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Nicola Evangelisti “Illusioni temporanee” ovvero dell’economia poco virtuale dell’esercizio del potere

Un Natale a regola d’arte

Nuovi spazi crescono... o si rinnovano

Galleria Giovanni Bonelli e Galleria Repetto a Milano. Officina delle Zattere a Venezia

I progetti:

Tra sacro e profano. Natività laiche in mostra sul Lago d’Orta Premio Furla 2013: un incontro con Jimmie Durham Critica in arte

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Finalmente è arrivato

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78 ½

il nostro regalo per voi!!! Un nuovo progetto editoriale in edizione esclusivamente digitale, tutto da sfogliare e da leggere, con i migliori contenuti pubblicati sul nostro sito www.espoarte.net e molti altri realizzati ad hoc. Un intermezzo sfizioso che anticipa l’uscita del n. 79 ed accompagna alle vicinissime festività. Proprio oggi 12/12/2012, data di nascita di questa una nuova creatura in casa Espoarte, vogliamo dare a tutti i nostri lettori la possibilità di abbonarsi al magazine cartaceo ad un prezzo eccezionale - € 12 per un anno di Espoarte ricevuto a casa (spese di spedizione incluse) - ricevendo come primo numero dell’abbonamento il n. 79. Approfitta di questa eccezionale offerta e regala Espoarte!

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Nicola Evangelisti con €, 2012, installazione in bossoli, opera esposta nella personale Temporary Illusions, Galleria OltreDimore di Bologna, fino al 19 gennaio 2013 Leggi l’intervista a pag. 28 oppure su espoarte.net: http://www.espoarte.net/arte/%E2%80%9Cillusioni-temporanee%E2%80%9D-ovvero-dell%E2%80%99economia-poco-virtuale-dell%E2%80%99esercizio-del-potere/


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www.espoarte.net Leggi su espoarte.net PARTE 1: http://www.espoarte.net/arte/un-natale-a-regola-d%E2%80%99arte-per-riflettere-sull%E2%80%99evoluzione-della-societa-parte-1/ PARTE 2: http://www.espoarte.net/arte/un-natale-a-regola-d%E2%80%99arte-per-riflettere-sull%E2%80%99evoluzione-della-societa-parte-2/

Un Natale a regola d’Arte, per riflettere sull’evoluzione della società di VIVIANA SIVIERO Natale: voglie e desideri che si materializzano nell’aria fredda come la nebbia che si mostra dal respiro. Gli occhi corrono in cerca di sensazioni, l’anima è predisposta al bel canto del possesso. Non solo quello materiale – regali che si ricevono e si spendono impazienti – ma soprattutto voglia di rinnovarsi attraverso esperienze che arricchiscono da dentro, praticando l’antica arte del vedere e del nutrire se stessi. Regali concreti che si vedono e si toccano, che fanno godere del possesso per il loro pregio, la loro unicità, si affiancano a regali “diversi”. Noi qui, accanto ai primi, consigliamo di regalare esperienze, che resteranno indelebilmente impresse nella memoria, incancellabili per la loro capacità di far riflettere. A seguire, quindi, un po’ di suggerimenti, affinché questo Natale sia unico e ricco, grazie alle tante iniziative natalizie che propone il mondo dell’arte. Dedicate alla memoria, alle emozioni e alle sensazioni: un bel giro intorno al Natale, alle sue tradizioni rese moderne da abili pensatori dalle mani dorate, reso espressivo e contemporaneo in funzione di

genialità interpretative di chi vede l’invisibile e lo regala al prossimo con la propria pratica. Superati il vecchio nonnino e l’albero sradicato dal bosco, le vecchie icone si adattano ai tempi e si rivestono restando riconoscibili: questo ridona loro una credibilità perduta mantenendo intatto solo ciò a cui il nostro dna è affezionato. Combattiamo il freddo, quello che viene dalla crisi e che ci raffredda da dentro, con la bellezza della luce contemporanea; con lo stupefacente capace di farci tornare bambini più di un giocattolo: non sempre a stupire è la novità tanto anelata. Ce n’è per tutti i gusti: qui potranno trovare pane per i loro denti tanto i tradizionalisti che gli chic radicali, coloro che passano sopra al palese decorativismo di certe pratiche così come chi, anche nelle feste, non rinuncia all’adrenalina dell’anticonformismo e al sorriso sghembo del provocatorio. Questi i modi in cui il meraviglioso mondo dell’arte augura a tutti un Felice Natale, cercando di sfamare i palati delle infinite gole profonde che lo abitano, in cerca perenne di nuovi cibi…

Dalla ruzzola alla playstation: tornare bambini alla Fondazione Geiger

modi restano grosso modo gli stessi: i bambini dell’antichità giocavano in maniera del tutto simile a noi. E raccontare la storia del gioco e del giocattolo è un modo per spiega-

Conservare le tradizioni, non farle morire, è uno dei compiti a cui l’uomo dovrebbe dedicarsi con impegno. Non perché in qualche modo si debba guardare al passato con nostalgia, pensando che tutto sia migliore e più sano: le cose tramontano e si estinguono per un motivo ben preciso, fa parte dell’evoluzione e quindi della sopravvivenza del genere umano. Giochi, giocattoli e giocatori sono i protagonisti della mostra organizzata dalla Fondazione Geiger di Cecina (LI) che celebra l’uomo attraverso soldatini, robot spaziali, giochi da tavolo, macchinine, trenini ma anche giocattoli di latta, ruzzole e trottole, fino ad arrivare ai sofisticati giochi dei nostri giorni come le playstation e i videogames. Perché è importante vedere come, nonostante cambino le forme, i contenuti e i

re la storia dell’uomo e capire da dove proviene, come si è formata la sua identità contemporanea: quale momento migliore per questa riflessione se non il Natale, la festa

Giochi, Giocattoli, Giocatori, Fondazione Culturale Hermann Geiger 5


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che celebra il giocattolo e l’uomo attraverso il bambino? Giochi, Giocattoli, Giocatori a cura di Alessandro Schiavetti Fondazione Culturale Hermann Geiger Piazza Guerrazzi 32, Cecina (LI) Fino al 27 gennaio 2013

Arte non commerciale in un centro commerciale: Un “Bel Natale” ad Ascoli Piceno… L’arte è gioia, curiosità, capacità di relazionarsi: quale miglior luogo per celebrare tutto questo se non il tempio delle relazioni contemporanee? Quale miglior momento se non quello delle festività natalizie? Grazie all’arte, non il solito Natale, grazie al Natale non la solita arte, considerata lontana e difficile. Un trait d’union che si materializza in una festa per tutti, come da tradizione, soprattutto per i bambini che potranno ritrovare storie e simboli che fanno leva sulla loro grande comunicabilità. Dall’estetica giocosa di Laurina Paperina, alla poetica di Marco Casentini, passando per la propensione a stupire di Cristiano Berti, che reimpiega centinaia di alberi di natale artificiali dismessi, per giungere alle riflessioni più strettamente contemporanee, come l’operazione di Antonio Riello, che ha invitato i frequentatori del Centro Commerciale a lasciare una ricetta di cibi natalizi per creare un archivio. Simboli tradizionali anche per Arnold Dall’O, il cui lavoro – un albero degli alberi – accoglie il visitatore come una sorpresa. Il coinvolgimento del pubblico non si è limitato alla casualità dell’incontro nello spazio deputato alla mostra, ma ha coinvolto i ragazzi del Liceo Artistico Licini che, oltre ad aver lavorato fianco a fianco con gli artisti, hanno potuto sperimentare l’arte della performance, dando vita ad azioni che prevedono il coinvolgimento del pubblico. Bel Natale, quarta edizione a cura di Valerio Dehò, Artisti: Laurina Paperina, Marco Casentini, Cristiano Berti, Antonio Riello, Arnold Dall’O Centro Commerciale Al Battente, Ascoli Piceno

Arnold Mario Dall’O, Albero, Bel Natale, Centro commerciale Al Battente, Ascoli Piceno

Sfavilli nazional-popolari ad Ancona per Christmas Light 2012 Nove creazioni sfavillanti, che fanno bella mostra di sé in un ambito che è per sua natura lontano anni luce dall’idea asettica e casta del tradizionale white cube: Il G. Village di Ancona, uno dei primissimi F.E.C. In Italia (Family Entertainment Center, con Cinema multisala UCI con 9 sale, il centro benessere Cocunia, la sala giochi Florida e diversi esercizi per la ristorazione: Akropolys - Old Wild West - Rossosapore - Rossopomodoro). Si è provato a fare in modo che l’arte fosse perpetrata da intellettuali, che — si sa — dovrebbero odiare multisala e grandi catene di ristorazione, non luoghi, templi del commerciale e celebrazione del vuoto, ma come si dice: ciò che non si riesce a contrastare deve diventare alleato. È una legge di Darwin per la conservazione della specie. In questo caso gli artisti non hanno dovuto seguire un particolare filo conduttore ma utilizzare la luce come protagonista: il G. Village ha recapitato ad ognuno degli artisti – Laura Baldini, Alessandra Baldoni, Veronica Chessa, Massimo Festi, Erika Latini, Michela Pascucci, Valeria Pierini, Rita Soccio ed Emiliano Zucchini – un pacco contenente materiale per bricolage, base di partenza che ognuno doveva trasformare in base alla propria pratica e poetica.

Christmas Light 2012 Laura Baldini, Alessandra Baldoni, Veronica Chessa, Massimo Festi, Erika Latini, Michela Pascucci, Valeria Pierini, Rita Soccio, Emiliano Zucchini a cura di Jack Fisher G. Village Ancona Via Pietro Filonzi 4 Fino al 6 gennaio 2013

Rita Soccio, Christmas Light 2012, G. Village, Ancona 6


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Francesco De Molfetta augura “Buon Natarbre a tutti”. Con un sorriso L’albero di Natale? È comunque un albero eppure è divenuto nel tempo un simbolo che da reale l’ha tramutato in immaginifico, declinato all’infinito con altrettante elaborazioni più o meno fantasiose ed originali. L’immaginazione dissacrante e l’ironia sono la cifra stilistica di Francesco De Molfetta, che dedica la sua ultima personale alla festa più buona dell’anno, il Natale. Ma si sbaglia e finisce per augurare a tutti qualcos’altro, a partire dell’invito, in cui fa bella mostra di sé un noto albero, quello divenuto celebre come simbolo di un noto profumatore per auto.

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Altra icona riconoscibile in modo universale, classica e “pulita” sotto tutti i punti di vista, sia naturali, sia artificiali. E anche qui, volutamente, l’artista si sbaglia di nuovo, perché pur essendo verde l’aroma e della conifera la forma, non si tratta dell’abete (l’albero di Natale appunto) ma del suo parente “Pino”. Un gioco volutamente non troppo sottile fra ironia ed intelligenza, fra reale ed immaginario ma anche fra naturale ed artificiale, capace di smascherare l’umanità spogliandola dei falsi buonismi e mostrando l’aspetto verso cui si sta dirigendo. Così anche noi vi auguriamo Buon Natarbre! Francesco De Molfetta, Buon Natarbre Galleria San Carlo via Manzoni 46, Milano Fino al 28 gennaio 2013

Francesco De Molfetta, Buon Natarbre

“Vi amo da morire, Buon Natale” Gli auguri di Rita Soccio da Sponge Arte Contemporanea (Pergola, PU) La quarta edizione del tradizionale Christmas Tree di Sponge Arte Contemporanea si veste di nuovo, grazie ad una mostra personale macabra e terribilmente bella e forte nella forma e nei contenuti: appesi ai rami di un albero che non è mai stato vivo, Rita Soccio ha sistemato le sue personali decorazioni: provette piene di un liquido rosso natalizio, infiocchettate dello stesso colore, su cui compare una didascalia che mostra il nome, l’età, la data e la causa della morte di una donna, avvenuta per troppo amore tramutato in odio dalla rabbia: Claudia Bence, 44 anni, 1 giugno 2012, sgozzata davanti al figlio di 2 anni dall’ex convivente. Lei lo aveva lasciato. Pierina Baudino, 82 anni, strangolata a Cuneo dal marito 76enne. Lei lo accusava di tradimento. E così via: un albero ricco, perché al 20 novembre 2012, le donne uccise in Italia sono 102 e per la loro morte è stato persino coniato un termine. E così abbiamo l’albero del femminicidio, che racconta di tante vite spezzate di cui si parla troppo poco; perché nelle feste, si sa, siamo tutti più buoni e chissà che non siamo tutti, anche, più propensi all’indignazione … Christmas Tree d’Artista IV edizione Rita Soccio, Vi Amo da Morire, Buon Natale a cura di Milena Becci in collaborazione con Azienda vinicola Terracruda di Fratterosa (PU) Sponge Living Space (Casa Sponge), Pergola (PU) Fino al 13 gennaio 2013

Rita Soccio, Vi amo da morire, Buon Natale 7



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Christmas Shopping Le (dis)avventure di un cinghiale baby sitter interinale: Zannablu e le fiabe deficienti In tempo di crisi è bene meditare e soprattutto sorridere, anzi ridere. Bando alle fiabe vecchie, quelle dalla morale politically correct e largo a tutto ciò che può essere contemporaneo e quindi più adatto ai tempi: l’editrice Dentiblù – al secolo Stefano Bonfanti e Barbara Barbieri – propone un insolito regalo natalizio al grido di “regalati una fiaba, ma che sia…divertente, anzi no, deficiente!”: Zannabu è un goffo cinghiale, baby sitter interinale, a cui viene affidato il piccolo maiale Giacomino. Come in ogni fiaba che si rispetti – o realtà che dir si voglia – Zannablu si lascia tentare dal divieto ed apre il libro polveroso che giace sulla mensola. Per recuperare Giacomino, risucchiato dal libro mannaro, il cinghiale dovrà avventurarsi in mondi paralleli ed incontrare personaggi alterati: Racchianeve, Cappuccetto Rosso in realtà una psicopatica (Cappuccetto Losco) e i sette nani in versione sadomaso. Un cross over fra fumetto e fiaba, per destabilizzare ancora una volta i simboli e le allegorie classiche e mostrare a tutto un altro punto di vista. Le fiabe deficienti di Zannablù Edizioni Dentiblù Sceneggiatura e disegni: Stefano Bonfanti & Barbara Barbieri Formato: cartonato, 192 pp Per ordinare: shop.zannablu.it

Le fiabe deficienti di Zannablù, copertina

Un libro di Arte&Veleni firmato Ugo Nespolo Un viaggio immaginifico eppure di una lucidità sconcertante fra le infinite antinomie dell’arte: ad accompagnarci una guida d’eccezione, Ugo Nespolo, narratore perché ha vissuto «le presunte avanguardie, il culto del prezzo, i musei incubatori di valori fittizi, artisti ripetitivi e noiosi». Un catalogo impietoso e sincero senza troppi riguardi se non nei confronti di coerenza e sincerità esperienziale: il tutto si traduce in una voce che viene da dentro, capace di infiammare una piaga già purulenta sotto la superficie e poi dare la ricetta per “trattarla”: «Se l’ironia non può risolvere le tante contraddizioni del mondo dell’arte ci può almeno salvare dall’accettare in maniera acritica ricette semplicistiche». Ugo Nespolo, Arte&Veleni Espress Edizioni Collana: Tazzine di caffé all’arsenico con immagini inedite dell’artista Per info: www.espressedizioni.it

Ugo Nespolo, Arte&Veleni, copertina 9

Una seconda vita per il tuo Natale: il libro da personalizzare di Loredana Galante Un’idea semplice ed elegante: l’ha avuta la giovane artista Loredana Galante che ha realizzato un libro di disegni in bianco e nero (formato 30×44) e pagine bianche correlato di kit di pastelli, che ognuno potrà colorare e completare come preferisce. Ogni pagina è staccabile e potrà essere utilizzata come la fantasia suggerisce. Rebirth: the second life. Colora di arte il tuo Natale Loredana Galante in collaborazione con ELC ADV Agenzia di Comunicazione di Milano I profitti della vendita sosterranno i progetti dell’associazione culturale Ubik Per prenotare: info@loredanagalante.it Per conoscere le storie di ogni disegno: www.loredanagalante.it

Loredana Galante, Rebirth: the second life, copertina


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coloristica accesa che rimanda direttamente alle atmosfere natalizie. La GAM di Torino allestirà per tutte le festività un albero di Natale con le Palle Presepe, in modo da rendere concrete e celebrare le sinergie energetiche fra design e arte. Unicamente per la GAM, tra le decorazioni, saranno esposte anche le maquettes originali delle palle realizzate dall’artista, prototipi che testimoniano il processo di ideazione, creazione e realizzazione dei prodotti finali inseriti in seguito in commercio. Il progetto della GAM sarà contemporaneamente realizzato anche dal Museion di Bolzano e dal Mambo di Bologna.

