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Quali strade per una “decrescita” felice? di livia savorelli
«Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose» Albert Einstein
Reduci, fortunatamente, dalle non avverate profezie Maya, affrontiamo il nuovo anno in maniera critica ponendo, con questo primo numero che apre il 2013, interrogativi che coinvolgono tutti noi come individui, cittadini, abitanti di un pianeta. Poche ma solide le nostre certezze: certi che crescere all’infinito in un ambiente dalle risorse finite non sia una strada. Certi che il benessere di pochi acuisca in maniera esponenziale la disuguaglianza di molti. Certi che la crisi energetica, le emergenze sociali e quelle ambientali richiedano sforzi immediati ed impongano una sobrietà sistematica e la costruzione sociale di un “senso del limite”. Certi che la globalizzazione abbia sì avvicinato e reso tutto più fruibile ma abbia anche sostanzialmente impoverito la cultura rendendola un’enorme massa omogenea (a questo aggiungiamo la costante strumentalizzazione e l’imbarbarimento degli strumenti di informazione di massa). Certi di tutto questo, ci domandiamo: perché non udiamo – su scala globale – un grido di allarme? Perché le personalità del mondo della cultura, della scienza, della politica e, perché no, dello spettacolo non si fanno portavoce di “valori” che possano essere condivisi e “sicurezze” che tranquillizzino gli animi, in un mondo sempre più votato all’incertezza? Una della poche voci del coro è stata – in un contesto che sarà sicuramente ricordato come un grande evento mediatico: Rock Economy, Arena di Verona, 8-9 ottobre 2012 – Adriano Celentano, che scevro da quella retorica e quel lassismo tipico della classe politica, ha esordito con «siamo pezzi di un motore sparsi ovunque che non trova più la via per l’assemblaggio per una vita diversa da quella che viviamo adesso» ma «i tempi sono maturi per rimuovere questo nostro apatico sistema di vita». Approfondendo il concetto con l’intervento dell’economista francese Jean Paul Fitoussi, per far comprendere come crescita economica e democrazia debbano essere direttamente proporzionali... In un sistema votato all’implosione in cui l’uomo sta man mano perdendo la sua centralità, sorpassato quotidianamente dal mercato, dallo spread e dalla legge di stabilità, diviene sempre più pressante parlare di nuovi ed urgenti modelli di sviluppo, che devono comportare una decrescita, ovvero una crescita di qualità che avvenga nei limiti e nel rispetto dei valori umani ed ambientali, in un rigenerato contesto politico e sociale. Per gli ottusi, i ciechi, gli ottimisti ad oltranza, una semplice domanda: quale futuro?
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espoarte #79
Mirko Baricchi, Carta 13 (particolare), 2012, tecnica mista su carta, cm 41x37. Courtesy: Cardelli & Fontana artecontemporanea, Sarzana (SP). Foto: Dario Lasagni
Pizzi cannella 19 gennaio – 17 marzo 2013
museo internazionale delle ceramiche in faenza
con il patrocinio di
comune di faenza con il contributo di
museo internazionale delle ceramiche in faenza viale Baccarini, 19, Faenza (Ra) www.micfaenza.org
indice #79 16 Antineutrale #5 | Post-Arte, Zeitgeist e Weltanschauung | di Roberto Floreani 18 Esercizi di stile | Arte: fatti infrastruttura. Colmare, attraversare, far correre e lasciare | di Luisa Castellini 20 Pensieri Albini #12 | di Alberto Zanchetta 24 New Media Art | Doug Aitken. Altered Earth: un’opera d’arte multimediale e un’applicazione web | di Chiara Canali 26 Gremlins | Cinema in pillole. Come disintossicarsi dal Natale | di Mattia Zappile 28 Concetti visibili | L’opera che sta in mezzo a noi | di Leonardo Conti
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56 Roman Signer | Il tempo materiale | intervista di Ginevra Bria
Speciale Mumbai
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Tonosutono - La musica è sempre e solo una: quella buona... | Stravinskij = Miles Davis = Jimi Hendrix: l’originale viaggio di Enrico Merlin nella musica del Novecento | di Gabriele Salvaterra
38 Hans Ulrich Obrist | The art of expanding notions | intervista di Ginevra Bria 46
