine pubblico deve avere Contrasto con ad oggetto non la legge straniera in quanto l'ordine pubblico tale ma gli effetti che la stessa potrebbe internazionale avere nel nostro ordinamento. Opera solo come limite successivo e negativo.

Condizione di reciprocità

Le norme di un ordinamento straniero troveranno applicazione nell'ordinamento richiamante solo se, alle stesse condizioni, l'ordinamento straniero applica il diritto dello stato richiamante. (L'unico caso di reciprocità nel sistema italiano è quello previsto dall'art. 5 co. 2 delle preleggi al codice della navigazione (c.d. legge di bandiera).

Lex mercatoria

Secondo la dottrina maggioritaria si tratta di un vero e proprio ordinamento giuridico di categoria in grado di operare in luogo del sistema di d.i.p. nazionale perché ritenuto maggiormente idoneo a disciplinare i rapporti ai quali si indirizza.

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CAPITOLO QUINTO STATO, CAPACITÀ E DIRITTI DELLE PERSONE FISICHE Sommario: 5.1. Lo stato delle persone – 5.2. La capacità giuridica e la capacità di agire delle persone fisiche – 5.3. La tutela dell’affidamento – 5.4. Commorienza, scomparsa, assenza, morte presunta – 5.5. Gli istituti a protezione degli incapaci – 5.6. I diritti della personalità

5.1. Lo stato delle persone Per status di una persona si intende la posizione giuridica che questa occupa in una società organizzata con conseguente titolarità di diritti ed obblighi (Vitta). Al riguardo, l’abrogato art. 17 delle preleggi al c.c. stabiliva che “lo stato delle persone era regolato dalla legge dello Stato di appartenenza”. La legge 218/95 ha scelto di non riportare alcuna disposizione di carattere generale relativa allo status personae, e di regolare espressamente, invece, le singole vicende personali (matrimonio, capacità, filiazione, etc.). Per molti dei rapporti attinenti allo stato ed alla capacità delle persone (art. 23), alla filiazione (art. 33), alle successioni mortis causa (ma su questa è intervenuto il reg. 650/12), alle donazioni (artt. 46 e 56) e alle questioni inerenti gli incapaci (art. 43), il criterio di collegamento fondamentale resta la cittadinanza (vedi supra, Cap. II, par. 2.4.1).

5.2. La capacità giuridica e la capacità di agire delle persone fisiche Nell’ampia e generica nozione di capacità occorre individuare la capacità giuridica, ovvero l’attitudine ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive (diritti, obblighi, interessi legittimi). La legge italiana ne stabilisce l’acquisto al momento

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della nascita70. Le norme che la regolano sono considerate norme assolute di ordine pubblico interno. Di conseguenza, nessuna efficacia può essere riconosciuta a norme di ordinamenti stranieri che prevedano limitazioni di attribuzione della capacità giuridica o cause di perdita della stessa, proprio perché l’ordine pubblico agisce quale limite all’applicazione della legge straniera. Nel sistema italiano di d.i.p., l’art. 20 stabilisce che “la capacità giuridica delle persone fisiche è regolata dalla loro legge CAPACITÀ DELLE PERSONE nazionale” (cd. capacità FISICHE: giuridica generale, in cui il - capacità giuridica (art. 20 L. 218/95): criterio di collegamento è, generale (lex personae); speciale (lex dunque, la cittadinanza). La causae) legge italiana, quindi, non - capacità di agire (art. 23 L. 218/95): generale (lex personae); speciale (lex interviene a disciplinare i modi causae) di acquisto e perdita di questa, i quali troveranno, invece, la loro disciplina (sempre che questa non contrasti con l’ordine pubblico) nella legge nazionale della persona della cui capacità si tratta. Oltre a determinare i fatti giuridici che comportano l’acquisto e la perdita della capacità giuridica, la legge nazionale disciplina anche le conseguenze dell’incapacità, nonché l’eventuale presupposto costituito dalla vitalità del soggetto71, peraltro non richiesto dalla legge italiana. Sebbene espressamente richiamata, la legge nazionale della persona non sempre viene applicata in maniera automatica, in quanto, per il meccanismo del rinvio, potrebbe richiedersi l’applicazione di una legge diversa da quella nazionale del soggetto, oppure, perché la legge regolatrice richiamata dalla norma di collegamento potrebbe essere in conflitto con l’ordine pubblico.

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In altri ordinamenti, come quello spagnolo, essa si acquisisce solo dopo ventiquattro ore dalla nascita (art. 30 del Còdigo Civil), con la conseguenza che il neonato, qualora non riuscisse a sopravvivere per tale tempo, sarà considerato incapace di acquistare un’eredità (Ballarino). Il diritto canonico, invece, subordina l’acquisto della capacità giuridica al momento del battesimo. 71 L’espressione “vitalità di un soggetto” sta ad indicare la circostanza che questi continui a vivere una volta nato.

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Oltre alla capacità giuridica generale (regolata, quindi, dalla lex personae, ovvero l’ordinamento del paese in cui il soggetto ha la cittadinanza), l’art. 20, nella parte in cui sancisce che “le condizioni speciali di capacità, prescritte dalla legge regolatrice di un rapporto, sono disciplinate dalla stessa legge” contempla anche la cd. capacità giuridica speciale. Quest’ultima, disciplinata dalla lex causae, ovvero la legge regolatrice dello specifico rapporto in questione72, consiste nell’attitudine del soggetto ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, scaturenti da determinati negozi, diversi da quelli di tipo contrattuale generale (Vitta). Si pensi, ad esempio, alla capacità di ricevere per testamento, regolata dalla lex successionis. Infine, anche la disciplina individuata in base all’art. 20, è soggetta ai limiti generali dell’ordine pubblico e delle norme di applicazione necessaria, ex artt. 16 e 17 L. 218/95. Diversa è, invece, la capacità di agire, ovvero le generale idoneità del soggetto a compiere o ricevere gli atti giuridici incidenti sulla propria sfera personale e patrimoniale (Bianca). Per l’ordinamento italiano, tale capacità si acquista, generalmente, al raggiungimento del diciottesimo anno di età. Eccezioni sono rappresentate dall’incapacità legale o dall’emancipazione, che spostano avanti o indietro la soglia della capacità. L’art. 23 L. 218/95 stabilisce che la capacità di agire cd. generale delle persone fisiche è regolata dalla loro legge nazionale (ovvero dalle lex personae; quindi, anche in tal caso, il criterio di collegamento è la cittadinanza). Pertanto, la lex personae disciplina: l’età in cui si consegue la capacità di agire73; le cause che possono determinarne la perdita (ad esempio, l’incapacità di agire conseguente ad una sentenza penale) o l’abbassamento (ad esempio, l’emancipazione); gli effetti che il difetto di capacità provoca; le autorizzazioni e gli altri interventi necessari affinché i soggetti non pienamente capaci possano 72

Anche se vi sono particolari capacità speciali che, assegnando maggiore rilevanza alla persona, sono sottoposte ex lege alla lex personae (come, ad esempio, l’art. 27 relativo alla capacità matrimoniale). 73 In tal caso, il richiamo alla legge nazionale deve essere inteso con riferimento al momento del compimento dell’atto.

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compiere determinati atti; la capacità di stare in giudizio (c.d. capacità di agire processuale). È chiaro, però, che, per l’operatività del meccanismo del rinvio (ex art. 13 L. 218/95), la legge concretamente applicabile potrebbe essere diversa da quella nazionale della persona della cui capacità si tratta. Anche in tal caso, dalla capacità di agire generale, occorre distinguere la capacità di agire cd. speciale, prevista all’art. 23 nella parte in cui sancisce che “quando la legge regolatrice di un atto prescrive condizioni speciali di capacità di agire, queste sono regolate dalla stessa legge”. Con tale termine si indica l’idoneità a svolgere una specifica attività giuridica consistente nell’acquisto, nell’esercizio di determinati diritti o nell’assunzione di obblighi (ad esempio, in materia di contratti di lavoro) ed è disciplinata dalla lex causae, ovvero dalla legge regolatrice lo specifico rapporto in questione. In essa vi rientra anche la cd. incapacità naturale, ovvero la condizione di chi, non essendo stato dichiarato interdetto, si trova in stato di incapacità di intendere o di volere per qualsiasi causa, anche transitoria, nel momento in cui stipula un negozio giuridico. Nel nostro ordinamento, l’incapacità naturale è spesso prevista in relazione a determinate figure di atti, come il matrimonio, il testamento e la donazione. Nell’ipotesi in cui la persona della cui capacità si tratta è cittadino di un ordinamento plurilegislativo (vedi supra, Cap. III, par. 3.4), si applica l’art. 18 L. 218/95 e, quindi, si farà riferimento ai criteri utilizzati da quell’ordinamento o, se tali criteri non possono essere determinati, si applicherà il sistema normativo ricompreso nell’ordinamento plurilegislativo richiamato con il quale il caso di specie presenta il collegamento più stretto.

5.3. La tutela dell’affidamento In virtù del principio di conservazione di efficacia degli atti (già previsto dall’abrogato art. 17 disp. prel. c.c.), chi compie un atto, per il quale sarebbe incapace secondo la legge nazionale (lex personae), ma è, invece, capace per il diritto del Paese in cui

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l’atto si compie (lex loci actus), è considerato capace e gli atti da lui compiuti saranno ritenuti validi e produttivi di effetti giuridici. Pertanto, nei casi in cui un terzo entri in contatto con un tale soggetto, per il principio che mira a tutelare l’affidamento del terzo, le norme di d.i.p. prevedono delle forme di tutela, che variano a seconda che si tratti TUTELA DELL’AFFIDAMENTO: di contratti o atti unilaterali. Si è - contratti conclusi tra presenti: art. 23, cercato, in questo modo, di co. 2, L. 218/95 contemperare la necessità di - atti unilaterali: art. 23, co. 3, L. 218/95 Le limitazioni di cui ai commi 2 e 3 non protezione dell’incapace e operano: l’affidamento, in buona fede, - per gli atti relativi a rapporti di famiglia; della controparte. - per gli atti di successione Nel caso in cui si tratti di mortis causa; - per gli atti relativi a diritti reali contratti conclusi tra su immobili situati in uno Stato presenti, ovvero tra persone diverso da quello in cui l’atto è compiuto. che si trovano nel medesimo Stato (sono, pertanto, esclusi i contratti con assenti e i contratti a distanza, se la distanza supera i confini nazionali), ai sensi del 2° comma dell’art. 23, l’incapace potrà invocare il proprio stato sulla base della propria legge nazionale solo se la controparte, al momento della conclusione del contratto, era a conoscenza di tale incapacità o l’ha ignorata per sua colpa (l’onere della prova è a carico dell’incapace). Analogo principio viene stabilito al comma 3 per gli atti unilaterali: in tal caso, la persona considerata capace dalla legge dello Stato in cui l’atto è compiuto, può invocare l’incapacità derivante dalla propria legge nazionale solo se ciò non rechi pregiudizio a chi ha fatto affidamento sulla capacità (fosse anche un terzo), se l’affidamento è incolpevole, e se non si tratti di particolari atti, espressamente esclusi dalla legge. Infatti, tali limitazioni, previste sia per i contratti che per gli atti unilaterali, non operano per gli atti relativi a rapporti di famiglia e di successione mortis causa, né per gli atti relativi a diritti reali su immobili situati in uno Stato diverso da quello in cui l’atto è compiuto.

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Approfondimenti Casi particolari Per i contratti rientranti nell’ambito di applicazione della Convenzione di Roma del 1980, si applica l’art. 11, che tutela l’affidamento con una disciplina simile a quella prevista dall’art. 23 L. 218/95. Tale disciplina è stata richiamata dall’art. 57 L. 218/95, che ne prevede l’applicazione in ogni caso. A causa di tale richiamo, sembrerebbe crearsi una sovrapposizione tra la parte dell’art. 23, relativa ai contratti, e l’art. 11 della Convenzione. Per una parte della dottrina la sovrapposizione è totale, con la conseguenza che il 2° comma dell’art. 23 deve ritenersi sostanzialmente abrogato, in quanto completamente assorbito dall’art. 11 della Convenzione (che, dunque, si applica in virtù del richiamo dell’art. 57). Per un’altra parte della dottrina, invece, la sovrapposizione non può dirsi totale, in quanto l’art. 23 avrebbe un proprio campo di applicazione. Rispetto all’art. 11, infatti, è differente la legge in base alla quale invocare l’incapacità (per l’art. 23 è la lex personae, per l’art. 11 vale l’incapacità risultante da un’altra qualsiasi legge, diversa da quella del Paese in cui è stato concluso il contratto). È diverso anche l’elemento soggettivo (l’art. 23 parla solo di colpa, l’art. 11 prende in considerazione solo l’imprudenza).

Nell’ipotesi in cui il soggetto muti cittadinanza, non potrà essere considerato capace di contrarre se la nuova legge nazionale, a differenza della precedente, lo considera incapace, in quanto lo stato goduto precedentemente al cambiamento di cittadinanza non può considerarsi un diritto acquisito.

5.4. Commorienza, presunta

scomparsa,

IPOTESI DI INCERTEZZA CIRCA LA SORTE DELLA PERSONA: - commorienza: il momento della morte si accerta in base alla legge regolatrice del rapporto rispetto al quale l’accertamento rileva (art. 21 L. 218/95) - scomparsa, assenza e morte presunta: i presupposti e gli effetti sono regolati dall’ultima legge nazionale della persona (art. 22 L. 218/95)

assenza,

morte

La L. 218/95 ha predisposto un’apposita disciplina, volta a regolare gli aspetti sostanziali e processuali, nell’ipotesi in cui vi sia incertezza circa la sorte della persona cui si ignora l’esistenza. La commorienza indica la simultaneità della morte di due o più persone. Essa assume 106


rilievo, per esempio, ai fini ereditari, in quanto occorre stabilire esattamente il momento della morte dei soggetti e l’ordine di sopravvivenza. Ai sensi dell’art. 4 c.c. quando non è possibile stabilire quale tra due o più persone sia morta prima, si considerano tutte morte nello stesso momento (cd. presunzione legale di non sopravvivenza). Chi ne abbia interesse, però, può provare la sopravvivenza di un commoriente rispetto ad un altro, secondo le regole generali sull’onere della prova. Ai sensi dell’art. 21 L. 218/95 “Quando occorre stabilire la sopravvivenza di una persona ad un'altra e non consta quale di esse sia morta prima, il momento della morte si accerta in base alla legge regolatrice del rapporto rispetto al quale l'accertamento rileva”. È possibile sostenere che, poiché, generalmente, il momento della morte rileva ai fini successori, la legge regolatrice sarà, di regola, quella nazionale (art. 46 L. 218/95), ma non si può escludere il possibile coinvolgimento anche di diversi istituti. Il criterio ex art. 21 può, tuttavia, presentare degli inconvenienti. Ad esempio, se due coniugi, di cui occorre accertare la morte, abbiano due nazionalità diverse, occorrerà fare riferimento ai criteri di commorienza previsti dalle rispettive norme di d.i.p.; se, poi, le leggi nazionali richiamano criteri tra loro incompatibili, allora dovrà applicarsi la lex fori ex art. 14 L. 218/95. Se il soggetto coinvolto ha più cittadinanze, occorre fare riferimento a quella con cui presenta il collegamento più stretto. La cittadinanza italiana prevale se concorre con un’altra cittadinanza non comunitaria. Ai sensi dell’art. 22 L. 218/95 i presupposti e gli effetti della scomparsa, assenza e morte presunta sono regolati dalla legge nazionale del soggetto, cioè dall’ultima legge nazionale conosciuta dall’autorità giudiziaria chiamata a provvedere. Tale legge, in particolare, disciplina: le condizioni per la verifica della scomparsa e per la dichiarazione di assenza o di morte presunta; il tipo di provvedimento in grado di interferire nella sfera patrimoniale del soggetto di cui si tratta; il diritto di essere immessi nel possesso temporaneo dei beni; gli effetti che si producono nell’eventualità che lo scomparso comunichi nuovamente notizie di sé (Di Blase).

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Ogni Stato regola in maniera differente le situazioni in cui è incerta l’esistenza in vita di una persona. Per scomparsa si intende la irreperibilità di una persona che si sia allontanata dal suo ultimo domicilio o residenza e della quale si siano perdute le tracce per un periodo tale da far dubitare della sua stessa esistenza in vita. La giurisdizione italiana sussiste: se l’ultima legge nazionale della persona era quella italiana; se l’ultima residenza della persona era in Italia; se l’accertamento della scomparsa (o di assenza o di morte presunta) può produrre effetti giuridici nell’ordinamento italiano74. In tal caso, il Tribunale dell’ultimo domicilio o dell’ultima residenza, su istanza degli interessati o dei presunti successori legittimi o del pubblico ministero, può nominare un curatore per la tutela del patrimonio dello scomparso.75 L’assenza è, invece, la situazione che si verifica quando la scomparsa di una persona si protrae per un certo periodo di tempo (due anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia). Le condizioni per la sussistenza della giurisdizione italiana sono le stesse di quelle previste in caso si scomparsa. Quando la dichiarazione di assenza è divenuta esecutiva, il Tribunale, su istanza di chiunque vi abbia interesse o del pubblico ministero, ordina l’apertura degli eventuali testamenti e autorizza i presunti eredi, che ne facciano richiesta, ad immettersi nel possesso temporaneo dei beni. La dichiarazione di assenza determina lo scioglimento della comunione legale e non anche del matrimonio. Tuttavia, se il coniuge dell’assente contrae un nuovo matrimonio, questo non può essere impugnato finché dura l’assenza. Gli effetti della dichiarazione di assenza cessano: con l’accertamento della morte dell’assente; con la dichiarazione di morte presunta; se l’assente ritorna o ne è provata l’esistenza. A differenza della cd. morte naturale (cioè materialmente constatata), la morte presunta è la morte dichiarata 74

I primi due criteri corrispondono, sostanzialmente, anche se diversamente formulati, a quelli fissati dall’art. 9 L. 218/95, mentre l’ultimo costituisce una novità che amplia in maniera considerevole la giurisdizione italiana. 75 Se vi è un legale rappresentante, non si fa luogo alla nomina del curatore. Se vi è un procuratore, il Tribunale provvede solamente per gli atti che il medesimo non può fare.

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giudizialmente dal Tribunale quando la scomparsa di una persona si è protratta per 10 anni o per tempi più brevi, quando essa è legata ad avvenimenti che fanno ritenere probabile la morte (art. 58 ss. c.c.), come, ad esempio, guerre o prigionia. Le condizioni per la sussistenza della giurisdizione italiana sono le stesse di quelle previste in caso di scomparsa e assenza. A seguito della dichiarazione di morte presunta, gli aventi diritto possono disporre liberamente dei beni del presunto morto ed il coniuge può contrarre nuovo matrimonio. La persona di cui è stata dichiarata la morte presunta, se ritorna o ne è provata l’esistenza, recupera il patrimonio trasferito per successione ereditaria. Il nuovo matrimonio eventualmente contratto dal coniuge è nullo, ma sono salvi gli effetti civili di cui all’art. 128 c.c..

5.5. Gli istituti a protezione degli incapaci L’incapace legale è colui che è titolare di diritti ed obblighi riconosciuti dall’ordinamento, ma non può compiere atti giuridici. Per la legge italiana è incapace: il minore di anni 18 (se non emancipato) e il maggiore interdetto o inabilitato. La legge 218/95 si occupa della protezione degli incapaci nel Capo VI, artt. 42-44 (vedi infra, Cap. XI). Occorre distinguere a seconda che si tratti di maggiore o minore di età. Per la protezione dei maggiori di età, l’art. 43 regola la legge applicabile, l’art. 44 la PROTEZIONE DEI MAGGIORI DI giurisdizione. In particolare, la ETÀ: tutela ordinaria è disciplinata - l’art. 43 L. 218/95 regola la legge dalla legge nazionale applicabile; - l’art. 44 L. 218/95 regola la dell’incapace (che si applica giurisdizione; anche alle misure di protezione e - tutela ordinaria: legge nazionale ai rapporti tra l’incapace ed il suo dell’incapace; - tutela provvisoria ed urgente: il tutore, o curatore). Il secondo giudice può applicare la legge comma stabilisce, invece, che italiana. per proteggere in via provvisoria ed urgente la persona o i beni dell’incapace, il

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giudice italiano può adottare le misure previste dalla legge italiana.76

-

La giurisdizione del giudice italiano sussiste, oltre che nelle ipotesi generali previste dagli artt. 3 e 9, anche nei casi di adozione di provvedimenti provvisori ed urgenti a tutela della persona dell’incapace o dei suoi beni (che si trovano in Italia), o di modifica o integrazione di un provvedimento straniero riconosciuto ex art. 66 L. 218/95. È preclusa al giudice italiano, però, la possibilità di revocare un provvedimento di un altro Stato, per evitare ingerenze con l’autorità straniera. Per la protezione dei minori di PROTEZIONE DEI MINORI DI ETÀ: età, occorre distinguere: - se soggetti alla responsabilità se sono soggetti alla genitoriale: art. 36 L. 218/95 responsabilità genitoriale, - se non sono soggetti alla responsabilità genitoriale: art. 42 L. troverà applicazione la 218/95, che rinvia in ogni caso alla disciplina dell’art. 36 (“Rapporti Convenzione dell’Aja del 1961 - Reg. 2201/2003: residenza abituale tra genitori e figli”), secondo cui del minore “i rapporti personali e - Cass. S.U. n. 1/2001 patrimoniali tra genitori e figli, compresa la responsabilità genitoriale, sono regolati dalla legge nazionale del figlio; se i minori non sono soggetti alla responsabilità genitoriale, troverà applicazione l’art. 42 che rinvia in ogni caso alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961.77 Per tale convenzione è “minore” colui che è considerato tale sia dalla sua legge nazionale sia dalla legge dello Stato di residenza abituale. La locuzione “in ogni caso” adoperata dall’art. 42 comporta l’applicazione della disciplina della convenzione anche a coloro che sono considerati minori solo dalla loro legge nazionale e a coloro che non risiedono abitualmente in uno Stato aderente. Dal 76

Sulla base di tale comma, ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto applicabile la disciplina italiana sull’amministrazione di sostegno quando vi sia la necessità ed urgenza di garantire al soggetto vulnerabile una protezione immediata ed effettiva (Trib. La Spezia, 11-3-2011). 77 Ciò costituisce un tipico esempio di come le norme di conflitto adottate in via convenzionale siano state recepite e trasformate in diritto comune applicabile in via generale.

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punto di vista oggettivo, quindi, vi è un ampliamento anche a materie non comprese nell’accordo. Bisogna ricordare, infine, il reg. 2201/2003 che regola il rapporto tra Stati membri ed individua il principale criterio di collegamento nella residenza abituale del minore. La novità rilevante di questo collegamento risiede nell’introduzione del titolo esecutivo europeo in materia di diritto di visita e di ritorno del minore. La mancanza di confini ben definiti, soprattutto nella dialettica dei rapporti genitori-figli, potrebbe presentare il rischio di sovrapposizioni ed interferenze tra l’art. 42 e l’art. 36 L. 218/95. Rischio che sembra divenire concreto laddove si pensi che l’art. 36 richiama l’ordinamento straniero ricomprendendovi le norme di d.i.p., mentre la Convenzione, nazionalizzata dall’art. 42, esclude l’operare del meccanismo del rinvio. La questione non è ancora stata risolta e, probabilmente, assumerà connotati più ampi quando l’attuale Convenzione sarà sostituita dalla più recente del 1996. Ad oggi possono segnalarsi solo alcuni interventi giurisprudenziali, i quali cercano, per quanto possibile, di definire in maniera più netta l’ambito di applicazione delle rispettive discipline. Si segnala, in proposito, un’interessante pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite (n. 1/2001), la quale ha ritenuto che, ai fini del riparto della giurisdizione e della individuazione della legge applicabile, i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta. Pertanto, i provvedimenti che, pur incidendo sulla potestà dei genitori (da intendersi come titolarità di diritti e doveri dei genitori sui figli), perseguono una finalità di protezione del minore, rientrano nel campo di applicazione non dell’art. 37 (che regola la giurisdizione), ma dell’art. 42 il quale rinvia alla Convenzione dell’Aja del 1961.

5.6. I diritti della personalità I diritti della personalità tutelano la persona nei suoi valori essenziali (diritto alla vita, all’integrità fisica, al nome, alla riservatezza). Essi hanno carattere non patrimoniale, assoluto, di inalienabilità, di intrasmissibilità e di imprescrittibilità.

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Il diritto non li crea, ma si limita semplicemente a riconoscerli. I DIRITTI DELLA PERSONALITÀ Di essi si occupa l’art. 24 L. SONO: 218/95 secondo cui l’esistenza - non patrimoniali ed il contenuto di tali diritti sono - assoluti regolati dalla legge nazionale del - inalienabili titolare degli stessi (lex - intrasmissibili 78 - imprescrittibili personae). Il diritto al nome, sebbene sia da includere a pieno titolo tra i diritti della personalità, non rientra nella disciplina dell’art. 24, in quanto, in tal caso, troverà applicazione la Convenzione di Monaco del 1980 sulla legge applicabile al nome (da intendersi: cognome) che ha rilevanza erga omnes e rimanda alla lex personae del soggetto, anche se cittadino di uno Stato non aderente. Non rientrano nell’art. 24 neanche i diritti che derivano da un rapporto di famiglia, in quanto regolati dalla legge applicabile a tale rapporto in base alle norme degli artt. 26 e ss. L. 218/95 sui rapporti di famiglia. Il 2° comma dell’art. 24 stabilisce che in caso di violazione dei diritti della personalità, si applicherà la lex loci delicti, ovvero la legge applicabile in materia di responsabilità per fatti illeciti (art. 62 L. 218/95). Devono, in ogni caso, essere rispettati i limiti di cui agli artt. 16 e 17 L. 218/95: pertanto, la legge concretamente applicabile potrebbe essere ostacolata o in quanto produce effetti contrari all’ordine pubblico oppure perché ricorrono norme di applicazione necessaria della lex fori. Inoltre, essendo operante il meccanismo del rinvio nei termini previsti in generale dall’art. 13 L. 218/95, potrebbe accadere che la legge concretamente applicabile sia diversa da quella nazionale della persona di cui si tratta. Infine, troverà applicazione l’art. 18 nel caso in cui la legge nazionale del titolare dei diritti conduca ad un ordinamento plurilegislativo.

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Tuttavia, laddove tale legge non disciplini e non permetta la rettificazione di sesso, al ricorrente straniero è riconosciuto il diritto a godere del beneficio, accordato dall’art. 3 della L. 164/1982, di sottoporsi al relativo trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei connotati sessuali presso le aziende ospedaliere italiane, non potendosi ipotizzare gli estremi di turismo sanitario o di abuso dello strumento legislativo (Trib. Prato, 16-7-2010).

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CAPITOLO SESTO STATO E CAPACITÀ DELLE PERSONE GIURIDICHE. LE SOCIETÀ E LE PROCEDURE DI INSOLVENZA Sommario: 6.1. Stato e capacità delle persone giuridiche e il criterio di collegamento del luogo di costituzione – 6.2. La legge regolatrice dell’ente – 6.3. Le vicende societarie: trasferimenti e fusioni – 6.4. Le società costituite all’estero – 6.5. Le procedure di insolvenza

6.1. Stato e capacità delle persone giuridiche e il criterio di collegamento del luogo di costituzione Il vecchio sistema di d.i.p. non individuava una particolare disciplina normativa applicabile alle persone giuridiche in tema di stato e capacità di agire. Il legislatore del 1995, attesa la esponenziale crescita e l’internazionalizzazione delle attività delle società commerciali, ha, invece, previsto una specifica norma di d.i.p., diretta a stabilire la legge applicabile ART. 25 L. 218/95 (SOCIETÀ ED ALTRI alle persone giuridiche ENTI): straniere. - comma 1: disciplina applicabile; Ai sensi dell’art. 25 L. - comma 2: ambito di applicazione della 218/9579 “Le società, le legge regolatrice dell’ente; - comma 3: i trasferimenti e le fusioni. associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione

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La L. 218/95 ha espressamente abrogato gli artt. 2505 e 2509 c.c., che prevedevano l’applicazione della legge italiana alle società costituite all’estero, ma aventi in Italia la sede o l’oggetto principale dell’impresa, e alle società costituite in Italia, ma con l’oggetto della loro attività all’estero.

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è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti”.80 Il 1° comma, quindi, prevede in linea generale che la disciplina delle persone giuridiche venga individuata sulla base del criterio di collegamento del luogo di costituzione dell’ente. La ricezione, nel sistema giuridico italiano, di tale collegamento generale deriva dalla volontà del nostro legislatore di allineare la disciplina nazionale con quella prevista dalla maggior parte degli ordinamenti stranieri. Si tratta, infatti, di un criterio accolto dai sistemi di common law (incorporation) ed anche da alcuni ordinamenti europei (Olanda e Svizzera), per i vantaggi pratici che determina, in quanto consente di raggiungere l’armonia tra gli ordinamenti interessati alla disciplina delle questioni societarie. In realtà, anche l’adozione di questo criterio di collegamento non è, tuttavia, scevro da possibili difficoltà applicative. Queste ultime, infatti, emergono in relazione ad alcuni enti, quali quelli “non personificati”, in cui i concetti di “perfezionamento” e “luogo di costituzione” non sembrano ad essi facilmente riconducibili. Si pensi, ad esempio, al trust, ente straniero che nasce senza l’intervento di alcuna autorità certificatrice. Dei trusts e del loro riconoscimento, si occupa la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 (in vigore per l’Italia dal 1° gennaio 1992).81 Ai sensi dell’art. 2 L.218/95 le norme della Convenzione prevalgono su quelle di d.i.p.; pertanto, in tal caso, si esclude l’applicabilità dell’art. 25.

Tale previsione ricalca, in realtà, quella dell’abrogato art. 2505 c.c., la quale, però, in tal caso, deve essere intesa in modo non restrittivo. È sufficiente, pertanto, che si svolga in Italia l’attività di direzione dell’ente. 81 In particolare, essa individua la legge applicabile al trust nella legge scelta dal costituente (art. 6), oppure, in mancanza di scelta, dall’ordinamento che ha il collegamento più stretto con il trust (art.7), per l’individuazione del quale vengono in rilievo a titolo esemplificativo: a) il luogo di amministrazione del trust designato dal costituente; b) la situazione dei beni del trust; c) la residenza o la sede d’affari del trustee; d) gli obiettivi del trust ed i luoghi in cui essi dovranno essere realizzati. Inoltre, richiamando per il trust gli stessi criteri che il reg. Roma I (dall’ambito di applicazione del quale il trust è escluso, in maniera analoga a quanto disposto dalla Convenzione di Roma del 1980) utilizza per individuare la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, determina la qualificazione contrattuale del trust, allontanandolo, in tal modo, dalla categoria dell’ente richiamata dall’art. 25. 80

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Inoltre, un altro problema che potrebbe sorgere in sede di applicazione del criterio del luogo di costituzione riguarda la questione del rinvio, ovvero la possibilità che, in base all’art. 13, l’ordinamento del luogo di costituzione dell’ente possa a sua volta utilizzare criteri di collegamento diversi che determinerebbero, quindi, l’operatività di leggi di altri paesi. In ordine al rinvio, tuttavia, la dottrina ha espresso delle riserve, ritenendola una ipotesi difficilmente verificabile in materia societaria, in quanto già l’art. 25, comma 1, prevede dei criteri di collegamento alternativi (sede dell’amministrazione o oggetto principale). Ne consegue che un eventuale rinvio sarebbe superfluo, giacché si perverrebbe all’applicazione della nostra legge già in base a detti criteri. Si pensi, ad esempio, ad una società costituita in Germania, che però ha l’oggetto principale in Italia. La società, in base al disposto dell’art. 25, sarà soggetta alla disciplina della legge italiana, senza necessità di verificare l’operatività del meccanismo del rinvio. L’operatività del collegamento del luogo di costituzione dell’ente subisce, quindi, una “battuta d’arresto” nelle ipotesi in cui la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’ente si trovino in Italia e si debba, pertanto, applicare la legge italiana, riprendendo, così, il contenuto dell’abrogato art. 2505 c.c.82. Tale previsione trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di effettuare un controllo, da parte dello Stato, sugli enti che di fatto operano all’interno del sistema economico nazionale; controllo che, invece, potrebbe essere eluso qualora tali enti fossero disciplinati dalla legge straniera. Non è, comunque, automatico che la personalità giuridica di un ente straniero venga riconosciuta anche in Italia: occorre, infatti, sempre tenere in considerazione il limite generale dell’ordine pubblico nonché la condizione di reciprocità sancita dall’art. 16 delle preleggi (vedi supra, Cap. IV).

Il concetto di oggetto principale dell’ente richiama il posto in cui l’ente intrattiene maggiormente i rapporti con i terzi nell’esercizio della propria attività d’impresa, quale espressione del realizzarsi della volontà formatasi in sede amministrativa. 82

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6.2. La legge regolatrice dell’ente Una volta individuata, tramite i criteri summenzionati, la norma da applicare, il comma 2 dell’art. 25 indica, con una elencazione meramente esemplificativa e non esaustiva, le materie cui risulta applicabile tale legge regolatrice dell’ente (cd. lex societatis). Essa, ad esempio, si occupa di disciplinare questioni concernenti: - la natura giuridica, la denominazione o ragione sociale; - la costituzione, la trasformazione e l'estinzione; - la capacità (compresa la capacità di stare in giudizio) e la rappresentanza (istituzionale) dell’ente; - la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi; - le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio, nonché i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità; - la responsabilità per le obbligazioni dell'ente; - le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo83. Per quanto concerne le azioni, occorre operare una distinzione: saranno, infatti, assoggettati LEGGE REGOLATRICE DELL’ENTE: alla lex contractus (la legge - l’art. 25 , co. 2, L. 218/95 fornisce un’elencazione esemplificativa e non regolatrice del contratto) i esaustiva delle materie cui risulta contratti aventi ad oggetto applicabile la lex societatis; azioni, mentre la lex - la lex contractus disciplina il contratto avente ad oggetto azioni; la lex societatis societatis disciplinerà tutto disciplina emissione, natura e modalità di quanto relativo alla vita di trasferimento delle azioni; esse (emissione, natura e - al contratto di società si applica la lex modalità di trasferimento). societatis. In tema di contratto di società si era sollevato il problema di quale disciplina applicare. Il contratto di società, infatti, detto anche "compromesso" o L’atto costitutivo è l’atto iniziale per la costituzione di una società, mediante il quale i soci stabiliscono, nei limiti imposti dalla legge, le modalità di funzionamento della società stessa, nonché le clausole per regolamentare i rapporti tra gli organi della società e i soci. Differisce dallo statuto, ovvero quel documento, redatto nella forma dell’atto pubblico, che contiene le norme ed i patti sottoscritti dai soci per il funzionamento della società. Esso si considera parte integrante dell’atto costitutivo ed impegna all’osservanza anche i futuri componenti della società. 83

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"preliminare" di società è il contratto stipulato da chi ha intenzione di costituire una società, ma non dispone ancora dei mezzi e dell'organizzazione per farlo. Tramite esso si stipula un patto con i futuri soci al fine di vincolarsi reciprocamente a firmare in data futura (prestabilita) l'atto costitutivo della società. Pertanto, il fatto stesso di considerare il contratto di società come atto preliminare e distinto dalla creazione dell’ente sociale sollevava il problema del coordinamento di tale disciplina con quella prevista per i contratti in generale dal regolamento Roma I (vedi infra, Cap. XIV, par. 14.2). A tal proposito, si è ritenuto che il carattere di specialità dell’art. 25 consente di ritenere comunque applicabile la lex societatis rispetto alla norma generale dell’art. 57 (che, in tema di obbligazioni contrattuali, richiama “in ogni caso” la convenzione). D’altra parte, non avrebbe senso sottoporre il contratto di società ad una legge diversa da quella che regola la società, in quanto l’applicazione di quest’ultima potrebbe determinare il disconoscimento dell’atto di costituzione stipulato sotto un differente regime giuridico.84

6.3. Le vicende societarie: trasferimenti e fusioni Ai sensi del comma 3 dell’art. 25 L. 218/95 “I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati”.

-

Ciò significa che, in tema di trasferimenti, essi dovranno essere realizzati conformemente: alla legge italiana ed a quella del Paese di destinazione, se il trasferimento ha luogo in direzione di uno Stato estero; alla legge del Paese estero di partenza ed a quella italiana o di uno Stato terzo, se il trasferimento ha luogo in direzione dell’Italia o di un altro Paese.

Si ritiene, invece, riconducibile alla lex contractus l’accordo preliminare semplicemente rivolto a creare obblighi reciproci dei contraenti in vista della futura costituzione della società. 84

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Giova notare, inoltre, che la norma fa espresso riferimento Il trasferimento all’estero della sede di alla “sede statutaria”. una società italiana, cui segue la cancellazione della stessa dal registro Quest’ultima è da distinguere delle imprese italiane, non comporta, nel tanto dalla “sede caso in cui dovesse successivamente insorgere una procedura concorsuale, il amministrativa” (di cui al 1° venir meno della cognizione del giudice comma) quanto dalla “sede italiano. A questi, infatti, andrebbero comunque affidate tutte le eventuali legale”. questioni relative ad atti posti in essere alla società per il periodo antecedente al La sede statutaria è il luogo suo trasferimento. che viene indicato come sede della società nell’atto costitutivo, nello statuto o in altri atti prescritti per la costituzione dell’ente; tale sede è rilevante, di solito, al fine dell’individuazione del soggetto competente per l'esecuzione dei depositi e delle altre formalità richieste nel procedimento di formazione.85 La sede amministrativa è il luogo, indicato dalla lex societatis, in cui si riuniscono gli organi cui sono affidate competenze gestorie, dove prendono vita e si sviluppano i processi decisionali che consentono alla società di esprimere la propria volontà.86 La sede legale è l'equivalente del concetto di residenza per le persone fisiche, e spesso funge da mero luogo di notifica della corrispondenza legale. Quanto alla fusione87, la relativa procedura sarà regolata dalla legge di ciascuna delle società interessate. In particolare, l’interprete chiamato ad applicare l’art. 25, comma 3, dovrà, dunque, compiere due operazioni: inizialmente, dovrà valutare Cass. S.U. n. 14348/04

F. M. Mucciarelli, Società di capitali, trasferimento all’estero della sede sociale e arbitraggi normativi in Quaderni di Giurisprudenza Commerciale 2010, Giuffrè Editore, pag. 50. 86 Si tratta, quindi, di un concetto di carattere giuridico, non di un’indicazione di mero fatto, anche se negli ultimi anni lo sviluppo delle tecnologie ha svuotato di significato la nozione di sede amministrativa rendendo possibile lo svolgersi di assemblee e consigli di amministrazione anche a distanza e in via telematica, per il tramite ad esempio di videoconferenze. Questo rende necessario talvolta ricorrere a una finzione, andando a individuare il luogo in cui si tiene l’adunanza con quello di sua convocazione o quello in cui si trovi il suo presidente o segretario (M.V.Benedettelli, Sul trasferimento della sede sociale all’estero, in Rivista delle società, 2010, fasc.6, pag.1254-1255). 87 Operazione mediante la quale imprese distinte vengono unite in un unico ente sociale, preesistente alla fusione o creato ex novo. 85

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se gli ordinamenti in conflitto consentono in astratto la fusione; successivamente, dovrà verificare la compatibilità concreta delle norme materiali applicabili alla fusione, analogamente a quanto già detto in tema di trasferimenti. La società scaturente dalla fusione resterà, poi, soggetta alla legge del luogo in cui l’atto di fusione si è perfezionato. Nel caso in cui si tratti di società costituite in Stati membri dell’Unione europea, la disciplina dei trasferimenti e delle fusioni incontra il limite derivante dal rispetto del principio di libertà di stabilimento88. Invero, l'art. 54 TFUE89 equipara le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno della Comunità, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. In questo modo estende la libertà di stabilimento, già riconosciuta alle persone fisiche dall'art. 49 TFUE, anche alle persone giuridiche.

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Per libertà di stabilimento si intende la possibilità di costituire e gestire un'impresa o intraprendere una qualsiasi attività economica in un paese dell’Unione europea, tramite l'apertura di agenzie, filiali e succursali. 89 Il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), da ultimo modificato dall’articolo 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, è, accanto al Trattato sull'Unione Europea (TUE), uno dei trattati fondamentali dell'Unione europea.

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Dirimente sul punto (nel senso che il riconoscimento della libertà di stabilimento rappresenta un limite all’applicazione dell’art. 25, comma 3), è stata una decisione della stessa Corte di Giustizia europea la quale, nella sentenza Überseering90, ha precisato che quando una società, costituita in base alla normativa dello Stato membro sul cui territorio essa ha la sede sociale, esercita la sua libertà di stabilimento in un altro Stato membro, gli artt. 43 e 48 del TCE91 (oggi artt. 49 e 54 TFUE) impongono a quest’ultimo di rispettare la capacità giuridica e, quindi, la capacità processuale che questa società possiede in forza del diritto del suo Stato di costituzione. Trattasi di una sentenza di particolare interesse in quanto essa si pone a coronamento di altre precedenti pronunce sempre attinenti alla materia della libera circolazione delle società e del loro diritto di stabilimento all’interno dell’UE.

6.4. Le società costituite all’estero Per le società costituite all’estero, che stabiliscono - si applica la legge italiana per ciò che una o più sedi secondarie concerne la pubblicità degli atti sociali e l’esercizio dell’impresa (art. 2508 c.c.); destinate ad operare in - a tutela dei terzi: non opponibilità degli Italia, la disciplina da atti pubblicati in Italia se difformi da quelli pubblicati nello Stato ove è situata la sede adottare è individuata in principale. alcune norme di d.i.p. materiale (vedi supra, Cap. I, par. 1.4) contenute negli artt. 2507 e ss. c.c.. In particolare, la normativa prevede che ciascuna sede sia soggetta alle disposizioni della legge italiana per ciò che concerne la pubblicità degli atti sociali e l’esercizio dell’impresa. Esse sono anche tenute ad osservare particolari condizioni, come quelle, tra le altre, di pubblicare le generalità delle persone SOCIETÀ COSTITUITE ALL’ESTERO:

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Sentenza del 5 novembre 2002, causa n. C-208/00- Überseering BV c. Nordic Construction Company Baumanagement GmbH (NCC). 91 L’acronimo TCE, Trattato che istituisce la Comunità europea, è stato modificato in TFUE, Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

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che le rappresentano in Italia, con l’indicazione dei relativi poteri.92 Altresì, a particolare tutela di quei soggetti terzi che compiono operazioni con le sedi secondarie operanti nel territorio nazionale, è prevista la non opponibilità degli atti pubblicati in Italia nel caso in cui siano difformi da quelli pubblicati nello Stato ove è situata la sede principale. Nel caso, infine, in cui si tratti di società estere di tipo diverso da quelle previsti dalla legge italiana, l’art. 2509 c.c. stabilisce che tali società “sono soggette alle norme della società per azioni, per ciò che riguarda gli obblighi relativi all'iscrizione degli atti sociali nel registro delle imprese e la responsabilità degli amministratori”.

6.5. Le procedure di insolvenza Le procedure di insolvenza si identificano con quelle procedure concorsuali che vengono attivate quando l’imprenditore si trova in “stato di insolvenza”93. Esse disciplinano il rapporto tra il soggetto insolvente ed i suoi creditori, con la presenza di un'autorità pubblica ed altri soggetti che variano a seconda della procedura e valutano la possibilità di prosecuzione dell' attività d'impresa, ovvero la liquidazione del patrimonio. Nell’ambito di tali procedure si inseriscono i procedimenti di esecuzione collettiva che, vista l’incapacità dell’imprenditore di adempiere regolarmente le obbligazioni assunte, sono finalizzati

Così, infatti, stabilisce espressamente l’art. 2508 c.c. (Società estere con sede secondaria nel territorio dello Stato) secondo cui “Le società costituite all'estero, le quali stabiliscono nel territorio dello Stato una o più sedi secondarie con rappresentanza stabile, sono soggette, per ciascuna sede, alle disposizioni della legge italiana sulla pubblicità degli atti sociali. Esse devono inoltre,pubblicare, secondo le medesime disposizioni, il cognome, il nome, la data e il luogo di nascita delle persone che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato, con indicazione dei relativi poteri”. 93 L’imprenditore è in “stato di insolvenza” quando non è più in grado di soddisfare le sue obbligazioni regolarmente, ovvero quando il suo patrimonio è in condizioni tali per cui egli non può pagare i debiti alle rispettive scadenze. (Auletta – Salanitro, Diritto commerciale, XVI ed., Giuffrè editore, 2008) 92

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al soddisfacimento dei creditori nel rispetto delle cause legittime di prelazione. Prima dell’entrata in vigore del regolamento del 29 maggio 2000 n. 1346, nel nostro ordinamento non vi era alcuna norma che, in maniera specifica, si occupasse di tali procedure in ambito cd. transfrontaliero94. Una tale lacuna normativa appariva in netta antitesi con la circostanza che, nel nostro ordinamento, cominciavano ad assumere notevole rilievo gli effetti delle procedure di insolvenza aperte in Italia nei confronti di imprenditori commerciali il cui patrimonio si trovasse anche all’estero, nonché a riconoscersi le decisioni di avvio di un procedimento di esecuzione collettiva emesse da autorità straniere sul presupposto dell’incapacità del debitore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. Altresì, si cominciava a registrare una sempre maggiore presenza, sul mercato mondiale, di aziende multinazionali, operanti, attraverso gruppi collegati di società di capitali, in tutti o quasi tutti gli Stati del mondo. Pertanto, era sempre più urgente la creazione di una regolamentazione che fosse in grado di disciplinare le conseguenze dell’eventuale fallimento di una di tali imprese.95 Finalmente, allo scopo di PROCEDURE DI INSOLVENZA armonizzare le normative -disciplinano il rapporto tra il soggetto sulle procedure di insolvente ed i suoi creditori; insolvenza vigenti nei vari -i procedimenti di esecuzione collettiva Stati dell’UE, ma anche per sono finalizzati a soddisfarre i creditori nel rispetto delle cause legittime di prelazione; arginare il fenomeno del cd. -reg. n. 1346/2000 entrato in vigore il 31 forum shopping e, quindi, maggio 2002. evitare che le imprese in stato di fallimento o i suoi creditori mirassero a trasferire beni o procedure giudiziarie in altri Stati membri con lo scopo di usufruire di un trattamento più favorevole, l’Unione europea ha Si definiscono “transfrontaliere” quelle procedure d’insolvenza che riguardano imprenditori o società commerciali aventi sedi in più Stati o che abbiano creditori sparsi in diversi Paesi. 95 L’art. 9 L. Fall. (completamente riformato dal reg. 1346/2000 e poi modificato dal D.Lgs. 5/2006 di riforma delle procedure concorsuali) si occupava solo incidentalmente del problema né, tantomeno, la L. 218/95 aveva colmato una tale assenza normativa. 94

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adottato il reg. n. 1346/2000, entrato in vigore il 31 maggio 2002, relativo alle procedure di insolvenza e con cui si è quasi integralmente recepita la Convenzione per la disciplina del fallimento transfrontaliero del 23 novembre 1995. Le disposizioni ivi contenute sono direttamente applicabili, in tutti gli Stati dell’Unione, alle procedure successive al 31-5-2002 e, quindi, ogni persona può avvalersene direttamente innanzi ai giudici nazionali, anche se il debitore è persona fisica. Sono, invece, escluse espressamente dal suo campo di applicazione le imprese di assicurazione e gli enti creditizi e di investimento (per questi ultimi è stato adottato un altro regolamento). Per quanto tale regolamento rappresenti, senza dubbio, una “buona legge”, in quanto SECONDO IL REG. CE n. 1346/2000 LA stabilisce un accettabile PROCEDURA DI INSOLVENZA: punto di equilibrio tra - deve avere carattere concorsuale; esigenze contrapposte e - richiede che si accerti l’insolvibilità del non sempre facilmente debitore; conciliabili, non può, - deve comportare lo spossessamento del debitore; tuttavia, non evidenziarsi - richiede la designazione di un curatore. come lo stesso presenti La competenza ad aprire la procedura di delle lacune. Da un lato, insolvenza spetta al Tribunale dello Stato membro nel cui territorio si trova il “centro infatti, omette di regolare le degli interessi principali del debitore”. procedure concorsuali Il regolamento stabilisce la coincidenza tra utilizzabili nelle ipotesi di forum e ius. insolvenza transfrontaliera (si utilizzeranno, invero, quelle già esistenti nei diversi ordinamenti fallimentari), dall’altro lato, omette di descrivere gli elementi soggettivi ed oggettivi che permettono di avviarle. Il Regolamento, infatti, si limita ad indicare quattro elementi utili ad identificare la procedura di insolvenza, ovvero: a)il carattere concorsuale, nel senso che i diritti di tutti i creditori vengono esaminati nello stesso momento e vengono, conseguentemente, sospese le azioni individuali; b)l’insolvibilità del debitore, nel senso che occorre accertare che lo stesso non è in grado di soddisfare le sue obbligazioni; c)deve comportare lo spossessamento del debitore, il quale, quindi, viene limitato nel suo potere di gestione e disposizione dei propri beni;

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d)e, da ultimo, vi deve essere la designazione di un curatore, il quale può esercitare i suoi poteri in ogni Stato membro. Sono poi i singoli Stati membri che indicano quali siano le loro procedure interne che possono essere utilizzate a tale scopo (e che vengono così inserite negli elenchi allegati al Regolamento), con la precisazione che, come emerge chiaramente dal Regolamento stesso, le procedure possono essere anche di natura non giurisdizionale. Questa circostanza non rappresenta di per sé un problema ma, inevitabilmente, porta a domandarsi due cose: da un lato, infatti, poiché tutto il regolamento ruota attorno alla previsione di un riconoscimento automatico delle decisioni adottate nel corso della procedura principale in tutti gli Stati membri, senza alcun tipo di formalità, se ciò non dà luogo a particolari problemi allorquando si tratti di decisioni adottate dall’autorità giudiziaria nell’ambito di procedure strictu sensu giurisdizionali, o comunque riconducibili all’esercizio della giurisdizione, potrebbe, però, darne quando si tratti di provvedimenti amministrativi, adottati da autorità non giurisdizionali più o meno indipendenti. In secondo luogo, ogni qual volta la procedura sia affidata a organi non giurisdizionali, sorgono anche difficoltà di carattere operativo. Invero, ci si chiede da un lato se esista la possibilità di promuovere un eventuale rinvio pregiudiziale ex art. 234 tratt. CE (rinvio che è notoriamente proponibile solo da organi giudiziari e che finora, a quanto consta, è già stato utilizzato due volte nelle materia coperte dal Regolamento 1346/2000, ossia nel caso StaubizSchreiber su decisione del Bundesgerichtshof tedesco del 27 novembre 2003, e nel caso Eurofood su iniziativa della Supreme Court irlandese con decisione del 27 luglio 2004), dall’altro lato, in caso di risposta affermativa, a chi spetti la legittimazione attiva. A tali quesiti, non è ancora stata data risposta. La competenza ad aprire la procedura di insolvenza spetta al Tribunale dello Stato membro nel cui territorio si trova il “centro degli interessi principali del debitore” (di solito inteso come luogo in cui questi svolge abitualmente la propria attività) che, per le società, coincide generalmente, con la sede statutaria.96 96

Diverse pronunce giurisprudenziali hanno, man mano, cominciato a dare rilievo anche al concetto di sede effettiva. Ad esempio, si legge in Cass. S.U. n. 2243/2015

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Il regolamento stabilisce la coincidenza tra forum e ius, nel senso che alla procedura di insolvenza si applica la legge dello Stato membro nel quale la stessa è stata aperta e la decisione, presa da un giudice competente, di aprire detta procedura, trova automatico riconoscimento in tutti gli Stati membri quando produce effetto nello Stato medesimo senza necessità di ulteriori formalità (cd. self execution a livello comunitario della decisione di apertura della procedura). È evidente come la nozione di “interessi principali” sia piuttosto vaga e indefinita e si presti a svariate interpretazioni.97 Orbene, se si considera che il Regolamento non prevede alcuno strumento sopranazionale per la regolamentazione dei rapporti tra le giurisdizioni degli Stati membri, ancorando il radicamento della giurisdizione esclusivamente alla nozione in discorso, è agevole comprendere come sia ben possibile che più Stati si ritengano competenti ad aprire la procedura d’insolvenza transfrontaliera, generando un conflitto positivo di giurisdizione, oppure – ma il caso appare di scuola – che nessuno degli Stati membri affermi l’esistenza di tale competenza, dando così luogo a un conflitto negativo di giurisdizione.98

che “Ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, del Regolamento Ce 29-5-2000, n. 1346/2000, relativo alle procedure di insolvenza, sono i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro di interessi principali del debitore, presumendosi, per le società e le persone giuridiche, che il centro di interessi coincida, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria, sicché, quando risulti accertata una discrepanza tra sede legale e sede effettiva, è l’indicazione di quest’ultima a dover prevalere ed a costituire il criterio determinante della giurisdizione”. Ancora, la Cassazione (sent. n. 9414/2013) ha stabilito che la presunzione, in base alla quale il centro principale degli interessi del debitore coincide con la sede legale, non ha carattere assoluto e può essere superata da una prova contraria. Sulla possibilità di non ritenere effettivo e, dunque, rilevante, ai fini della giurisdizione e della legge applicabile, il trasferimento della sede sociale all’estero, la Corte di Giustizia, UE, Sez. I, n. 396/2011, ha statuito che “la presunzione di coincidenza tra centro degli interessi principali del debitore e sede sociale può essere ribaltata a condizione che tale conclusione sia il risultato di una valutazione globale di tutti gli elementi di fatto e che tale difformità (tra sede sociale formale e centro degli interessi effettivo) sia, in qualche modo riconoscibile da parte di terzi”. 97 Fumagalli, Il regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza, in Riv. dir. proc., 2001, p. 688. 98 Diversamente dal conflitto positivo, il conflitto negativo di giurisdizione non viene preso in alcuna considerazione dal Regolamento. Quindi, se nessuno degli Stati

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Approfondimenti Applicazioni giurisprudenziali Si pensi, per esempio, al noto caso Eurofood IFSC Ltd., società controllata dalla Parmalat s.p.a., che è stata sottoposta all’apertura di una procedura di winding up (procedura concorsuale di fallimento) da parte della High Court irlandese, con nomina di un liquidatore provvisorio, e pressoché contemporaneamente ad amministrazione straordinaria ex art. 3, 3° comma, d.l. 347/2003 da parte del Ministro per le Attività Produttive italiano, in collegamento con il dissesto del gruppo Parmalat, e successivamente a dichiarazione dello stato d’insolvenza da parte del Tribunale di Parma. La High Court, ritenendo scorretta la decisione dei giudici italiani, e dunque ritenendo di non essere stata privata del potere giurisdizionale, ha sottoposto la Eurofood alla procedura di winding up e la sua decisione è stata confermata dalla Supreme Court, che ha tuttavia deciso di sollevare una questione di interpretazione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 234 Trattato CE. Quest’ultima (con decisione del 2 maggio 2006, causa C341/04), ha risolto il conflitto a favore del giudice irlandese, ritenendo che si dovesse dare prevalenza alla sede legale (la quale poteva essere intesa come sede effettiva della società), ubicata in territorio irlandese.

Inoltre, il criterio di collegamento rappresentato dal centro degli interessi principali si coniuga con un altro criterio, il quale deve essere utilizzato quando la richiesta di apertura della procedura d’insolvenza venga rivolta a più Stati che possano astrattamente ritenersi tutti competenti. In tali casi, infatti, il Regolamento considera come procedura principale quella che viene aperta per prima, anche se la richiesta dovesse essere stata presentata successivamente. In tal modo, però, non si può affatto escludere che la soluzione prescelta dal legislatore comunitario possa, nel concreto, generare distorsioni nel sistema, atteso che non viene favorito il Paese dove effettivamente esiste il “centro degli interessi principali”, ma quello che riesce ad aprire più prontamente la procedura d’insolvenza. Dunque, la scelta della giurisdizione competente finisce, di fatto, con l’essere rimessa alle parti, che membri si ritiene competente ad aprire la procedura d’insolvenza transfrontaliera, si pone un evidente problema di vuoto di tutela, in quanto non esiste nessuna possibilità di ingerenza esterna da parte degli organi di un altro Stato membro oppure delle istituzioni comunitarie, atteso che la decisione in ordine all’apertura della procedura spetta solo all’autorità giudiziaria o amministrativa del singolo Stato.

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opteranno per l’uno o per l’altro giudice nazionale anche sulla base delle prospettive di maggiore o minore celerità nella decisione sulla domanda e sulla consequenziale apertura della procedura: è doveroso evidenziare che, in questo modo, non è affatto escluso che si verifichino ancora quei fenomeni di forum shopping che il reg. 1346/2000 è destinato a contrastare.

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CAPITOLO SETTIMO LA FORMA E LA PUBBLICITÀ DEGLI ATTI Sommario: 7.1. La forma degli atti – 7.2. La pubblicità degli atti

7.1. La forma degli atti

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L’abrogato art. 26 disp. prel. c.c. regolava in modo tendenzialmente generale il problema del diritto applicabile alla forma degli atti tra vivi e quelli di ultima volontà. Invero, in merito alla legge applicabile alla forma degli atti indicava tre criteri di collegamento alternativi: quello del luogo nel quale l’atto è compiuto (lex loci actus); quello della legge che regola la sostanza dell’atto, in assenza di norme specifiche (lex substantiae); quello della legge nazionale di una o di entrambe le parti in comune a seconda che si trattasse di atto unilaterale o bilaterale (lex patriae). La L. 218/95 non contiene un’analoga disposizione di carattere generale. La forma degli atti è, pertanto, regolata: da norme specifiche all’interno della legge 218/95; dalla lex substantiae. Sebbene manchi una FORMA DEGLI ATTI disposizione di carattere - è regolata o da norme specifiche della L. generale in tema di forma, si 218/95 o dalla lex substantiae; può ragionevolmente - scopo del legislatore è la conservazione del negozio. ritenere che lo scopo perseguito dal legislatore è comunque quello della conservazione del negozio. Quest’ultimo è perseguito sia mediante l’adozione di una regolamentazione specifica prevista per la forma e diversa da quella che disciplina la sostanza dell’atto (attraverso la tecnica del depèçage: Cap. II, par. 2.3.2), sia con la frequente previsione di un concorso alternativo di criteri di collegamento per la regolamentazione della forma (diversi rispetto a quelli che regolano la sostanza). Ciò conferma, 131


pertanto, la tendenza alla “liberale tolleranza” riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza in materia di disciplina internazional-privatistica della forma degli atti in generale, finalizzata a realizzare il principio del favor validitatis.99 Dal punto di vista strettamente processuale, invece, colui che agisce per l’invalidità dell’atto deve offrirne la prova relativamente ad ognuno degli ordinamenti richiamati (ad esempio, fino a sette, per invocare la nullità del testamento). Le norme specifiche all’interno della L. 218/95 prevedono tutte il concorso alternativo di criteri di collegamento. A titolo esemplificativo, ai sensi dell’art. 48 “Il testamento è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge dello Stato nel quale il testatore ha disposto, ovvero dalla legge dello Stato di cui il testatore, al momento del testamento o della morte, era cittadino o dalla legge dello Stato in cui aveva il domicilio o la residenza”; in tema di rapporti patrimoniali tra coniugi, l’art. 30, comma 2 stabilisce che “L'accordo dei coniugi sul diritto applicabile è valido se è considerato tale dalla legge scelta o da quella del luogo in cui l'accordo è stato stipulato”; ai sensi dell’art. 56, comma 3, “La donazione è valida, quanto alla forma, se è considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato nel quale l'atto è compiuto”; in tema di rappresentanza volontaria, l’art. 60, comma 2 dispone che “L'atto di conferimento dei poteri di rappresentanza è valido, quanto alla forma, se considerato tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui è posto in essere”.

7.2. La pubblicità degli atti Quando si parla di pubblicità degli atti si fa riferimento alla cd. opponibilità degli atti ai terzi ovvero agli strumenti che devono o

Ad esempio, l’art. 57 L. 218/95 richiama la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aderendo alla sua disciplina anche in tema di forma. Anche la Convenzione è ispirata al favor validitatis, prevedendo, ai fini della validità formale dell’atto, un concorso alternativo di criteri di collegamento. 99

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possono essere impiegati per far sì che l’atto in questione venga portato a conoscenza degli altri consociati (ad esempio, trascrizione, registrazione, affissione, etc.). L’unica indicazione PUBBLICITÀ DEGLI ATTI normativa rinvenibile nella L. L’art. 55 è l’unica indicazione normativa 218/95 in tema di pubblicità rinvenibile nella L. 218/95 che disciplina espressamente le forme di pubblicità degli è l’art. 55 (che riproduce atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti sostanzialmente l’abrogato reali. art. 26, comma 2, delle preleggi), il quale disciplina espressamente le forme di pubblicità degli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali stabilendo che esse devono essere regolate dalla legge del luogo in cui le cose che formano oggetto di tali diritti si trovano al momento dell’atto (indica, quindi, anche il tempo di individuazione della lex rei sitae). Manca, invece, un’esplicita indicazione normativa circa le forme di pubblicità da adottare per gli atti diversi da quelli che incidono su diritti reali. A tal proposito, essendo prioritaria la tutela dell’affidamento dei terzi, si ritiene debba applicarsi la legge del luogo in cui si concentra l’interesse ad avere conoscenza dell’atto stesso. Ad esempio, per la pubblicità di atti relativi alle vicende di una società commerciale si potrà fare riferimento alla legge del luogo in cui la società ha sede o, comunque, svolge la sua attività. Nel caso si tratti di atti rispetto ai quali una tale localizzazione territoriale appare difficoltosa, ci si potrà riferire ai criteri di collegamento previsti per il tipo di rapporto in esame. Ad esempio, se si tratta di una notificazione della cessione di un credito pecuniario, vista la difficoltà ad individuare il centro di interessi, si potranno utilizzare i criteri di collegamento stabiliti per le obbligazioni contrattuali.

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CAPITOLO OTTAVO IL MATRIMONIO Sommario: 8.1. Le fonti della disciplina – 8.2. I presupposti del matrimonio – 8.2.1. La promessa di matrimonio – 8.2.2. I requisiti per contrarre matrimonio – 8.2.3. Lo status riconosciuto a chi contrae all’estero un matrimonio poligamico o omosessuale – 8.2.4. Le pubblicazioni – 8.3. La celebrazione del matrimonio – 8.4. Il matrimonio concordatario – 8.5. La trascrizione del matrimonio all’estero – 8.5.1. La trascrivibilità del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso – 8.6. I rapporti coniugali – 8.6.1. I rapporti personali tra i coniugi – 8.6.2. I rapporti patrimoniali tra i coniugi – 8.7. La separazione e il divorzio – 8.8. Il regolamento 1259/2010 – 8.9. La giurisdizione – 8.9.1. L’efficacia delle decisioni in materia di annullamento, separazione e divorzio

8.1. Le fonti della disciplina Nel nostro sistema la disciplina internazional-privatistica del matrimonio è data dal concorrere della disciplina nazionale con quella comunitaria e dalla residuale rilevanza di convenzioni internazionali. In particolare, la L. 218/95 si occupa di regolare le questioni inerenti: la promessa di FONTI DELLA matrimonio e la legge ad essa applicabile DISCIPLINA (art. 26), la costituzione del rapporto per - L. 218/95 ciò che concerne capacità, requisiti - Reg. 1259/2010 - Reg. 2201/2003 sostanziali e formali (artt. 27 e 28, nonché 115 e 116 c.c.), i rapporti personali e patrimoniali tra coniugi (artt. 29 e 30) e la relativa giurisdizione (per la quale valgono le norme generali sulla giurisdizione contenziosa e volontaria). È, invece, oggetto di disciplina comunitaria la determinazione della legge applicabile alla separazione e al divorzio. Il regolamento 1259/2010 (relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale), in vigore dal 21 giugno 2012, ha sostituito interamente, per ciò che concerne la stessa materia, l’art. 31 L. 218/95.