Albero con Palle Presepe Alessi, GAM, Torino. Foto: Sabina Arena

Natale Alessi 2012: le palle (presepe) di Marcello Jori Alessi è notoriamente il marchio più sensibile ed illuminato per quanto riguarda la diffusione di oggetti che impieghino la mente di artisti e designer, giovani e non solo. In occasione del Natale 2012, l’artista Marcello Jori ha collaborato con lo storico marchio e LPWK di Laura Polinoro, disegnando le “Palle Presepe”, decorazioni che combinano le due

tradizioni natalizie per eccellenza, il presepe e l’albero. Classici i temi che le caratterizzano: Gesù e i suoi genitori, il bue, l’asinello, gli angeli, i re magi e la stella cometa, tutti realizzati su di una sfera prodotta a soffiatura di vetro in uno stampo. Lo stile prettamente contemporaneo e semplice della trattazione delle figure viene vivacizzato da una gamma

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Marcello Jori per Alessi, Palle Presepe, 2012



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A Torino è già un Natale con i fiocchi TORINO | Sedi varie | 1 dicembre 2012 – 13 gennaio 2013 di MARIA CRISTINA STRATI Non è ormai un segreto per nessuno che la città di Torino, oltre tutte le polemiche sulla (forse) perduta identità di capitale del contemporaneo in Italia, coltiva ormai da tempo la vocazione di qualificarsi come città aperta al turismo. Oltre alle tradizionali visite al Museo Egizio e a quello del Cinema, non poteva quindi mancare una programmazione ad hoc per il periodo delle feste. Così, dal primo dicembre, Torino torna, per il secondo anno consecutivo, ad ospitare la manifestazione A Torino un Natale con i fiocchi. Anche quest’anno sono previste numerosissime iniziative che, tradizionalmente, fino al giorno dell’Epifania, intendono regalare ai torinesi e a coloro che trascorreranno del tempo nel capoluogo sabaudo, un’atmosfera tipicamente natalizia, con eventi e iniziative di vario tipo. Naturalmente ci sono addobbi, mercatini a tema, passatempi e favole per bambini: ma accanto a questi tradizionali eventi, sono in programma diverse interessanti proposte che riguardano da vicino il mondo dell’arte, che si tratti di arte classica, moderna o contemporanea. In primo luogo, come ogni anno, la città s’illumina delle Luci d’Artista, che per questa edizione si sono arricchite di due nuovi lavori: uno di Valerio Berruti, con Ancora una volta, e uno di Martino Gamper, con Luci in bici. Le due opere – cui si affiancherà una terza di Ugo Nespolo nei giorni immediatamente precedenti il Natale – vanno ad aggiungersi agli ormai tradizionali lavori di Rebecca Horn, Daniel Buren, Tobias Rehberger, Mario Airò, Giulio Paolini, Gilberto Zorio e le molte altre opere luminose di noti artisti italiani e internazionali che dal 1998 accendono le sere torinesi nel periodo delle feste. Per le vie cittadine sarà poi anche possibile ammirare il Presepe e il Calendario dell’Avvento di Emanuele Luzzati, originariamente realizzati entrambi per il Teatro Regio. Gli allestimenti saranno situati l’uno nei Giardini Sambuy di Piazza Carlo Felice, di fronte alla stazione di Porta Nuova, e l’altro nel cuore di Piazza Castello. E come da tradizione, ogni giorno, dal primo dicembre fino a Natale, alle 18 e 30 sarà aperta una casella del Calendario, a scoprire una nuova opera. Dal 30 novembre al 30 dicembre saranno inoltre presenti in città 30 artisti/artigiani nazionali e internazionali, molti dei quali prove-

nienti dalla città di Harbin, nella Cina mediorientale, specializzati nella realizzazione di sculture in ghiaccio. Il Sentiero delle Statue di Ghiaccio (questo il nome dell’iniziativa) si articolerà nelle vie del centro storico, dove gli artisti realizzeranno figure ispirate ai personaggi delle fiabe più famose e amate. Infine, a concludere la nutrita serie di eventi legati al mondo dell’arte e ispirati in qualche modo al clima e all’atmosfera natalizia, dal prossimo 12 dicembre Palazzo Madama ospiterà il Dono della città per il 2012. Sarà infatti esposta al pubblico con ingresso gratuito l’opera di Pisanello, Ritratto di Lionello D’Este, una tempera su tavola del 1400 di grande valore storico-artistico (tra parentesi, una curiosità: Lionello era figlio di una discendente della più nota Pia de’ Tolomei, anche lei come questa non proprio fortunatissima in amore!).

E per concludere, è opportuno non dimenticare l’imperdibile mostra dedicata a Edgar Degas alla Promotrice di Belle Arti, realizzata con il contributo del Musée d’Orsay di Parigi, dove sono presenti alcuni tra i maggiori capolavori del maestro francese. Per chi non sa resistere alla tentazione invece, nelle sedi dalla vocazione contemporanea proseguono invece le mostre già inaugurate nel periodo di Artissima: Ragnar Kjartansson e For President, il progetto curato da Bonami e dal giornalista Calabresi, presso la Fondazione Sandretto; Oltre il Muro al Castello di Rivoli e Salvatore Scarpitta alla GAM.

Martino Gamper, Luci in bici, Luci d’Artista 2012. Foto: Ivan Vittone

Emanuele Luzzati, Calendario dell’Avvento in Piazza Castello, Torino

Info:www.nataleatorino.it www.contemporarytorinopiemonte.it

Valerio Berruti, Ancora una volta, via Accademia delle Scienze, Torino, Luci d’Artista 2012. Foto: Ivan Vittone 12



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CINEMA e NATALE. La rivincita del cine-panettone di MATTIA ZAPPILE Cinema e Natale. Rito celebrativo, per lo più habitus sociale, ovviamente target commerciale. Alla grande pesca natalizia, il cinema italiano ha imparato a gettare reti che assicurano copiose abbuffate al botteghino. Sconfitta tutto l’anno, l’industria cinematografica nostrana si prende con puntuale regolarità la sua rivincita. Il cine-panettone, etichetta dispregiativa coniata da critici inorriditi, sorvola ogni commento ironico, schiva le condanne morali, infine porta l’italiano, quello stesso che schiamazza inorridito davanti alla pubblicità, seduto in sala a commentare, e poco importa se annuendo o disdegnando. Viziato da morbi incurabili, da mezzo secolo ormai il cinema italiano non trova altra cura alla malattia del low-budget al di fuori delle inflazionate panacee: realismo e comicità. Scelte poetiche impegnative, talvolta, modus operandi di comodo, quasi sempre, pressapochismo sintonizzato sulla presunta mediocrità dell’italiano medio, spettatore ammaestrato ed accondiscendente. Creata ad arte dai fratelli Vanzina, lo stesso De Laurentis che fu il mecenate ne rimase inorridito e convinto di un imminente fiasco, la formula natalizia parte nel 1983 con Vacanze di Natale, e diventa scuola. Collage di suggestioni anni ’50, da Totò a Brancaleone, e richiami alla cultura televisiva contemporanea, immerso in un “allusionismo” fallico tra Pierino e Giovannona Coscialunga, il film di Natale all’italiana si serializza. Anche quando

passa per mani più raffinate e pretenziose, non riesce mai a svincolarsi dai cliché di un genere che sparge un’ombra lunga quanto i suoi incassi. Quest’anno, piccola rivoluzione, Colpi di fulmine rinuncia alla riconoscibilità del titolo, ma rilancia la struttura ad episodi della commedia tradizionale, proponendo preti poco ortodossi e colpi di fulmine decorati con pennellate di suggestioni televisive. Lasciato a De Sica il monopolio delle sale, Boldi sperimenta per la prima volta la formula della prima assoluta televisiva con Natale a quattro zampe, pellicola che si getta nel filone della comicità dai risvolti teneri del filone animalista, ma incorniciandola nel tipico sfondo innevato che dall’atto di nascita rimane il paesaggio più inflazionato del cine-panettone. Con Il peggior natale della mia vita torna il disastroso Paolo di De Luigi, con un film che non soffre dell’inconsistenza e della ripetitività del cine-panettone e che riesce, con gag semplici e con il piglio comico degli attori, a far sorridere lo spettatore. Più ricercato, purtroppo non sempre brillante, il film di Genovese. Una famiglia perfetta gioca e ironizza proprio sui luoghi comuni dell’immaginario natalizio e cinematografico, riscoprendo una diversa idea di famiglia e cercando un senso più profondo al gioco recitativo dell’apparire. Perla nella conchiglia, ancora da schiudere e giudicare, il Pinocchio di D’Alò rimane la promessa autoriale di un inverno cinematografico italiano che, quan-

Da sinistra. Le locandine dei film: Colpi di fulmine, Il peggior Natale della mia vita, Una famiglia perfetta 14

Massimo Boldi e Andrea De Rosa in Natale a Quattro Zampe, Mediaset

do riesce ad evitare la trappola e la malafede del non-cinema degli ultimi Boldi-De Sica, non sempre con pieno successo, cerca di offrire allo spettatore il suo assodato rituale natalizio: due ore di onesta alienazione. Una famiglia perfetta. Commedia. Regia di Paolo Genovese Il peggior natale della mia vita. Commedia. Regia di Alessandro Genovesi Natale a 4 zampe. Film TV. Commedia. Regia di Paolo Costella Colpi di fulmine. Commedia. Regia di Neri Parenti. Al cinema dal 13/12/2012 Pinocchio. Animazione. Regia di Enzo d’Alò. Il Pinocchio animato di D’Alò, disegnato dal grande illustratore Lorenzo Mattotti, e musicato da Lucio Dalla, di cui contiene l’ultima canzone originale composta prima della scomparsa. Al cinema dal 21/02/2013



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Interviste

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La “piacevole anarchia” di Davide Bramante da RizzutoArte PALERMO | RizzutoArte | 15 novembre – 22 dicembre 2012 Intervista a DAVIDE BRAMANTE di LAURA FRANCESCA DI TRAPANI

Davide Bramante, MY OWN RAVE Shanghai (Celestiale), 2007, tecnica fotografica delle doppie e più esposizioni realizzate in fase di ripresa, su negativo, non digitali, montaggio su plexiglas con silicone a ph neutro, cm 120x180

«Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà alla tua domanda». scriveva Calvino. Le città di Bramante (classe 1970) sono stratificazioni di ricordi, di storie, di suggestioni, di incontri, di linguaggi. Sono dei giochi combinatori, dove gli elementi si intrecciano, mescolano, si tengono legati l’un l’altro con un filo di paradosso, come fossero un rebus. Delle Compressioni – questo il titolo dell’ultimo percorso espositivo che inaugura il 15 novembre da RizzutoArte a Palermo a cura di Marco Meneguzzo – per raccontare un duplice binario nella ricerca dell’artista siracusano, tra la tecnica fotografica e quella informatica a cui si ricorre per ridurre le dimensioni dei files. Dieci lavori fotografici dedicati alle città –

New York, Londra, Berlino, Shanghai, Pechino, Roma – affiancati da dodici acquarelli inediti. Espressione di un’interiorità, di memoria collettiva, di frammenti culturali, di osservazioni del mondo, in una polifonia di immagini che danno vita a nuove singole realtà. La casualità è elemento imprescindibile della ricerca di Bramante. Lavora in analogico con esposizioni multiple, imprimendo su ogni fotogramma da due a nove scatti, vedendo il risultato finale soltanto durante la fase di sviluppo. Il suo lavoro è suddiviso in cicli, come una sorta di capitoli “esistenziali” che affondano le sue radici alla fine degli anni ’80 nella scultura e nell’istallazione il cui soggetto era l’ombra. Lasciamo adesso spazio alle sue parole per leggere meglio la sua opera. Laura Francesca Di Trapani: Le suggestioni delle “tue” città. Davide Bramante: Le città che ritraggo sono quelle che più ho desiderato visitare sin da quando ero ragazzino, in alcune

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di queste come New York, Londra, Parigi, Shanghai sono tornato più volte perché le vedo sempre con occhi nuovi e scopro particolari che riesco a ritrarre e sentire grazie alla mutata sensibilità che ci mi traghetta verso la maturità. Appunto le suggestioni percepite come quelle restituite sono sempre diverse, sempre più verso un sentire maturo un lento respirare come uno scandire dolcemente lettera per lettera il proprio nome. Nella tua ricerca come si è evoluta la sovrapposizione delle immagini? Da dove è nata quest’idea che poi è diventata come un marchio distintivo del tuo lavoro? Da sempre fotografo, così come penso e vivo, per sovrapposizioni. Tutto nasce concettualmente dal Duomo di Siracusa, esempio architettonico che ha attraversato nei secoli decine di rimaneggiamenti e stili diversi tutti leggibili. Parlando sempre di sovrapposizioni…


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sono casuali – nel senso che emergono autonomamente – o sono frutto di riflessione? Le mie sovrapposizioni sono casuali perché ancora oggi fotografo in pellicola sovrapponendo da 4 a 9 scatti uno sull’altro. Solo quando torno a casa e sviluppo le pellicole (magari dopo 20 giorni o più) scopro cosa ho “combinato di buono”… I viaggi invece li preparo in maniera tale da sapere cosa andrò a trovare, vedere, visitare e ritrarre… spesso però qualcosa durante le ricerche mi sfugge e in loco accade che trovo qualcosa che non pensavo di trovare. Ed è li spesso che si cela come l’imprevisto, l’arte… come dire che l’arte è contenuta nell’imprevisto!!! A parer mio la riflessione vera e propria serve più per le cose semplici del quotidiano, come stirare una camicia o prelevare dei soldi al bancomat… e non quando si cerca di trasmettere un messaggio artistico.

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Davide Bramante, MY OWN RAVE Londra (ruota + ponte), 2007, tecnica fotografica delle doppie e più esposizioni realizzate in fase di ripresa, su negativo, non digitali, montaggio su plexiglas con silicone a ph neutro, cm 100x150

Nei tuoi scatti mi sembra come se il caos e l’ordine, il rigore convivano perfettamente. Come dialogano l’uno con l’altro? Spesso molti di noi affermano che nel proprio caos/disordine, ritrovano e si ritrovano perfettamente… Nelle mie opere fotografiche anche se non studiate a tavolino e non digitali vi si ritrova una sorta di piacevole anarchia. Spesso è come se si generassero da sole mantenendo in loro equilibri ancestrali legati alle più semplici regole del colore, dell’architettura, della prospettiva… Davide Bramante. Compressioni a cura di Marco Meneguzzo 15 novembre – 22 dicembre 2012 Galleria RizzutoArte Via Monte Cuccio 30, Palermo Info: +39 091 526843 www.rizzutoarte.com

Davide Bramante, Senza titolo, 2012, acquarello su foto, cm 21x21 17


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Interviste

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Enzo Esposito. La forza densa di una pittura reale ALESSANDRIA | Studio Vigato | 24 novembre 2012 – 12 gennaio 2013 Intervista ad ENZO ESPOSITO di Matteo Galbiati Caratterizzato da un linguaggio che si fonda sulla vigorosa forza espressiva del colore, che si lega saldamente alla qualità segnica del suo gesto, Enzo Esposito si presenta agli occhi del pubblico proprio per il carattere dell’intensità, luminosa e sensibile, del suo fare. La sua azione, che potremmo definire da espressionista astratto, si concentra su una ricerca in cui la materia-colore viene sottoposta a processi di revisione e interpretazione costanti, atti a sondarne ogni plausibile potenzialità. Il suo segno, rinunciando a qualsiasi elaborazione esasperata, sopraggiunge ad una forma di riduzione essenziale che diventa diretto e immediato nella sua percezione e nella sua variegata articolazione. Lo abbiamo incontrato in occasione della sua prossima personale presso lo Studio Vigato ad Alessandria… Matteo Galbiati: La sua vicenda artistica ha alle spalle una lunga e importante storia, ci racconta brevemente le tappe salienti della sua carriera? Enzo Esposito: La prima tappa importante del mio percorso artistico ritengo sia stata la mostra nel 1970 alla Galleria Oggetto di Caserta, diretta da Enzo Cannaviello. L’idea era quella di usare materiali e linguaggi extra artistici, dove anche il più insignificante frammento o residuo pittorico veniva messo al bando, come pratica ormai superata. Elaboravo oggetti di estremo rigore formale che rimandavano alla tecnologia medica: bi-

Enzo Esposito, 2008, cm 150×200

Enzo Esposito, 2001, carta, cm 80×80

sturi affilati, ovatta, boccette sigillate… che denunciavano una destinazione concettuale al corpo e alla crudeltà, freddi e altamente denotativi. Nel senso che ogni dettaglio, sia che fosse formale o che riguardasse la scelta dei materiali, oltre a non denunciare nessuna funzione estetica, era esclusivamente mirato ad elaborare una tensione emotiva. Dunque un lavoro sul segno che non dà spazio a possibili divagazioni interpretative. Dal ‘73 c’è stata la fotografia: una foto documento, priva di ombre, piatta, che si limitava solo a citare l’oggetto, che nel mio caso era il corpo. Così fino al ‘76, con le mostre alla Galleria Trisorio a Napoli e da Schema a Firenze. In un secondo momento, la foto si irrobustiva di ombre e di luci perdendo sempre più il riferimento con il reale: vanno, forse, ricercate in questo spostamento le prime avvisaglie della “crisi” del ‘77, anno in cui inizia a crollare la fiducia verso un’impostazione teoretica e formalizzante dell’arte. Avvenimenti e situazioni concorrevano a 18

rafforzare quest’idea, per esempio lo stanco accademismo del concettuale ridotto a pura formula estetica; il consumismo che omologava e svuotava di valore ogni cosa; la caduta delle ideologie; l’idea dell’arte come progetto… Posso dire che dal ‘77 ad oggi ci sia stata una sorta di continuità nel ripensare al testo pittorico come elemento che possa giocare un ruolo diverso. Perché negli anni ’70 e ’80 c’era questo desiderio così forte di pensare ancora, e in termini nuovi, alla pittura? A cosa si contrapponeva? Si pensava al recupero del testo pittorico, come si diceva, perché la “pittura” conquista la sua autonomia più avanti. Allora pensavo al frammento pittorico che si coniugava con un sistema di relazioni ambientali, perché solo in questo modo il “pittorico” poteva assumere nuovi ed imprevedibili aspetti. La cosa importante era che la ripresa del co-


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lore e del segno spostavano drasticamente l’arte da un “sistema logico” ad una dimensione emozionale, fisica, recuperando tutto il negativo, come il passionale, l’emotivo… Questo significava che tutto il rigore ideologico degli anni ‘70 non era più legittimato dall’attuale situazione politica culturale. Poi un recupero totale della propria creatività, in parte sottratta all’adesione ideologica. Come sono evoluti la forma e il linguaggio della sua ricerca? Ci sono stati degli spostamenti nella natura espressiva del segno, nella valutazione dello spazio, nel calibrare la sonorità del colore, nell’accentuare il peso oggettivo dell’opera, ma tenendo costante l’idea di sganciare la pittura dagli automatismi interpretativi saldamente codificati dalla nostra cultura. La sua pittura ha espresso, tra le prime in Italia, il desiderio di misurarsi con lo spazio ambientale, da cosa è nata questa sua riflessione, da cosa è stata spinta o motivata? Cosa significa lavorare direttamente dentro al luogo? Il primo approccio con il lavoro pittorico è stato attraverso gli “ambienti”, siamo nel ‘77-‘80, così si chiamavano allora per differenziarli dalle installazioni minimaliste. Si trattava di interventi pittorici che si svolgevano lungo le pareti della galleria. La pittura abbandonava così il suo habitat classico e nominava lo spazio fisico come nuovo supporto. Questo da un lato si poneva come una sorta di continuità con le classiche installazioni, ma era soprattutto una voluta e precisa distanza che si voleva assumere con il termine classico di “pittura” e quello che fino ad allora aveva indicato. Questo per sottolineare che non si trattata di un ritorno nostalgico al passato.