Mirko Baricchi | Sempre più incline al rischio dello sconosciuto, in favore della meraviglia | intervista di Viviana Siviero
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Mumbai Mon Amour. La deflagrazione della bomba chiamata arte indiana | di Igor Zanti Mumbai Vague. Luoghi, persone, idee, progetti della New York indiana: Sakshi Gallery - Intervista a Geetha Mehra | di Igor Zanti Gallery Maskara Project 88 The Guild Curator “Masala”: il contemporaneo in India, parola di curatrice Riflessioni di una testimone del “Rinascimento” indiano | di Kanchi Metha Una nuova estetica per l’India contemporanea | di Veeranganakumari Solanki
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52 Fermo immagine | David Reimondo. Non di solo pane... | di Chiara Serri
ESPOARTE #79 | Anno XIV | Trimestre n.1 2013 Direttore editoriale Livia Savorelli Publisher Diego Santamaria
Redazione via Traversa dei Ceramisti 8/b 17012 Albissola Marina (SV) Tel. +39 019 4004123 redazione@espoarte.net
Segreteria di redazione Francesca Di Giorgio Direttore responsabile Silvia Campese 10 | espoarte 79
Collaboratori Ginevra Bria Luisa Castellini Francesca Di Giorgio Matteo Galbiati Chiara Serri Viviana Siviero Alberto Zanchetta Igor Zanti Rubriche Leonardo Conti Chiara Canali Luisa Castellini Roberto Floreani Alberto Zanchetta Mattia Zappile
Contributi di Deianira Amico Ilaria Bignotti Francesca Caputo Rosa Carnevale Giovanni Cervi Laura Francesca Di Trapani Elena Dolcini Massimo Ferrando Marcella Ferro Alessandra Giacardi Elena Girelli Roberto Lacarbonara Alberto Mattia Martini Gabriele Salvaterra Maria Cristina Strati Daniela Trincia Alessandro Trabucco Alice Zannoni
72 Design Limited Edition | CTRLZAK | Enigmi creativi: cancellando si crea | di Ilaria Bignotti 74 Fermo immagine | Dhruv Malhotra. La notte, sotto il cielo di Noida | di Francesca Di Giorgio
Giovani
76 Cristina Gardumi | Solo perché lo senti non è detto che sia così | di Viviana Siviero 78 Giorgio Tentolini | Corpi rarefatti: l’uomo incorporeo in cerca di una storia | di Matteo Galbiati 80 Laura Giardino | Il senso dell’attesa | di Chiara Serri 82 Tania Brassesco e Lazlo Passi Norberto | L’essenza della decadenza | di Alessandro Trabucco
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90 84 Talkin’ | Cabib’s Format | di Giovanni Cervi 86 PierPaolo Koss | Dall’io al corpo pubblico | intervista di Viviana Siviero 90 Talkin’ | Lori Nix. Cose dell’altro mondo | di Ilaria Bignotti 92 Caterina Crepax | Guido Crepax, il Conte Dracula e Valentina | intervista di Francesca Caputo 98 Open Studios | Bigas Luna e Paolo Maggis. A tu per tu. Fatti di vita ed arte | di Alberto Mattia Martini 102 Gianni Pettena | Architettura come reversibilità di Natura | intervista di Ginevra Bria
Speciale Design Sostenibile
110 Come costruire bene il mondo? Il compito morale del design e le 8R di Latouche | di Alessandra Giacardi e Massimo Ferrando 116 Sperimentazioni contemporanee per un design sostenibile | a cura della Redazione 120 Nathalie Djurberg e Hans Berg | Favole per soli adulti per il Premio Pino Pascali 2012 | intervista di Daniela Trincia 124 Nuovi Spazi | Officina delle Zattere a Venezia. Un laboratorio aperto alla sperimentazione trasversale | Intervista a Marco Agostinelli e Germano Donato di Francesca Di Giorgio 128 Fermo immagine | Naufus Ramìrez- Figueroa. Dalla terra di Xoaticol | di Francesca Di Giorgio
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108 Design Sostenibile. È bello ciò che è bene | di Alice Zannoni
ESPOARTE
Registrazione del Tribunale di Savona n. 517 del 15 febbraio 2001 Espoarte è un periodico di arte e cultura contemporanea edito dall’Associazione Culturale Arteam. © Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l’autorizzazione scritta della Direzione e dell’Editore. Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile alla redazione per la pubblicazione di articoli vanno inviati all’indirizzo di redazione. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista. Tutti i materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti.