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Il regolamento è stato adottato, nell’esercizio della cooperazione rafforzata, da un gruppo ristretto di Stati membri100. Pertanto, per i restanti continuano a valere le rispettive norme nazionali, salvo la possibilità di successive partecipazioni alla cooperazione. La giurisdizione e il riconoscimento delle decisioni in materia di annullamento, separazione e divorzio risultano coordinati tra tutti gli Stati membri, eccetto la Danimarca, dal reg. 2201/2003, che contiene, altresì, la disciplina della responsabilità genitoriale ed ha sostituito, a partire dal 1° agosto 2005, il reg. 1347/2000 (relativo alla responsabilità dei genitori esclusivamente nei confronti dei figli legittimi). Non sono assimilati al matrimonio e, quindi, non sono soggetti alle norme che a questo istituto si riferiscono, i vincoli derivanti da patti di convivenza o unioni civili registrate.101 Il nostro legislatore, però, ormai da parecchio tempo, sta prendendo in considerazione la possibilità di introdurre nel nostro ordinamento una disciplina relativa a tali vincoli. Ne deriva, quindi, che questi ultimi, quando istituiti in base ad una legge straniera, non possono essere considerati contrari all’ordine pubblico neanche nell’ipotesi in cui dovessero riguardare rapporti omosessuali o cittadini italiani. Pertanto, sebbene il rapporto non possa essere validamente costituito in Italia, può, invece, essere riconosciuta la sua esistenza e validità, anche quando è coinvolto un cittadino italiano, in virtù della legge in forza della quale esso è stato costituito. Gli effetti di tale rapporto potranno essere fatti valere in Italia, in quanto si tratta di diritti della personalità meritevoli di tutela giuridica (sempre, ovviamente, che non contrastino con l’ordine pubblico). Per quanto riguarda il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso, ad oggi, la giurisprudenza continua a ribadire la loro inefficacia nel nostro ordinamento, non per contrasto con l’ordine pubblico, Oltre l’Italia, l’Austria, il Belgio, la Bulgaria, la Francia, la Germania, la Lettonia, la Lituania, il Lussemburgo, Malta, il Portogallo, la Romania, la Slovenia, la Spagna, l’Ungheria. 101 Si tratta, infatti, di figure non ancora accolte nel diritto civile italiano, sebbene possano avere rilievo come situazioni eventualmente annotate in pubblici registri al fine della fruizione di determinati servizi o per la attribuzione di alcuni diritti, quale la concessione del permesso di soggiorno al convivente anche di fatto (Trib. Firenze, decr. 7 luglio 2005, RIPP, 2007, 144). 100

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ma per inesistenza del matrimonio come istituto, in quanto questo presuppone la diversità di sesso tra i nubendi.

8.2. I presupposti del matrimonio

8.2.1. La promessa di matrimonio La promessa di matrimonio (cd. sponsali) consiste nell’impegno reciproco di prendersi come marito e moglie. L’art. 26 L. 218/95 stabilisce che “La promessa di matrimonio e le conseguenze della sua LA PROMESSA DI MATRIMONIO violazione sono regolate dalla Ai sensi dell’art. 26 L. 218/95 è regolata legge nazionale comune dei dalla legge nazionale comune dei nubendi o, in mancanza, dalla nubendi o, in mancanza, dalla legge italiana. legge italiana”. Pertanto, nel caso in cui manchi una legge comune troverà applicazione la lex fori, ovvero la legge italiana (concorso successivo di criteri di collegamento). La scelta della lex fori si spiega con la volontà di preferire un criterio di collegamento neutro, non essendo più consentito stabilire la prevalenza della legge nazionale del marito. L’ambito di applicazione dell’art. 26 comprende anche l’ammissibilità e il contenuto della promessa, la forma e le conseguenze della sua rottura. Approfondimenti La promessa di matrimonio in Italia Nel nostro ordinamento, la promessa di matrimonio è regolata dagli artt. 79 e ss. c.c. ed assume rilievo giuridico qualora la promessa non sia rispettata da uno dei partner, senza giustificato motivo o quando vi sia stato rifiuto a contrarre matrimonio per comportamento colpevole dell’altra parte. Solo in tali casi si potrà chiedere il risarcimento del danno (e chiedere con istanza, autonomamemnte o congiuntamente alla richiesta di risarcimento, la restituzione dei doni fatti) per le spese compiute e per le obbligazioni assunte a causa della promessa di matrimonio rimasta inattesa. Tale diritto può essere

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fatto valere entro un anno dal giorno del rifiuto alla celebrazione del matrimonio.

8.2.2. I requisiti per contrarre matrimonio Ai sensi dell’art. 27 L. 218/95, la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio (l’età, la capacità naturale, l’assenza di precedenti CONDIZIONI PER CONTRARRE MATRIMONIO vincoli matrimoniali validi, Ai sensi dell’art. 27 L. 218/95 sono regolate etc.) sono regolate dalla dalla legge nazionale di ciascuno dei legge nazionale di ciascun nubendi al momento della celebrazione. Tale legge non può essere applicata se nubendo al momento del produce effetti contrari all’ordine pubblico. matrimonio. Pertanto, sarà Resta salvo lo stato libero che uno dei la legge nubendi abbia acquistato per effetto di un applicabile giudicato italiano o riconosciuto in Italia. nazionale dei nubendi e, se diversa, quella di ciascuno di essi disgiuntamente, salva la possibilità che una di queste leggi attribuisca a determinati impedimenti un rilievo “bilaterale”. Sono impedimenti bilaterali (o “doppi”) quelli che stabiliscono con chi il nubendo non può contrarre matrimonio, e si oppongono alla celebrazione anche se non sono previsti dalla legge nazionale dell’altro nubendo. Un impedimento bilaterale previsto dalla legge italiana è, ad esempio, la parentela. Pertanto, mentre gli impedimenti unilaterali indicano chi non si può sposare, quelli bilaterali con chi non ci si può sposare (Barbiera). Nel caso di impedimenti unilaterali va applicata solo una legge nazionale, mentre nel caso di impedimenti bilaterali vanno prese in considerazione entrambe le leggi nazionali degli sposi. Vi sono alcuni casi in cui è controversa la qualificazione dell’impedimento, come, per esempio, nell’ipotesi di mancanza di stato libero. Se si aderisce alla tesi dell’unilateralità (Storace), è sufficiente che lo stato libero sia riconosciuto dallo Stato di appartenenza di uno dei due nubendi per la validità del matrimonio; diversamente, aderendo alla tesi della bilateralità (Vitta), è necessario che lo stato libero sia riconosciuto da entrambi gli ordinamenti. L’art. 27, facendo salvo lo stato libero che uno dei nubendi abbia acquistato per effetto di un giudicato italiano o riconosciuto in Italia (a prescindere dallo status che il 138


suo ordinamento nazionale gli attribuisce), sembra aderire alla tesi dell’unilateralità. In ipotesi del genere si potrebbe anche verificare che un impedimento di ordine pubblico per un Paese non sia considerato tale per l’altro ordinamento: si parlerà, allora, di matrimonio “claudicante”, ossia di un matrimonio valido per un solo ordinamento. Per evitare un fenomeno del genere, l’Italia (ma anche altri Stati), all’art. 116 c.c. richiede che la celebrazione del matrimonio sia preceduta dal rilascio, da parte della competente autorità straniera, del certificato da cui risulti la capacità matrimoniale del nubendo, secondo la legge del Paese di cittadinanza (cd. nulla-osta per quello specifico matrimonio e non per un matrimonio in generale). Tuttavia, quando viene lesa la libertà della persona nella sua autodeterminazione al matrimonio, devono essere applicati i principi di ordine pubblico internazionale che consentono allo straniero di poter validamente contrarre matrimonio, anche nell’impossibilità di produrre il suddetto nulla-osta (è il caso, per esempio, della donna musulmana che decide di contrarre matrimonio con un non-islamico e, per tale ragione, si vede negato il nulla-osta). L’art. 27 non ha inciso sulla disciplina stabilita dall’art. 115 c.c., per l’italiano che contrae matrimonio all’estero, e dall’art. 116 c.c., per lo straniero che contrae matrimonio in Italia, in quanto norme di applicazione necessaria e, dunque, dotate di efficacia assoluta nel territorio dello Stato. In particolare, ai sensi dell’art. 115 c.c (Matrimonio del cittadino all’estero), il cittadino italiano, che intende sposarsi all’estero secondo le forme ivi stabilite, è comunque soggetto alle disposizioni del codice civile che stabiliscono le condizioni necessarie per contrarre matrimonio, anche se, per l’effetto delle regole di conflitto del luogo di celebrazione, la sua capacità matrimoniale e l’ammissione del matrimonio potrebbero essere sottoposte ad altra legge. Diversamente, il matrimonio contratto all’estero potrebbe non ottenere riconoscimento né essere registrabile in Italia. L’art. 116 c.c. (Matrimonio dello straniero nello Stato) stabilisce che anche il cittadino straniero, che intenda contrarre matrimonio in Italia, oltre a dover presentare una dichiarazione di nulla-osta rilasciata dall’autorità competente del proprio Paese deve, altresì, rispettare alcune condizioni relative alla capacità di

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contrarre matrimonio dei cittadini italiani (libertà di stato, assenza di provvedimenti di interdizione per infermità di mente, etc). L’art. 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009 n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), al fine di ridurre il fenomeno dei cd. “matrimoni di comodo” con cittadini italiani da parte di soggetti clandestini che mirano a regolarizzare la propria posizione e a conseguire, per effetto del matrimonio, la cittadinanza italiana, richiede che lo straniero Corte Cost. sent. n. 245/2011 presenti, oltre al Nel dichiarare la parziale illegittimità della summenzionato nulla-osta, disposizione, la Corte osserva che: “è un “documento certamente vero che la <<basilare anche differenza esistente tra il cittadino e lo attestante la regolarità del straniero […] può giustificare un loro soggiorno nel territorio diverso trattamento nel godimento di certi italiano”. Di quest’ultima diritti (sent. n. 104/1969), […] l’individuazione delle quali resta collegata parte della disposizione, la alla ponderazione di svariati interessi Corte Costituzionale, con pubblici (sent. n. 62/1994), quali quelli sentenza n. 245/2011, ha concernenti la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di dichiarato l’illegittimità per carattere internazionale e la politica contrasto con gli artt. 2, 3, nazionale in tema di immigrazione (cit. 29, 31, 117, 1°comma, della sent. n. 62/94). Tuttavia, resta pur sempre fermo –come questa Corte ha di recente Costituzione. L’art. 116 c.c. nuovamente precisato- che i diritti citato, infatti, prima inviolabili, di cui all’art. 2 Cost., spettano ai dell’intervenuta pronuncia, singoli non in quanto partecipi di una faceva carico allo straniero determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani, di talché la che intendesse contrarre condizione giuridica dello straniero non matrimonio in Italia, di deve essere, pertanto, considerata –per produrre tale atto sul quanto riguarda la tutela di tali diritti- come esplicitato causa ammissibile di trattamenti presupposto, diversificati e peggiorativi (sent. n. dalla circolare interpretativa 249/2010)>>” (C. Cost. 25 luglio 2011, n. del Ministero dell’Interno 7 245). agosto 2009 n. 19, che la regolare permanenza sul territorio nazionale doveva “sussistere all’atto della pubblicazione e al momento della celebrazione del matrimonio”. Sulla base di tale pronuncia, quindi, tale documento non risulta più necessario. In assenza delle condizioni prescritte, l'ufficiale di stato civile non può compiere gli atti richiesti. Lo straniero, altresì, deve rispettare alcune delle condizioni relative alla capacità di contrarre matrimonio prescritte dalla 140


legge italiana (artt. 85, 86, 87 – num. 1,2,4 - 88 e 89 c.c.) come, ad esempio, la libertà di stato (art. 86 c.c.). Tali condizioni, previste da norme di applicazione necessaria, si applicano cumulativamente a quelle richieste dalla legge nazionale del nubendo.

8.2.3. Lo status riconosciuto a chi contrae all’estero un matrimonio poligamico o omosessuale In caso di matrimonio omosessuale contratto all’estero, non sarà possibile riconoscere alle parti alcuno status coniugale, in quanto la giurisprudenza esclude la possibilità di riconoscere un tale tipo di unione, atteso che l'uguaglianza di sesso tra chi contrae matrimonio impedisce la sussistenza stessa del vincolo coniugale, il quale richiede come presupposto la diversità di sesso dei nubendi. La giurisprudenza, infatti, non riconosce il matrimonio contratto all’estero neppure ai fini della trascrizione. Con la sentenza n. 4184/2012, la Corte di Cassazione, dimostrandosi però sensibile alle sempre più insistenti istanze di uguaglianza di trattamento, ha stabilito che le persone omosessuali, conviventi in stabili relazioni di fatto, possono, in specifiche situazioni, agire in giudizio al fine di reclamare un trattamento omogeneo rispetto ai conviventi eterosessuali. Circa i matrimoni poligamici, essendo assodata l’impossibilità di ammettere una simile unione in Italia, si consente, tuttavia, il riconoscimento di qualcosa di già esistente, se ciò è finalizzato a garantire una maggiore tutela alla persona. Ad esempio, sarà possibile riconoscere lo status coniugale di una donna islamica affinché venga ammessa alla successione ereditaria. Si tratta, in questo caso, del summenzionato "funzionamento attenuato" del limite dell'ordine pubblico (vedi supra, Cap. IV, par. 4.5.4) in quanto il giudice italiano si limita a riconoscere gli effetti già prodotti all'estero.

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8.2.4. Le pubblicazioni Le pubblicazioni di matrimonio hanno la funzione di facilitare la conoscenza, rendendo nota la notizia del matrimonio, di eventuali impedimenti. Il sistema italiano di d.i.p. individua espressamente la legge applicabile alle pubblicazioni stabilendo, con norme di applicazione necessaria, che le norme italiane debbono essere osservate tanto da parte del cittadino che contrae matrimonio all’estero quanto da parte dello straniero che, residente o domiciliato in Italia, intenda contrarre matrimonio nel territorio dello Stato (artt. 115, 116 c.c.; D.P.R. 396/2000).

8.3. La celebrazione del matrimonio Per quanto riguarda la celebrazione del matrimonio, - art. 28 L. 218/95; l’art. 28 L. 218/95 stabilisce che - la scelta tra gli alternativi criteri di collegamento individuati dalla norma “Il matrimonio è valido, quanto deve avvenire in ossequio al principio generale della conservazione dell’atto. alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento”. La legge del luogo di celebrazione consente, quindi, al cittadino italiano di contrarre matrimonio all’estero nei limiti previsti dalla legge dello Stato di celebrazione, e allo straniero di sposarsi in Italia in forma civile o, se ne ricorrono i presupposti, in forma concordataria o anche ad opera di un ministro di culto acattolico in base alla legge 1159/1929 sui culti ammessi o alle intese tra Stato e confessioni religiose102. I cittadini stranieri, in questo modo, potranno seguire in Italia le forme della loro legge FORMA DEL MATRIMONIO

L’assurda limitazione aggiunta all’art. 116 c.c. (disposta con legge n. 94/2009), che richiedeva allo straniero, per la ammissione del matrimonio in Italia, la regolarità del soggiorno nel territorio dello Stato, in palese contrasto con il diritto a contrarre matrimonio, ha trovato facilmente sanzione di incostituzionalità (Corte Cost., 20 luglio 2011, n. 245, RIPP, 2012). 102

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nazionale, purchè non contrarie all’ordine pubblico, anche se appaiano inconsuete rispetto alle nostre pratiche103. La legge nazionale di almeno uno dei coniugi permette, invece, la celebrazione del matrimonio in Italia, ad opera degli agenti consolari stranieri, o all’estero, ad opera degli agenti consolari italiani, in base alle norme previste dalla propria legge nazionale. Si ritiene, altresì, che la scelta tra gli alternativi criteri di collegamento individuati dalla norma debba avvenire in ossequio al principio generale della conservazione dell’atto e, quindi, scegliendo la legge che, meglio delle altre, assicura la piena validità ed efficacia dell’atto.

8.4. Il matrimonio concordatario Oltre al matrimonio regolato dal MATRIMONIO CONCORDATARIO codice civile, il nostro Per gli italiani che si sposano ordinamento contempla il cd. all’estero: matrimonio concordatario. se lo Stato estero non riconosce il matrimonio concordatario: per la Esso si caratterizza per il fatto dottrina maggioritaria, le norme che, pur essendo in larga parte concordatarie hanno efficacia solo nell’ambito dello Stato italiano; altra disciplinato dal diritto canonico parte della dottrina, ma soprattutto la per ciò che concerne i requisiti, giurisprudenza, riconoscono, invece, efficacia extraterritoriale alle norme la forma, l’invalidità, etc., concordatarie. produce gli stessi effetti di Per i cittadini stranieri che si sposano in Italia: quello celebrato civilmente a per la dottrina si applica l’art. 27 L. condizione che si rispettino 218/95; per la giurisprudenza, invece, dovrebbe applicarsi l’art. 28 (forma del ulteriori adempimenti richiesti matrimonio). dalla legge civile (come, per esempio, pubblicazioni, lettura da parte del ministro di culto degli artt. 143, 144 e 147 c.c. riguardanti i diritti e doveri dei coniugi, trascrizione dell’atto nei registri dello stato civile, etc.).

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Come, per esempio, la possibilità, riconosciuta ai cittadini pakistani, di cui uno residente in Italia, di contrarre matrimonio in forma di comunicazione telefonica (Trib. Bologna, decr. 7 gennaio 2014, RIPP, 2014). Oppure, la Cassazione ha ritenuto valido il matrimonio celebrato all’estero indipendentemente dalla trascrizione poiché questa ha natura certificativa e non costitutiva (Cass., n. 17620/2013).

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Nell'atto possono essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite dalla legge civile (scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni ed il riconoscimento di un figlio naturale). L'atto di matrimonio, formato dal parroco celebrante e sottoscritto dagli sposi e dai testimoni, deve essere trasmesso entro cinque giorni all'ufficiale di stato civile per la trascrizione nei registri di stato civile, trascrizione che ha efficacia costitutiva del vincolo nell'ordinamento italiano. L'ufficiale di stato civile effettua la trascrizione entro ventiquattro ore dal ricevimento dell'atto e ne dà notizia al parroco. La trascrizione opera retroattivamente: gli effetti civili del matrimonio si producono, quindi, dal giorno della sua celebrazione. In presenza di impedimenti inderogabili secondo la legge civile, la trascrizione non può avere luogo. Se il termine di cinque giorni non viene rispettato, si ha trascrizione tardiva che però è ammessa solo su richiesta concorde dei coniugi o su richiesta di uno solo di essi, ma con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro. Non è ammessa la trascrizione post mortem. Circa la possibilità dei cittadini italiani di contrarre matrimonio all’estero con le forme del matrimonio concordatario, nessun problema si pone nel caso in cui i matrimoni religiosi siano riconosciuti dallo Stato estero in cui vengono celebrati, in quanto, in tale ipotesi, i nubendi utilizzano la legge del luogo in cui il matrimonio viene celebrato e tale facoltà viene loro riconosciuta ai sensi dell’art 28 L. 218/95. Nel caso in cui, invece, lo Stato estero non riconosca il matrimonio religioso e i cittadini italiani intendano, quindi, utilizzare la disciplina del matrimonio concordatario come propria legge nazionale, si registra qualche incertezza, soprattutto da parte della dottrina. La dottrina maggioritaria (Vita, Morelli, Balladore, Pallieri), infatti, è orientata in senso negativo, ritenendo che le norme concordatarie (ed anche le leggi italiane che ad esse hanno dato attuazione), avrebbero efficacia esclusivamente nell’ambito dello Stato italiano. Invero, sostengono, che le norme del concordato, proprio perché derogano alla legislazione matrimoniale generale, non possono essere considerate, ai fini internazional-privatistici, come legge matrimoniale nazionale dei cittadini italiani e, per tale ragione, non possono essere applicate all’estero. 144


Altra parte della dottrina, ma soprattutto la giurisprudenza, riconoscono alle norme concordatarie efficacia extraterritoriale, con la possibilità, quindi, per i cittadini italiani, che intendono contrarre matrimonio in un paese diverso dall’Italia, di poterne fare uso all’estero. In questo modo sarebbero pienamente validi ed efficaci anche in Italia i matrimoni concordatari celebrati tra cittadini italiani in Stati in cui (come, per esempio, Francia o Germania) non vengono riconosciuti effetti civili ai matrimoni religiosi. A sostegno di tale tesi c’è chi ha evidenziato che nel nostro ordinamento non sussiste alcuna norma che limita all’Italia l’efficacia territoriale delle disposizioni concordatarie (così Ballarino). Circa, invece, la possibilità per i cittadini stranieri di celebrare in Italia un matrimonio in forma concordataria, dottrina e giurisprudenza appaiono divise104. Invero, la dottrina ritiene che la disciplina del matrimonio canonico o concordatario non riguardi soltanto questioni inerenti alla forma dell’atto, ma anche aspetti sostanziali (ad esempio, in tema di condizioni di capacità e requisiti del consenso). In tal caso, quindi, occorre fare riferimento all’art. 27 che, nel disciplinare proprio gli aspetti sostanziali del matrimonio, impone l’applicazione della legge nazionale degli stranieri che intendono sposarsi in Italia. Diversamente, invece, la giurisprudenza considera il matrimonio concordatario solo una delle forme matrimoniali previste dal diritto italiano. Di conseguenza, ritiene si debba applicare non l’art. 27 bensì l’art. 28 (forma del matrimonio). Sulla base di quest’ultimo, quindi, anche per i cittadini stranieri è ammessa la facoltà di celebrare in Italia un matrimonio concordatario, considerando la relativa disciplina come “legge del luogo di celebrazione del matrimonio”.

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Nessun dubbio, invece, è sorto circa la possibilità, per i cittadini stranieri, di celebrare in Italia matrimoni acattolici, essendo quest’ultimo una sottospecie del matrimonio civile.

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8.5. La trascrizione del matrimonio all’estero La normativa nazionale non si è mostrata insensibile di fronte alla costante crescita del - art. 16 D.P.R. 396/2000 (matrimonio numero di matrimoni celebrati celebrato all’estero); all’estero, tant’è vero che - art. 65 L. 218/95 (riconoscimento di provvedimenti stranieri). l’ordinamento giuridico italiano - Il matrimonio contratto all’estero può, ha provveduto a regolare la di regola, essere direttamente materia con il D.P.R. 396 del trascritto nei registri dello Stato civile italiano. 2000 (Regolamento per la - Casi in cui la trascrizione può essere revisione e la semplificazione negata: se viene ravvisato un contrasto con l’ordine pubblico oppure dell'ordinamento dello stato per difetto dei requisiti minimi civile) il cui art. 16 prevede che indispensabili per l’esistenza del matrimonio come atto giuridicamente i matrimoni riconoscibili o rilevante. meglio trascrivibili in Italia “sono quelli celebrati tra cittadini italiani, ovvero tra un cittadino italiano ed uno straniero, innanzi all’autorità diplomatica o consolare competente, oppure dinnanzi all’autorità locale”. D’altronde, anche l’art. 65 L. 218/95 non sembra frapporre alcun ostacolo alla trascrivibilità del matrimonio celebrato all’estero.105 Ne consegue, quindi, che il matrimonio contratto all’estero può, di regola, essere direttamente trascritto nei registri dello Stato civile italiano e che, in capo all’ufficiale di stato civile, al Sindaco o ad un suo delegato, sussiste un preciso obbligo di procedere a tale attività. L’unico caso in cui la trascrizione può essere legittimamente rifiutata si ha quando venga ravvisato un contrasto con l’ordine pubblico106, oppure per difetto dei requisiti minimi indispensabili per l’esistenza del matrimonio come atto giuridicamente rilevante TRASCRIZIONE IN ITALIA DI UN MATRIMONIO CONTRATTO ALL’ESTERO

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Tale norma, che disciplina il riconoscimento (in Italia) dei provvedimenti stranieri, stabilisce, infatti, che i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità, purché pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge risulta (secondo norme di conflitto italiane) applicabile alla fattispecie concreta, hanno effetto diretto nel nostro Paese, senza che sia necessaria alcuna ulteriore procedura di riconoscimento. 106 Stabilisce, infatti, l’art. 18 D.P.R. 396/2000 che “Gli atti formati all'estero non possono essere trascritti se sono contrari all'ordine pubblico”.

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(si pensi, ad esempio, al matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso; vedi infra). Il limite dell’ordine pubblico, in realtà, in questo caso, risulta essere meramente eventuale e rimesso alla “discrezionalità valutativa” dell’ufficiale di stato civile. Invero, nel caso in cui questi ritenga che non sussista un tale contrasto, potrà procedere senza alcun ostacolo alla trascrizione. Laddove, invece, nutra dei ragionevoli dubbi circa il rispetto di tale requisito, dovrà chiedere, ed attendere, chiarimenti dall’Autorità giudiziaria (nella specie, il Procuratore della Repubblica). Nell’ipotesi in cui l’ufficiale di stato civile si rifiuti di procedere alla trascrizione, la parte interessata potrà proporre ricorso alla Corte d’Appello competente per territorio ai sensi dell’art. 67 L. 218/95. La trascrizione del matrimonio celebrato all’estero non ha natura costitutiva, ma meramente dichiarativa e di pubblicità, in quanto il matrimonio si perfeziona con il consenso dei nubendi reso innanzi alla competente autorità straniera107. Inoltre, agli atti di matrimonio esteri trascritti in Italia, è possibile praticare tutte le successive annotazioni previste per i matrimoni italiani. Così si è recentemente pronunciato il Tribunale di Torino che ha ordinato all’ufficiale di stato civile, che aveva opposto il suo rifiuto, di eseguire l’annotazione a margine del matrimonio romeno tra cittadini romeni residenti in Italia e trascritto nel nostro Paese, dell’atto pubblico, concluso davanti al notaio italiano, con il quale i coniugi avevano convenuto che i loro rapporti patrimoniali fossero regolati dalla legge italiana optando, contestualmente, per il regime di separazione dei beni. Al fine di rendere più agevole la trascrizione, la Convenzione di Vienna del 1976 (resa esecutiva in Italia con la legge n. 870/1978) ha predisposto un modello di redazione dell’estratto dell’atto di matrimonio. Tuttavia, tale modello, poiché non specifica il sesso degli sposi, è stato frequentemente utilizzato nei Paesi dove è ammesso il matrimonio fra omosessuali. Ciò ha destato “allarme” nel nostro ordinamento (che, come ben si sa, ancora non ammette un tale tipo di unione) e della questione è stato investito il Ministero degli Esteri affinché solleciti un

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Trib. Saluzzo, 10 agosto 2010.

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“aggiornamento” della modulistica tale da far emergere con chiarezza il sesso degli sposi.

8.5.1. La trascrivibilità del matrimonio all’estero tra persone dello stesso sesso

contratto

È ben noto che, attualmente, in Italia non è consentito il matrimonio tra omosessuali. Più volte la giurisprudenza si è occupata del problema, e pur ritenendo che anche le coppie omosessuali rientrino in quelle formazioni sociali previste dall’art. 2 Cost., così come le coppie eterosessuali conviventi, non si è mai spinta oltre, ritenendo che il testo delle norme costituzionali e ordinarie sia chiaro nel prevedere la necessità che a contrarre matrimonio siano due persone di sesso diverso. Inoltre, né la Costituzione né il codice civile forniscono la nozione di matrimonio ed in nessuna norma giuridica è prevista esplicitamente la diversità dei sessi come requisito di validità o esistenza dell’atto matrimoniale. Detta diversità è, tuttavia, stata da sempre ritenuta immanente nell’ordinamento giuridico italiano tanto che gli stessi compilatori del codice civile, pensando che fosse ovvia, ne hanno omesso la valutazione. Del resto, anche la Corte edu con la sentenza del 24 giugno 2010, ha sostenuto che sebbene i diritti fondamentali spettino anche alle coppie omosessuali, comunque tale interpretazione non può giungere fino ad imporre ai singoli Stati l’obbligo di prevedere il matrimonio omosessuale, rientrando tale facoltà nei poteri esclusivi del legislatore interno. Viene ribadita costantemente in giurisprudenza la differenza tra le coppie omosessuali e quelle eterosessuali, nel senso che soltanto alle seconde è riservato l’istituto del matrimonio, il quale richiede in maniera imprescindibile la diversità di sesso dei nubendi. La giurisprudenza, però, non lascia prive di tutela le coppie omosessuali, riconoscendo alle stesse un fondamento costituzionale nell’art. 2 Cost. che in via interpretativa permette di intervenire esclusivamente a tutela di singole e specifiche situazioni, sussistendo, in mancanza, un’ipotesi di discriminazione.

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Per tale ragione, quando nel 2004, una coppia italiana omosex, che aveva contratto TRASCRIVIBILITÀ MATRIMONIO matrimonio nei Paesi Bassi, OMOSEX CONTRATTO ALL’ESTERO chiese all’Ufficiale dello Stato Cass. n. 4184/2012: il matrimonio tra civile del Comune di residenza -persone dello stesso sesso, la trascrizione del loro nell’ordinamento italiano, è inesistente e, non esistendo, non può essere matrimonio, si sollevò nel trascritto. nostro Paese un vero e proprio - Apertura dei Tribunali di merito alla caso mediatico. La vicenda, trascrizione dei matrimoni omosex. infatti, richiamava all’attenzione una delicata questione, ovvero quella del riconoscimento dei medesimi diritti attribuiti alle coppie etero anche alle coppie gay, da sempre sentita, ma, in realtà, mai affrontata e che condurrà alla importante pronuncia della Corte di Cassazione (n. 4184/2012), in cui è inevitabilmente entrato in gioco anche il significato da attribuire alle norme della Carta costituzionale. In quella occasione, il Comune di residenza della coppia omosessuale, data la particolarità del caso, poneva un quesito al Ministero dell’Interno per capire se potessero ritenersi sussistenti i requisiti per la trascrivibilità del matrimonio in questione. Il Ministero dell’Interno diede parere negativo ritenendo che il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso, non essendo previsto nel nostro ordinamento, contrastasse con l’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 18 D.P.R. 396/2000. L’ufficiale di Stato civile del comune certificava, quindi, ai sensi dell’art. 7 del summenzionato decreto, tale rifiuto. La coppia decise, quindi, di proporre ricorso dinnanzi al Tribunale affinché venisse ordinata al comune la trascrizione del loro matrimonio. I ricorrenti, a sostegno delle loro ragioni, richiamavano la vigenza, nel nostro ordinamento, del principio del riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri (artt. 65 e 66 L. 218/95 e art. 63, punto 2, lett.c) D.P.R. 396/2000), essendo sufficiente, a tale fine, la regolarità formale, secondo la legge straniera, dell’atto in questione. Il Tribunale di Latina (nel 2005) respinse il ricorso ritenendo non sussistenti i requisiti minimi essenziali per l’esistenza dell’istituto del matrimonio secondo la legge italiana, ma anche per contrasto con l’ordine pubblico ex art. 18 D.P.R. 396/2000.

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Anche il giudice della Corte d’Appello di Roma (nel 2006), cui la coppia aveva presentato ricorso, negò la trascrizione ritenendo non operante il meccanismo del riconoscimento automatico dei matrimoni contratti all’estero Della questione venne, quindi, investita la Corte di Cassazione che nella sentenza n. 4184/2012 precisava che l’ostacolo alla trascrizione non discendeva dalla contrarietà del matrimonio omosessuale ai principi di ordine pubblico, ma dall’impossibilità di riconoscere come atto di matrimonio l’unione di due persone dello stesso sesso. Si parla, infatti, nella sentenza di “inidoneità delle unioni omosessuali a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”.108 Secondo la Suprema Corte, la diversità di sesso dei nubendi è, unitamente alla manifestazione di volontà matrimoniale degli stessi, requisito minimo indispensabile per l’esistenza del matrimonio civile come atto giuridicamente rilevante. Pertanto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, nell’ordinamento italiano, è semplicemente inesistente e, non esistendo, non può essere trascritto. Non si può, tuttavia, negare che tale sentenza , sebbene abbia negato la trascrizione del matrimonio celebrato all’estero, ha, altresì, riconosciuto che la diversità di sesso non è più un presupposto indispensabile per avere diritto alle tutele proprie della vita familiare.109

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D. Triolo, Il diritto di famiglia, pp.101 e ss, Key ed., 2015 Si legge, infatti, nella citata sentenza che “i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se secondo la legislazione italiana non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia, a prescindere dall’intervento del legislatore in materia, quali titolari del diritto alla vita familiare e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”. 109

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Approfondimento L’apertura dei Tribunali di merito alla trascrizione dei matrimoni omosex L’orientamento della Suprema Corte è stato confermato anche da due recenti decisioni del Tribunale di Milano rispettivamente del 2 e del 17 luglio 2014, nonché dal Tribunale di Pesaro che, con decreto del 14 ottobre 2014, ha ritenuto che il matrimonio celebrato all’estero da due persone dello stesso sesso non può definirsi matrimonio per lo Stato italiano. Da tale orientamento si è discostata una recente sentenza del Tribunale di Grosseto del 9 aprile 2014, nella quale, al contrario, è stata ammessa la trascrivibilità in Italia di un matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso. Ritiene, infatti, tale sentenza che i matrimoni celebrati all’estero vadano riconosciuti in Italia se non contrari all’ordine pubblico, così come riconosciuto dall’art. 65 L. 218/95. Si legge in motivazione che poiché (come ritenuto dalla stessa Corte di Cassazione nella sentenza n. 4184/12) nel matrimonio tra due persone dello stesso sesso, non è ravvisabile alcuna contrarietà all’ordine pubblico110, allora deve ritenersi possibile trascrivere tale unione in Italia. Il Tribunale, quindi, ritiene che “non è individuabile alcun riferimento al sesso in relazione alle condizioni necessarie per contrarre matrimonio”, per cui nulla osta alla sua trascrivibilità. La sentenza è, inoltre, rilevante perché riconosce che la trascrizione, non avendo effetto costitutivo ma meramente dichiarativo di una situazione giuridica già prodottasi all'estero, non incide sullo status delle persone coinvolte, ma semmai fornisce loro uno strumento di carattere probatorio, utile per dimostrare al giudice l'avvenuta celebrazione del matrimonio in uno Stato straniero e soprattutto la durata della convivenza. La Corte di Appello di Firenze, però, con provvedimento del 19 settembre 2014, ha annullato tale decisione, anche se per un vizio di tipo prettamente procedurale, senza pronunciarsi nel merito della questione. Nelle more, alcuni sindaci avevano comunque proceduto alla trascrizione nei registri dello stato civile di matrimoni dello stesso sesso contratti all’estero. Il Ministero dell’Interno, al fine di evitare tale prassi e poter procedere alla 110

Si precisa, però, che la sentenza della Cassazione n. 4184/2012 ha ritenuto che l’ostacolo alla trascrizione di un matrimonio omosex contratto all’estero fosse da riscontrare non tanto nella contrarietà dello stesso ai principi di ordine pubblico, quanto più nell’impossibilità di riconoscere come atto di matrimonio l’unione di due persone dello stesso sesso. L’annoso problema della contrarietà del matrimonio omosessuale ai principi di ordine pubblico non è stato in realtà approfondito, essendosi la Corte concentrata piuttosto nell’affermare che il matrimonio tra persone dello stesso sesso, nell’ordinamento italiano, è semplicemente inesistente e, non esistendo, non può essere trascritto.

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cancellazione delle trascrizioni effettuate, ha inviato, in data 7 ottobre 2014, una circolare ai prefetti chiedendo che questi invitassero i sindaci a procedere alla cancellazione dei matrimoni omosessuali trascritti. Di recente, però, una sentenza del Tar Lazio, del 9 marzo 2015 n. 419, pur ribadendo che non è possibile nel nostro ordinamento celebrare matrimoni omosessuali, ha sostenuto che l’annullamento della trascrizione effettuata dall’ufficiale civile non può essere mai disposta dal prefetto, ma esclusivamente dall’autorità giudiziaria. Il Tribunale di Grosseto, con decreto del 26 febbraio 2015, è tornato a pronunciarsi sulla questione a seguito dell’annullamento della Corte d’Appello di Firenze, ribadendo il suo precedente orientamento. In particolare, il Tribunale precisa inizialmente che l’intrascrivibilità degli atti stranieri rappresenta un’eccezione, per cui la norma deve essere interpretata restrittivamente, tanto più quando incide sullo status e sulla capacità delle persone. Per verificare se possa pronunciarsi un divieto di trascrizione in Italia dei matrimoni contratti all’estero da persone dello stesso sesso, secondo il Tribunale, bisogna preliminarmente verificare se sussistono nel nostro ordinamento, così come integrato dall’ordinamento sovranazionale ed internazionale, dei divieti in tal senso. Il Tribunale non ritiene che un tale ostacolo possa essere fornito dalle norme Costituzionali, in quanto l’art. 29 Cost., quando parla di società naturale, non può essere interpretato in senso discriminatorio, ma semmai in un’ottica evolutiva. Si legge, infatti, in sentenza che il concetto di società naturale va correttamente inteso “come “formazione sociale spontanea” (ed in questo senso dunque naturale) formalmente suggellata da un atto sul quale confluiscono le volontà dei due soggetti in quel consenso celebrato che attribuisce, dunque, rilevanza sociale e giuridica alla “società naturale” e che è appunto il matrimonio”. Né si può ritenere che il matrimonio tra persone dello stesso sesso sia inesistente, in quanto ciò contrasterebbe con i principi internazionali e comunitari111 ed anche con tutti quegli ordinamenti che hanno regolato le unioni civili anche tra persone dello stesso sesso. Alcun contrasto, quindi, sussiste alla trascrivibilità dei matrimoni omosessuali nel nostro ordinamento. Bisogna però verificare, come secondo e necessario passaggio, l’eventuale contrarietà all’ordine pubblico internazionale di un tale atto straniero. Anche su tale punto il Tribunale fornisce risposta negativa, in quanto ritiene che il concetto di ordine pubblico internazionale, cui si deve far riferimento, è un concetto Si ricorda che la Corte dei diritti dell’uomo nella sentenza del 24 giugno 2010 Schalk eKopf contro Austria, pur sostenendo che rientra nel potere degli Stati membri disciplinare autonomamente i requisiti per contrarre le nozze, ha precisato che l'art. 12 Cedu, che riconosce il diritto al matrimonio e alla costituzione di una famiglia, deve essere interpretato alla luce dell'art. 9 della Carta di Nizza, per cui si riferisce anche al matrimonio omosessuale. 111

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elastico che risente inevitabilmente degli influssi provenienti dai paesi stranieri112 che ammettono tale forma di matrimonio. Anzi il Tribunale ritiene che sia un preciso obbligo dell’Italia quello di offrire alle coppie omosessuali il medesimo trattamento riservato alle coppie eterosessuali, in quanto in mancanza vi sarebbe una violazione dei principi internazionali e comunitari, pur precisando che ciò può avvenire anche mediante forme diverse da quella del matrimonio. Si legge, infatti, in sentenza che “da quanto emerge dalle decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea nonché da quelle della Corte di Strasburgo possono trarsi le seguenti conclusioni: la relazione affettiva e sentimentale tra due individui dello stesso sesso rientra nel concetto di vita familiare ai sensi dell’art. 8 della CEDU e non solo in quello di vita privata (Schalcke Kopf vs. Austria); alle unioni omosessuali deve essere riconosciuta una tutela equivalente a quella riconosciuta alle unioni eterosessuali anche diverse dal matrimonio (Corte di Giustizia dell’Unione europea, Maruko e Romer, C 147/2008); non c’è un solo modo di intendere la famiglia e la vita privata e la Convenzione EDU deve essere valutata tenendo conto che si tratta di uno strumento vivente (Corte EDU Vallianatos vs. Grecia).” Pur rimettendo al legislatore la scelta del mezzo per tutelare l’unione delle coppie omosessuali, ritiene il Tribunale di dover comunque fornire una risposta, nell’inerzia del legislatore, a tutte quelle persone che richiedono il riconoscimento di un matrimonio celebrato all’estero. Ed avendo accertato l’inesistenza di un divieto di trascrivibilità desumibile dalle norme interne e comunitarie, e verificata l’inesistenza di una contrarietà all’ordine pubblico, ritiene il Tribunale di poter ammettere la trascrivibilità in Italia del matrimonio contratto all’estero, in quanto non sussiste alcuna valida ragione per escluderla, ed anzi, un eventuale divieto avrebbe effetti discriminatori fondati esclusivamente sul sesso. Di recente, però, è intervenuta una nuova pronuncia della Corte di Cassazione, 2400 del 9 febbraio 2015, che ha ribadito i suoi precedenti, in riferimento ad una richiesta La sentenza precisa che “tale è la concezione di ordine pubblico internazionale che, ormai recepita da tempo da dottrina e da giurisprudenza, deve necessariamente accogliersi, attesa la partecipazione dell’Italia ad un più ampio contesto internazionale, convenzionale e sovranazionale”. Come osservato anche dalla Suprema Corte (da ultimo Cass. sez. Ili, 19405\2013; Cass. 26.4.2013 n. 10070) il concetto di ordine pubblico ai fini internazional-privatistici è quel complesso di principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico e fondati su esigenze di garanzia comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, sulla base di valori sia interni che esterni all’ordinamento purché accettati come patrimonio condiviso in una determinata comunità giuridica sovranazionale. Sotto tale profilo, appare allora particolarmente rilevante il numero di Stati che in Europa riconosce il matrimonio omosessuale, anche senza contare quanti riconoscono l’accesso alle coppie omosessuali alle unioni civili. 112

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da parte di due soggetti dello stesso sesso di poter procedere alle pubblicazioni di matrimonio, negate dall’ufficiale dello stato civile113. Risulta evidente come il dibattito sulla trascrivibilità dei matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso sia ancora aperto e destinato ad essere dibattuto ancora per lungo tempo. Preso atto di ciò il legislatore sta tentando di regolamentare anche tale fenomeno.

8.6. I rapporti coniugali Quando si parla di rapporti coniugali si fa riferimento a tutti quei diritti ed obblighi reciproci che si costituiscono in capo ai coniugi a seguito della celebrazione del matrimonio. Si tratta, in particolare, di rapporti patrimoniali, i quali concernono i diritti dei coniugi sui propri beni, gli obblighi di prestazioni patrimoniali in favore dell’altro coniuge e poteri di rappresentanza reciproca, RAPPORTI TRA CONIUGI e di rapporti personali, - Rapporti personali (art. 29 L. 218/95): sono ovvero tutti quelli non regolati dalla legge nazionale comune o, in aventi contenuto mancanza di una legge comune o di più cittadinanze comuni, dalla legge dello Stato patrimoniale (ad esempio, nel quale la vita matrimoniale è l’obbligo di vita comune, di prevalentemente localizzata. fedeltà, di coabitazione, - Rapporti patrimoniali (art. 30 L. 218/95): sono regolati dalla legge applicabile ai assistenza morale, rapporti personali. I coniugi possono 114 etc.) . convenire per iscritto che i loro rapporti I primi sono regolati patrimoniali sono regolati dalla legge dello dall’art. 30 L. 218/95, i Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede. secondi dall’art. 29. Tuttavia, la distinzione appare di scarsa importanza pratica, stante che le due norme, pur distinte, utilizzano i medesimi criteri, lasciando, quindi, alle parti, una limitata facoltà di scelta della legge applicabile.

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D. Triolo, Il diritto di famiglia, pp. 102 e ss., Key ed., 2015. La distinzione, comunque, non è sempre così netta atteso che, nei rapporti personali, rientrano anche quelli che, pur avendo contenuto patrimoniale, ne costituiscono un aspetto (come, per esempio, l’obbligo di assistenza reciproca e di contribuzione alle spese familiari). 114

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8.6.1. I rapporti personali tra i coniugi Ai sensi dell’art. 29 L. 218/95 “I rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale comune. I rapporti personali tra coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata”.115 Si fa, innanzitutto, riferimento alla cittadinanza comune tra i coniugi che, se straniera, prevale sull’eventuale possesso della cittadinanza italiana di uno di essi, in deroga all’art. 19 L. 218/95116. Sempre in deroga ai criteri Cass., Sez. I, n. 7599/2011 della generale prevalenza della La Suprema Corte ha precisato che il cittadinanza italiana, in ipotesi criterio della “prevalente localizzazione di doppia cittadinanza, italiana della vita matrimoniale” deve essere inteso in senso dinamico, come e straniera in capo ad entrambi centro principale degli interessi e degli comuni dei coniugi. Esso non i coniugi, si ricorre al criterio affetti coincide necessariamente con la successivo previsto per le residenza familiare, potendo avere i componenti della famiglia anche ipotesi di difformità o pluralità di residenze differenti. cittadinanze. Così, con una soluzione innovativa accolta dal nostro legislatore, si attribuisce rilevanza alla legge dello Stato ove la vita matrimoniale risulti prevalentemente localizzata. In questo modo vengono introdotti principi, fino ad ora ignorati dal nostro sistema, della rilevanza della connessione più stretta e della libertà di apprezzamento del giudice. La localizzazione, pertanto, dovrà essere accertata, caso per caso, nella sua effettività (come per esempio, la durata dei periodi di residenza nei vari Stati, la lingua parlata in famiglia, il Secondo l’abrogato art. 18 delle preleggi, invece, i rapporti personali tra i coniugi erano regolati dalle legge nazionale degli stessi (in particolare, quella sussistente al momento del sorgere della questione), o, in mancanza di una legge comune, dalla legge nazionale del marito al tempo del matrimonio. Con l’approvazione del nuovo diritto di famiglia (L. 151/75), improntato sull’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi, era stato sollevato il problema della legittimità costituzionale di tale disposizione. Quest’ultima, infatti, poco tempo dopo, sarà dichiarata incostituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost. (che vietano ogni discriminazione tra i sessi e disparità tra i coniugi), nella parte in cui stabiliva, anche solo in via suppletiva, la prevalenza della legge nazionale del marito (Corte Cost., sent. n. 71/87). 116 Trib. Venezia, 14 novembre 1996, RIPP, 1997. 115

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luogo in cui i figli sono nati o frequentano le scuole, etc.), a prescindere dal dato formale (che potrebbe anche non corrispondere più a realtà) della residenza anagrafica familiare. Una volta individuata la legge regolatrice dei rapporti personali, questa si occuperà di disciplinare l’insieme dei diritti e doveri derivanti dal vincolo matrimoniale, ma non le obbligazioni alimentari, le quali sono regolate dalla legge individuata dall’art. 45 L. 218/95 (che richiama, in ogni caso, la Convenzione dell’Aja del 2 ottobre 1973) e dal reg. 4/2009, che dal 18 giugno 2011 si applica in tutti gli Stati membri dell’Unione europea (vedi infra, Cap. XI, par. 11.6.2).

8.6.2. I rapporti patrimoniali tra i coniugi Ai sensi del comma 1 dell’art. 30 L. 218/95 “I rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalla legge applicabile ai loro rapporti personali. I coniugi possono tuttavia convenire per iscritto che i loro rapporti patrimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è RAPPORTI PATRIMONIALI E cittadino o nel quale almeno AFFIDAMENTO DEL TERZO uno di essi risiede”. L’art. 30, co. 3, L. 218/95, al fine di tutelare il terzo in buona fede, prevede Tale disposizione rappresenta che l’applicabilità di una legge un’assoluta novità nel sistema straniera ai rapporti patrimoniali tra internazional-privatistico, in coniugi sia opponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuto conoscenza o quanto, accanto ad un sistema la abbiano ignorata per propria colpa. legale di regolazione dei Per i diritti reali su beni immobili rapporti patrimoniali (per cui, in l'opponibilità è limitata ai casi in cui linea generale, si applica la siano state rispettate le forme di pubblicità prescritte dalla legge dello medesima legge ritenuta Stato in cui i beni si trovano (lex rei applicabile ai rapporti sitae). personali), prevede la possibilità di dare vita ad un regime patrimoniale convenzionale. Pertanto, è data ai coniugi la facoltà di determinare, in luogo della legge applicabile ai rapporti personali, altra legge dello Stato di cui almeno uno di essi sia cittadino o in cui sia residente, mediante convenzione da concludersi in forma scritta.

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La scelta (optio legis) può essere compiuta sia nell’atto della celebrazione del matrimonio, sia in costanza dello stesso, sia anteriormente (in tale ultimo caso, però, la sua efficacia è sottoposta alla condizione della successiva celebrazione del matrimonio), così come può anche essere successivamente modificata o regolata per far rivivere la regola generale (ovvero quella dell'art. 30, comma 1, che richiama la legge applicabile ai rapporti personali tra i coniugi). Occorre, però, che l’accordo tra i coniugi sia considerato valido dalla legge scelta o da quella del luogo in cui l’accordo coniugale patrimoniale è concluso. Potrebbe anche accadere, quindi, che una coppia di coniugi stipuli negozi patrimoniali secondo la legge di uno Stato (ad esempio, l’Italia), mentre i loro rapporti personali restano regolati dalla legge di un altro Paese (ad esempio, la Francia). In tal caso, al fine di tutelare l’affidamento dei terzi in buona fede, il comma 3 dell’art. 30 prevede che l’applicabilità di una legge straniera ai rapporti patrimoniali tra coniugi sia opponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuto conoscenza o la abbiano ignorata per propria colpa. Non sempre tali condizioni risultano, però, facilmente accertabili. Difficoltà in tal senso possono, infatti, emergere nell’ipotesi in cui la legge applicabile sia quella incerta della prevalente localizzazione della vita matrimoniale o sia quella decisa tramite convenzione scritta stipulata dai coniugi (in quest’ultimo caso, infatti, se non è prevista altra forma di pubblicità, diventa difficile per il terzo averne una conoscenza effettiva ed immediata). Diverso il caso, invece, in cui l’optio legis ricada sulla legge italiana. Quest’ultima, infatti, prevedendo un particolare regime di pubblicità (artt. 162, comma 4, e 163, comma 3, c.c.), agevola la conoscenza da parte del terzo117. Relativamente ai diritti reali su beni immobili, invece, l'opponibilità è limitata ai casi in cui siano state rispettate le forme di pubblicità prescritte dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano (lex rei sitae).

Vale anche per gli stranieri residenti in Italia l’obbligo, di cui all’art. 162, comma 4, c.c., di annotazione, a margine della trascrizione dell’atto di matrimonio, della scelta di optare per il regime di separazione dei beni in base alla legge italiana da loro scelta come applicabile (Trib. Mantova, decr. 16 marzo 2010, RIPP, 2011). 117

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In caso di coniugi separati o divorziati, ci si è chiesto se ai rapporti patrimoniali debba applicarsi la disciplina dell’art. 30 o quella dell’art. 31, che si occupa proprio della patologia del rapporto matrimoniale. Tuttavia, mentre la separazione non fa venir meno il vincolo matrimoniale, ma semplicemente ne “attenua” gli effetti, per cui si può ritenere applicabile, ai rapporti patrimoniali, la disciplina dell’art. 30, il divorzio, invece, comporta la cessazione dello stato coniugale, per cui tutti i rapporti economici, che seguono allo scioglimento del matrimonio, attengono al nuovo stato di divorziati, e per questo si ritiene preferibile l’applicazione dell’art. 31. Proprio in tema di separazione e divorzio, occorre segnalare il reg. 1259/2010 (relativo all’attuazione della cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione, vedi infra, par. 8.8) destinato, per la sua efficacia universale, a sostituirsi alle norme di d.i.p. nazionali disciplinanti la materia (quindi all’art. 31). Tuttavia, il regolamento esclude dal proprio ambito di applicazione il regime patrimoniale tra ex coniugi (art. 1, comma 2). Proprio per la sua efficacia universale, il regolamento sostituisce in toto le norme di d.i.p. disciplinanti la materia che, dunque, non troveranno più applicazione tra gli Stati membri cui lo stesso si applica. Ne deriva, quindi, che anche gli effetti patrimoniali del divorzio saranno regolati dall’art. 30 L. 218/95 (e non dall'art. 31, sostituito dal regolamento), la cui portata applicativa viene, dunque, estesa anche ai rapporti patrimoniali tra ex coniugi.

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8.7. La separazione e il divorzio Come già anticipato, la separazione si distingue dal divorzio perché non comporta lo scioglimento del vincolo matrimoniale (quindi permane lo status coniugale e di conseguenza il divieto di nuove nozze) ma determina, comunque, significative trasformazioni del contenuto dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi. Con il divorzio, invece, cessando il vincolo coniugale, la persona SEPARAZIONE E DIVORZIO. riacquista lo status di libero. DISCIPLINA NAZIONALE Ai sensi dell’art. 31, comma 1, - art. 31 L. 218/95; la separazione personale e lo - la legge 898/1970 ha introdotto il scioglimento del matrimonio divorzio in Italia; - è ammesso il riconoscimento di (divorzio) sono regolati dalla sentenze di divorzio relative a legge nazionale comune dei matrimoni celebrati in forma coniugi al momento della concordataria tra cittadini italiani. domanda di separazione o di divorzio o, in mancanza di questa, dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risulta prevalentemente localizzata. Ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto applicabile la legge spagnola che prevede la possibilità di sciogliere il vincolo matrimoniale dopo tre mesi, in un caso in cui la richiesta di divorzio era stata fatta da una donna italiana, sposata con uno spagnolo, che aveva dimostrato di aver vissuto con il marito prevalentemente in Spagna (Trib. Firenze, 18 maggio 2009, n. 1723). Si richiamano, quindi, gli stessi criteri indicati per individuare la legge applicabile ai rapporti personali. Il 2° comma assume notevole rilievo in quanto prevede che, qualora la separazione o il divorzio non siano previsti dalla legge straniera applicabile, si applicherà la legge italiana. La preferenza accordata alla lex fori trova la sua ratio nell’esigenza di assicurare ai propri cittadini la possibilità di separarsi (o divorziare) indipendentemente dalle disposizioni delle leggi straniere; quindi, la legge italiana troverà applicazione non perché il cittadino italiano, nel paese estero, non è riuscito ad ottenere, per qualunque ragione, la separazione o il divorzio, ma

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esclusivamente nel caso in cui tali istituti non sono previsti nell’ordinamento straniero. Nelle vicende relative alla patologia del matrimonio, soprattutto per ciò che concerne i motivi di divorzio, si deve sempre tenere in considerazione il limite dell’ordine pubblico internazionale. Con l’entrata in vigore della legge sul divorzio (L. 898/1970) il principio dell’indissolubilità del matrimonio non ha più rappresentato un limite di ordine pubblico per l’applicazione diretta di norme straniere sul divorzio richiamate dalle regole di d.i.p.. Ciò non toglie, però, che il limite dell’ordine pubblico possa continuare ad operare nel caso in cui la norma sul divorzio astrattamente competente, secondo i criteri della norma di conflitto, contenga disposizioni che urtano con altri principi fondamentali del nostro ordinamento. Ad esempio, proprio per contrarietà all’ordine pubblico, non può trovare accoglimento nel nostro ordinamento il ripudio unilaterale del diritto islamico (cd. Talaq), né può essere riconosciuto un provvedimento con tale motivazione. Pertanto, lo stesso non può essere trascritto nei registri anagrafici italiani e, nel caso in cui la trascrizione sia stata fatta, deve essere cancellata a cura dell’ufficiale di stato civile. Ed infatti, il ripudio-divorzio è contrario al nostro ordine pubblico per una serie di ragioni: viola il principio del contraddittorio; viola il principio di parità e solidarietà coniugale (essendo consentito solo al marito); lede il diritto di difesa della moglie; non contiene alcuna statuizione, né personale, né patrimoniale, a tutela dei figli, così come non regola in alcun modo i rapporti patrimoniali tra i coniugi successivi al divorzio. Secondo una parte della dottrina (Campiglio), l’unica ipotesi in cui la discriminazione subita dalla donna potrebbe ritenersi “sanata” è quella in cui sia la stessa moglie a chiedere il riconoscimento del ripudio. In questo caso, infatti, il ripudio si trasformerebbe in divorzio per mutuo consenso. L’introduzione, nel nostro Paese, dell’istituto del divorzio ha, altresì, fatto venir meno l’ostacolo al riconoscimento di sentenze straniere di divorzio, pronunciate precedentemente alla legge del 1970, nei confronti di cittadini italiani che avevano contratto matrimonio in Italia (sul riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia matrimoniale vedi “Approfondimento”, Cap. XVII). 160


È, altresì, ammesso il riconoscimento di sentenze di divorzio, relative a matrimoni celebrati in forma concordataria tra cittadini italiani, atteso che l’art. 2 della legge sul divorzio ha esplicitamente riconosciuto al giudice italiano la facoltà di far cessare gli effetti civili di tali matrimoni, facendo, quindi, venir meno la cd. riserva di giurisdizione precedentemente riconosciuta in favore dei tribunali ecclesiastici. È controverso se possa darsi attuazione in Italia, con relativa trascrizione, a scioglimenti del matrimonio adottati all’estero con atti di natura non giurisdizionale. Come, per esempio, il divorzio per mutuo accordo previsto dalla legislazione cubana e realizzato con atto amministrativo. La Corte di Appello di Ancona, investita a seguito del rifiuto dell’ufficiale di stato civile di Ascoli di procedere alla trascrizione, accoglieva il ricorso ed effettuava il riconoscimento dell’atto amministrativo di scioglimento del matrimonio ex art. 66 L. 218/95, previa verifica della sua non contrarietà all’ordine pubblico.

8.8. Il regolamento 1259/2010 Per gli Stati membri dell’Unione europea, una disciplina comune ed uniforme in tema di separazione e divorzio è contenuta nel regolamento n. 1259/2010 (in vigore in Italia dal 21 giugno 2012) relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata 118 nel La cooperazione rafforzata è quell’istituto che consente di realizzare una più forte cooperazione tra alcuni Stati membri dell'Unione europea in determinati temi (come, per esempio, giustizia, difesa, gestione economica, etc.) che non siano già di competenza esclusiva dell'Unione europea (quindi, sono esclusi, per esempio, unione doganale, regole di concorrenza per il funzionamento del mercato interno, politica commerciale comune, etc.). Le cooperazioni rafforzate sono intese a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione, a proteggere i suoi interessi e a rafforzare il suo processo di integrazione. Sono aperte in qualsiasi momento a tutti gli Stati membri. Alla cooperazione rafforzata deve partecipare un numero minimo di nove Stati membri, ma in qualsiasi momento può aderirvi un qualunque Stato membro che desideri parteciparvi. Può essere instaurata solo qualora in sede di Consiglio sia stabilito che alcuni obiettivi non possono essere conseguiti, entro un termine ragionevole, applicando le disposizioni dei Trattati. Inoltre, non può recare pregiudizio al mercato interno, né alla coesione economica, sociale e territoriale. Deve, infine, rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati non partecipanti. 118

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settore della legge applicabile al divorzio ed alla separazione personale. Scopo del regolamento è non solo quello di rendere più trasparenti e semplici le procedure applicabili, ma anche, e soprattutto, evitare le “migrazioni” negli Stati che offrono delle condizioni giuridiche migliori per divorziare, rispetto al Paese di origine. Il testo del regolamento si SEPARAZIONE E DIVORZIO. DISCIPLINA DELL’UNIONE applica solo agli Stati che vi EUROPEA hanno aderito e cioè, Il reg. 1259/2010 prevede un concorso attualmente, Belgio, Bulgaria, successivo di criteri di collegamento: a) accordo scritto; Germania, Spagna, Francia, b) legge dello Stato; Italia, Lettonia, Lussemburgo, c) legge del foro. Ungheria, Malta, Austria, Portogallo, Romania e Slovenia; successivamente vi hanno aderito anche Lituania e Grecia (rispettivamente il 22 maggio 2014 e il 29 maggio 2015). Nelle premesse si legge che “Il presente regolamento dovrebbe istituire un quadro giuridico chiaro e completo in materia di legge applicabile al divorzio e alla separazione personale negli Stati membri partecipanti e garantire ai cittadini soluzioni adeguate per quanto concerne la certezza del diritto, la prevedibilità e la flessibilità, e impedire le situazioni in cui un coniuge domanda il divorzio prima dell’altro per assicurarsi che il procedimento sia regolato da una legge che ritiene più favorevole alla tutela dei suoi interessi”. Come già anticipato, esso sostituisce pressoché interamente la disciplina prevista all’art. 31 L. 218/95 (separazione personale e scioglimento del matrimonio). Presuppone, tuttavia, per la sua applicazione, la qualificazione del matrimonio sulla base della legge del foro, non essendo quindi utilizzabile per modificare o sciogliere rapporti che non siano considerati tali da questa. In generale, l’esistenza e validità di un vincolo matrimoniale sono considerate questioni preliminari da risolvere in base alle norme di d.i.p. del foro. Il regolamento non si applica alla capacità giuridica delle persone fisiche, al nome dei coniugi, agli effetti patrimoniali del matrimonio, alla responsabilità genitoriale, alle obbligazioni

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alimentari, ai trusts ed alle successioni119. Non si applica nemmeno all’annullamento del matrimonio, e agli effetti dello stesso, poiché la materia resta regolata dalle norme applicabili alla valida formazione del vincolo, nei suoi aspetti materiali e formali. La disciplina di conflitto prevista dal regolamento si fonda su un concorso successivo di criteri di collegamento, il primo dei quali prevede (art. 5, comma 1) la possibilità per i coniugi di “designare per comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale”, individuando nella volontà dei coniugi il criterio privilegiato per la scelta della legge applicabile nelle procedure di scioglimento del vincolo matrimoniale. Tale accordo (che deve essere scritto) può essere concluso o modificato nel momento in cui è adita l’autorità giudiziaria ma, ove previsto dalla legge del foro adito, i coniugi possono designare la legge applicabile anche nel corso del procedimento120. Di comune accordo, i coniugi possono scegliere la legge applicabile al divorzio ed alla separazione personale purché si tratti di una delle seguenti leggi: la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo; la legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo; la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell’accordo; la legge del foro. Nel caso in cui i coniugi non abbiano effettuato alcuna scelta, si applica la legge dello Stato: della residenza abituale dei coniugi nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale; o, in mancanza

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Su tali materie, infatti, intervengono altre fonti, rispettivamente gli artt. 20, 23, 24, 30 e 36 della L. 218/95, il reg. 4/2009 sulle obbligazioni alimentari, gli artt. 4649 L. 218/95 in materia di successioni, destinati ad essere sostituiti dal reg. 650/2012, sulle successioni transfontaliere, applicato in Italia dal 17 agosto 2015. 120 Trib. Milano, 11 dicembre 2012.