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zioso e laterale. Una ricerca recente che si sofferma sul valore del segno. Ci sono artisti che sente vicini per affinità di visione o linguaggio? Sono tutti gli artisti che nel periodo giovanile hanno aderito al “concettuale” e che oggi si trovano a interrogarsi se la pittura o la scultura possano ancora avere un lato oscuro da esplorare. Tra i giovani chi crede abbia un lavoro notevole? Chi ci segnala? La mia impressione è che ci sia una omologazione di linguaggi e di intenti che hanno perso il loro reale valore culturale e sociale, una assenza di avventura creativa che dovrebbe essere fatta di errori e disubbidienze e non di aderenza totale a tutto ciò che può portare a mimetizzarsi, una situazione che mi impedisce di individuare una singola figura emergente nel panorama attuale dell’arte.

Per lei è importante cercare di evidenziare il valore oggettivo della pittura, come viene letto dallo sguardo di chi osserva questa volontà di ricerca? Sottolineare il valore oggettivo della pittura ha significato riportare lo spazio pittorico dalla percezione illusoria alla tangibilità del reale, e questo ha segnato una frattura con il concetto rappresentativo dell’opera. La pittura dunque scivola nello spazio reale per non essere più osservata ma vissuta fisicamente. Quali sono i contenuti che ci presenta in questa nuova mostra personale? Presento una serie di lavori su carta di grandi dimensioni, dove la prevalenza del bianco e nero sposta il colore in un ambito più silen-

Enzo Esposito, 2011, carta, cm 80x80 19

Enzo Esposito. Il calore del colore a cura di Marisa Vescovo 24 novembre 2012 – 12 gennaio 2013 inaugurazione sabato 24 novembre 2012 ore 18.00 Studio Vigato Via Ghilini 30, Alessandria Info: +39 0131 – 444190 / 02 – 49437856 www.studiovigato.com Orari: lun/sab 16.30 – 20.00 Domenica su appuntamento




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Interviste

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Meta-architetture… Cambiando Prospettive. Un dialogo tra M. Rebecca Ballestra e Paola Valenti BOLOGNA | Spazio Testoni | 20 ottobre 2012 – 14 gennaio 2013 Maria Rebecca Ballestra e Paola Valenti collaborano dal 2004, spesso coinvolgendo nei loro progetti l’Archivio d’Arte Contemporanea (AdAC) dell’Università degli Studi di Genova, del quale Paola Valenti è una dei responsabili. Oltre che nella ricerca e conservazione, infatti, l’AdAC è impegnato nella realizzazione di eventi espositivi e nella promozione, a livello nazionale e internazionale, di meritevoli artisti. Nel 2011 Ballestra e Valenti hanno ideato insieme il progetto Changing Perspectives/Cambiando Prospettive, un ciclo di esposizioni, installazioni e incontri dedicato al lavoro di Rebecca Ballestra, che si è svolto da giugno a novembre in varie sedi museali della città di Genova. Al termine del progetto espositivo è stata presentata l’omonima monografia, curata da Paola Valenti ed edita da De Ferrari Editore. Questa pubblicazione è stata di recente presentata presso la Galleria Spazio Testoni di Bologna, in occasione della mostra di Ballestra Meta-architetture, curata sempre da Paola Valenti. Espoarte ha inviato Paola Valenti e Maria Rebecca Ballestra a consegnare un dialogo intorno a questa intensa collaborazione… Paola Valenti: I tuoi lavori sono spesso progetti site e time specific; come affronti il problema della loro fruibilità e della loro “memoria”? Maria Rebecca Ballestra: Tutte le mie opere site e contest specific sono temporanee, hanno senso solo nello spazio e nel tempo per cui sono state progettate, ed una volta conclusa la mostra per la quale sono state pensate, non esistono più. La limitatezza temporale è ciò che permette al concetto dell’opera di sopravvivere all’opera stessa, attraverso quel processo che trasferisce il concetto dall’opera all’osservatore che lo assimila, lo elabora e lo trasforma interiormente. Proprio il fatto che l’opera sia temporanea, e quindi destinata a scomparire, pone il visitatore in una posizione di maggior predisposizione alla percezione dell’opera e ad un conseguente maggior coinvolgimento emotivo. Di conseguenza anche la memoria dell’opera permane nell’osservatore. La documentazione delle installazioni e dei progetti site specific non diventa mai un’opera a sua volta, ma è realizzata al solo fine documentale e di archiviazione.

Quanto è importante, a tuo avviso, che l’arte esca dai luoghi istituzionali e si ponga a diretto contatto con un pubblico eterogeneo e non necessariamente specialistico? Considero l’arte un luogo di incontro, discussione ed interazione tra diverse discipline come la scienza, l’ecologia, la politica, la biotecnologia, le energie rinnovabili. Viviamo in un mondo in cui i cambiamenti sono sempre più rapidi e imprevedibili; ora, mai come prima, l’umanità percepisce la sua fragilità e sfiora l’idea di un collasso globale.

Di fronte ad un mondo così interconnesso, di fronte a cambiamenti così drastici e globali, che vanno al di là dei confini nazionali, delle differenze culturali o religiose, possiamo forse immaginare una nuova visione dell’arte, così come della politica e della società, in grado di pensare e discutere insieme sugli interessi dell’uomo come specie? Mi piace pensare che l’arte possa essere in grado di collegare, proporre, suggerire, immaginare infinite possibilità creative per il progresso collettivo, e di conseguenza immaginare l’artista come un visionario capace

Veduta della mostra Meta-Architetture di Maria Rebecca Ballestra, Galleria Spazio Testoni, Bologna 22


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Veduta della mostra Meta-Architetture di Maria Rebecca Ballestra, Galleria Spazio Testoni, Bologna

di offrire la sua prospettiva immaginifica per proporre e costruire nuovi modelli sociali. Da qui la conseguente ed inevitabile necessità nel mio lavoro di cercare costantemente un dialogo oltre ed al di là del sistema dell’arte. Possiamo quindi definire la tua un’arte pubblica? Oppure potresti riconoscerti nell’arte relazionale? Sicuramente sì, possiamo definirla arte pubblica per il mio forte interesse a realizzare installazioni site e contest specific, spesso ambientate in luoghi pubblici, e per i temi sociali trattati nei miei lavori. Mi riconosco anche nell’arte relazionale, non solo alcuni miei progetti rientrano in questa definizione, ma potrei affermare che l’obiettivo finale del mio lavoro è sempre di tipo relazionale; in ogni opera mi interessa la trasformazione che questa suscita nell’osservatore più che l’opera stessa. Il tuo attuale progetto Journey into Fragility, che ti terrà occupata in un viaggio intorno al mondo per quasi due anni, è a tutti gli effetti un progetto che esce dal sistema dell’arte per dialogare con settori diversi della società su un tema di pressante attualità quale quello dell’emergenze ambientali? Puoi riassumerne i tratti salienti e fare il punto della situazione? Journey into Fragility è un progetto itinerante ispirato alla Carta di Arenzano per la Terra e per l’Uomo. La Carta, composta da dodici tesi e sottoscritta da alcuni tra i più noti poeti al mondo (tra i quali Derek Walcott, Seamus Heaney,

Adonis, Bei Dao, Mario Luzi, Yves Bonnefoy, Andrea Zanzotto e John Ashbery), è stata ideata da Massimo Morasso nel 2001, al fine di ripensare in modo costruttivo il tema della crisi ambientale. Journey into Fragility è un progetto a cui tengo particolarmente per il forte valore etico e filosofico del Manifesto a cui si ispira, per le importanti tematiche che affronta e per l’eterogeneità delle collaborazioni e delle esperienze che il progetto implica. Si tratta di un progetto itinerante in 12 tappe in giro per il mondo, che mi ha portato e mi porterà in paesi e culture molto diverse, per osservare da 12 differenti prospettive un bene comune come l’ambiente. Ho appena terminato la sesta tappa a Singapore, dopo Ghana, Svizzera, Madagascar, UAE e Cina, in ogni tappa ho avuto modo di affrontare una tematica ambientale differente, come il riciclaggio dell’acqua, l’energia solare, la biodiversità, l’aumento della popolazione mondiale, spesso collaborando con enti scientifici, politici, ONG o multinazionali come NEWater, Masdar City, Total, ecc… Journey into Fragility è sicuramente il progetto più trasversale ed impegnativo che ho realizzato fino ad ora. Ogni fase del progetto è documentata su web: www.journeyintofragility.com. In Changing Perspectives, la monografia dedicata alla tua ricerca e pubblicata nel 2011, si può individuare una sorta di bipartizione all’interno del tuo lavoro: una prima fase in cui riveli una forte fascinazione per l’essere umano e una seconda in cui trai ispirazione da tematiche postu23

mane. Cosa ha determinato questo cambiamento? Credo che lo spostamento di interesse dall’uomo al Post Umano sia avvenuto nel 2009 in occasione della mostra The Future is Near. The Future is Now! alla Galerie Alberta Pane di Parigi. In quell’occasione ho iniziato ad occuparmi di tematiche che riguardavano l’uomo su scala globale, con particolare riferimento all’aumento della popolazione mondiale, ai cambiamenti climatici, alle pandemie, alla manipolazione genetica del cibo, tutti argomenti che sono poi confluiti in quell’esposizione. Dovendomi confrontare con questi temi simultaneamente, ho iniziato a provare un forte senso d’insicurezza e di relatività. È in quell’occasione che ho iniziato ad avvicinarmi al concetto del Post Umano, sviluppandolo successivamente con un presenza sempre più frequente dell’animale nelle mie opere. Cosa rispondi a chi dice che la tua ricerca si avvicina molto a quella antropologica? L’antropologia si occupa di comprendere gli aspetti socio-culturali che influenzano i comportamenti umani, come le relazioni sociali, gli usi e i costumi, le ideologie, le credenze religiose, le relazioni di potere, le leggi e le istituzioni. Nelle opere d’arte, spesso, l’artista esprime le proprie idee, i propri valori ed i propri sentimenti che sono inevitabilmente il prodotto del tempo e della società a cui questo appartiene. L’artista è, come tutti gli uomini, condizionato dall’ambiente e dalla società in cui vive e le sue opere sono espressione unica di un’epoca, di una civiltà, di una cultura. In tal senso il mio lavoro è antropologico, in quanto appartiene totalmente al suo tempo ed è il prodotto delle riflessioni della società a cui appartiene. Maria Rebecca Ballestra. Meta-architetture 20 ottobre 2012 – 14 gennaio 2013 Galleria Spazio Testoni Via D’Azeglio 50, Bologna Orari: martedì-venerdì | 16.00- 20.00 | sabato 10.30-13.00 e 16.00-20.00 domenica e lunedì su appuntamento Info: +39 051 371272 – +39 051 580988 – +39 335 6570830 la2000+45@giannitestoni.it www.giannitestoni.it


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Interviste

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Tra conservazione e cambiamento. I musei di Firenze verso il 2013 Intervista a CRISTINA ACIDINI di Simone Rebora

Proprio mentre l’anno della grande crisi volge al termine, coi suoi inevitabili strascichi sul mondo della cultura, incontriamo Cristina Acidini, dal 2007 Soprintendente del Polo Museale di Firenze. Per conoscere le sue impressioni sullo “stato di salute” di uno dei patrimoni artistici più ricchi al mondo, ma anche per saggiare il suo reale impegno per il futuro. Perché oltre alle orde del turismo mordi-e-fuggi, Firenze dispone di risorse e potenzialità ancora tutte da scoprire. “Firenze 2012. Un anno ad arte” sta chiudendo proprio in questi giorni la sua programmazione. Si può già azzardare un primo bilancio? Qual è stata la mostra che ha riscosso maggiore successo? Le mostre nei musei del Polo condividono i visitatori con i musei stessi, dunque è difficile, se non impossibile, scindere il gradimento delle une e degli altri. Direi, dai riscontri di stampa e di pubblico, che quest’anno “Bagliori dorati” agli Uffizi, dedicata alle arti del Gotico Internazionale e culminante con la restaurata “Battaglia” di Paolo Uccello, ha avuto caratteri di riconosciuta eccezionalità. Molto apprezzamento anche per le “Fabulae pictae”, maioliche istoriate, al Bargello, per “Are torna arte” alla Galleria dell’Accademia, per le mostre sul Giappone e sui Nativi d’America in Palazzo Pitti. Amatissima, inoltre, dai Fiorentini la rassegna di vedute ottonovecentesche della città, organizzata dalla Galleria d’Arte Moderna a partire dal luglio scorso. Ci può dare qualche anticipazione sulle attività del 2013? È in programma un nuovo ciclo di mostre? Con grande coraggio, in tempo di crisi, daremo il via a un programma di otto mostre. Tutte belle, interessanti, pensate e organizzate dai musei. Si vedranno pittura spagnola e trionfi artistici del Barocco mediceo, tesori del Medioevo, temi onirici rinascimentali, porcellane, avori e altro ancora… con una sorpresa straordinaria proveniente dalla Francia. Nel 2013 inoltre, anno dell’amicizia culturale Italia-Ungheria, il Museo di San Marco ospiterà una mostra dedicata a Mattia Corvino, re umanista amico di Lorenzo il Magnifico, e agli Uffizi ci sarà una mostra di pittori ungheresi.

Ritratto di Cristina Acidini, Soprintendente per il Patrimonio Storico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Firenze, nella Galleria degli Uffizi. © Massimo Sestini

Galleria degli Uffizi, Firenze – Sala di Pontormo

A Firenze esistono molte realtà staccate dal Polo Museale, ma comunque prolifiche e sempre propositive (penso al Museo Marino Marini e Palazzo Strozzi). Come vi state rapportando con queste istituzioni? Avete mai pensato a un’integrazione?

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L’integrazione esiste già. Col Marini spesso ci consultiamo per il contemporaneo. Con Palazzo Strozzi il legame non potrebbe essere più stretto: con gli Uffizi ha già sperimentato la partnership (Bronzino, mostra magnifica) che si ripeterà per Pontormo e Rosso; e poi con il Bargello e il Louvre, il palazzo ospiterà


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Galleria degli Uffizi, Firenze – Sala marmi ellenistici

“L’alba del Rinascimento” dedicato alla scultura fiorentina. E naturalmente siamo grandi prestatori per moltissime iniziative a Firenze, in Italia, nel mondo. Pensi anche solo al successo della serie “La città degli Uffizi”, che porta mostre con opere degli Uffizi e dei musei, ma anche delle chiese, in centri vicini come Bagno a Ripoli, Pontassieve o Figline, arrivando fino a un luogo lontano ma legato alla storia fiorentina come Santo Stefano in Sessanio. Mentre procedono i lavori per i “Nuovi Uffizi”, nel corso del 2012 molti nuovi spazi sono stati aperti (o ripristinati) all’interno della storica Galleria. Qual è l’idea alla base di questo ampliamento? E come verranno usate le nuove sale? Il progetto “Nuovi Uffizi”, che ha comportato anni di lavoro dentro il Complesso Vasariano per adeguare spazi e strutture, sta dando frutti visibili nell’ampliamento del percorso aperto al pubblico. I principi portanti del nuovo allestimento: distribuire in modo più pausato e godibile i capolavori, integrare le collezioni con opere prelevate dai depositi, metterle in dialogo tra loro. Pittura con scultura, marmi antichi con dipinti moderni. Oltre a restauri esemplari, come quello della meravigliosa Tribuna di Francesco I e del Buontalenti – dalle conchiglie della volta ai marmi del pavimento – le sale nuove sono anch’esse portatrici di nuove suggestioni museologiche e museografiche.

cusa giustificata? E cosa state facendo per fronteggiare questo problema? Una comunità lungimirante dovrebbe incoraggiare oggi la creazione artistica, che sarà domani nei musei. Il Polo Museale fa la sua parte acquisendo opere di contemporanei nelle collezioni “aperte”: autoritratti, grafica, gioielli, moda e costume. E ospita alcune mostre: artisti riconosciuti, a volte autentici decani. “Arte torna arte” nella Galleria dell’Accademia è stata una coraggiosa rassegna contemporanea, tra il David di Michelangelo e la pittura dal tre al Cinquecento, entro una linea coerente di mostre che ha visto nella Galleria dell’Accademia anche un artista come Mapplethorpe, con Patti Smith che ricordandolo ha cantato e ha pianto. Per la sperimentazione ci sono altre sedi: o nell’ambito del Comune, o la Strozzina, o le gallerie private. E in Toscana, la sede per eccellenza è il Museo Pecci di Prato, col quale si è già instaurata una collaborazione interessante in occasione della serie di mostre raggruppata sotto il titolo di “Base Firenze – Alla maniera d’oggi” nel 2010. Sulla testata degli Uffizi comparve la nota scritta al neon “All art has been contemporary”, il che era ed è una verità, oltre che essere un’installazione d’autore. Ma bastò a fare scalpore… Info: info@polomuseale.firenze.it www.polomuseale.firenze.it