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Simone Ferrarini, Jim Morrison, 2012, acrilico su carta, performance pittorica
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2 ti en La cultura è il miglior viatico per la vecchiaia Aristotele
hans ulrich obrist intervista di ginevra bria
The art of expanding notions 16 novembre 2012, Milano. Hans Ulrich Obrist inaugura Didascalia di Alberto Garutti, al Padiglione d’Arte Contemporanea. Giornalisti e telecamere lo assediano, è un intellettuale raro in Italia, una figura che sembra viaggiare troppo spesso, verso qualsiasi luogo racconti l’arte, per soffermarsi abbastanza a lungo. Ma noi siamo riusciti a colloquiare a lungo con lui, realizzando un’intervista fatta di vita, insegnamenti e novità.
GINEVRA BRIA: Parlando della recente inaugurazione di Didascalia e di una possibile origine della scintilla che ha dato vita al progetto, quando è scaturito e, a suo parere, quali dettagli della poetica di Garutti devono emergere? Hans Ulrich Obrist: Sicuramente la multidimensionalità è il motore che spinge e il filo che lega tutta la poetica di Garutti. Il suo è un esercizio poetico che sfugge sempre ad ogni certa definizione. Non esiste una teoria univoca per definire questa sorta di superstream, di sovra-flusso creatore che coinvolge e mette in connessione elementi come: la natura, la luce, il tempo e la materia così come il disegno. Vero è che la multidimensionalità di Garutti si fonde perfettamente con una grande organizzazione del percorso formale e con l’emergere di una dimensione empatica dell’opera d’arte nei confronti del pubblico. Da qui il titolo Didascalia, come percorso che sposta il punto di vista dall’opera in sé allo spettatore, diventandone la protesi e comunicando per disseminazione delle proprie parti (vd. Didascalia, 2012, stampa digitale su fogli di carta colorati, pile di fogli cm 43,5x64, altezze variabili). La vera scintilla del lavoro di Garutti è la memoria; il ricordo, ad esempio, di chi ha visto e commentato i suoi stessi lavori. Parole che, durante il periodo di apertura di Didascalia, sono raccolte e registrate dai molti microfoni installati in mostra. Questa tipologia di conversation piece deve invogliare la gente, seppure si trovi in un museo, a non abbassare la voce, per citare Adorno, ma a vivere gli spazi come un incoraggiamento, come un ponte per interagire con i progetti esposti. L’origine di questa retrospettiva resta comunque la grande urgenza della città di Milano di dedicare un omaggio reale alla carriera di un poeta dell’arte, un trésor vivant, designando una sorta di tool box allestitivo ad una figura che ha saputo trasmettere il proprio sapere come una critical mass attiva, oltrepassando infine il mondo dell’arte stessa.