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dell’ultima residenza abituale dei coniugi, sempre che tale accordo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l’autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale; o, in mancanza di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale; o, in mancanza in cui è adita l’autorità giurisdizionale. Nel caso in cui la legge applicabile (scelta dalle parti o applicabile in mancanza di scelta) non preveda il divorzio o non conceda ad uno dei coniugi, perché appartenente all’uno o all’altro sesso, pari condizioni di accesso al divorzio o alla separazione personale, si applica la legge del foro. Quest’ultima si applica anche nell’ipotesi in cui la legge richiamata non consenta il divorzio sul presupposto dell’identità di sesso dei coniugi, in quanto non qualifica tale situazione come costituente matrimonio; si applicherà, quindi, la legge del foro, qualora non contenga tale pregiudizialità, altrimenti il rimedio non avrebbe modo di funzionare. Il regolamento, così come la legge italiana, consente di escludere la legge straniera la cui applicazione appaia contrastante con l’ordine pubblico del foro. Il regolamento, tuttavia, nulla dispone circa il seguito da dare a tale esclusione, per cui può ritenersi valere la nostra norma generale che prevede il richiamo alla legge indicata da un criterio successivo tra quelli contemplati nel regolamento, in assenza di scelta delle parti. Qualora, invece, la legge contrastante con l'ordine pubblico del foro sia quella scelta dalle parti, non potendosi presumere una scelta successiva, dovrà applicarsi la legge del foro. Alcuna rilevanza, sotto il profilo dell’ordine pubblico, ha la circostanza che la legge straniera non conosca la separazione personale come fase necessaria per procedere poi alla concessione del divorzio, o dia alla stessa una diversa disciplina o durata. Il reg. 1259/2010, inoltre, esclude l’operatività del rinvio da parte delle norme di d.i.p. dell’ordinamento ritenuto competente. All’art. 11 si legge, infatti, che quando esso prescrive l’applicazione della legge di uno Stato, si riferisce alle norme

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giuridiche in vigore in quello Stato, ad esclusione delle norme di diritto internazionale privato. Ne deriva che dovrà applicarsi la normativa dello Stato richiamato dal regolamento, senza tener conto di eventuali rinvii ad altri ordinamenti che la norma di diritto internazionale privato di quello Stato richiama. Il regolamento contiene, poi, proprie norme sul richiamo dell’ordinamento plurilegislativo, a base territoriale o personale, che, quindi, si sostituiscono, nella materia, all’art. 18 L. 218/95.

8.9. La giurisdizione La giurisdizione in materia matrimoniale trova la sua disciplina nell’art. 32 L. 218/95 secondo cui “In materia di nullità e di annullamento del matrimonio, di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti Cass. civ. S.U. n. 61/2000 dall'articolo 3, anche quando Sussiste la giurisdizione italiana in una uno dei coniugi è cittadino causa di divorzio proposta da una italiano o il matrimonio è stato cittadina italiana contro il coniuge straniero non residente in Italia, a nulla celebrato in Italia”. rilevando la prevalente localizzazione Anche se non espressamente della vita matrimoniale all’estero (ex art. richiamati, potranno valere 31 L. 218/95). anche i criteri fissati all’art. 9, in materia di giurisdizione volontaria, applicabili, ad esempio, in tema di omologazione di separazione consensuale. Oltre alla cittadinanza, quindi, saranno rilevanti il domicilio o la residenza del convenuto per i procedimenti contenziosi (art. 3), o di una delle parti per la volontaria giurisdizione (art. 9). La competenza per territorio, richiamata dall’ultimo comma dell’art. 3, consentirà di considerare la residenza o il domicilio in Italia dell’attore, ove il convenuto sia all’estero o sia irreperibile, ai sensi dell’art. 4 della legge 898/1970 sul divorzio. A detti criteri, l’art. 32 aggiunge, per fondare la giurisdizione italiana, la circostanza della celebrazione del matrimonio in Italia. Tuttavia, questo appare un criterio “debole”, laddove ad esempio il matrimonio possa non essere registrato. Probabilmente questo

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criterio è stato pensato per agevolare gli stranieri, il cui diritto nazionale non conosca gli istituti del divorzio o della separazione, consentendo loro, in questo modo, l’applicazione della legge italiana. In ambito europeo, la giurisdizione in materia matrimoniale è disciplinata dal reg. 2201/2003 del 27 novembre 2003 (cd. Bruxelles II bis, in quanto sostitutivo del precedente reg. 1347/2000, noto come Bruxelles II), relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale che, a partire dal 1°marzo 2005, si applica in tutti gli Stati membri dell’Unione, ad eccezione della Danimarca, che si è avvalsa del cd. opting out121. Esso utilizza come criteri di collegamento, per l’individuazione del giudice competente, la residenza e la cittadinanza dei coniugi, attribuendo carattere esclusivo alla competenza giurisdizionale individuata in base alle sue norme e carattere residuale a quella determinata secondo le norme di ciascuno degli Stati membri, qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente in base ai criteri previsti dal regolamento stesso. Sono esclusi dal campo di applicazione del regolamento i procedimenti relativi alle obbligazioni alimentari (vedi infra, Cap. XI, par. 1.6) che rientrano nell’ambito di applicazione del reg. 44/2001, le cui disposizioni sono in parte sostituite dalla disciplina del reg. 4/2009 che dal 18 giugno 2011 si applica in tutti gli Stati membri. Sono, altresì, esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento: gli effetti dello scioglimento del vincolo matrimoniale sul nome e sul patrimonio dei coniugi; le questioni relative ai diritti successori dei coniugi divorziati o separati; le questioni concernenti lo scioglimento del regime patrimoniale dei Il cd. opting out (“rinuncia”) è la facoltà riconosciuta agli Stati membri dell’Unione europea di non associarsi agli altri Stati membri per ciò che concerne un particolare settore di cooperazione nell’ambito dell’Unione europea. Così, ad esempio, la Danimarca, in sede di ratifica del Trattato di Amsterdam (1997), esercitando tale facoltà, ha preteso di essere esclusa da eventuali misure di armonizzazione nel settore della giustizia civile ed è, quindi, rimasta estranea a tutti i regolamenti. Da qualche anno ha accettato di applicare i regolamenti n. 44/2001 e n. 1348/2000 (ora sotituito dal regolamento n. 1393/2007) sulla notificazione e comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale. 121

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coniugi. Ne consegue che, fino a quando l’Unione non interverrà anche su tali questioni, esse rimangono sottoposte alle norme giurisdizionali interne (in Italia, agli artt. 3 e 32 L. 218/95).

8.9.1. L’efficacia delle decisioni in annullamento, separazione e divorzio

materia

di

Per le decisioni provenienti da giudici di Stati non membri dell’Unione europea si applicherà la disciplina generale dell’art. 64 L. 218/95 cui concorre, in alternativa, l’art. 65 e, per i provvedimenti di volontaria giurisdizione, l’art. 66. Si applicherà, inoltre, l’art. 67 in caso di mancata ottemperanza o contestazione del riconoscimento. Principio generale è l’automatica efficacia della decisione straniera nella presunzione del soddisfacimento dei requisiti richiesti dall’art. 64. Per le decisioni in materia di status matrimoniale, invece, sono richiesti i minori requisiti disposti dall’art. 65. Nonostante qualche incertezza, si ritiene che le due norme possano operare in maniera complementare, ricorrendosi al regime generale quando non risulti applicabile quello speciale (vedi infra, Cap. XVII, par. 17.1). In ambito europeo, il RICONOSCIMENTO DEI riconoscimento delle decisioni PROVVEDIMENTI STRANIERI in materia matrimoniale è - artt. 64 e ss. L. 218/95, per le disciplinato dal decisioni provenienti da giudici di Stati non membri dell’UE; summenzionato reg. - reg. 2201/2003 (in ambito europeo); 2201/2003. Esso prevede il - convenzioni (in ambito riconoscimento automatico internazionale). negli Stati membri delle decisioni di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio, senza, quindi, che vi sia la necessità di ricorrere ad alcun procedimento122. 122

Nei rapporti tra Stati membri, anche in tema di riconoscimento della sentenza straniera di divorzio il reg. 2210/2003 prevale sull’art. 65 L. 218/95: il riconoscimento è automatico (anche per le sentenze emesse dai tribunali ecclesiastici di Spagna e Portogallo) a condizione che non ci sia stata violazione del contraddittorio e dei principi essenziali di difesa. Diverso, però, è il caso delle sentenze di nullità matrimoniali pronunciate in Italia da un tribunale ecclesiastico. Invero, l'art. 8, n. 2 dell'Accordo di revisione del Concordato (legge 121 del 1985)

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-

Il rifiuto al riconoscimento automatico delle decisioni straniere può essere opposto solo in determinati casi: se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto: se la decisione è incompatibile con un’altra decisione; quando la decisione è stata resa in contumacia o il convenuto si è trovato nell’impossibilità di presentare le proprie difese a causa di una notificazione tardiva della domanda giudiziale123. L’accertamento dei motivi ostativi al riconoscimento è eventuale e successivo, potendo avere luogo soltanto su richiesta di chi sia interessato a far dichiarare che una decisione non possa essere riconosciuta (ma il procedimento giudiziale è a disposizione anche di colui che sia interessato a far dichiarare che una decisione debba essere riconosciuta), con istanza da proporre innanzi ad uno degli organi giurisdizionali indicati nell’elenco comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione (in Italia la Corte di Appello territorialmente competente) ai sensi dell’art. 68 del regolamento. A livello internazionale, infine, si applicheranno le disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali di cui l’Italia è parte. Tra queste, si ricordano, la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, relativa al riconoscimento delle misure di protezione dei minori adottate in conseguenza della separazione o del divorzio, e la Convenzione dell’Aja del 1° giugno 1970, che riguarda il riconoscimento delle separazioni e dei divorzi ottenuti in un altro Stato contraente. Tuttavia, nei rapporti tra gli Stati che ne sono parti, il reg. 2201/2003 prevale sulle convenzioni nella misura in cui queste riguardino le materie da esso disciplinate.

prevede espressamente che le sentenze ecclesiastiche di declaratoria di nullità di un matrimonio concordatario possano essere rese esecutive nella Repubblica italiana solo instaurando un apposito e speciale procedimento dinanzi alla Corte d'Appello territorialmente competente. 123 Il vizio di notifica della domanda giudiziale non costituisce, però, motivo di rifiuto al riconoscimento automatico della decisione straniera nel caso in cui si accerti che il convenuto ha accettato inequivocabilmente la decisione.

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CAPITOLO NONO LA FILIAZIONE Sommario: 9.1. Le recenti modifiche in tema di filiazione – 9.2. Lo status di figlio – 9.3. La giurisdizione – 9.4. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di filiazione

9.1. Le recenti modifiche in tema di filiazione La disciplina italiana sulla filiazione è stata recentemente modificata a seguito dell’entrata in LA FILIAZIONE vigore della legge n. 219/2012, che ne - la L. 219/2012 ha ha innovato la regolamentazione, introdotto il principio dell’unicità dello stato di introducendo, nel nuovo art. 315 c.c., il figlio; cd. principio di unicità dello stato di - il d. lgs. 154/2013 ha modificato le disposizioni figlio, in conformità alle norme della della L. 218/95 in tema di Costituzione (artt. 2, 3 e 30) e ai filiazione. principali atti internazionali di tutela dei diritti dei minori. La riforma ha inciso anche sulla disciplina internazional-privatistica. Invero, il d.lgs. n. 154/2013 (“Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012 n. 219”) ha modificato la legge 218/95 a far data dal 7 febbraio 2014. Le norme di d.i.p. sono state modificate non solo con riferimento alle distinzioni tra figli (legittimi, naturali), abrogate dalla legge delega, ma anche in merito ad altri aspetti: in particolare, l’art. 33, co. 4, L. 218/95 riconosce la natura di “applicazione necessaria” alle “norme del diritto italiano che sanciscono l’unicità dello stato di figlio” (ciò allo scopo di assicurare il rispetto del principio dell’unicità dello status di figlio, anche in caso di applicazione di una legge straniera richiamata dal collegamento ex art. 33, co. 1). Le altre modifiche riguardano la sostituzione della nozione di potestà genitoriale con quella di responsabilità genitoriale (coerentemente a quanto previsto dal reg. 2201/2003, cd. Bruxelles II bis), e la disciplina di alcuni aspetti della stessa

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attraverso norme di applicazione necessaria. Si fa riferimento, in particolare, all’attribuzione della potestà genitoriale ad entrambi i genitori (art. 36 bis, lett.a), al dovere di provvedere al mantenimento del figlio (art. 36 bis, lett. b) e all’attribuzione al giudice del potere di “adottare provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli per il figlio” (art. 36 bis, lett. c). Le modifiche alle altre norme italiane di d.i.p. mirano a rafforzare il concetto di unicità dello status di figlio: cosi, ad esempio, si è abrogato il comma 2 dell’art. 33 secondo cui era legittimo il figlio considerato tale dalla legge dello Stato di cui uno dei due genitori fosse cittadino al momento della nascita; allo stesso modo all’art. 35 (disposizione destinata ad operare ai fini del riconoscimento dello stato di figlio) si è eliminato il termine "naturale", essendo venuta meno la distinzione tra figli legittimi e naturali.

9.2. Lo status di figlio L’art. 33 L. 218/95 (come modificato dal D. Lgs. 154/2013) stabilisce che “lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio o, se più favorevole, dalla legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino, al momento della nascita”. Tale modifica ha fatto sì che, a differenza della precedente disposizione (che faceva riferimento solo alla legge nazionale del figlio al momento della nascita), sia ora prevista, in ossequio al principio del favor filiationis, la possibilità di considerare le leggi di due diversi ordinamenti proprio al fine di individuare quella più favorevole al figlio. Il comma 2 dell’art. 33 STATUS DI FIGLIO L. 218/95 dispone, inoltre, che la legge - art. 33: favor filiationis; - art. 35: condizioni per il riconoscimento individuata ai sensi del 1° comma regola i presupposti del figlio; - art. 36: rapporti personali e patrimoniali e gli effetti dell’accertamento tra genitori e figli. e della contestazione dello stato di figlio. La legge competente per l’accertamento o la contestazione estende la sua disciplina a tutti gli elementi di fatto o di diritto che concorrono a tali fini: presunzioni legali, prove

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della paternità, soggetti legittimati ad agire, termini, impedimenti all’azione di accertamento. Altresì, prosegue il comma 2, qualora la legge individuata non permetta l’accertamento o la contestazione dello stato di figlio si applica la legge italiana, la cui operatività viene giustificata sulla base dell’assunto in virtù del quale è da ritenere contraria ai principi generali del nostro ordinamento una legge straniera che non consenta lo stabilimento della filiazione. Ai sensi dell’attuale art. 35, che non prevede più alcun riferimento alla filiazione naturale, le condizioni per il riconoscimento del figlio sono regolate dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o, se più favorevole, dalla legge nazionale del soggetto che fa il riconoscimento, nel momento in cui questo avviene; se tali leggi non prevedono il riconoscimento si applica la legge italiana. Ove nessuna delle leggi applicabili contempli tale istituto (come, per esempio, può accadere in legislazioni conformi alle norme islamiche che escludono il riconoscimento del figlio naturale) ne risulta una contrarietà all’ordine pubblico, informato dal principio generale del favor filiationis, e si applicherà quindi la legge italiana. I rapporti personali e patrimoniali tra genitori e figli, compresa la responsabilità genitoriale, sono regolati dalla legge nazionale del figlio. Così stabilisce l’art. 36, che ha avvicinato, in questo modo, la disciplina italiana a quella del reg. 2201/2003. Restano escluse dall’ambito dell’art. 36 le obbligazioni alimentari (oggetto del reg. 4/2009) e gli istituti di protezione dei minori, considerati all’art. 42 L. 218/95, che rende di applicazione generale la relativa Convenzione dell’Aja del 1961. Infine, un’ulteriore modifica ha riguardato l’inserimento dell’art. 36 bis secondo cui, nonostante il richiamo ad altra legge, si applicano in ogni caso le norme del diritto italiano che: a) attribuiscono ad entrambi i genitori la responsabilità genitoriale; b) stabiliscono il dovere di entrambi i genitori di provvedere al mantenimento del figlio; c) attribuiscono al giudice il potere di adottare provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli per il figlio.

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Approfondimento La surroga di maternità e la fecondazione eterologa L’applicazione della disciplina in tema di filiazione può apparire problematica per quei casi di figli nati attraverso il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita all’estero, in violazione di divieti posti dall’ordinamento italiano. In particolare, numerose pronunce si sono occupate di casi in cui veniva presentata richiesta di trascrizione di atti di nascita formati all’estero, da parte di aspiranti genitori italiani, per figli nati con tecniche di procreazione assistita previste da altri ordinamenti stranieri. Rilevano, in special modo, due ambiti: la surroga di maternità e la fecondazione eterologa. Per ciò che concerne la surroga di maternità, i problemi in merito alla trascrizione degli atti di nascita formati all’estero, derivano dal fatto che il divieto di maternità surrogata, previsto dalla legge n. 40/2004, è ritenuto principio di ordine pubblico (Cass. n. 24001/14). In un ambito così delicato, però, non può non tenersi conto della più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo124, la quale sottolinea la necessità di considerare il “superiore interesse del minore” al fine di superare il limite dell’ordine pubblico contenuto negli ordinamenti nazionali che vietano la surroga di maternità (come quello francese e quello italiano), al fine di rispettare il diritto all’identità personale dei minori nati in seguito ai procedimenti di procreazione assistita. Il superiore principio sancito dalla Corte europea consente una lettura “orientata” degli artt. 8 e 9 della legge n. 40/2004. Essa, quindi, determina la riconoscibilità dello stato di figlio al minore nato a seguito dell’utilizzo di tecniche di procreazione assistita e l’impossibilità di disconoscere il rapporto di filiazione nel caso in cui i genitori abbiano deciso concordemente, anche in violazione della normativa in questione, di ricorrere a tale metodo125. In materia di fecondazione eterologa, l’art. 4, comma 3, della legge 40/2004 disponeva il divieto assoluto di ricorrere a tale tecnica, non preoccupandosi di differenziare la disciplina né in base al tipo di fecondazione cui sarebbe destinata la donazione (in vivo o in vitro) nè a seconda della tipologia di

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Per citare alcune pronunce: Labassee c. Francia, ricorso n. 65941/11; Mennesson c. Francia , ricorso n. 65942/11, sent. 26 giugno 2014; Paradiso e Campanelli c. Italia, ricorso n. 25358/12, sent. gennaio 2015. 125 Il Tribunale di Napoli, per esempio, ai sensi degli artt. 95 e 96 del d.p.r. n. 396/2000 (sull’ordinamento dello stato civile), con decreto del 14 luglio 2011, ha superato il rifiuto del Comune di Barano d’Ischia di trascrivere i certificati di nascita; così anche il decreto della Corte distrettuale di Boulder (Colorado), emanato su istanza del padre (cittadino italiano e statunitense) con riguardo a due minori nati tramite un contratto di maternità surrogata.

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gameti donati (ovuli o sperma). Ciò discriminava in maniera evidente le coppie non in grado di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita mediante fecondazione omologa, per infertilità di uno dei due, rispetto a quelle che, invece, realizzano il loro diritto alla genitorialità tramite la procedura medicalmente assistita di fecondazione eterologa. Ulteriore discriminazione era data dal fatto che, in seguito al divieto della legge italiana, le coppie dotate dei mezzi economici necessari ricorrevano alla fecondazione eterologa in altri paesi. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 162/2014 del 10 giugno 2014, ha sancito l’illegittimità del divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (di cui all’art. 4, co. 3, L. 40/2004), ricostruendo, nelle sue motivazioni, l’ambito di applicazione e i contenuti del diritto di avere figli quale diritto fondamentale della coppia, rispondente ad un interesse pubblico riconosciuto e tutelato dagli artt. 2, 29 e 31 Cost.. La sentenza è particolarmente interessante in quanto ricostruisce il diritto alla genitorialità secondo un’interpretazione consapevole delle evoluzioni della materia e delle sollecitazioni che la stessa necessariamente riceve dal confronto con le diverse discipline degli altri paesi. Con riguardo agli effetti degli atti di nascita derivanti da fecondazione eterologa, si può segnalare la pronuncia della Corte d’Appello di Torino (decr. 29 ottobre 2014) che ha ordinato all’ufficiale di stato civile presso il Comune del capoluogo piemontese di trascrivere l’atto di nascita di un bambino, nato in Spagna, mediante il procedimento di procreazione medicalmente assistita, da due donne, una spagnola e l’altra italiana, riconoscendo il legame di filiazione anche rispetto a quest’ultima, che è la madre non biologica. La pronuncia della Corte d’Appello piemontese può ben definirsi storica in quanto riconosce per la prima volta la cd. omogenitorialità, ovvero la possibilità giuridica di stabilire un legame tra due genitori dello stesso sesso e il loro figlio.

9.3. La giurisdizione Nelle controversie relative ai rapporti di filiazione, oltre a quanto stabilito dalle norme generali (artt. 3 e 9), il giudice italiano è competente ex art. 37 L. 218/95 quando almeno uno dei genitori è cittadino italiano o ha la residenza in Italia. Nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione trova applicazione il reg. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di

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responsabilità genitoriale (vedi supra, Cap. VIII, par. 8.9.1). La sua entrata in vigore ha determinato l’abrogazione del precedente reg. 1347/2000 relativo alla responsabilità dei genitori esclusivamente nei confronti dei figli legittimi126. Esso, innovando in tal senso, riconosce pari strumenti di tutela per tutti i figli (legittimi e naturali) e non parla più neanche di figli, bensì di minori. Si applica alle decisioni di divorzio, annullamento e separazione nonché ad ogni aspetto relativo alla responsabilità genitoriale (attribuzione, esercizio, delega revoca, affidamento, diritto di visita, misure di protezione). Nella disciplina della App. Milano, decr. 5 febbr. 2010 giurisdizione in materia di In linea generale, la giurisdizione si individua nello Stato membro in cui il responsabilità genitoriale, il minore è residente all’epoca reg. 2201/2003 (che non si dell’instaurazione del procedimento. applica alla determinazione o all’impugnazione della filiazione, ai sensi dell’art. 1, par. 3, lett.a), prevede, agli artt. 8-13, una serie di regole concernenti la giurisdizione. In particolare, l’art. 8, per Corte di Giustizia, 5 ott. 2010, in causa quanto riguarda la C-400/10 J. c. McB Prevedere come foro generale quello della competenza in generale in di responsabilità residenza abituale del minore mira ad tema avvicinare la controversia in cui il minore è genitoriale, sancisce che “Le coinvolto ad una giurisdizione che sia autorità giurisdizionali di uno vicina al caso di specie, principalmente in membro sono base alla localizzazione della residenza Stato del minore. competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi”. Vi sono, tuttavia, delle eccezioni a tale regola: a) in caso di trasferimento del minore (e, quindi, di legittimo cambio di residenza), il giudice dello Stato membro in cui il minore aveva in precedenza la sua residenza abituale, il quale abbia già emesso una decisione sulla responsabilità genitoriale (in

Con l’espressione figlio legittimo si intendeva il figlio nato da persone unite in matrimonio. Con figlio naturale si indicava il soggetto nato da due persone non coniugate. La riforma sulla filiazione, come già detto, ha soppresso tale distinzione. 126

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b)

c)

d)

e)

f)

particolare per quanto riguarda il diritto di visita), conserva, a determinate condizioni, la competenza giurisdizionale; inoltre, i genitori possono accettare che il giudice che ha pronunciato il divorzio sia competente a decidere anche in materia di responsabilità genitoriale; a determinate condizioni, i genitori possono altresì mettersi d’accordo per adire i giudici di un altro Stato membro con il quale il minore abbia un legame sostanziale, basato, ad esempio, sulla sua cittadinanza; qualora non sia possibile stabilire la residenza abituale del minore, sono competenti i giudici dello Stato membro in cui il minore si trova. Questa disposizione si applica anche ai minori rifugiati o ai minori sfollati a livello internazionale a causa di disordini nei loro paesi d’origine; qualora non sia possibile determinare la competenza di un tribunale in applicazione delle disposizioni specifiche stabilite dal regolamento, ogni Stato membro potrà applicare la sua legislazione nazionale; in via eccezionale, è infine possibile trasferire il caso ad una giurisdizione più adatta a trattarlo, se ciò è nell’interesse superiore del minore.

9.4. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di filiazione Nel caso in cui debbano riconoscersi decisioni rese in uno Stato membro dell’Unione europea, si applicheranno gli artt. 21 e ss. del reg. 2201/2003 (la disciplina sul riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale si applica anche per il riconoscimento delle

RICONOSCIMENTO PROVVEDIMENTI STRANIERI - artt. 64 e ss. L. 218/95: per le decisioni rese in Stati non membri dell’Unione. - artt. 21 e ss. reg. 2201/2003: per le decisioni rese in Stati membri dell’Unione. - decisioni in materia di responsabilità genitoriale: i provvedimenti sul diritto di visita e ritorno del minore sono riconoscibili senza necessità di alcuna procedura; - per alcune materie (affidamento, potestà genitoriale, misure di protezione) è previsto il cd. riconoscimento agevolato nel caso in cui vi siano contestazioni circa la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento automatico.

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decisioni in materia di rapporti di filiazione). Laddove, invece, si tratti di riconoscere decisioni rese negli Stati terzi, troveranno applicazione le norme di carattere generale di cui agli artt. 64 e ss. della L. 218/95. Le decisioni in materia di responsabilità genitoriale, provenienti dagli Stati membri dell'Unione europea, sono tuttavia soggette a procedure di riconoscimento diverse a seconda dell'oggetto. Invero, i provvedimenti sul diritto di visita e quelli che prescrivono il ritorno del minore sono riconoscibili senza la necessità di ricorrere all’istanza per la dichiarazione di esecutività di cui all’art. 28 del regolamento. La ragione di tale scelta è da ricercare nell’esigenza di celerità del procedimento allo scopo di tutelare il benessere psico-fisico del minore (esigenza che, com’è facile comprendere, è particolarmente sentita proprio in relazione al diritto di visita e al ritorno del minore nello Stato di residenza abituale, dopo un illecito trasferimento). Infatti, il benessere del minore è rappresentato tanto dalla possibilità di mantenere relazioni personali e contatti diretti e regolari con entrambi i genitori, quanto dalla circostanza di non essere allontanato forzatamente dal luogo in cui ha stabilito il centro dei suoi legami affettivi e parentali. Gli altri provvedimenti concernenti l’esercizio della responsabilità genitoriale come, per esempio, quelli riguardanti l’affidamento, la potestà genitoriale e le misure di protezione, sono riconoscibili nell’ordinamento italiano mediante il cd. riconoscimento agevolato. In particolare, nel caso in cui non venga sollevata alcuna contestazione circa la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento, il provvedimento straniero produrrà comunque i suoi effetti automaticamente, senza il ricorso alla procedura di riconoscimento prevista all'art. 21 reg. 2201/2003; Invece, nell’ipotesi in cui vi siano contestazioni circa la sussistenza dei requisiti, tanto la parte che ha interesse al riconoscimento, quanto quella che ha interesse contrario, avranno la possibilità di depositare apposita istanza, al fine di ottenere un provvedimento che consenta o neghi il riconoscimento (dichiarazione di esecutività ex art. 28). Gli artt. 24 e 26, inoltre, nell’imporre, rispettivamente, il divieto di riesaminare la competenza giurisdizionale del giudice che ha 176


pronunciato il provvedimento e il merito della decisione, sembrano confermare la ratio del principio del riconoscimento automatico. Essa, infatti, è da ricercare proprio nella fiducia reciproca che gli ordinamenti dei vari Stati membri ripongono tra loro e, di conseguenza, sulla presunzione che i requisiti del riconoscimento siano soddisfatti. Conferma ulteriore viene data anche dagli artt. 21, 22 e 23 del regolamento, secondo i quali il riconoscimento automatico opera in presenza di due condizioni: a) che la decisione soddisfi i requisiti per il riconoscimento (tassativamente espressi dall’art. 22, in materia matrimoniale, e dall’art. 23, in materia di responsabilità genitoriale) che, come appena detto, si presumono sussistere proprio per la reciproca fiducia che gli Stati membri si accordano; b) che non vi sia contestazione sulla sussistenza dei predetti requisiti. In mancanza di tali requisiti, il riconoscimento non è automatico, bensì agevolato (in tal caso, come sopra detto, la parte potrà presentare istanza volta ad ottenere un provvedimento che consenta o neghi il riconoscimento della decisione straniera ai sensi dell’art. 28).

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CAPITOLO DECIMO L’ADOZIONE Sommario: 10.1. L’adozione nel diritto italiano – 10.2. L’adozione internazionale – 10.3. La disciplina prevista dalla L. 218/95 – 10.4. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione

10.1. L’adozione nel diritto italiano. Brevi cenni

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Prima dell’entrata in vigore della L. 184/1983, il sistema giuridico italiano prevedeva due forme di adozione: l’adozione cd. ordinaria, che poteva riferirsi tanto ai soggetti minori che ai maggiorenni e si caratterizzava per la permanenza del rapporto di filiazione precedente (legittimo o naturale) accanto al nuovo vincolo derivante dall’adozione; l’adozione cd. speciale, che poteva riguardare solo i minori di anni otto in stato di abbandono morale e materiale. Si verificava, in tal caso, la totale interruzione dei rapporti con la famiglia d’origine interamente sostituita da quella dell’adottante. La L. 184/1983, nel L’ADOZIONE NEL DIRITTO ITALIANO modificare interamente Prima della L. 184/1983 vi erano solo due l’istituto dell’adozione, ha forme di adozione (ordinaria e speciale). soppresso la distinzione tra La L. 184/1983 ha: adozione ordinaria e - soppresso la distinzione tra adozione ordinaria e speciale; adozione speciale ed ha, - eliminato dal c.c. l’adozione dei minori altresì, eliminato dal codice (disciplinata da legge speciale); civile la disciplina - eliminato l’istituto dell’affiliazione; concernente l’adozione dei - regolato nuove forme di adozione: a) adozione dei minori; minori (ora prevista solo nella b) adozione dei maggiorenni; legge speciale). Ha, inoltre, c) adozione in casi particolari; soppresso l’istituto d) affidamento dei minori. dell’affiliazione127 e regolato nuove forme di adozione: 127

In forza di tale istituto un minore abbandonato o indigente poteva essere affidato ad un privato per essere allevato come un figlio, senza assumerne lo stato giuridico. L’affiliazione veniva attuata su istanza del privato e con l’assenso dell’eventuale

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a) l’adozione dei minori: prevista per tutti quei minori che si trovano in stato di abbandono materiale e morale non dovuto, però, a situazioni familiari di forza maggiore di carattere transitorio. Interrompe ogni rapporto tra adottato e famiglia giuridica, con la sola eccezione dei divieti matrimoniali; b) l’adozione dei maggiori di età: disciplinata dalle norme del codice civile che regolavano la vecchia adozione ordinaria. In tal caso non si estingue il rapporto con la famiglia d’origine e gli effetti dell’adozione non si estendono alla parentela dell’adottante; c) l’adozione in casi particolari: riguarda minori che non si trovano in condizioni di abbandono e rispetto ai quali, dunque, non vi sono i presupposti per l’adozione vera e propria. Produce effetti analoghi a quelli dell’adozione dei maggiorenni; d) l’affidamento dei minori: non è, in realtà, una forma di adozione, bensì uno strumento volto a risolvere situazioni di disagio familiare temporanee. Non si fa, quindi, ricorso ad istituti di assistenza, in quanto ritenuti meno idonei per il minore rispetto all’accoglienza in un nucleo familiare. Inoltre, non comporta la modifica del rapporto di filiazione del minore con la famiglia d’origine; e) l’adozione internazionale: regola sia l’adozione di minori stranieri in Italia sia l’adozione all’estero di minori italiani.

10.2. L’adozione internazionale La L. 476/1998 (di ratifica della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993), entrata in vigore il 1° maggio 2000 e che ha interamente sostituito il Titolo III della L. 184/1983, ha modificato la disciplina dell’adozione internazionale.

coniuge di questo, mediante decreto emesso dal giudice tutelare che doveva essere omologato dal tribunale, previo parere del pubblico ministero, e attribuiva all’affiliato il cognome dell’affiliante.

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Approfondimento La Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale La Convenzione (art. 1), con cui gli Stati contraenti hanno cercato di costruire un sistema di cooperazione internazionale in materia di adozione, ha come obiettivo principale quello di assicurare che le adozioni internazionali avvengano sempre nell’interesse superiore del minore, nonché quello di prevenire la sottrazione, la vendita e la tratta di minori. Essa riguarda soltanto le adozioni che stabiliscono un legame di filiazione tra adottato e adottanti e si applica in tutti i casi in cui un minore, con residenza abituale in uno Stato contraente (“Stato d’origine”), è stato o deve essere spostato in un altro Stato contraente (“Stato di accoglienza”), dopo essere stato (o al fine di essere) adottato da persone residenti abitualmente nello Stato d’accoglienza. Per quanto riguarda le condizioni minime per la pronuncia dell’adozione (artt. 4 e 5), le autorità dello Stato di origine devono accertare: a)che il minore è adottabile; b)che un’adozione internazionale corrisponde al suo interesse (in tal caso deve essere accertata l’impossibilità di procedere ad un’adozione interna: è il cd. principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale rispetto a quella interna); c)che vi sia il consenso (libero, informato, anche sulle conseguenze dell’adozione, e per iscritto) delle persone, istituzioni o autorità tenute a prestarlo; d)che il minore sia stato consigliato, informato, sentito e, se necessario, che abbia dato liberamente il suo consenso all’adozione. Le autorità dello Stato di accoglienza, invece, devono verificare: a)l’idoneità dei futuri adottanti; b)che questi abbiano ricevuto i consigli necessari; c)che il minore sia stato o sarà autorizzato ad entrare e a risiedere permanentemente nello Stato. La procedura di adozione internazionale si caratterizza per il fatto che l’affidamento del minore ai futuri genitori adottivi da parte delle autorità dello Stato d’origine deve essere previamente approvata da quelle dello Stato di accoglienza, al fine di evitare qualunque incertezza sull’adozione. Infine, l’adozione pronunciata dall’autorità di uno Stato contraente, e certificata conforme alle regole convenzionali, è riconosciuta in tutti gli altri Stati contraenti. Il riconoscimento può essere rifiutato solo in caso di contrasto manifesto con l’ordine pubblico.

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Nel modificare la disciplina della adozione internazionale, - la legge 476/1998 ha modificato la la legge 474/98 ha fissato disciplina dell’adozione internazionale; - la Convenzione dell’Aja del 29 maggio importanti principi. In 1993 mira ad assicurare che le adozioni particolare, le persone internazionali avvengano sempre nell’interesse superiore del minore; residenti in Italia, che - non si applica l’art. 64 L. 218/95 sul intendano adottare un minore riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri (art. 41, co. 2, straniero residente all’estero, L.218/95). devono presentare dichiarazione di disponibilità al Tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza e, quindi, chiedere che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione. Nel caso in cui riescano ad ottenere il decreto di idoneità128, gli aspiranti adottanti dovranno conferire incarico ad un ente autorizzato, il quale si occuperà delle pratiche di adozione presso le competenti autorità del paese estero. La Commissione per le adozioni internazionali, valutate le conclusioni dell’ente incaricato, qualora reputi che l’adozione risponda al superiore interesse del minore, ne autorizza l’ingresso e la residenza permanente in Italia. Se l’adozione deve perfezionarsi in Italia, il Tribunale per i minorenni riconosce il provvedimento dell’autorità straniera solo come affidamento preadottivo (sempre che non sia contrario ai principi fondamentali che regolano il diritto di famiglia e dei minori e risponda al superiore interesse del minore); dopo il periodo di affidamento in Italia (della durata di un anno dall’inserimento del minore nella nuova famiglia), il Tribunale per i minorenni, qualora ritenga sussistenti i presupposti, dovrà riconoscere il provvedimento straniero e, dunque, pronunciare l’adozione, disponendone la trascrizione nei registri dello stato civile. In caso contrario, invece, revocherà l’affidamento. Per effetto della legge n. 91/1992 (disposizioni sulla cittadinanza), il minore straniero adottato dal cittadino italiano acquista la cittadinanza con la trascrizione nei registri dello stato civile. L’ADOZIONE INTERNAZIONALE

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Può accadere, infatti, che il Tribunale non pronunci immediatamente decreto di idoneità per manifesta carenza dei requisiti richiesti dalla legge 184/1983. In tal caso, trasmetterà copia della dichiarazione di disponibilità ai servizi socio-assistenziali degli enti locali affinché eseguano gli accertamenti necessari sui quali si baserà, poi, la decisione del Tribunale.

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Data la delicatezza degli interessi coinvolti, la giurisprudenza ha escluso la configurabilità del riconoscimento automatico, ex art. 64 L. 218/95, dei provvedimenti stranieri di adozione dei minori; ciò anche in virtù dell’esplicita clausola di prevalenza della normativa speciale sulle adozioni dei minori prevista dall’art. 41, comma 2, L. 218/95. Così si è espressamente pronunciata anche la Cassazione (sent. n. 19450/2011) la quale ha dichiarato inammissibile la domanda, proposta ai sensi degli artt. 66 e 67 L. 218/95, di riconoscimento in Italia del provvedimento di affidamento in “kafalah” (istituto simile all’affido) di un minore in stato di abbandono, ad una coppia di coniugi italiana, emessa dal Tribunale di prima istanza di Casablanca (Marocco). In motivazione si legge che l’inserimento di un minore straniero, in stato di abbandono, in una famiglia italiana, può avvenire esclusivamente in applicazione della disciplina sull’adozione internazionale (artt. 29 e 36 L. 184/1983). In virtù, quindi, dell’art. 41, comma 2, L. 218/95 (“Restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori”), non possono essere applicate le norme generali di d.i.p. relative al riconoscimento dei provvedimenti stranieri, ma le disposizioni speciali in materia di adozione.

10.3. La disciplina prevista dalla L. 218/95 La disciplina sull’adozione contenuta nella L. 218/95 (artt. 38-41) è stata modificata dalla LEGGE 218/95 (artt. 38-41) riforma della filiazione (L. - art. 38: tre criteri di collegamento in 219/2012). Invero, la nuova concorso successivo: cittadinanza; disposizione dell’art. 38 a) b) residenza; prevede l’applicazione della c) luogo in cui la vita matrimoniale è localizzata. legge italiana in tutti i casi in prevalentemente - art. 39: rapporti personali e patrimoniali cui è richiesta “al giudice tra adottato e famiglia adottiva. l’adozione di un minore, idonea ad attribuirgli lo stato di figlio”. Ai sensi dello stesso art. 38 i presupposti, la costituzione e la revoca dell’adozione sono regolati dalla legge nazionale

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dell’adottante o degli adottanti, se comune129. In mancanza, si farà riferimento o al diritto dello Stato nel quale risiedono entrambi gli adottanti oppure al diritto dello Stato nel quale, al momento dell’adozione, si localizza prevalentemente la vita familiare degli adottanti130. Tale norma, quindi, individua tre diversi criteri di collegamento, applicabili in concorso successivo, in relazione alle diverse fattispecie di adozione, ad eccezione dell’adozione di un minore, richiesta al giudice italiano, idonea ad attribuirgli lo stato di figlio, per la quale si applica, comunque, il diritto italiano131. Occorre, inoltre, considerare la possibilità del rinvio (art. 13) al diritto italiano, oppure all’ordinamento di uno Stato terzo, ad opera della legge individuata in base ai criteri dell’art. 38. Se l'adottando è maggiorenne, occorre tener conto della sua volontà. Invero, l'art. 38, co. 2, fa salva l'applicazione della legge nazionale dell'adottando maggiorenne per la disciplina dei consensi che essa eventualmente richieda. La legge nazionale dell'adottando regolerà anche le modalità di manifestazione del consenso e le conseguenze della sua mancanza. Il primo criterio indicato dalla norma è la cittadinanza dell’adottante o, se comune, degli adottanti. Potrebbe, però, anche accadere che gli ordinamenti degli Stati in cui gli adottanti hanno la cittadinanza prevedano la possibilità di pronunciare l’adozione anche a favore di coppie non coniugate, ma conviventi. Per superare una tale difformità di disciplina, rispetto a quanto previsto dal nostro sistema, secondo parte della dottrina sarebbe stato opportuno configurare le norme dell’ordinamento Si ritiene, invece, che non rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 38 la dichiarazione di adottabilità che, invece, attiene agli istituti di protezione del minore ex art. 42 L. 218/95. 130 Come già detto, la norma di d.i.p. è destinata ad operare soltanto in via sussidiaria, quando, cioè, non risulti applicabile alla fattispecie concreta la normativa italiana sulle adozioni internazionali (art. 41, co. 2, L. 218/95, che conferma, in questo modo, la già riconosciuta natura di norme di applicazione necessaria delle disposizioni sull’adozione dei minori). 131 L'art. 38 L. 218/95 si rifà alla disciplina prevista dalla legge 184/83 in ordine a due distinte ipotesi: da un lato le adozioni dei minori stranieri che si trovano in stato di abbandono in Italia e dall’altro le adozioni dei minori stranieri già adottati all’estero o comunque provenienti dall’estero per essere adottati in Italia da parte di coniugi italiani (anche se residenti all’estero) e di coniugi stranieri residenti in Italia. 129

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italiano, che pongono il requisito del coniugio come condizione per l’adozione, come norme di applicazione necessaria (art 17 L. 218/95). Tuttavia, una tale soluzione potrebbe frustrare il rispetto del principio del superiore interesse del minore. Ne consegue, pertanto, la possibilità di ammettere in Italia l’adozione per le coppie conviventi purché di sesso diverso, al fine di evitare un possibile contrasto con l’ordine pubblico. Il riferimento alla cittadinanza può, altresì, porre l’ulteriore problema di capire se possa o meno riconoscersi in Italia il provvedimento straniero di adozione di minore a favore di persona non coniugata (cd. adozione dei single). La legge 184/1983 prevede che il provvedimento straniero di adozione del minore, per essere riconosciuto in Italia e qui produrre effetti, debba essere delibato dal Tribunale dei minorenni (si tratta, quindi, di una forma speciale di delibazione in deroga al principio generale del riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione). Il Tribunale dei minorenni valuterà se concedere o meno il riconoscimento sulla base dei parametri indicati dall’art. 35 L. 184/83. In particolare, sarà chiamato a valutare: la conformità del provvedimento straniero ai principi della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 ed il rispetto dei principi fondamentali italiani del diritto di famiglia e dei minori. La prevalente giurisprudenza italiana132, proprio sulla base di tali premesse, sembra essere orientata a riconoscere tali adozioni ma nella forma più limitata dell’adozione senza efficacia legittimante (prevista dall’art. 44 L. 184/1983 che disciplina casi particolari di adozione133; vedi supra, Cap. X, par. 10.1). Ciò anche alla luce della norma dell’art. 6, comma 1, della Convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967, elaborata sotto gli auspici del Consiglio d’Europa in materia di adozione dei minori, che consente l’adozione da parte di un solo adottante. In mancanza di una legge nazionale comune degli adottanti operano, in ordine successivo, i criteri di collegamento della 132

Così, ad esempio, Cass., 14 febbraio 2011, n. 3572. Vedi Corte Cost. ord. N. 12 del 27 marzo 2003 o anche Trib minori Catanzaro 27 settembre 2004. 133

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residenza comune o del luogo in cui la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata. Nel caso in cui i coniugi abbiano più residenze comuni in Stati diversi, oppure siano residenti in paesi differenti, assumerà rilievo il criterio della localizzazione della vita matrimoniale. Per una corretta individuazione di questa potranno prendersi in considerazione vari indizi, anche in concorso tra loro, quali, ad esempio, la durata dei periodi trascorsi presso ogni residenza, il luogo in cui abitano i figli, etc.. Per i coniugi residenti in Stati diversi, l’accertamento del luogo in cui si svolge la vita familiare diventa più difficile, perché basato principalmente su indizi di carattere psicologico (come, ad esempio, le prospettive di lavoro dei coniugi, l’esistenza di una casa di proprietà comune o la decisione di acquistarla). L’art. 39 richiama i criteri di collegamento previsti dall’art. 38 per regolare i rapporti personali e patrimoniali tra l’adottato e la famiglia adottiva. In questo modo vengono ricondotte alla medesima disciplina questioni differenti. Sarà, quindi, possibile regolare in base alla legge individuata dall’art. 39, ad esempio, il diritto al nome (sulla base del 2° comma dell’art. 24), la definizione dello status di figlio adottivo, l’obbligo di convivenza, la mancata costituzione di parentela civile tra l’adottato e la famiglia dell’adottante. Non rientrano, invece, nella disciplina in esame i cd. effetti ex lege dell’adozione, come, per esempio, gli effetti sui rapporti con la famiglia d’origine e sulla cittadinanza dell’adottato. Nell’ambito dei rapporti patrimoniali, vi possono, per esempio, rientrare gli obblighi di mantenimento, la rappresentanza legale e i poteri di amministrazione sul patrimonio dell’adottato, l’usufrutto legale che l’adottante ha su tale patrimonio134. Non sono, invece, riconducibili a tale norma i diritti alimentari, per i quali opera il reg. 4/2009 del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari.

In merito a quest’ultimo istituto, la disciplina in esame corrisponde, peraltro, a quanto prevede l’art. 51, co. 2, L. 218/95, perché l’adozione rientra nei rapporti di famiglia che consentono di derogare alla lex rei sitae in ordine all’acquisto di diritti reali. 134

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10.4. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione L’art. 41 L. 218/95 disciplina il riconoscimento dei provvedimenti in materia di adozione e stabilisce che “I provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli articoli 64, 65 e 66. Restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione”. La disposizione, quindi, necessita di essere coordinata con le norme di cui alla L. 184/83, con la conseguenza che le norme di d.i.p. sul riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri (artt. 64, 65 e 66) si applicheranno soltanto nei casi in cui non operino gli artt. 35 e 36 della legge sull’adozione. Quando si applica la disciplina prevista dalla L. 184/83, i provvedimenti stranieri di adozione hanno efficacia automatica se presentano le condizioni previste dalla Convenzione dell’Aja del 1993. Le adozioni che, invece, non rientrano in tale disciplina, vengono riconosciute sulla base RICONOSCIMENTO DEI dell’art. 66 L. 218/95 in quanto PROVVEDIMENTI STRANIERI il provvedimento straniero di - art. 41 L. 218/95: al comma 1 rinvia agli adozione viene ritenuto un artt. 64, 65, 66 (riconoscimento automatico); al comma 2 fa comunque provvedimento di salva l’applicazioni delle leggi speciali in giurisdizione volontaria (si materia di adozione (L.184/83). tratta, quindi, delle adozioni di - la L. 184/83 (artt. 35 e 36): minori italiani pronunciate a) prevede l’efficacia automatica dei provvedimenti di adozione che all’estero; delle adozioni di presentino le condizioni della minori stranieri emesse dal Convenzione dell’Aja del 1993; giudice straniero nei confronti b) riguarda provvedimenti di adozione di minori stranieri (invece, le adozioni di di cittadini stranieri residenti minori italiani realizzate all’estero all’estero; delle adozioni dei rientrano nel comma 1, art. 41 L. 218/95). maggiorenni, italiani o - non rilevano le norme del reg. 2201/2003. stranieri; delle adozioni “in casi particolari” di cui all’art. 44 L. 184/83). Non rilevano, invece, le norme del reg. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale,

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che escludono espressamente dal proprio ambito applicativo le decisioni relative all’adozione (art. 1.3, lett. b). Approfondimento giurisprudenziale Il caso Wagner c. Lussemburgo del 28 giugno 2007 Con la sentenza Wagner, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto la dimensione transnazionale del diritto al rispetto della vita familiare garantito dall’art. 8 della CEDU anche con riguardo alla posizione di adottati e adottanti. La vicenda è abbastanza nota: una cittadina lussemburghese, single, ottiene in Perù un provvedimento di adozione di una minore di tre anni con effetti legittimanti e con conseguente cessazione per la minore dei rapporti con la famiglia di origine. In virtù del fatto che il provvedimento peruviano viene pronunciato sulla base di una legge diversa da quella dello Stato richiesto, si vede negare la trascrizione del provvedimento di adozione legittimante, che viene convertito in adozione semplice: la normativa lussemburghese, al pari di quella italiana, non prevede, infatti, la adozione legittimante di minori a favore di persona single. Di qui il ricorso da parte della cittadina lussemburghese e della minore adottata alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione degli artt. 6, 8, 14 CEDU. I giudici di Strasburgo, chiamati a decidere sul controverso rapporto tra riconoscimento della sentenza straniera e diritti umani tutelati dalla Convenzione, fissano il fondamentale ed (ormai) imprescindibile principio secondo cui l’interesse superiore del minore costituisce valore di vertice nel sistema degli interessi pubblici e privati rilevanti all’interno della procedura di adozione. Pertanto, alla luce di tale superiore principio, l’Autorità giudiziaria dello Stato richiesto è legittimata a riconoscere integralmente un provvedimento straniero di adozione, anche in deroga al proprio diritto, ove ciò sia necessario a garantire il pieno godimento dei diritti fondamentali riconosciuti al minore e al genitore adottivo. Ne è conseguito, che il provvedimento giurisdizionale adottato in Lussemburgo è stato interamente travolto dalla constatata violazione, da parte della Corte, oltre che del diritto all’equo processo, anche del diritto alla vita familiare e del principio di non discriminazione. In particolare, il giudice europeo ha ritenuto che il mancato riconoscimento, da parte dell’autorità giudiziaria lussemburghese, del provvedimento di adozione con i relativi effetti legittimanti aveva determinato una ingiustificata prevalenza del principio di conservazione del diritto interno sul diritto del minore alla propria vita familiare, già avviata ed intrattenuta con la madre adottiva, in una fase in cui i rapporti con la famiglia di origine risultavano tanto interrotti quanto non ripristinabili. Si era, quindi, instaurato uno status giuridico “corrispondente ad una vita familiare ai sensi

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dell’art. 8 della Convenzione”, la cui conservazione appariva necessaria per evitare la violazione del predetto diritto135. Le importanti indicazioni della Corte di Strasburgo, in merito alla considerazione del rispetto alla vita familiare del minore ma soprattutto del rilievo della tutela del superiore interesse del minore, temperano, senza dubbio, il ricorso al limite dell’ordine pubblico internazionale e non possono non essere prese in considerazione anche nell’ambito dell’ordinamento italiano.

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M. Cavallo, Le mille facce dell’ascolto del minore, Armando editore.

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CAPITOLO UNDICESIMO LA TUTELA DEI MINORI E DEGLI INCAPACI Sommario: 11.1. Le fonti internazionali a tutela di minori e incapaci – 11.2. La protezione dei minori – 11.3. La legge applicabile in materia di protezione dei minori – 11.4. Giurisdizione in materia di protezione degli adulti incapaci e legge applicabile – 11.5. Riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di tutela degli adulti incapaci e dei minori – 11.6. Le obbligazioni alimentari – 11.6.1. La disciplina convenzionale – 11.6.2. La disciplina comunitaria. Il regolamento 4/2009

11.1. Le fonti internazionali a tutela di minori e incapaci In tema di protezione di minori ed incapaci si è registrata un’incessante evoluzione FONTI INTERNAZIONALI A TUTELA DI delle fonti convenzionali, MINORI E INCAPACI volta ad accrescere e - la Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 afferma la centralità del rafforzare le forme di tutela soggetto diversamente abile come titolare previste per il soggetto di diritti fondamentali; - nelle altre convenzioni internazionali, la vulnerabile. Nel quadro di protezione al soggetto diversamente abile tale evoluzione, il riferimento è “complementare” all’affermazione del diritto specificamente considerato (es. principale è dato dalla istruzione dei fanciulli). Convenzione delle Nazioni Unite, approvata il 13 dicembre 2006 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di New York e resa esecutiva in Italia con legge 3 marzo 2009 n. 18, che racchiude organicamente un sistema di norme e garanzie a tutela dei soggetti vulnerabili. Essa è ispirata ad un nuovo approccio alla disabilità e rappresenta una tappa fondamentale nell’evoluzione della tutela internazionale dei diritti fondamentali dell’individuo. Tra gli obiettivi principali che si pone la Convenzione vi è senza dubbio quello di abbattere le barriere che ostacolano la partecipazione nella società della persona con disabilità. L’accessibilità di tutto per tutti, il riconoscimento di particolari garanzie e il rafforzamento del ruolo delle organizzazioni di rappresentanza sono le priorità su cui si fonda la Convenzione. Tali priorità sono

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dirette a realizzare principi fondamentali quali la dignità, l’eguaglianza e la non-discriminazione, l’autonomia individuale, la partecipazione e l’inclusione nella società, l’accettazione della disabilità come parte della diversità umana. La Convenzione presenta un notevole valore aggiunto rispetto agli altri accordi internazionali sui diritti umani (altrettanto applicabili alle persone con disabilità), in quanto mira a predisporre una tutela ad hoc al fine di garantire gli adattamenti necessari per l’esercizio dei diritti umani da parte delle persone diversamente abili. Integra, quindi, il quadro giuridico, già esistente in altri accordi internazionali, per l’effettiva attuazione del principio di uguaglianza e, così come avviene per gli altri gruppi ritenuti “vulnerabili” (migranti, bambini, donne), anche i disabili sono tutelati da un strumento giuridico vincolante che non si limita a vietare misure e prassi discriminatorie, ma appresta una tutela specifica per i soggetti “individualmente e socialmente deboli”. Da tale punto di vista la Convenzione rappresenta il compimento di un lungo percorso verso il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, iniziato con l’adozione di atti quali la Dichiarazione sui diritti delle persone mentalmente ritardate del 1971, la Dichiarazione sui diritti delle persone disabili del 1975 e le Regole standard sulle pari opportunità delle persone con disabilità del 1993. Il negoziato che ha condotto all’elaborazione della Convenzione è stato contrassegnato da diversi contrasti che hanno influito sulle soluzioni adottate nel testo finale e sul processo di adesione al sistema convenzionale. Particolarmente problematico è stato il riconoscimento della capacità giuridica delle persone disabili, che ha poi condotto all’obbligo per le parti di garantire la titolarità dei diritti dei disabili anche se essi non sono in grado di gestire indipendentemente i loro interessi. Inoltre, la Convenzione non è stata firmata dalla Santa Sede che, pur avendo attivamente partecipato ai negoziati, ha ritenuto i riferimenti alla pianificazione familiare e al

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diritto alla ”salute sessuale e riproduttiva” (artt. 23 e 25) implicite ammissioni dell’aborto di feti potenzialmente disabili136. Uno dei motivi principali per cui la Convenzione di New York rappresenta una tappa fondamentale nell’evoluzione della tutela dei diritti fondamentali è la centralità che essa riconosce all’individuo diversamente abile, titolare dei diritti dalla stessa previsti. La differenza rispetto alla tutela riconosciuta a tali soggetti dalle altre convenzioni internazionali è che, mentre in queste ultime la protezione riconosciuta è “complementare” all’affermazione del diritto specificamente considerato (istruzione dei fanciulli, lavoro), nella Convenzione di New York, invece, si afferma la centralità del soggetto diversamente abile come titolare di diritti fondamentali.

11.2. La protezione dei minori Si parla di protezione del minore per far riferimento a tutti quegli istituti mediante i quali viene PROTEZIONE DEI MINORI assicurata protezione al - l’art. 42 L. 218/95 richiama “in ogni caso” minore e ai suoi beni nel la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre caso in cui ciò non venga 1961; la Convenzione dell’Aja del 19 ottobre garantito dai titolari della -1996 sostituisce, dal 1° gennaio 2016, la responsabilità genitoriale. Si Convenzione dell’Aja del 1961. pensi, ad esempio, alla tutela, all’affidamento ed ai provvedimenti che si rendono necessari in caso di separazione o di divorzio oppure, con riguardo agli istituti di protezione dei beni del minore, alle autorizzazioni e ai pareri del giudice tutelare. La disciplina internazional-privatistica per la protezione dei minori è contenuta nell’art. 42 L. 218/95, che richiama “in ogni caso” la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961137.

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R. Cera, La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, 2009. 137 La Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 è stata ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 24 ottobre 1980 n. 742. Tuttavia, essa è entrata in vigore soltanto il 22 aprile 1995 dopo che furono emanate le norme di attuazione richieste dalla legge di ratifica.

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Al secondo comma, l’art. 42 estende, altresì, l’applicazione della Convenzione sancendo che le sue disposizioni “si applicano anche alle persone considerate minori soltanto dalla legge nazionale, nonché alle persone la cui residenza abituale non si trova in uno degli Stati contraenti”138. Il richiamo “in ogni caso” alla Convenzione, operato dall’art. 42 è stato criticato dalla dottrina, in quanto all’epoca dell’entrata in vigore della L. 218/95, la Convenzione del 1961 era oggetto di revisione in sede internazionale. Questo iter di revisione, infatti, si è concluso con la Conferenza dell’Aja del 19 ottobre 1996, che ha adottato una nuova Convenzione, concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità dei genitori e di misure di protezione dei minori, la quale, a partire dal 1° gennaio 2016 (data in cui è entrata in vigore per l’Italia) ha sostituito la Convenzione dell’Aja del 1961. Sul punto, quindi, si ipotizza una futura modifica dell’art. 42, atteso che lo stesso fa ancora riferimento alla Convenzione dell’Aja del 1961, ormai sostituita. Tra i vari istituti di protezione del minore che si ritiene rientrino nell’ambito di applicazione dell’art. 42 vi sono, tra gli altri, anche i provvedimenti di cui all’art. 333 c.c. che, pur riguardando la condotta pregiudizievole del genitore nei confronti del figlio, hanno comunque la funzione specifica di proteggere il minore (così, Cass, S.U., n. 1/2001). Vi rientrano anche le misure relative ai figli minori che vengono assunte in sede di separazione personale o di divorzio dei genitori; ciò in considerazione del fatto che l’Italia non si è avvalsa della facoltà, prevista dall’art. 15 della Convenzione del 1961, di creare una competenza speciale per le misure attinenti ai minori (affidamento e diritto di visita per il coniuge non affidatario), cd. “foro del divorzio”. In merito agli istituti di protezione dei beni del minore, la disciplina convenzionale di cui all’art. 42 si applica a numerose fattispecie, quali, ad esempio, le autorizzazioni dell’autorità giurisdizionale in ordine alla vendita, alla divisione, all’accettazione dei beni del 138

Invece, la Convenzione, agli artt. 12 e 13, limita la propria sfera di applicazione ai minori che hanno la propria residenza abituale in uno Stato contraente e alle persone considerate minori sia dalla loro legge nazionale sia dalla legge dello Stato in cui risiedono abitualmente.

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minore, nonché i pareri del giudice tutelare nell’ambito dei procedimenti successori e la rimozione del genitore dall’amministrazione dei beni del figlio. Non sembrano, invece, riconducibili a tale ambito di applicazione le ipotesi in cui il patrimonio del minore sia costituito in trust. Ciò in virtù del fatto che, in questo caso, la particolarità dell’istituto patrimoniale prevale rispetto alla finalità di protezione del minore. La Convenzione dell’Aja del 1961 che, agli artt. 1 e 2, definisce la competenza giurisdizionale per l’adozione delle misure protettive del minore e dei suoi beni, nonché la legge applicabile in relazione a tali misure139, va comunque rapportata, per ciò che concerne la giurisdizione, con quanto stabilito dal reg. 2201/2003 (cd. Bruxelles II bis), applicabile a tutti gli Stati membri dell’Unione europea, ad eccezione della Danimarca, che si è avvalsa della facoltà di optin out (vedi supra, Cap. VIII, par. 8.9). Tale regolamento, infatti, nell’ambito della responsabilità genitoriale si occupa anche delle questioni relative alla protezione dei minori. Per le materie che presentano profili di interferenza tra i due atti, la normativa di coordinamento contenuta nel regolamento (art. 60), stabilisce la prevalenza di quest’ultimo sulla Convenzione dell’Aja del 1961 nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione che ne sono parte. Data l’ampia nozione di responsabilità genitoriale contenuta nel reg. 2201/2003140, l’ambito applicativo della Convenzione dell’Aja del 1961 risulta notevolmente ridotto. Ai sensi dell’art. 1 della Convenzione del 1961 “Le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza di un minore sono competenti (…) ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni”. Ai sensi dell’art. 2, comma 1, le autorità dello Stato, individuate ai sensi dell’articolo precedente, applicheranno poi la loro legge nazionale. 140 A titolo esemplificativo, sono riconducibili nell’ambito della responsabilità genitoriale, ai sensi del reg. 2201/2003: la potestà genitoriale (da intendersi come l’insieme dei diritti e dei doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica, in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore, riguardanti la persona o i beni del minore), la tutela, la curatela, la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o lo assistano, la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto, il diritto di visita o di affidamento, le misure di protezione legate all’amministrazione, alla conservazione o all’alienazione dei beni dei minori. 139

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11.3. La legge applicabile in materia di protezione dei minori Come si è già anticipato, la legge applicabile alla tutela dei minori è individuata dall’art. 42 L. 218/95, che richiama “in ogni caso” la Convenzione dell’Aja del 1961. L’ambito soggettivo viene ampliato sulla base del disposto del 2° comma dell’art. 42 secondo cui “le disposizioni della Convenzione si applicano anche alle persone considerate minori soltanto dalla loro legge nazionale, nonché alle persone la cui residenza abituale non si LEGGE APPLICABILE IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI MINORI trova in uno degli Stati contraenti”. Ai fini della - art. 42, co. 1, L. 218/95 : ambito oggettivo; qualificazione dello status di - art. 42, co. 2, L. 218/95: ambito minore rileva, pertanto, solo soggettivo. la disciplina prevista dalla - La convenzione dell’Aja del 1996 ha un approccio più analitico rispetto alla legge nazionale dello stesso Convenzione dell’Aja del 1961. (in conformità anche a quanto previsto dall’art. 23, co. 1, L. 218/95). L’ambito di applicazione oggettivo, invece, viene ampliato dal richiamo “in ogni caso” alla Convenzione del 1961 che consente, in questo modo, di estendere l’operatività della stessa ad ipotesi normalmente considerate estranee ad essa, come, per esempio, la curatela dei minori emancipati, non soggetti alla Convenzione in quanto non considerati eguali ai minori incapaci e, comunque, solo parzialmente capaci di agire. Si è detto sopra che la Convenzione dell’Aja del 1961 è stata sostituita dalla Convenzione dell’Aja del 1996 che, in materia di legge applicabile, ha un approccio maggiormente analitico, prevedendo in materia otto norme (artt. 15-22), e non solo tre, come la Convenzione del 1961 (artt. 2, 3, e 4). Tra le due convenzioni esistono alcuni punti di contatto, quali ad esempio la prevista coincidenza di forum e ius141, sancita sia dall’art. 15 della Convenzione del 1996, sia dall’art. 2 della Convenzione del 1961. A tale regola è, tuttavia, prevista una deroga: invero, il 2° comma dell’art. 15 prevede che qualora la Si ha coincidenza tra forum e ius quando l’autorità giurisdizionale competente applica le leggi del proprio Stato. 141

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protezione della persona o dei beni del minore lo richieda, l’autorità competente possa applicare o prendere in considerazione la legge di un altro Stato contraente con il quale la fattispecie presenta uno stretto legame. Un importante elemento che emerge dall’analisi della disciplina della Convenzione del 1996 è quello disciplinato dall’art. 16 che, ai parr. 3 e 4, prende in considerazione il cd. conflit mobile, determinato dal cambio di residenza del minore. I suddetti paragrafi prevedono, rispettivamente, che: nel caso in cui la responsabilità genitoriale sia già esistente al momento del cambio di residenza del minore, essa continuerà a sussistere anche dopo tale trasferimento (cd. ultrattività della responsabilità genitoriale); nel caso, invece, si volesse attribuire ex novo la responsabilità genitoriale ad una persona che ne risultava sprovvista al momento del cambio di residenza, tale attribuzione sarà disciplinata dalla legge dello Stato di nuova residenza abituale del minore. La Convenzione dell’Aja del 1996, pertanto, mira esattamente ad introdurre elementi di maggiore certezza e definizione nel campo della tutela dei minori rispetto alla precedente Convenzione del 1961. Il principio fondamentale che regge la Convenzione è quello chiaramente enunciato dal diritto internazionale in materia di infanzia, ossia quello del best interest del minore (cfr. ONU, Convenzione sui diritti dell’infanzia, art. 3 comma 1), che deve sempre prevalere sia rispetto alla sua appartenenza a una determinata nazionalità, sia rispetto alla rigida applicazione della legislazione nazionale del Paese ospitante. Sempre nell'ottica di ricerca del best interest del minore, la Convenzione impone ad ogni Stato di “riconoscere” le misure di protezione adottate dalle autorità di uno Stato contraente – salvo eccezioni dettagliatamente indicate – “come se fossero state adottate dalle proprie autorità”. Non si tratta semplicemente di riconoscere la validità di istituti giuridici di altri Paesi all’interno del nostro ordinamento, ma più profondamente di coglierne il significato, i valori e le relazioni che essi mettono in forma, per farli positivamente interagire da un lato con i principi fondamentali dei diritti umani indisponibili, dall’altro con gli istituti e le norme della nostra tradizione giuridica in modo da realizzare al meglio, 197


attraverso gli strumenti del diritto, quel rispetto della dignità di ogni persona che sta alla base di ogni iniziativa volta alla tutela dei minori. In quest’ottica la Convenzione dell’Aja prevede il riconoscimento non solo di quelle forme di responsabilità genitoriale codificate negli istituti dell’adozione o dell’affido tipici dei nostri ordinamenti, ma anche di quelle forme di tutela dei minori in stato di difficoltà o di abbandono previsti da altre tradizioni come, nel caso dei Paesi islamici, la kafala (istituto islamico, simile all'affido, per effetto del quale un adulto musulmano, o una coppia di coniugi, ottiene la custodia del minorenne, in stato di abbandono, che non sia stato possibile affidare alle cure di parenti, nell’ambito della famiglia)142.