Tra le tante critiche che piovono su Firenze (e più in generale sul nostro paese), vi è quella di trascurare i giovani e la sperimentazione contemporanea. Ma è un’ac25


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Interviste

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Dolcemente complicate: Antonella Cinelli e le sue “bambole di crescita”… PESCARA | Aurum | 28 novembre 2012 – 30 gennaio 2013 Intervista ad ANTONELLA CINELLI di VIVIANA SIVIERO Il mondo delle bambole, uno stereotipo legato all’infanzia e alla femminilità? Molto di più: soggetti di un percorso pittorico che si è evoluto, nella complicazione del medium, fino a permettere ad Antonella Cinelli di parlare di crescita, individuale e sociale, delle sue trasformazioni, attraverso una pittura caparbia e capace, a cui si aggiungono, in unica armonia, la dimensione installativa, la forma tridimensionale, la luce, fino a raggiungere l’oggetto, ennesimo feticcio del popolo rosa, che nel mondo ha ancora così tanta strada da fare. Una pittura cosciente che aiuta a non dimenticare quanto tutto questo sia complicato, seppur dolcemente… Inauguri a Pescara, in un luogo dal nome affascinante – Sala degli Alambicchi – una mostra dal titolo semplice e diretto che, come una freccia, sembra puntare dritto verso il centro di un obiettivo: quale? Antonella Cinelli: In realtà tutta la struttura dell’Aurum, di cui la Sala degli Alambicchi fa parte, è molto affascinante. È il fiore all’occhiello di Pescara, ricavato dalle antiche officine di distillazione del famoso liquore da cui prende il nome. Più che un museo è un luogo in cui l’arte incontra davvero gli altri aspetti della vita culturale. Nei bellissimi e suggestivi spazi si succedono e si incrociano

mostre, concerti e spettacoli teatrali, eventi legati allo sport e alla politica. Per esempio la mia mostra si aprirà in occasione del forum internazionale delle città dell’Adriatico e dello Ionio che raccoglierà delegazioni politiche ed intellettuali provenienti da diverse nazioni. Per un’artista sicuramente un’occasione molto stimolante per progettare una mostra. Per quanto riguarda il titolo ti rispondo citando Victor Hugo: «Come gli uccelli si fanno un nido con tutto quello che trovano, così i bambini si fabbricano una bambola con un nonnulla…» Qual è il tuo significato del termine “bambola”? La bambola risponde ai bisogni profondi del bambino che con essa ripete la dualità della relazione umana, per questo ricopre un enorme ruolo sociale, pedagogico e psicologico. Attraverso la bambola proietta l’immagine di se nell’universo che lo circonda. Inoltre il bambino usa la bambola per affrontare i vissuti del mondo magico e reale. La bambola è una creazione spontanea del bambino e della sua individualità in formazione qualcosa che inventa indipendentemente dalla forma convenzionale. Le mie Doll partono da questo presupposto per raccontare il mondo femminile, i suoi riti ed i suoi misteri.

Antonella Cinelli, Eyes Doll, installazione, 2012, olio e acrilico su tela, ferro, luci led, cm 50×90 cad 26

La bambola accompagna la vita di una donna trasformandosi con la crescita nel nostro doppio riflesso nello specchio attraverso cui esploriamo, modifichiamo ed esaltiamo il mostro corpo sulle necessità dell’immagine interiore che abbiamo di noi stesse. Vorremmo vedere la mostra attraverso i tuoi occhi, perché in quella cura che costruisce un corpo a partire dalla sua esteriorità c’è l’essenza della tua persona, non in senso diretto ma più squisitamente espressivo: qual è la tua idea di donna e quale pensi sia invece il suo effettivo “ruolo” sociale, al di là dei discorsi su una parità dei sessi che sembra conquistata

Antonella Cinelli, Scatola n.5, 2012, olio e acrilico su tela, cartone, carta, metallo, corda, cm 75×25


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dal punto di vista ufficiale, eppure…?!? La parità tra i sessi ritengo che non ci sia ancora pienamente. In Occidente sicuramente siamo molto vicini allo scopo ma non l’abbiamo ancora raggiunto. Le opportunità per noi paiono essere apparentemente di più ma a mio avviso ancora non si è arrivati al nocciolo della questione, ovvero permettere alla donna di agire liberamente e contribuire sostanzialmente ad un cambiamento positivo attraverso le risorse e le peculiarità di cui è portatrice. La mostra è il racconto di un percorso di conoscenza di se che si snoda attraverso il rito della cura del proprio corpo e della costruzione libera del proprio aspetto. La donna si prende cura del proprio corpo come fa con la prole, con i famigliari, con la casa, con la piccola comunità che la circonda potenzialmente con il mondo. È un istinto innato che appare in tenerissima età ed è una forza propulsiva enorme, erroneamente ritenuta utile solo in un contesto domestico. Per la sua forza positiva e creatrice, dato che si basa sul rispetto e la conservazione della vita, si pone in antitesi all’istinto distruttivo dello scontro violento tipico della sfera maschile. Basti pensare che due delle grandi rivoluzioni del genere umano che hanno consentito la nascita della civiltà, ovvero l’allevamento e l’agricoltura sono nate da questa vocazione alla cura tipica del mondo femminile. Rivoluzioni avvenute in un mondo lontano nel tempo, in cui la struttura sociale era matriarcale.

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anni. Ho accarezzato a lungo l’idea di poterci lavorare in maniera organica. Questa mostra e la libertà espressiva che mi è sta concessa dalla direttrice dell’Aurum Annarita della Penna, mi hanno finalmente permesso di realizzare. Pittura e linguaggio installativo si alternano in entrambe. Nelle scatole della memoria prevale un gusto ludico. Questo lavoro è stato ideato perché delle installazioni potessero essere racchiuse in piccoli contenitori. Sono più opere che ne formano una grande Funzionano singolarmente e in rapporto l’una all’altra, ognuna nasconde un indizio di un enigma ed insieme appaiono come un enorme rebus che racconta il momento misterioso in cui la bambina diviene donna. Il filo conduttore è la farfalla scelta come simbolo della psiche e della trasformazione. Le Sketchbook bag oltre ad essere un omaggio alla borsa, vera e propria compagna inseparabile di ogni donna che ognuna trascina dietro come una piccola casa, sono state pensate come opere da esporre e da indossare. Sono realizzate con i miei schizzi e gli appunti e in mostra verranno presentare accompagnate da piccole tele che raccon-

tano la gestualità delle mani alle prese con questo oggetto del desiderio del mondo femminile. Puoi anticiparci i tuoi prossimi impegni? Una collettiva a Las Vegas con Fu Xin Gallery di Shanghai e sempre con lei una seria di fiere internazionali in Asia, la prima a Nuova Delhi a febbraio 2013. E per la prossima estate è già in cantiere un progetto ambizioso sulla Duse e D’Annunzio per una personale ancora all’Aurum che sarà sede dei festeggiamenti per i 150 anni dalla nascita di D’Annunzio a Pescara. Evento la cui direzione artistica è stata affidata a Giordano Bruno Guerri. Antonella Cinelli. DOLL Aurum – Sala degli alambicchi Largo Gardone di riviera, Pescara 28 novembre 2012 – 30 gennaio 2013 Info: +39 085 4549508 aurum.comune.pescara.it A fianco: Antonella Cinelli, Scatola n.6, 2012, olio e acrilico su tela, cartone, carta, legno, cm 75x25 In basso: Antonella Cinelli, Sketchbook bag, installazione, 2012, olio e acrilico di tela, carta, plastica, dimensioni variabili

Il tuo linguaggio prediletto è quello della pittura che maneggi e pieghi ai tuoi voleri con maestria e capacità: l’ultima produzione affianca al medium più tradizionale la dimensione installativa: quali sono i modi prima e i risultati poi? Nel mio percorso di studi e poi di ricerca di una forma espressiva a me congeniale sono stata sempre combattuta tra l’amore per il linguaggio della pittura classica e quello dell’installazione. A lungo ho creduto di essere di fronte ad un bivio in cui scegliere una strada mi avrebbe precluso l’altra finché l’idea di far dialogare due mondi apparentante così distanti mi è sembrata l’unica soluzione che mi appartenesse veramente. Novità che chiamiamo in causa per ultime eppure non meno importanti le scatole della memoria e le Sketchbook bag, legate alla metamorfosi messa in atto dalla crescita, le prime, e all’oggetto-feticcio che – oltre ai tacchi – sono peculiarità femminile. Ci racconti nel dettaglio? Le scatole della memoria e la Sketchbook bag sono due progetti su cui lavoro da

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Interviste

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“Illusioni temporanee” ovvero dell’economia poco virtuale dell’esercizio del potere BOLOGNA | Galleria OltreDimore | 30 novembre 2012 – 19 gennaio 2013 Intervista ad NICOLA EVANGELISTI e OLIVIA SPATOLA di LUISA CASTELLINI Il “la” è la campanella della Borsa di Wall Street. Seguono le grida e poi una pioggia, inarrestabile, di monete. Il tutto cullato, non senza un ragionevole spiazzamento, dai mantra tibetani. È questa stratificazione sonora che ci accoglie nella Galleria OltreDimore di Bologna. Sonorità sulle quali, volenti e nolenti, ci innestiamo anche noi, con la nostra stessa presenza di soggetti di fronte a un oggetto: si tratta infatti di parte di un’installazione interattiva ove il suono genera in tempo reale la videoproiezione di una moneta. La nostra: l’euro. La stessa moneta è visualizzata nella sua forma intera ed esplosa tramite un doppio ologramma che fa parte di un’installazione in acciaio e plexiglass. Ieri come oggi sono l’economia e la guerra, divenute sempre più inodori, ineffabili, intelligenti e virtuali (come l’ologramma: splendido e seducente simulacro postmoderno) le braccia del potere. Con cui si costruisce, anche qui a “suon”, ma di bossoli, la pace e tutto il resto, crisi (economica: collettiva e personale) compresa, come si intuisce dalle sculture in ottone intorno alle quali possiamo tentare di tessere architetture “altre”, in primis di pensiero, reale o virtuale che sia. Ne abbiamo parlato con Nicola Evangelisti e con la curatrice della mostra, Olivia Spatola.

Nicola Evangelisti, CRISIS, 2012, installazione in bossoli

Dove affonda le radici questa mostra che per coerenza pare un’opera unica? Nicola Evangelisti: Nasce da una riflessione sulla trasformazione della società occidentale, che ha subito una netta accelerazione dopo l’11 settembre 2011. Messa da parte l’illusione di sicurezza e inviolabilità alla guerra, al terrorismo ha corrisposto una ridondanza mediatica e quindi di controllo, dove questo non è mai solo ma sempre legato all’economia. Con il mio lavoro indago quindi lo stato emotivo e psicologico contemporaneo, che è molto sfaccettato e sfuggente. Spread, Democracy… perché queste parole scritte con i bossoli di fucile?

N.E.: Perché oggi la democrazia si impone con la guerra. Siamo tornati in più di un senso ai tempi dei Romani: fare la guerra fuori – leggi oggi: preventiva – per avere la pace dentro l’impero. Con la minaccia dell’aggressore che diventa arma di controllo in un giro continuo. Così spread, euro, crisi, sono le parole della comunicazione mediatica di una società in cui l’economia virtuale e reale si affiancano, ora, ci appare chiaro, a scapito della seconda. Reale e virtuale sono due forme di realtà il cui confine è labile: ho sempre fatto ricorso a media differenti e comunque voglio restare in bilico tra scultura fisica e quanto questa si espanda nello spazio della mente. Come si inserisce l’installazione in questo contesto? N.E.: Si tratta di un doppio ologramma di una moneta sospesa su un’installazione che io vorrei definire un leggio del futuro in cui le informazioni non sono più scritte sulla carta ma visualizzabili in dati digitali tridimensionali e luminescenti. Ho composto un sound design di suoni provenienti dal mondo dell’economia e delle religioni. Una moneta dell’euro appare dal silenzio grazie a leggere sonorità ambientali, subisce trasformazioni e pressioni fino a esplodere per il default, uno sparo, chissà… Si parte con la campanella della Borsa di Wall Street poi ecco le grida e le monete che cadono in un ritmo sempre più frenetico. A questo si sovrappongono alcuni mantra tibetani perché la società occidentale e il capitalismo hanno portato l’uomo a confondere e sovrapporre economia, mercato e religione in una sorta di accavallamento continuo dove tutto è interconnesso.

Nicola Evangelisti, €, 2012, installazione in bossoli 28


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Come si colloca, nell’ambito della ricerca di Nicola, questa mostra? Olivia Spatola: È un lavoro nuovo – non ci saranno ad esempio le sculture luminose da parete con cui identifichiamo maggiormente la sua ricerca – nel quale però Nicola riprende alcune idee su cui stava riflettendo da tempo. Si tratta di una mostra molto organica, strutturata attraverso mezzi espressivi diversi e in strettissima relazione con lo spazio della Galleria. Possiamo a ragione parlare di un lavoro site-specific ove lo stesso tema è vissuto e innescato in modalità differenziali, tramite diversi media, ma coerenti.

noi. A questa installazione fa contrappunto un lavoro più scultoreo, strutturato con bossoli di fucile. Così come nell’installazione il suono deforma la moneta dell’euro fino a farla esplodere, nelle sculture il rapporto tra il significato della parola e i bossoli che la compongono dà vita a una processo di analisi e riflessione sulla società vessata dalla crisi e a priori dall’economia. Dove reale e virtuale in entrambi i casi si confondono.

Come si articola, dunque, l’esposizione? O.S.: In mostra vi è un’installazione olografica, aggettante, molto particolare. Si tratta di un doppio ologramma, un lavoro complesso tecnicamente. La videoproiezione, tramite un software che rielabora i suoni in presa diretta, è interattiva ma si muove da due tracce distinte, sovrapposte in tempi sempre diversi. L’ologramma è simulacro, è qualcosa che non c’è fisicamente ma produce delle incidenze sul reale: esattamente come le enormi somme di denaro che il mercato azionario sposta, che sono evanescenti ma possono compromettere la vita di ognuno di

Galleria OltreDimore Piazza San Giovanni in Monte, 7 Bologna

Nicola Evangelisti. Temporary Illusions a cura di Olivia Spatola e in collaborazione con

30 novembre 2012 – 19 gennaio 2013 inaugurazione venerdì 30 novembre ore 18.00 Orari: mart/sab ore 11.00-13.00 ore 17.00-19.30 Info: +39 051 6449537 www.oltredimore.it

Nicola Evangelisti, Coins evanescence, 2012, videoproiezione interattiva 29


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Giovanni Bonelli a Milano. Una nuova avventura ha inizio MILANO | Galleria Giovanni Bonelli | dal 29 novembre 2012 Intervista ad GIOVANNI BONELLI di GINEVRA BRIA Milano. In parallelo allo spazio di Canneto sull’Oglio, Giovanni Bonelli inaugura una nuova galleria, nel quartiere Isola: 250 mq in quella che fu la sede del celebre Binario Zero. A partire dal 29 novembre 2012, in Via Porro Lambertenghi al numero 6, trovano spazio una quarantina di opere degli anni ’60 e ’70, tra dipinti, disegni, fotografie, fotomontaggi, modelli dando luogo alla mostra Vienna e dintorni. Abraham Hollein Peintner Pettena Pichler Sottsass. Sei architetti, artisti a tutto tondo. Questo appuntamento darà seguito ad un alternarsi di maestri storici e artisti contemporanei, con un’attenzione alla pittura, da sempre cifra distintiva del lavoro del gallerista, ma con notevoli aperture verso generi diversi. Espoarte ha incontrato Giovanni Bonelli, per scoprire intenti e progetti in divenire, per il capoluogo lombardo… Quale impulso, quale progetto l’ha spinta ad aprire uno spazio a Milano? Sono diversi i fattori che mi hanno spinto ad intraprendere questa nuova avventura su Milano. Credo che in generale, nella vita professionale, ci siano nuovi traguardi e sfide da affrontare, ancora più necessarie in un momento storico come questo in cui penso che il fatto stesso di “agire” sia fondamen-

tale. Arrivato a 40 anni poi mi occorrevano nuovi stimoli, sentivo la necessità di rilanciare, di mettermi alla prova. Ho sempre lavorato a Milano negli anni passati, collaborando con altri colleghi alla realizzazione di mostre istituzionali e iniziative no profit; l’apertura di questa nuova galleria a mio nome, che rappresenta lo sbocco di un’attività iniziata più di dieci anni fa, soddisfa finalmente il desiderio di giocare in prima persona, esprimendo in maniera totale le mie scelte. Che cosa si aspetta in generale e quale risposta prevede, in termini di pubblico e collezionismo, a Milano? Milano è una città estremamente poliedrica, dinamica e trasversale. In una realtà così ampia, sia dal punto di vista culturale che da quello economico, auspico di allacciarmi ad un pubblico molto più vasto ed eterogeneo. Abituato ad aspettare amici e collezionisti in un piccolo paese del mantovano, l’apertura milanese diventa per me una vera rivoluzione. La speranza è quindi quella di incontrare nuovi compagni di viaggio, nuovi appassionati e tutti quelli che sono gli addetti ai lavori, curatori e giornalisti, più difficilmente reperibili in una ristretta realtà di provincia.