A fianco: Youssef Nabil, Hans Ulrich Obrist (particolare), Londra 2012
A proposito della sua formazione, in scienze naturali, si è definito un generalista, proponendo come suoi riferimenti figure storiche esemplari quali Goethe o Diaghilev, perché? E quali maestri consigliare ai giovani curatori? Secondo me, comunque, i veri, grandi maestri restano sempre gli artisti. A 17 anni rimasi stregato da Richter, poi conobbi Boltansky, poi Peter Fischli e David Weiss; ricordo di aver passato interi, lunghissimi pomeriggi nei loro studi a Zurigo. A volte rimanevamo espoarte 79 | 39
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mirko baricchi
Cover artist
intervista di viviana siviero
In basso: Veduta della mostra Mirko Baricchi - Germogli. e di stelle, Cardelli & Fontana artecontemporanea, Sarzana (SP). Sullo sfondo: Mirko Baricchi, Germogli. e di stelle, 2012, tecnica mista su tela, cm 180x340. Courtesy: Cardelli & Fontana artecontemporanea, Sarzana (SP). Foto: Dario Lasagni
Nella pagina a fianco: Mirko Baricchi, Carta 1, 2012, tecnica mista su cartoncino, cm 36x25. Courtesy: Cardelli & Fontana artecontemporanea, Sarzana (SP). Foto: Dario Lasagni
Sempre piÚ incline al rischio dello sconosciuto, in favore della meraviglia GERMOGLI. e di stelle. Un’inedita produzione per Mirko Baricchi, variegata in tutti i suoi aspetti, completamente rinnovata nella sua estetica in maniera delicata e dichiaratamente emotiva. La Cardelli & Fontana artecontemporanea ha accettato di mostrare al pubblico questa nuova esperienza estetica, che sembra provenire dalle profondità emotive senza giustificazioni apparenti, mantenendo una coerenza forte rispetto al passato eppure mo-
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Mumbai Mon Amour
la deflagrazione della bomba chiamata arte indiana di igor zanti Andare verso Est sembra, da più di dieci anni, l’imperativo che ha caratterizzato il mondo occidentale. Il sistema dell’arte si è sempre rivelato un precursore della contemporaneità, e già da diversi anni l’interesse si è spostato verso Oriente, tanto attraverso le esperienze, oramai ventennali, derivate dal contributo di Murakami e della Kaikai Kiki, quanto attraverso quella che è stata la cosiddetta bolla cinese. A partire dagli anni zero, infatti, i mercati e la critica artistica puntarono lo sguardo sulla Cina, creando una vera e propria sinomania. Artisti cinesi invasero con mostre personali e collettive musei, gallerie e fiere, determinando, sul lungo termine, una bolla che si scontrò con una persistente autoreferenzialità della cultura cinese. Lo stesso “caso” Ai Weiwei è significativo ed emblematico di quanto l’arte cinese, anche ai suoi massimi livelli e nella sua accezione più cosmopolita, risenta di una dimensione auto riferita. In maniera molto più sottile e con caratteristiche diverse, più o meno negli stessi anni in cui si è svolta la parabola della bolla cinese, supportata dalla scia lunga e vigorosa di una crescita economica di tutto rispetto, ha iniziato ad affermarsi e a catturare l’attenzione del pubblico e della critica internazionale la nuova arte contemporanea indiana. Se, non meno di una decina di anni fa, ad un addetto ai lavori, si fosse domandato il nome di un artista indiano, all’unisono tutti avrebbero detto Anish Kapoor – tra l’altro, più inglese che indiano – forse avrebbero citato MF Hussain e, solo molto di recente, a questi si sarebbe aggiunto Subodh Gupta. La lista, però, più ci avviciniamo ai giorni nostri, più si allunga, arricchendosi dei nomi di – solo per citarne alcuni – Valay Shende, Thukral and Tagra, Nalini Malani, Shilpa Gupta, Sheela Gowda e molti, molti altri. Ma cosa è cambiato? Cosa ha traghettato 62 | espoarte 79 | speciale mumbai
l’arte indiana dallo status di realtà periferica alla ribalta internazionale? Un elemento che ha sicuramente influito è stata la crescita economica: sembra un po’ cinico,