11.4. Giurisdizione in materia di protezione degli adulti incapaci e legge applicabile In materia di tutela degli incapaci adulti, l’art. 44 L. 218/95 definisce in maniera ADULTI INCAPACI. GIURISDIZIONE E LEGGE APPLICABILE piuttosto ampia la del giudice -art. 44 L. 218/95 (giurisdizione): definisce competenza in maniera ampia la competenza del italiano, sancendo che essa giudice italiano; sussiste, oltre che nei casi -Convenzione dell’Aja del 13 gennaio 2000. previsti dagli artt. 3 e 9 della -art. 43 L. 218/95: legge applicabile. stessa legge, anche in caso di provvedimenti provvisori ed urgenti volti a proteggere la persona o i beni dell’incapace che si trovino in Italia. È una soluzione che corrisponde solo parzialmente a quella seguita negli ordinamenti per i quali è in vigore la Convenzione dell’Aja del 13 gennaio 2000, sulla protezione degli adulti incapaci, che è entrata in vigore sul piano internazionale il 1° gennaio 2009. Essa si propone di rafforzare, nelle situazioni a carattere internazionale, la protezione degli adulti incapaci, al fine di evitare conflitti tra i sistemi giuridici degli Stati contraenti in materia di competenza, legge applicabile, riconoscimento ed 142

M. Nicoletti, Europa, Democrazia, Diritti Umani, Stato di diritto, 2014

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esecuzione delle misure di protezione degli adulti. La Convenzione ha una struttura simile a quella della Convenzione del 19 ottobre 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, ma è stata adeguata alle specifiche esigenze degli adulti vulnerabili. La Convenzione del 2000 si occupa sia di stabilire i criteri per determinare lo Stato, le cui autorità sono competenti ad adottare le misure di protezione della persona e dei beni dell’adulto, sia di dettare norme sulla competenza giurisdizionale, sulla legge applicabile e sul riconoscimento internazionale e l’esecuzione delle misure stesse. Essa, inoltre, introduce un meccanismo di cooperazione tra le autorità degli Stati contraenti, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006. Le misure di protezione previste possono vertere sulla determinazione dell’incapacità e l’istituzione di un regime di protezione, sulla tutela, curatela ed istituti analoghi, sul collocamento dell’adulto in istituto o in altro luogo in cui possa esserne garantita la protezione, sulla conservazione dei beni, sull’autorizzazione a compiere singoli atti, etc. (si veda in proposito l’elenco non esaustivo di cui all’art. 3). Sono esclusi dal campo di applicazione della Convenzione le materie elencate dall’art. 4 tra cui gli obblighi di corrispondere gli alimenti, l’annullamento del matrimonio, la separazione legale, le amministrazioni fiduciarie, le successioni, la previdenza sociale, etc.. Essa, inoltre, prevede norme uniformi per determinare quali autorità di un Paese siano competenti ad adottare le misure di protezione necessarie: si attribuisce la competenza in via principale alle autorità dello Stato di residenza abituale dell’adulto (art. 5 par. 1). Si tratta di un criterio soggettivo, perché riferito alle parti interessate e c.d. “mobile” perché, in caso di trasferimento della residenza abituale dell’adulto in un altro Stato contraente, sono competenti le autorità dello Stato di nuova abituale residenza. Si prevede, inoltre, come regola generale, che le autorità così individuate applichino la loro legge, definendosi così la coincidenza tra forum e ius.

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Nella Convenzione dell’Aja del 2000, il concetto di «residenza abituale» non viene definito, salvo precisare che ogni riferimento alla residenza abituale in tale Stato Cass. n. 1058/2003 riguarda la residenza abituale in Secondo giurisprudenza prevalente occorre un’unità territoriale (art. 45, lett. a). È un’interpretazione fattuale di evidente, quindi, che il concetto di “residenza abituale”, da «residenza abituale» riguarda, intendere, cioè, come luogo in cui la persona dimora secondo i criteri generali, un luogo abitualmente (così, ad fisico territorialmente individuato. esempio, Cass. n. Circa la legge applicabile, l’ambito di 1058/2003). applicazione dell’art. 43 L. 218/95 è molto esteso, riferendosi anche ai presupposti e agli effetti delle misure di protezione degli incapaci. Si ritiene rientrino nell’ambito di applicazione della norma anche gli effetti della tutela e cioè i rapporti personali ed economici derivanti dalla misura adottata (l’organizzazione degli istituti di protezione, i criteri da seguire nella scelta del tutore, del curatore e dei motivi di esonero dall’ufficio, i poteri che il tutore può esercitare e le responsabilità nelle quali incorre). Vi rientrano anche alcuni nuovi istituti di protezione degli incapaci, come, per esempio, il mandat d’inaptitude ed il testamento biologico. Il primo consiste in un mandato in previsione della propria incapacità, previsto e regolato da molti ordinamenti giuridici ma anche dall’art. 15 della Convenzione dell’Aja del 2000, già soggetto ad una prima regolamentazione in Italia con la legge 9 gennaio 2004 n. 6 relativamente all’amministrazione di sostegno (artt. 404-413 c.c.); il secondo è, invece, un atto unilaterale con cui il testatore esprime, quando si trova ancora in condizione di lucidità mentale, la sua volontà in merito alle terapie che intende o non intende accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso informato).

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11.5. Riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di tutela degli adulti incapaci e dei minori Per il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in tema di tutela degli adulti incapaci, l’art. 44, comma 2, L. 218/95 richiama le regole sancite dall’art 66 L. 218/95. Si legge, infatti, che “Quando in base all'articolo 66 nell'ordinamento italiano si producono gli effetti di un provvedimento straniero in materia di capacità di uno straniero, la giurisdizione italiana sussiste per pronunciare i provvedimenti modificativi o integrativi eventualmente necessari”. Per la riconoscibilità, invece, dei provvedimenti stranieri in tema di tutela dei minori valgono le norme del reg. 2201/2003, ove applicabile. Per quanto riguarda il riconoscimento delle decisioni rese in Stati terzi, si fa riferimento alle norme generali (artt. 64-67 L. 218/95) in tema di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni.

11.6. Le obbligazioni alimentari Per obblighi alimentari si intendono tutte quelle prestazioni di carattere patrimoniale che trovano la loro causa in un rapporto di famiglia. Dal punto di vista internazional-privatistico, l’art. 45 L. 218/95 sancisce che “Le obbligazioni alimentari nella famiglia sono in ogni caso regolate dalla Convenzione dell'Aja del 2 ottobre 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari”. Le disposizioni della Convenzione (la quale è stata resa esecutiva in Italia con la L. 24 ottobre 1980 n. 745) hanno, dunque, efficacia erga omnes, in quanto si applicano anche se la legge richiamata è quella di uno Stato non contraente. A livello comunitario, è il reg. 4/2009 (relativo alla competenza, alla legge applicabile, al OBBLIGAZIONI ALIMENTARI riconoscimento e - art. 45 L. 218/95; all’esecuzione delle - Convenzione dell’Aja del 2 ottobre 1973; decisioni e alla - reg. 4/2009 (in ambito europeo). cooperazione in materia di

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obbligazioni alimentari) a dettare la disciplina in materia di obbligazioni alimentari nella famiglia. Esso, in vigore dal 18 giugno 2011, sostituisce le disposizioni in materia di obbligazioni alimentari del reg. CE n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Sostituisce, altresì, il reg. 805/2004 (che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati), tranne che per i titoli esecutivi europei riguardanti le obbligazioni alimentari emessi in uno Stato membro non vincolato dal Protocollo aggiuntivo della Convenzione dell’Aja del 2007 (vedi infra, par. 11.6.2).

11.6.1. La disciplina convenzionale Per quanto concerne la determinazione della legge applicabile, la Convenzione dell’Aja del 2 ottobre 1973 prevede una serie di collegamenti «a cascata» volti a favorire il creditore di alimenti, in quanto meritevole di ampia protezione. La legge CONVENZIONE DELL’AJA DEL 1973 applicabile è, in Collegamenti “a cascata” per individuare la legge luogo, applicabile (cd. “criteri successivi in funzione del primo risultato”): quella della - residenza abituale del creditore; residenza - legge nazionale comune delle parti; abituale del - lex fori. - art. 11: limite dell’ordine pubblico creditore. Il reg. 4/2009 richiama, in tema di legge applicabile, il In caso di Protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007. Quest’ultimo mutamento della sostituisce la Convenzione dell’Aja del 1973 nei rapporti residenza si tra Stati contraenti. applica, a partire dal momento in cui il cambiamento è avvenuto, la legge della nuova residenza abituale; qualora il creditore non possa ottenere il diritto alimentare in virtù della legge di residenza, si applica la legge nazionale comune alle parti. Se il creditore non può ottenere gli alimenti neppure in virtù della legge nazionale comune, si applica la legge dello Stato cui appartiene l’autorità che è stata investita della domanda (lex fori).

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Per le obbligazioni alimentari conseguenti a divorzio, separazione o annullamento del matrimonio, l’art. 8 deroga ai criteri sopradetti stabilendo che, in tali casi, troverà applicazione la legge in base alla quale il divorzio, la separazione o l’annullamento del matrimonio sono stati pronunciati. I criteri indicati dalla Convenzione non sono alternativi tra loro, atteso che il testo convenzionale stabilisce un preciso ordine gerarchico. In realtà, non sono nemmeno criteri successivi nel senso tradizionale del termine, in quanto il passaggio dall’uno all’altro non è determinato dal mancato funzionamento del precedente. Si tratta, invece, di criteri “successivi in funzione del risultato”, nel senso che il collegamento successivo viene richiamato quando il precedente non è in grado di assicurare al creditore la percezione degli alimenti, che costituisce il fine perseguito dal legislatore. Un limite di carattere generale all’operatività della disciplina convenzionale è previsto dall’art. 11, comma 1, secondo cui “l’applicazione della legge indicata dalla presente Convenzione può essere negata solo se manifestamente contraria all’ordine pubblico”. Il riferimento all’incompatibilità “manifesta” con l’ordine pubblico mira a circoscrivere il più possibile l’operatività di tale eccezione. L’art. 11, al comma 2, prosegue sancendo che “Tuttavia, anche se la legge applicabile dispone altrimenti, nella determinazione dell’ammontare della prestazione alimentare deve essere tenuto conto dei bisogni del creditore e delle risorse del debitore nella determinazione dell’ammontare della prestazione alimentare”. Tale disposizione è attuativa di quel principio previsto in alcuni ordinamenti, secondo cui gli alimenti sono sempre dovuti in proporzione delle necessità di chi li riceve e delle risorse di chi li fornisce. Essa, quindi, rispetto al comma 1 (secondo cui non si applica la legge se manifestamente contraria all’ordine pubblico) ha una portata applicativa cd. parziale, in quanto la legge competente troverà comunque applicazione, ma sarà “corretta” nella parte in cui non preveda, nella determinazione dell’ammontare della somma dovuta, la considerazione dei suddetti bisogni e risorse.

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Sono, invece, escluse dall’ambito applicativo della Convenzione, le obbligazioni alimentari estranee ai rapporti di famiglia, come quelle nascenti da donazioni o accordo tra le parti. Per la loro origine contrattuale queste ultime trovano la loro disciplina nella Convenzione di Roma del 1980, ora reg. 593/2008 (Roma I). Dal 18 giugno 2011 è in vigore il reg. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari. Esso si applica a tutte le obbligazioni alimentari che derivano da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità (nonché al riconoscimento e all’esecuzione, negli altri Stati membri, di decisioni emesse in uno Stato membro) e richiama, in tema di legge applicabile, il Protocollo dell’Aja del 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari. Il Protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 (o Protocollo aggiuntivo alla Convenzione dell’Aja del 23 novembre 2007) sostituisce la Convenzione dell’Aja del 1973 nei rapporti tra Stati contraenti. Pertanto, per le controversie instaurate in Italia dopo il 18 giugno 2011 non si può più fare riferimento alla Convenzione dell’Aja del 1973, che si applicherà, in maniera residuale, solo alle controversie iniziate prima di tale data.

11.6.2. La disciplina comunitaria. Il regolamento 4/2009 Negli Stati membri dell’Unione europea, per determinare la legge applicabile alle obbligazioni alimentari nella famiglia, si fa riferimento al reg. 4/2009 e al Protocollo aggiuntivo della Convenzione dell’Aja del 23 novembre 2007143, sull’esazione internazionale di prestazioni alimentari nei confronti dei figli e degli altri membri della famiglia, ratificato dall’Unione europea l’8 aprile 2011.

L’art. 15 del reg. 4/2009, infatti, richiama il Protocollo aggiuntivo. Tale atto rappresenta il risultato cui è pervenuta la Conferenza dell’Aja, al fine di coordinare la complessa disciplina delle obbligazioni alimentari, tramite esso e tramite la Convenzione del 23 novembre 2007 sull’esazione internazionale di prestazioni alimentari nei confronti dei figli e degli altri membri della famiglia. 143

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Secondo quanto prevede l’art. 18 del Protocollo, esso sostituisce la Convenzione dell’Aja del 1973 nei rapporti tra Stati contraenti. Con Decisione del Consiglio del 30 novembre 2009 n. 941/2009, la Comunità europea ha aderito al Protocollo e ha dichiarato la propria competenza esclusiva nella materia. Di conseguenza, gli Stati membri sono vincolati al rispetto del Protocollo nella definizione della legge applicabile alle obbligazioni alimentari nella famiglia, a far data dalla sua applicazione provvisoria, avvenuta il 18 giugno 2011. Per le controversie instaurate in Italia dopo tale data, non si può, dunque, più fare riferimento IL REG. 4/2009 alla Convenzione dell’Aja del 1973, la cui applicabilità è, - reg. 4/2009: artt. 3, 4 e 5 individuano le autorità giurisdizionali competenti a oggi, soltanto residuale, pronunciarsi sulle obbligazioni alimentari perché riservata negli Stati membri; esclusivamente alle - le parti possono convenire per iscritto che siano competenti le autorità giurisdizionali controversie iniziate prima di dello Stato membro di cui almeno una di tale data. esse è cittadino o nel quale risiede Il reg. 4/2009 si applica, a abitualmente; -art. 6: competenza sussidiaria; partire dal 18 giugno 2011, in -art. 7: foro necessario. tutti gli Stati membri dell’Unione, ad eccezione della Danimarca che si è avvalsa della facoltà di opting out. Lo scopo che il regolamento si propone è quello di agevolare la libera circolazione delle persone all’interno dello spazio europeo, garantendo il recupero effettivo dei crediti alimentari che derivano da rapporti di famiglia, parentela o affinità in situazioni transfrontaliere. Prima dell’adozione del regolamento 4/2009 non esisteva una nozione unitaria di credito alimentare, in quanto la locuzione “crediti alimentari” veniva utilizzata diversamente dai singoli Stati membri. Il regolamento, invece, proprio per facilitare il recupero effettivo dei crediti alimentari, stabilisce che devono essere considerati tali tutti quelli derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o affinità. Il regolamento, inoltre, sancisce (artt. 3, 4, e 5) che sono competenti a pronunciarsi in materia di obbligazioni alimentari negli Stati membri: l’autorità giurisdizionale del luogo in cui il convenuto o il creditore risiedono abitualmente; l’autorità 205


giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un’azione relativa alla responsabilità genitoriale o allo stato delle persone (ad esempio, in caso di divorzio), qualora la domanda relativa ad un’obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione (cd. clausola di raccordo con il reg. 2201/2003); l’autorità giurisdizionale dello Stato membro dinanzi alla quale compare il convenuto, salvo che la comparizione sia volta ad eccepire la competenza. Le parti possono, comunque, convenire per iscritto che siano competenti le autorità giurisdizionali dello Stato membro di cui almeno una di esse è cittadino (in tal caso la cittadinanza denota uno stretto legame con la situazione oggetto di controversia e, dunque, anche se riferita ad una delle parti, non può considerarsi fonte di discriminazione) o nel quale risiede abitualmente. Nell’individuazione dei criteri di giurisdizione, il reg. 4/2009 appare ispirato all’obiettivo di evitare ogni discriminazione fondata sulla nazionalità, dato che il criterio principale è la residenza abituale. Il criterio della cittadinanza, come si è visto, non è, comunque, privo di rilievo ed assume un ruolo tale da evitare ogni possibile discriminazione; difatti, laddove lo stesso rilevi come criterio di giurisdizione autonomo, e quindi non oggetto della scelta delle parti, si prevede l’esclusione della sua operatività se riferita ad una sola delle due, poiché, in caso contrario, si porrebbe in essere un'ingiusta discriminazione. Con riguardo alle obbligazioni alimentari tra coniugi o ex coniugi, essi possono stabilire che sia competente l’autorità giurisdizionale destinata a conoscere delle loro controversie in materia matrimoniale, ovvero quella dello Stato membro in cui hanno avuto l’ultima residenza abituale comune per un periodo di almeno una anno. L’accordo relativo all’elezione del foro non è, però, ammesso nelle controversie concernenti un’obbligazione alimentare nei confronti di un minore di anni diciotto. Nell’ipotesi in cui vengano aditi fori di diversi Stati membri per le stesse azioni, relative alle stesse parti (litispendenza), la competenza è dell’autorità giurisdizionale adita per prima. Qualora nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro risulti competente ai sensi degli artt. 3, 4, e 5, il regolamento 206


prevede la cd. competenza sussidiaria delle autorità dello Stato membro di cittadinanza comune delle parti. In particolare, l’art. 6 stabilisce che “Se nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro è competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 e nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato parte della convenzione di Lugano144 che non sia uno Stato membro è competente in virtù delle disposizioni di detta convenzione, sono competenti le autorità giurisdizionali dello Stato membro di cittadinanza comune delle parti”. Infine, qualora nessuna autorità di uno Stato membro sia competente secondo gli artt. 3, 4, 5 e 6 e risulti impossibile o, comunque, irragionevole iniziare o svolgere il processo in uno Stato terzo con il quale la controversia presenti uno “stretto collegamento” (ad esempio, in caso di guerra), allora, in virtù dell’art. 7, saranno competenti le autorità giurisdizionali dello Stato membro con cui la controversia presenti un “collegamento sufficiente” (cd. foro necessario).

11.6.3. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di obbligazioni alimentari trova RICONOSCIMENTO PROVVEDIMENTI la sua disciplina negli artt. 64 STRANIERI e ss. L. 218/95 e nel reg. - artt. 64 e ss. L. 218/95; 44/2001, le cui disposizioni - reg. 4/2009 che distingue tra: a) decisioni rese in Stati membri vincolati in materia alimentare sono dal Protocollo dell’Aja del 2007; state successivamente b) decisioni rese in altri Stati membri. modificate dal reg. 4/2009. Quest’ultimo, per ciò che concerne il riconoscimento e l’esecuzione dei provvedimenti stranieri, distingue tra le decisioni rese in Stati membri vincolati dal

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La Convenzione di Lugano, entrata in vigore il 15 ottobre 2007 ha lo scopo di potenziare la cooperazione con Svizzera, Norvegia e Islanda. Essa concerne la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni per raggiungere lo stesso grado di circolazione delle decisioni tra gli Stati membri dell'Unione europea (UE) e Svizzera, Norvegia e Islanda. Ha sostituito la Convenzione di Lugano del 1988, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

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Protocollo dell’Aja del 2007 e quelle pronunciate in altri Stati membri. Per la prima categoria prevede l’abolizione della procedura cd. di exequatur, stabilendo che le decisioni provenienti da giudici di Stati vincolati dal Protocollo (quindi, decisioni, transazioni giudiziarie, atti pubblici esecutivi) sono riconosciute in un altro Stato membro “senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura particolare” e “senza che sia possibile opporsi al riconoscimento”. Riguardo all’esecuzione, le decisioni emesse in uno Stato membro, ed esecutive in tale Stato, lo saranno anche in un altro Stato “senza che sia necessaria una dichiarazione che attesti l’esecutività” (art. 17). Si tratta della cd. “forza esecutiva europea”. L’art. 21 individua, invece, le circostanze in presenza delle quali l’esecuzione può essere negata o sospesa: su istanza del debitore, l’autorità competente dello Stato membro nega, in tutto o in parte, l’esecuzione della decisione dell’autorità giurisdizionale d’origine se il diritto di ottenere l’esecuzione della decisione è prescritto. Il termine di prescrizione a cui fare riferimento è sia quello previsto dalla legislazione dello Stato membro d’origine, sia (ove più lungo) quello risultante dalla legislazione dello Stato membro dell’esecuzione. L’eccezione dell’art. 21 è, comunque, improntata alla tutela del creditore alimentare, il quale manterrà il diritto di chiedere l’esecuzione della decisione nel caso in cui uno dei due termini sopra descritti non sia ancora decorso. Inoltre, ai sensi del 2° comma dell’art. 21 “Su istanza del debitore, l’autorità competente dello Stato membro dell’esecuzione può negare, in tutto o in parte, l’esecuzione della decisione dell’autorità giurisdizionale d’origine se è inconciliabile con una decisione emessa nello Stato membro dell’esecuzione o con una decisione emessa in un altro Stato membro o in uno Stato terzo che soddisfi i requisiti necessari al suo riconoscimento nello Stato membro dell’esecuzione”. L’autorità competente dello Stato membro dell’esecuzione può, inoltre, sospendere, in tutto o in parte, l’esecuzione della decisione dell’autorità giurisdizionale d’origine se quest’ultima è 208


investita di una domanda di riesame della decisione medesima o se, nello Stato membro d’origine, l’esecutività della decisione è sospesa. Significativa appare l’assenza della clausola del limite dell’ordine pubblico, dovuta alla circostanza che il reg. 4/2009, in tema di esecuzione, non richiede “il riconoscimento del rapporto di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità alla base dell’obbligazione alimentare che ha dato luogo alla decisione” (art. 22). In questo modo, quindi, si agevola la circolazione di decisioni concernenti rapporti familiari diversi da quelli regolati nell'ordinamento del foro (quali, ad esempio, matrimoni omosessuali e unioni civili). La seconda categoria, ovvero le decisioni provenienti da Stati facenti parte dell’Unione europea, ma non vincolati dal Protocollo (ad esempio, il Regno Unito), è sottoposta al regolamento Bruxelles I bis (reg. 1215/2012 del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale). Come nell’ipotesi delle decisioni emesse in uno Stato vincolato dal Protocollo, anche in tale circostanza le decisioni emesse sono riconosciute negli Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento. È, però, prevista la possibilità di opporsi al riconoscimento e, in caso di contestazione, ogni parte interessata al riconoscimento può far constatare che la decisione deve essere riconosciuta. Circa, poi, l’esecutività delle decisioni emesse in uno Stato membro non vincolato dal Protocollo e ivi esecutive, il reg. 4/2009 prevede che esse siano eseguite in un altro Stato membro dopo essere state dichiarate esecutive in tale Stato su istanza della parte interessata. Il riconoscimento e l’esecuzione sono respinti: nel caso in cui siano manifestamente contrari all’ordine pubblico dello Stato membro in cui vengono chiesti; se la domanda giudiziale non è stata notificata o comunicata al convenuto contumace regolarmente ed in tempo utile; nel caso in cui la decisione sia incompatibile con una decisione emessa per una controversia tra le stesse parti nello Stato membro in cui vengono chiesti il riconoscimento e l’esecuzione.

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Infine, verranno respinti anche nell’ipotesi in cui la decisione sia incompatibile con una emessa precedentemente tra le stesse parti in un altro Stato membro o in un Paese terzo, in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo, qualora tale ultima decisione soddisfi le condizioni necessarie per essere riconosciuta ed eseguita nello Stato membro in cui vengono chiesti il riconoscimento e l’esecuzione. A livello internazionale, norme specifiche sul riconoscimento dei provvedimenti stranieri sono contenute in numerose convenzioni, come, ad esempio, la Convenzione dell’Aja del 2 ottobre 1973, sul riconoscimento e l’esecuzione di decisioni relative alle obbligazioni alimentari.

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CAPITOLO DODICESIMO SUCCESSIONI E DONAZIONI Sommario: 12.1. Le successioni. Brevi osservazioni generali – 12.2. La disciplina della L. 218/95 – 12.3. La giurisdizione in materia successoria – 12.4. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri – 12.5. Il testamento internazionale – 12.6. I patti successori – 12.7. Le donazioni

12.1. Le successioni. Brevi osservazioni generali I profili internazional-privatistici delle successioni mortis causa sono disciplinati dall’art. 46 L. 218/95 che individua la legge applicabile, indipendentemente dal LE SUCCESSIONI IN luogo in cui si trovano i beni dell’asse GENERALE ereditario, nella legge nazionale del de - art. 46 L. 218/95 cuius al tempo della morte. Ciò in - unità ed universalità - reg. 650/2012 (in ambito ossequio ai principi di unità e di europeo) universalità della successione, che - certificato successorio europeo ne richiedono la sottoposizione ad un’unica legge e non creano gli stessi inconvenienti di un sistema basato sulla lex situs (ovvero dalla legge del luogo in cui si trovano i beni), laddove i beni siano situati in paesi diversi. Tale criterio è applicabile a tutte le questioni concernenti l’apertura della successione, la capacità di succedere, la designazione dei successibili, i criteri di ripartizione dell’asse ereditario, etc.. Lo stesso vale, in caso di successione testamentaria, per ciò che concerne i requisiti di sostanza del testamento ed i suoi effetti. In ambito europeo la disciplina generale della L. 218/95 è stata sostituita dalle norme del reg. 650/2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e degli atti pubblici in materia di successioni. Esso si applica dal 17 agosto 2015 in 25 Stati membri (dopo l’ingresso della Croazia nell’Unione europea, il 1° luglio 2013), avendo il Regno Unito, l’Irlanda e la Danimarca esercitato il diritto di opting out. Pertanto, gli aspetti di diritto civile 211


riguardanti le successioni mortis causa (modalità di trasferimento di beni, diritti ed obbligazioni a causa di morte) sono oggetto di una disciplina unitaria, la quale prevale rispetto a quella di fonte nazionale. Il reg. 650/2012 prevale anche sugli accordi internazionali già conclusi dagli Stati membri nella stessa materia, restando salvi gli accordi conclusi tra i paesi UE e i paesi terzi. Non sono, invece, soggetti al regolamento gli aspetti connessi alla materia fiscale e alla materia amministrativa di diritto pubblico, che vengono rimessi alla legislazione nazionale (ad esempio, la determinazione dell’importo della tassa di successione e l’iscrizione dei beni della successione in un registro). Così sono anche sottratte al regolamento le questioni inerenti ai regimi patrimoniali tra i coniugi, quelle connesse alla costituzione, al funzionamento e allo scioglimento di un trust (tranne che si tratti di trust testamentari o legali in connessione con una successione legittima), i diritti di proprietà, gli interessi e i beni creati o trasferiti con strumenti diversi dalla successione. Il regolamento, inoltre, istituisce il cd. certificato successorio europeo per una rapida risoluzione delle questioni legate ad una successione internazionale. Tale certificato, infatti, può essere utilizzato da tutti coloro che abbiano necessità di far valere la loro qualità o di esercitare i loro diritti di eredi o legatari e/o i loro poteri come esecutori testamentari o amministratori dell’eredità in un altro Stato membro, senza dover ricorrere ad alcun procedimento particolare. Tramite esso, quindi, l’erede, il legatario, l’esecutore testamentario o l’amministratore dell’eredità potranno dimostrare la propria qualità e i propri diritti e poteri in un altro Stato membro (ad esempio, in quello in cui si trovano i beni della successione). Il certificato successorio europeo non è altro che un documento, redatto secondo un modello uniforme e tradotto nelle diverse lingue dei paesi membri, in cui si indicano i dati del richiedente, la quota spettante ad ogni erede, la legge applicabile alla successione, l’elenco dei beni e diritti spettanti ad ogni legatario, etc.; ha valore di prova legale di tutto quanto è ivi indicato ed è utilizzabile anche ai fini delle trascrizioni ed iscrizioni in pubblici registri (art. 69); è rilasciato, su istanza di parte, dall’organo

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giurisdizionale o da altra autorità competente, in base alla legge nazionale in materia di successione.

12.2. La disciplina della L. 218/95 Si è già detto che le successioni mortis causa, a livello internazional-privatistico, trovano la loro disciplina generale all’art. 46 L. 218/95 che, al 1° comma, individua appunto la legge applicabile in quella nazionale del de cuius al tempo della morte. Tuttavia, il 2° comma contempla la possibilità che a tale criterio si sostituisca la scelta del de cuius di sottoporre la successione alla legge dello Stato in cui risiede, con dichiarazione espressa manifestata in forma testamentaria, la quale può essere anche l’unica clausola compresa nel testamento145. L’optio legis (o professio iuris) deve avere ad oggetto l’intera successione non potendo riguardare solo alcune parti di essa. Ancora una volta, infatti, viene in rilievo ART. 46 L. 218/95 il principio di unità della successione, il - comma 1: criterio quale impedisce il richiamo di singole generale (legge nazionale disposizioni della legge straniera. del de cuius al tempo della morte); Sempre per tale motivo, inoltre, - comma 2: optio legis (la l’esercizio della facoltà di scelta esclude scelta, comunque, non pregiudica i diritti che la l’operatività del rinvio ad altra legge, legge italiana attribuisce ai eventualmente previsto dalla legge legittimari residenti in Italia); della residenza scelta dal de cuius (art. - comma 3: divisione 13, comma 2, lett. a, L. 218/95). Ciò ereditaria. significa che, per esempio, se un italiano, deceduto con la residenza in Germania, ha dichiarato di voler sottoporre la propria successione alla legge tedesca, si applicherà questa legge (tedesca), anche se la successione comprende beni mobili siti in Italia per i quali il diritto internazionale tedesco prevede il rinvio alla legge italiana.

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Si è, comunque, precisato che la dichiarazione di scelta (cd. professio iuris) della legge dello Stato di residenza non presuppone affatto la necessità di un testamento. Invero, già con la sola dichiarazione di scelta è possibile invocare l’applicazione delle norme di legge dello Stato di residenza che disciplinano una successione ab intestato.

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Se il de cuius è un cittadino italiano, la scelta non pregiudica i diritti che la I “legittimari” (o “eredi necessari”) sono quei membri legge italiana attribuisce ai legittimari della famiglia del de cuius cui la residenti in Italia al momento della legge riserva una quota del patrimonio del defunto (cd. quota morte della persona della cui di legittima o di riserva). La quota successione si tratta (art. 46, comma di riserva si contrappone alla cd. "disponibile", cioè la quota del 2). La norma mira ad evitare la patrimonio di cui ciascun soggetto diseredazione attraverso l’acquisto di può liberamente disporre per testamento. Sono legittimari: il una residenza all’estero. Pertanto, coniuge, i figli e, in assenza dei anche se il de cuius dovesse figli, gli ascendenti. I fratelli, invece, non fanno parte della scegliere, come legge regolatrice categoria dei legittimari. della propria successione, quella dello Stato in cui risiede, i diritti dei legittimari residenti in Italia non vengono pregiudicati, in quanto le norme italiane poste a loro tutela sono da considerare norme di applicazione necessaria146. L’optio legis non ha, però, effetto se, al momento della morte il de cuius non risieda più nello Stato nel quale aveva la residenza al momento della scelta. Il 3° comma dell’art. 46 disciplina la divisione ereditaria147. Essa è regolata dalla legge applicabile alla successione (lex successionis), ma è prevista la possibilità che gli eredi, d’accordo tra loro, designino la legge del luogo di apertura della successione o del luogo ove si trovano uno o più beni ereditari. La possibilità di scelta di legge da parte degli eredi è consentita anche nell’ipotesi in cui la legge regolatrice della successione sia già il risultato della optio legis del de cuius. Con la disciplina del reg. 650/2012 la volontà degli eredi non ha, invece, autonomia rispetto alla precedente scelta del defunto e, comunque, in assenza di optio legis del de cuius, la possibilità di scelta va circoscritta nei limiti di cui all’art. 22 del regolamento in questione; I legittimari

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Ci sarà, in particolare, un accertamento da parte del giudice volto a confrontare in concreto la legge scelta dal disponente e la legge italiana, per verificare che la tutela dei diritti dei legittimari venga effettivamente garantita. Se ciò non dovesse essere, la scelta del de cuius resta valida, ma viene esclusa l’applicabilità delle disposizioni pregiudizievoli. 147 Per “divisione ereditaria” si intende l’atto mediante il quale i coeredi pongono fine alla comunione ereditaria. Essa può essere di tre tipi: contrattuale (nel caso in cui vi sia stato un accordo tra i coeredi), giudiziale (se disposta dal giudice in mancanza di accordo o su richiesta di almeno uno dei coeredi) o testamentaria (se effettuata direttamente dal testatore).

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in particolare il suddetto articolo prevede che "Una persona può scegliere come legge che regola la sua intera successione la legge dello Stato di cui ha la cittadinanza al momento della scelta o al momento della morte. Una persona con più di una cittadinanza può scegliere la legge di uno qualsiasi degli Stati di cui ha la cittadinanza al momento della scelta o al momento della morte". Ne deriva, quindi, che, dato che il defunto non ha compiuto alcun scelta, nel primo caso, si applicherà alla divisione ereditaria la legge dello Stato di cittadinanza del de cuius al momento della sua morte, nel secondo, l'erede potrà scegliere di applicare alla divisione ereditaria la legge di uno qualsiasi degli Stati di cui il de cuius era cittadino al momento della morte. La capacità di testare, ovvero l’idoneità giuridica di disporre per testamento, è regolata dall’art. 47 secondo cui la capacità di disporre per testamento, di modificarlo o di revocarlo è regolata dalla legge nazionale del disponente al momento del testamento, della modifica o della revoca. Tale disposizione, richiamando la legge nazionale, temporalmente individuata al momento di redazione del testamento, rende più agevole l’effettiva valutazione dell’esistenza delle condizioni di validità dello stesso. Un aspetto problematico che pone l’art. ALTRE NORME DI 47 riguarda il suo ambito di RIFERIMENTO (L. 218/95) applicazione. - art. 47: capacità di testare Non è chiaro, infatti, se la disposizione (ovvero di disporre per testamento, modificarlo o operi anche con riferimento ai vizi della revocarlo); volontà, i quali, come per l’incapacità - art. 48: forma del testamento (ispirato al del disponente, inficiano la validità del principio del favor testamento (errore, violenza, dolo, testamenti); - art. 49: successione dello erroneità o illiceità del motivo). Stato, in mancanza di Per una parte della dottrina, le questioni successibili e per i beni ereditari presenti in Italia. attinenti ai vizi della volontà debbono ricadere nell’ambito di applicazione della lex successionis (art. 46) e non in quello dell’art. 47. Altra parte, invece, ritiene applicabile l’art. 47 sul presupposto della stretta connessione tra i vizi della volontà e l’atto che viene posto in essere, con la conseguente necessità che la disciplina dei primi venga individuata con riferimento al momento della redazione della disposizione testamentaria. Quest’ultima 215


posizione potrebbe essere avvalorata anche da quanto sancito dall’art. 26 del reg. 650/2012, il quale, tra gli elementi di validità sostanziale della disposizione a causa di morte, include espressamente “dolo, violenza, errore e qualsiasi altra questione legata al consenso o alla volontà della persona che fa la disposizione”. Quanto alla forma del testamento, l’art. 48 prevede vari criteri di collegamento alternativi ispirati al principio della prevalenza della legge più favorevole alla validità ed efficacia dell’atto (cd. favor testamenti). Si ricorda che, in materia di forma, non opera il meccanismo del rinvio (art. 13, co. 2, lett b, L. 218/95). La norma, in particolare, sancisce che, quanto alla forma, il testamento è valido se è considerato tale dalla legge dello Stato nel quale il testatore ha disposto, oppure dalla legge dello Stato di cui il testatore, al momento del testamento o della morte, era cittadino, oppure dalla legge dello Stato in cui aveva il domicilio o la residenza. Ne deriva che un testamento valido al tempo in cui è stato posto in essere non potrà diventare successivamente nullo in seguito ad un cambiamento di La forma del testamento nazionalità, residenza o Nell’ordinamento italiano vige il domicilio. Invece, al contrario, un principio del cd. formalismo testamentario, il quale comporta, per testamento all’origine la validità del testamento, che si formalmente invalido potrà utilizzi una delle forme tipiche espressamente previste dal c.c. (artt. acquistare validità in seguito ad 601 e ss.); si tratta, in particolare, del un mutamento di residenza, testamento olografo, del testamento segreto e del testamento pubblico. domicilio o nazionalità, in virtù Sono anche previste forme “speciali” di testamento che, però, possono del favor testamenti. essere adottate solo in circostanze Si farà, invece, riferimento alla particolari (come, ad esempio, il testamento in occasione di malattie disciplina dell’art. 18 L. 218/95, contagiose o calamità pubbliche, artt. nel caso in cui il testatore sia 609-610 c.c.). Se il testamento non segue una delle forme prescritte cittadino di uno Stato dalla legge (ad esempio, se si tratta plurilegislativo e, quindi, si di testamento orale), sarà nullo. Non in tutti i paesi vige questo rigore individuerà la legge regolatrice formale. In Danimarca ed in Austria, della forma sulla base dei criteri per esempio, è valido il testamento orale a condizione, però, che il dell’ordinamento di quello Stato testatore dichiari le sue ultime volontà alla presenza di un numero o, se tali criteri non possono definito di testimoni. essere individuati, sulla base di

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quelli previsti dal sistema normativo con cui il testatore ha il collegamento più stretto. Si applicherà, invece, la disciplina dell’art. 19 L. 218/95 nell’ipotesi in cui il testatore sia titolare di doppia o plurima cittadinanza. In tal caso rileverà la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con cui il soggetto ha il collegamento più stretto, fatta salva la prevalenza della cittadinanza italiana, se posseduta. L’art. 49 contempla, invece, la cd. successione dello Stato. La norma sancisce che quando la legge applicabile alla successione, in mancanza di successibili, non attribuisce la successione allo Stato estero, i beni ereditari (mobili ed immobili) esistenti in Italia sono devoluti allo Stato italiano. Quest’ultimo, quindi, subentra in riferimento ai soli beni presenti in Italia ed a prescindere dalla legge applicabile alla successione. L’art. 49, dunque, estende ai beni mobili il principio generale sancito dall’art. 827 c.c., secondo cui i beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato148.

12.3. La giurisdizione in materia successoria L’art. 50 L. 218/95 sancisce che, in materia successoria, la giurisdizione italiana sussiste: a) se il defunto era cittadino italiano al momento della morte; b) se la successione si è aperta in Italia149; c) se la parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica è situata in Italia; d) se il convenuto è domiciliato o residente in 148

GIURISDIZIONE - art. 50 L. 218/95; - reg. 650/2012 (in ambito europeo) L’applicazione del reg. 650/2012 restringe fortemente l’esteso ambito applicativo della giurisdizione italiana sancito dall’art. 50.

Secondo alcuni, la successione dello Stato rientra tra gli istituti di diritto pubblico e non di diritto successorio. In tal modo, l’acquisto dei beni da parte dello Stato si configura come diretta conseguenza del principio di territorialità (lo Stato italiano acquisisce i beni ereditari perché presenti sul suo territorio). Il principio di territorialità, infatti, per le norme di diritto pubblico, costituisce uno degli elementi propri della sovranità statuale. 149 Se la successione si apre in Italia, il luogo di apertura, ai sensi dell’art. 456 c.c., coincide con quello dell’ultimo domicilio del defunto al momento della morte.

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Italia o ha accettato la giurisdizione italiana, salvo che la domanda sia relativa a beni immobili situati all’estero; e) se la domanda concerne beni situati in Italia (anche qualora parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica si trovi situata all’estero). In ambito europeo, il reg. 650/2012 individua, come criterio di giurisdizione, la residenza del defunto al momento del decesso. Tale soluzione corrisponde a quella già adottata in molti paesi europei (l’art. 50, L. 218/95 alla lettera “d” fa proprio esplicito riferimento alla residenza) ed è essenzialmente dettata da ragioni di praticità, atteso che la residenza del defunto al momento del decesso è spesso coincidente con il luogo in cui si trova la maggior parte dei suoi beni. Il regolamento, all’art. 5, prevede anche la possibilità di scelta del foro; in particolare, la norma stabilisce che “Se la legge scelta dal defunto per regolare la sua successione conformemente all’articolo 22 è la legge di uno Stato membro, le parti interessate possono convenire che un organo giurisdizionale o gli organi giurisdizionali di tale Stato membro hanno competenza esclusiva a decidere su qualsiasi questione legata alla successione”. L’accordo relativo alla scelta del foro è concluso per iscritto (o tramite comunicazione elettronica che consenta una registrazione durevole dell’accordo), datato e firmato dalle parti interessate. L’applicazione del regolamento, quindi, restringe fortemente l’esteso ambito applicativo della giurisdizione italiana sancito dall’art. 50. Quest’ultima, infatti, non è contemplata nelle ipotesi di controversia concernente i cittadini italiani non residenti in Italia, a meno che non vi sia stata una electio iuris cui collegare l’eventuale electio fori al fine di radicare la controversia in Italia. Non rileva più, in ambito europeo, la cittadinanza italiana del de cuius come autonomo criterio di giurisdizione (art. 50, lett.a) né la possibilità di far operare l’accettazione della giurisdizione (art. 50 lett. d). I criteri dell’apertura della successione in Italia (art. 50, lett. b) e quello della localizzazione in Italia dei beni di maggiore consistenza economica (art. 50, lett. c) si ritengono presuntivamente assorbiti dal criterio della residenza. Nel primo caso in quanto ai sensi dell’art. 456 c.c., il luogo di apertura della 218


successione coincide con quello dell’ultimo domicilio del defunto al momento della morte e il domicilio generalmente si ritiene coincidente con la residenza. Nel secondo caso perché si ritiene che il luogo di residenza sia anche quello in cui si trovino i beni di maggiore consistenza economica. A ritenere diversamente, infatti, la disposizione in parola risultava criticabile poiché affermava l’esistenza della giurisdizione italiana in merito a controversie prive di legami effettivi con il nostro ordinamento. Approfondimento giurisprudenziale Giurisdizione e conflitto di leggi in una controversia successoria italo-belga. Trib. Belluno, 29 dicembre 2015 La controversia ha ad oggetto la successione di un cittadino italiano, deceduto in Belgio nel 2010, dove era residente. Il Tribunale di Belluno si è occupato di risolvere due importanti questioni. La prima questione, derivante dalla circostanza che il de cuius non aveva fatto testamento, nè era coniugato, nè aveva figli, nè genitori o altri ascendenti o discendenti, nè fratelli o sorelle o loro discendenti, richiedeva di individuare gli eredi ai sensi dell'art. 572 c.c., il quale disciplina la successione tra "gli altri parenti fino al sesto grado". La seconda questione, invece, richiedeva di stabilire la giurisdizione e la legge applicabili alla successione oggetto della vicenda: se quella italiana o quella belga, atteso che il defunto era proprietario di cespiti immobiliari e mobiliari sia in Italia che in Belgio. A contendersi l'eredità erano, da una parte, l'attore, parente di terzo grado, cui era stata devoluta l'eredità che sosteneva la sussistenza della giurisdizione italiana e l'applicazione del diritto successorio italiano ex artt. 46 e 50 L. 218/95; dall'altra parte, un altro gruppo di parenti, i quali insistevano per il radicamento della giurisdizione del Belgio e l'applicazione del diritto belga ai sensi del reg. 650/2012, in quanto il de cuius risiedeva in Belgio. In merito alla giurisdizione italiana, l'art. 50 L. 218/95 prevede vari criteri di giurisdizione in concorso tra loro, in modo da assicurare la più ampia possibilità di ricorrere al giudice italiano. Di conseguenza, la circostanza che nella successione fossero compresi beni immobili siti all'estero non comportava, di per sé, che la giurisdizione, in riferimento alla controversia sorta circa l'attribuzione o divisione di tali beni, dovesse appartenere ad un giudice straniero. Si legge in sentenza che "ciò che rileva in questa materia è la presenza, nella fattispecie, di uno degli elementi di collegamento stabiliti dall'art. 50 L. 218/95". Nella fattispecie in esame era pacifico (in quanto dimostrato col certificato di cittadinanza rilasciato dal Consolato d'Italia a

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Mons) che il de cuius al momento della morte fosse cittadino italiano. Ne derivava la sicura applicabilità del criterio di collegamento della cittadinanza italiana del de cuius, da cui conseguiva la giurisdizione del giudice adito, ovvero quello italiano, ai sensi dell'art. 50, lett. a), L. 218/95. Quanto all'individuazione della legge applicabile alla successione, la vicenda in esame presentava una tipica ipotesi di "conflitto di leggi", il quale si verifica quando più di un ordinamento giuridico statale può regolare, con le proprie norme una determinata fattispecie. In particolare, poiché il defunto era cittadino italiano ed una parte dei beni relitti era situata in Belgio, sorgeva un possibile conflitto tra gli ordinamenti giuridici coinvolti. Le norme di d.i.p. italiano prevedono, quale criterio di collegamento principale per individuare la legge regolatrice della successione, la cittadinanza del defunto al tempo della morte: l'art. 46, co. 1, L. 218/95 dispone, infatti, che "la successione per causa di morte è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta, al momento della morte". Tale criterio di collegamento opera indipendentemente dal luogo in cui si trovano i beni dell'asse ereditario. La ratio di ciò è da ricercare nel principio di unità della successione, la quale viene così regolata da un'unica legge. Diversa, invece, è la disciplina dettata, in materia successoria, dal d.i.p. belga (legge del 16 luglio 2004 , Code de droit international privè), le cui disposizioni stabiliscono che, ai fini dell'individuazione della legge applicabile alla successione mortis causa, il criterio di collegamento generale (applicabile ai beni mobili) è quello della residenza abituale del defunto al momento della morte (art. 78, co.1, Code de driot international privè: la successione disciplinata dal diritto dello Stato sul territorio del quale il defunto aveva la propria residenza abituale al momento del decesso). Per i beni immobili, invece, si applica la legge del luogo in cui questi ultimi si trovano (ai sensi del 2° comma dell'art. 78 del Code de droit international privè: la successione immobiliare è disciplinata dal diritto dello Stato sul territorio del quale l'immobile è situato). Pertanto, mentre il sistema giuridico italiano mira a garantire unità alla successione ereditaria, quello belga, invece, applica il principio cd. dualista o scissionista (la residenza abituale del defunto per i beni mobili, il luogo di localizzazione per gli immobili). Nel caso in esame sia per i beni mobili che per quelli immobili avrebbe dovuto applicarsi il diritto belga. L'applicazione della legge italiana, al caso de quo, è discesa dall'ordinamento nel quale la vicenda è stata esaminata. Appare, quindi, corretta l'applicazione dell'art. 46, co. 1, L. 218/95 in virtù del quale la successione è regolata dalla "legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte". Stabilisce il Tribunale che, essendo il de cuius cittadino italiano, la successione mortis causa, anche con riferimento ai beni situati in Belgio, dovrà essere regolata dalla legge nazionale del de cuius, cioè dalla legge italiana. "La cittadinanza italiana del defunto comporta, ai sensi dell'art 46, 220


co. 1, L. 218/95 l'applicazione della legge italiana all'intero asse ereditario, con esclusione dei convenuti dalla successione (ex art 572 c.c.) anche sui beni situati in Belgio". La difesa della parte convenuta aveva chiesto l'applicazione del reg. 650/2012 "relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'accettazione e all'esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo". Tuttavia, tale regolamento, nel caso in esame, non è stato preso in considerazione, in quanto "si applica alla successione delle persone decedute alla data o dopo il 17 agosto 2015" e la successione oggetto della controversia si era aperta il 15 febbraio 2010. Secondo il regolamento il criterio di individuazione della legge regolatrice della successione è la residenza abituale del de cuius al momento della morte (e non, quindi, quello della cittadinanza), nell'intento di assicurare la coincidenza tra forum e ius (accoglie, dunque, il principio di unità della successione), mentre l'applicabilità della legge nazionale è soltanto eventuale a scelta della persona della cui successione si tratta. Se le disposizioni del regolamento fossero state vigenti al momento dell'apertura della successione, nella controversia in esame la giurisdizione italiana sarebbe stata esclusa (in virtù del criterio generale della residenza abituale del defunto, sita in Belgio) e l'intera successione sarebbe stata regolata dalla legge belga, quale legge dello Stato.

12.4. Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri In mancanza di specifiche disposizioni, il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia successoria avviene secondo la disciplina comune prevista agli artt. 64 e ss. L. 218/95 (vedi infra, Cap. XVII, par. 17.1). RICONOSCIMENTO Nell’ambito del reg. 650/2012, le PROVVEDIMENTI STRANIERI decisioni in materia successoria - art. 64 e ss. L. 218/95 (in provenienti dagli Stati membri assenza di specifiche dell’Unione sono riconoscibili senza disposizioni); la necessità di ricorrere ad alcun - reg. 650/2012: automaticità del riconoscimento. procedimento particolare. L’automaticità del riconoscimento si fonda sul principio della reciproca fiducia tra gli ordinamenti giudiziari degli Stati membri e, di conseguenza, sulla presunzione che i requisiti del riconoscimento (art. 40) siano soddisfatti. Non a caso, l’art. 41 vieta il riesame del merito della decisione.

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In caso di contestazione al riconoscimento, l’art. 39 prevede che ogni parte interessata, chiedendo il riconoscimento in via principale di una decisione, “può far accertare, secondo il procedimento di cui agli artt. 45 a 58 che la decisione sia riconosciuta”. Per ciò che concerne l’esecuzione delle decisioni, la relativa procedura è solo parzialmente regolata dal regolamento in esame, atteso che essa viene completata dalle norme nazionali di procedura civile, alle quali è rimessa la determinazione delle concrete misure di esecuzione. Lo scopo del procedimento è quello di facilitare la circolazione delle decisioni in materia successoria.

12.5. Il testamento internazionale La L. 387/90 ha introdotto, nel nostro ordinamento, il Introdotto con L. 387/90, con la testamento internazionale. Con quale l’Italia ha aderito alla Convenzione di Washington del essa l’Italia ha aderito alla 1973 (che ha predisposto una Convenzione di Washington del disciplina unitaria sulla forma del 26 ottobre 1973, la quale ha testamento). predisposto una disciplina Requisiti formali richiesti per la validità: unitaria sulla forma del - forma scritta; testamento allo scopo di evitare - dichiarazione del testatore; problemi derivanti dalle difformi - sottoscrizione del testamento prescrizioni legislative150. La da parte del testatore; “sostanza” del testamento, - sottoscrizione del testamento invece, continuerà ad essere da parte dei testimoni e della persona abilitata, alla presenza regolata dalla lex successionis. del testatore. Se redatto nel rispetto dei requisiti di forma prescritti, il testamento internazionale è valido, sotto il profilo della forma, indipendentemente dal luogo di redazione, dall’ubicazione dei TESTAMENTO INTERNAZIONALE

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Si ricorda che, in virtù del principio lex specialis derogat generali, le norme di d.i.p. che provengono dalla esecuzione di trattati e convenzioni internazionali vengono applicate a preferenza di quelle di carattere generale. Tale principio trova puntuale riscontro nel dettato dell’art. 2 L. 218/95.

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beni, dalla nazionalità, dal domicilio o dalla residenza del testatore. In precedenza, per ritenere valido in Italia il testamento dello straniero o del cittadino italiano (nell’ipotesi in cui l'atto di ultima volontà fosse stato perfezionato all'estero), occorreva individuare la legge di disciplina del requisito formale del negozio testamentario e successivamente vagliare la conformità del testamento a detta legge. Adesso, invece, qualora il testamento sia stato confezionato seguendo le disposizioni formali di cui alla citata convenzione, l'unico compito dell'interprete è quello di accertare l'adesione alla convenzione di Washington da parte dello Stato la cui legge risulta applicabile ed il rispetto dei requisiti indicati da tale convenzione. In particolare, i requisiti formali prescritti per la validità del testamento internazionale sono: la forma scritta (può essere scritto anche da persona diversa dal testatore e in qualsiasi lingua, a mano, o con altro procedimento); la dichiarazione del testatore che riconosce, come proprio testamento, il documento in parola e che è a conoscenza del suo contenuto. Tale dichiarazione deve essere fatta in presenza di due testimoni e di una persona abilitata a stipulare atti in materia di testamenti internazionali151, secondo l’ordinamento di ciascuno degli Stati contraenti (per la L. 387/90, i soggetti abilitati a ricevere l’atto sono i notai, limitatamente al territorio nazionale, e gli agenti diplomatici e consolari all’estero, ove la legge dello Stato estero lo consenta). Occorre, altresì, la sottoscrizione del testamento da parte del testatore oppure, se l’ha firmato precedentemente, il riconoscimento e la conferma della sua firma, in presenza dei testimoni e della persona abilitata. Infine, è richiesta la sottoscrizione del testamento da parte dei testimoni e della persona abilitata, in presenza del testatore. Se il testamento internazionale è nullo potrà essere convertito in un testamento “nazionale” se possiede i requisiti di forma previsti 151

È forte l'analogia con la figura del testamento segreto: anche in quel caso, infatti, si pone come essenziale la consegna, di cui si redige apposito verbale, della scheda testamentaria al notaio, alla presenza dei testimoni.

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per una delle tipologie regolate dall’ordinamento. Ciò è possibile in quanto tale forma testamentaria non sostituisce le forme di testamento eventualmente previste dalle legislazioni nazionali, ma si aggiunge ad esse.

12.6. I patti successori I patti successori sono quegli atti mediante i quali un soggetto si impegna a disporre della propria successione (patti successori istitutivi) oppure dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta (patti successori dispositivi) o, infine, rinuncia a diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta PATTI SUCCESSORI (patti successori rinunciativi). Essi sono vietati dal nostro Si distinguono in: - istitutivi; ordinamento152 in quanto si vuol - dispositivi; impedire che si disponga - rinunciativi. anticipatamente ed La L. 218/95 nulla dispone sui patti successori: secondo alcuni si incautamente di beni di cui è dovrebbe applicare l’art. 46 (i patti incerta l’effettiva consistenza a vengono inquadrati nel contesto successorio), secondo altri, si danno proprio o dei propri eredi dovrebbe applicare l’art. 57 sulle legittimi. obbligazioni contrattuali. Il reg. 650/2012 definisce e disciplina La L. 218/95 nulla dice in merito i patti successori. ai patti successori. Tuttavia, può ben accadere che, sebbene tali patti siano vietati nel nostro ordinamento, possono non esserlo in altri, con la conseguenza che il giudice italiano potrà essere chiamato a ricercare la legge applicabile ai patti successori ritenuti validi in ordinamenti stranieri (ad esempio, Germania, Regno Unito e Svizzera ritengono validi ed efficaci tali patti). Ci si domanda, quindi, quale possa essere il criterio di collegamento applicabile ai patti successori. A tal proposito, c’è chi ritiene debba farsi riferimento all’art. 46 L. 218/95 (quindi alla legge nazionale del de cuius al momento della 152

Gli unici patti ammessi sono quelli di famiglia in materia di impresa familiare ex art. 768 bis e ss. c.c., introdotti nel 2006, che consentono all’imprenditore di trasferire in tutto o in parte la propria attività aziendale ad un suo discendente.

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morte), ritenendo che tali patti, proprio perché riguardano la successione, debbano essere inquadrati in tale contesto. Altri, invece, ritengono che, in quanto accordi intercorrenti tra due parti, siano da inquadrare in un profilo strettamente negoziale, ragion per cui dovrebbe farsi riferimento ai criteri stabiliti dall’art. 57 L. 218/95 per le obbligazioni contrattuali. Qualora la norma di conflitto, comunque individuata, richiami come applicabile il diritto italiano, il patto successorio dovrà essere considerato nullo (coerentemente con quanto stabilito dal nostro ordinamento). Qualora invece la norma di conflitto richiami un ordinamento straniero dove questi patti sono legittimi, potranno applicarsi le norme di tale ordinamento, in quanto la disciplina interna in materia di patti successori non può considerarsi di ordine pubblico. A differenza della L. 218/95, il reg. 650/2012 contiene un’espressa definizione e disciplina dei patti successori. Si segnala, a tal proposito, l’art. 25 secondo cui “un patto successorio avente ad oggetto la successione di una sola persona è disciplinato, per quanto riguarda l’ammissibilità, la validità sostanziale e gli effetti vincolanti tra le parti, comprese le condizioni di scioglimento, dalla legge che, in forza del presente regolamento, sarebbe stata applicabile alla successione di tale persona se questa fosse deceduta il giorno della conclusione del patto”.

12.7. Le donazioni La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità 153, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione (art. 769 c.c.).

153

Lo spirito di liberalità si ha quando vi è coscienza in capo al donante di compiere un atto di attribuzione patrimoniale pur non essendovi obbligato. È necessario che si verifichi contemporaneamente l'impoverimento di un soggetto, il donante, e l'arricchimento di un altro, il donatario.

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L’art. 56 L. 218/95 stabilisce che “le donazioni sono regolate dalla legge nazionale del donante al momento della donazione”. Il donante, però, può, con DONAZIONI dichiarazione espressa e contestuale all’atto, sottoporre la - art. 56 L. 218/95; donazione alla legge dello Stato in - vista la natura contrattuale, la dottrina considera l’art. 56 norma cui risiede. In caso di electio iuris è residuale applicabile solo a: esclusa l’operatività del rinvio da donazioni familiari, donazioni matrimoniali, donazioni mortis parte delle norme di d.i.p. causa. dell’ordinamento scelto, ai sensi - la dottrina ritiene che si debba applicare l’art. 57 che, per le dell’art. 13, comma 2, lett.a, L. obbligazioni contrattuali, richiama la Convenzione di Roma del 1980 218/95. (sostituita dal reg. 593/2008, Per qualificare il contratto come Roma I). donazione, o come altra fattispecie negoziale, deve aversi riguardo, in concreto, all’ordinamento nazionale. Ne deriva che l’art. 56 si applica a tutti i negozi di attribuzione patrimoniale caratterizzati dall’arricchimento di una parte e dal conseguente impoverimento dell’altra, la quale dona per puro spirito di liberalità (cd. animus donandi). Non a caso, non si applica la norma di d.i.p. alle cd. donazioni indirette (remissione del debito, contratto a favore di terzi) e agli altri atti che, pur essendo a titolo gratuito, non presentano il requisito della liberalità (prestito, comodato, etc.). Il criterio della legge nazionale del donante si applica a tutti gli aspetti della donazione (effetti, beni che ne possono formare oggetto, validità, revocabilità, etc.) con la sola esclusione della capacità (regolata dall’art. 23, L. 218/95, in quanto la capacità di donare costituisce un aspetto più generale della capacità di agire) e della forma, di cui si occupa il comma 3 dell’art. 56. In particolare, tale comma sancisce che la donazione è valida se è considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato nel quale l’atto è compiuto. L’alternatività dei criteri ha lo scopo di limitare il più possibile i casi di invalidità (in virtù del principio di conservazione della validità degli atti giuridici). Per tale ragione, tale principio si considera applicabile a qualsiasi tipo di forma, senza distinzione tra forma ad probationem o ad substantiam (Cass. n.

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6622/2012). Anche in tema di forma non trova applicazione l’istituto del rinvio, ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. b, L. 218/95. Sarà, invece, la legge del luogo in cui si trovano i beni donati a stabilire le modalità con cui si effettua la trasmissione del bene e le forme di pubblicità che eventualmente devono accompagnarsi ad essa. Vista la natura contrattuale dell’istituto, la dottrina prevalente considera l’art. 56 norma residuale, applicabile solamente alle donazioni familiari (non più oggetto di divieto nell’ordinamento italiano a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 26 giugno 1973 n. 91), alle donazioni matrimoniali (o obnuziali) e a quelle mortis causa (vietate in Italia, ma ammesse in altri ordinamenti, come, ad esempio, in Germania) in cui il donante dispone delle proprie sostanze o di parte di esse per il tempo in cui avrà cessato di vivere. Tale dottrina ritiene, infatti, che di regola debba trovare applicazione l’art. 57 che richiama, per le obbligazioni contrattuali, la Convenzione di Roma del 1980. Si ricorda che, dal dicembre 2009, tale convenzione è stata sostituita dal reg. 593/08 (Roma I), nello spazio europeo. L’art. 57 offre una maggiore possibilità di scelta sulla legge applicabile, mentre l’art. 56 concede la sola alternativa della legge del luogo di residenza al momento della donazione. Inoltre, l’art. 57, a differenza dell’art. 56, prevede dei criteri di collegamento variabili. Circa l’ambito di operatività del regolamento Roma I, si ritiene che esso disciplini tutte le ipotesi in cui le donazioni derivino da una manifestazione bilaterale di volontà, avente come effetti l’arricchimento di una parte e il corrispondente impoverimento dell’altra per spirito di liberalità, o comunque in assenza di corrispettivo. Pertanto, a differenza di quanto previsto per le norme di d.i.p., vi rientrerebbero anche le donazioni indirette (ad esempio, mutuo senza interessi, acquisto con denaro altrui), le donazioni modali (ovvero quelle gravate da un onere a carico del donatario) e il negotium mixtum cum donatione (ovvero quel negozio oneroso in cui, per volontà delle parti, una delle prestazioni è connotata da un valore di gran lunga inferiore a quello della controprestazione). Infine, in mancanza di disposizioni specifiche, la giurisdizione ed il riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di 227


donazioni sono regolati dalle norme sulla giurisdizione e sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri valide per le obbligazioni contrattuali in genere (vedi infra, Cap. XVII).