Giovanni Bonelli, ritratto

Rispetto alla sua attività e la ricerca svolta nella sua galleria di Mantova, quali aspetti approfondirà nel capoluogo lombardo? Lo spazio di Milano mi permetterà di focalizzare su alcuni artisti con i quali collaboro da diverso tempo ma anche di presentare nuovi autori italiani ed internazionali che da diverse stagioni osservo con curiosità. Inoltre, vorrei presentare progetti dedicati ad alcuni protagonisti ormai storicizzati del dibattito artistico, autori già molto noti e che dal mio punto di vista meritano un approfondimento. La mostra inaugurale, “Vienna e dintorni”, racchiude in sé proprio questo tentativo: nasce dal desiderio di evidenziare il rapporto tra architettura ed arte sviluppatosi già nei primi anni ’70 (ed ancora fortemente attuale) nella Mitteleuropa, con ramificazioni anche nel nostro Paese, attraverso il lavoro ed il pensiero di grandi personalità come Abraham, Hollein, Peintner, Pettena, Pichler, Sottsass. La prima mostra con la quale ha deciso di presentarsi suona come una dichiarazione di poetica, perché quindi la scelta di questo incipit? Non c’è, in realtà, una dichiarazione di poetica nella mostra, vi è piuttosto la volontà di indagare il lavoro di alcuni grandi architetti ed artisti già attivi negli anni ’70, taluni forse

Galleria Giovanni Bonelli, giovedì 29 novembre 2012, serata di inaugurazione 30


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meno noti in Italia ma con una eco di fortissima risonanza a livello internazionale. Volendo trovare una sorta di poetica in questo progetto, direi piuttosto che risiede nel modo in cui nasce, e cioè sui tavolini di un Caffè di via Hayez a Milano, una mattina d’estate in cui chiesi a Gianni Pettena, curatore della mostra e amico, quale progetto avrebbe voluto realizzare, avendone la possibilità. Diciamo che questa mostra nasce da un caffè preso in buona compagnia… È un progetto ambizioso che risalta un’esperienza artistica importante e che risponde a un’esigenza di maggiore selezione rispetto alle iniziative, necessaria, dal mio punto di vista, in un momento particolare come questo. Quali supporti lavori e progetti, potrebbe elencare alcuni esempi? Durante diversi viaggi tra Vienna e Innsbruck in compagnia di Gianni, abbiamo selezionato direttamente negli studi degli autori o negli archivi degli stessi, alcuni progetti originali degli anni ’70 in cui si evidenzia in maniera decisa il rapporto dell’architettura con la natura. Si è trattato di una selezione volutamente variegata, tra modelli, fotografie, dipinti, disegni e progetti, che potesse quindi rappresentare al meglio la complessità di linguaggi, la poetica e la varietà di forme espressive di questi grandi autori. Potrebbe svelare alcuni progetti futuri? Posso anticipare che sto lavorando su alcuni progetti importanti legati alla pittura che mi piacerebbe realizzare a seguito di questa mostra ma per scaramanzia, preferisco non accennare ancora nulla. Vienna e dintorni. Abraham Hollein Peintner Pettena Pichler Sottsass a cura di Gianni Pettena Galleria Giovanni Bonelli Via Luigi Porro Lambertenghi 6, Milano 30 novembre 2012 – 2 febbraio 2013 Inaugurazione giovedì 29 novembre 2012, ore 18.30

Galleria Giovanni Bonelli, giovedì 29 novembre 2012, serata di inaugurazione

Orari: da martedì a sabato ore 11.00-19.30. Lunedì su appuntamento. Domenica chiuso. Info: galleriagiovannibonelli@gmail.com +39 331 8407444 31


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Repetto. Da Acqui Terme a Milano Intervista a CARLO REPETTO di Francesca Di Giorgio In Italia ci sono circa 1937 “Repetto” cognome diffuso con maggiore densità tra Liguria (al primo posto) e Piemonte (al secondo) ma per chi frequenta il mondo dell’arte non può che ricordare una famiglia dedita a scrivere da generazioni alcune delle pagine più interessanti tra le gallerie d’arte del nostro Paese. Dando un rapido sguardo agli artisti transitati negli spazi di Via Amendola 23 ad Acqui Terme si nota non solo lo spessore dei nomi – Morlotti, Crippa, Dorazio, Licini, Giacomelli, Ghirri, Paolini, Calzolari… – ma la capacità di rendere realmente “contemporanee” le ricerche di artisti italiani insieme a colleghi stranieri (Christo e Jeanne-Claude, Kolar, Francis, Rainer, Adams, Hartung…). Un quadro che ora amplia le sue vedute con una recente apertura – il 13 settembre scorso – di Repetto Projects, una nuova sede a Milano… Il vostro cognome è estremamente legato alla cittadina in provincia di Alessandria… Può raccontarci a grandi linee il percorso che ha fatto la vostra famiglia e chi si è avvicendato alla direzione della galleria? La Galleria Repetto, in origine “Bottega d’arte” Repetto e Massucco, fu fondata da mio padre Aurelio e mio zio Fortunato nel 1966. Nel 2007 ho fondato la nuova galleria Repetto. Così, siamo passati dalla promozione

di autori legati all’ultimo naturalismo di Francesco Arcangeli (Morlotti, Chighine, Francese, Romiti ecc…) all’apertura verso autori in qualche modo più internazionali, come Melotti, Christo, Francis, Paolini, Boetti… nella ricerca di una proiezione culturale più dinamica e aperta. Repetto Projects, si confronta con spazi molto diversi rispetto a quelli di Acqui Terme. Quali opportunità avete visto nel cambio di sede? La sede di Acqui Terme è molto grande e ci ha permesso di realizzare mostre semi museali, l’ultima ora in corso dal titolo L’ignoto che appare un omaggio ai grandi artisti dell’arte concettuale e arte povera riferibile alla città di Torino tra il 1964 e il 1990. Tuttavia, essendo in provincia, il suo bacino di utenza si è confermato essere limitato e limitante. Abbiamo così colto al volo l’occasione di poter rilevare gli spazi dell’ex galleria del mio amico Giulio Tega a Milano, in Via Senato 24, secondo un’originale condivisione e alternanza con la Casa d’Aste Cambi di Genova: la sede è divisa in due spazi, un ufficio e lo spazio espositivo; semplicemente condividiamo l’ufficio e gestiamo separatamente lo spazio espositivo. Cambi presenta in occasione delle sue Aste le preview cinque o sei weekend all’anno, noi le mostre. In questa nuova sede, di piccole dimensioni ma molto centrale, abbiamo programmato,

Fausto Melotti, Vaso tubo, 1958 ca, ceramica smaltata policroma, cm 6,5 x 23,5

per questo autunno fino a natale un ciclo di tre mostre: Andy Warhol, Unique Prints da poco terminata; La soglia dell’invisibile, un confronto tra Ghirri e Paolini e a seguire Dei Misteri Eleusini, una mostra a tema su alcune ceramiche di Fausto Melotti, legate al mito arcaico di Demetra e Persefone (Kore), le dee del grano. Fino a novembre le gallerie avranno una programmazione parallela poi quale destino attende gli spazi di Acqui? Il grande spazio acquese, per il prossimo anno 2013 probabilmente conoscerà un momento di rallentamento e pausa. Anche perché organizzare mostre di così ampie dimensioni è molto impegnativo, non ultimo considerando il delicato periodo di crisi. Ci racconta in anteprima le caratteristiche delle due mostre in programma e le ragioni della vostra scelta? Ghirri e Paolini è un confronto inedito e originale che ha trovato la notevole simpatia del nostro amico Giulio Paolini, che riteniamo essere a livello internazionale uno degli artisti più importanti oggi viventi (con prezzi ancora molto accessibili); il confronto con un classico come Luigi Ghirri si è rivelato essere estremamente interessante, dando vita ad

Carlo Repetto, ritratto 32


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Repetto Projects, veduta di allestimento, Andy Warhol, Come un vestito di Dior – Like a Dior dress, unique prints

un dialogo iconografico e tematico pieno di ricchezze e di sorprese. Per quanto concerne la mostra di Melotti, vorremmo sottolineare il suo grande amore per l’arte classica greca. A differenza di Calder, Melotti in tutta la sua creazione ha un radicamento con la cultura classica e mediterranea forse ancora superiore a quello di Arturo Martini. Come Calder, Melotti, pur smaterializzando l’antica concezione scultorea materica e monumentale, in tutta la sua creazione ha sempre vivi riferimenti alla nostra antica tradizione: Antelami, Wiligelmo, i Pisano, il maestro d’Autun, fino idealmente alla grande tradizione classica greca, minoica e micenea, testimoniata dalle ceramiche che esporremo.

Pistoletto, Prini, Salvo, Zorio 23 settembre – 30 novembre 2012 Galleria Repetto via G. Amendola 21/23, Acqui Terme (AL) Orari: martedì-sabato 9.30- 12.30 e 15.3019.30 | domenica su appuntamento Info: +39 0144 325318 – info@galleriarepetto.com www.galleriarepetto.com

Inaugurazione giovedì 18 ottobre 2012 ore 18.00 18 ottobre – 17 novembre 2012 FAUSTO MELOTTI, dei misteri eleusini. Ceramiche e opere su carta 1948 – 1980 Inaugurazione giovedì 29 novembre 2012 ore 18.00 29 novembre – 24 dicembre 2012 REPETTO PROJECTS via Senato 24, Milano Orario: 11.00 – 19.00 sabato su appuntamento Info: +39 02 36590463 info@repettoprojects.com www.repettoprojects.com L’IGNOTO CHE APPARE. Torino, presenze 1964 – 1990 Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Gilardi, Merz, Mondino, Paolini, Penone,

Giulio Paolini, Srinagar, 1989-90 33


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Officina delle Zattere. “Fare” ad arte VENEZIA | Squero di San Trovaso in Fondamenta Nani Intervista ad MARCO AGOSTINELLI e GERMANO DONATO di FRANCESCA DI GIORGIO Per l’opening del 30 novembre scorso ha puntato su ben quattro mostre parallele, Atto primo, quattro tempi dove un musicista (John Cage) raccontato in video da Emanuel Pimenta, un filosofo (Massimo Donà), un attore/scrittore (Giorgio Faletti) e uno scenografo (Giorgio Merigo) hanno presentato la loro ricerca al pubblico facendosi anche portavoce di una dichiarazione di intenti legata

al luogo, un ex opificio riaperto al pubblico per la prima volta. Stiamo parlando di Officina delle Zattere nuovo centro d’interesse culturale in Fondamenta Nani (Dorsoduro), che si inserisce nel famoso “chilometro della cultura” veneziano: dal Ponte dell’Accademia fino a Punta della Dogana. La promessa, dagli esordi mantenuta, è

quella di rendere uno spazio, dalle infinite potenzialità, un laboratorio in cui la nuova vocazione espositiva sia il risultato di una sperimentazione trasversale: dalle arti visive alla musica, dalla danza al teatro, dal cinema alla letteratura, dall’architettura alla poesia senza dimenticare l’aspetto formativo ricoperto dall’Officina alle origini. Ne abbiamo parlato con chi ha scelto e ora conduce “i lavori”: Marco Agostinelli, direttore artistico e Germano Donato, direttore commerciale… Riconnettere aree marginali al centro, restituire o attribuire senso a strutture dimenticate, creare nuovi poli culturali… Negli ultimi anni la pratica del recupero e conversione di spazi industriali e artigianali (e non solo) ha dato frutti molto interessanti. Come si inserisce Officina delle Zattere in questo contesto? Qual è il suo passato ed il suo presente? Marco Agostinelli e Germano Donato: In primo luogo crediamo che l’Officina delle Zattere, proprio per la sua struttura, scevra da ogni affresco barocco e ogni altro orpello, così tipici in ambito veneziano, sia la soluzione ottimale per creare un contenitore adeguato all’arte contemporanea. Le sue origini architettoniche, risalenti agli anni ’50 rispecchiano in pieno l’ambito industriale veneziano, appunto in stile officina o fabbrica che sia. Ma, a differenza proprio di situazioni simili, che si trovano maggiormente nell’isola della Giudecca o verso Marghera, il nostro spazio si inserisce nell’ambito più importante di Venezia, a due passi dall’Accademia, dalla Guggenheim, dai Magazzini del Sale e da Punta della Dogana, in quel chilometro dell’arte di cui tanto si parla. Inoltre, ci piace davvero molto il suo originale utilizzo: le officine erano quei luoghi pensati da Don Orione per ospitare bambini orfani o disagiati ed insegnare loro un mestiere, quello del fabbro, del ceramista, del calzolaio e del tipografo. In seguito ospitò anche i laboratori della vicina Accademia di Belle Arti e poi rimase in disuso per tanti anni. Ecco, ridare vita a questi luoghi “del fare”, “facendo” a nostra volta è affascinante ed è il nostro obbiettivo. Gli spazi dell’Officina delle Zattere (laboratorio di arte e cultura) sono stati completamente ristrutturati dall’architetto Fulvio Caputo, seguendo una linea di pensiero e di recupero

Officina delle Zattere, ingresso, Dorsoduro, Fondamenta Nani 947, Venezia 34


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strutturale senza dimenticare mai il passato, anzi sottolineandone l’ipotetico perimetro, con un gioco di luci e di ombre. In effetti, il nostro neon blu, che caratterizza le parti esterne e di passaggio, sono come una linea ideale, una traccia del ricordo e del passato. Altrimenti lo spazio è stato attrezzato per le più moderne esigenze, che vanno dall’audio video in tutte le sale alla sicurezza, dal wifi ai più moderni sistemi di illuminazione. In che modo pensate di far dialogare Officina delle Zattere con il circuito artistico veneziano ad alta densità di sedi votate all’arte? La nostra idea, almeno per i periodi fuori Biennale, è quella di proporci come spazio interattivo ed interdisciplinare per la città e per i suoi ospiti. La nostra proposta continuerà ad essere tipicamente trasversale, rivolta a tutte le arti, da quelle visive alla musica, dalla danza al teatro, dal cinema alla letteratura, dall’architettura alla poesia. Siamo coscienti che Venezia sia ad alta densità di proposte d’arte e proprio per questo siamo andati a cercare, un po’ per nostra indole e un po’ per necessità, un’idea di polo multimediale delle arti tutte, cercando di proporci come laboratorio e allo stesso tempo anche come centro studi. Questo non significa senz’altro che non faremo quelle che si potrebbero chiamare “tipiche mostre”, ma staremo sempre attenti a non sovrapporci a ciò che già c’è. Il nostro pensiero è rivolto alla sperimentazione e alla ricerca e qualora avverrà, come avverrà senz’altro, di avere solo quadri e sculture, esse saranno comunque una proposta intellettuale ed artistica inserita in un pensiero e in un contesto innovativo e di ricerca.

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La programmazione che accompagnerà l’Officina fino alla fine di gennaio 2013 è nata sotto il segno dell’ecletticità… Cosa possiamo comprendere dei vostri obiettivi da questa scelta iniziale? Continuerete a seguire questa linea? Altri progetti in cantiere? Se si pensa a questa nostra prima proposta, Atto primo, quattro tempi: ad esporre sono un musicista, un filosofo, uno scrittore e uno scenografo… direi che l’esperimento è riuscito con tanto di apprezzamento del foltissimo pubblico e della stampa. Per la programmazione che ci porterà alla Biennale, dove ospiteremo padiglioni nazionali ed eventi collaterali, stiamo pensando ad un corto circuito di varie attività culturali connesse, fatto di conferenze, presentazioni di libri, visioni di film e ovviamente due o tre mostre d’arte, suddivise nei due piani dell’Officina. Per finire mi piace ricordare che nei prossimi mesi saremo capaci di mettere in piedi, diciamo digitalizzare, tutto il nostro archivio di documentari sull’arte, che sono già più di 150 e ne aspettiamo ancora dal Centre Pompidou e dal Festival del Cinema di Montreal. Questa idea, del tutto in linea con il progetto nel suo complesso, intende dare significato a quello che, tra non molto, potrebbe diventare un vero e proprio centro studi sull’immagine in movimento, dove il fruitore potrà richiedere in visione un determinato lavoro e poi restituircelo. Ecco, questo è in generale il nostro progetto; e attraverso la molteplicità delle discipline, vogliamo offrire riflessioni e confronti, strumenti utili per indagare.