ma la cultura è quella del vincitore e l’India è un paese economicamente vincente. In secondo luogo non bisogna sottovalutare il particolare assetto socio culturale in-
Subodh Gupta, Dynasty (particolare), 2011, oggetti smarriti, cm 930x568x372. Courtesy: GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Foto: Oak Taylor-Smith
Thukral & Tagra, veduta della collettiva Paris-Delhi-Bombay, Centre Georges Pompidou, Parigi, maggio-settembre 2011
diano. L’India è, infatti, una nazione che ha una classe dirigente che si è formata, nella stragrande maggioranza, in paesi di cultura anglosassone; questo è un dato di fondamentale interesse, perché scongiura la deriva autoreferenziale che abbiamo visto essere tipica del mondo cinese, favorendo un continuo e diretto scambio intellettuale con l’Occidente. Se a tutto questo si unisce la nascita e la diffusione di un ceto medio-alto che, dopo essersi arricchito sull’onda del boom economico, sta iniziando a scoprire il piacere ed il valore di collezionare arte, ci si rende conto che il mix diventa esplosivo e trascinante. Tradizionalmente la nascita del nuovo corso dell’arte contemporanea indiana si vorrebbe attribuire al gallerista americano Peter Nagy, ed alla sua galleria Nature Morte, aperta a New Delhi nel 1997. Tale affermazione è decisamente riduttiva ed evidenzia solo un limitato aspetto di un fenomeno complesso ed in corso di storicizzazione, e non tiene presente il contributo di molte realtà, a tratti pionieristiche, presenti a Mumbai già a partire dagli anni ‘60. Guardando l’esigua geografia delle gallerie del subcontinente, ed escludendo la già citata Nature Morte di New Delhi o la Experimenter di Calcutta, l’attenzione si concentra su Mumbai in qualità di centro dell’arte indiana. Le ragioni per cui Mumbai ha assunto questo ruolo negli ultimi dieci anni sono moltissime. Mumbai è la capitale del distretto trainante della crescita economica, è una megalopoli di più di venti milioni di abitanti dove si concentrano anche le maggiori fortune economiche del paese. È la città dei Tata, del grattacielo da record degli Ambani, il luogo dove ha sede Bollywood, la vetrina dell’india che cresce e si modernizza, con i vecchi palazzi coloniali ed art déco che si affiancano a costruzioni ultramoderne, con una vivacità culturale e creativa molto differente dal rigore di New Delhi, o dalla
dissestata Calcutta, tradizionale capitale culturale dell’India. A Mumbai si ama sperimentare e il giogo della tradizione risulta meno pesante, favorendo la crescita e lo sviluppo di una nuova élite intellettuale cosmopolita. Giovani galleristi, curatori, artisti emergenti affollano gli opening dove fotografi e giornalisti fanno la fila per intervistare i volti noti del nascente art system. Come afferma Abhay Maskara nel suo Insider view of the Indian art world, lo splendore dei vernissage rivaleggia con i cocktail party bollywoodiani, favorendo la nascita di un collezionismo che, inizialmente attratto da quest’aura di glamour, sta divenendo giorno per giorno più maturo e consapevole. Le più importanti gallerie di Mumbai rico-
prono però un ruolo più complesso rispetto a quello che avviene in Occidente, infatti, la mancanza di realtà istituzionali porta i galleristi ad essere il solo ed unico punto di riferimento per l’arte contemporanea, dovendosi dotare di spazi espostivi di respiro museale e sobbarcandosi di tutto il processo di selezione, supporto economico, analisi e storicizzazione dei fenomeni artistici. Mumbai è sostanzialmente lo specchio di un’India che sta cambiano e che sta cercando anche artisticamente una sua identità estetica. Se, per motivi biografici, non abbiamo fatto in tempo ad essere testimoni di quello che accadeva a New York negli anni ‘80, possiamo rifarci osservando l’India e la Mumbai degli anni Dieci.