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CAPITOLO TREDICESIMO I DIRITTI REALI Sommario: 13.1. I diritti reali. Generalità – 13.2. I diritti reali su beni in transito – 13.3. L’usucapione di beni mobili – 13.4. I diritti reali sui beni immateriali – 13.5. La forma e la pubblicità degli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali – 13.6. La giurisdizione e il riconoscimento dei provvedimenti stranieri

13.1. I diritti reali. Generalità La L. 218/95 disciplina in maniera analitica i diritti reali. Invero, alla disposizione generale, di cui all’art. 51, co.1, si affiancano norme volte a disciplinare aspetti specifici: l’acquisto e la perdita dei diritti reali (art. 51, co. 2), i diritti reali sui beni in transito (art. 52), l’usucapione di I DIRITTI REALI beni mobili (art. 53), i diritti sui - art. 51,co.1, L. 218/95: sono beni immateriali (art. 54), la regolati dalla lex rei sitae; pubblicità degli atti relativi ai diritti - la prima qualificazione sarà fatta in base alla lex fori; la seconda reali (art. 55). qualificazione in base alla lex rei Ai sensi del 1° comma dell’art. 51 sitae. “Il possesso, la proprietà e gli altri diritti reali sui beni mobili ed immobili sono regolati dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano”. La norma, quindi, individua nella legge del luogo in cui è sita la cosa (lex rei sitae) la norma applicabile a tutte le questioni riguardanti proprietà, diritti reali e possesso. Tale scelta mira a garantire una maggiore protezione dei terzi (i diritti reali hanno, infatti, efficacia erga omnes), i quali devono essere in grado di accertare la titolarità del diritto in base ad una legge facilmente determinabile come, appunto, la lex rei sitae. In ossequio ai principi generali di d.i.p. (in particolare, l’art. 15; vedi supra, Cap. II, par. 2.3.1), la qualificazione di un determinato diritto come “diritto reale” deve essere fatta alla luce dell’ordinamento da cui proviene il richiamo (lex fori). La lex rei sitae, invece, verrà in rilievo soltanto nell’ambito della seconda qualificazione del diritto reale per focalizzare, all’interno 229


dell’ordinamento richiamato, le norme concretamente applicabili154. Ne consegue che si applicherà la legge del luogo in cui è sita la cosa anche se poi, nell’ambito dell’ordinamento richiamato, quel determinato tipo di rapporto non viene considerato reale ma obbligatorio. Nel dettaglio, la lex rei sitae regola le varie forme di possesso, i requisiti, i modi di acquisto, gli effetti (come, ad esempio, l’usucapione dei beni immobili, atteso che per quella relativa ai beni mobili si applica l’art. 53 L. 218/95). Invece, le azioni a tutela del possesso, nel caso in cui questo venga leso, sono regolate dalle lex fori. La legge del luogo dove si trova il bene, individua, come già detto, la legge applicabile alla proprietà e agli altri diritti reali, disciplinando, in particolare, il contenuto, le modalità ed i limiti di esercizio dei diritti reali, la natura dei beni e la loro idoneità ad essere oggetto di diritti reali o di possesso, l’esistenza di vincoli di indisponibilità sui medesimi, nonché i modi di protezione di tali diritti (rivendica, azioni possessorie, etc.). Riguardo ai privilegi155, la lex rei sitae regola solo i privilegi speciali, mentre quelli generali sono disciplinati dalla legge regolatrice del credito, costituendone una particolare qualificazione. Per quanto riguarda l’acquisto e la perdita dei diritti reali: se si tratta di acquisti a titolo originario (art. 922 e ss. c.c.; art. 1158 e ss. c.c.), la lex rei sitae è competente a stabilire tutte le condizioni 154

Se la qualificazione degli istituti fosse fatta esclusivamente alla luce della lex fori si incontrerebbero degli ostacoli in merito ad istituti sconosciuti nell’ordinamento italiano (come, per esempio, il trust). Pertanto, per ovviare a tali inconvenienti, una volta individuato, sulla base della prima qualificazione effettuata in virtù della lex fori, il diritto straniero applicabile, le successive interpretazioni e valutazioni devono essere effettuate in base al diritto straniero in questione. 155 I privilegi si distinguono in generali e speciali. Inoltre, non sono pattuiti dalle parti come nel caso del pegno o dell'ipoteca, ma sono tipizzati dalla legge stessa la quale attribuisce tale prelazione a determinati tipi di crediti che appaiono degni di una maggiore tutela in via generale e astratta. Il privilegio generale (che può essere solo mobiliare) è quello che si fa valere sul ricavato della vendita coattiva di tutti i beni mobili del debitore e non è opponibile ai terzi (se cioè il debitore aliena i beni mobili, il creditore non potrà agire per riaverli). Il privilegio speciale, che può essere sia mobiliare che immobiliare, grava soltanto su determinati beni del debitore ed è giustificato dal particolare rapporto di connessione esistente tra il credito e la cosa su cui esso si esercita.

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dell’acquisto; se si tratta, invece, di acquisti a titolo derivativo (contratto e successione mortis causa), occorre fare riferimento alla lex causae (ovvero alla legge regolatrice del rapporto) per verificare che esista un titolo valido e idoneo. In particolare, si farà riferimento alla lex contractus, per accertare che il consenso esiste ed è stato validamente manifestato, e alla lex successionis, al fine di stabilire chi, erede o legatario, abbia titolo ad acquisire le situazioni giuridiche reali. La lex rei sitae, in tali casi, avrà un ruolo marginale, in quanto si occuperà di accertare il modo di acquisizione del bene stesso e le formalità ad esso necessarie affinché la fattispecie acquisitiva possa perfezionarsi (ad esempio, nel caso in cui si richieda la trascrizione di un bene immobile, nei registri immobiliari, in caso di trasferimento). Infine, riguardo ai beni mobili, potrebbe accadere che si verifichi un mutamento della legge competente a seguito di un successivo trasferimento del bene. Autorevole dottrina ritiene che, in tale ipotesi, per la disciplina dell’acquisto del diritto reale o del possesso, continui ad applicarsi la legge del luogo in cui si trovava il bene al momento dell’acquisto. Ciò sembra, peraltro, trovare conferma nell’art. 53 L. 218/95 che, in tema di usucapione di beni mobili, sancisce che essa “è regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al compimento del termine prescritto”.

13.2. I diritti reali su beni in transito L’art. 52 L. 218/95 relativo ai diritti reali sui beni in transito (ovvero merci viaggianti senza il titolare e che devono essere trasferite dal luogo di produzione a quello di utilizzo) sancisce che questi “sono regolati dalla legge del luogo di destinazione”. Tale norma introduce, quindi, un’eccezione all’operatività della

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I DIRITTI REALI SUI BENI IN TRANSITO -art. 52, L. 218/95: sono regolati dalla legge del luogo di destinazione (eccezione alla lex rei sitae). Non sono considerate res in transitu: - le navi e gli aeromobili; - i mezzi di trasporto senza bandiera; - i bagagli dei viaggiatori.


lex rei sitae dovuta all’indeterminatezza del luogo in cui si trovano le cose in corso di trasporto. Proprio per superare una tale situazione di incertezza, la scelta è ricaduta sulla legge del luogo di destinazione del bene. Si è osservato, infatti, che, in questo modo, il bene acquista una stabile e determinata connessione territoriale: la legge del luogo di destinazione è, per l’appunto, quella cui i beni saranno sottoposti al termine del viaggio; inoltre, il luogo di destinazione è, generalmente, noto alle parti156. Tale disciplina, però, subisce alcune deroghe. Non sono soggette, infatti, all’art. 52, e, quindi, non sono da considerare res in transitu: le navi e gli aeromobili, per i quali, ai sensi dell’art. 6 cod. nav., si applica la cd. legge di bandiera (cioè la legge nazionale della nave o dell’aeromobile), circa la regolamentazione dei diritti reali e di garanzia; i mezzi di trasporto senza bandiera (automobili, autotreni, vagoni ferroviari), i quali sono soggetti alla legge dello Stato di immatricolazione o registrazione, attesa l’impossibilità di individuare uno Stato di destinazione; i bagagli dei viaggiatori, cui si applica la disciplina generale dei beni mobili ex art. 51, co. 1, L. 218/95.

13.3. L’usucapione di beni mobili L’usucapione è uno dei modi di acquisto della proprietà, a titolo originario, derivante dal possesso (pacifico, non violento, ininterrotto) di un bene per il tempo stabilito dalla legge. L’art. 53 L. 218/95 sancisce che l’acquisto per usucapione dei beni mobili è determinato dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al momento del compimento del termine prescritto. Essa, quindi, 156

Può accadere, tuttavia, che il bene, durante il tragitto, venga smarrito o rubato o distrutto. In tal caso, è evidente, non arriva ad alcuna destinazione. Pertanto, si è ritenuto preferibile valorizzare il collegamento creatosi con lo Stato in cui il bene è andato perduto o distrutto e, quindi, ritenere applicabile la legge di questo Stato. Solo nell’ipotesi in cui non sia noto il luogo di smarrimento, furto o distruzione, continuerà a trovare applicazione la legge del luogo di destinazione (come anche nell’ipotesi in cui il luogo non sia soggetto alla sovranità di alcuno Stato, come, ad esempio, l’alto mare).

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disciplina i termini per usucapire, l’idoneità del bene ad essere usucapito, l’ammissibilità dei fatti interruttivi e sospensivi della prescrizione acquisitiva, l’animus possidendi, i requisiti del possesso e l’ammissibilità della rinuncia all’usucapione. Poiché si tratta di beni mobili e, L’USUCAPIONE DI BENI MOBILI quindi, facilmente trasportabili, la - art. 53, L. 218/95: legge dello dottrina prevalente ha ritenuto Stato in cui il bene si trova al che, nel caso in cui il bene sia momento del compimento del termine prescritto; spostato da uno Stato all’altro, i - se il bene viene trasferito da uno tempi di permanenza in ogni Stato all’altro i tempi di possesso vanno sommati. Ciò non vale per le Stato vadano sommati tra loro. opere d’arte (le norme a tutela del Non è, infatti, ritenuto illegittimo il patrimonio artistico sono di applicazione necessaria). comportamento del possessore L'usucapione di beni immobili, che, intenzionalmente, scelga di invece, segue la disciplina dell'art. 51, co. 2, L. 218/95. trasferire il bene sul territorio di uno Stato la cui legge preveda termini più rapidi per usucapire il bene157. In particolare, nel caso in cui il termine previsto per usucapire il bene si sia già compiuto al momento del trasferimento del bene, il mutamento della legge applicabile, a seguito del suddetto trasferimento, non incide in alcun modo sulla durata della prescrizione acquisitiva. Diversamente, infatti, si frustrerebbero gli obiettivi di certezza del diritto e tutela della proprietà, perseguiti dalla stessa usucapione. Nel caso in cui, invece, il termine per usucapire il bene, previsto dalla legge dello Stato di provenienza del bene, non è ancora giunto a conclusione, occorre distinguere l’ipotesi in cui la legge dello Stato in cui il bene è stato trasferito preveda un termine più breve o più lungo, rispetto al precedente, per usucapire. Se il termine è più lungo, il periodo in cui il possesso è stato esercitato prima del trasferimento del bene deve essere computato ai fini del compimento dell’usucapione secondo tale termine più lungo. Se il nuovo termine, invece, è più breve ed è già decorso, allora il bene si considererà acquisito nel momento stesso del trasferimento. Questo meccanismo, però, non opera nel caso in cui oggetto di trasferimento siano opere d’arte. In generale, infatti, le norme che 157

Così, peraltro, emerge anche dalla lettura della Relazione ministeriale alla L. 218/95.

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configurano i beni culturali come res extra commercium vengono considerate di applicazione necessaria nello Stato che le ha emanate, anche allo scopo di tutelare il patrimonio artistico e culturale dello Stato stesso. Ne deriva che consentire l’usucapibilità di un’opera d’arte trasferita (ad esempio in uno Stato in cui il termine risulti già prescritto), significherebbe ammettere la possibilità di eludere norme di applicazione necessaria. L’usucapione dei beni immobili, invece, segue la disciplina dell’art. 51, co. 2, L. 218/95 (vedi supra, par. 13.1).

13.4. I diritti reali sui beni immateriali L’art. 54 L. 218/95 si occupa dei diritti reali sui beni immateriali158, stabilendo che essi sono regolati dalla legge dello Stato di utilizzazione. Per capire la portata della norma, possono venire in soccorso tanto la L. 633/1941 sul diritto d’autore quanto le diverse leggi italiane (ma anche le convenzioni internazionali in materia) relative a brevetti per marchi di impresa, invenzioni, disegni industriali, etc.. Esse sono tutte ispirate al principio di territorialità, che, in quanto I DIRITTI REALI SUI BENI IMMATERIALI espressione della sovranità - art. 54, L. 218/95: sono regolati territoriale dello Stato su quel dalla legge dello Stato di bene, non consente di applicare utilizzazione; - la portata applicativa dell’art. 54 è, ai beni siti in Italia le norme comunque, piuttosto circoscritta, in straniere. Recentemente, in quanto vi sono numerosi regolamenti e convenzioni che applicazione di tale principio, disciplinano la materia. anche se nella prospettiva specularmente inversa, è stata esclusa la giurisdizione del giudice italiano in relazione ad una controversia insorta tra un’impresa italiana ed un’azienda straniera sulla possibile violazione di diritti di brevetto localizzata esclusivamente all’estero.

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Sono immateriali i beni caratterizzati da incorporeità. Vi rientrano, per esempio, i segni distintivi dell’impresa (marchio, ditta), le opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore, le invenzioni, i modelli e i disegni industriali brevettabili.

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La violazione dei diritti relativi ai beni immateriali, invece, è regolata dalla legge applicabile alla responsabilità per fatto illecito individuata in base all’art. 62 L. 218/95. L’ambito di applicazione dell’art. 54 è, comunque, piuttosto circoscritto, in quanto la materia è disciplinata da numerosi regolamenti e direttive dell’Unione europea, come anche da numerose Convenzioni internazionali. Nell’ambito della disciplina convenzionale, si ricorda, ad esempio, la Convenzione di Monaco del 25 ottobre 1973 sul brevetto europeo (sostituita dalla nuova Convenzione sul brevetto europeo del 29 novembre del 2000, entrata in vigore il 13 dicembre 2007). In ambito europeo, invece, possono segnalarsi numerosi regolamenti: il reg. 207/2009 sul marchio comunitario, il reg. 6/2002 sui disegni e modelli comunitari, il reg. 1257/2012 in materia di tutela brevettuale.

13.5. La forma e la pubblicità degli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali Per quanto riguarda la forma degli atti che incidono sui diritti reali, occorre distinguere: nel caso in cui essa sia richiesta ad substantiam (cioè ai fini della FORMA E PUBBLICITÀ validità) o ad probationem -forma ad substantiam e ad (ovvero ai fini della prova probationem: si applica la legge dell’atto), troverà applicazione la che regola la sostanza dell’atto, se non diversamente disposto; legge che regola la sostanza - forma ai fini di pubblicità (art. 55 L. dell’atto, se non disposto 218/95): si applica la legge del luogo in cui il bene si trova al diversamente (come, per momento dell’atto (lex rei sitae). esempio, dagli artt. 30, 48 e 56); - l’art. 55 non si applica: alla pubblicità degli atti relativi ai diritti nel caso in cui, invece, la forma reali su navi e aeromobili (art. 6 sia richiesta ai fini di pubblicità, si cod. nav.), nonché agli atti relativi ai diritti sui beni immateriali (art. 54 L. applicherà, ai sensi dell’art. 55 L. 218/95). 218/95, la legge del luogo in cui il bene si trova al momento dell’atto159. Così, per esempio, se l’immobile è situato in Italia, la legge italiana regola le modalità e gli effetti della trascrizione del contratto di compravendita avente ad oggetto il bene. 159

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Le forme di pubblicità di atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali non incidono sul valido perfezionamento dell’atto, ma consentono la produzione di ulteriori effetti giuridici (opponibilità dell’atto nei confronti dei terzi, etc.). L’applicazione della lex rei sitae ha lo scopo di soddisfare l’esigenza di sicurezza e tutela dei terzi, atteso che questi possono, nel luogo in cui si trova il bene, prendere più agevolmente cognizione degli atti che lo riguardano. Inoltre, l’art. 55, delimitando temporalmente l’operatività della lex rei sitae al momento dell’atto di costituzione, trasferimento ed estinzione del diritto reale, mira ad assicurare in maniera ancor più efficace l’opponibilità ai terzi del relativo atto e, dunque, anche la sicurezza del commercio internazionale. L’art. 55, invece, non si applica alla pubblicità degli atti relativi ai diritti reali su navi e aeromobili, assoggettati all’art. 6 cod. nav., nonché agli atti relativi ai diritti sui beni immateriali, oggetto della disciplina dell’art. 54.

13.6. La giurisdizione provvedimenti stranieri

e

il

riconoscimento

dei

La giurisdizione in materia di diritti reali è regolata dalle disposizioni generali di cui agli artt. 3 e ss. L. 218/95 e, in ambito europeo, dal reg. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (cd. Bruxelles I). Quest’ultimo è stato sostituito, da GIURISDIZIONE E gennaio 2015, dal reg. 1215/2012 RICONOSCIMENTO DEI PROVVEDIMENTI STRANIERI (cd. Bruxelles I bis). Ma, sempre in Giurisdizione: ambito europeo, troveranno - artt. 3 e ss. L. 218/95; applicazione anche le specifiche - in ambito europeo: reg. 44/2001 disposizioni sulla giurisdizione (sostituito dal reg. 1215/2012). Riconoscimento provvedimenti contenute nei regolamenti che stranieri: disciplinano aspetti specifici (come, - artt. 64 e ss. L. 218/95; per esempio, il reg. 6/2002 che - artt. 33 e ss. reg. 4/2001 (ambito europeo). riguarda disegni e modelli).

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Il riconoscimento dei provvedimenti stranieri, invece, seguirà la disciplina comune di cui all’art. 64 e ss. L. 218/95, se si tratta di decisioni emesse in Stati non membri dell’Unione, oppure quella di cui agli artt. 33 e ss. reg. 4/2001, per le decisioni emesse in uno Stato membro dell’Unione europea.

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CAPITOLO QUATTORDICESIMO LE OBBLIGAZIONI Sommario: 14.1. Le obbligazioni contrattuali e la Convenzione di Roma del 1980 – 14.2. Il reg. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (cd. Roma I) – 14.3. La vendita internazionale – 14.4. L’e-commerce – 14.5. Il trust – 14.6. Le obbligazioni non contrattuali. Generalità – 14.6.1. La promessa unilaterale – 14.6.2. I titoli di credito – 14.6.3. La rappresentanza volontaria – 14.6.4. Le obbligazioni nascenti dalla legge – 14.6.5. La responsabilità per fatto illecito

14.1. Le obbligazioni contrattuali e la Convenzione di Roma del 1980 Il sistema di d.i.p., delineato dalla L. 218/95, prevede una disciplina differente per le obbligazioni contrattuali e non contrattuali. Sono obbligazioni contrattuali quelle che traggono origine da un contratto, ovvero da un accordo tra due o più parti per costituire, modificare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale (art 1321 c.c.). L’art. 57 L. 218/95 stabilisce che “le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali”160. Restano salve, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2 L. 218/95, le altre convenzioni internazionali eventualmente applicabili alla singola obbligazione (ad esempio, la Convenzione dell’Aja del 1995 in materia di vendita, la Convenzione di Ottawa del 1988 in tema di leasing e factoring internazionale, la Convenzione di Varsavia del 1929 in materia di trasporto aereo internazionale). 160

La Convenzione di Roma è stata resa esecutiva in Italia con la L. 975/1984 ed è entrata in vigore nel nostro ordinamento dal 1° aprile 1991. Essa ha sostituito le previgenti norme di conflitto in materia di obbligazioni contrattuali: l’art. 25 disp. prel. c.c. (poi espressamente abrogato dalla L. 218/95) e l’art. 10 cod. nav. relativo ai contratti di trasporto marittimi ed aerei.

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La Convenzione di Roma ha, senza dubbio, rappresentato una “pietra miliare” nel delicato processo di armonizzazione dei sistemi di d.i.p., in quanto, per la prima volta, si è realizzato un sistema uniforme e generale di d.i.p. in materia di obbligazioni contrattuali, a differenza delle precedenti convenzioni che avevano, invece, efficacia limitata alle sole parti contraenti. Invero, la Convenzione ha carattere universale (o erga omnes) in quanto trova applicazione anche se viene richiamato il diritto di uno Stato non aderente. Essa si applica, ai sensi dell’art. 57, ai contratti conclusi anteriormente alla sua entrata in vigore in Italia (quindi, prima del 1° aprile 1991), sempre che si tratti di rapporti giuridici non ancora conclusi al momento dell’entrata in vigore della L. 218/95 e sempre che il relativo giudizio sia stato instaurato dopo tale data (art. 72 L. 218/95). Nel sistema italiano di d.i.p., LE OBBLIGAZIONI CONTRATTUALI le norme convenzionali si -art. 57 L. 218/95; applicano anche alle -Convenzione di Roma del 1980: obbligazioni contrattuali a) carattere universale; b) concorso successivo di criteri di escluse dal campo di collegamento (volontà delle parti o applicazione della collegamento più stretto); Convenzione per effetto del c) limiti alla facoltà di scelta delle parti (per i contratti conclusi dai consumatori e rinvio “in ogni caso” operato per i contratti di lavoro); dall’art. 57, salvo che la d) l’applicazione della legge individuata può essere esclusa in caso di contrasto legge italiana detti per esse con il limite dell’ordine pubblico o con le un’apposita disciplina di norme di applicazione necessaria; e) dal 17 dicembre 2009 è stata sostituita conflitto, destinata a dal reg. 593/2008 (Roma I). prevalere, per il suo carattere di specialità, sulla disciplina generale convenzionale161. La Convenzione di Roma esclude espressamente (art. 1.2) dal suo ambito di applicazione alcune materie tra le quali, per esempio, le questioni di stato e di capacità delle persone fisiche (ad eccezione della questione relativa alla tutela dell’affidamento), le obbligazioni relative a testamenti, Così, ad esempio, l’estensione di cui all’art. 57 non opera per le obbligazioni contrattuali relative a testamenti e successioni, espressamente escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione ai sensi dell’art. 1.2 lett. b), in quanto sulla disciplina convenzionale prevale il regime speciale previsto dagli artt. 46 e ss. della L. 218/95. 161

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successioni e regimi matrimoniali, le obbligazioni contrattuali derivanti da rapporti di famiglia, di parentela e di matrimonio, le questioni inerenti il diritto delle società, associazioni e persone giuridiche, etc.. Circa i vari criteri di collegamento stabiliti dalla Convenzione al fine di individuare la legge applicabile al contratto, il primo di essi è rappresentato dalla volontà delle parti. I contraenti, quindi, sceglieranno la legge da applicare al contratto sulla base di un vero e proprio negozio giuridico. La loro scelta, oltre che in maniera espressa, può essere compiuta anche in forma tacita, purchè dalle circostanze o dalle disposizioni del contratto essa risulti facilmente accertabile162. Ed inoltre, le parti possono decidere di limitare l’applicazione della legge prescelta anche solo ad una parte del contratto 163 (con la tecnica del dèpeçage che, si ricorda, consiste nel sottoporre a leggi diverse i vari elementi di una medesima fattispecie; vedi supra Cap. II, par. 2.3.2). La scelta è revocabile, ma l’eventuale revoca non pregiudica né la validità formale del contratto concluso secondo le disposizioni della legge precedentemente scelta né i diritti dei terzi sorti per effetto di tale scelta. In mancanza di scelta delle parti, il contratto deve intendersi regolato dalla legge del paese con il quale il rapporto negoziale presenta il collegamento più stretto. Tale paese viene, in genere, identificato in quello in cui risiede o ha la propria sede (nel caso si tratti di persone giuridiche o imprenditori) colui che deve eseguire la prestazione caratterizzante il contratto164 (cd. criterio della residenza o sede del debitore).

162

Come nel caso in cui le parti facciano costante riferimento, per la disciplina del contratto o di singoli aspetti di esso, alla legge di un certo paese. 163 In caso di frazionamento, però, la Relazione alla Convenzione precisa che la scelta deve essere coerente, nel senso che gli elementi del contratto possono sì essere disciplinati da leggi diverse, ma non devono dare luogo a risultati contraddittori. 164 Nei contratti a prestazioni corrispettive, la prestazione caratteristica (o caratterizzante) del contratto non è quella di chi deve pagare una somma di denaro (che è neutra per sua stessa natura), ma quella per cui il pagamento costituisce corrispettivo. Nei contratti in cui entrambe le prestazioni sono pecuniarie o non pecuniarie o hanno contenuti omogenei (ad esempio, il mutuo) la prestazione caratteristica deve essere individuata ricorrendo ad alcuni indici rivelatori, come, ad esempio, la maggiore complessità o rischiosità della prestazione.

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In caso di scelta parziale, la parte del negozio esclusa dalla scelta, sempre che possa separarsi dal restante contratto, è regolata dalla legge del paese con cui tale parte presenta un collegamento più stretto (ad esempio, se il contratto ha ad oggetto il diritto reale su un bene immobile o il diritto di utilizzazione su un bene immobile, il collegamento più stretto si presume essere con il Paese in cui l’immobile è situato). Vi sono casi, tuttavia, in cui la libertà di scelta viene limitata. Invero, nei contratti conclusi con i consumatori e nei contratti individuali di lavoro, al fine di tutelare la parte “debole”, ovvero quella che si trova in una posizione di inferiorità socio-economica rispetto all’altra (il consumatore rispetto all’imprenditore, il lavoratore rispetto al datore di lavoro), in nessun caso la scelta può privare il consumatore o il lavoratore della tutela loro accordata dalle norme imperative dell’ordinamento. In assenza di scelta, infatti, i contratti con i consumatori sono soggetti alla legge del paese nel quale il consumatore ha la sua residenza abituale. Il contratto di lavoro, invece, è regolato dalla legge dello Stato in cui il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro, oppure dalla legge del paese in cui è stato assunto, nel caso manchi un luogo di prestazione abituale del lavoro. Se il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro paese, si applicherà la legge di quest’ultimo. Gli aspetti concernenti la validità formale e sostanziale del contratto sono disciplinati dagli artt. 8 e 9 della Convenzione. Circa la forma, viene in rilievo il principio di conservazione dell’efficacia del contratto. L’art. 9, infatti, stabilisce che il contratto è valido se possiede i requisiti di forma richiesti dalla legge destinata a regolarne gli aspetti sostanziali (cd. lex substantia), oppure se soddisfa i requisiti necessari secondo la legge del luogo in cui è concluso (cd. lex loci actus)165. La validità e l’esistenza del contratto o di una sua disposizione sono regolate dalla legge che sarebbe applicabile in virtù della Convenzione, se il contratto o la disposizione fossero validi (art. 8). Ad esempio, se le parti, per regolare il contratto, scelgono la 165

Invece, la forma dei contratti conclusi tra assenti o a distanza sarà regolata dalla legge dello Stato in cui si trova almeno un contraente.

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legge tedesca, tutte le questioni (diverse dalla forma) relative all’esistenza e alla validità del contratto saranno regolate alla stregua di tale legge. Sebbene la capacità configuri tra le materie escluse dalla Convenzione, l’art. 11 detta una regola specifica in tema di incapacità dei contraenti. Sancisce, infatti, tale articolo che “In un contratto concluso tra persone che si trovano in uno stesso paese, una persona fisica, capace secondo la legge di questo paese, può invocare la sua incapacità risultante da un'altra legge soltanto se, al momento della conclusione del contratto, l'altra parte contraente era a conoscenza di tale incapacità o l'ha ignorata per sua colpa”. Lo scopo della norma è, chiaramente, quello di tutelare la buona fede di chi contratta con un soggetto che, capace secondo la legge del paese in cui il contratto è concluso, fa, però, poi valere la sua incapacità in virtù della sua legge nazionale. Anche per le norme della Convenzione (come per le norme generali di d.i.p.) valgono i limiti dell’ordine pubblico e delle norme di applicazione necessaria. Ne deriva che, la legge straniera applicabile, individuata in base ai criteri stabiliti dalla Convenzione, non troverà applicazione se manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro o se, in quella materia, il paese ha adottato norme di applicazione necessaria (artt. 7 e 16). Dal 17 dicembre 2009, la Convenzione di Roma è stata sostituita, per i contratti stipulati dopo tale data, dal reg. 593/2008 del 17 giugno 2008 (cd. Roma I), che si applica a tutti gli Stati membri, ad eccezione della Danimarca (che non ha esercitato la facoltà di opting in166, prevista dal trattato). Pertanto, il richiamo fatto dall’art. 57 L. 218/95 alla Convenzione di Roma deve intendersi riferito alle corrispondenti disposizioni del reg. 593/2008. Così La formula ”opting in” permette a uno Stato membro che ha deciso di non partecipare a delle misure previste dai Trattati, di poter ritornare sulla sua posizione in qualunque momento. Il concetto di opting-out (clausola di eccezione), invece, corrisponde ad una deroga accordata ad un paese che non vuole allinearsi agli altri Stati membri in un particolare settore della cooperazione comunitaria, in modo da impedire un blocco dell’avanzamento generale. È in virtù di tale principio che il Regno Unito non partecipa alla terza fase dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) che ha portato all’adozione dell’euro. 166

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anche precisa l’art. 24, par. 2, del regolamento stesso, secondo cui “Nella misura in cui il presente regolamento sostituisce le disposizioni della Convenzione di Roma, ogni riferimento a tale convenzione, si intende fatto al presente regolamento”. Anche il reg. Roma I ha carattere universale in quanto trova applicazione anche se viene richiamato il diritto di uno Stato non aderente (art. 2). La Convenzione di Roma del 1980, dunque, rimane tuttora applicabile per i contratti stipulati e le controversie sorte prima del 17 dicembre 2009 e per la Danimarca.

14.2. Il reg. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (cd. Roma I) Il suddetto regolamento sostituisce, tra gli Stati membri, la Convenzione di Roma del 1980, a far data dal 17 dicembre 2009 (si applica, come già detto, soltanto ai contratti stipulati dopo tale data). Una tale sostituzione denota in maniera evidente quanto il diritto dell’Unione europea sia in continua espansione (anche, ma non solo) nell’ambito del diritto internazionale privato. La trasformazione della Convenzione in regolamento comunitario mira ad assicurare un’applicazione uniforme, tra gli Stati membri, della disciplina internazional-privatistica in materia di obbligazioni contrattuali. In particolare, il regolamento, a differenza della Convenzione, non è un accordo internazionale, bensì una fonte normativa primaria con la conseguenza che, in relazione ad esso, gli Stati non possono più formulare riserve e che le sue disposizioni sono immediatamente valide ed efficaci, senza che occorrano atti di ratifica, nel territorio degli Stati dell’UE. Altresì, la competenza interpretativa e l’applicazione delle sue norme sono affidate, analogamente a quelle delle leggi nazionali, ad organi di giurisdizione ordinaria (la Corte di Giustizia) e non ad appositi protocolli interpretativi od organi internazionali.

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I criteri di collegamento previsti dal regolamento, in concorso successivo tra loro, sono simili, ma non perfettamente coincidenti, a quelli previsti dalla Convenzione di Roma. Il primo criterio previsto è la libertà di scelta delle parti (art. 3). La scelta della legge destinata a regolare il contratto può essere espressa o tacita, cioè risultare “chiaramente dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze del caso”. Il comma 2 dell’art. 3 riconosce alle parti la massima libertà sia in relazione al momento in cui può intervenire la scelta della legge applicabile (prima della conclusione del contratto, contestualmente ad essa oppure successivamente), sia quanto alla modificazione della scelta in precedenza effettuata (la scelta è, quindi, revocabile). Lo stesso comma precisa, però, che una modifica della determinazione della legge applicabile, successiva alla conclusione del contratto, non ne intacca la validità formale né può pregiudicare i diritti dei terzi. La libertà riconosciuta alle parti è così ampia che le stesse hanno la facoltà (con la tecnica del dèpeçage) di scegliere leggi diverse per i diversi elementi del contratto (sempre che si rispetti il criterio della coerenza, nel senso che gli elementi del contratto possono sì essere disciplinati da leggi diverse, ma non devono dare luogo a risultati contraddittori). Nel caso IL REG. 593/2008 (ROMA I) in cui le leggi prescelte non si - carattere universale; riescano a “combinare” in - concorso successivo di criteri di maniera coerente, non si potrà collegamento (scelta delle parti; in mancanza di scelta, il reg. tener conto della volontà dei determina direttamente la legge ai diversi tipi di contratto; contraenti e si dovrà far ricorso applicabile collegamento più stretto); all’art. 4 o, eventualmente, alle - forma (art. 11) altre disposizioni del regolamento - esclusione del rinvio (art. 20); ordinamento plurilegislativo (art. che indicano la legge applicabile -22) in mancanza di scelta. La scelta delle parti contraenti non può, comunque, escludere l’applicazione delle norme di applicazione necessaria del paese con cui la fattispecie concreta presenta il maggior collegamento fattuale né quella delle norme comunitarie. Nel caso in cui le parti non effettuino alcuna scelta, a differenza della Convenzione, il regolamento determina direttamente qual è la legge applicabile a tipologie specifiche di contratto (art. 4, par. 1 e 2), rendendo meno flessibile il criterio successivo del 245


collegamento più stretto (art. 4, par. 3 e 4). Quest’ultimo criterio, infatti, è quasi sempre sostituito da quello della residenza abituale di colui che deve effettuare la prestazione caratteristica del contratto, stabilendolo già direttamente a seconda del tipo di contratto. Così avviene, per esempio, per la vendita di beni (nel caso manchi una diversa scelta delle parti, dovrà applicarsi la legge del paese di residenza abituale del venditore) oppure per il contratto di prestazione di servizi (si farà riferimento alla legge del paese abituale del prestatore). In altri casi, la norma utilizza criteri diversi: ad esempio, quello della localizzazione per i contratti di vendita all’asta (legge dello Stato in cui ha avuto luogo l’asta) oppure la legge del luogo in cui l’immobile è situato per i contratti di locazione di durata superiore a sei mesi. La capacità dei contraenti non è disciplinata dal regolamento, che la esclude dal proprio ambito di applicazione (art. 1, par. 2, lett. a), fatta salva la disposizione dell’art. 13 secondo cui “In un contratto concluso tra due persone che si trovano in uno stesso paese, una persona fisica, capace secondo la legge di tale paese, può invocare la sua incapacità risultante da un’altra legge soltanto se, al momento della conclusione del contratto, l’altra parte contraente era a conoscenza di tale incapacità o l’ha colpevolmente ignorata”. La disposizione mira a tutelare il contraente in buona fede. Stante la mancata regolamentazione della materia della capacità dei contraenti, si dovrà far, dunque, riferimento agli artt. 20 e 23 per le persone fisiche e all’art. 25 per le persone giuridiche (L. 218/95). Per quanto riguarda la forma, l’art. 11 del regolamento stabilisce che “Un contratto concluso tra persone che si trovano, o i cui intermediari167 si trovano, nello stesso paese al momento della

L’espressione “intermediario” nel linguaggio giuridico italiano non ha una precisa valenza. Nelle altre lingue autentiche del regolamento sono state utilizzate espressioni diverse e forse non perfettamente collimanti (reprèsentant, agent, vertreter). La Convenzione del 1980, nella versione italiana, aveva scelto di usare l’espressione “rappresentante”. È stato ritenuto, quindi, che l’art. 11, quando parla di “intermediario” (nella versione italiana) voglia fare riferimento non solo a tutti i tipi di rappresentanza (legale, volontaria, organica), ma anche alla “gestione di affari 167

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conclusione è valido, quanto alla forma, se soddisfa i requisiti di forma della legge che ne disciplina la sostanza ai sensi del presente regolamento o della legge del paese in cui è concluso”. Anche il regolamento, come la Convenzione, si ispira, quindi, al principio di conservazione del negozio. Il regolamento, inoltre, riserva una disciplina più dettagliata ai contratti di trasporto e di assicurazione. L’art. 5 dispone che la legge applicabile al trasporto merci è quella della residenza del vettore, a condizione che in tale paese si trovino anche il luogo di carico o quello di consegna. Se tali condizioni non sono soddisfatte, si applica la legge del paese in cui si trova il luogo di consegna convenuto dalle parti. Se si tratta di un contratto di trasporto di persone e non vi sia scelta delle parti (che comunque il regolamento limita a determinate ipotesi), la legge applicabile è quella del paese di residenza abituale del passeggero, purché il luogo di partenza o di destinazione sia situato in tale paese. Se tali condizioni non sono soddisfatte, si applica la legge del paese in cui il vettore ha la residenza abituale. In materia di trasporto internazionale, si segnala anche la Convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956 sul trasporto internazionale di merci su ruota (CMR). Essa prevede la responsabilità del vettore per qualunque perdita, totale o parziale, o avaria intervenuta tra il momento del ritiro della merce dal mittente e quello della consegna al destinatario. Anche in caso di ritardo è prevista un’analoga responsabilità. Tuttavia, in alcune ipotesi (come nel caso di merce con difetti di imballaggio o di trasporto di animali vivi) la Convenzione prevede che il vettore sia considerato irresponsabile del ritardo o della perdita della merce ed altre situazioni in cui, in caso di ritardata consegna, il risarcimento del danno è limitato ad un’indennità non eccedente il prezzo del trasporto e subordinato alla prova, posta a carico del destinatario, che quest’ultimo abbia subito un danno effettivo per il ritardo. Per la Suprema Corte la disciplina della Convenzione è applicabile se le parti contraenti abbiano manifestato la loro volontà in tal senso o in forma espressa, con altrui” e al falsus procurator, casi nei quali il “rappresentante” agisce in assenza di preventivi accordi con il dominus (il “rappresentato”).

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indicazione in calce alla lettera di trasporto o, in assenza di lettera di vettura, con pattuizioni, anche orali, tra le parti, dimostrabili con qualunque mezzo di prova (Cass. n. 11282/2005). Per il contratto di assicurazione, l’art. 7 dispone che se si tratta di assicurazione contro i danni, in mancanza di una scelta diversa delle parti, si applica la legge del luogo in cui è situata la residenza abituale dell’assicuratore. In caso di assicurazione di altro tipo, tra cui quella sulla vita, si applicherà la legge del luogo in cui è situato il rischio al momento della conclusione del contratto (sempre in assenza di una diversa volontà negoziale). Il reg. Roma I contiene disposizioni anche sul rinvio e sul richiamo di ordinamenti plurilegislativi. Sul primo, già dalla rubrica dell’art. 20 (“esclusione del rinvio”) emerge la scelta di adottare una soluzione diversa rispetto a quella accolta dal legislatore italiano nell’art. 13 L. 218/95; difatti, l’art. 20 stabilisce che “Qualora il presente regolamento prescriva l’applicazione della legge di un paese, esso si riferisce all’applicazione delle norme giuridiche in vigore in quel paese, ad esclusione delle norme di diritto internazionale privato, salvo che il presente regolamento disponga altrimenti168”. Quanto al richiamo ad ordinamenti plurilegislativi, l’art. 22 stabilisce che se uno Stato si compone di più unità territoriali, ciascuna delle quali possiede proprie norme in materia di obbligazioni contrattuali, il richiamo operato dalle norme del regolamento è da intendersi come direttamente rivolto ad ognuna di tali unità (ciò significa che ogni sistema normativo territoriale è considerato, ai fini della scelta applicabile, come un paese a sé stante).

L’espressione “salvo che il regolamento disponga altrimenti” allude all’art. 7 il quale, con riferimento ad alcuni tipi di contratto di assicurazione, circoscrive l’ambito della facoltà di scelta consentita alle parti, prevedendo che se la legge scelta ammette un più ampio ventaglio di opzioni, di ciò le parti potranno avvalersi (ad esempio, se le parti di un contratto di assicurazione, cui è consentito scegliere solo la legge di A oppure di B e questa consente che la scelta cada (anche) su altre leggi, per ipotesi di C e D, le parti avvalendosi di questa più ampia libertà di scelta, potranno optare per la legge di D, che sarà, in tal modo, la legge competente a regolare il loro contratto. 168

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Il regolamento, infine, non si occupa della responsabilità precontrattuale, disciplinata dall’art. 12 del reg. 864/2007 sulla responsabilità extracontrattuale. Approfondimento I rapporti di lavoro. Dottrina e giurisprudenza L’analitica e complessa disciplina dettata nel regolamento Roma I in relazione ai contratti di lavoro non permette di trattare in questa sede, ed in maniera esauriente, l’argomento. Tuttavia, l’aspetto che maggiormente preme evidenziare è che, nell’ambito delle obbligazioni contrattuali, i contratti di lavoro occupano una posizione “difficile” dovuta all’intersecarsi delle norme di d.i.p. con norme di matrice necessariamente pubblicistica. Si registrano numerose posizioni dottrinali. La dottrina maggioritaria esclude che possano applicarsi norme straniere a chi presta lavoro in Italia, in quanto in tal genere di contratto (come anche in quello con i consumatori) l’esigenza primaria resta quella di tutelare la parte debole del rapporto (il lavoratore rispetto al datore di lavoro) e questa particolare protezione si ritiene possa e debba essere garantita in maniera più efficace dalle norme statuali interne piuttosto che da norme di paesi stranieri. Si richiama il limite dell’ordine pubblico per giustificare la non applicazione in Italia delle norme straniere in materia di lavoro. Altra parte, afferma in maniera più semplicistica, che le norme italiane in materia di lavoro sono norme di applicazione necessaria. Altra parte ancora richiama per analogia l’art. 9 cod. nav. secondo cui il criterio di collegamento valido per i rapporti di lavoro relativi alla navigazione è quello della bandiera, cioè del luogo dove il rapporto si svolge. Non è mancata quella parte della dottrina che ha assunto una posizione di “compromesso” ritenendo che il richiamo a norme straniere debba escludersi solo per la regolamentazione degli aspetti pubblicistici del rapporto di lavoro, mentre gli aspetti privatistici sarebbero assoggettabili alle disposizioni generali in materia di obbligazioni contrattuali. Si comprende, data la molteplicità di posizioni dottrinali differenti, come in questo ambito, in cui la materia è già di per sé difficile da delineare, la mancanza di posizioni univoche non fa che aumentare il grado di incertezza. Dal punto di vista giurisprudenziale, invece, si evidenzia una più netta presa di posizione. Nel 2002, infatti, la Suprema Corte si è pronunciata (con la sent. n. 15822) con riferimento a rapporti di lavoro svolti all’estero, in particolare negli Stati Uniti, tra soggetti italiani. Nel dettaglio, un dipendente della Banca di Roma, filiale di New York, aveva convenuto, dinanzi al Pretore di Roma, la società datrice di lavoro deducendo l'illegittimità del licenziamento intimatogli e chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro. Il Pretore adito rigettava la domanda, con sentenza confermata in appello dal Tribunale. Con

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sentenza n. 15822/02 la Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, affermando che il rapporto di lavoro dedotto in giudizio, sorto ed eseguito all'estero, doveva ritenersi regolato secondo i criteri della Convenzione di Roma del 19 luglio 1980, dalla legge del luogo della prestazione lavorativa, a meno che tale legge non risultasse manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico italiano, e che è manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico italiano una legge, come quella in vigore negli Stati Uniti che, in linea generale, non preveda tutela contro il licenziamento ingiustificato. Dalla lettura della motivazione, emerge che, secondo la Corte, quando si deduce la violazione - da parte del datore di lavoro - dei limiti inerenti alla sua facoltà di recesso dal rapporto di lavoro, si deduce un inadempimento contrattuale. Nell’ambito dei rapporti tra diritto interno e diritto straniero, questo inadempimento, riguardando un’obbligazione contrattuale, deve essere valutato alla stregua del diritto applicabile in virtù della Convenzione di Roma del 1980 (art. 57 L. 218/95). Ai sensi dell’art. 6 n. 2 lett a) della Convenzione, in mancanza di scelta, il contratto di lavoro è regolato dalla legge del paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro. Nel caso di specie, poiché il rapporto di lavoro si è svolto negli Stati Uniti, le situazioni giuridiche delle parti del rapporto discendente dal contratto di lavoro sono regolate dalla legge di tale paese. Questo generale principio ha, tuttavia, un limite interno, fissato dalla stessa Convenzione: la legge straniera non è applicabile “se tale applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico” del paese i cui organi giudiziari dovrebbero applicare detta legge (art. 16). La sentenza si sofferma efficacemente sulla descrizione del “rapporto di lavoro”, analizzando anche il quadro normativo di riferimento. Ne emerge che esso “non è un rapporto che il mero flatus vocis del datore possa spegnere, bensì un rapporto che tende a permanere nel tempo ove non intervenga ragione che ne giustifichi la risoluzione (…) La tutela di questa tendenziale stabilità, investendo uno dei fondamenti dello Stato e la dignità della persona, coinvolgendo un ampio quadro normativo, ed essendo in tal modo parte essenziale dell’assetto dell’ordinamento, rientra nello spazio dell’ordine pubblico”. Richiama anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il cui art. 30 stabilisce che ogni lavoratore ha diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato. Arriva, quindi, ad affermare che “la stabilità del posto di lavoro costituisce principio di ordine pubblico” e che “è manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico italiano una legge che, in linea generale, non preveda tutela contro il licenziamento ingiustificato”.

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14.3. La vendita internazionale La vendita internazionale (o VENDITA compravendita transfrontaliera) INTERNAZIONALE consiste in uno scambio tra la - se ne occupano numerose proprietà di un bene (o altro diritto su convenzioni; di esso) ed il pagamento di un prezzo. - se coinvolge un consumatore: Convenzione Tale scambio, però, non avviene di Roma o reg. 593/2008; nell’ambito di un solo Stato, ma - Convenzione di Vienna del 1980 ha carattere speciale presenta punti di collegamento con più rispetto alla Convenzione Stati (ad esempio, la vendita ad una dell’Aja del 1955; - lex mercatoria. grande catena commerciale inglese di telefoni prodotti in Cina per conto di un’azienda svedese). Un contratto di questo tipo pone delle problematiche non indifferenti in merito al diritto applicabile, anche perché sono numerose le convenzioni che se ne occupano. Solo per citarne alcune: la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci, la Convenzione dell’Aja del 1955 sulla legge applicabile alle vendite a carattere internazionale di oggetti mobili. Nel caso in cui la compravendita coinvolga un consumatore si applicherà la Convenzione di Roma (o il reg. 593/08, se si tratta di Stati membri), perché quella dell’Aja CONVENZIONE DI VIENNA non ha una specifica disciplina al S.U. 14837/02 e 18902/04 riguardo e quella di Vienna non si Data l’enorme importanza applica alle compravendite concluse attribuita a tale Convenzione, anche le Sezioni Unite della con i consumatori. Negli altri casi, Suprema Corte (S.U. e 18902/04) hanno troverà applicazione la Convenzione di 14837/02 ribadito che le sue Vienna che, rispetto a quella dell’Aja, disposizioni si applicano (tra gli Stati aderenti) a ha carattere speciale perché introduce prescindere delle norme di norme di diritto materiale uniforme169. d.i.p. degli Stati contraenti, prevalendo, quindi, sulle Tale Convenzione comprende anche stesse. la fornitura di merci da fabbricare o 169

Non tutte le Convenzioni che disciplinano la compravendita internazionale introducono norme di diritto materiale uniforme (cioè procedono direttamente alla regolamentazione giuridica dettagliata); ve ne sono alcune, infatti, che sono dirette ad individuare, nelle differenti e possibili situazioni commerciali, l’ordinamento statale più idoneo ad essere applicato (come, appunto, la Convenzione dell’Aja).

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produrre, ma non si applica alle vendite all’asta, né all’acquisto per uso personale, familiare o domestico. Alla Convenzione di Vienna hanno aderito numerosissimi Stati (al 1° gennaio 2016, 84 Stati) ed è considerata il fulcro della regolamentazione giuridica della vendita internazionale. Se la fattispecie concreta non rientra nel campo di applicazione di nessuna convenzione, allora si applicherà l’art. 57 L. 218/95 che richiama in ogni caso la Convenzione di Roma. Inoltre, proprio nell’ambito delle vendite internazionali, un importante ruolo viene svolto anche dalla lex mercatoria, ovvero quell’insieme di norme nate spontaneamente (ossia senza la mediazione del potere legislativo degli Stati) tra i soggetti operanti in diversi settori commerciali (vedi supra, Cap. I, par. 1.7.1).

14.4. L’e-commerce Il commercio elettronico (cd. electronic commerce o, semplicemente, e- luogo di conclusione del contratto: l’offerta tramite sito commerce) consiste nella conclusione web è stata qualificata come di transazioni commerciali tramite quel “offerta al pubblico” (art. sistema informatico internazionale 1336 c.c.); alla proposta commerciale via mail si che, attraverso la rete Internet, è in applica l’art. 1335 c.c.; grado di collegare tra loro milioni di - diritto applicabile: art. 57 L. 218/95 (conv. Roma del computers. 1980 o, in ambito europeo, L’e-commerce ha, senza dubbio, reg. Roma I). rivoluzionato il classico concetto di commercio e, quindi, anche di fare impresa, in quanto tutte le operazioni ad esso legate si svolgono in uno spazio non fisico, ma virtuale. Il commercio è necessariamente transnazionale, in quanto durante la navigazione si superano le frontiere del proprio Stato senza neanche rendersene conto. Questo nuovo modo di concludere transazioni commerciali ha, d’altro canto, messo in rilievo l’insufficienza del diritto internazionale privato e processuale ad affrontare e risolvere in maniera adeguata le problematiche da esso scaturenti. E-COMMERCE

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Non sempre, infatti, i classici istituti pensati per il contratto “tradizionalmente inteso” riescono ad adeguarsi alla veste “virtuale” del cd. contratto informatico (si pensi agli istituti che disciplinano il luogo di esecuzione dell’obbligazione, il luogo in cui si verifica l’evento dannoso, la responsabilità per danni da prodotti difettosi, etc.). Le criticità più evidenti dei contratti informatici, probabilmente, restano la definizione del luogo di formazione del consenso contrattuale, come anche la fase dell’esecuzione o dello stesso pagamento del prezzo (spesso effettuato con carta di credito, i cui estremi vengono comunicati dall’acquirente sempre mediante comunicazione informatica). Proprio per quanto riguarda il luogo di conclusione del contratto, si è osservato che l’offerta contrattuale in rete viene, in genere, diffusa in due modi: o viene presentata in una pagina Web (quindi proposta tramite un apposito sito) oppure viene inviata tramite posta elettronica (via e-mail). L’offerta contrattuale tramite sito web è stata qualificata come “offerta al pubblico”, in quanto rivolta ad un numero indefinito di potenziali acquirenti, e, quindi, potrà ritenersi applicabile la disciplina di cui all’art. 1336 c.c.. Nel secondo caso (proposta commerciale via e-mail), invece, si ritiene possa applicarsi l’art. 1335 c.c., il quale presume pervenuta la proposta quando essa giunge all’indirizzo del destinatario tranne che questo provi di non esserne venuto a conoscenza per causa non imputabile a sua colpa. Viene in rilievo anche l’art. 1326 c.c. che, in merito alla conclusione del contratto, stabilisce che esso si considera concluso nel momento e nel luogo in cui il proponente viene a conoscenza dell’accettazione della controparte, ma che deve essere “adattato” alla particolare natura del contratto elettronico. La tesi più diffusa ha, in proposito, ritenuto che il momento e il luogo di conclusione del contratto devono individuarsi in quello in cui ha sede il server del provider presso cui l’accettazione perviene (si è ritenuto, infatti, un luogo più certo rispetto a quello in cui la persona fisica provvede a scaricare la posta elettronica). Per quanto riguarda il diritto applicabile, si ritiene che anche per l’e-commerce valgano i criteri di collegamento fissati dall’art. 57 L. 218/95, il quale richiama la Convenzione di Roma del 19 253


giugno del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (tale Convenzione, come più volte detto, è stata sostituita, dal 17 dicembre 2009, tra gli Stati membri, dal reg. 593/2008, cd. Roma I)170. L’art. 3 della Convenzione stabilisce, come primo criterio di collegamento, quello della scelta delle parti (che, come è facile intuire, nei contratti commerciali via internet, è ormai una regola consuetudinaria, che, insieme alle condizioni economiche dell’offerta, viene presa in esame all’atto di accettazione della proposta). Nell’ipotesi in cui tale scelta manchi, si applicheranno gli altri criteri stabiliti dalla Convenzione. Solitamente, peraltro, il contratto commerciale viene concluso tra il consumatore (l’acquirente che naviga in internet) e il professionista del settore (l’imprenditore commerciale titolare della pagina web). L’art. 5 della Convenzione (Contratto concluso dai consumatori), proprio per tutelare il consumatore, parte economicamente più debole, sancisce che, in tale ipotesi, troverà applicazione la legge del paese in cui il consumatore ha la sua residenza abituale, in deroga alle regole generali.

14.5. Il trust Assai diffuso nei paesi di common law, ma sconosciuto nel nostro ordinamento, il trust (che, nella lingua inglese, significa “fiducia”) è un rapporto giuridico fiduciario trilaterale che coinvolge: un soggetto (settlor) proprietario di beni, il quale costituisce il trust con beni mobili o immobili, con atto tra vivi o mortis causa; un soggetto (trustee) che amministra uno o più beni su incarico del settlor e ne diventa proprietario fiduciario Si ritiene, invece, che trovi applicazione l’art. 56 L. 218/95 in caso di donazioni via internet. Si fa riferimento, in particolare, al fenomeno del freeware, ovvero la cessione di materiale software a titolo gratuito (anzi, spesso il creatore del programma permette non solo la libera utilizzazione di questo ma anche la modifica dello stesso e l’ulteriore utilizzazione). Ai sensi dell’art. 56, quindi, la donazione è regolata dalla legge nazionale del donante. Quest’ultimo può, però, disporre, con dichiarazione espressa, che l’atto di liberalità sia sottoposto alla legge dello Stato in cui egli risiede. 170

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(tale patrimonio resta comunque separato da quanto posseduto a titolo personale; pertanto, non entra in comunione e non è aggredibile dai creditori personali); un soggetto beneficiario (il cestui que trust), a vantaggio del quale è amministrato il trust. Spesso il costituente (settlor) si TRUST nomina anche beneficiario (cestui que - espressamente escluso trust). dalla Convenzione di Roma Secondo il diritto anglosassone il trust del 1980 e dal reg. 593/2008; Convenzione dell’Aja del 1° realizzerebbe uno “sdoppiamento del -luglio 1985; diritto di proprietà”, in quanto il trustee - dubbia la possibilità di sarebbe proprietario legale del configurare i trust interni. patrimonio affidatogli, mentre il beneficiario sarebbe una sorta di “proprietario secondario”. Si comprende, quindi, perché tale istituto sia estraneo al nostro ordinamento, il quale non contempla un diritto di proprietà che non sia “pieno ed esclusivo”. Approfondimento La non riconducibilità del trust alla nozione italiana di “diritto di proprietà” (Cass. n. 50672/14) Interessante, a tal proposito, una pronuncia della Corte di Cassazione (sulla possibile configurabilità del reato di appropriazione indebita in capo al trustee), da cui emerge in tutta evidenza il perché un istituto come quello del trust non sia riconducile alla nozione italiana di “diritto di proprietà”. Si legge, infatti, che “una tale intestazione formale non può ricondursi al concetto di proprietà di cui all’art. 832 c.c., non potendo il trustee godere dei pieni poteri del proprietario; la sua è, infatti, una proprietà temporanea e vincolata, fondata sul rapporto fiduciario tra il disponente e il trustee”. Prosegue la Corte, “devono assumere rilevanza preminente, nell'interpretazione del negozio, sia il vincolo di destinazione che grava sui beni (che, determinandone la funzione economico-sociale, ne impedisce la commistione con il patrimonio del trustee) sia l'esistenza di beneficiari del negozio fiduciario, a favore dei quali deve indirizzarsi tutta l'attività di gestione dei beni e rapporti, conferiti nel trust, dovendosi attribuire all'intestazione formale del diritto di proprietà al trustee la valenza di una proprietà temporale, sostanziata dal possesso del bene, sicuramente diversa da quella delineata nell'art. 832 c.c. e svincolata dal potere di disporre dei beni in misura piena ed esclusiva (…). Il potere esercitato dal trustee sui beni conferiti in trust non è quel diritto di godere e disporre dei beni stessi in modo pieno ed esclusivo in cui si sostanzia il diritto di proprietà secondo la nota definizione dell'art. 832 c.c.; si tratta piuttosto di una situazione reale di 255


proprietà, finalizzata e funzionale, che si esercita su di un patrimonio separato ed autonomo rispetto a quello facente capo al trustee, patrimonio che è vincolato, come si è detto, dal programma fiduciario che il trustee ha l'obbligo di perseguire e che sembra senz'altro riconducibile al concetto generale di possesso penalmente rilevante di cui all'art. 646 c.p.”171.

Il trust, il quale è stato espressamente escluso dall’applicazione della Convenzione di Roma del 1980 e dal reg. 593/2008, ha trovato una specifica disciplina nella Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, la quale si occupa specificamente della legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento. Essa, all’art. 2, fornisce una definizione di trust più ampia e generica rispetto a quella propria del diritto anglosassone172, definendolo come “rapporto giuridico creato da una persona, il costituente, con atto tra vivi o mortis causa, allorché pone dei beni sotto il controllo di un trustee, nell’interesse di un beneficiario o per uno scopo determinato”. Tale definizione pone maggiormente l’attenzione sugli aspetti reali dell’istituto, privilegiandone l’aspetto di negozio fiduciario. Circa la legge applicabile, l’art. 6 della Convenzione stabilisce che il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente. La scelta non deve necessariamente essere espressa, ma può risultare anche dal complesso delle disposizioni dell’atto costitutivo. Qualora, però, la legge scelta dal costituente appartenga ad un ordinamento che non conosce l’istituto del trust, tale scelta non avrà valore e verrà applicato, in via sussidiaria, il criterio di collegamento di cui all'art. 7. Quest’ultimo sancisce che, in tal caso, il trust sarà regolato dalla legge con la quale ha più stretti legami. Il “collegamento più stretto” sarà individuato valutando diversi elementi, indicati dall’articolo in questione: luogo di amministrazione del trust designato dal costituente; situazione dei beni del trust; residenza o sede degli affari del trustee; obiettivi del trust e luoghi dove dovranno essere realizzati.

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D. Triolo, I reati contro il patrimonio, pagg. 172 e ss., Key ed., 2015. Tale scelta non è casuale, ma dettata dalla consapevolezza che tale istituto, sostanzialmente sconosciuto in paesi di civil law come il nostro, presenta una commistione di elementi tanto obbligatori che reali. 172

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Rimane ancora oggi dubbia la possibilità di configurare i cd. trust interni, cioè costituiti da cittadini italiani e relativi a beni situati in Italia. La dottrina prevalente la ritiene ammissibile per due ragioni: la Convenzione non pone limiti alla facoltà di scelta della legge applicabile, ed inoltre, la legge n.51/2006, con l’introduzione dell’art. 2645 ter c.c., ha previsto la possibilità di trascrivere determinati atti di destinazione dei beni, tra i quali rientrerebbe anche il conferimento di beni in trust. La tesi negativa, sostenuta dalla dottrina minoritaria, ritiene inammissibile il trust interno sulla base del disposto dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 1985, laddove stabilisce che “Nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee, sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l'istituto del trust o la categoria del trust in questione”.

14.6. Le obbligazioni non contrattuali. Generalità La legge 218/95 regola espressamente le obbligazioni non contrattuali (o extracontrattuali). Si tratta di obbligazioni, non derivanti da contratto, che possono trarre origine o da un illecito o da negozi unilaterali (come la promessa unilaterale, i titoli di credito o la procura) o dalla legge. In tale ambito, si ricorda, viene esclusa l’operatività del rinvio (art. 13, comma 2, lett. c)173. La portata delle norme di cui alla L. 218/95 è, comunque, ridotta dall’operatività del reg. 864/2007 dell’ 11 luglio 2007 (cd. Roma II174) che ha introdotto (dall’ 11 gennaio 2009) in tutti gli Stati 173

Il rinvio, invece, non è escluso per i titoli di credito, in quanto le convenzioni in tema di cambiale e di assegno, richiamate dall’art. 59 a disciplinare “in ogni caso” tali materie, prevedono il funzionamento del rinvio, anche se limitatamente alla disciplina inerente la capacità della persona (art. 2 Convenzione di Ginevra del 1930 e Convenzione di Ginevra del 1931). 174 Il reg. 864/2007 è stato definito Roma II perché la sua disciplina era nata a completamento di quella contenuta nella Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (sostituita dal reg. 593/2008, noto come Roma I).

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membri, eccetto la Danimarca (che si è avvalsa della facoltà di opting out), una disciplina di fonte comunitaria in materia di obbligazioni extracontrattuali. L’ambito di applicazione delle norme contenute nel regolamento è assai ampio e, di conseguenza, non sono molte le fattispecie che, espressamente o implicitamente, ne restano escluse. Il regolamento si applica alle materie civili e commerciali, eccetto alcuni ambiti (non si applica, ad OBBLIGAZIONI NON esempio, alla responsabilità dello CONTRATTUALI Stato per atti od omissioni compiuti -artt. da 58 a 63 L. 218/95; nell’esercizio dei pubblici poteri, acta -in ambito europeo: reg. iure imperii). Inoltre, esso non si 864/2007 (Roma II); Il reg. Roma II: occupa delle obbligazioni -ha carattere universale; extracontrattuali derivanti (a titolo -prevede un concorso meramente esemplificativo, ma non successivo di criteri di esaustivo) da: rapporti di famiglia o da collegamento. rapporti comparabili, comprese le obbligazioni alimentari; cambiali, assegni, vaglia cambiari ed altri strumenti negoziabili; violazioni della vita privata e dei diritti della personalità, compresa la diffamazione. Esso, inoltre, ha carattere universale in quanto la legge da esso individuata si applica anche nell’ipotesi in cui non sia quella di uno Stato membro. Il rinvio è escluso ai sensi dell’art. 24, secondo cui “Qualora il presente regolamento prescriva l’applicazione della legge di un paese, esso si riferisce all’applicazione delle norme giuridiche in vigore in quel paese, ad esclusione delle norme di diritto internazionale privato”. Altresì, il regolamento prevede un concorso successivo di criteri di collegamento. Le parti possono innanzitutto scegliere la legge applicabile. La scelta ad opera delle parti deve essere esercitata o mediante accordo espresso successivo al verificarsi del fatto che ha determinato il danno (si è cercato, così, di ridimensionare il fenomeno del forum shopping dell’attore, ovvero la possibilità per l’attore di scegliere la legge di uno Stato piuttosto che quella di un altro per giungere a risultati a lui più favorevoli) oppure, se tutte le parti esercitano attività commerciale, mediante accordo che può essere concluso anche prima del verificarsi di tale fatto. 258


Nel caso in cui esse non abbiano effettuato alcuna scelta, si applica la legge individuata in base ai criteri di collegamento di cui all’art. 4 (norma di carattere generale, in cui il principale criterio di collegamento è rappresentato dal luogo in cui si verifica il danno, indipendentemente da quello in cui è stato posto in essere il fatto che lo ha provocato) o di cui agli artt. 5 e ss. dedicati alle diverse tipologie di illeciti.