Il suono delle cose di Veronica Croce, Massimo Donà, Raffaella Toffolo. Veduta della mostra, Officina delle Zattere, Venezia

Atto primo, quattro tempi John Cage 100 anni. Silenzio di Emanuel Dimas De Melo Pimenta a cura di Lucrezia De Domizio Durini ed Emanuel Pimenta Da quando ad ora di Giorgio Faletti a cura di Tiziana Leopizzi Il suono delle cose di Veronica Croce, Massimo Donà, Raffaella Toffolo a cura di Massimo Donà Sinestetiche visioni, sound digital art di Giorgio Merigo a cura di Roberta Semeraro 30 novembre 2012 – 31 gennaio 2013 Officina delle Zattere Dorsoduro, Fondamenta Nani 947, Venezia Orari: mercoledì-domenica, 10.00-18.00 Ingresso libero Info: www.officinadellezattere.it Organizzazione: Arte Eventi Venezia srl info@arteeventi.com +39 041 5205577

Giorgio Faletti, When, 2012 35


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LINK POINT. “Il punto” sulla new media art BRESCIA | Link Point di ILARIA BIGNOTTI

Alterazioni Video, Violent Paintings, 2010. Installazione nella Fabio Paris Art Gallery, Brescia

Inaugurazione del Link Point, 29 settembre 2012. Adam Cruces, mostra “Refresh”. Produzione: Link Art Center

Il nome desta sospetti: nel sistema tradizionale dell’arte, si insegna infatti che non è molto “strategico” indicare sul proprio sito o nel proprio spazio espositivo troppi “link” ad altri siti o spazi, complice la paura, spesso ingiustificata, di essere così bypassati e scavalcati dal pubblico, facile a perdersi sulla rete. Questa “paura” è stata a sua volta il risultato, e la causa, di una cultura, quale soprattutto la nostra, che negli ultimi trent’anni ha premuto l’acceleratore su un individualismo sfrenato e su quel “guardare al proprio orticello” che già ci ha fatto perdere diversi appuntamenti, e più di un treno da prendere, invece, al volo. Ma di tutto questo Fabio Paris, gallerista ed editore con alle spalle dodici anni di esperienza sul campo, non se ne è mai curato molto. E come lui, Domenico Quaranta, curatore e tra i massimi esperti, ad oggi, dell’unico linguaggio rigorosamente promosso e proposto dalla Fabio Paris Art Gallery: la new media art. Del resto, i due si sono sempre mossi, e hanno da sempre cercato e sostenuto, quelle ricerche artistiche che, grazie al digitale, seguivano la regola della mossa del cavallo, come insegnava, al secolo scorso, il signor

Sklovskij: muoversi obliquamente, criticando il sistema dall’interno e per di più usando i suoi stessi mezzi, quelli più all’avanguardia – ovvero, nel XXI secolo, il digitale e la net art, le tecnologie più sofisticate e i media più innovativi. Se il non avere avuto paura a lavorare facendo rete, indicando ben più di un link, è stato sempre naturale per Fabio Paris, con il 2011 la scelta è stata ancora più radicalmente necessaria: assieme a Domenico Quaranta e Lucio Chiappa, esperto in comunicazione e marketing, hanno fondato il Link Center for the Art of the Information Age. A questo trio di fondatori si sono poi aggiunti tre collaboratori Matteo Cremonesi, Susanna Scotti e Cristina Taglietti. È poi seguita l’inaugurazione di uno spazio fisico, il Link Point, nello stesso spazio dove prima era la galleria privata di Fabio Paris: non una negazione, né tantomeno una sostituzione dunque, di una realtà che fino a quel momento aveva saputo guardare alla contemporaneità prima ancora che lo diventasse, spesso presentando le future espressioni artistiche internazionali. Chi scrive, nella mente, rivede la terribile, e perfetta, mostra degli Übermorgen.com, all’indomani dei

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Mostra “Collect the WWWorld”, a cura di Domenico Quaranta, 2012. Istallazione presso 319Scholes, New York. Produzione: Link Art Center

danteschi orrori di Guantamano – e di tutte le prigioni del mondo; ricorda le lucide grida iconografiche di Alterazioni Video, con quel caos apparente frutto di un rigore critico degno della ricerca più matura di inizio secolo – da Hearthfield a Schwitters – e rammenta anche, più recentemente, la coraggiosa esposizione che, durante la Notte Bianca del 2011, rifletteva sulle relazioni tra arte e archivio digitali, Collect the WWWorld. The Artist as Archivist in the Internet Age. Mostra che è stata visitata da curatori e direttori di istituzioni e musei internazionali; e dopo essere stata esposta alla House of Electronic Arts Basel, nella primavera 2012, in autunno è approdata a New York, da 319 Scholes e nel 2013 arriverà al LABoral di Gijon, in Spagna. Nel frattempo, sono nate le Link Editions, sono stati ideati – e varati – altri progetti espositivi, all’insegna del dialogo e della con-divisione. Ho messo un trattino, tra le due parole: perché il Link Center ha una ben precisa identità, frutto di un lavoro collettivo. Per Fabio Paris non è una novità. Per molti, lo sarà di sicuro. Link Point via Alessandro Monti 13, Brescia www.linkartcenter.eu


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Casa Turese. Un patrimonio familiare torna ad essere collettivo VITULANO (BN) | Casale Fuschi Intervista a TOMMASO DE MARIA di Francesca Di Giorgio vari casali, i palazzi e strutture pubbliche appartenenti alla collettività come la pinacoteca Comunale, che vanta una collezione d’arte contemporanea di grande prestigio. Non escluderei neppure il contesto paesaggistico che vede sorgere l’abitato ai piedi della “Dormiente del sannio” definita dal massiccio del Taburno e così chiamata perché il suo profilo visto da Benevento ricorda quello di una donna sdraiata. L’ambientazione di Casa Turese è dunque un contesto antico che si distingue per il fascino della pietra locale impiegata in gran parte delle costruzioni presenti e nell’arredo urbano.

Ritratto di Tommaso De Maria

Un antico casale torna a nuova vita grazie al progetto presentato da Tommaso De Maria e ammesso al bando dei fondi Europei POR Campania del 2000-2006, a sostegno dello sviluppo di microimprenditorialità. Appartenuto alla famiglia De Maria in Vitulano, dal 1860, il casale è di proprietà di Tommaso dal 2006 quando decide di acquistarlo con l’obiettivo di aprire «una galleria d’arte ed un laboratorio di stampa artistica artigianale in memoria dei suoi antenati e conservando gli elementi essenziali del loro vissuto». Ecco spiegato perché si parla di “Casa”. Sul perché di “Turese”, invece, dobbiamo risalire alle tradizioni locali, a quel particolare soprannome dato a chi proveniva dalle “Tore” l’area collinare situata a Sud Ovest del capoluogo Benevento. La “casa dei turesi” oggi, dopo una recente opera di restauro, è un edificio su due livelli: «al piano terra zona di produzione attrezzata con macchinari per la serigrafia e la calcografia, al piano superiore area di stoccaggio dei semilavorati e dei prodotti finiti, un ufficio operativo per la realizzazione tramite CAD delle attività di riproduzione e la stampa di bozze e pellicole, la sala mostre per gli eventi e le esposizioni». La struttura ha mantenuto complessivamente il suo aspetto originale, gli archi e le facciate in pietra locale, l’antico forno in mattoni… passato, presente e futuro convivono in questa nuova avventura che ci facciamo

raccontare direttamente da chi l’ha vissuta sin dall’inizio… I due anni che hanno portato alla “rinascita” di Casa Turese, spiegherebbero solo una minima parte della storia di questo luogo. Siamo di fronte ad un patrimonio familiare che torna ad essere, come un tempo, collettivo… Cosa significa Turese e come è legato a casale Fuschi? Casa Turese significa letteralmente “casa dei turesi”, tale denominazione è legata ad una tradizione locale secondo cui i miei ascendenti venivano così definiti, come una consuetudine tipica dei piccoli centri come Vitulano. Nella scelta del nome mi è venuto naturale chiamarlo così perché realmente, questo spazio è stato abitato da queste persone, per più di un secolo; dunque una rivalutazione del vissuto che trova una sua coerenza nel logo ufficiale, raffigurante una veduta esterna di esso. L’anima di questo spazio credo si ricolleghi a questi aspetti, a questi elementi che ho recuperato, per riproporli nel marketing e nell’immagine rendendoli nuovamente vivi nel presente e mi auguro, anche nel futuro. Se dovessi descrivere il contesto artistico-culturale in cui nasce Casa Turese… Il contesto di Vitulano è ricco di testimonianze che ne fanno il centro antico della valle vitulanese; numerose le chiese dislocate nei

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Ti abbiamo conosciuto per l’attività della galleria Art’s Events con cui segui da tempo nomi giovani e affermati con una particolare attenzione per il linguaggio pittorico… Casa Turese sembra seguire le sue tracce è così? C’è sicuramente una continuità con la lunga avventura iniziata da mio padre nello spazio di Torrecuso di cui continuerò ad occuparmi ma che resta, come lo è sempre stato, un’associazione culturale indirizzata esclusivamente alla promozione di eventi espositivi. Casa Turese nasce con l’idea specifica di essere stamperia e galleria, uno spazio versatile che offre la possibilità di abbinare la produzione di grafica d’arte all’attività espositiva di galleria; è stato volutamente pensato

Casa Turese, veduta esterno


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Casa Turese, panoramica della galleria

come uno spazio dinamico, fruibile nell’area dedicata alle esposizioni e dotato del laboratorio per la serigrafia e la calcografia nell’area dedicata alla stampa. All’attività di galleria si affianca un laboratorio serigrafico e calcografico per la stampa artistica che è certamente l’aspetto che più si avvicina ad una produttività artigianale legata al passato… Perché tra le tante attività hai scelto la stamperia d’arte? Quali progetti hai in mente per gli artisti con cui collabori? In questa risposta non posso fare a meno di citare l’amicizia con Vittorio Avella, ideatore della stamperia d’arte “Il Laboratorio le edizioni” di Nola, che ha sempre dimostrato solidarietà verso la mia iniziativa mettendomi a disposizione la sua esperienza. È altresì importante evidenziare che il progetto di recupero del fabbricato è stato ammesso ad un bando regionale di fondi europei per l‘incentivo di attività artigianali e commerciali. Ho scelto la stampa d’arte per avere la possibilità di produrre grafica d’autore in un laboratorio allestito nello stesso luogo della galleria. Le tecniche di stampa sono tra le più antiche, ed entrambe sono sviluppate attraverso procedimenti prettamente artigianali; nella serigrafia, a differenza della stampa calcografica che è realizzata interamente attraverso procedimenti manuali, la preparazione del telaio e la stampa sono facilitati dall’uso dell’espositore e della macchina da stampa semiautomatica che riducono e semplificano alcuni passaggi. Con gli artisti, a parte la collaborazione con la galleria, stiamo pensando ad un lavoro sperimentale che riguarda questa prima fase di produzione, per raggiungere gradualmente la qualità del prodotto. Oggi è più “facile” assistere all’apertura di spazi d’arte nei grandi centri internazionali, dove visibilità e presenza hanno apparentemente la meglio. In questo senso Casa Turese sembra proporre un’alternativa… Qual è il suo punto di forza, aspirazioni e prospettive? La presenza e la visibilità di un grande centro offre sicuramente opportunità diverse

ed il fatto di partire da una piccola realtà di provincia del Sud Italia resta penalizzante; di contro il web e le nuove tecnologie unite alla possibilità di esporre in altre sedi (che possono essere spazi pubblici o fiere d’arte contemporanea) credo rappresentino i canali giusti per annullare le distanze ed informare un pubblico sempre più vasto sull’attività svolta. Il punto di forza è rappresentato dal lavoro degli artisti, mi fa piacere sottolineare questo aspetto ed è importante lavorare sulle sinergie e sulle idee che nascono dal confronto. Parliamo di date… I progetti per l’anno prossimo riguarderanno tutti gli artisti con cui collaboro, stabilmente esposti in una sala della galleria. Con Angelo Maisto e Tommaso Ottieri abbiamo già pensato ad una personale da fare nel 2013; presenterò inoltre una nuova serie di dipinti su carta di Stefano Di Stasio. Casa Turese galleria • edizioni d’arte Via Fuschi di Sopra, 64-87-89 Vitulano (BN) Direttore e ideatore: Tommaso De Maria Orari: dal martedì al sabato dalle 16.00 alle 20.00 (visitabile anche su appuntamento) Info: +39 333 3443684 +39 0824 874650 +39 0824 871512 info@casaturese.it www.casaturese.it

Casa Turese, panoramica della stamperia 38


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Arte > Spazi

GiaMaArt studio. La nuova sede tra continuità e cambiamenti VITULANO (BN) | GiaMaArt studio | nuova sede Intervista ad GIANFRANCO MATARAZZO di MARTINA ADAMUCCIO

Ritratto di Gianfranco Matarazzo nella nuova sede di GiaMartArt studio, in secondo piano opere di Stefano Bolcato

C’era una volta in un paese lontano, nascosto tra un paesaggio incantevole e l’altro, uno spazio dedicato ai lavori di un tempo. Qui, di padre in figlio, venne tramandato l’amore per l’arte, l’arte di far nascere cose nuove come quella di far nascere emozioni. Trascorsero gli anni e Gianfranco Matarazzo, il bambino ormai adulto, diventato gallerista di GiaMaArt studio, amava come il padre far vivere grandi emozioni e, così, con i suoi sogni e le sue speranze, fece rivivere uno spazio per lui magico, in cui la logistica si sposava con la creatività e in cui le sensazioni che si provano ora guardando un’opera, sono simili alle scintille che nell’officina del padre si vedevano scoppiettare. Ma, forse, le stesse scintille che l’opera fa vivere dentro di noi altro non sono che una traccia del padre per farci ricordare di lui e del suo profondo amore per l’arte del fare che, nonostante il tempo, giunge a noi, anche grazie, certamente, all’amore di Gianfranco per il suo lavoro… Il 3 novembre scorso hai inaugurato la nuova sede di GiaMaArt dove passato e presente vivono nello spazio come un continuum, in cui il solo filo conduttore pare essere l’emozione… Nel nuovo spazio espositivo, cui sono legato per ovvi motivi affettivi, il passato torna a vivere e, quindi, a far parte del presente, at-

traverso una linearità dovuta in primis al fatto che quel posto era adibito alla creazione già nel passato e torna ad essere oggi un luogo privilegiato in cui la creatività, la sensibilità e l’estro degli artisti hanno modo di manifestarsi ed essere apprezzati. In secondo luogo perché quella che era l’officina di mio padre, attraverso l’arte e la pittura, rivive e torna a creare, trasmettendo anche nel pubblico un’emozione ulteriore rispetto alle sensazioni che già evoca l’opera d’arte in sé. Come risponde il tuo territorio allo spazio e all’arte? La GiaMaArt sorge in un posto paesaggisticamente incantevole, tuttavia non c’è una grande vitalità legata all’arte contemporanea e il contesto culturale è ancora poco abituato all’idea di uno spazio dedicato “solo” all’arte. Diversi progetti e grandi idee in questo senso restano ancora legate a poche persone di buona volontà o, come nel mio caso, a giovani pieni di speranze. Del resto, basta pensare agli artisti nati nella nostra provincia e trapiantati altrove. Le Istituzioni e gli Enti, inoltre, non intervengono in maniera concreta, creando collaborazione e sinergia con certe iniziative, anche per l’assenza di fondi e i continui tagli alla cultura. Se si considera poi che spesso quei pochi fondi vengono spesi anche male, si

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capisce facilmente perché nelle nostre piccole realtà il rapporto con l’arte rimanga ancora, se non difficile, quantomeno travagliato. Spesso, anche taluni “addetti ai lavori” latitano o non mostrano interesse e curiosità adeguati verso le poche realtà operanti sul territorio. Negli ultimi anni, comunque, proprio grazie al mio progetto, c’è stato un notevole avvicinamento del pubblico all’arte. Tale pubblico, composto soprattutto di giovani, si è dimostrato molto sensibile a recepire il messaggio artistico e diversi sono i giovani collezionisti che guardano con interesse all’opera d’arte, anche come forma di investimento, e che sempre più spesso rinunciano al possesso di un bene alla moda per acquistare una tela e incrementare, così, la loro collezione personale. Pur non dimenticando il forte senso di appartenenza che mi lega a questo territorio e considerando anche il momento economico difficile che il nostro Paese e il Sud Italia in particolare sta vivendo, mi sto muovendo in modo da aprirmi anche agli scenari internazionali, usufruendo dei potenti mezzi di comunicazione che la tecnologia oggi mette a disposizione di tutti e che annullano le distanze. Il nuovo spazio nasce da esigenze diverse, pratiche, ma soprattutto, forse, “spirituali”. Come credi si rapporteranno le tue nuove esposizioni al contesto e ciò che per te rappresenta? L’esigenza di espandermi con la mia galleria è certamente legata a motivi logistici e di spazio; tuttavia il fatto di aver potuto finalmente riaprire quel locale al pianterreno, chiuso dalla prematura scomparsa di mio padre, ha per me un significato più profondo e personale: è un sogno realizzato. Mi piace definire il cambiamento di destinazione d’uso come passaggio “da arte ad arte”, nel senso che sulla “fucina” di mio padre, le cui mani esperte forgiavano prodotti in ferro di pregio, ha preso vita uno spazio espositivo che genererà una serie di eventi di qualità che attireranno nuovo interesse, suscitando emozioni in chi vorrà partecipare. Tra i tuoi artisti di galleria non figura neanche un artista straniero… Nella prima fase del mio progetto, anche per


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www.espoarte.net Veduta della mostra Stefano Bolcato, The party is over, GiaMaArt studio, Vitulano

fini pratici, ho preferito dare spazio ad artisti italiani, soprattutto giovani, proprio perché è mia intenzione valorizzare e far conoscere soprattutto gli artisti emergenti. Tuttavia, da sempre seguo con interesse il lavoro di diversi artisti stranieri e spero quanto prima di avere l’opportunità di far esporre artisti che gravitano intorno alla mia galleria anche all’estero e, al contempo, di allestire nel mio spazio espositivo mostre di artisti stranieri. Con la creazione di questo nuovo spazio, credi si possa aprire anche un nuovo capitolo per altri linguaggi? Il mio progetto sarà comunque sempre incentrato principalmente sulla pittura, ma non escludo l’apertura ad altri linguaggi. Progetti per il 2013? Fino al 26 gennaio continuerà la personale di

Stefano Bolcato The party is over. Sono diversi i progetti in cantiere e i miei programmi per il futuro sono carichi di speranze. Nell’immediato, vorrei concludere una serie di eventi già programmati, come la personale dell’artista che dovrò selezionare nei prossimi giorni come membro della Giuria del premio “ORA”. Chiuderò questo mio primo ciclo di attività ad aprile, con la mostra personale di Fernando Zucchi, curata da Alessandro Trabucco, che include una serie di opere ispirate allo sport e per la quale ho ritenuto opportuno coinvolgere anche il CONI, che si è dimostrato subito disponibile a collaborare nella realizzazione dell’evento. Nel frattempo, non trascurerò di dedicarmi alla riorganizzazione generale di quello che era il mio progetto iniziale, in programma da tempo e concretizzatasi proprio con l’espansione nella nuova location al pianterreno.