Valay Shende, Transit, 2010, dischi metallici (acciaio inox), inch 145x275x108. Courtesy: Sakshi Gallery, Mumbai
speciale mumbai | espoarte 79 | 63
caterina crepax intervista di francesca caputo
Guido Crepax, il Conte Dracula e Valentina Nel 1897 veniva pubblicato Dracula, il romanzo di Bram Stoker, imprescindibile archetipo delle innumerevoli storie di vampiri che nel corso dei secoli la letteratura, e poi il cinema, hanno sviluppato, consegnando alla leggenda le figure storiche del principe romeno Vlad II, detto Dracul (il Diavolo) e di suo figlio Vlad III, l’Impalatore. Per il centenario della scomparsa dello scrittore irlandese, alla Triennale di Milano va in scena (fino al 24 marzo 2013) la mostra Dracula e il mito dei Vampiri, con una sintassi espositiva che ne esplora tutte le declinazioni: dalla storia al mito. Tra le sezioni più interessanti spicca la sala che rende omaggio al contributo artistico di Guido Crepax sul tema. Cinque tavole originali tratte dalla graphic novel Conte Dracula del 1985 e diciotto raffinatissimi disegni inediti, databili al 1987, che narrano l’incontro tra Valentina e Dracula. Ne abbiamo parlato con la figlia, Caterina Crepax, che dal 2004, insieme ai fratelli, Antonio e Giacomo, e la madre Luisa, cura l’Archivio Crepax, per documentare, tutelare e valorizzare l’enorme patrimonio iconografico e narrativo prodotto nell’arco della straordinaria carriera di Guido Crepax.
Francesca Caputo: Quando nasce la fascinazione di Guido Crepax per l’immaginario dei vampiri? Caterina Crepax: In realtà, mio padre matura in giovanissima età la passione per tutti i mostri dei romanzi gotici dell’Ottocento, rielaborati dal cinema negli anni ‘30 e ‘40. Da ragazzo, durante la Seconda Guerra Mondiale, gli capitava sempre di andare da solo al cinema, dove ebbe l’occasione di vedere pellicole come La Mummia, Frankenstein e naturalmente le varie versioni di Dracula. Da questo immaginario creò degli album a fumetti, avrà avuto circa dodici anni. Certo, non era ancora Guido Crepax ma questi suoi primi tentativi di riportare nel disegno, seppur ingenuo di un ragazzino, delle sequenze ispirate a questi film, possono considerarsi un’anticipazione di quello che poi sarebbe stato il suo fumetto. Infatti, negli anni ‘70 e ‘80, inizia la rielaborazione a fumetti dei romanzi che amava. È sempre stato un grande appassionato di romanzi. Parallelamente alle storie di Valentina e degli altri personaggi frutto della sua fantasia, gli piaceva realizzare trasposizioni dei grandi classici della letteratura, dove aveva assimilato l’arte del racconto. In particolare si era specializzato su quelli dell’erotismo e dell’horror. Il suo ultimo lavoro è stato Frankenstein di Mary Shelley. Prima c’erano stati, solo per citarne alcuni, I racconti del mistero di Edgar Allan Poe, Historie d’O di Pauline Réage. Sono scrittori di cui sono presenti tracce e citazioni anche in altri racconti di mio padre, ma in questo caso diventa co-autore alla pari, ponendosi sullo stesso piano degli autori originali.
A fianco: Guido Crepax, Conte Dracula, 1985, 5 tavole originali, Archivio Crepax, Milano
Nel 1985 realizza Conte Dracula, l’adattamento a fumetti del romanzo di Stoker. Che tipo di atmosfera e impianto narrativo utilizza? Ha sempre rispettato profondamente lo spirito originario dei romanzi presi in consideraespoarte 79 | 93
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