14.6.1. La promessa unilaterale La promessa unilaterale è una PROMESSA UNILATERALE dichiarazione con cui un soggetto - il c.c. prevede: la promessa (promittente) si impegna a fare o a di pagamento, la ricognizione dare qualcosa nei confronti di un altro di debito, la promessa la pubblico. soggetto (promissario) a prescindere - art. 58 L. 218/95; dalla volontà di quest’ultimo. Non è un - reg. 864/2007 (tra gli Stati contratto bensì un negozio unilaterale membri). con il quale un soggetto assume obbligazioni a suo esclusivo carico. Il negozio si perfeziona indipendentemente dall’accettazione del promissario e produce effetti solo nei casi ammessi dalla legge, anche se dottrina recente ammette la possibilità di promesse unilaterali atipiche purchè rifiutabili dal destinatario (Gazzoni)175. Le promesse unilaterali previste dal nostro codice civile sono: la promessa di pagamento, la ricognizione di debito e la promessa al pubblico. La promessa di pagamento e la ricognizione di debito sono dichiarazioni unilaterali con le quali il dichiarante promette di pagare o si riconosce debitore di una certa somma. La promessa al pubblico è, invece, un negozio giuridico unilaterale tramite il quale un determinato soggetto si impegna pubblicamente ad eseguire una determinata prestazione nei confronti di chi si troverà in una determinata situazione o di chi

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Tra queste vi rientra, ad esempio, la promessa di garanzia (o lettera di patronage), mediante la quale viene attestato un impegno di fare o dare che un soggetto assume nei confronti del destinatario della “lettera”, in favore di un altro soggetto che aspira a ricevere una prestazione, solitamente finanziaria, dal destinatario della lettera.

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compirà una determinata azione (ad esempio, chi promette una È irrilevante, ai fini ricompensa a chi ritroverà un cane dell’individuazione della legge applicabile, il fatto che la smarrito). promessa sia un atto unilaterale recettizio, e quindi, la necessità, Nel disciplinare la promessa affinché produca i suoi effetti, che unilaterale, l’art. 58 L. 218/95 sia portata a conoscenza del destinatario, in quanto il carattere stabilisce che essa è regolata dalla recettizio dell’atto rileva solo ai legge dello Stato in cui viene fini della sua efficacia, e non anche in relazione al momento manifestata la volontà del della formazione dell’atto. promittente. Tale legge regola le condizioni della promessa, inclusa la possibilità di revoca, la forma della promessa e gli effetti che essa è idonea a produrre. Si ritiene che, in mancanza di una specifica norma, la legge applicabile alla sostanza regola anche la forma. La capacità del promittente, invece, ai sensi degli artt. 20 e 23 L. 218/95, è regolata dalla legge nazionale. Non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 58 tutte quelle promesse regolate dalla L. 218/95 con un diverso regime, come, ad esempio: la promessa di donazione (disciplinata dall’art. 56 L. 218/95 o dalla Convenzione di Roma e ora reg. 593/2008, se contenuta in un contratto preliminare); la promessa di matrimonio (art. 26 L. 218/95); i titoli di credito (art. 59); il testamento (artt. 46 e ss.); la procura (art. 60). Nell’ipotesi di promessa al pubblico la legge regolatrice sarà quella del luogo in cui il promittente abbia utilizzato un mezzo idoneo a rendere pubblica la propria dichiarazione promissoria. Essa non va confusa con l’offerta al pubblico che, in genere, anticipa la possibile formazione di un contratto e che, essendo considerata elemento costitutivo del rapporto contrattuale, sarà soggetta alla lex contractus. Nel caso in cui la promessa al pubblico sia resa nota in Stati diversi, come, per esempio, nel caso di concorsi a premi gestiti da imprese multinazionali di produzione o distribuzione di beni e servizi, si ritiene che debba farsi ricorso all’istituto del dèpeçage o frazionamento, con conseguente applicazione di diverse leggi regolatrici ai diversi aspetti dell’obbligazione. Laddove non sia possibile utilizzare la tecnica del dèpeçage, si farà riferimento ad un collegamento oggettivo, idoneo ad esprimere un legame Cass. n. 6866/2003

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effettivo con la fattispecie, come, ad esempio, il domicilio o la residenza dell’autore della promessa (Pocar). Tra gli Stati membri, trova applicazione il reg. 864/07, il quale richiama la stessa legge individuata dall’art. 58 L. 218/95, ovvero la legge dello Stato in cui la promessa viene manifestata.

14.6.2. I titoli di credito I titoli di credito sono quei documenti che incorporano la promessa unilaterale di eseguire la prestazione in essi indicata a favore di chi li presenta alla persona obbligata. Si tratta, quindi, di una categoria assai ampia che comprende assegni bancari e circolari, cambiali, azioni e TITOLI DI CREDITO obbligazioni di società, buoni - art. 59 L. 218/95; del Tesoro, etc.. In ambito - Convenzione di Ginevra del 1930 sui commerciale svolgono, senza conflitti di legge in materia di cambiali e vaglia cambiari; dubbio, un ruolo centrale e, - Convenzione di Ginevra del 1931 sui grazie all’incorporazione (reale conflitti di legge in materia di assegni o virtuale) del diritto nel titolo di bancari; - entrambe le Convenzioni hanno credito (si parla, infatti, di carattere universale; obbligazioni cartolari), rendono - sono espressamente esclusi dall’applicazione del reg. Roma II; più rapida e sicura la - è esclusa l’operatività del rinvio (art. circolazione del credito stesso. 13, co. 2, lett.c, L. 218/95); Come avviene anche per altre - le convenzioni ammettono il rinvio per la disciplina della capacità a materie (protezione dei minori, contrarre obbligazioni derivanti da titoli obbligazioni alimentari, di credito. obbligazioni contrattuali), la legge di d.i.p., all’art. 59, disciplina la cambiale, il vaglia cambiario e l’assegno tramite il rinvio, “in ogni caso”, alle norme contenute nella Convenzione di Ginevra del 7 giugno 1930 sui conflitti di legge in materia di cambiali e di vaglia cambiari, e alle disposizioni della Convenzione di Ginevra del 19 marzo 1931 sui conflitti di legge in materia di assegni bancari176.

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La disciplina prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1931 per gli assegni è simile a quella prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1930 per le cambiali. Anch’essa, infatti, stabilisce che sostanza e forma siano disciplinati dalla legge del luogo in cui è stata apposta ogni singola sottoscrizione, mentre in tema di capacità richiama la legge nazionale della persona che si obbliga.

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Il rinvio “in ogni caso” comporta che le disposizioni delle convenzioni troveranno applicazione anche al di là dell’ambito di operatività stabilito dalle stesse. Entrambe le convenzioni hanno, infatti, carattere universale, in quanto, ai sensi del comma 2 dell’art. 59, si applicano anche “alle obbligazioni assunte fuori dai territori degli Stati contraenti o allorché esse designino la legge di uno Stato non contraente”. Per gli altri titoli di credito (ovvero quelli non contemplati dalle due convenzioni richiamate al comma 1 e i titoli di credito cc.dd. non cambiari o di trasporto, come, ad esempio, la polizza di carico, la lettera del vettore, la nota di pegno) il comma 3 stabilisce l’applicazione della legge dello Stato di emissione ossia la legge del luogo in cui il titolo viene consegnato al primo prenditore 177. Invece, prosegue il comma 3, le obbligazioni diverse da quella principale sono regolate dalla legge dello Stato in cui ciascuna è stata assunta, ossia dalla legge del luogo in cui sono state apposte le ulteriori sottoscrizioni. Si ricorda, altresì, che i titoli di credito sono espressamente esclusi dall’applicazione del reg. 864/2007 (Roma II). È bene precisare che l’art. 59 riguarda solo gli aspetti obbligatori dei titoli di credito. Invero, tutte le questioni relative all’acquisto della proprietà sul titolo (in particolare nell’ipotesi di smarrimento o acquisto della proprietà a non domino) saranno sottoposte alla disciplina della legge regolatrice dei diritti reali (art. 51 e ss. L. 218/95). I titoli di credito, inoltre, rientrano tra le materie per le quali è esclusa l’operatività del rinvio da parte delle norme di d.i.p. dell’ordinamento ritenuto competente (art. 13, co. 2, lett. c, L. 218/95). Tuttavia, ai sensi dell’art. 13, co. 4, L. 218/95 “Quando la presente legge dichiara in ogni caso applicabile una convenzione internazionale si segue sempre, in materia di rinvio, la soluzione adottata dalla convenzione”.

Prima della riforma, invece, era controversa l’individuazione della legge applicabile ai titoli di credito. La dottrina prevalente riteneva che dovesse farsi riferimento alla legge del luogo di sottoscrizione del documento (cd. teoria della creazione), altri, invece, ritenevano dovesse applicarsi la legge del luogo di emissione del titolo. 177

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Entrambe le Convenzioni di Ginevra ammettono il rinvio per la disciplina della capacità a contrarre obbligazioni derivanti da titoli di credito.

14.6.3. La rappresentanza volontaria La rappresentanza è RAPPRESENTANZA VOLONTARIA quell’istituto grazie al quale un - art. 60 L. 218/95; soggetto (rappresentante) è - falsus procurator: art. 60 se il suo legittimato ad agire per conto di operato è oggetto di successiva In caso contrario si applica un altro soggetto ratifica. l’art. 62 (responsabilità per fatto (rappresentato) nel illecito); compimento di un negozio - non rientrano nella disciplina dell’art. 60: la relazione interna tra giuridico. Si dice volontaria rappresentato e rappresentante e la perché un soggetto, con un rappresentanza processuale; - è escluso il rinvio (art. 13, co. 2, apposito atto unilaterale lett.c, L. 218/95); recettizio (la procura), - è esclusa dall’applicazione della Convenzione di Roma del 1980 e del attribuisce volontariamente ad reg. Roma II. un altro il potere di spenderne il nome e di agire per suo conto178. L’art. 60 L. 218/95, nel disciplinare la rappresentanza volontaria, sancisce che, nel caso in cui sia conferita ad un professionista (quindi ad un soggetto che agisce a titolo professionale) con sede d’affari conosciuta o conoscibile dai terzi che negoziano con il rappresentante, “è regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede d’affari”.

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Vi sono, poi, altri tipi di rappresentanza diverse da quella volontaria: come, per esempio, la rappresentanza legale o necessaria, che si ha quando è la legge che impone l’intervento del rappresentante e la sua disciplina è dettata dalla legge regolatrice del rapporto da cui nasce (si pensi alla rappresentanza di minori da parte dei genitori regolata dalla legge nazionale del figlio, richiamata dall’art 36 L. 218/95); la rappresentanza organica, in cui un soggetto agisce in nome e per conto di una società o ente che non ha altro modo per manifestare la propria volontà (ai sensi dell’art. 25 L. 218/95 è regolata dalla lex societatis); la procura alle liti conferita all’avvocato (regolata dalla lex fori ex art. 12 L. 218/95); la rappresentanza indiretta, che si ha quando un soggetto agisce per conto ma non in nome altrui (occorreranno, quindi, ulteriori atti per trasferire gli effetti dell’attività svolta in capo al rappresentato).

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Se, invece, il rappresentante non agisce in veste di professionista o la sua sede d’affari non era conoscibile dal terzo, allora si applica la legge dello Stato in cui il rappresentante esercita in via principale i suoi poteri. Circa la validità sostanziale dell’atto di conferimento dei poteri di rappresentanza (la procura), ispirandosi all’allora vigente art. 9 della Convenzione di Roma, il comma 2 prevede il concorso alternativo della legge regolatrice la sostanza dell’atto (definita al comma 1) e di quella dello Stato in cui l’atto è rilasciato dal rappresentato (lex loci actus)179. La scelta ricadrà sull’uno o l’altro criterio a seconda di quale sia la soluzione più favorevole per il pieno riconoscimento della validità ed efficacia dell’atto (principio di conservazione). Pertanto, chi volesse invocare l’invalidità formale della procura dovrebbe dimostrare che essa non risponde né ai requisiti formali della legge che ne regola la sostanza, né a quelli richiesti dalla legge dello Stato del suo rilascio. Sulle problematiche che può destare il falsus procurator, ovvero colui che agisce senza un atto di conferimento di poteri, si evidenzia che nel caso in cui il suo operato sia oggetto di successiva ratifica, sarà soggetto alla disciplina dell’art. 60; in caso contrario, il falso procuratore sarà responsabile per fatto illecito ex art. 62 L. 218/95. Resta esclusa dal campo di applicazione dell’art. 60 la relazione interna tra rappresentato e rappresentante, disciplinata o dalla legge regolatrice delle obbligazioni contrattuali (art. 57 L. 218/95, che rinvia alla Convenzione di Roma, oggi sostituita dal reg. Roma I) o dalla legge regolatrice del rapporto cui inerisce (nelle ipotesi di rappresentanza legale o necessaria), oppure dalla legge che disciplina la società ed altri enti (art. 25 L. 218/95), in caso di rappresentanza organica. Stessa soluzione è stata ribadita dal reg. Roma I che all’art. 11, co. 1, stabilisce che “Un contratto concluso tra persone che si trovano, o i cui intermediari si trovano, nello stesso paese al momento della conclusione è valido quanto alla forma se soddisfa i requisiti di forma della legge che ne disciplina la sostanza ai sensi del presente regolamento o della legge del paese in cui è concluso”. In questo modo si è voluta assicurare uniformità di disciplina tra il contratto (eventuale) tra rappresentante e rappresentato e l’atto unilaterale con il quale viene conferito il potere di rappresentanza. 179

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Allo stesso modo, non rientra nella disciplina dell’art. 60 la rappresentanza processuale, regolata in tutti i suoi aspetti (inclusa la procura alle liti) dalla legge regolatrice del processo (art. 12 L. 218/95). Rientrando anche la disciplina della rappresentanza volontaria nel Capo XI del Titolo III, fa parte di quelle materie per le quali l’art. 13, co. 2, lett. c, L. 218/95 sancisce l’esclusione del rinvio. È, altresì, esclusa anche dall’applicazione della Convenzione di Roma e dal reg. 864/2007 (Roma II).

14.6.4. Le obbligazioni nascenti dalla legge Ai sensi dell’art. 61 L. 218/95, le cd. obbligazioni nascenti dalla legge, ovvero quei rapporti obbligatori OBBLIGAZIONI NASCENTI sorti non da contratto o fatto illecito DALLA LEGGE bensì da specifici atti giuridici (quali la - art. 61 L. 218/95 gestione di affari altrui, l’arricchimento (obbligazioni derivanti dai “quasi contratti” e senza causa, il pagamento obbligazioni legali in senso dell’indebito) sono sottoposti alla legge stretto); - è escluso il rinvio (art. 13, dello Stato in cui si è verificato il fatto co. 2, lett. c, L. 218/95); da cui deriva l’obbligazione (cd. criterio - in ambito europeo: reg. 864/2007 (Roma II). della localizzazione). Al fine di facilitare l’individuazione di tale luogo, la Relazione ministeriale, successiva all’entrata in vigore della L. 218/95, ha indicato: per la gestione di affari altrui, il luogo in cui il gestore svolge la sua attività; per l’arricchimento senza causa, il luogo in cui l’arricchimento si è verificato; per il pagamento dell’indebito, il luogo in cui quest’ultimo è stato effettuato. Oltre ad indicare le obbligazioni derivanti dai cd. “quasi contratti”, l’art. 61 include anche le obbligazioni legali in senso stretto (dette così perché si configurano come conseguenza necessaria di una relazione giuridica principale), sempre che non siano diversamente regolate (la norma ha, quindi, carattere residuale e di chiusura essendo destinata a disciplinare tutte le obbligazioni ex lege non specificamente regolate). Restano, per esempio, escluse dall’applicazione di tale norma le obbligazioni alimentari, disciplinate dal reg. 4/2009 o quelle

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derivanti dai rapporti tra tutore ed incapace, regolate dalla legge nazionale. Vi rientrano, invece, a titolo esemplificativo, le obbligazioni derivanti dalle operazioni di assistenza, salvataggio e recupero marino effettuate in acque territoriali o l’obbligazione precontrattuale dell’assicuratore di fornire informazioni ai potenziali clienti. Si ricorda che anche le obbligazioni nascenti dalla legge rientrano tra le materie per le quali l’art. 13, co. 2, L. 218/95 esclude l’operatività del rinvio. Le obbligazioni ex lege non sono disciplinate solo dall’art. 61 L. 218/95, ma anche dal reg. 864/2007 (Roma II) nell’ipotesi in cui il fatto da cui deriva l’obbligazione si è verificato in ambito europeo. Il regolamento è applicabile erga omnes, ovvero anche se richiama la legge di uno Stato non aderente. A differenza dell’art. 61, il regolamento prevede un concorso successivo di criteri di collegamento: in particolare, si farà riferimento agli artt. 10, 11 e 12 che disciplinano, rispettivamente, l’obbligazione extracontrattuale derivante da arricchimento senza causa (compresa la ripetizione dell’indebito), la negotiorum gestio, e la culpa in contrahendo. L’art. 10 (Arricchimento senza causa) richiama, in primo luogo, la legge regolatrice della relazione che presenti uno stretto collegamento con la fattispecie (ad esempio, un contratto o un fatto illecito). In via sussidiaria, vengono in rilievo la legge del paese in cui le parti hanno la loro residenza abituale (lex domicilii communis), la legge del luogo in cui l’arricchimento si è prodotto e il collegamento più stretto. È possibile derogare a tale disciplina per effetto della legge scelta dalle parti interessate, ai sensi dell’art. 14. Analogamente, per la negotiorum gestio, l’art. 11 dispone in primo luogo l’operatività della legge che disciplina la relazione esistente tra le parti, che presenti uno stretto collegamento con la gestione di affari altrui.

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In via sussidiaria richiama: la ART. 14 REG. 864/2007 legge del paese in cui le parti Ai sensi dell’art. 14 del reg. 864/2007 hanno la loro residenza abituale “Le parti possono convenire di l'obbligazione (lex domicilii communis), la legge sottoporre extracontrattuale ad una legge di loro del paese in cui si è svolta la scelta: o con un accordo posteriore al verificarsi del fatto che ha determinato gestione d’affari e il collegamento il danno, oppure, se tutte le parti più stretto, a meno che le parti esercitano un'attività commerciale, anche mediante un accordo interessate non abbiano scelto liberamente negoziato prima del verificarsi del fatto che ha determinato una legge differente (art. 14). il danno. Per le obbligazioni La scelta è espressa o risulta in modo extracontrattuali derivanti dalle non equivoco dalle circostanze del caso di specie e non pregiudica i diritti dei trattative precontrattuali, l’art. 12 terzi”. (Culpa in contrahendo) stabilisce l’applicabilità della legge che si applica o che si applicherebbe al contratto, indipendentemente dal fatto che esso venga effettivamente concluso. Nel caso in cui non si riesca ad individuare la disciplina da applicare, si richiama, alternativamente, la legge del paese in cui si verifica il danno (locus damni), la residenza comune delle parti, il collegamento più stretto.

14.6.5. La responsabilità per fatto illecito La responsabilità per fatto illecito è disciplinata sia dall’art. 62 L. 218/95 sia dal reg. 864/2007 (Roma II). L’art. 62 ha, quindi, un’applicazione residuale, perché si applica ai fatti verificatisi prima dell’11 gennaio 2009 (data di applicazione del regolamento) e alle sole ipotesi, successive a tale data, che non rientrano nel campo di applicazione del regolamento (come, ad esempio, gli illeciti che derivano da violazione della vita privata e dei diritti della personalità, compresa la diffamazione).

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Il 1° comma dell’art. 62 L. 218/95 sancisce che “La responsabilità RESPONSABILITÀ PER per fatto illecito è regolata dalla legge FATTO ILLECITO dello Stato in cui si è verificato - art. 62 L. 218/95; , l’evento”. - in ambito europeo: reg. 864/2007 (Roma II); Nella determinazione della legge - responsabilità per danno da applicabile, quindi, si dà rilievo al cd. prodotto: art. 63 L. 218/95 (che si pone in rapporto di criterio dell’evento, privilegiando, specialità rispetto all’art. 62) pertanto, il luogo in cui si è prodotta la e art. 5 reg. 864/2007; - è escluso il rinvio (art. 13, lesione del bene o dell’interesse co. 2, lett. c, L. 218/95). giuridicamente tutelato180. Non è, tuttavia, un criterio inderogabile, giacché, prosegue la norma, “il danneggiato può chiedere l’applicazione della legge dello Stato in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno” (si privilegia in questo caso il criterio della condotta causalmente ricollegata all’evento). Si ritiene che il danneggiato possa esercitare l’electio iuris indipendentemente dal suo ruolo processuale (può, quindi, anche essere Corte di Giustizia dell’UE (sent. n. 509/2011) La Corte di Giustizia dell’UE (sent. n. 509/2011) si convenuto in una è pronunciata in merito ad un’ipotesi di causa di accertamento diffamazione a mezzo internet, proponendo un interessante criterio per individuare il giudice negativo). competente. Nel caso di specie, infatti, poichè era Nel caso in cui vi sia impossibile giungere all’individuazione fisica e territoriale del luogo di produzione del danno, la un unico luogo in cui si Corte ha individuato un diverso criterio di è verificato l’evento collegamento: il foro degli interessi del danneggiato. Ha ritenuto, infatti, che il luogo in cui dannoso, ma una la presunta vittima possedeva il proprio centro di interessi (coincidente con il luogo di residenza pluralità di abituale o con il luogo in cui svolge la sua attività danneggiati, la facoltà lavorativa) fosse quello in cui l’immagine del danneggiato subiva le maggiori conseguenze di scelta potrà essere lesive. esercitata da ciascuno L’abrogato art. 25, co. 2, delle preleggi stabiliva che le obbligazioni derivanti da fatto illecito erano regolate dalla legge del luogo in cui era avvenuto il fatto. Proprio il riferimento al luogo in cui era avvenuto il fatto aveva sollevato il dubbio (data anche la struttura dell’atto illecito, tradizionalmente articolato in: condotta -azione od omissione-, nesso causale ed evento dannoso) se esso fosse da riferire al luogo in cui viene posta in essere la condotta o al luogo in cui si verifica l’evento dannoso (non sempre coincidente col primo). La dottrina maggioritaria riteneva che dovesse farsi riferimento al luogo in cui veniva posta in essere la condotta perché era in quel momento che il soggetto poneva in essere la condotta antidoverosa. Altra parte, invece, dava prevalenza al luogo dell’evento. Altri ancora, infine, non prendevano posizione, sostenendo che il riferimento all’uno o all’altro criterio fosse da decidere caso per caso sulla base delle circostanze concrete. 180

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di essi individualmente. Ne deriva che potrebbe determinarsi un dèpeçage o frazionamento della vicenda, con l’applicazione ad essa di leggi diverse. Se vi sono più atti esecutivi che compongono la condotta che ha causato il danno e che sono compiuti in più Stati, essi avranno il medesimo rilievo e il danneggiato avrà la possibilità di scegliere tra le varie leggi astrattamente applicabili (Mosconi). In caso di comportamento omissivo, il luogo rilevante è quello in cui il soggetto aveva il dovere di agire. Se, invece, danneggiante e danneggiato sono cittadini del medesimo Stato in cui risiedono, allora si applicherà la legge di tale Stato (comma 2). Anche la responsabilità per fatto illecito rientra tra le materie per le quali l’art. 13, co. 2, lett. c, L. 218/95 esclude il rinvio da parte delle norme di d.i.p. dell’ordinamento ritenuto competente. Il reg. 864/2007 disciplina le obbligazioni per fatto illecito nel Capo II. In particolare, l’art. 4 stabilisce che salvo diversa previsione, alle obbligazioni extracontrattuali che derivano da fatto illecito, si applica la legge dello Stato in cui si è verificato il danno o, in mancanza, quella del paese in cui risiedono abitualmente il presunto responsabile e la parte lesa nel momento in cui il danno si verifica, oppure quella del paese con cui il fatto presenta il collegamento più stretto. Tale norma include nel suo raggio di applicazione la responsabilità da prodotti (che la L. 218/95 disciplina all’art. 63), la disciplina della concorrenza sleale (“La legge applicabile all'obbligazione extracontrattuale che deriva da un atto di concorrenza sleale è quella del paese sul cui territorio sono pregiudicati, o rischiano di esserlo, i rapporti di concorrenza o gli interessi collettivi dei consumatori”, art. 6, co. 1), l’attività sindacale (se le parti non risiedono nello stesso paese, si applica la legge del luogo in cui è svolta l’attività sindacale), la violazione dei diritti di proprietà intellettuale. L’art. 7 disciplina la particolare ipotesi del danno ambientale (ovvero il mutamento negativo di una risorsa naturale –acqua, aria, terra- o dell’utilità assicurata da quest’ultima): la parte lesa, al posto della legge del luogo in cui si è verificato il danno (lex loci damni), può scegliere la legge del luogo in cui è stata posta in essere la condotta che ha causato l’evento lesivo. 269


Come anticipato, la L. 218/95 dedica una disciplina apposita alla responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto 181. Se ne occupa l’art. 63 che, dunque, si pone in un rapporto di specialità rispetto all’art. 62. Non rientrano, però, nel dettato della norma né i vizi della cosa venduta (regolati dalla lex contractus e che, comunque, può aggiungersi alla responsabilità per danno da prodotto difettoso), né la capacità di rispondere per fatto illecito, né i criteri di valutazione economica del pregiudizio lamentato. L’art. 63 individua come unico criterio di collegamento quello della scelta del danneggiato. Stabilisce, infatti, la norma che “La responsabilità per danno da prodotto è regolata, a scelta del danneggiato, dalla legge dello Stato in cui si trova il domicilio o l'amministrazione del produttore, oppure da quella dello Stato in cui il prodotto è stato acquistato, a meno che il produttore provi che il prodotto vi è stato immesso in commercio senza il suo consenso”. La norma, proprio perché non individua un criterio di collegamento ulteriore e successivo a quello della volontà del danneggiato, rende impossibile l’individuazione della legge applicabile nell’ipotesi in cui questi non abbia effettuato alcuna scelta. In tal caso il giudice, per poter proseguire il giudizio, dovrà sollecitare il soggetto ad effettuare tale scelta. Tale forma responsabilità ha natura essenzialmente oggettiva, in quanto sorge al verificarsi di un evento causalmente ricollegabile alla circolazione del prodotto e che prescinde da qualunque comportamento, attivo o passivo, del produttore. Anche in tal caso è escluso il rinvio ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett.c, L. 218/95. In ambito europeo, la disposizione dell’art. 63 L. 218/95 può ritenersi sostituita dall’art. 5 del reg. 864/2007. Esso esclude il criterio della volontà e prevede una serie di criteri di L’art. 63, rubricato “Responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto” fa riferimento a tutti quei danni causati da un prodotto messo in commercio in un altro Stato. Per comprendere il dettato della norma è bene specificare che: il “prodotto” comprende anche l’elettricità o gli altri servizi, nonché ogni prodotto naturale che abbia subito trasformazioni industriali (anche solo limitate al confezionamento); il “produttore” è sia il fabbricante del prodotto intero o di una sua parte, sia chi lo confeziona, sia chi lo distribuisce; il “commercio” è l’acquisto presso un punto vendita; l’”acquisto” comprende anche un bene dato solamente in prova o in omaggio. 181

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collegamento successivi: in particolare, al 1° comma stabilisce che “Fatto salvo l'articolo 4, paragrafo 2182, la legge applicabile all'obbligazione extracontrattuale che deriva da danni causati da un prodotto è la legge del paese in cui la persona che ha subito il danno risiedeva abitualmente quando si è verificato il danno, se il prodotto è stato commercializzato in tale paese; o, in mancanza, la legge del paese in cui è stato acquistato il prodotto, se il prodotto è stato commercializzato in tale paese; o, in mancanza, la legge del paese in cui il danno si è verificato, se il prodotto è stato commercializzato in tale paese”. Si applicherà la legge del luogo di residenza abituale del danneggiante se questi dimostra che non poteva prevedere la commercializzazione del prodotto in quel determinato paese (art. 5, par. 2).

L’art. 4, par. 2, del reg. 864/2007 sancisce che “qualora il presunto responsabile e la parte lesa risiedano abitualmente nello stesso paese nel momento in cui il danno si verifica, si applica la legge di tale paese”. 182

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CAPITOLO QUINDICESIMO IL DIRITTO PROCESSUALE CIVILE INTERNAZIONALE Sommario: 15.1. Nozione e funzione del diritto processuale civile internazionale – 15.2. Ambito della giurisdizione italiana – 15.2.1. La ripartizione di giurisdizione nei regolamenti 44/2001 e 1215/2012 – 15.3. L’accordo delle parti e gli altri casi in cui sussiste la giurisdizione italiana – 15.4. La litispendenza internazionale – 15.5. L’immunità dalla giurisdizione italiana

15.1. Nozione e funzione del diritto processuale civile internazionale Per diritto processuale civile internazionale si intende quell’insieme di norme giuridiche di diritto interno volte a regolare lo svolgimento di un processo civile che presenta, per le persone coinvolte o per i fatti o provvedimenti che vengono in rilievo, elementi di estraneità. Invero, quando si parla di diritto processuale internazionale, IL DIRITTO PROCESSUALE CIVILE l’aggettivo “internazionale” è INTERNAZIONALE. RIFERIMENTI NORMATIVI utilizzato proprio per far riferimento a quegli elementi - Titolo II (artt. 3 - 12) L. 218/95; - Titolo IV (artt. 64 – 71) L. 218/95; di estraneità che il giudice - norme che, occupandosi di singoli istituti dovrà esaminare, anche in sostanziali, ne affrontano anche l’aspetto (ad es. artt. 40, 44, 50, L. relazione alla propria processuale 218/95); competenza, e non alla - Convenzione di Bruxelles del 1968; natura o alla fonte delle - reg. 44/2001 (Bruxelles I), sostituito dal reg. 1215/2012 (Bruxelles II); norme, che restano - altre convenzioni internazionali e comunque di diritto interno. regolamenti comunitari che, occupandosi appositi istituti, affrontano anche aspetti Sebbene tra le norme di di di diritto processuale internazionale (ad d.i.p. e quelle di diritto es. reg. 2201/2003). processuale civile internazionale sussista un necessario collegamento operativo, atteso che senza il secondo, le norme di d.i.p. non avrebbero alcuna concretezza pratica, tuttavia, sussiste un’importante

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differenza strutturale e funzionale: le norme di diritto processuale civile internazionale, a differenza di quelle di d.i.p., disciplinano direttamente il rapporto processuale. Le norme di d.i.p., invece, si limitano, attraverso la tecnica del richiamo ad un certo ordinamento, nazionale od estero, ad indicare quale legislazione, tra quelle che in astratto possono venire in rilievo, dovrà disciplinare la fattispecie (a meno che non si tratti di norme di d.i.p. materiale: anch’esse, infatti, come le norme di d.i.p. processuale, stabiliscono direttamente la disciplina applicabile). La L. 218/95 si occupa ampiamente del diritto processuale civile internazionale. Norme in proposito si rinvengono nel Titolo II (artt. 3- 12), ma anche in altre norme che, occupandosi dei singoli istituti sostanziali, ne affrontano anche l’aspetto processuale (ad esempio, art. 40, 44 e 50). Il Titolo IV (artt. 64 – 71) si occupa del riconoscimento delle sentenze straniere, stabilendone condizioni e procedure. Vi sono, poi, anche gli accordi internazionali che si occupano degli aspetti processuali. Si tratta, in particolare, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 che, nell’ambito della Comunità Europea, ha creato un vero e proprio sistema uniforme di diritto processuale internazionale. Alla Convenzione ha fatto seguito il reg. 44/2001 (cd. Bruxelles I) sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (sostituito, da gennaio 2015, dal reg. 1215/2012, cd. Bruxelles I bis). Vi sono anche altre convenzioni internazionali e regolamenti comunitari che, occupandosi di appositi istituti, affrontano anche aspetti di diritto processuale internazionale (ad esempio, il reg. 2201/2003 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale).

15.2. Ambito della giurisdizione italiana Uno dei problemi che il diritto processuale civile internazionale solleva riguarda l’individuazione dei casi in cui, in presenza di elementi di estraneità, sussiste la giurisdizione del giudice italiano.

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Nel previgente sistema di diritto processuale civile internazionale, per determinare o meno la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano nelle controversie con elementi di estraneità, si faceva riferimento alla cittadinanza del convenuto. Pertanto, se il convenuto era cittadino italiano, a prescindere dalla considerazione di altri aspetti della vicenda processuale (localizzazione del bene, luogo di apertura della successione, etc.), si riteneva sussistere, per ciò solo, la giurisdizione del giudice italiano. Tale scelta si fondava sul presupposto che il cittadino, in quanto italiano, doveva essere sempre “protetto”, dai possibili abusi delle giurisdizioni estere, dal giudice del suo paese. Questa concezione di “nazionalismo giurisdizionale” non è stata accolta dal legislatore del 1995 e, in ogni caso, era già stata messa in crisi dall’adesione dell’Italia alla Convenzione di Bruxelles del 1968. Nell’attuale sistema, infatti, la cittadinanza del convenuto non è più criterio generale per l’individuazione della giurisdizione internazionale del giudice italiano, ma, semmai, funge da criterio speciale in alcune materie (ad esempio, per la filiazione, art. 37 L. 218/95, o per l’adozione, art. 40 L. 218/95). Per quanto riguarda i criteri GIURISDIZIONE ITALIANA di collegamento sulla base Criteri di collegamento (art. 3 L. 218/95): dei quali è possibile ritenere - domicilio in Italia del convenuto; sussistente la giurisdizione - residenza in Italia del convenuto; del giudice italiano, l’art. 3 L. - presenza in Italia di un rappresentante 218/95 li individua autorizzato a stare in giudizio. - art. 3, co. 2, L. 218/95 fa riferimento alla alternativamente: nel Convenzione di Bruxelles del 1968 domicilio in Italia del (sostituita dal reg. 44/2001, ora reg. 1215/2012). convenuto183; nella

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La nozione di domicilio, quale titolo per la giurisdizione, va intesa come centro degli interessi economici o familiari di un soggetto. Per le persone giuridiche o le società, invece, il domicilio è determinato dal luogo in cui si trova la sede statutaria o l’amministrazione centrale, oppure il centro dell’attività principale. Esso rappresenta un vero e proprio collegamento della persona all’ordinamento del luogo in cui vive (così anche Cass. n. 25275/2006). Nei paesi di common law, nelle convenzioni e nei regolamenti comunitari, il riferimento al domicilio è utilizzato in luogo della cittadinanza.

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residenza in Italia del convenuto; nella presenza in Italia di un rappresentante autorizzato a stare in giudizio ex art. 77 c.p.c.. La loro operatività, dunque, prescinde dalla cittadinanza, italiana o straniera, del convenuto. L’art. 3, co. 2, fa esplicito riferimento alla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, affermando che, nelle materie di cui la stessa si occupa, la giurisdizione del giudice italiano sussiste nei casi previsti dalle norme della convenzione in tema di giurisdizione. Come già detto sopra, la Convenzione di Bruxelles è stata sostituita, tra gli Stati membri, dal reg. 44/2001 (sostituito a sua volta dal reg. 1215/2012). Pertanto, il richiamo operato dall’art. 3 alla Convenzione, dovrebbe essere inteso come richiamo al regolamento. Non tutti, però,concordano su questa avvenuta sostituzione delle norme convenzionali con quelle del regolamento. C’è chi, infatti, sostiene che la struttura testuale della Convenzione non sia sovrapponibile a quella del regolamento. Pertanto, il regolamento spiegherebbe la sua efficacia soltanto tra gli Stati contraenti, mentre i criteri della Convenzione del 1968 varrebbero comunque come principi fondamentali del nostro sistema di diritto internazionale processuale. Anche perché non può ritenersi che la Convenzione sia stata definitivamente sostituita (e, quindi, implicitamente abrogata) dal sopravvenuto regolamento, continuando ad esplicare la sua efficacia su rapporti riguardanti soggetti non domiciliati in uno degli Stati dell’Unione o che non hanno adottato il predetto regolamento, pur facendo parte dell’Unione, come la Danimarca (Cass civ. S.U. n. 22239/09).

15.2.1. La ripartizione di giurisdizione nei regolamenti 44/2001 e 1215/2012 La ripartizione della giurisdizione tra i giudici degli Stati membri dell’Unione europea deve essere effettuata sulla base delle norme stabilite dai regolamenti comunitari. In particolare, si fa riferimento alla disciplina generale di cui al reg. 44/2001 (Bruxelles I), il quale concerne la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e

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commerciale. Tale disciplina è stata integrata, e in parte modificata, dal reg. 1215/2012 (Bruxelles I bis), applicabile, dal 10 gennaio 2015, alle azioni proposte dopo tale data. La disciplina generale disposta dal reg. 44/2001 esclude espressamente dal suo ambito di applicazione alcune materie, come il settore fiscale, doganale e amministrativo, nonché lo stato e la capacità delle persone fisiche, i regimi matrimoniali, i testamenti, le successioni, i fallimenti, la sicurezza sociale, l’arbitrato. Il reg. 44/2001, all’art. 2, stabilisce, in primo luogo, che la competenza giurisdizionale spetta al giudice dello Stato membro in cui è domiciliato il convenuto, indipendentemente dalla sua cittadinanza. Stessa regola LA GIURISDIZIONE NEI REG. 44/2001 E viene sancita dall’art. 4 del 1215/2012 reg. 1215/2012. - il domicilio del convenuto è il criterio Per l’individuazione del generale di giurisdizione (art. 2 reg. 44/2001 e art 4 reg. 1215/2012); domicilio, il giudice dello - il criterio del domicilio del convenuto non Stato membro in cui pende il si applica nel caso in cui siano previste competenze esclusive (cd. fori esclusivi) procedimento deve in ipotesi tassativamente individuate; applicare la legge nazionale Vi sono anche: (lex fori). Se una parte non è - fori esclusivi per volontà delle parti (art. 23 reg. 44/2001 e art. 25 reg. 1215/2012); domiciliata nello Stato - fori concorrenti (ad es. in materia di membro cui appartiene obbligazioni contrattuali); fori concorrenti ratione materiae (a tutela l’autorità giurisdizionale -della parte debole del rapporto); adita, il giudice, per - foro urgente (art. 31 reg. 44/2001 e art. determinare se essa ha il 35 reg. 1215/2012) domicilio in un altro Stato membro, deve applicare la legge di quest’ultimo Stato. Il criterio generale del domicilio del convenuto non si applica se, per la fattispecie in esame, siano previste competenze esclusive. I regolamenti, infatti, oltre al criterio generale del domicilio del convenuto, prevedono anche criteri che designano fori esclusivi, nonché dei criteri speciali sussidiari (che designano i fori concorrenti) e criteri che stabiliscono fori concorrenti ratione materie, volti alla tutela della parte debole del rapporto contrattuale. In particolare, per quanto riguarda le competenze esclusive, l’art. 22 del reg. 44/2001 e l’art. 24 del reg. 1215/2012 prevedono un elenco tassativo di criteri di giurisdizione che designano fori 277


esclusivi. Per citarne alcuni: in materia di diritti reali immobiliari e di contratti di affitto di immobili, sono competenti i giudici dello Stato membro in cui si trova l’immobile oggetto della controversia; in materia di validità, nullità o scioglimento delle società o persone giuridiche, o circa la validità delle decisioni dei rispettivi organi, sono competenti i giudici dello Stato membro ove ha sede la persona giuridica; in materia di esecuzione delle decisioni, sono competenti i giudici dello Stato membro in cui è richiesta l’esecuzione. Vi sono, inoltre, fori esclusivi per volontà delle parti. L’ art. 23 reg. 44/2001 (come l’art. 25 reg. 1215/2012) consente, infatti, alle stesse di poter scegliere di comune accordo il giudice dello Stato che dovrà conoscere delle loro controversie. Vi sono, poi, i cd. fori concorrenti. In tal caso il convenuto può essere citato avanti al giudice di uno Stato diverso da quello in cui ha il domicilio in caso, ad esempio, di una controversia relativa ad obbligazioni contrattuali (in tal caso è competente il giudice del luogo di esecuzione dell’obbligazione) oppure in caso di controversia relativa ad obblighi alimentari (per cui sarà competente il giudice del luogo di residenza abituale del creditore). Si parla, invece, di fori concorrenti ratione materiae per alcuni tipi di controversie in cui si ritiene di dover accordare una maggiore tutela alla parte debole del rapporto. Così, ad esempio, per le controversie relative a contratti conclusi dai consumatori, l’azione del consumatore può essere proposta innanzi ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliato il convenuto oppure in cui è domiciliato lo stesso consumatore. L’azione contro il consumatore può essere, invece, proposta solo innanzi ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliato il consumatore. Nelle controversie relative ai contratti individuali di lavoro, è competente il giudice del luogo in cui: il datore di lavoro ha il suo domicilio; il lavoratore svolge la sua attività prevalente; il contratto di lavoro è stato concluso (nel caso in cui il lavoratore svolge un’attività non localizzata). Infine, vi è il foro cd. urgente (art. 31 reg. 44/2001 e art. 35 reg. 1215/2012): i provvedimenti provvisori e cautelari possono

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essere richiesti a qualunque giudice, anche se privo di competenza sul merito.

15.3. L’accordo delle parti e gli altri casi in cui sussiste la giurisdizione italiana L’art. 4 L. 218/95, nell’ipotesi in cui non sia possibile stabilire la sussistenza della giurisdizione italiana in base ai criteri generali di cui all’art. 3, prevede dei criteri sussidiari. Ai sensi di tale norma, essa sussiste, comunque, laddove le parti l’abbiano convenzionalmente accettata (al momento dell’instaurazione del processo o precedentemente), e tale accettazione sia provata per iscritto, oppure se il convenuto si sia costituito senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo. L’accettazione può, dunque, Cass. civ n. 2448/06 e Cass. S.U. n. avvenire anche in forma 11559/11 tacita, ragion per cui la forma La mancata proposizione dell’eccezione scritta è richiesta del difetto di giurisdizione in sede cautelare non comporta accettazione esclusivamente ad della giurisdizione nel merito, attesa l’autonomia dei due procedimenti. probationem. L’eccezione, quindi, potrà essere Ai sensi dell’art. 11 L. 218/95 sollevata nel giudizio di merito nel primo (Rilevabilità del difetto di atto difensivo (Cass. civ. n. 2448/2006). Si avrà, comunque, accettazione (tacita) nel giurisdizione), il difetto di caso in cui il convenuto si costituisca in senza sollevare l’eccezione nel giurisdizione può essere giudizio primo atto difensivo (così Cass. S.U. n. rilevato, in qualunque stato e 11559/2011). grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. È, inoltre, rilevato dal giudice d'ufficio, sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se ricorre l'ipotesi di cui all'art. 5 (ovvero nel caso in cui la controversia abbia ad oggetto beni immobili siti all’estero), ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale, recepita nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 10 Cost..

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La giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un ACCORDO DELLE PARTI E ALTRE IPOTESI DI SUSSISTENZA DELLA giudice straniero o di un GIURISDIZIONE ITALIANA NELLA L. arbitrato estero, se la deroga 218/95 è provata per iscritto e la - art. 4: criteri sussidiari (accettazione delle parti o mancata eccezione del causa non verta su diritti che convenuto); sono sottratti alla - la giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata. La deroga disponibilità delle parti (da deve essere provata per iscritto e la qualificare come tali in base causa riguardare diritti disponibili. alla legge italiana). - art. 6: questioni preliminari - art. 8: perpetuatio iurisdictionis; La deroga è inefficace se il - art. 9: giurisdizione volontaria; giudice o gli arbitri incaricati - art. 10: provvedimenti cautelari. declinano la giurisdizione o comunque non possono conoscere della causa (tale cautela mira ad evitare il rischio che la causa non venga decisa da alcuno). Tale ultimo principio è stato ribadito anche dalla Cassazione a Sezioni Unite (n. 9189/2012). Nella sentenza si è, infatti, affermato che la deroga, per essere efficace, deve consentire l’individuazione di un giudice che potrà essere effettivamente investito dalle controversie, sempre che, specifica la Corte, la legislazione dello Stato estero preveda non solo la possibilità di adire un giudice, ma anche che lo stesso assicuri il rispetto dei principi fondamentali posti a tutela del diritto ad un processo giusto ed imparziale. Nel previgente sistema, invece, le parti non avevano, in genere, la possibilità di derogare, alla giurisdizione internazionale del giudice italiano, in favore di giudici o arbitrati stranieri. Era ancora forte, infatti, quella forma di “nazionalismo giurisdizionale” che tendeva a privilegiare la giurisdizione italiana a scapito di quella straniera. Il legislatore del 1995, invece, con un netto cambio di prospettiva in cui ha cercato di porre su un piano di assoluta uguaglianza la giurisdizione nazionale e quella straniera, ha, appunto, previsto all’art. 4 la possibilità di derogare convenzionalmente alla giurisdizione internazionale del giudice italiano, seppure nei limiti sopra precisati e, cioè, a patto che la deroga sia provata per iscritto e che la causa abbia ad oggetto diritti disponibili. La L. 218/95 esclude, quindi, ogni possibilità di deroga alla giurisdizione italiana nelle ipotesi in cui la causa verta su diritti 280


indisponibili. Ad esempio, la Cass. S.U. n. 3568/2011 contra Cass. giurisdizione sullo S.U. n. 21672/2013 scioglimento del matrimonio, Circa la necessaria forma scritta del patto deroga, la Cassazione a Sezioni Unite celebrato in Italia tra cittadini di (n. 3568/2011) ha ritenuto di poter dare italiani ivi residenti, rilievo, quale atto idoneo equipollente alla prova scritta del patto di deroga, al appartiene al giudice italiano comportamento concludente delle parti in base agli artt. 3, co.1, e se, nel settore del commercio internazionale in cui operano i contraenti, 32, L. 218/95, ed anche agli viga un uso che preveda tale artt. 3 e 31 reg. 2201/2003. comportamento come idoneo a far riconoscere la volontà delle parti. Contra Tale giurisdizione non può Cass. S.U. n. 21672/2013 secondo cui 4 esclude ogni possibilità di deroga essere derogata l’art. convenzionale alla giurisdizione italiana convenzionalmente, ai sensi qualora tale deroga non sia provata per iscritto. dell’art. 4 L. 218/95, in favore del giudice straniero, in quanto la causa verte su diritti indisponibili (perché si tratta di scegliere il regime giuridico da attribuire ad uno “status”). Le parti possono accettare la giurisdizione italiana anche successivamente alla proposizione della domanda, ma il momento in cui si determina la sussistenza di tale giurisdizione viene comunque individuato con riferimento allo stato di fatto esistente al tempo della proposizione della domanda stessa. Così, infatti, stabilisce l’art. 8 L. 218/95 il quale richiama espressamente l’art 5 c.p.c. secondo cui, per l’appunto, la giurisdizione e la competenza del giudice si determinano con riferimento allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda (ovvero quando la domanda viene portata a conoscenza dell’altra parte con la notificazione della citazione) non rilevando gli eventuali mutamenti di tale stato di fatto intervenuti successivamente (cd. principio della perpetuatio iurisdictionis); ciò allo scopo di garantire economia e certezza processuale, le quali sarebbero fuor di dubbio compromesse laddove la giurisdizione, anziché cristallizzarsi, potesse mutare continuamente. Così, per esempio, se un cittadino italiano abbia convenuto in giudizio uno spagnolo che, all’atto della citazione in giudizio, era domiciliato in Italia, la giurisdizione del giudice italiano non viene meno nel caso in cui lo straniero abbia mutato domicilio. L’art. 8, inoltre, in ossequio ad un principio di favore per la giurisdizione italiana, prosegue affermando che “la giurisdizione 281


sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo”184. Inoltre, quando sussiste la giurisdizione italiana, il giudice italiano conosce, incidentalmente, anche le questioni che non rientrano nella sua giurisdizione e la cui soluzione è necessaria per decidere sulla domanda proposta (cd. questioni preliminari). In tali casi, infatti, ai fini di economia processuale, si consente un’estensione della giurisdizione italiana. Tuttavia, la pronuncia incidentale sulla questione preliminare non estende la sua efficacia oltre il processo in cui viene adottata e non entra a far parte della cosa giudicata. Si parla di pregiudizialità quando la questione preliminare è oggetto di un giudizio pendente dinanzi ad un giudice straniero. In tal caso, il giudice italiano può sospendere il processo se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetti per l’ordinamento italiano. Approfondimenti Le questioni preliminari Su quale legge debba regolare la questione preliminare sono state elaborate diverse teorie. Quella che ha ricevuto i maggiori consensi è la cd. teoria disgiunta, elaborata da Mosconi, secondo cui la questione preliminare deve essere risolta in base alla norma di conflitto del foro che la contempla. Essa si contrapppone a quella cd. congiunta, secondo cui la questione preliminare è regolata dalla norma di conflitto dell’ordinamento richiamato dalla norma di conflitto del foro che regola la questione principale. Ad esempio, in caso di decisione relativa ad una successione la quale può implicare la decisione preliminare relativa allo status di figlio. In base alla teoria congiunta, il giudice italiano dovrebbe accertare lo stato di figlio dell’erede in base alla legge sulla filiazione richiamata dalla norma di d.i.p. dello Stato di cui il defunto era cittadino. Invece, in base alla teoria disgiunta, il giudice italiano dovrebbe accertare lo status di figlio dell’erede presunto in base alla legge nazionale di quest’ultimo (art. 33 L. 218/95). Altre teorie sono quella cd. legeforista (Ballarino) secondo cui si dovrebbe applicare la legge materiale 184

Significa, quindi, che la giurisdizione italiana sussiste anche nel caso di sopravvenienza (cioè dopo l’instaurazione del processo) dei suoi presupposti (legge vigente e stati di fatto), restando esclusa la sola ipotesi in cui mutino le norme sulla giurisdizione perché in tal caso si applicherebbero i normali principi sulla successione di leggi.

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del foro (quindi, nell’esempio fatto, il giudice italiano dovrebbe accertare lo staus di figlio in base alla legge italiana e successivamente risolvere la questione principale in base alla legge nazionale del defunto) e quella cd. dell’assorbimento, secondo cui alla questione preliminare, invece, si dovrebbbe applicare la stessa legge applicabile alla questione principale.

Per ciò che concerne la giurisdizione volontaria, ovvero quell’attività che il giudice svolge non per comporre una lite, bensì nell’interesse di uno o più soggetti (ad esempio, procedimenti di interdizione, emancipazione, dichiarazione di morte presunta, rilascio di autorizzazioni, etc.), l’art. 9 L. 218/95 afferma la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, oltre che nei casi previsti dai criteri generali di cui all’art. 3, quando “il provvedimento richiesto concerne un cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando esso riguarda situazioni o rapporti ai quali è applicabile la legge italiana”. In tale ambito, il legislatore ha affermato in maniera più ampia la sussistenza della giurisdizione italiana. Ciò è dovuto al fatto che, nella giurisdizione volontaria, tra procedimento giurisdizionale e azione amministrativa sussiste uno stretto collegamento. Pertanto, è certamente più agevole che di essi si occupino organi dello stesso sistema giuridico. In tema di provvedimenti cautelari (sequestri, provvedimenti d’urgenza, etc.), l’art. 10 L. 218/95 sancisce che la giurisdizione del giudice italiano sussiste, oltre che nei casi previsti dai criteri generali di cui all’art. 3, quando il provvedimento debba essere eseguito in Italia. Per quanto riguarda, poi, i titoli speciali di giurisdizione, occorre fare una distinzione. La giurisdizione internazionale in materia di matrimonio e responsabilità dei genitori è disciplinata dal reg. 2201/2003 (vedi supra, Cap. VIII, par. 8.9). Esso afferma la giurisdizione (su questioni inerenti divorzi, separazione dei coniugi e annullamento del matrimonio) dei giudici dello Stato membro di cui i coniugi sono entrambi cittadini o nel cui territorio si trova la residenza abituale dei coniugi, del convenuto, di uno dei coniugi (in caso di domanda disgiunta) o dello stesso attore.

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Al di fuori dell’ambito europeo si applicano i criteri -art. 32 L. 218/95 e reg. 2201/2003: stabiliti dall’art. 32 L. 218/95, matrimonio e responsabilità dei genitori; -art. 40 L. 218/95: adozione; secondo cui la giurisdizione -art. 42 L. 218/95 (richiama la italiana sussiste, oltre che Convenzione dell’Aja del 1961): protezione dei minori ; nei casi previsti dall’art. 3, -art. 50 L. 218/95 e reg. 650/2012: anche quando uno dei successioni; coniugi è -art. 140 bis Cod. cons. e reg. 44/2001: class action cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia. In tema di adozione, l’art. 40 L. 218/95 stabilisce la sussistenza della giurisdizione italiana quando l’adottante (o gli adottanti) o l’adottando sono cittadini italiani o residenti in Italia o quando l’adottando, indipendentemente dalla sua nazionalità o residenza abituale, sia un minore o versi in stato di abbandono in Italia. Sulla protezione dei minori, l’art. 42 L. 218/95 richiama la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, (vedi supra, Cap. XI, par. 11.2 e 11.3). Quest’ultima prevede come criterio generale quello della residenza abituale; viene in rilievo, invece, la cittadinanza laddove si tratti di rapporti d’autorità. Il criterio della localizzazione (giudice e legge dello Stato in cui in quel momento si trova il minore), invece, si utilizzerà in caso di serio pericolo alla persona del minore o ai suoi beni. Infine, riguardo alle successioni, l’art. 50 stabilisce la sussistenza della giurisdizione italiana (vedi supra, Cap. XII, par. 12.3): a) se il defunto era cittadino italiano al momento della morte; b) se la successione si è aperta in Italia; c) se la parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica è situata in Italia; d) se il convenuto è domiciliato o residente in Italia o ha accettato la giurisdizione italiana, salvo che la domanda sia relativa a beni immobili situati all’estero; e) se la domanda concerne beni situati in Italia (anche qualora parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica si trovi situata all’estero). In ambito europeo, il reg. 650/2012 individua, come criterio di giurisdizione, la residenza del defunto al momento del decesso. TITOLI SPECIALI DI GIURISDIZIONE

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Approfondimento giurisprudenziale Il caso Agnelli (Cass. Civ. Sez. Un., 27 ottobre 2008, n. 25875) Con sentenza n. 25875, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, ha stabilito, nell’ambito di una controversia sorta per la successione al patrimonio di Giovanni Agnelli, che la giurisdizione del giudice italiano, ai sensi dell’art. 50 L. 218/95, non è esclusa dalla richiesta attorea di accertare la nullità o l’inefficacia degli accordi transattivi intercorsi tra i coeredi in territorio svizzero. Una tale richiesta, invero, non è in grado di alterare la natura ereditaria della causa in esame. Pertanto, si legge in sentenza, "essendosi la successione del senatore Giovanni Agnelli apertasi in Italia, sarà il giudice di questo Paese l'autorità competente a conoscere della controversia di merito". La causa era stata intentata, dinanzi al Tribunale di Torino, da Margherita Agnelli per l'eredità del padre Gianni. La stessa chiedeva di accertare la nullità o l’inefficacia degli accordi transattivi intercorsi tra i coeredi in territorio svizzero nonché la contestuale condanna al risarcimento dei danni eventualmente provocati dalla violazione degli obblighi dei gestori nei confronti di Grande Stevens, Gabetti e Maron, ovvero dei professionisti che si erano occupati di gestire il patrimonio di Gianni Agnelli. Marella Caracciolo, vedova dell'Agnelli, ed il commercialista Siegfried Maron avevano, però, sollevato difetto di giurisdizione del giudice italiano. Essi ritenevano, infatti, sussistente la competenza del tribunale svizzero in conseguenza della domanda, definita «pregiudiziale» dalla stessa attrice, avente ad oggetto la declaratoria di nullità, annullabilità, inefficacia degli accordi intercorsi inter partes in Svizzera in epoca posteriore all'apertura della successione di Giovanni Agnelli. Tale eccezione, secondo i convenuti, trovava giuridico fondamento nelle circostanze secondo cui: a) entrambe le eredi (la Agnelli e la Caracciolo) erano residenti in Svizzera, onde doveva, nella specie, ritenersi non applicabile il riferimento all'art. 3, comma primo, della legge n. 218/1995 al fine di radicare la giurisdizione del giudice italiano; b) ai sensi dell'art. 2 della Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988 (ratificata in Italia con legge n. 198/1992), le persone aventi domicilio nel territorio di uno Stato contraente dovevano essere convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti agli organi giurisdizionali di tale Stato. Tale eccezione aveva determinato la sospensione del processo. Le Sezioni Unite civili della Suprema Corte, investite della questione, rigettavano l’eccezione e stabilivano la prosecuzione del processo dinanzi al Tribunale di Torino. Si legge in sentenza che "Al di là e a prescindere da qualsiasi questione in ordine all'esistenza, validità, efficacia dell'accordo transattivo stipulato tra le due coeredi del senatore Giovanni Agnelli in epoca successiva alla sua morte, l'identificazione del giudice competente a conoscere della presente controversia deve essere compiuta con riferimento

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al contenuto dell'atto di citazione". L’analisi di quest’ultimo, invero, "conduce all'irrefutabile conclusione secondo cui domanda principale è senz'altro a dirsi quella avente ad oggetto la 'petitio hereditatis' formulata dall'attrice, nonché quella, ad essa conseguente, di scioglimento della comunione ereditaria". La natura ereditaria della controversia "non può subire alcuna mutazione, né genetica né funzionale, per il solo fatto che l'attore ne chieda un accertamento pregiudiziale a sé favorevole". Nella specie va applicato, quindi, l'articolo della Convenzione di Lugano, secondo cui, ricorda la Cassazione, "le cause ereditarie sono escluse dalla relativa sfera di applicazione" rientrando invece "nella previsione dell'articolo 50 della legge 218/1995: essendosi la successione del senatore Giovanni Agnelli apertasi in Italia, sarà il giudice di questo paese l'autorità' competente a conoscere della controversia in merito".

Da ultimo, può essere menzionata anche una particolare forma di azione risarcitoria, la cd. class action. Si tratta di uno strumento processuale che consente ad una pluralità di soggetti che intendano far valere il diritto (siano essi consumatori o utenti di un certo servizio) di adire l’autorità giudiziaria con un’unica azione i cui esiti si riflettano su tutta la categoria. Essa è prevista all’art. 140 bis del Codice del Consumo (introdotto con D. Lgs. n. 206/2005). Tale norma, pensata esclusivamente per operare in ambito nazionale, non ha preso in considerazione la possibilità che, in tema di giurisdizione, si vengano a creare delle possibili interferenze con le regole stabilite in ambito comunitario (si pensi al reg. 44/2001, Bruxelles I, sostituito dal reg. 1215/2012, Bruxelles I bis; al reg. 593/2008, Roma I; al reg. 864/2007, Roma II). Nel sistema italiano, la legittimazione all’azione è riconosciuta al “consumatore”, intendendo per tale anche le associazioni o comitati di consumatori. Tale possibilità, invece, non è contemplata dal reg. 44/2001 (e dal corrispondente reg. 1215/2012), il quale individua la nozione di consumatore nella sola persona fisica. Ne deriva che un problema di interferenza tra la disciplina nazionale e quella internazional-privatistica possa emergere laddove l’azione di classe, fondata su un rapporto contrattuale, venisse proposta direttamente da un singolo consumatore e fosse aperta all’adesione degli altri componenti, ovvero associazioni e comitati di consumatori. In tal caso, infatti, se la

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vicenda presentasse profili di internazionalità (perché, ad esempio, la sede dell’impresa si trova in un altro paese europeo) si solleverebbe un problema di interferenza tra l’art. 140 bis Cod. del consumo (il quale per "consumatore" intende non solo la singola persona fisica ma anche associazioni e comitati) e le norme del regolamento sulla competenza in materia di contratti conclusi da consumatori (le quali individuano la nozione di consumatore nella sola persona fisica). Ovviamente sono molteplici i casi in cui un tale contrasto di discipline potrebbe verificarsi. Si ritiene, allora, che l’eventuale conflitto debba risolversi a favore delle disposizioni comunitarie. Ciò, sia per la maggiore forza normativa accordata ai regolamenti, i quali hanno efficacia diretta nel territorio degli Stati membri e sono posti, nella gerarchia delle fonti, al di sopra delle leggi ordinarie nazionali, sia perché le disposizioni regolamentari sono considerate speciali, rispetto a quelle interne, perché le fattispecie in esse disciplinate presentano l’ulteriore requisito specializzante della transnazionalità.

15.4. La litispendenza internazionale Si parla di litispendenza Cass. S.U. n. 21108/2012 internazionale quando identità non andrebbe intesa in senso una medesima lite, cioè Tale formale bensì sostanziale, con riguardo, cioè, una controversia che all’identità dei risultati che si perseguono con le azioni proposte. Si parla, infatti, di identità di presenta identità di parti, risultati pratici perseguiti dalle domande, a di oggetto (petitum) e di prescindere dall’identità del loro petitum immediato e dal titolo specifico che esse fanno titolo (causa petendi), valere. L’art. 7 L. 218/95, interpretato alla luce pende dinanzi a due dell’art. 64 lett. e), L. 218/95, mira ad evitare inutili duplicazioni di attività giudiziaria e ad giudici di Stati diversi. eliminare il rischio di conflitto tra giudicati, che sarebbero frustrati ove il giudizio La litispendenza può “obiettivi nazionale e quello straniero potessero essere: nazionale (ai determinare risultati pratici fra loro sensi dell’art. 39 c.p.c., incompatibili”. per il criterio della cd. prevenzione, il giudice successivamente adito anche d’ufficio, in qualunque stato o grado dichiara con ordinanza la litispendenza e per l’effetto dispone la cancellazione

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della causa dal ruolo); comunitaria (il reg. 44/2001 ne consente la rilevabilità d’ufficio); internazionale (se ne occupa l’art. 7 L. 218/95 che ha valenza residuale perché si applica solo nei rapporti tra Stati non membri o, nei rapporti tra Stati membri, ma nelle materie non oggetto dei regolamenti comunitari). L’art. 7 L. 218/95, espressione del principio di equivalenza tra il sistema italiano e quello straniero per la risoluzione delle controversie185, stabilisce che, quando nel corso del giudizio dinanzi al giudice italiano, venga eccepita186 la previa pendenza, tra le stesse parti, di una causa, avente il medesimo oggetto ed il medesimo titolo, dinanzi ad un giudice straniero, il giudice italiano, qualora ritenga che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l’ordinamento italiano, sospende il giudizio. La ratio dell’istituto è quella di evitare il conflitto tra giudicati al fine di agevolare il traffico internazionale. La sospensione del processo italiano viene disposta, generalmente, in considerazione del fatto che dal giudizio straniero possa derivare una decisione suscettibile di ottenere riconoscimento ed efficacia in Italia, ricorrendone i presupposti di cui all’art. 64 e 65 L. 218/95. Si dice, infatti, che il giudice, in tale ipotesi, viene chiamato ad effettuare un controllo anticipato sulla riconoscibilità della futura sentenza. Su istanza di parte, il processo nazionale sospeso può essere riassunto nel caso in cui il giudice straniero abbia declinato la giurisdizione, oppure se il processo, per qualsiasi ragione, si sia estinto prima della sua conclusione, oppure se il provvedimento

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Prima della legge del 1995, invece, in virtù del primato riconosciuto alla giurisdizione italiana (cd. concezione nazionalistica) si sanciva l’irrilevanza della pendenza di liti straniere identiche o connesse a quelle sottoposte alla cognizione del giudice italiano. Ciò a scapito delle esigenze di economia processuale e uniformità delle decisioni. 186 Secondo l’art. 7 L. 218/95 la litispendenza internazionale deve essere eccepita da una delle parti. La Cassazione, a Sezioni Unite, (n. 21108/12) ha stabilito che la stessa possa anche essere dichiarata d’ufficio, in quanto la ratio della norma è quella di garantire l’economia dei giudizi ed evitare i conflitti tra giudicati. Esigenze che verrebbero frustrate laddove l’intervento sospensivo del giudice fosse subordinato all’eccezione di parte. In tal modo, quindi, il giudice potrà dichiarare d’ufficio la litispendenza, quando, “pur in assenza di una formale eccezione, l’esistenza dei relativi presupposti emerga dagli elementi offerti dalle parti”.