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GiaMaArt studio Via Iadonisi 32, Vitulano (BN) Orari: martedì/sabato dalle ore 17.oo alle 20.00 e su appuntamento Info: +39 0824 878665 info@giamaartstudio.it www.giamaartstudio.it Mostra in corso: Stefano Bolcato. The party is over a cura di Carolina Lio 3 novembre 2012 – 26 gennaio 2013


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Arte > Premi

Premio Furla 2013. Add Fire: un incontro con Jimmie Durham Intervista a JIMMIE DURHAM di GINEVRA BRIA 20 novembre 2013, Milano. Negli spazi bianchissimi, al secondo piano di via Sant’Andrea 18, ha preso abbrivio la nona edizione del premio Furla, dedicato all’arte emergente italiana grazie al comitato scientifico composto da: Chiara Bertola, Giacinto di Pietrantonio, Gianfranco Maraniello, Viktor Misiano. Quest’anno si intitola Add Fire il riconoscimento a scadenza biennale, curato da Chiara Bertola, in continua ricerca di profili dell’eccellenza, fra arte contemporanea e giovani talenti italiani. A firmare il titolo dell’edizione appena cominciata, dopo Christian Boltanski (2011), Marina Abramovic (2009), Mona Hatoum (2007), Kiki Smith (2005), Michelangelo Pistoletto (2003), Lothar Baumgarten (2002), Ilya Kabakov (2001) e Joseph Kosuth (2000) è Jimmie Durham (1940, Washington, Arkansas, USA). L’artista e poeta di origini Cherokee farà da padrino, da figura di riferimento nei confronti del Premio. Come nelle scorse edizioni, verrà selezionata la migliore pratica artistica italiana, attraverso il monitoraggio, la carriera, la formazione degli artisti e la produzione di nuovi lavori, diventando nel tempo affermazione di una vetrina internazionale per la creatività emergente. I curatori chiamati sono stati: Stefano Collicelli Cagol (Padova, 1978) e Bart van der Heide (Olanda, 1974); Francesco Garutti (Milano, 1979) e Yann Chateigné Tytelman

Jimmie Durham, ritratto

(Ginevra, 1977); Ilaria Gianni (Roma, 1979) e Alice Motard (Parigi, 1978); Vincenzo Latronico (Roma, 1984) e Fanny Gonella (Francia, 1976); Filipa Ramos (Lisbona, 1978) e Elena Filipovic (Los Angeles, 1972). Poco prima della conferenza stampa, di introduzione al pubblico del Premio Furla 2013, Durham ha incontrato Espoarte ed ha approfondito con noi alcuni aspetti del suo ruolo in qualità di egida e mentore. Ginevra Bria: Quale significato hai affidato alla fiamma che hai voluto e hai prestato come simbolo guida del Premio Furla 2013? Jimmie Durham: Come tu sai quel che io ho voluto ricreare non è la figura, l’illustrazione di quello che ho rappresentato, ma è l’idea in sé. Credo che sia proprio il concetto di fuoco, di luce che scalda e guida, a restituire il senso a questo Premio. Il mio ruolo di interprete e di rappresentante mi ha dato l’occasione di astrarre il soggetto della fiamma facendola diventare metafora di illuminazione e di trasmissione della conoscenza. Io credo che oggi, qui a Milano sia questa la mia missione. Considerando il tuo percorso, tecnicamente Add Fire come è stato realizzato e in che senso hai voluto che fosse un’esecuzione esemplare? Devi sapere che da poco (primavera 2012) ho inaugurato la più grossa retrospettiva dedicata al mio lavoro, intitolata Jimmie Durham: A Matter of Life and Death and Singing, presso il M HKA Antwerp. Il primo sentimento nei confronti di un percorso così lungo dedicato ai miei lavori è stata la depressione. Realmente. Era possibile che mi fossi ripetuto così tante volte, durante la ricerca di tutta una vita, senza accorgermene e senza evolvere? Ero veramente triste nel pensare che, per decenni, non avessi fatto altro che rielaborare quel che già sapevo invece di espandere la mia conoscenza. In seguito a questa delusione, il lavoro che ho realizzato per il Premio rappresenta una fiammata di nuova conoscenza anche per me. Ho infatti creato un dipinto ad olio su carta – di per sé è della grandezza di un foglio d’appunti – come se fosse un gesto. Cercando di non staccare il pennello dalla superficie ho dato forma ad

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“Add Fire”, Jimmie Durham per il Premio Furla 2013

una sorta di one-stroke painting trasformandolo in linguaggio, in performance visiva. Ho voluto quindi dar vita ad un messaggio, ad una direzione affermati con incisiva rapidità. Quale dunque il primo insegnamento per i futuri candidati del Premio? Pensando al contrasto netto, che ho mostrato combinando i colori caldi della fiamma e gli azzurri freddi dello sfondo, e pensando al fatto che questo fuoco sembra sospeso, lontano da ogni fonte, senza alcuna origine, direi loro di credere nella loro ricerca più che di analizzarla. Nelle prossime settimane i cinque finalisti (Tomaso De Luca 1988, Chiara Fumai 1978, Invernomuto / Simone Bertuzzi 1983 e Simone Trabucchi 1982 , Davide Stucchi 1988, e Diego Tonus 1984) elaboreranno ciascuno un progetto per la realizzazione di un’opera che, insieme a una selezione di loro lavori, sarà presentato al pubblico e alla giuria interazionale nell’ambito di una collettiva. La mostra, intitolata Add Fire dal lavoro di Durham, sarà allestita nella suggestiva cornice dell’Ex Ospedale degli Innocenti a Bologna e sarà inaugurata venerdì 25 gennaio in concomitanza con Arte Fiera e resterà aperta al pubblico da sabato 26 gennaio a domenica 3 febbraio 2013.


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Arte > Progetti

Critica in Arte: tre giovani artisti e tre giovani critici al MAR RAVENNA | MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna | 25 novembre 2012 – 13 gennaio 2013 di CHIARA SERRI

Alessandro Brighetti, Prazine, 2011, Tecnica mista su carta millimetrata, cm 60×80 (con cornice)

Critica in Arte, ovvero tre giovani artisti e tre giovani critici al MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna. Un progetto, giunto quest’anno alla quinta edizione che, come spiega il direttore Claudio Spadoni, ha lo scopo di offrire «una campionatura in divenire della cultura artistica contemporanea» attraverso «tutti i linguaggi e i mezzi espressivi, dalla pittura alla fotografia e ai video, dalla scultura alle installazioni». Nata come revisione di No Border, l’iniziativa trova giusta collocazione all’interno del filone di mostre dedicate dal MAR ai grandi storici del ‘900, come Longhi e Arcangeli, aprendo una finestra sull’attualità. Tra i critici invitati, due firme di Espoarte, Chiara Canali e Matteo Galbiati, oltre a Silvia Loddo, storica dell’arte e della fotografia. Scelte significative che si propongono di «far luce sulle promesse della critica attualmente attiva in Italia e dedita specificatamente alle espressioni artistiche contemporanee». Un panorama, quello della critica attuale, estremamente variegato, non immune da critiche e contestazioni. Da un lato la «confusione sui compiti del critico e del curatore», spiega Matteo Galbiati; dall’altro la mancanza di «un sistema che dia il giusto valore allo studio», aggiunge Silvia Loddo. Insomma,

una figura professionale che deve necessariamente recuperare responsabilità ed autorevolezza, per sondare e sostenere la ricerca contemporanea. Primi fra tutti, i giovani, con i quali si instaura un rapporto paritario e si cresce, avendo l’opportunità, sottolinea Chiara Canali, di «osservare il loro percorso fin dall’inizio, condividendone le riflessioni e indirizzandone le esperienze». Per Critica in Arte ogni critico ha invitato un artista, esponendosi in prima persona. Chiara Canali ha scelto Alessandro Brighetti (Bologna, 1978), Matteo Galbiati Ettore Frani (Termoli, 1978), Silvia Loddo Marcello Galvani (Massa Lombarda, 1975). Installazioni, dipinti e fotografie, tra loro molto diversi, ma accomunati dal «desiderio di esprimere l’eccellenza del nuovo nel rispetto del passato» (Matteo Galbiati). Il percorso espositivo si apre con gli oli di Ettore Frani, «meticoloso rappresentante di una pittura che è già poesia», suddivisi su due sale: prima una sintesi essenziale degli ultimi cinque anni, concentrata su alcuni soggetti e temi ricorrenti, poi i polittici, realizzati nel biennio 2011-2012. Dipinti che, come spiega lo stesso artista, rappresentano maggiormente la globalità della sua poetica, che sente «di non poter esprimere in maniera esaustiva at-

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traverso l’esposizione di una singola tavola». A seguire, le opere di Alessandro Brighetti, che «si collocano a metà strada tra le ricerche dell’avanguardia cinetica e programmata e l’attuale sperimentazione sulle nuove tecnologie, pur mantenendo un innegabile approccio visivo» (Chiara Canali). Lavori che, spiega l’artista, «Utilizzano come medium un liquido che reagisce ai campi magnetici, al quale vengono associate funzioni estetiche e semantiche». Infine le fotografie di Marcello Galvani, che rappresentano «un modo di guardare democratico, nella sua semplicità, complesso ma mai complicato, frutto di un’esperienza del fotografare vissuta con dedizione e distacco insieme, consapevolezza e intelligente ironia» (Silvia Loddo). In mostra, oltre quaranta stampe a colori di piccole dimensioni, alcune delle quali inedite, con l’intento, dichiara l’artista, «di costruire una specie di diario personale e privato». Il suo percorso? Come direbbe Georges Perec, «un inventario delle nostre tasche». Critica in Arte Alessandro Brighetti, a cura di Chiara Canali Ettore Frani, a cura di Matteo Galbiati Marcello Galvani, a cura di Silvia Loddo Ideazione del progetto: Claudio Spadoni, direttore del MAR In collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna, con il sostegno di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna 25 novembre 2012 – 13 gennaio 2013 MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna Via di Roma 13, Ravenna Info: www.museocitta.ra.it info@museocitta.ra.it

Marcello Galvani, Senza titolo, 2012, stampa fotografica da negativo (C-Print), cm 40×45. Collezione privata


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Arte > Progetti

Tra sacro e profano. Natività laiche in mostra sul Lago d’Orta AMENO (NO) | Museo Tornielli | 18 novembre 2012 – 27 gennaio 2013 di MARIA CRISTINA STRATI Fino al prossimo 27 gennaio presso il Museo Tornielli di Ameno, una piccola cittadina che sorge sulle sponde del Lago d’Orta, in provincia di Novara, è possibile visitare la mostra collettiva Natività e nascite laiche. Appunti di dialogo tra iconografia sacra e visioni contemporanee, curata da Francesca Pasini. Come preannunciato dal titolo, il progetto, pensato e realizzato dall’Associazione Asilo Bianco, vuole considerare il tema della natività e della nascita, caratteristici del periodo natalizio dal punto di vista della tradizione cristiana, a partire però da una prospettiva laica. Il concetto di nascita viene quindi indagato in profondità, da differenti possibili angolazioni. Prendendo spunto dall’iconografia sacra tradizionale, le opere esposte in mostra consentono infatti di rileggere alcune tematiche sempre attuali e presenti nell’immaginario collettivo, quali la nascita, la femminilità, il venire alla luce del nuovo e dell’inedito, il rapporto con l’infanzia e via di questo passo, trovando nuove chiavi di lettura e interpretazioni. La mostra si compone di diversi lavori, molti dei quali tratti da collezioni private (operazione ultimamente piuttosto frequente nelle mostre collettive). A opere di artisti storicizzati come Antonio Balestra, Mosé Bianchi,

Pietro da Cortona, Carlo Dolci, Gaetano Previati e Taddeo Zuccari sono così affiancati lavori di artisti contemporanei di altissimo livello: da Vanessa Beecroft a Shirin Neshat, da Wolfgang Tillmans ad Alberto Garutti, passando per Eva Frapiccini, Mocellin-Pellegrini, Marzia Migliora, Liliana Moro e Elizabeth Aro, che affrontano gli argomenti della mostra a volte mettendo in luce gli aspetti più socialmente impegnati, altre quelli più lirici.

Natività e nascite laiche. Appunti di dialogo tra iconografia sacra e visioni contemporanee, veduta della mostra, Museo Tornielli, Ameno (NO) 43

Alberto Garutti, Ai nati oggi, 2011, Sint-Veerleplein, Gent, Belgio, installazione permanente. Alberto Garutti con il personale del reparto maternità dell’ospedale di Gent, Materiale vario, misure ambientali. Courtesy City of Gent


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Liliana Moro, Torno Subito, 1989, lettino in legno, lenzuola e coperta, scritta su carta, veduta installazione in mostra, Museo Tornielli, Ameno (NO)

La mostra è poi completata da una serie di eventi ad essa collaterali. Tra questi è da ricordare la presentazione del progetto ReBirth Day, a cura della Fondazione Pistoletto-Cittadellarte. Il progetto, che sarà inaugurato non a caso il 21 dicembre 2012, giorno in cui secondo la nota profezia dei Maya finirà il mondo, parla di rinascita e ritorno alla vita: quasi a voler significare che fine e inizio spesso coincidono: per preparare la rinascita occorre lasciarsi alle spalle il passato ormai obsoleto, per ritrovarsi pronti a una nuova vita.

può rivelarsi interessante riscoprire per il loro valore storico e artistico.

Un altro evento collaterale riguarda invece il territorio del novarese, dove l’Associazione Asilo Bianco organizza, nello stesso periodo della mostra, un giro turistico dei luoghi sacri nelle cittadine di Novara, Arona, Sologno, Miasino e Orta. Un tour alla riscoperta di bellezze artistiche e architettoniche spesso dimenticate e sottovalutate, ma che invece

Orari: giovedì, venerdì, sabato, domenica 15.00 – 18.30 Apertura nel periodo natalizio: 27/30 dicembre | 3/6 gennaio 2013 Ingresso libero

Natività e nascite laiche Appunti di dialogo tra iconografia sacra e visioni contemporanee a cura di Francesca Pasini Un progetto di Asilo Bianco 18 novembre 2012 – 27 gennaio 2013

Artisti in mostra: Elizabeth Aro, Vanessa Beecroft, Eva Frapiccini, Alberto Garutti, Marzia Migliora, Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, Margherita Morgantin, Liliana Moro, Shirin Neshat, Traslochi Emotivi. Sezione iconografia sacra: Antonio Balestra, Mosé Bianchi, Pietro da Cortona, Carlo Dolci, Pier Francesco Mola, Gaetano Previati, Taddeo Zuccari

Museo Tornielli Piazza Marconi 1, Ameno (NO)

Info: www.museotornielli.it info@asilobianco.it

Marzia Migliora, Talk to me, 2006, foto di scena della performance presso Cesac, Caraglio, 2h, due coperte di lana nera cm 80×300 cad., tre persone. Courtesy collezione La Gaia, Busca (CN), Galleria Lia Rumma Milano/ Napoli. Crediti fotografici Maurizio Elia 44


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Design

Ri-trovarsi da Rua Confettora 17... ciò che siamo, in quel che vogliamo BRESCIA | Rua Confettora 17 Intervista a DANIELA BETTONI di ILARIA BIGNOTTI Il nome sa di un luogo misterioso e affascinante, che coincide con quello dell’antica via dove un tempo, a Brescia, si conciavano le pelli; prima c’era una bottega di restauro, poi Daniela Bettoni, 33 anni, dopo aver studiato i teoremi di forme che seguono funzioni, e le traiettorie che dal cucchiaio portano alla città, decise che quello poteva essere lo spazio adatto dove raccontare la propria teoria, e metterla in pratica, sul design contemporaneo. Per ritrovare il piacere della bellezza e della intelligenza del fare, per dichiarare che essere è anche volere, e che dietro a un oggetto c’è anche il suo pensiero. Non sono cose all’ordine del giorno, soprattutto di questi tempi, dove vige la regola di un preconfezionamento del gusto e di un imbottigliamento dell’identità. Ma a Rua Confettora 17 ci si può concedere di tornare a guardare alle cose, cercando in esse l’origine di un sogno, o la forma di un desiderio: basterebbe entrarci in questi giorni, passeggiando nel Giardino d’Inverno di Cristina Celestino, giovane designer alla quale è dedicata la mostra, visitabile fino a fine dicembre. Ilaria Bignotti: Cos’è Rua Confettora 17? Daniela Bettoni: Rua Confettora 17 è nata

nel giugno 2009 dalla “trasformazione” di una bottega che c’era già, dalla quale ho voluto salvare gli elementi che facevano parte del corredo: i grandi tavoli da lavoro, i vecchi attrezzi, il parquet già calcato per tanti anni, creando un mix volutamente intenso tra il mio sguardo contemporaneo e la memoria artigianale. Oltre ad essere un negozio, ho voluto che fosse uno spazio dove scoprire delle cose: dall’accessorio per la persona all’oggetto per la casa, dal pezzo di design al libro illustrato, ai giochi per l’infanzia, l’ultima novità che propongo. Il filo rosso è la ricerca di oggetti che abbiano un senso, poesia e storia da raccontare e che possano ancora e soprattutto oggi educare alla cultura del design. Anche per questo non mi sono mai imposta vincoli sulle scelte: la mia ricerca avviene a 360 gradi in ambito internazionale, rivolgendomi sia alle aziende, sia al design autoprodotto di altissima qualità. Per sensibilizzare il pubblico, organizzo periodicamente mostre e manifestazioni: per questo lo spazio è sempre in divenire, adattandosi ora alla presentazione di un libro – in ottobre è stato qua Ugo La Pietra con il suo nuovo Abitare la città – ora ad un evento di condivisione aperta a tutti come il “brunch partecipato” Tavola Periodica di CTRLZAK.