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straniero non possa essere LITISPENDENZA INTERNAZIONALE riconosciuto - art. 7 L. 218/95; nell’ordinamento italiano. - Convenzione di Bruxelles del 1968; In tal caso, quindi, il giudizio - litispendenza internazionale per connessione (art. 28 reg. 44/2001 e art. italiano prosegue, previa 30 reg. 1215/2012); riassunzione, come già - art. 31 reg. 1215/2012: il criterio della detto, ad istanza della parte priorità temporale non trova applicazione nell’ipotesi in cui vi sia stato un valido interessata. accordo tra le parti. Laddove, invece, sia stata accertata la competenza del giudice straniero o si tratti di procedere al riconoscimento del provvedimento reso all’estero, il giudice italiano definirà il giudizio, dichiarando la propria incompetenza. L’art. 7, al comma 2, sancisce, inoltre, che “la pendenza della causa innanzi al giudice straniero si determina secondo la legge dello Stato in cui il processo si svolge”. Ci si rifà, in questo modo, alla regola dell’art. 12 L. 218/95 secondo cui ogni processo è regolato dalla lex fori; pertanto, applicando la legge italiana, la previa pendenza in Italia di un giudizio viene determinata in base alla data della notificazione della citazione. Della litispendenza internazionale si è occupata anche la Convenzione di Bruxelles del 1968 che, oltre a regolare i meccanismi e gli effetti del riconoscimento dell’efficacia delle sentenze straniere, in materia civile e commerciale, si è occupata anche del riparto della giurisdizione internazionale (essa, si ricorda, è stata poi sostituita dal reg. 44/2001). L’art. 21, infatti, stabilisce L'identità delle parti, dell'oggetto e del che “Qualora davanti a titolo giudici di Stati contraenti L’identità delle parti va intesa indipendentemente dalla posizione differenti e tra le stesse parti processuale assunta dall’una o dall’altra siano state proposte nei due procedimenti, in quanto l’attore nel primo procedimento può essere convenuto domande aventi il medesimo nel secondo (Corte di Giustizia, 6 dicembre oggetto e il medesimo titolo, 1994, C-406/92). Quanto all’identità di oggetto e titolo, essa deve essere desunta il giudice successivamente esclusivamente dalle domande introduttive adito sospende d'ufficio il dei due procedimenti, non rilevando a tal fine i mezzi di difesa fatti valere dai procedimento finché sia convenuti (Corte di Giustizia, 8 maggio stata accertata la 2003, C-111/01). competenza del giudice preventivamente adito. Se la 289


competenza del giudice preventivamente adito è stata accertata, il giudice successivamente adito dichiara la propria incompetenza a favore del giudice preventivamente adito”. La Convenzione, quindi, ammette che la sospensione del procedimento per litispendenza internazionale venga attivata d’ufficio e non su eccezione di parte. Anche in ambito europeo l’intervento del legislatore ha avuto notevole incidenza. Si pensi al reg. 44/2001 sulle decisioni in materia civile e commerciale oppure al reg. 2201/2003 sulle decisioni in materia matrimoniale e di potestà genitoriale. In particolare, il reg. 44/2001 (ora reg. 1215/2012), sulle decisioni in materia civile e commerciale, ha ribadito la rilevanza della litispendenza internazionale tra procedimenti soggettivamente ed oggettivamente identici, prevedendo la sospensione d’ufficio del procedimento pendente davanti al giudice adito successivamente. L’art. 28 (art. 30 nel reg. 1215/2012) ha, inoltre, introdotto l’ipotesi della litispendenza internazionale per connessione; invero, prevede che, solo su richiesta di parte ed in presenza di determinate condizioni, il giudice adito successivamente possa dichiarare la propria incompetenza in favore del giudice straniero anche quando il procedimento pendente dinanzi a quest’ultimo non sia identico a quello a lui sottoposto, ma solo connesso187. Si segnala, inoltre, sempre in tema di litispendenza, quanto sancito dall’art. 31 reg. 1215/2012. Si legge, infatti, che il criterio della priorità temporale non trova applicazione nell’ipotesi in cui vi sia stato un valido accordo tra le parti. In tal caso, qualunque autorità giurisdizionale di un altro Stato membro deve sospendere il procedimento fino a quando l’autorità giurisdizionale adita, sulla base dell’accordo, non si sia pronunciata sulla propria competenza.

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Si considerano connesse le cause aventi tra di loro un collegamento così stretto da rendere opportuna un’unica trattazione e decisione per evitare il rischio, derivante da una trattazione separata, di giungere a decisioni incompatibili (art. 30, co. 3, reg. 1215/2012).

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15.5. L’immunità dalla giurisdizione italiana Vi sono casi in cui, indipendentemente dalla sussistenza dei titoli di giurisdizione di cui all’art. 3 L. 218/95, la giurisdizione dei giudici italiani viene meno. In primis, sono immuni dalla giurisdizione italiana gli Stati stranieri. La ragione della loro esenzione dalla giurisdizione è riconducibile alla massima par in parem non habet iurisdictionem (“non si ha giurisdizione tra eguali”) che esprime il principio della sovrana uguaglianza degli Stati (art. 2 Carta delle Nazioni Unite). Si tratta di un principio consuetudinario del diritto internazionale in base al quale l'ordinamento giuridico italiano è tenuto a riconoscere l'immunità IMMUNITÀ DALLA GIURISDIZIONE giurisdizionale degli Stati ITALIANA stranieri, in ragione della loro Sono immuni dalla giurisdizione italiana: - gli Stati stranieri; natura di Stati sovrani. La regola dell’immunità, che - le organizzazioni internazionali; ha natura essenzialmente - gli agenti diplomatici. procedurale, non è tuttavia Si parla di difetto assoluto di giurisdizione quando il giudice italiano non ha alcuna assoluta (come, invece, competenza a conoscere determinate avveniva in passato). controversie. Riguarda, infatti, i cd. acta iure imperii, ossia gli atti dello Stato straniero posti in essere nell’esercizio del proprio potere sovrano. Non riguarda, invece, gli acta iure gestionis, ovvero quegli atti posti in essere nello svolgimento di funzioni privatistiche188 (sebbene con qualche eccezione come per gli agenti diplomatici). Non sempre, però, è agevole una tale distinzione. Ad esempio, la materia dei rapporti di lavoro mal si presta a soluzioni basate sulla rigida distinzione tra acta iure imperii e acta iure gestionis. Al riguardo, la giurisprudenza italiana sembra aver adottato come criterio dirimente non tanto la natura delle funzioni svolte

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Anche la Suprema Corte, infatti, ha ormai da tempo, abbandonato la tesi dell’immunità assoluta, per accogliere quella dell’immunità relativa. Quest’ultima, sulla base del diritto internazionale consuetudinario, fa sì che l’esenzione degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile sia limitata agli atti iure imperii, senza estendersi agli atti iure gestionis o iure privatorum.

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dal lavoratore189, bensì l’incidenza che la decisione richiesta avrebbe sui poteri sovrani dello Stato estero, giungendo a ritenere sussistente la giurisdizione italiana in merito a richieste solo patrimoniali del lavoratore. Altresì, la più recente giurisprudenza italiana ha ritenuto che l’immunità non possa essere invocata rispetto ad azioni promosse contro uno Stato cui siano addebitabili gravi violazioni del diritto internazionale a tutela dei diritti umani ovvero violazioni del diritto internazionale dei conflitti armati190. In tal caso, infatti, il principio dell’immunità deve cedere il passo dinanzi alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. In diverse pronunce, la Suprema Corte ha ravvisato un contrasto tra il principio dell’immunità e il divieto di compiere crimini di guerra ed ha escluso l’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri nell’ipotesi in cui gli stessi venivano chiamati a rispondere di crimini internazionali.

La Convenzione di New York del 2004 sull’immunità giurisdizionale degli Stati e dei loro beni, prevede, infatti, nei rapporti di lavoro, l’immunità (anche) in tutte le ipotesi in cui il lavoratore svolga “particolari funzioni nell’esercizio del potere di governo” (recuperando, così, la distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis). L’Italia vi ha aderito con la L. 5/2013. 190 Si pensi, ad esempio, alle pronunce della Cassazione nei casi Ferrini (Cass. S.U. n. 5044/2004) e Milde (Cass. n. 1072/2009). Si trattava di richieste avanzate contro la Germania da cittadini italiani che, tra il 1943 e il 1945, avevano subito violenze in Italia e/o erano stati deportati in Germania dalle truppe naziste per essere sottoposti ad un regime di lavoro forzato. Nella sentenza Ferrini si legge che l’immunità dalla giurisdizione civile non opera “in presenza di comportamenti dello Stato straniero di tale gravità da configurare, in forza di norme consuetudinarie di diritto internazionale, crimini internazionali, in quanto lesivi, appunto, di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali”. Avverso tali decisioni, la Germania ha presentato ricorso alla Corte internazionale che ha rigettato la tesi italiana secondo cui lo Stato non ha diritto all’immunità dalle giurisdizioni straniere se responsabile di violazioni di norme imperative di diritto internazionale (Corte Internazionale di Giustizia, Jurisdictional Immunities of the State, Germany v. Italy, sent. 3 febbraio 2012). L’Italia è stata “bacchettata” per avere, secondo la Corte, commesso un errore di tipo metodologico, ovvero quello di non avere colto la natura procedurale e preliminare della questione sull’immunità senza, quindi, distinguerla dalla questione, di merito, della liceità dell’atto e della natura e gravità dell’illecito stesso. Significa, cioè, che, se in via preliminare si ritiene sussistente l’immunità, allora non si può e non si deve entrare nel merito del giudizio. In altri termini, non è possibile valutare la sussistenza o meno dei crimini di guerra. 189

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Desta interesse il caso relativo ai bond argentini in cui viene in rilievo l’immunità dalla giurisdizione italiana dello Stato argentino. Quest’ultimo, invero, aveva disposto la sospensione dei pagamenti relativi ai titoli del proprio debito pubblico (cd. tango bons), suscitando la reazione di molti investitori italiani, i quali si erano, di conseguenza, rivolti ai giudici nazionali chiedendo la concessione di provvedimenti cautelari sui beni dell’Argentina presenti in Italia, a garanzia del pagamento dei titoli obbligazionari. Inizialmente, il Tribunale di Roma, riconoscendo natura privatistica all’emissione di detti titoli, ha ritenuto sussistente la giurisdizione italiana (Trib. Roma, ord. 22 luglio 2002). Successivamente, invece, è stata riconosciuta l’immunità della Repubblica Argentina dalla giurisdizione italiana. È stato ritenuto, infatti, che l’emissione e il collocamento sul mercato internazionale dei titoli obbligazionari costituiscono attività di diritto privato, ma la sospensione dei relativi pagamenti è stata disposta con atti che rappresentano esercizio del potere sovrano dello Stato argentino in un “contesto storico di grave emergenza nazionale” (Trib. Milano ord. 11 marzo 2003, ma anche Trib Roma 8 novembre 2004). Quanto alle organizzazioni internazionali (ONU, FAO, NATO), l’esenzione dalla giurisdizione italiana di cui esse godono è determinata dagli appositi accordi in materia, entrati a far parte del nostro ordinamento in conseguenza dei relativi ordini di esecuzione. Come per gli Stati membri, anche per le organizzazioni internazionali il problema dell’immunità si pone in genere in tema di rapporti di lavoro. In diverse pronunce è stato dichiarato il difetto di giurisdizione dei nostri giudici in controversie tra organizzazioni internazionali e i loro dipendenti o ex dipendenti, basando la decisione sulla natura non imprenditoriale dell’ente-datore di lavoro e sulle finalità tipiche di esso (Cass. S.U., n. 174/96). In realtà, si è diffusa la prassi di riconoscere l’immunità ogniqualvolta l’organizzazione sia dotata di un organo, di carattere giurisdizionale, deputato a risolvere le controversie di lavoro (come, ad esempio, il Tribunale amministrativo delle Nazioni Unite o il Tribunale dell’Unione europea). In assenza di tale organo, invece, l’immunità sarebbe esclusa. 293


Infine, per gli agenti diplomatici, in relazione agli L’immunità è stata, ad esempio, atti compiuti nell’esercizio riconosciuta all’Istituto universitario europeo di Firenze per la presenza di delle loro funzioni, essi non un’apposita Commissione e per la rispondono personalmente, possibilità di successivo intervento della trattandosi di atti imputabili Corte di Giustizia. allo Stato al quale appartengono. Si rientra, quindi, nell’ipotesi di immunità degli Stati stranieri, nei casi e nei limiti già sopra esposti. Anche per gli atti compiuti al di fuori di tale ambito, in realtà, per consuetudine internazionale191, gli agenti diplomatici sono immuni dalla giurisdizione dello Stato presso il quale sono accreditati (e per tutta la durata dell’accreditamento). Tale regola è ispirata all’opportunità di permettere all’agente diplomatico di svolgere liberamente la propria funzione (in base al principio ne impediatur legatio, volto a garantire il libero esercizio delle funzioni). Si parla, invece, di difetto assoluto di giurisdizione quando il giudice italiano non ha alcuna competenza a conoscere determinate controversie. Esso sussiste: nell’ipotesi di cui all’art. 4, comma 2, L. 218/95 se è stata validamente ed efficacemente derogata dalle parti; in quella di cui all’art. 5 L. 218/95 nel caso si tratti di controversie per immobili siti all’estero; nei casi previsti dalle norme internazionali. Cass. S.U. n. 20995/2005

Poiché l’art. 10, co. 1, Cost. prescrive che l’ordinamento giuridico italiano si conformi alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, la norma internazionale consuetudinaria viene automaticamente immessa nel nostro ordinamento. 191

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CAPITOLO SEDICESIMO LA DISCIPLINA PROCESSUALE Sommario: 16.1. La disciplina processuale. Generalità – 16.2. Le notifiche – 16.3. I mezzi di prova

16.1. La disciplina processuale. Generalità Il processo, anche laddove siano presenti elementi di estraneità o di collegamento con altri ordinamenti, resta generalmente disciplinato dalla lex fori, ovvero dalla legge dello Stato nel quale si svolge (cd. principio di territorialità del diritto processuale). L’art. 12 L. 218/95 conferma proprio tale principio, sancendo che “il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana”, a prescindere dalle norme sostanziali che vengono applicate. Lo stesso vale per i cd. presupposti processuali, ovvero quelle condizioni che devono sussistere affinché il giudice possa decidere nel merito la causa, relative a giurisdizione, competenza, capacità processuale192, assenza di impedimenti specifici, etc.. L’applicazione della lex fori impedisce, inoltre, allo straniero di esercitare azioni volte ad ottenere provvedimenti diversi da quelli tipici nel nostro ordinamento processuale, anche se richiesti per la tutela di diritti sostanziali diversi da quelli riconosciuti dal nostro sistema giuridico e richiamati dalle norme di d.i.p..

16.2. Le notifiche La notifica è quello strumento attraverso il quale una parte del processo viene materialmente informata dell’esistenza di un atto Essa deve essere riconosciuta, ai sensi dell’art. 24 Cost., a tutti i soggetti (persone fisiche o giuridiche, nazionali o straniere) dotati di capacità giuridica e di agire. Quando la parte è straniera, la sua capacità giuridica e di agire deve essere valutata, ex art. 23 L. 218/95, sulla base della legge nazionale della parte. 192

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che la riguarda e verso cui ha interesse. Nell’ambito del diritto processuale civile internazionale si parla di notifica internazionale, in quanto essa può essere indirizzata in uno Stato diverso da quello in cui si sta svolgendo il processo193. Tale notifica è regolata dalla lex LA NOTIFICA INTERNAZIONALE loci executionis (espressione del - è regolata dalla lex loci più generale criterio della lex executionis; - si articola in tre fasi (impulso; fori), la quale deve essere intesa trasmissione dell’atto; consegna); non come legge del luogo di - per le notifiche di atti di autorità straniere: art. 71 L. 218/95; svolgimento del processo - per le notifiche all’estero di atti (perché esso si svolge altrove) delle autorità italiane: convenzioni bensì come legge del luogo in cui internazionali (ad es. Convenzione Aja del 1965) e reg. 1393/2007 (in deve essere compiuta la notifica. ambito europeo). Se non possono applicarsi le disposizioni delle La notifica internazionale si convenzioni o quelle del articola in tre fasi: l’impulso (o regolamento, si applicherà l’art. 142 c.p.c.. richiesta), che avviene interamente nello Stato in cui è in corso il processo (Stato a quo o forum iudicii) ed è rivolto alla competente autorità (ad esempio, l’ufficiale giudiziario); la trasmissione dell’atto da notificare che coinvolge sia lo Stato a quo (Stato da cui proviene l’impulso) sia lo Stato ad quem (cioè lo Stato in cui risiede la persona fisica o giuridica cui l’atto deve essere notificato); la consegna dell’atto, che si realizza interamente nello Stato ad quem. Per quanto riguarda le notifiche di atti di autorità straniere, l’art. 71, comma 1, L. 218/95 stabilisce che la notifica di citazioni a comparire davanti alle autorità straniere o di atti provenienti da uno Stato estero deve essere autorizzata dal Pubblico ministero presso il Tribunale nella cui circoscrizione la notifica deve essere eseguita. Oltre all’ipotesi (ordinaria o comunque, più frequente) in cui sia la parte interessata a richiedere la notifica all’autorità competente, il 2° comma dell’art. 71 prevede la possibilità che la richiesta venga presentata in via diplomatica. In tal caso la notificazione è eseguita dall’ufficiale giudiziario su richiesta del Pubblico ministero. 193

Si pensi, ad esempio, alla notifica ad una società di capitali con sede in Francia di un atto di citazione a giudizio davanti al giudice italiano.

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La notifica avviene secondo le modalità previste dalla legge italiana. Può, tuttavia, accadere che la notifica, per quanto sia regolare secondo la legge italiana, non lo sia, invece, per lo Stato in cui dovrà essere fatta valere (perché, ad esempio, priva di alcuni requisiti essenziali). A tal proposito, l’art. 71, al 3° comma, consente di effettuare la notifica richiesta per un processo che si svolge all’estero osservando le modalità proprie del paese straniero sempre che, però, tali modalità non siano incompatibili con i principi dell’ordinamento italiano. I termini della notifica, in quanto di natura processuale, sono regolati dalla lex fori, mentre la data di avvenuta notifica è fissata dalla lex loci executionis. Le notifiche dall’Italia all’estero sono eseguite secondo le modalità previste dalle numerose Convenzioni internazionali alle quali il nostro Stato ha aderito, come, ad esempio, la Convenzione dell’Aja del 15 novembre 1965. In ambito europeo, può segnalarsi il reg. 1348/2000 sulla notificazione e comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale, poi sostituito dal reg. 1393/2007, in vigore dal 13 novembre 2008, volto a garantire rapidità ed efficacia per la notificazione e comunicazione di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale, con esclusione di ogni atto relativo a materia fiscale, doganale, amministrativa nonché in materia di responsabilità dello Stato per atti od omissioni compiuti nell’esercizio dei pubblici poteri (acta iure imperii). Esso prevede l’utilizzo di sette moduli standard compilabili on line accedendo al sito Atlante Giudiziario Europeo in materia civile (nella sezione dedicata alla notificazione e comunicazione di atti). Inoltre, prevede cinque modalità di notificazione (una principale, o normale, e quattro speciali o sussidiarie). Tra le stesse non vi è un rapporto gerarchico, quindi la scelta è rimessa alla piena libertà dell’istante che potrà scegliere quella ritenuta più opportuna per il singolo caso. La modalità normale consta di quattro fasi: la trasmissione dell’atto tra gli organi mittenti e riceventi degli Stati interessati (in tal caso vi è l’obbligo di trasmettere l’atto insieme ad un modello standard da compilarsi in lingua ufficiale o in una delle lingue 297


ufficiali del luogo in cui avviene la trasmissione o in un’altra lingua ammessa dallo Stato richiesto); la ricezione da parte dell’organo ricevente; la notificazione o comunicazione dell’atto (deve avvenire entro un mese dalla data in cui la domanda perviene all’organo emittente, salva la possibilità di giustificare il ritardo); la certificazione dell’avvenuta notificazione o comunicazione. L’organo ricevente ha l’obbligo di informare per iscritto, con apposito modulo standard, il destinatario dell’atto del suo diritto di rifiutare di ricevere l’atto da notificare o da comunicare nel caso in cui non sia redatto in una lingua compresa dal destinatario o in lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali del luogo di notificazione e comunicazione. Il rifiuto può essere esercitato contestualmente o entro una settimana dalla consegna. La cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione Europea si attua mediante la designazione di un’autorità centrale, con funzioni di ausilio ed, eccezionalmente, di trasmissione degli atti, e con la nomina di organi mittenti e riceventi, incaricati, rispettivamente, di trasmettere e di ricevere gli atti da notificare o comunicare. Per il nostro Paese, gli organi mittenti sono individuati negli Uffici Unici degli Ufficiali giudiziari costituiti presso le Corti d’Appello, i Tribunali Ordinari che non siano sede di Corte d’Appello e presso le relative sezioni distaccate. L’Autorità centrale, invece, è stata designata nell’Ufficio Unico degli Ufficiali Giudiziari presso la Corte d’Appello di Roma. Le modalità sussidiarie di notificazione, invece, consistono: nella trasmissione dell’atto da notificare o comunicare all’organismo ricevente o all’autorità di un altro Stato membro per via consolare o diplomatica indiretta o diretta; nella notificazione o comunicazione a mezzo del servizio postale; nella notificazione o comunicazione mediante domanda diretta. La notifica per via consolare indiretta è ammessa solo in casi eccezionali e coinvolge il richiedente, l’autorità consolare o diplomatica dello Stato membro in cui la notifica o la comunicazione deve essere fatta valere, l’organo pubblico o l’Autorità centrale dello Stato in cui deve essere effettuata ed il destinatario. La notifica per via consolare diretta coinvolge il richiedente, l’autorità consolare o diplomatica dello Stato membro in cui la

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notifica o la comunicazione deve essere fatta valere ed il destinatario. La notifica mediante domanda diretta consente alle persone interessate di richiedere direttamente agli organi competenti (ufficiali giudiziari, funzionari o altri soggetti competenti) di effettuare la notifica senza richiedere l’intervento dell’organo mittente. Nelle ipotesi in cui non sia Cass. S.U. n. 14570/2007 possibile eseguire le notifiche in 142 c.p.c., in tema di uno dei modi previsti dalle “L’art. notificazione a persona non Convenzioni internazionali o non residente, né dimorante, né domiciliata nella Repubblica, si possa applicare la disciplina attribuisce valore di fonte primaria dell’Unione europea, si alle convenzioni internazionali, in difetto delle quali o per il caso in cui applicheranno le disposizioni sia impossibile applicarle, e solo dell’art. 142 c.p.c., secondo cui la allora, è dato ricorso alla disciplina codicistica sussidiaria”. notifica è eseguita mediante spedizione di una copia dell’atto al destinatario per mezzo di posta con raccomandata e mediante consegna di altra copia al Pubblico ministero che ne cura la trasmissione al Ministero degli affari esteri per la consegna alla persona alla quale è diretta.

16.3. I mezzi di prova Una parte minoritaria della dottrina ha ritenuto che per i mezzi di prova utilizzabili nel processo I MEZZI DI PROVA (interrogatorio, testimonianze, - se l’assunzione della prova è ispezione, etc.), fosse da disposta dal giudice straniero di uno escludere l’applicazione della Stato membro non firmatario di nessuna Convenzione internazionale lex fori, ritenendo che gli stessi né membro dell’Unione europea: art. dovessero essere sottoposti 69 L. 218/95 - se l’assunzione della prova è alla medesima legge disposta dal giudice italiano e deve disciplinante il fatto che avvenire in uno Stato estero non firmatario di nessun trattato o rappresentano. Così, ad convenzione internazionale né dell’Unione europea: art. 204 esempio, la prova di un membro c.p.c.. contratto dovrebbe essere Tra gli Stati membri dell’Unione: reg. disciplinata dalla legge 1206/2001. regolatrice del contratto stesso, ex art. 57 L. 218/95.

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La dottrina maggioritaria, invece, ritiene che i mezzi di prova abbiano natura processuale e, per tale ragione, debbano essere soggetti alla lex fori. Altri ancora, invece, hanno operato una sorta di “scissione” del più generale concetto di mezzo di prova. Pur riconoscendo, infatti, in linea generale, la natura processuale del mezzo di prova, hanno, tuttavia, ritenuto che alcuni aspetti del fenomeno probatorio siano estranei all’ambito processuale. Così, ad esempio, le questioni relative all’onere della prova ed alla sua ammissibilità in relazione al fatto da provare dovrebbero essere soggette alla legge regolatrice del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, anche se si tratta di legge straniera; a differenza, invece, degli aspetti più propriamente processuali, come l’oggetto della prova, le modalità della sua assunzione e i criteri di valutazione delle risultanze probatorie, che resterebbero soggetti alla lex fori. L’art. 69 L. 218/95 si occupa di disciplinare l’assunzione delle prove disposte dal giudice straniero di uno Stato membro non firmatario di nessuna Convenzione internazionale né membro dell’Unione europea194. L’assunzione dei mezzi di prova disposti dal giudice straniero è subordinata al decreto di esecutorietà della Corte d’Appello del luogo in cui si deve compiere l’attività istruttoria. Se l'assunzione dei mezzi di prova è chiesta dalla parte interessata, l'istanza è proposta alla Corte mediante ricorso, al quale deve essere unita copia autentica dell’ordinanza di ammissione della prova tradotta in italiano. Se l'assunzione è domandata dallo stesso giudice, la richiesta deve essere trasmessa in via diplomatica. In ogni caso, sulla richiesta, la Corte delibera in camera di consiglio e, qualora autorizzi l'assunzione, rimette gli atti al giudice competente. L’ordinanza può anche disporre l’assunzione di mezzi di prova o l’espletamento di altri atti istruttori non previsti dalla legge italiana, purchè non siano in contrasto con i principi del nostro

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Tra le convenzioni internazionali che disciplinano la materia delle rogatorie, si ricorda la Convenzione dell’Aja del 18 marzo 1970, sostituita (solo per gli Stati firmatari membri dell’Unione Europea), a partire dal 2004, dal reg. n. 1206/2001, che si applica in tutti gli Stati dell’Unione, ad eccezione della Danimarca.

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ordinamento. L’assunzione è disciplinata dalla legge italiana, salva l’applicazione delle forme espressamente richieste dall'autorità giudiziaria straniera in quanto compatibili con i princìpi dell'ordinamento italiano. Se l’assunzione della prova è disposta dal giudice italiano e deve avvenire in uno Stato estero che non è firmatario di nessun trattato o convenzione internazionale né membro dell’Unione europea, si applica la disciplina di cui all’art. 204 c.p.c.. Quest’ultimo stabilisce che il giudice italiano deve richiedere l’esecuzione dei provvedimenti istruttori attraverso una rogatoria all’autorità straniera, trasmettendo la richiesta per via diplomatica, cioè attraverso gli uffici consolari. Con il termine “rogatoria” si indica la richiesta che viene avanzata, nel corso di un processo pendente, da un’autorità giudiziaria affinché siano eseguiti determinati atti processuali dalla competente autorità nazionale (rogatoria interna) o straniera (rogatoria internazionale). La rogatoria internazionale è, senza dubbio, uno strumento di collaborazione giudiziaria tra le diverse autorità giurisdizionali per il compimento di atti relativi ad un processo (quali, appunto, notificazioni o comunicazioni, oppure assunzione di mezzi probatori). Le rogatorie esterne sono regolate dalla procedura del Paese richiesto. Se la rogatoria riguarda cittadini italiani residenti all’estero, il giudice deve richiedere l’esecuzione dei provvedimenti istruttori tramite delega al console italiano territorialmente competente, che provvede a norma della legge consolare. Sia in caso di rogatoria esterna che in caso di rogatoria consolare, il giudice italiano fissa il termine entro il quale la prova deve essere assunta e l’udienza di comparizione delle parti per la prosecuzione del giudizio. Tra gli Stati membri dell’Unione europea (ad eccezione della Danimarca), l’assunzione delle prove è disciplinata dal reg. 1206/2001, applicabile dal 1° gennaio 2004. Il regolamento facilita l'assunzione delle prove in un altro Stato membro e si applica in materia civile e commerciale quando l'autorità giudiziaria di uno Stato membro chiede all'autorità giudiziaria di un altro Stato membro di assumere prove oppure di assumerle direttamente in un altro Stato membro. La richiesta 301


deve mirare a ottenere prove da utilizzare in un procedimento giudiziario pendente o di cui si prevede l'instaurazione. Il giudice competente deve eseguire la richiesta entro 90 giorni dal ricevimento, applicando la legislazione del proprio Paese. Se la richiesta non è eseguita, l’autorità giudiziaria richiesta informa l’autorità giudiziaria richiedente entro 60 giorni dalla ricezione. La richiesta non è eseguita, ad esempio, se non rientra nell’ambito di applicazione del regolamento (perché riguarda, ad esempio, un procedimento penale anziché civile o commerciale); se l’esecuzione non rientra nelle attribuzioni del potere giudiziario; se la persona che deve essere sentita invoca validamente il diritto o l’obbligo di astenersi dal deporre; etc. Quando, invece, la richiesta è eseguita, l’autorità giudiziaria che vi ha provveduto informa l’autorità giudiziaria richiedente trasmettendole gli atti da cui risulti l’avvenuta esecuzione. La richiesta di assunzione diretta delle prove deve essere eseguita entro 30 giorni dalla ricezione dell’istanza. Nel caso in cui non vi siano ragioni ostative al suo accoglimento195, l’assunzione delle prove sarà eseguita da un magistrato o da altra persona (ad esempio, un perito) designata in conformità della legge dello Stato membro dell’autorità giudiziaria richiedente.

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Sono, ad esempio, considerate ostative le ipotesi in cui la richiesta di assunzione delle prove non rientri nell’ambito di applicazione del regolamento o sia contraria ai principi fondamentali dello Stato membro richiesto.

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CAPITOLO DICIASSETTESIMO IL RICONOSCIMENTO DEGLI ATTI E DEI PROVVEDIMENTI GIURISDIZIONALI STRANIERI Sommario: 17.1. Il riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri – 17.2. Il riconoscimento automatico nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e nel reg. 44/2001 – 17.3. Il riconoscimento automatico nel reg. 1215/2012 – 17.4. Il titolo esecutivo europeo e il procedimento di esecuzione – 17.5. Il procedimento europeo di ingiunzione di pagamento – 17.6. Il procedimento europeo per le controversie di modesta entità – 17.7. Il riconoscimento delle sentenze arbitrali straniere – 17.8. L’arbitrato commerciale internazionale

17.1. Il riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri I tre profili caratterizzanti il diritto internazionale privato e processuale vengono evidenziati dall’art. 1 L. 218/95. Ai sensi di tale norma, infatti, la L. 218/95 “determina l’ambito della giurisdizione italiana, pone i criteri per l’individuazione del diritto applicabile e disciplina l’efficacia delle sentenze e degli atti stranieri”. Il giudice italiano, invero, è IL RICONOSCIMENTO DI ATTI E spesso chiamato a dare rilievo PROVVEDIMENTI STRANIERI ad atti e provvedimenti giuridici - riconoscimento automatico delle stranieri che ritenga rilevanti ai sentenze straniere; fini della decisione della - art. 64 L. 218/95: individua i requisiti controversia sottoposta al suo che devono concorrere affinchè possa aversi l’automatico riconoscimento; esame. Gli atti stranieri, allo - l’accertamento dei requisiti di cui stesso sottoposti, possono all’art. 64 è eventuale e successivo (art. essere di diversa natura. In 67 L. 218/95: giudizio di accertamento); particolare, se si tratta di atti - art. 65 L. 218/95: riconoscimento (cd. legislativi (quindi di norme semplificato) di provvedimenti stranieri; - art. 66 L. 218/95: riconoscimento (cd. straniere), essi sono semplificato) dei provvedimenti riconosciuti ed applicati nei stranieri di volontaria giurisdizione; casi o nei limiti in cui siano - gli artt. 64, 65 e 66 si trovano in un espressamente richiamati dal rapporto di complementarietà. sistema italiano di d.i.p.; se si 303


tratta di atti amministrativi, in linea generale, essi non hanno rilevanza nel nostro ordinamento (sebbene, però, alcune norme, in materie specifiche, diano rilievo anche a tali atti)196. Lo stesso sistema di d.i.p., inoltre, tramite il rinvio alle norme di un ordinamento straniero può, indirettamente, richiedere che siano riconosciuti atti amministrativi esteri (come, ad esempio, quelli necessari alla dichiarazione di cittadinanza). Se si tratta di atti giurisdizionali, vige il principio dell’automaticità del riconoscimento delle sentenze civili straniere, purchè ricorrano alcuni presupposti e requisiti analiticamente fissati all’art. 64 L. 218/95. Tale principio costituisce, senza dubbio, una conferma dell’apertura del nostro ordinamento verso le sentenze emanate dai giudici stranieri, in antitesi, invece, all’impronta “nazionalista”, che, dal punto di vista giuridico, aveva caratterizzato il previgente sistema. In realtà, già con la Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale ed il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giudiziarie straniere (entrata in vigore in Italia nel 1973) vi era stata una prima ed importante apertura in tal senso. Invero, con tale Convenzione si era voluta creare la cd. “giurisdizione europea”, secondo cui le decisioni dovevano avere tutte identico valore, sia formale che sostanziale, nel territorio degli Stati membri. Il principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniere costituisce sicuramente una delle novità più rilevanti tra quelle introdotte dalla legge di riforma del sistema di d.i.p.. In tal modo, quindi, l’atto giuridico straniero è preso in considerazione nell’ordinamento interno senza che ricorra la necessità di alcun intervento o forma di controllo preventiva da parte delle autorità locali. Non occorre, quindi, attivare il giudizio interno di delibazione, presente nel nostro sistema sin dal 1942. In tal modo si riesce a realizzare il duplice obiettivo di uniformare le soluzioni e di attuare la collaborazione internazionale attraverso la coerenza dei singoli ordinamenti.

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Come, ad esempio, le disposizioni del Codice della Strada che riconoscono ad alcune condizioni, l’efficacia dell’autorizzazione alla guida di autoveicoli rilasciata all’estero.

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La L. 218/95 ha, dunque, abbandonato il principio, già abrogato nei rapporti tra gli Stati aderenti alla Convenzione di Bruxelles del 1968, secondo cui la sentenza straniera avrebbe potuto produrre effetti in Italia solo dopo essere stata sottoposta al procedimento di delibazione, disciplinato dall’art. 796 c.p.c.197. Si ricorda che il procedimento di delibazione consentiva ad una soggetto di far valere in Italia una sentenza straniera, attribuendo alla medesima tutti gli effetti ad essa ricollegabili (in particolare l’efficacia di cosa giudicata e l’efficacia esecutiva). Il giudizio si svolgeva presso la competente Corte d’Appello e consisteva in un controllo preventivo delle sentenze e degli atti stranieri. Oggetto del riconoscimento Cass. n. 6276/93 e n. 7225/93 automatico sono le pronunce straniere che rilevano come atti Il riconoscimento non si estende, invece, a sentenze straniere non giurisdizionali nell’ordinamento definitive. Al riguardo, per giurisprudenziale di provenienza e che, al di là del l’orientamento prevalente, non sono definitive quelle nomen iuris adottato, siano sentenze con cui siano decise solo qualificabili come sentenze nel alcune delle diverse domande nostro ordinamento198; deve, proposte o che non contengano la quindi, trattarsi di atti che, in statuizione sulle spese (Cass. n. 6276/1993). Non sono, inoltre, quanto espressione di potestà definitive le decisioni che non giurisdizionale, siano in grado di esauriscono l’oggetto della incidere su situazioni giuridiche, controversia, ma ne decidono solo un attraverso una statuizione aspetto, rinviando al prosieguo il riconoscimento o il disconoscimento idonea ad acquistare autorità di del diritto, a nulla rilevando che sia stato emesso un provvedimento di giudicato. L’art. 64 L. 218/95 individua i separazione delle cause (Cass. n. 7225/1993). requisiti che devono concorrere affinché possa aversi l’automatico riconoscimento. Esso si riferisce, in particolare, alla necessità che il giudice straniero, che

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Tale articolo è stato abrogato dall'art. 73 della L. 218/95 e sostituito dagli artt. 6465 della medesima, a far data dal 31.12.1996. 198 Tale requisito, in realtà, non è espressamente contemplato dall’art. 64 L. 218/95 (così come non lo era dall’abrogato art. 797 c.p.c., abrogato); tuttavia, si ritiene costituisca presupposto per l’operatività di tale norma. L’art. 64, infatti, deve essere interpretato in maniera elastica (alla luce tanto dell’ordinamento straniero che della lex fori). A tal proposito, la Suprema Corte ha ritenuto che eventuali vizi o la mancanza di motivazione nella sentenza straniera, non costituiscono, di per sé, cause ostative al riconoscimento (Cass. n. 9247/2002).

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ha pronunciato la sentenza, possa conoscere la causa secondo i principi della competenza giurisdizionale propri 199 dell’ordinamento italiano (art. 3 L. 218/95); all’integrità del contraddittorio, soprattutto in relazione alla conoscenza dell’atto introduttivo del giudizio da parte del convenuto ed al rispetto dei diritti essenziali della difesa; alla regolare costituzione in giudizio delle parti, sempre secondo ORDINE PUBBLICO INTERNAZIONALE PROCESSUALE la legge del luogo di Cass. n. 365/2003 e n. 16978/2006 svolgimento del processo, o dichiarazione di Il concetto di ordine pubblico internazionale alla processuale ha natura peculiare e più contumacia del convenuto circoscritta, rispetto all’ordine pubblico in conformità a tale internazioanle cd. sostanziale. Mentre 200 quest’ultimo, infatti, opera come limite al legge ; al passaggio in richiamo del diritto straniero da parte delle giudicato della sentenza norme di d.i.p., l’ordine pubblico secondo la legge del luogo processuale, invece, è “riferibile ai principi in cui è stata inviolabili posti a garanzia del diritto di agire 201 alla non e di resistere in giudizio, non anche alle pronunciata ; modalità con cui tali diritti sono contrarietà della sentenza regolamentati o si esplicano nelle singole straniera ad altra sentenza, fattispecie” (Cass. n. 365/2003). A conferma in giudicato, della portata meno incisiva dell’ordine passata pubblico internazionale processuale si può pronunciata dal giudice segnalare una sentenza con cui la Suprema italiano, tra le stesse parti e Corte ha ritenuto non contrarie ai principi fondamentali dell’ordine pubblico, ai sensi per lo stesso oggetto; alla dell’art. 64 L. 218/95, sentenze straniere di necessità che non penda divorzio pronunciate senza passare un processo dinanzi al attraverso la separazione personale dei giudice italiano tra le stesse coniugi ed il decorso di un periodo di tempo adeguato di separazione (Cass. n. parti e per il medesimo 16978/2006). oggetto, che abbia avuto inizio prima del processo

199

Si tratta di quei principi in base ai quali, in casi corrispondenti, il giudice italiano esercita la sua giurisdizione nei confronti dello straniero (Cass. n. 10378/2004). 200 Si tratta di un’ulteriore applicazione e specificazione del principio di parità processuale delle parti (da ascriversi, anch’esso, al principio dell’ordine pubblico processuale). 201 Tale requisito è certamente più restrittivo rispetto a quello previsto dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 e successivamente dal reg. 44/2001 (ora reg. 1215/2012) in quanto nessuno di essi contempla il previo passaggio in giudicato della pronuncia come condizione per il suo riconoscimento.

306


straniero202; alla non contrarietà degli effetti della sentenza straniera all’ordine pubblico. La nozione di ordine pubblico processuale, intesa come insieme di valori essenziali dell’ordinamento, consente la difesa contro le violazioni palesi del principio del contraddittorio, del diritto di difesa e, in generale, dell’equo processo. Mentre la verifica dell’intervenuta conoscenza dell’atto introduttivo non può che essere effettuata, in coerenza con il principio di territorialità del diritto processuale, alla luce della lex processualis fori, cioè del diritto straniero (Cass. n. 9677/2013), il controllo del rispetto dei diritti essenziali della difesa dovrà essere condotto a livello di principi operanti nell’ordinamento interno. Si considerano, ad esempio, violati i diritti essenziali di difesa quando la legge processuale straniera, pur prevedendo in astratto il rispetto di tali principi, non preveda gli strumenti per tutelarsi in caso di loro violazione. In tale valutazione saranno presi in considerazione anche i principi enunciati dalla Convenzione di Roma del 1950 per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali in tema di svolgimento del processo. Inoltre, la giurisprudenza ha correttamente osservato che mentre la verifica del fatto che l’atto introduttivo del giudizio sia stato portato a conoscenza del convenuto, in conformità a quanto previsto dalla lex processualis fori, richiede un controllo di legittimità, il secondo (ovvero la verifica che nel processo dinanzi al giudice straniero non siano stati violati i diritti essenziali di difesa), è un controllo di regolarità dell’intero processo, sicché il rispetto del primo requisito non può rendere ultronea la seconda verifica (Cass. n. 13662/2004). Come già detto quando si è parlato di ordine pubblico (vedi supra, Cap. IV, par. 5), la formulazione dell’art 64, lett. g), secondo cui “Le sue disposizioni non producono effetti contrari all’ordine pubblico”, mira a mettere in evidenza come i valori di fondo dell’ordinamento del foro non vadano tutelati con riferimento alla sentenza in sé (o all’attività processuale che a

Il requisito della priorità dell’instaurazione della causa mira ad evitare che il riconoscimento della sentenza straniera possa essere bloccato dalla parte soccombente all’estero con la strumentale instaurazione di un analogo processo in Italia. 202

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detta sentenza ha condotto), bensì con riguardo all’effetto che le sue disposizioni produrrebbero in Italia. Approfondimento giurisprudenziale App. Torino, 23 dicembre 2010, decr. Coerentemente al disposto di cui alla lett. g) dell’art. 64, la Corte d’Appello di Torino ha ritenuto riconoscibile la decisione di un tribunale siriano di scioglimento del vincolo personale sorto in base al katb ktab. Si tratta di un particolare istituto di diritto islamico assimilabile al fidanzamento ma caratterizzato da specifici effetti obbligatori. Invero, a differenza della promessa di matrimonio (art. 79 c.c.), il katb ktab impedisce alle parti, alle quali non è neanche consentita la convivenza, di sposarsi con altre persone. Nell’ordinamento italiano, tale istituto non crea alcun vincolo giuridico tra le parti, le quali, quindi, mantengono la libertà di stato fino alla celebrazione del matrimonio. Non è, di conseguenza, contrario all’ordine pubblico il riconoscimento della decisione straniera di scioglimento di un rapporto che non è in grado di produrre alcun effetto in Italia. Altresì, tale riconoscimento consente ai contraenti dello stesso di riacquistare la libertà di status e conseguentemente la capacità matrimoniale, coerentemente con il principio generale del favor matrimonii.

L’accertamento di tali requisiti è eventuale e successivo. Ai sensi La legittimazione a richiedere la dell’art. 67 L. 218/95 tale dichiarazione di efficacia della accertamento, infatti, avrà luogo sentenza straniera spetta a “chiunque vi abbia interesse”, inteso quando chiunque vi abbia come colui che abbia un interesse interesse (in genere il effettivo e riconoscibile a tale dichiarazione; interesse, quindi, che soccombente) contesti la non viene limitato alle sole parti originarie del processo che ha dato sussistenza dei requisiti di cui luogo alla decisione da eseguire. È all’art. 64 L. 218/95 oppure stata, ad esempio, riconosciuta la legittimazione a richiedere il giudizio quando il soccombente non di delibazione al cessionario del esegua spontaneamente la credito riconosciuto con la sentenza straniera. sentenza e si renda necessario procedere ad esecuzione forzata (al fine di attribuire alla sentenza efficacia esecutiva). Sebbene tali requisiti richiamino, in gran parte, quelli del previgente art. 797 c.p.c., la differenza rilevante rispetto al vecchio sistema è che l’intervento dell’autorità giudiziaria Cass. n. 220/2013

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nazionale non ha carattere preventivo ed obbligato, ma solo successivo ed eventuale. Il procedimento di cui all’art. 67, detto giudizio di accertamento, è attribuito alla competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria. Tali controversie, ai sensi dell’art. 30 D. Lgs. 150/2011 (Semplificazione dei procedimenti civili di cognizione) sono regolate dal rito sommario di cognizione, individuando come competente la Corte d’Appello del luogo di attuazione del provvedimento203. L’azione di accertamento, inoltre, può essere tanto positiva quanto negativa. Invero, può essere promossa sia dalla parte che vuol avvalersi in Italia di una sentenza o di un provvedimento straniero di cui il controinteressato contesti la riconoscibilità, sia da quest’ultimo, cioè dalla parte nei cui confronti il provvedimento straniero potrebbe essere fatto valere, in quanto parte interessata ad ottenere l’accertamento del difetto delle condizioni di riconoscibilità (al fine di precludere iniziative future a proprio danno). Il provvedimento che accoglie la domanda di riconoscimento ha natura di mero accertamento della sussistenza dei requisiti prescritti dall’art. 64. La sentenza straniera, insieme al provvedimento della Corte d’Appello che accoglie la domanda, costituiscono titolo per l’attuazione e per l’esecuzione forzata. In particolare, gli effetti della pronuncia retroagiscono al momento in cui la sentenza è passata in giudicato nel paese di origine. Se, invece, il giudice ritiene che non sussistano i requisiti di cui all’art. 64, allora occorrerà rimuovere gli effetti eventualmente prodotti dalla decisione che, per il nostro ordinamento, è

203

Il rito sommario di cognizione trova la sua disciplina negli artt. 702 bis e ss. c.p.c.. In particolare, la domanda deve proporsi mediante ricorso. Una volta presentato il ricorso, il ricorrente dovrà notificarlo al convenuto, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, almeno trenta giorni prima della data fissata per la costituzione. In ossequio alle esigenze di semplificazione che caratterizzano il rito sommario, è previsto che il giudice, alla prima udienza, sentite le parti ed omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, proceda, nel modo che ritiene più opportuno, agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provveda con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande.

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inesistente. Le parti, a quel punto, avranno la facoltà di decidere se azionare un’identica controversia dinanzi al giudice italiano. Il giudizio di accertamento può svolgersi anche dinanzi ad un giudice diverso da quello Cass. n. 16991/2007 competente laddove l’efficacia in In tema di attuazione di sentenze e Italia del provvedimento provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria, Cass. n. straniero venga contestata nel di un procedimento 16991/2007 ha stabilito che corso “l’accertamento del giudice ha natura giudiziale avente un diverso puramente dichiarativa e non oggetto (ovvero incidenter costitutiva, risolvendosi nel mero accertamento della sussistenza dei tantum). In tal caso, però, gli requisiti prescritti perché l’atto effetti del riconoscimento sono straniero possa esplicare i suoi effetti limitati al processo in corso (art. in Italia e il giudice adito deve limitarsi ad accertare l’esistenza di tali 67, co. 3, L. 218/95). requisiti, indicati (per le sentenze) Si ritiene che, rispetto al all’art. 64, non potendo procedere né previgente giudizio di cui all’art. ad una nuova statuizione sul rapporto sostanziale dedotto in 797 c.p.c., la pronuncia di cui giudizio dinanzi al giudice straniero, all’art. 67, co. 2, L. 218/95 abbia né ad accertamenti o statuizioni su natura diversa rispetto alla questioni estranee al mero pronuncia di delibazione. accertamento di quei requisiti”. Mentre quest’ultima, secondo l’orientamento prevalente, si configurava come sentenza di accertamento costitutivo, in quanto idonea ad attribuire efficacia interna alla sentenza straniera previo positivo accertamento della sussistenza delle condizioni ex lege, il provvedimento che accoglie la domanda di riconoscimento, di cui all’art. 67, costituisce una pronuncia di mero accertamento, avente ad oggetto l’esistenza dei requisiti previsti dagli artt. 64, 65 e 66. Si tratta, infatti, di una pronuncia che verifica l’esistenza di effetti già preesistenti ed automaticamente prodottisi. Il riconoscimento automatico non riguarda solo le sentenze, ma investe, più ampiamente, i provvedimenti stranieri204. Invero, l’art. 65 L. 218/95 prevede che abbiano effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone La nozione di provvedimento straniero ha, certamente, un’estensione maggiore rispetto a quella di sentenza, tanto da ricomprendere quest’ultima, e va delineata alla luce dell’ordinamento del foro: al di là del nomen iuris adottato nell’ordinamento di provenienza, dovrà trattarsi di atti che incidono autoritativamente sulle situazioni giuridiche soggettive indicate dall’art. 65. 204

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(capacità giuridica o di agire delle persone fisiche; capacità giuridica di società ed altri enti), nonché all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità (diritto al nome, all’onore, etc.) quando essi siano stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle disposizioni di cui alla L. 218/95 o producano effetti nell’ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa. In questo caso, si parla, in realtà, di riconoscimento semplificato in quanto è più difficile poter contestare il riconoscimento di tale tipo di decisione perché è minore il numero dei requisiti richiesti. L’art. 66 L. 218/95, che si occupa di disciplinare il riconoscimento dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione, limita ancora di più le ipotesi di contestazione. In tal caso, infatti, è considerata competente l’autorità che sarebbe tale anche solo sulla base della legge italiana. Nel caso in cui non sussistano i requisiti per il riconoscimento semplificato, si utilizzerà la procedura ordinaria per il riconoscimento automatico. Non a caso, infatti, si dice che gli artt. 64, 65 e 66 si trovano tra loro in un rapporto di complementarietà. Anche a tali provvedimenti, inclusi quelli di volontaria giurisdizione nonché agli atti pubblici ricevuti all’estero (art. 68)205, si applicherà il procedimento previsto dall’art. 67. Il legislatore, invece, nulla ha detto in merito alla trascrizione, iscrizione o annotazione della sentenza straniera in un pubblico registro italiano. Nel sistema previsto dal codice di rito del 1865, che presenta delle analogie con quello attuale, l’idoneità della sentenza a dar luogo ad iscrizioni o trascrizioni nei pubblici registri era assimilata all’efficacia esecutiva e, quindi, sottoposta al giudizio di delibazione. Inizialmente, si è ritenuto che fosse necessario La valutazione relativa alla natura pubblicistica dell’atto deve essere condotta alla stregua dell’ordinamento straniero di provenienza dello stesso. Di conseguenza non occorre che all’atto gli sia o venga attribuita la pubblica fede. In molti ordinamenti, infatti, non esistono atti ai quali sia attribuito il carattere della pubblica fede (così accade, per esempio, in quelli anglosassoni e nella maggior parte di quelli statunitensi). 205

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utilizzare il meccanismo di cui all’art. 67 e, dunque, ricorrere sempre all’autorità giudiziaria, nei casi in cui dovesse darsi seguito alla decisione straniera mediante trascrizione o iscrizione nei pubblici registri. La ratio di ciò la si rinveniva nella distinzione che fa lo stesso art. 67, comma 2, tra esecuzione forzata ed attuazione, laddove quest’ultima espressione (la sola che, peraltro, compare nella rubrica dell’articolo “Attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento”) sembrerebbe riferirsi (anche) alle ipotesi di trascrizioni ed iscrizioni in pubblici registri. Sebbene questo sembrasse essere l’orientamento da seguire, il Ministero della Giustizia ha indirizzato agli ufficiali di stato civile una circolare (lettera 7 gennaio 1997) che avvalora un’interpretazione del tutto opposta, ma probabilmente influenzata dalla soluzione che, a livello comunitario, si stava delineando per le decisioni in materia matrimoniale (il riferimento è al reg. 1347/2000, cd. Bruxelles II, poi sostituito dal reg. 2201/2003, cd. Bruxelles II bis). Ne consegue che il provvedimento straniero viene direttamente presentato per essere trascritto, iscritto o annotato nei registri/archivi, all’ufficiale di stato civile il quale, se ritiene che esistano i requisiti previsti dagli artt. 64, 65 e 66, provvede di conseguenza. Se, invece, ritiene che tali requisiti manchino, o nutre dubbi circa la loro sussistenza, rimette la questione al Prefetto al quale compete la vigilanza sulla tenuta dei registri/archivi di stato civile. Questi, a sua volta, se ritiene che ne sussistano le condizioni, invita l’ufficiale di stato civile a procedere alla trascrizione, iscrizione o annotazione richiesta. In caso contrario, lo invita a comunicare al richiedente che mancano i requisiti necessari per procedere in tal senso. Solo a questo punto, il richiedente può rivolgersi all’autorità giudiziaria competente a pronunciarsi in ordine alla riconoscibilità.

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Approfondimento Il

riconoscimento

delle

sentenze

ecclesiastiche

di

nullità

matrimoniale Le sentenze di nullità matrimoniale emesse da un tribunale ecclesiastico sono escluse dal meccanismo del riconoscimento automatico. Invero, anche se la L. 218/95 prevede l’efficacia automatica delle sentenze straniere, l’art. 2 di tale legge stabilisce, però, che essa non pregiudica l’applicazione delle Convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, fra le quali rientra proprio l’Accordo di revisione del Concordato lateranense (cd. nuovo Concordato, L. 121/1985) siglato il 18 febbraio 1984. Ne deriva che le norme di cui alla L. 218/95 devono cedere di fronte a quelle previste in tale Accordo laddove siano con esse in contrasto. L'art. 8, n. 2, lett. c) dell'Accordo di revisione del Concordato prevede espressamente che le sentenze ecclesiastiche di declaratoria di nullità di un matrimonio concordatario possano essere rese esecutive nella Repubblica italiana solo instaurando un apposito e speciale procedimento dinanzi alla Corte d'Appello territorialmente competente (ovvero quella nel cui distretto si trova il Comune dove il matrimonio è stato trascritto)206. Tali sentenze, quindi, restano sottratte al meccanismo del riconoscimento automatico di cui agli artt. 64 e 65 L. 218/95. Si ricorda (vedi supra, Cap. IV, par. 5) infatti, che la legge permette di delibare la sentenza ecclesiastica di nullità soltanto nel caso in cui la stessa non sia contrastante con l’ordine pubblico. Il concetto di ordine pubblico, quindi, acquisisce una fondamentale importanza, anche al fine di precisare e definire i rapporti tra tribunali ecclesiastici e ordinamento statale. Sul punto, proprio in materia di delibazione delle sentenze ecclesiastiche, si sono pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza 19809/08. Con tale pronuncia, si ricorda, la Corte ha differenziato l’eventuale incompatibilità delle sentenze ecclesiastiche con l’ordine pubblico, in assoluta e relativa207. Nello specifico, l’Accordo subordina la dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica all’accertamento della sussistenza delle condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. Tale norma rinvia, dunque, all’art. 797 c.p.c. che, insieme all’art. 796 c.p.c., e con riguardo specifico al riconoscimento delle sentenze canoniche, godono della cd. ultrattività, in virtù del principio di cui all’art. 7 della Costituzione. Secondo tale articolo, in mancanza di accordo delle parti contraenti, le norme pattizie sono suscettibili di essere modificate soltanto attraverso leggi costituzionali. Ne consegue che gli artt. 796 e 797 c.p.c., in quanto abrogati da una legge ordinaria (art. 73 L. 218/95), continuano a spiegare la loro efficacia sulle disposizioni dell’Accordo. Il giudice italiano, quindi, in tale ambito, dovrà continuare ad applicare tali articoli (Cass. n. 12010/2005; Cass. n. 10796/2006). 207 Per un maggiore approfondimento si rinvia supra, Cap. IV, par. 5 e ss. 206

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Un altro degli aspetti che ha richiesto un esame approfondito del concetto di ordine pubblico concerneva il valore da attribuire alla prolungata convivenza dei coniugi dopo il matrimonio, ed in particolare se tale convivenza potesse costituire un ostacolo alla delibabilità della sentenza ecclesiastica. Sul punto sussisteva un contrasto giurisprudenziale da poco risolto dalle Sezioni Unite. Infatti, nella sentenza n. 1343/11, la Cassazione aveva sostenuto che la prolungata convivenza tra i coniugi rappresentasse una condizione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario laddove si fosse tradotta in un rapporto corrispondente alla durata del matrimonio o comunque ad un periodo di tempo considerevole dopo la celebrazione del matrimonio, in quanto siffatta situazione esprimeva la volontà di accettazione del rapporto proseguito, confliggente con l'esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione adducendo un vizio del matrimonio-atto non più azionabile dopo la scadenza dei termini per l'impugnativa, e concretante, quindi, incompatibilità ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario. La suddetta sentenza richiama il principio del favor matrimonii espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 19809/08, e ritiene che la durata della convivenza sia un principio di ordine pubblico, in quanto creerebbe nell’altro coniuge l’affidamento sul mantenimento e sulla validità del matrimonio rapporto (in senso conforme anche Cass. 9844/12; Cass. 1780/12). Tale pronuncia riconosce, quindi, al matrimonio–rapporto una forza sanante del vizio che inficia il matrimonio–atto. Si contesta, però, a tale orientamento, che non è chiaro cosa debba intendersi per convivenza duratura, ed in particolare se essa debba ritenersi senza soluzione di continuità, o debba richiedere quella comunanza di vita cui spesso si richiama la giurisprudenza. Non a caso una parte della giurisprudenza riconosce la possibilità di delibare la sentenza ecclesiastica di nullità, in caso di mera coabitazione tra coniugi, o meglio in tutti quei casi in cui manca l’affectio familiae, anche qualora sia decorso un notevole lasso di tempo dal matrimonio-atto. Di diverso avviso, invece, la sentenza della Cassazione n. 8926 del 2012 che, in una fattispecie in cui si era accertato il vizio simulatorio di uno degli sposi, ha escluso che la convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio, che pur nella specie considerata si era protratta per oltre trent'anni, esprimesse norme fondamentali che disciplinano l'istituto del matrimonio. In forza di ciò tale pronuncia ha ritenuto che la prolungata convivenza non fosse ostativa, sotto il profilo dell'ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico. Tale orientamento ha il pregio di rispettare maggiormente gli impegni assunti dallo Stato italiano con la sottoscrizione del Concordato Lateranense. Sussistendo un tale contrasto è stato rimesso alle Sezioni Unite il quesito se la protrazione ultrannuale della convivenza rappresenti condizione integrante violazione dell'ordine pubblico interno e per l'effetto 314


sia ostativa alla dichiarazione d'efficacia della sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice ecclesiastico. Le Sezioni Unite si sono pronunciate sul punto con la sentenza 16379/14 stabilendo che la convivenza come coniugi è elemento essenziale del matrimonio-rapporto e si manifesta come vita comune, stabile, continua nel tempo, riconoscibile all'esterno e fonte di molteplici diritti, doveri e responsabilità, con la conseguenza che, la sua sussistenza, per un periodo di tre anni, si pone quale ostacolo alla delibazione della sentenza canonica. Le Sezioni Unite, giungono a tale conclusione partendo dalla distinzione tra mera coabitazione e convivenza, riconoscendo a quest’ultima il valore di ordine pubblico, ritenendo ben possibile sussistente la convivenza anche in mancanza di coabitazione, poiché i coniugi, per le esigenze più diverse, ad esempio anche lavorative, possono decidere di non coabitare anche per periodi più o meno lunghi. La convivenza è intesa come vita comune capace di creare legami familiari, stabili e continuativi; la creazione di tali rapporti trova tutela nell’art. 2 Cost., e, pertanto, impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità nel nostro ordinamento. Le Sezioni Unite chiariscono che per aversi convivenza nel senso sopra detto, debbono sussistere due requisiti, ed in particolare, l’esteriorità della convivenza e la sua stabilità. In relazione al primo requisito, la convivenza deve essere “esteriormente riconoscibile attraverso fatti e comportamenti che vi corrispondano in modo non equivoco e, perciò, essere anche dimostrabile in giudizio, da parte dell'interessato, mediante idonei mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni semplici assistite dai noti requisiti di cui all'art. 2729 c.c., comma 1”. Per quanto concerne invece il requisito della stabilità della convivenza, le Sezioni Unite muovono dal presupposto che non vi è una norma nel nostro codice che indichi quando un matrimonio possa definirsi stabile, essendovi nel codice civile esclusivamente norme che privilegiano il favor matrimonii, in quanto rivolte a privilegiare l’esistenza del matrimonio qualora vi sia stata coabitazione per un anno in caso di vizio genetico dell’atto ovvero qualora i coniugi abbiano convissuto come marito e moglie in caso di simulazione. In tali casi, infatti, il decorso del tempo si può ritenere idoneo a sanare il vizio genetico esistente al momento del matrimonio–atto ovvero a far presumere che la volontà dei coniugi sia quella di far sopravvivere il matrimonio simulato stipulato. Le Sezioni Unite, però, non ritengono che il periodo di un anno sia un termine idoneo per ritenere stabile un matrimonio, ma si rifanno alla disciplina dell’adozione che permette l’accesso dei coniugi a tale istituto quando gli stessi siano uniti in matrimonio da almeno tre anni. La Corte Costituzionale stessa, infatti, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale della disciplina dell’adozione, ha stabilito, con la sentenza 281/94, che “il criterio dei tre anni successivi alle nozze si configura come requisito minimo presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto matrimoniale”. Le Sezioni Unite, quindi, ritengono che non sia possibile 315


procedere alla delibazione di una sentenza di nullità di un matrimonio pronunciata da un tribunale ecclesiastico qualora tra i coniugi vi sia stata una convivenza esteriorizzata e di durata triennale. Le Sezioni Unite, quindi, ritengono che il limite dell’ordine pubblico attenendo a materie "indisponibili" dalle parti, perché involgenti aspetti che trascendono interessi esclusivamente individuali, è questione esaminabile in ogni stato e grado del processo, salvo il dovere del giudice di promuovere preliminarmente su di essa il contraddittorio. Comunque, precisa la Corte, stante la particolare materia trattata, avente ad oggetto aspetti quali la durata della convivenza post-matrimoniale, l'esistenza di figli e la continuità del rapporto matrimoniale, la contrarietà all’ordine pubblico deve emergere dagli atti del giudizio ovvero deve essere allegato e dimostrato dalla parte che lo eccepisce. Ed infatti, il giudizio di delibazione non è un giudizio automatico, ma promosso su iniziativa di parte, per cui anche per tale giudizio valgono i principi procedurali relativi al rapporto tra chiesto e pronunciato, nonché sull’onere della prova. Inoltre, stante la complessità della materia, può essere effettuata un’apposita istruzione probatoria nel corso del giudizio dinnanzi alla Corte d’Appello. Infatti, il sindacato che dovrà effettuare il giudice italiano, non sconfinerà nell’oggetto del giudizio del giudice ecclesiastico, stante che il limite di ordine pubblico è esclusivamente oggetto di sindacato da parte della Corte d’Appello. L’eccezione relativa alla stabile convivenza, quindi, viene ricondotta dalle Sezioni Unite alla categoria delle eccezioni in senso stretto, in quanto strettamente connessa e collegata a diritti potestativi delle parti, anche in relazione alla dimensione personalissima dello svolgimento del rapporto matrimoniale. Tale eccezione, quindi, va sollevata nella comparsa di costituzione e risposta a pena di decadenza, allegando i fatti oggetto di prova ed i mezzi di prova necessari a fondare tale eccezione. Ne deriva, quindi, che la relativa eccezione non potrà essere proposta, per la prima volta, nel giudizio di legittimità. Del resto, sostengono le Sezioni Unite, anche in materia di divorzio, la riconciliazione dei coniugi successivamente alla separazione, quale causa ostativa della pronuncia di divorzio, deve essere eccepita e dimostrata dal coniuge che la solleva. La Cassazione per analogia applica quindi i medesimi principi, e giunge così alle medesime conclusioni. Da tale ragionamento la Corte trae come conseguenza il fatto che sarà sempre delibabile la sentenza ecclesiastica di nullità, qualora il giudizio di delibabilità venga richiesto da entrambe le parti208.

208

D. Triolo, Il diritto di famiglia, pagg. 16 e ss., Key ed., 2015.

316


17.2. Il riconoscimento automatico nella Convenzione di Bruxelles del 1968 e nel reg. 44/2001 Il riconoscimento dell’efficacia in Italia delle sentenze straniere, oltre che dal codice di procedura civile, è regolato da numerose convenzioni internazionali, cui il nostro paese ha aderito. Tra queste, in particolare, si IL RICONOSCIMENTO AUTOMATICO ricorda la Convenzione di NEL REG. 44/2001 Bruxelles del 27 settembre -il reg. 44/2001 ha sostituito (tra gli Stati 1968 che, al fine di facilitare contraenti) la Convenzione di Bruxelles del l’ampia circolazione degli atti 1968; giuridici, prevede (art. 26) un -art. 33: riconoscimento automatico delle decisioni emesse in uno Stato membro, vero e proprio principio di salvo in caso di contestazione; riconoscimento automatico -in nessun caso la decisione straniera può delle decisioni giudiziarie formare oggetto di un riesame nel merito; adottate dai giudici di uno -art.34: indica espressamente i motivi che degli Stati contraenti. Sulla ostano al riconoscimento automatico; base di questo principio, -il riconoscimento è subordinato all’esito di un procedimento giudiziale quando quindi, tali decisioni occorra procedere ad esecuzione forzata o producono effetti nel o vi sia stata contestazione al territorio di tutti gli Stati riconoscimento; contraenti senza necessità -art. 38: disciplina l’esecuzione delle decisioni emesse in uno Stato membro; di delibazione o altre forme -sono suscettibili di riconoscimento ed di controllo giurisdizionale esecuzione anche le sentenze non ancora nazionale. Solo in caso di passate in giudicato. contestazione, la Convenzione contempla un meccanismo giudiziario di verifica, con modi e forme semplificate rispetto alla delibazione ordinaria. In ambito europeo, il reg. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (cd. Bruxelles I) ha sostituito, tra gli Stati contraenti, la Convenzione di Bruxelles del 1968, anche se, in realtà, è rimasto fedele alla disciplina dettata da quest’ultima. Invero, l’art. 33, co. 1, stabilisce che le decisioni emesse in uno Stato membro siano riconosciute negli altri Stati membri senza necessità di ricorrere ad alcun procedimento, salvo in caso di contestazione.

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Ai sensi dell’art. 32 del regolamento per “decisione giudiziaria” si intende, a prescindere dalla denominazione usata, qualsiasi decisione emessa da un giudice di uno Stato membro (come, ad esempio, decreto, sentenza, ordinanza o mandato di esecuzione). In nessun caso la decisione straniera può formare oggetto di un riesame nel merito. Il regolamento non concerne il settore fiscale, doganale ed amministrativo. Sono, altresì, esclusi dal suo ambito di competenza: lo stato e la capacità delle persone fisiche, la materia matrimoniale, i testamenti, le successioni, i fallimenti, la sicurezza sociale e l’arbitrato. Il regolamento indica espressamente i motivi per cui il riconoscimento automatico possa essere negato. Invero, ai sensi dell’art. 34, le decisioni non sono riconosciute se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto; se la domanda giudiziale od atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile ed in modo tale da poter presentare le proprie difese, salvo che egli, pur avendone avuto la possibilità, non abbia impugnato la decisione; se tale domanda è in contrasto con una decisione emessa precedentemente tra le medesime parti in un altro Stato membro richiesto; se tale domanda è in contrasto con una decisione emessa precedentemente tra le medesime parti in un altro Stato membro o in un paese terzo, in una controversia avente il medesimo oggetto ed il medesimo titolo. Il riconoscimento è subordinato all’esito di un procedimento giudiziale nell’ipotesi in cui occorra procedere ad esecuzione forzata o si debba affermare il riconoscimento in caso di contestazione. La sussistenza dei requisiti per la riconoscibilità di una decisione può essere accertata anche in via incidentale. In tal caso gli effetti del riconoscimento sono limitati al processo in atto. Quanto all’esecuzione, ai sensi dell’art. 38 “le decisioni emesse in uno Stato membro ed ivi esecutive, sono eseguite in un altro Stato membro dopo essere state ivi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata”, da presentarsi secondo le modalità di cui agli artt. 39 e ss.. 318


Contro la decisione relativa all’istanza volta ad ottenere la dichiarazione di esecutività, le parti possono proporre ricorso ai sensi dell’art. 43. Tra le decisioni suscettibili di riconoscimento e di esecuzione sono ricomprese anche quelle soggette ad impugnazione. Proprio per evitare che possa essere eseguito o riconosciuto un provvedimento ancora modificabile o revocabile nello Stato membro d’origine, il giudice, su istanza della parte contro la quale è chiesta l’esecuzione o il riconoscimento, può sospendere il procedimento, se la decisione sia stata o possa essere impugnata.

17.3. Il riconoscimento automatico nel reg. 1215/2012 Dal 10 gennaio 2015 il reg. 1215/2012 (cd. Bruxelles I bis) ha sostituito il reg. 44/2001. Esso, oltre a quelle già analizzate (vedi supra, Cap. 15), introduce significative novità anche in tema di efficacia esecutiva delle decisioni, confermando una sempre maggiore apertura ai provvedimenti giurisdizionali stranieri. Innanzitutto, viene sancita IL RICONOSCIMENTO AUTOMATICO l’abolizione della procedura NEL REG. 1215/2012 di delibazione dell’Autorità -dal 10 gennaio 2015 ha sostituito il reg. giudiziaria nazionale per 44/2001; tutte le decisioni rese, in -abolizione della procedura di delibazione materia civile e per tutte le decisioni rese, in materia civile commerciale, nel territorio di e commerciale, nel territorio di uno degli Stati membri, anche ai fini esecutivi; uno degli Stati membri, -art.45: la parte controinteressata può anche ai fini esecutivi. In sollecitare un diniego di riconoscimento. particolare, l’art. 39 stabilisce che “La decisione emessa in uno Stato membro che è esecutiva in tale Stato membro è altresì esecutiva negli altri Stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività”. Inoltre, l’art. 41, co. 1, prevede che “il procedimento d’esecuzione delle decisioni emesse in un altro Stato membro è disciplinato dalla legge dello Stato membro richiesto. Le decisioni emesse in uno Stato membro che sono esecutive nello Stato membro

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richiesto sono eseguite alle stesse condizioni delle decisioni emesse nello Stato membro richiesto”. Ne deriva che per l’esecuzione delle decisioni provenienti da altri Stati membri, si devono seguire le stesse modalità stabilite per le decisioni locali e possono farsi valere “i motivi di diniego o di sospensione dell’esecuzione” ammessi dal diritto locale. Ai fini dell’esecuzione, il richiedente deve presentare solo una copia autentica della decisione ed un attestato rilasciato da un’autorità giudiziaria dello Stato in cui la decisione è stata emessa, secondo un modello previsto dallo stesso regolamento. Il suddetto attestato deve essere “notificato o comunicato alla persona contro cui è chiesta l’esecuzione prima dell’inizio della stessa”. Nel caso in cui debba eseguirsi un provvedimento provvisorio o cautelare, l’attestato deve indicare che il provvedimento in questione è esecutivo nello Stato membro d’origine e proviene da un giudice competente a conoscere del merito. Laddove si tratti di un provvedimento adottato senza che il convenuto fosse invitato a comparire (quindi inaudita altera parte), il richiedente deve fornire la prova dell’avvenuta notifica o comunicazione del provvedimento (art. 42). Resta salva, ai sensi dell’art. 45, la possibilità di sollecitare un diniego di riconoscimento su iniziativa della parte controinteressata. I motivi che potrebbero portare ad un diniego di riconoscimento sono sostanzialmente analoghi a quelli previsti dal reg. 44/2001 (artt. 33 e 34), anche se, si segnala, l’introduzione di un nuovo motivo ostativo al riconoscimento, ovvero la violazione delle norme del regolamento sulla competenza giurisdizionale in materia di contratti individuali di lavoro.

17.4. Il titolo esecutivo europeo e il procedimento di esecuzione Il reg. 805/2004, entrato in vigore il 21 ottobre 2005, ha istituito, in tutti gli Stati membri dell’Unione ad eccezione della Danimarca (che si è avvalsa della facoltà di opting out), il cd. Titolo esecutivo

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europeo per i crediti non IL TITOLO ESECUTIVO EUROPEO contestati (Tee) al fine di - istituito dal reg. 805/2004, entrato in agevolare, anche sotto il vigore il 21 ottobre 2005; profilo esecutivo, la - concede al creditore un’alternativa alla alla richiesta di esecuzione della circolazione delle decisioni decisione secondo il procedimento in materia di rapporti civili e previsto dagli artt. 38 e ss. del reg. 44/2001; commerciali. - affinchè la decisione possa essere Si tratta di un certificato che certificata come Tee deve possedere i requisiti di cui all’art. 6 del reg. 805/2004; consente alle decisioni - art. 21: individua i casi in cui giudiziarie, alle transazioni l’esecuzione può essere rifiutata; - non costituisce limite all’esecutività la giudiziarie e agli atti pubblici manifesta violazione dell’ordine pubblico. relativi a crediti (deve trattarsi di crediti pecuniari, liquidi ed esigibili) non contestati dai loro debitori209, di essere riconosciute ed eseguite automaticamente, in un altro Stato membro, senza procedimento intermedio. La decisione relativa a un credito non contestato è certificata come titolo esecutivo europeo dallo Stato membro che ha pronunciato la decisione (Stato membro d'origine). La certificazione avviene in base ad un certificato standard. Se la certificazione riguarda solo parte della decisione, si parlerà di "titolo esecutivo parziale". Il regolamento, quindi, intende fornire al creditore una tutela privilegiata, concedendogli un’alternativa alla richiesta di esecuzione della decisione secondo il procedimento previsto dagli artt. 38 e ss. del reg. 44/2001 (Bruxelles I)210. 209

Un credito si considera non contestato nelle seguenti ipotesi: se il debitore l'ha espressamente riconosciuto mediante una dichiarazione o mediante una transazione approvata dal giudice o conclusa dinanzi al giudice nel corso di un procedimento giudiziario; se il debitore non l'ha mai contestato nel corso del procedimento giudiziario; se il debitore non è comparso o non si è fatto rappresentare in un'udienza relativa a un determinato credito pur avendo contestato inizialmente il credito stesso nel corso del procedimento; se il debitore l'ha espressamente riconosciuto in un atto pubblico. 210 Quest’ultimo, si ricorda, prevede il rilascio della dichiarazione di esecutività da parte del giudice dello Stato membro dell’esecuzione. Il procedimento per la dichiarazione di esecutività (artt. 38 e ss.) prende avvio su istanza della parte interessata e rivolta al giudice dello Stato nel quale il provvedimento deve essere eseguito. Quest’ultimo effettua solo un controllo formale dei documenti che vengono presentati a corredo della domanda. Contro la decisione relativa all’istanza volta ad

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L’alternativa, infatti, è rappresentata dalla presentazione alla stessa autorità giudiziaria (cui è stata rivolta la domanda di condanna al pagamento) della domanda per ottenere la certificazione della decisione come Tee, idoneo ad operare in tutti gli Stati membri. In questo modo, quindi, si è eliminato l’exequatur211, o meglio si è fatto un effettivo passo in avanti verso l’affermazione del principio di mutua esecuzione dei crediti non contestati. Con tale strumento, quindi, si consente un’esecuzione veloce, efficiente ed economica, in quanto non occorre alcuna dichiarazione di esecutività nello Stato membro in cui si chiede l’esecuzione della decisione giudiziaria. Non è, altresì, possibile opporsi al suo riconoscimento, nemmeno in via eventuale, come, invece, ammesso dall’art. 33 del reg. 44/2001. Il titolo esecutivo europeo non è, comunque, del tutto sottratto al controllo del giudice dello Stato; ai sensi dell’art. 21 (Rifiuto dell’esecuzione), l’unico motivo che possa ostacolare la sua esecuzione è dato dall’esistenza di una incompatibilità tra la decisione certificata come Tee ed un’altra decisione anteriore in uno Stato membro o in un Paese terzo, a condizione che: essa riguardi una causa avente lo stesso oggetto e le stesse parti; sia stata pronunciata nello Stato membro dell’esecuzione o soddisfi le condizioni necessarie per il suo riconoscimento in questo Stato; il debitore non abbia fatto valere e non ne abbia avuto la possibilità di far valere l’incompatibilità nel procedimento svoltosi nello Stato membro di origine. Non costituisce, invece, limite all’esecutività la manifesta violazione dell’ordine pubblico. Cade, così, anche l’estrema barriera a tutela dei principi fondamentali dell’ordinamento, in ottenere la dichiarazione di esecutività, sia la parte proponente (in caso di rigetto dell’istanza) che la parte esecutanda (cui, invece, sia stata notificata la dichiarazione) possono proporre ricorso. Il procedimento per la dichiarazione di esecutività di cui al reg. 44/2001 non è stato abrogato dal reg. 805/2004, il quale, invero, non pregiudica la possibilità di avvalersene, offrendo al creditore la facoltà di scelta circa l’iter procedurale che più si adatta alle proprie esigenze. 211 L’art. 5 del reg. 805/2004 (Abolizione dell'exequatur) sancisce, infatti, che “La decisione giudiziaria che sia stata certificata come titolo esecutivo europeo nello Stato membro d'origine è riconosciuta ed eseguita negli altri Stati membri senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento”.

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nome di un’assoluta fiducia nell’operato dei giudici degli altri Stati membri212. Affinché la decisione possa essere certificata come Tee deve possedere i requisiti di cui all’art. 6 del reg. 805/2004. In particolare, la decisione deve essere esecutiva nello Stato in cui è stata emessa (non deve necessariamente essere definitiva); il credito non deve essere contestato dal debitore; il procedimento giudiziario che ha condotto alla decisione sul credito deve aver rispettato determinati requisiti minimi sotto il profilo della regolare costituzione del contraddittorio e dell’osservanza del diritto di difesa del debitore. La sussistenza di tali requisiti è valutata ed attestata dal giudice del paese in cui la decisione è stata emessa che, su istanza del creditore, provvede a certificare la stessa come Tee attraverso l’utilizzo, come già detto, di uno stampato standard definito in allegato allo stesso regolamento. Conseguita la certificazione, il creditore potrà avviare la procedura esecutiva rivolgendosi direttamente all’ufficiale giudiziario. La procedura esecutiva è disciplinata dalla legge dello Stato membro ove il titolo verrà posto in esecuzione. Il creditore che in Italia intende agire sulla base di un Tee non è tenuto a far apporre su quest’ultimo la formula esecutiva di cui all’art. 475 c.p.c., in quanto quest’ultima costituirebbe una duplicazione dei controlli già eseguiti a monte nello Stato membro di origine. Le autorità dello Stato membro che devono procedere all’esecuzione non possono compiere un riesame nel merito nè della decisione né della sua certificazione. Il reg. 805/2004, infine, non concerne la materia fiscale, doganale o amministrativa, né la responsabilità dello Stato per atti od omissioni compiuti nell’esercizio dei pubblici poteri (acta iure imperii); altresì, non riguarda lo stato o la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra coniugi, i testamenti e le

212

Per le prime applicazioni del regolamento in esame v. Trib. La Spezia, 7 febbraio 2008, ord.; e Trib. Milano, 23 aprile 2008, ord..

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successioni, i fallimenti, i concordati e procedure affini, la sicurezza sociale e l’arbitrato.

17.5. Il procedimento europeo di ingiunzione di pagamento Il procedimento europeo di ingiunzione di pagamento (in vigore dal 12 dicembre 2008) è stato istituito con il reg. 1896/2006, il quale si applica in tutti gli IL PROCEDIMENTO EUROPEO DI Stati dell’Unione, ad INGIUNZIONE DI PAGAMENTO eccezione della Danimarca - reg. 1896/2006: il suo ambito di applicazione è limitato alle controversie (che si è avvalsa della transfrontaliere; facoltà di opting out). - il procedimento disciplinato dal regolamento è alternativo (e, dunque, si Esso concerne la materia affianca) agli strumenti previsti dalle civile e commerciale, ma non normative nazionali; - art. 22: individua i casi in cui la materia fiscale, doganale l’esecuzione può essere rifiutata. o amministrativa, né la responsabilità dello Stato per atti od omissioni compiuti nell’esercizio dei pubblici poteri (acta iure imperii). Sono, inoltre, esclusi dal suo ambito di applicazione: il regime patrimoniale tra coniugi, i testamenti e le successioni, i fallimenti, i concordati e le procedure affini, la sicurezza sociale, i crediti derivanti da obblighi extracontrattuali (salvo che abbiano formato oggetto di accordo tra le parti o di ammissione del debito, ovvero che riguardano debiti liquidi risultanti dalla comproprietà di un bene). L’ambito di applicazione del procedimento di ingiunzione disciplinato dal reg. 1896/2006 è limitato alle controversie cd. transfrontaliere, vale a dire quelle in cui almeno una delle parti abbia il proprio domicilio o risieda abitualmente in uno Stato membro diverso da quello dell’organo giurisdizionale adito (art. 3). Scopo del regolamento è quello di assicurare la libera circolazione dell’ingiunzione in tutti gli Stati membri dell’Unione europea. La procedura in esso prevista semplifica e snellisce le controversie transfrontaliere in materia di crediti pecuniari non contestati, riducendone i costi.

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Le parti possono agire personalmente, senza assistenza legale, utilizzando la modulistica standard allegata al regolamento. Il procedimento disciplinato dal regolamento è concepito come alternativo rispetto agli strumenti previsti dalle normative nazionali, ai quali, quindi, si affianca. La domanda di ingiunzione di pagamento è presentata, utilizzando il modulo standard, al giudice competente in base ai criteri stabiliti nel reg. 44/2001. Per le ingiunzioni nei confronti del consumatore sono competenti i giudici dello Stato membro in cui il convenuto è domiciliato. Nella domanda devono essere indicati: il nome e l’indirizzo delle parti o dei loro rappresentanti; il nome e l’indirizzo dei giudici cui è presentata la domanda; l’importo del credito; il fondamento dell’azione e una descrizione delle circostanze invocate come base del credito e delle prove a sostegno della domanda; i motivi della competenza giurisdizionale; il carattere transfrontaliero della controversia. Il giudice deve esaminare la fondatezza della domanda e il soddisfacimento delle condizioni di ammissibilità. Se tali condizioni sono soddisfatte, deve emettere l’ingiunzione di pagamento, di regola entro trenta giorni dalla presentazione della domanda. Il giudice, invece, respinge la domanda se non sono soddisfatte le condizioni di ammissibilità; se la domanda è manifestamente infondata; se il ricorrente non completa o rettifica la domanda nel termine stabilito213; se il ricorrente, entro il termine stabilito, non trasmette la propria risposta alla proposta del giudice o la rifiuta214. Nell’ingiunzione di pagamento, il convenuto viene informato che ha la possibilità di pagare al ricorrente l’ammontare del credito o di opporsi, entro trenta giorni dalla notifica dell’atto, utilizzando un modulo standard che gli viene consegnato insieme

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Invero, se nel modulo della domanda non ricorrono tutti gli elementi necessari, il giudice dà al ricorrente la possibilità di completare o rettificare la domanda entro un certo termine (sempre che essa non sia palesemente infondata o inammissibile). 214 Il regolamento, infatti, prevede la possibilità che il giudice sottoponga al ricorrente una proposta di modifica della domanda, nel caso in cui essa soddisfi solo una parte delle condizioni previste.

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all’ingiunzione. Nell’opposizione, il convenuto non è tenuto a precisare le ragioni per le quali contesta il credito. Se il convenuto non si oppone entro il termine, il giudice che ha emesso l’ingiunzione la dichiara esecutiva. Una volta diventata esecutiva nello Stato d’origine, l’ingiunzione è riconosciuta ed eseguita negli altri Stati membri, senza che occorra alcuna dichiarazione di esecutività né sia possibile opporsi al suo riconoscimento. Sono fatti salvi soltanto alcuni casi eccezionali in cui è ammesso il riesame del provvedimento di ingiunzione (art. 20). Invero, scaduto il termine per proporre opposizione, il convenuto può chiedere il riesame dell’ingiunzione di pagamento dinanzi al giudice che l’ha emessa in presenza di certe condizioni: se l’ingiunzione è stata notificata senza prova del ricevimento; se la notifica non è stata effettuata in tempo utile a consentirgli di presentare le proprie difese; se il convenuto non ha avuto la possibilità di contestare il credito a causa di situazioni di forza maggiore o di circostanze eccezionali; se l’ingiunzione risulta manifestamente emessa per errore. In caso di opposizione del convenuto, invece, si apre dinanzi al giudice d’origine (ovvero quello che ha emesso l’ingiunzione) una procedura di accertamento del credito che segue le norme di procedura civile ordinaria. Il creditore, tuttavia, nel presentare la domanda di ingiunzione di pagamento, ha la facoltà di dichiarare la propria contrarietà al passaggio al rito ordinario. In tale ipotesi, l’eventuale opposizione del debitore comporta l’estinzione del procedimento. Ai sensi dell’art. 22, su istanza del convenuto, il giudice competente nello Stato membro di esecuzione può rifiutare l’esecuzione, se l’ingiunzione è incompatibile con una decisione o ingiunzione emessa anteriormente in uno Stato membro o in un Paese terzo: se la decisione o l’ingiunzione anteriore riguarda una causa avente lo stesso oggetto e le stesse parti; se essa soddisfa le condizioni necessarie per il suo riconoscimento nello Stato di esecuzione; se il convenuto non ha avuto la possibilità di far valere l’incompatibilità nel procedimento; se il convenuto ha versato al ricorrente l’importo previsto nell’ingiunzione.

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17.6. Il procedimento europeo per le controversie di modesta entità Dal 1° gennaio 2009, in tutti gli Stati membri dell’Unione (ad eccezione della Danimarca, che si è avvalsa della facoltà di opting out), il creditore può IL PROCEDIMENTO EUROPEO PER LE attivare il cd. procedimento CONTROVERSIE DI MODESTA ENTITÀ europeo per le controversie - reg. 861/2007 (per controversie che non transfrontaliere, in materia eccedano i 2.000 euro); - il procedimento, per tutto quanto non civile e commerciale, di disciplinato dal regolamento, segue le modesta entità, istituito dal regole del diritto processuale civile dello Stato membro in cui si svolge (lex fori); reg. 861/2007. - art. 20: per il riconoscimento e Si tratta di un procedimento l’esecuzione della sentenza non occorre volto a facilitare l’accesso alcuna dichiarazione di esecutività; - art. 22: individua i casi in cui alla giustizia dei consumatori l’esecuzione può essere rifiutata. e di quanti, in ragione del valore della causa, riterrebbero sproporzionato affrontare le spese di un procedimento ordinario. Esso, infatti, riguarda quei casi in cui “il valore di una controversia, esclusi gli interessi, i diritti e le spese, non ecceda 2.000 euro alla data in cui l’organo giurisdizionale competente riceve il modulo di domanda”. Sono esclusi dal campo di applicazione del regolamento la materia fiscale, doganale o amministrativa, la responsabilità dello Stato per atti od omissioni compiuti nell’esercizio dei pubblici poteri (acta iure imperii); il regolamento non si occupa, inoltre, delle controversie riguardanti lo stato o la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra coniugi, i testamenti, le successioni e le obbligazioni alimentari (art. 2). Il procedimento è introdotto dall’attore, il quale deve compilare la domanda ed indicare le prove utilizzando un apposito modulo standard. Quest’ultimo va presentato all’organo giurisdizionale competente direttamente o tramite i servizi postali o con altri mezzi di comunicazione (ad esempio, fax o posta elettronica) accettati dallo Stato membro in cui il procedimento è avviato (in Italia è ammesso solo il servizio postale). Se la domanda non rientra nel campo di applicazione del regolamento, l’organo giurisdizionale informa l’attore. Quest’ultimo può ritirare la domanda. Se non lo fa, l’organo

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giurisdizionale esamina la controversia secondo la disciplina ordinaria applicabile nello Stato membro in cui si svolge il procedimento. Se la domanda presentata dall’attore non è corredata da informazioni corrette o complete, il giudice invita l’attore a completare o rettificare la domanda entro un certo termine. Se l’attore resta inerte, la domanda viene respinta. Allo stesso modo si procede nel caso in cui la stessa sia manifestamente infondata. Il procedimento, per tutto quanto non disciplinato dal regolamento, segue le regole del diritto processuale civile dello Stato membro in cui si svolge (lex fori). Non occorre l’assistenza di un legale (anche se, ovviamente, è consentita) e il procedimento si svolge interamente in forma scritta (l’udienza di trattazione, solo eventuale, si avrà o se richiesta dalle parti o se ritenuta necessaria dal giudice). Per la replica, il debitore può utilizzare un modulo standard, il quale è notificato, assieme a copia del modulo di domanda, al convenuto entro quattordici giorni da quando la domanda è pervenuta al giudice, tramite posta con ricevuta di ritorno. Il convenuto ha trenta giorni di tempo dalla notifica per replicare. Il giudice, a sua volta, ha trenta giorni di tempo per decidere e, quindi, emettere sentenza o, se lo ritiene, assumere prove, chiedere chiarimenti alle parti o ordinarne la comparizione. La sentenza può essere impugnata secondo le locali norme processuali; in casi specifici è possibile il riesame (art. 18)215. La sentenza è notificata alle parti tramite i servizi postali, con ricevuta di ritorno datata ed è esecutiva indipendentemente dalla possibilità di impugnazione. Con formula identica a quella impiegata nel reg. 805/2004 relativo ai crediti non contestati, si stabilisce che la sentenza “è riconosciuta ed eseguita in un altro Stato membro senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento” (art. 20, co. 1).

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Ad esempio, se la notificazione e/o comunicazione non è stata effettuata in tempo utile per consentire al convenuto di presentare la propria replica, per ragioni a lui non imputabili. Se il giudice respinge la richiesta di riesame, la sentenza resta esecutiva. Se, invece, decide che il riesame è giustificato, la sentenza è nulla.

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Anche per le controversie di modesta entità, l’esecuzione segue le regole processuali dello Stato richiesto e può essere sospesa o limitata in circostanze eccezionali. Ai sensi dell’art. 22, su richiesta del debitore, l’esecuzione è rifiutata se la sentenza è incompatibile con una sentenza anteriore pronunciata in uno Stato membro o in un Paese terzo, a condizione che: essa riguardi una causa avente lo stesso oggetto e le stesse parti; sia stata pronunciata nello Stato membro dell’esecuzione o soddisfi le condizioni necessarie per il suo riconoscimento in questo Stato; la persone contro cui viene chiesta l’esecuzione non abbiano fatto valere e non abbiano avuto la possibilità di far valere l’incompatibilità nel procedimento svoltosi nello Stato membro di origine. In ogni caso, la sentenza non può formare oggetto di un riesame del merito nello Stato membro di esecuzione.

17.7. Il riconoscimento delle sentenze arbitrali straniere L’arbitrato è un “metodo alternativo di risoluzione delle controversie” (in quanto non si ricorre ad un procedimento giudiziario), che consiste nell'affidamento ad uno o più soggetti terzi (gli arbitri) dell'incarico IL RICONOSCIMENTO DELLE di risolvere una controversia, SENTENZE ARBITRALI STRANIERE mediante una decisione (il - Convenzione di New York del 10 giugno lodo) che sarà vincolante per 1958; il riconoscimento del lodo straniero le parti e suscettibile di -inper Italia si applica la disciplina di cui agli essere eseguita, anche in artt. 839 e 840 c.p.c.. via forzata. Esso è spesso usato per la risoluzione di controversie civili e commerciali. Gli operatori commerciali, infatti, frequentemente lo preferiscono alla giustizia ordinaria, i cui tempi e formalismi sono spesso di ostacolo in una realtà così dinamica, ed in continua espansione, come appunto quella del commercio internazionale. Le procedure arbitrali, inoltre, vengono preferite non solo per la maggiore snellezza e speditezza rispetto ai processi ordinari, ma anche per la scarsa dimestichezza dei giudici statuali con le

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norme che regolano la contrattazioni transnazionali (si pensi alla lex mercatoria). Per tali ragioni si è cercato di agevolare il riconoscimento delle sentenze emesse da arbitri stranieri negli ordinamenti nazionali. In particolare, il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri sono disciplinati dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958, la quale stabilisce che ciascuno Stato riconosce e accorda esecuzione alle sentenze arbitrali in base alle norme di procedura vigenti nel proprio territorio, a condizioni non più gravose rispetto a quelle previste per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali nazionali (art. 3). Il riconoscimento del lodo straniero in Italia è disciplinato dagli artt. 839 e 840 c.p.c.. La disciplina in essi prevista dà attuazione alle disposizioni della Convenzione di New York del 1958. Inoltre, si è superata la disparità di trattamento tra i lodi interni (che acquistavano efficacia esecutiva con il semplice deposito in Tribunale) e quelli stranieri (che dovevano, invece, essere sottoposti al procedimento di delibazione). Invero, è stato introdotto un procedimento di riconoscimento secondo cui il provvedimento che dichiara l’efficacia del lodo straniero viene emesso inaudita altera parte, previa verifica, da parte del Tribunale in composizione monocratica, delle condizioni richieste dall’art. 839 c.p.c.. Tale norma stabilisce che chi vuol far valere in Italia un lodo straniero deve proporre ricorso al Presidente della Corte d’Appello nella cui circoscrizione risiede l’altra parte. Ricevuto il ricorso, il presidente della Corte d’Appello deve compiere due accertamenti: deve, innanzitutto, accertarsi che la controversia rientri tra quelle che, secondo la legge italiana, possono formare oggetto di compromesso; deve, in secondo luogo, verificare la regolarità formale del lodo, che non deve contenere disposizioni contrarie all’ordine pubblico. Accertata la regolarità formale, dichiara con decreto l’efficacia del lodo nella Repubblica. Qualora, invece, la regolarità formale non sussista, il presidente della Corte d’Appello dichiarerà inefficace in Italia la pronuncia arbitrale.

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Contro il decreto che rigetta il ricorso o che conferisce efficacia al lodo, è possibile proporre opposizione con citazione dinanzi alla Corte d’Appello entro trenta giorni dalla comunicazione del rigetto o dalla notifica del provvedimento di accoglimento. Se l’opposizione non viene proposta nel termine, il decreto di accoglimento diviene esecutivo. Il riconoscimento o l’esecuzione del lodo straniero sono rifiutati dalla Corte d’Appello se, nel giudizio di opposizione, la parte contro la quale il lodo è invocato, prova l’esistenza di una delle circostanze previste dall’art. 840, co. 3 e 4, c.p.c. inerenti la regolarità del procedimento arbitrale, del lodo e della convenzione.

17.8. L’arbitrato commerciale internazionale L’arbitrato commerciale internazionale costituisce un’ulteriore figura di arbitrato che si affianca a quello cd. interno (disciplinato agli art. 806 e ss. c.p.c.) e a L’ARBITRATO COMMERCIALE quello cd. internazionale. INTERNAZIONALE Quest’ultimo, prima del d. - Convenzione Europea sull’arbitrato lgs. 40/2006, trovava la sua commerciale internazionale di Ginevra del 1961; disciplina codicistica negli - in assenza di una lex fori di riferimento, artt. 832 e ss. c.p.c.216 viene dato notevole rilievo alla volontà Successivamente, il delle parti; - in ogni caso, però, spetta all’organo suddetto decreto ha arbitrale scegliere le norme ritenute più soppresso le norme interne appropriate. sull’arbitrato internazionale. Il legislatore, infatti, nel riformare l’intera disciplina sull’arbitrato, ha scelto di adottare uno schema di regolamentazione incentrato sulla "tendenziale" equiparazione dell'arbitrato interno all'arbitrato internazionale, a prescindere dagli elementi di estraneità presenti nella controversia. Egli, tuttavia, non è riuscito a realizzare pienamente tale scopo né dal punto di vista teorico né dal punto di vista applicativo, Invero, l’art. 832 c.p.c definiva “internazionale” l’arbitrato in cui almeno una delle parti risiedesse o avesse la propria sede effettiva all’estero ovvero qualora dovesse essere eseguita all’estero una parte rilevante delle prestazioni nascenti dal rapporto da cui scaturiva la controversia. 216

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atteso che gli arbitrati con elementi di transnazionalità continuano a conservare le loro caratteristiche peculiari e, pertanto, di fatto, continuano a costituire un istituto giuridico autonomo. Inoltre, in assenza di una definizione legislativa ed anche per effetto della Convenzione Europea sull’arbitrato commerciale internazionale di Ginevra del 1961 (resa esecutiva in Italia con L. n. 418/1970), che si occupa appositamente di tale istituto, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato l’ulteriore figura del cd. arbitrato commerciale internazionale217. Lo strumento dell’arbitrato, per i suoi risvolti estremamente pratici (poco formalismo e tempi brevi per la risoluzione della controversia), trova, infatti, la sua massima espressione proprio nel settore del commercio internazionale. Scopo dell’arbitrato commerciale internazionale non è solo quello di evitare i tempi eccessivamente lunghi della giustizia ordinaria ma, soprattutto, quello di essere giudicati da persone esperte dello specifico settore in cui operano le parti, che siano, quindi, in grado di applicare usi e norme, spesso di origine internazionale, ad esso relative. La Convenzione di Ginevra del 1961 attribuisce notevole rilievo alla procedura e alla libertà delle parti che possono o regolare direttamente la procedura o richiamare un regolamento arbitrale esterno, nel rispetto del principio del contraddittorio e dell’uguaglianza tra le parti. Mancando una lex fori di riferimento (in quanto non viene ritenuto tale né il diritto della sede dell’arbitrato né quello nazionale degli arbitri) il parametro che riceve maggiore attenzione è proprio la volontà delle parti. Queste ultime, infatti, possono determinare (con scelta espressa o tacita) le norme sostanziali applicabili al caso concreto optando per la legge nazionale delle stesse o di una di esse oppure alle norme di un ordinamento terzo od anche ad una normativa “anazionale” (come la lex mercatoria). Il termine “commerciale” vuol proprio indicare che l’arbitrato in esame riguarda solo la composizione delle liti che insorgono nei rapporti del commercio internazionale. Resta, dunque, esclusa ogni valutazione relativa all’arbitrato internazionale in senso proprio, quale meccanismo di composizione delle controversie tra enti sovrani, soggetti del diritto internazionale pubblico. 217

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La Convenzione di Ginevra sancisce che, comunque, spetta all’organo arbitrale scegliere le norme ritenute piÚ appropriate conferendo agli arbitri, in ultima analisi, il potere di decidere secondo equità .

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LEGGE 31 MAGGIO 1995, N. 218 Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. (in Suppl. ordinario n. 68, alla Gazz. Uff. n. 128, del 3 giugno 1995) Preambolo La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge: Art. 1. Oggetto della legge. 1. La presente legge determina l'ambito della giurisdizione italiana, pone i criteri per l'individuazione del diritto applicabile e disciplina l'efficacia delle sentenze e degli atti stranieri. Art. 2. Convenzioni internazionali. 1. Le disposizioni della presente legge non pregiudicano l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia. 2. Nell'interpretazione di tali convenzioni si terrà conto del loro carattere internazionale e dell'esigenza della loro applicazione uniforme. Art. 3. Ambito della giurisdizione. 1. La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell'art. 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge. 2. La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la legge 21 giugno 1971, n. 804 e successive modificazioni in vigore per l'Italia, anche allorchè il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio. Art. 4. Accettazione e deroga della giurisdizione. 1. Quando non vi sia giurisdizione in base all'art. 3, essa nondimeno sussiste se le parti l'abbiano convenzionalmente accettata e tale

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accettazione sia provata per iscritto, ovvero il convenuto compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo. 2. La giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili. 3. La deroga è inefficace se il giudice o gli arbitri indicati declinano la giurisdizione o comunque non possono conoscere della causa. Art. 5. Azioni reali relative ad immobili siti all'estero. 1. La giurisdizione italiana non sussiste rispetto ad azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all'estero. Art. 6. Questioni preliminari. 1. Il giudice italiano conosce, incidentalmente, le questioni che non rientrano nella giurisdizione italiana e la cui soluzione è necessaria per decidere sulla domanda proposta. Art. 7. Pendenza di un processo straniero. 1. Quando, nel corso del giudizio, sia eccepita la previa pendenza tra le stesse parti di domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a un giudice straniero, il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l'ordinamento italiano, sospende il giudizio. Se il giudice straniero declina la propria giurisdizione o se il provvedimento straniero non è riconosciuto nell'ordinamento italiano, il giudizio in Italia prosegue, previa riassunzione ad istanza della parte interessata. 2. La pendenza della causa innanzi al giudice straniero si determina secondo la legge dello Stato in cui il processo si svolge. 3. Nel caso di pregiudizialità di una causa straniera, il giudice italiano può sospendere il processo se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetti per l'ordinamento italiano. Art. 8. Momento determinante della giurisdizione. 1. Per la determinazione della giurisdizione italiana si applica l'art. 5 del codice di procedura civile. Tuttavia la giurisdizione sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo. Art. 9. Giurisdizione volontaria. 1. In materia di giurisdizione volontaria, la giurisdizione sussiste, oltre che nei casi specificamente contemplati dalla presente legge e in quelli in cui è prevista la competenza per territorio di un giudice italiano, quando il

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provvedimento richiesto concerne un cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando esso riguarda situazioni o rapporti ai quali è applicabile la legge italiana. Art. 10. Materia cautelare. 1. In materia cautelare, la giurisdizione italiana sussiste quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha giurisdizione nel merito. Art. 11. Rilevabilità del difetto di giurisdizione. 1. Il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. é rilevato dal giudice d'ufficio, sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se ricorre l'ipotesi di cui all'art. 5, ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di norma internazionale. Art. 12. Legge regolatrice del processo. 1. Il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana. Art. 13. Rinvio. 1. Quando negli articoli successivi è richiamata la legge straniera, si tiene conto del rinvio operato dal diritto internazionale privato straniero alla legge di un altro Stato: --a) se il diritto di tale Stato accetta il rinvio; --b) se si tratta di rinvio alla legge italiana. 2. L'applicazione del comma 1 è tuttavia esclusa: --a) nei casi in cui le disposizioni della presente legge rendono applicabile la legge straniera sulla base della scelta effettuata in tal senso dalle parti interessate; --b) riguardo alle disposizioni concernenti la forma degli atti; --c) in relazione alle disposizioni del Capo XI del presente Titolo. 3. Nei casi di cui agli articoli 33, 34 e 35 si tiene conto del rinvio soltanto se esso conduce all'applicazione di una legge che consente lo stabilimento della filiazione. 4. Quando la presente legge dichiara in ogni caso applicabile una convenzione internazionale si segue sempre, in materia di rinvio, la soluzione adottata dalla convenzione. Art. 14. Conoscenza della legge straniera applicabile. 1. L'accertamento della legge straniera è compiuto d'ufficio dal giudice. A tal fine questi può avvalersi, oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali, di informazioni acquisite per il tramite del Ministero di grazia e giustizia; può altresì interpellare esperti o istituzioni

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specializzate. 2. Qualora il giudice non riesca ad accertare la legge straniera indicata, neanche con l'aiuto delle parti, applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana. Art. 15. Interpretazione e applicazione della legge straniera. 1. La legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo. Art. 16. Ordine pubblico. 1. La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico. 2. In tal caso si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana. Art. 17. Norme di applicazione necessaria. 1. é fatta salva la prevalenza sulle disposizioni che seguono delle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera. Art. 18. Ordinamenti plurilegislativi. 1. Se nell'ordinamento dello Stato richiamato dalle disposizioni della presente legge coesistono più sistemi normativi a base territoriale o personale, la legge applicabile si determina secondo i criteri utilizzati da quell'ordinamento. 2. Se tali criteri non possono essere individuati, si applica il sistema normativo con il quale il caso di specie presenta il collegamento più stretto. Art. 19. Apolidi, rifugiati e persone con più cittadinanze. 1. Nei casi in cui le disposizioni della presente legge richiamano la legge nazionale di una persona, se questa è apolide o rifugiata si applica la legge dello Stato del domicilio o, in mancanza, la legge dello Stato di residenza. 2. Se la persona ha più cittadinanze, si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale. Art. 20. Capacità giuridica delle persone fisiche.

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1. La capacità giuridica delle persone fisiche è regolata dalla loro legge nazionale. Le condizioni speciali di capacità, prescritte dalla legge regolatrice di un rapporto, sono disciplinate dalla stessa legge. Art. 21. Commorienza. 1. Quando occorre stabilire la sopravvivenza di una persona ad un'altra e non consta quale di esse sia morta prima, il momento della morte si accerta in base alla legge regolatrice del rapporto rispetto al quale l'accertamento rileva. Art. 22. Scomparsa, assenza e morte presunta. 1. I presupposti e gli effetti della scomparsa, dell'assenza e della morte presunta di una persona sono regolati dalla sua ultima legge nazionale. 2. Sussiste la giurisdizione italiana per le materie di cui al comma 1: --a) se l'ultima legge nazionale della persona era quella italiana; --b) se l'ultima residenza della persona era in Italia; --c) se l'accertamento della scomparsa, dell'assenza o della morte presunta può produrre effetti giuridici nell'ordinamento italiano. Art. 23. Capacità di agire delle persone fisiche. 1. La capacità di agire delle persone fisiche è regolata dalla loro legge nazionale. Tuttavia, quando la legge regolatrice di un atto prescrive condizioni speciali di capacità di agire, queste sono regolate dalla stessa legge. 2. In relazione a contratti tra persone che si trovano nello stesso Stato, la persona considerata capace dalla legge dello Stato in cui il contratto è concluso può invocare l'incapacità derivante dalla propria legge nazionale solo se l'altra parte contraente, al momento della conclusione del contratto, era a conoscenza di tale incapacità o l'ha ignorata per sua colpa. 3. In relazione agli atti unilaterali, la persona considerata capace dalla legge dello Stato in cui l'atto è compiuto può invocare l'incapacità derivante dalla propria legge nazionale soltanto se ciò non rechi pregiudizio a soggetti che senza loro colpa hanno fatto affidamento sulla capacità dell'autore dell'atto. 4. Le limitazioni di cui ai commi 2 e 3 non si applicano agli atti relativi a rapporti di famiglia e di successione per causa di morte, nè agli atti relativi a diritti reali su immobili situati in uno Stato diverso da quello in cui l'atto è compiuto. Art. 24. Diritti della personalità. 1. L'esistenza ed il contenuto dei diritti della personalità sono regolati dalla legge nazionale del soggetto; tuttavia i diritti che derivano da un rapporto di famiglia sono regolati dalla legge applicabile a tale rapporto.

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2. Le conseguenze della violazione dei diritti di cui al comma 1 sono regolate dalla legge applicabile alla responsabilità per fatti illeciti. Art. 25. Società ed altri enti. 1. Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti. 2. In particolare sono disciplinati dalla legge regolatrice dell'ente: --a) la natura giuridica; --b) la denominazione o ragione sociale; --c) la costituzione, la trasformazione e l'estinzione; --d) la capacità; --e) la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi; --f) la rappresentanza dell'ente; --g) le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonchè i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità; --h) la responsabilità per le obbligazioni dell'ente; --i) le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo. 3. I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati. Art. 26. Promessa di matrimonio. 1. La promessa di matrimonio e le conseguenze della sua violazione sono regolate dalla legge nazionale comune dei nubendi o, in mancanza, dalla legge italiana. Art. 27. Condizioni per contrarre matrimonio. 1. La capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio. Resta salvo lo stato libero che uno dei nubendi abbia acquistato per effetto di un giudicato italiano o riconosciuto in Italia. Art. 28. Forma del matrimonio. 1. Il matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento. Art. 29. Rapporti personali tra coniugi.

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1. I rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale comune. 2. I rapporti personali tra coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata. Art. 30. Rapporti patrimoniali tra coniugi. 1. I rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalla legge applicabile ai loro rapporti personali. I coniugi possono tuttavia convenire per iscritto che i loro rapporti patrimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede. 2. L'accordo dei coniugi sul diritto applicabile è valido se è considerato tale dalla legge scelta o da quella del luogo in cui l'accordo è stato stipulato. 3. Il regime dei rapporti patrimoniali fra coniugi regolato da una legge straniera è opponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano ignorato per loro colpa. Relativamente ai diritti reali su beni immobili, l'opponibilità è limitata ai casi in cui siano state rispettate le forme di pubblicità prescritte dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano. Art. 31. Separazione personale e scioglimento del matrimonio. 1. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda di separazione o di scioglimento del matrimonio; in mancanza si applica la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risulta prevalentemente localizzata. 2. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio, qualora non siano previsti dalla legge straniera applicabile, sono regolati dalla legge italiana. Art. 32. Giurisdizione in materia di nullità, annullamento, separazione personale e scioglimento del matrimonio. 1. In materia di nullità e di annullamento del matrimonio, di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti dall'art. 3, anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia. Art. 33. Filiazione. (1) 1. Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio o, se più favorevole, dalla legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino, al momento della nascita. 2. La legge individuata ai sensi del comma 1 regola i presupposti e gli effetti dell'accertamento e della contestazione dello stato di figlio; qualora

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la legge così individuata non permetta l'accertamento o la contestazione dello stato di figlio si applica la legge italiana. 3. Lo stato di figlio, acquisito in base alla legge nazionale di uno dei genitori, non può essere contestato che alla stregua di tale legge; se tale legge non consente la contestazione si applica la legge italiana. 4. Sono di applicazione necessaria le norme del diritto italiano che sanciscono l'unicità dello stato di figlio. (1) Articolo così sostituito dall'art. 101, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, ai sensi di quanto disposto dall'art. 108, comma 1 del medesimo D.Lgs. 154/2013. Art. 34. Legittimazione. (.......) (1) Articolo abrogato dall'art. 105, comma 1, lett. c), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, ai sensi di quanto disposto dall'art. 108, comma 1 del medesimo D.Lgs. 154/2013. Art. 35. Riconoscimento di figlio. (1) 1. Le condizioni per il riconoscimento del figlio sono regolate dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita, o se più favorevole, dalla legge nazionale del soggetto che fa il riconoscimento, nel momento in cui questo avviene; se tali leggi non prevedono il riconoscimento si applica la legge italiana. (2) 2. La capacità del genitore di fare il riconoscimento è regolata dalla sua legge nazionale. 3. La forma del riconoscimento è regolata dalla legge dello Stato in cui esso è fatto o da quella che ne disciplina la sostanza. (1) Rubrica così modificata dall'art. 101, comma 1, lett. b), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, ai sensi di quanto disposto dall'art. 108, comma 1 del medesimo D.Lgs. 154/2013. (2) Comma così sostituito dall'art. 101, comma 1, lett. b), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, ai sensi di quanto disposto dall'art. 108, comma 1 del medesimo D.Lgs. 154/2013. Art. 36. Rapporti tra genitori e figli. 1. I rapporti personali e patrimoniali tra genitori e figli, compresa la responsabilità genitoriale, sono regolati dalla legge nazionale del figlio. (1) (1) Comma così modificato dall'art. 101, comma 1, lett. c), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, ai sensi di quanto disposto dall'art. 108, comma 1 del medesimo D.Lgs. 154/2013.

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Art. 36-bis (1) 1. Nonostante il richiamo ad altra legge, si applicano in ogni caso le norme del diritto italiano che: a) attribuiscono ad entrambi i genitori la responsabilità genitoriale; b) stabiliscono il dovere di entrambi i genitori di provvedere al mantenimento del figlio; c) attribuiscono al giudice il potere di adottare provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli per il figlio. (1) Articolo inserito dall'art. 101, comma 1, lett. d), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, ai sensi di quanto disposto dall'art. 108, comma 1 del medesimo D.Lgs. 154/2013. Art. 37. Giurisdizione in materia di filiazione. 1. In materia di filiazione e di rapporti personali fra genitori e figli la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti rispettivamente dagli articoli 3 e 9, anche quando uno dei genitori o il figlio è cittadino italiano o risiede in Italia. Art. 38. Adozione. 1. I presupposti, la costituzione e la revoca dell'adozione sono regolati dal diritto nazionale dell'adottante o degli adottanti se comune o, in mancanza, dal diritto dello Stato nel quale gli adottanti sono entrambi residenti, ovvero da quello dello Stato nel quale la loro vita matrimoniale è prevalentemente localizzata, al momento dell'adozione. Tuttavia si applica il diritto italiano quando è richiesta al giudice italiano l'adozione di un minore, idonea ad attribuirgli lo stato di figlio. (1) 2. é in ogni caso salva l'applicazione della legge nazionale dell'adottando maggiorenne per la disciplina dei consensi che essa eventualmente richieda. (1) Comma così modificato dall'art. 101, comma 1, lett. e), D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014, ai sensi di quanto disposto dall'art. 108, comma 1 del medesimo D.Lgs. 154/2013. Art. 39. Rapporti fra adottato e famiglia adottiva. 1. I rapporti personali e patrimoniali fra l'adottato e l'adottante o gli adottanti ed i parenti di questi sono regolati dal diritto nazionale dell'adottante o degli adottanti se comune o, in mancanza, dal diritto dello Stato nel quale gli adottanti sono entrambi residenti ovvero da quello

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dello Stato nel quale la loro vita matrimoniale è prevalentemente localizzata.

Art. 40. Giurisdizione in materia di adozione. 1. I giudici italiani hanno giurisdizione in materia di adozione allorchè: -a) gli adottanti o uno di essi o l'adottando sono cittadini italiani ovvero stranieri residenti in Italia; --b) l'adottando è un minore in stato di abbandono in Italia. 2. In materia di rapporti personali o patrimoniali fra l'adottato e l'adottante o gli adottanti ed i parenti di questi i giudici italiani hanno giurisdizione, oltre che nelle ipotesi previste dall'art. 3, ogni qualvolta l'adozione si è costituita in base al diritto italiano. Art. 41. Riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione. 1. I provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli articoli 64, 65 e 66. 2. Restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori. Art. 42. Giurisdizione e legge applicabile in materia di protezione dei minori. 1. La protezione dei minori è in ogni caso regolata dalla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, resa esecutiva con la legge 24 ottobre 1980, n. 742. 2. Le disposizioni della Convenzione si applicano anche alle persone considerate minori soltanto dalla loro legge nazionale, nonchè alle persone la cui residenza abituale non si trova in uno degli Stati contraenti. Art. 43. Protezione dei maggiori d'età. 1. I presupposti e gli effetti delle misure di protezione degli incapaci maggiori di età, nonchè i rapporti fra l'incapace e chi ne ha la cura, sono regolati dalla legge nazionale dell'incapace. Tuttavia, per proteggere in via provvisoria e urgente la persona o i beni dell'incapace, il giudice italiano può adottare le misure previste dalla legge italiana. Art. 44. Giurisdizione in materia di protezione dei maggiori d'età. 1. La giurisdizione italiana in materia di misure di protezione degli incapaci maggiori di età sussiste, oltre che nei casi previsti dagli articoli 3 e 9, anche quando esse si rendono necessarie per proteggere, in via provvisoria e urgente, la persona o i beni dell'incapace che si trovino in Italia. 2. Quando in base all'art. 66 dell'ordinamento italiano si producono

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gli effetti di un provvedimento straniero in materia di capacità di uno straniero, la giurisdizione italiana sussiste per pronunciare i provvedimenti modificativi o integrativi eventualmente necessari. Art. 45. Obbligazioni alimentari nella famiglia. 1. Le obbligazioni alimentari nella famiglia sono in ogni caso regolate dalla Convenzione dell'Aja del 2 ottobre 1973 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, resa esecutiva con la legge 24 ottobre 1980, n. 745. Art. 46. Successione per causa di morte. 1. La successione per causa di morte è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta, al momento della morte. 2. Il soggetto della cui eredità si tratta può sottoporre, con dichiarazione espressa in forma testamentaria, l'intera successione alla legge dello Stato in cui risiede. La scelta non ha effetto se al momento della morte il dichiarante non risiedeva più in tale Stato. Nell'ipotesi di successione di un cittadino italiano, la scelta non pregiudica i diritti che la legge italiana attribuisce ai legittimari residenti in Italia al momento della morte della persona della cui successione si tratta. 3. La divisione ereditaria è regolata dalla legge applicabile alla successione, salvo che i condividenti, d'accordo fra loro, abbiano designato la legge del luogo d'apertura della successione o del luogo ove si trovano uno o più beni ereditari. Art. 47. Capacità di testare. 1. La capacità di disporre per testamento, di modificarlo o di revocarlo è regolata dalla legge nazionale del disponente al momento del testamento, della modifica o della revoca. Art. 48. Forma del testamento. 1. Il testamento è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge dello Stato nel quale il testatore ha disposto, ovvero dalla legge dello Stato di cui il testatore, al momento del testamento o della morte, era cittadino o dalla legge dello Stato in cui aveva il domicilio o la residenza. Art. 49. Successione dello Stato. 1. Quando la legge applicabile alla successione, in mancanza di successibili, non attribuisce la successione allo Stato, i beni ereditari esistenti in Italia sono devoluti allo Stato italiano.

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Art. 50. Giurisdizione in materia successoria. 1. In materia successoria la giurisdizione italiana sussiste: --a) se il defunto era cittadino italiano al momento della morte; --b) se la successione si è aperta in Italia; --c) se la parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica è situata in Italia; --d) se il convenuto è domiciliato o residente in Italia o ha accettato la giurisdizione italiana, salvo che la domanda sia relativa a beni immobili situati all'estero; --e) se la domanda concerne beni situati in Italia. Art. 51. Possesso e diritti reali. 1. Il possesso, la proprietà e gli altri diritti reali sui beni mobili ed immobili sono regolati dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano. 2. La stessa legge ne regola l'acquisto e la perdita, salvo che in materia successoria e nei casi in cui l'attribuzione di un diritto reale dipenda da un rapporto di famiglia o da un contratto. Art. 52. Diritti reali su beni in transito. 1. I diritti reali su beni in transito sono regolati dalla legge del luogo di destinazione. Art. 53. Usucapione di beni mobili. 1. L'usucapione di beni mobili è regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al compimento del termine prescritto. Art. 54. Diritti su beni immateriali. 1. I diritti su beni immateriali sono regolati dalla legge dello Stato di utilizzazione. Art. 55. Pubblicità degli atti relativi ai diritti reali. 1. La pubblicità degli atti di costituzione, trasferimento ed estinzione dei diritti reali è regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al momento dell'atto. Art. 56. Donazioni. 1. Le donazioni sono regolate dalla legge nazionale del donante al momento della donazione. 2. Il donante può, con dichiarazione espressa contestuale alla donazione, sottoporre la donazione stessa alla legge dello Stato in cui egli risiede. 3. La donazione è valida, quanto alla forma, se è

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considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato nel quale l'atto è compiuto. Art. 57. Obbligazioni contrattuali. 1. Le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con la legge 18 dicembre 1984, n. 975, senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili. Art. 58. Promessa unilaterale. 1. La promessa unilaterale è regolata dalla legge dello Stato in cui viene manifestata. Art. 59. Titoli di credito. 1. La cambiale, il vaglia cambiario e l'assegno sono in ogni caso regolati dalle disposizioni contenute nelle Convenzioni di Ginevra del 7 giugno 1930, sui conflitti di legge in materia di cambiale e di vaglia cambiario, di cui al regio decreto-legge 25 agosto 1932, n. 1130, convertito dalla legge 22 dicembre 1932, n. 1946, e del 19 marzo 1931, sui conflitti di legge in materia di assegni bancari, di cui al regio decreto-legge 24 agosto 1933, n. 1077, convertito dalla legge 4 gennaio 1934, n. 61. 2. Tali disposizioni si applicano anche alle obbligazioni assunte fuori dei territori degli Stati contraenti e allorchè esse designino la legge di uno Stato non contraente. 3. Gli altri titoli di credito sono regolati dalla legge dello Stato in cui il titolo è stato emesso. Tuttavia le obbligazioni diverse da quella principale sono regolate dalla legge dello Stato in cui ciascuna è stata assunta. Art. 60. Rappresentanza volontaria. 1. La rappresentanza volontaria è regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede d'affari sempre che egli agisca a titolo professionale e che tale sede sia conosciuta o conoscibile dal terzo. In assenza di tali condizioni si applica la legge dello Stato in cui il rappresentante esercita in via principale i suoi poteri nel caso concreto. 2. L'atto di conferimento dei poteri di rappresentanza è valido, quanto alla forma, se considerato tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui è posto in essere. Art. 61. Obbligazioni nascenti dalla legge.

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1. La gestione di affari altrui, l'arricchimento senza causa, il pagamento dell'indebito e le altre obbligazioni legali, non diversamente regolate dalla presente legge, sono sottoposti alla legge dello Stato in cui si è verificato il fatto da cui deriva l'obbligazione. Art. 62. Responsabilità per fatto illecito. 1. La responsabilità per fatto illecito è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l'evento. Tuttavia il danneggiato può chiedere l'applicazione della legge dello Stato in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno. 2. Qualora il fatto illecito coinvolga soltanto cittadini di un medesimo Stato in esso residenti, si applica la legge di tale Stato. Art. 63. Responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto. 1. La responsabilità per danno da prodotto è regolata, a scelta del danneggiato, dalla legge dello Stato in cui si trova il domicilio o l'amministrazione del produttore, oppure da quella dello Stato in cui il prodotto è stato acquistato, a meno che il produttore provi che il prodotto vi è stato immesso in commercio senza il suo consenso. Art. 64. Riconoscimento di sentenze straniere. 1. La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando: --a) il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i princìpi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano; --b) l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa; --c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge; -d) essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata; --e) essa non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato; --f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero; --g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all'ordine pubblico. Art. 65. Riconoscimento di provvedimenti stranieri. 1. Hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonchè all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono

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effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purchè non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa. Art. 66. Riconoscimento di provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria. 1. I provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione sono riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, sempre che siano rispettate le condizioni di cui all'art. 65, in quanto applicabili, quando sono pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle disposizioni della presente legge, o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato ancorchè emanati da autorità di altro Stato, ovvero sono pronunciati da un'autorità che sia competente in base a criteri corrispondenti a quelli propri dell'ordinamento italiano. Art. 67. Attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento. 1. In caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera o del provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, ovvero quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia interesse può chiedere all'autorità giudiziaria ordinaria l'accertamento dei requisiti del riconoscimento. (1) 1-bis. Le controversie di cui al comma 1 sono disciplinate dall'articolo 30 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. (2) 2. La sentenza straniera o il provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, unitamente al provvedimento che accoglie la domanda di cui al comma 1, costituiscono titolo per l'attuazione e per l'esecuzione forzata. 3. Se la contestazione ha luogo nel corso di un processo, il giudice adito pronuncia con efficacia limitata al giudizio. (1) Comma così modificato dall'art. 34, comma 38, lett. a), D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150; per l'applicazione di tale disposizione, vedi l'art. 36 del medesimo D.Lgs. 150/2011. (2) Comma inserito dall'art. 34, comma 38, lett. b), D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150; per l'applicazione di tale disposizione, vedi l'art. 36 del medesimo D.Lgs. 150/2011. Art. 68. Attuazione ed esecuzione di atti pubblici ricevuti all'estero. 1. Le norme di cui all'art. 67 si applicano anche rispetto all'attuazione e all'esecuzione forzata in Italia di atti pubblici ricevuti in uno Stato estero e ivi muniti di forza esecutiva.

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Art. 69. Assunzione di mezzi di prova disposti da giudici stranieri. 1. Le sentenze e i provvedimenti di giudici stranieri riguardanti esami di testimoni, accertamenti tecnici, giuramenti, interrogatori o altri mezzi di prova da assumersi nella Repubblica sono resi esecutivi con decreto della corte d'appello del luogo in cui si deve procedere a tali atti. 2. Se l'assunzione dei mezzi di prova è chiesta dalla parte interessata, l'istanza è proposta alla corte mediante ricorso, al quale deve essere unita copia autentica della sentenza o del provvedimento che ha ordinato gli atti chiesti. Se l'assunzione è domandata dallo stesso giudice, la richiesta deve essere trasmessa in via diplomatica. 3. La corte delibera in camera di consiglio e, qualora autorizzi l'assunzione, rimette gli atti al giudice competente. 4. Può disporsi l'assunzione di mezzi di prova o l'espletamento di altri atti istruttori non previsti dall'ordinamento italiano semprechè essi non contrastino con i princìpi dell'ordinamento stesso. 5. L'assunzione o l'espletamento richiesti sono disciplinati dalla legge italiana. Tuttavia si osservano le norme espressamente richieste dall'autorità giudiziaria straniera in quanto compatibili con i princìpi dell'ordinamento italiano. Art. 70. Esecuzione richiesta in via diplomatica. 1. Se la richiesta per l'assunzione di mezzi di prova di atti di istruzione è fatta in via diplomatica e la parte interessata non ha costituito un procuratore che ne promuova l'assunzione, i provvedimenti necessari per questa sono pronunciati d'ufficio dal giudice procedente e le notificazioni sono fatte a cura del cancelliere. Art. 71. Notificazione di atti di autorità straniere. 1. La notificazione di citazioni a comparire davanti ad autorità straniere o di altri atti provenienti da uno Stato estero è autorizzata dal pubblico ministero presso il tribunale nella cui giurisdizione la notificazione si deve eseguire. 2. La notificazione richiesta in via diplomatica è eseguita, a cura del pubblico ministero, da un ufficiale giudiziario da lui richiesto. 3. La notificazione avviene secondo le modalità previste dalla legge italiana. Tuttavia si osservano le modalità richieste dall'autorità straniera in quanto compatibili con i princìpi dell'ordinamento italiano. In ogni caso l'atto può essere consegnato, da chi procede alla notificazione, al destinatario che lo accetti volontariamente. Art. 72. Disposizioni transitorie. 1. La presente legge si applica in tutti i giudizi iniziati dopo la data della sua entrata in vigore, fatta salva l'applicabilità alle situazioni esaurite

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prima di tale data delle previgenti norme di diritto internazionale privato. 2. I giudizi pendenti sono decisi dal giudice italiano se i fatti e le norme che determinano la giurisdizione sopravvengono nel corso del processo. Art. 73 (1) Abrogazioni. 1. Sono abrogati gli articoli dal 17 al 31 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, nonchÊ gli articoli 2505 e 2509 del codice civile e gli articoli 2, 3, 4 e 37, secondo comma, del codice di procedura civile; gli articoli dal 796 all'805 del codice di procedura civile sono abrogati a far data dal 31 dicembre 1996. (1) Articolo cosÏ da ultimo sostituito dal D.L. 23 ottobre 1996, n. 542. Art. 74 (1) Entrata in vigore. 1. La presente legge entra in vigore il 1° settembre 1995; gli articoli dal 64 al 71 entrano in vigore il 31 dicembre 1996. (1) Articolo cosÏ da ultimo sostituito dal D.L. 23 ottobre 1996, n. 542.

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