Adesso è invece in corso la mostra Giardino d’Inverno di Cristina Celestino, una raffinata esposizione di oggetti che paiono venire da un tempo sospeso. Ce ne vuoi parlare? Ho conosciuto Cristina questo aprile al Salone Satellite a Milano e, mai titolo fu più profetico, in prima battuta mi colpì la Collezione Atomizer, esposta qui in mostra e formata da creazioni in vetro borosilicato, soffiato a lume: un materiale solitamente usato in laboratorio. Le loro forme mi ricordavano le fragranze d’epoca e mi piace l’idea che in questo senso possano diventare dei profumi da tavola. Come questa, le altre collezioni che ho selezionato, i Vasi Veneer, la Voliera Cabinet e i Tavolini Florian, sono caratterizzate da volumi puri, privi di una funzione stabilita e ibridi, ovvero capaci di adattarsi alle esigenze e ai contesti più disparati: la voliera diventa un espositore, i vasi sono anche sculture, i tavolini contenitori, vassoi, gabbie per oggetti preziosi. Quali sono i progetti futuri? Da Brescia, il mio sguardo è necessariamente internazionale: sul sito, sto quindi potenziando la sezione dedicata allo shop online. Tra i prossimi progetti, voglio proporre designer attuali e continuare a fare ricerca “sul campo”, collaborando con giovani che condividono le mie stesse aspirazioni: penso ad Joana Astolfi, Antonio Cos, Sara Ferrari, Gumdesign, Alissia Melka, Alice Visin…e ce ne sono tanti altri, che tengono duro e soprattutto non smettono di inseguire il loro sogno e più concretamente i loro obiettivi, nonostante i tempi grigi! Rua Confettora 17 rua Confettora, 17, Brescia Info: +39 030 5231421 info@ruaconfettora.com www.ruaconfettora.com Mostra in corso: Giardino d’Inverno. Una ricerca di ATTICO – Cristina Celestino a cura di Daniela Bettoni Con la collaborazione di NOTES piedinudinelparco Fino al 29 dicembre 2012

Rua Confettora 17, veduta della mostra Giardino d’Inverno di Cristina Celestino 45


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Maurizio Bongiovanni non è un pittore... “come potremmo pensare” MILANO | UNO+UNO | 15 novembre 2012 – 11 gennaio 2013 di IGOR ZANTI Maurizio Bongiovanni è un artista complesso che, volutamente, sfugge, in senso postmoderno, alla classificazione. La stessa Maria Cristinana Strati, nel testo critico che introduce la personale di Bongiovanni alla galleria Uno+Uno di Milano, utilizza, nel definirlo, il paradossale non sense del non porlo nel novero dei pittori, pur confrontandosi egli, abitualmente, con questo medium. As we may think (Come potremmo pensare) – titolo mutuato ad un articolo del 1945 dello scienziato statunitense Vannevar Bush, dove per la prima volta veniva introdotto il concetto di ipertestualità – si dimostra un’esposizione rivelatrice del modo di fare arte di Bongiovanni, e della sua personale attitudine a muoversi in uno spazio intermedio tra differenti media, dove il concetto metaforico di ipertesto trova pieno compimento. La mostra si snoda attraverso diversi media, dove rimane costante l’impronta dello stile di Bongiovanni caratterizzato da una fluidità sia formale che concettuale. Tale fluidità si declina tanto nel lavoro pittorico, che si pone come un punto di partenza – un assunto necessario e dovuto, un interesse primario – quanto nella ricerca scultorea, che recupera il concetto di ready made con l’utilizzo di materiali di scarto industriale che

acquistano, oltre che nuova vita, anche una nuova ed inedita dignità poetica. A tutto questo si aggiunge un terzo elemento, il video, strettamente connesso e assolutamente funzionale al progetto espositivo che si declina, infatti, sotto l’egida di una pura ricerca multimediale, dando spazio ad un differente incarnarsi della ricerca pittorica. Le opere riproducono, nel loro insieme, la struttura dell’ipertesto, creano una rete di rimandi e di rapporti che permettono un lettura non lineare: qualsiasi elemento, infatti, può intendersi come “il successivo”, in base alla scelta dello spettatore che può decidere quale spunto o quale suggestione utilizzare come collegamento o come parola chiave. L’impostazione dell’esposizione non è immaginata per dare risposte certe sul lavoro di un artista che non nasconde la sua complessità, ma piuttosto, con il fine di evidenziare le caratteristiche che rimangono costanti in una produzione che si declina in modo così articolato, facendo emergere dal percorso espositivo l’interesse da parte di Maurizio Bongiovanni nel ragionare, quasi a livello critico, sulla qualità della pittura e sul suo valore evocativo nella dimensione del contemporaneo.

Maurizio Bongiovanni, Untitled, 2012, olio su tela, cm 100x80

Maurizio Bongiovanni. AS WE MAY THINK a cura di Maria Cristina Strati 15 novembre 2012 – 11 gennaio 2013 Inaugurazione giovedì 15 novembre ore 19.00 UNO+UNO Via Ausonio 18, Milano Info: +39 02 8375436 info@galleriaunopiuuno.com www.galleriaunopiuuno.com Orari: Lun/Ven 10.00 – 13.00 / 15.00 – 19.00 Sabato su appuntamento Domenica chiuso Maurizio Bongiovanni, Padre Nostro, 2011, olio su tela, cm 50x37

Maurizio Bongiovanni, Untitled, 2012, olio su tela, cm 180x125 46


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Daniela Cavallo. Il mondo mistico ripreso da una fotografia che diventa pittura MILANO | Galleria Il Milione | 13 dicembre 2012 – 10 febbraio 2013 di MATTEO GALBIATI

Nella celebre Galleria Il Milione, luogo di transito delle maggiori personalità artistiche internazionali e in cui si è scritta la storia dell’arte italiana contemporanea attraverso note e determinanti mostre, ritroviamo impegnata in una personale la giovane fotografa Daniela Cavallo, di cui abbiamo già avuto modo di aprezzarne la ricerca e di seguirne la poetica dalle pagine di questa testata. L’artista, per il progetto espositivo nello spazio milanese, sceglie di presentare undici scatti appartenenti all’ultimo ciclo di opere che si basano su un forte senso di spiritualità e di valore mistico-religioso e si pongono come nuove icone sacre e trascendenti. Se il soggetto di partenza perviene da un mondo reale e presente, contemporaneo e attuale, estratto dalla semplicità della nostra comune quotidianità, attraverso un processo di rivalutazione estetica ed estatica, la giovane artista riesce ad imporre a queste foto un’impronta diversa che eleva le scene “banali” e “ordinarie” ad un grado superiore: sottrae le scene alla quotidiana realtà e le innalza ad un valore mistico e spirituale, allocandole in uno spazio e in un tempo assoluti.

Daniela Cavallo, Eclissi

Lo sguardo dello spettatore viene spinto, dalla scelta qualitativa operata sullo scatto, ad esplorare e sondare la profondità della scena, ritratta nella sua suggestiva ampiezza di campo che si fa luogo dialogante e dilagante per lo spirito di ogni osservatore. Come rileva Chiara Canali nel suo testo critico che completa il catalogo pubblicato per l’occasione – il numero 185 degli storici bollettini della galleria – la fotografia di Daniela Cavallo non può essere pensata come semplice risultato di un fugace scatto, ma come atto finale di un processo progettuale complesso che precede e segue l’istante della registrazione dell’immagine fotografica: i soggetti sono messi in pose studiate ed elaborate; gli allestimenti sono predisposti con cura quasi volessero documentare lo svolgimento di una performance che dura più a lungo della fotografia che la registra. Altrettanto elaborato è il lavoro operato successivamente sull’apparente semplice immagine risultante, lavoro che la trasforma in una ben più articolata la quale restituisce alla foto l’attribuzione di senso e di percezione, oltre ad un significativo valore iconico, che aveva certa pittura antica, cui Cavallo sembra guardare con consolidata maturità. Nell’ambito della mostra si svolge anche una nuova tappa del progetto International Emotional Investigations che Daniela Cavallo segue dal 2009. Soggetto centrale è l’acqua, tema tra i più cari dell’artista, pensata in chiave simbolica ed esistenziale. Gli spettatori saranno chiamati, anche in questa occasione espositiva, a lasciare dei messaggi che verrano poi chiusi in bottiglie. Queste, e le altre raccolte in precedenza, saranno disperse dall’artista in mare per poi seguire le tracce del loro futuro ritrovamento. In un tempo indecifrabile l’azione predisposta dall’artista seguirà e si accosterà a quella mistica degli eventi del cosmo, cui la sua ricerca pare tanto pervasa. Come non paragonare il viaggio delle bottiglie e dei loro messaggi, in balia del fluire delle correnti e dei flussi dell’acqua, all’idea dell’imprevedibile viaggio della vita?

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Daniela Cavallo, La madonna di Satira

Daniela Cavallo. Mystic World testi di Chiara Canali 13 dicembre 2012 – 10 febbraio 2013 Inaugurazione giovedì 13 dicembre ore 18.30 Galleria Il Milione Via Pietro Maroncelli 7, Milano Info: +39 02 29063272 info@galleriailmilione.com www.galleriailmilione.it


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Fantastiche coesistenze da E-lite studiogallery LECCE | E-lite studiogallery | 8 dicembre 2012 – 26 gennaio 2013 di IGOR ZANTI Premessa fondamentale per comprendere la mostra Coexist – che inaugura dalla E-lite studiogallery di Lecce sabato 8 dicembre – sembra essere una riflessione sul concetto di arte fantastica ed il suo declinarsi nell’ambito del contemporaneo italiano. Per arte fantastica si intendono tutte quelle esperienze che, pur partendo da un’ispirazione dedotta dalla realtà tangibile, attuano un superamento di quest’ultima per dare vita a realtà ed a mondi alternativi. Sotto l’egida del fantastico si possono, infatti, raggruppare modi di fare arte solo apparentemente differenti tra di loro, che vanno dal gotico al rococò, per giungere al simbolismo, al surrealismo, all’arte metafisica e, più recentemente, al pop surrealismo. Con l’intento preciso di rivalutare la dimensione fantastica che pervade, come si è visto, da secoli, in diverse accezioni, il fare arte, Ivan Quaroni ha messo insieme una squadra di otto artisti indissolubilmente legati da un fil rouge interpretativo, che, superando le differenze formali, pervade tutte le opere in mostra. Le esperienze, pur essendo molteplici, ben

si armonizzano in un percorso che tocca elementi tanto vicini al realismo magico quanto al surrealismo ed al pop surrealismo. Si passa, infatti, attraverso le epifanie di Carlo Cofano, dove la plausibilità del reale lascia spazio ad uno sconvolgimento semantico, per giungere alle vedute arcadiche del sardo Nicola Caredda, caratterizzate da un gusto di sapore tardo settecentesco ibridato da elementi simbolisti. Da contraltare, ed in dialogo, si pongono le tre donne del gruppo, Anna Caruso, Jara Marzulli e Vania Elettra Tam, che fanno della figura umana – ed in particolare della figura femminil e- e della sua definizione con accenti iperrealistici, l’oggetto di indagine privilegiato, l’escamotage per aprire nuove accezioni del significante, un gate verso un’altra dimensione che coesiste con la realtà. Saranno però i lavori di Tiziano Soro, El Gato Chimney e di Massimo Quarta che, in una sorta di crescendo, porteranno alla progressiva rinuncia della rappresentazione mimetica per addentrarsi in campi dove, in

El Gato Chimney, Luce silenziosa, 2012, acrilico tela, cm 50x60

senso preciso, si percepisce una deriva che, superando addirittura il fantastico, vira verso la dimensione immaginifico. La mostra è un antro del Bianconiglio dove la plausibilità e l’immediatezza della prima lettura cede il passo alla creazione di un nuovo sistema cognitivo, un nuovo modo di interpretare un’attitudine che continua ad influenzare il fare arte contemporaneo. Coexist. Eight different kind of fantastic art a cura di Ivan Quaroni Artisti: Nicola Caredda; Anna Caruso; El Gato Chimney; Carlo Cofano; Jara Marzulli; Massimo Quarta; Tiziano Soro; Vania Elettra Tam 8 dicembre 2012 – 26 gennaio 2013 Inaugurazione sabato 8 dicembre ore 18.30 E-lite studiogallery Corte San Blasio 1c, Lecce Orari: lun-sab 09.00-12.30 – 17.00-20.00 Info: info@elitestudiogallery.com www.elitestudiogallery.com

Nicola Caredda, Le quarant’ore, 2012, acrilico su tela, cm 45x39,5 48


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Lori Nix. Qualcosa è già accaduto… BRESCIA | Paci Contemporary | 24 novembre 2012 – 12 febbraio 2013 di ILARIA BIGNOTTI chi cromatici, alla luce che li deve inondare, donando loro quell’aura surreale che tanto attrae quanto sconvolge. È un sublime raffreddato, o un pittoresco selvaggio, il concetto estetico che si riconosce dietro la sua fotografia. In attesa di leggere la sua intervista, sul prossimo numero di Espoarte (#79), va infine riconosciuto alla mostra da Paci Contemporary, accompagnata da un catalogo con un denso saggio di Gigliola Foschi, di aver saputo selezionare non solo le opere migliori della serie The City, ma di offrire anche al pubblico italiano un viaggio a ritroso nel suo percorso creativo, presentando alcuni lavori tre cicli precedenti: Accidentally Kansas, The lost e Some other place. Lory Nix. Another World testi di Gigliola Foschi 24 novembre 2012 – 12 febbraio 2013 Lori Nix, Circulation Desk, 2012, from The City series, cm 76×100

Ci si aggira sorpresi e allarmati, tra gli spazi espositivi di Paci Contemporary, dove da un paio di settimane è stata inaugurata la personale dedicata a Lori Nix, originaria del Kansas, ora di stanza a New York. Esponente della cosiddetta Staged Photography, al bivio tra fotografia e installazione, compone paesaggi aperti e ambienti interni nei quali qualcosa è già accaduto. Qualcosa di grosso. Di apocalittico, e selvaggio. La violenza della Natura, Madre e Padrona di tutte le cose, o la sete di potere, crudele e famelica dell’Uomo, sono i convitati di pietra, aguzzini e vittime dei suoi mondi dalle luci esterrefatte, dai luoghi sospesi nel silenzio che segue la distruzione, o che precede il dramma. Il nuovo ordine, in continuo divenire, al quale Lori Nix sottopone le sue ambientazioni, quel senso di attesa, di un altro corso delle cose, dopo il cataclisma, l’effimera staticità degli oggetti e degli spazi, non sono tuttavia mai drammaticamente definitivi, né atrocemente ineluttabili. Nel Dies Irae che la fotografa compie ad ogni scatto, vive e fa vivere ai nostri occhi, è la paziente azione di creare stravolgendo una nuova visione del mondo: un’azione lenta e processuale, compiuta con l’amore del demiurgo, non con la rabbia del distruttore.

Una saggia consapevolezza, forse anche profetica, accompagna il paziente e certosino gesto di Lori Nix, che compone mondi emersi da una tragedia, con raffinata attenzione alla disposizione degli elementi, ai gio-

Paci Contemporary Via Trieste 48, Brescia Info: +39 030 2906352 info@pacicontemporary.com www.pacicontemporary.com CATALOGO vanillaedizioni

Lori Nix, Laundromat at Night, 2008, from The City series, cm 76×99 49


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Valentina D’Amaro… Oltre il paesaggio ORTISEI | Galleria Ghetta | 7 – 27 dicembre 2012 di CHIARA CANALI L’indagine sul paesaggio è sempre stato uno dei punti cardine della ricerca di Valentina D’Amaro che a partire dalla ripresa fotografica, opera una rielaborazione personale del dato reale per approdare alla realizzazione di veri e propri schermi cromatici, dalle volumetrie piatte e dalla prospettive annullate. Sono quadri che per la stesura uniforme delle losanghe di verde smeraldo, stese strato dopo strato, attraverso un lungo processo di stratificazioni che assomiglia alle procedure di realizzazione delle opere astratte, rimanda alla lucentezza e alla luminosità degli schermi dei computer e dei videogiochi. In occasione della personale Oltre il paesaggio alla Galleria Ghetta di Ortisei, Valentina D’Amaro presenta l’ultimo ciclo di paesaggi intitolati Pianura Padana e Switzerland. Mentre i primi sono statici ed equilibrati, caratterizzati da campiture verdi molto estese, con la linea dell’orizzonte alta e la presenza di cieli bianchi che rimandano, secondo l’artista, a una «dimensione cosmica, dove non c’è volontà narrativa né gerarchia tra gli elementi», i secondi presentano un’estensione in verticale e divisioni geometriche degli appezzamenti che li rendono dinamici e movimentati, con tagli compositivi più azzardati che tralasciano qualsiasi punto di riferimento. Sia gli uni che gli altri vogliono trasmettere qualcosa in più del semplice paesaggio, ma

Valentina D’Amaro, Senza titolo, 2012, olio su tela, cm 100x140

vogliono proporre degli schermi, appunto, che invitano lo spettatore alla meditazione e all’immersione in un universo parallelo in cui abbandonarsi alla visione spirituale secondo l’ispirazione delle filosofie orientali. Il verde è infatti un colore rilassante, è il colore dell’equilibrio energetico e, utilizzandolo come cromia principale delle sue opere, Va-

lentina D’Amaro vuole ispirare una sensazione di equilibrio e riflessione. Come afferma l’artista, nell’introduzione al catalogo della mostra: «Nell’esperienza della contemplazione e del contatto con la natura e i suoi elementi possiamo accedere a stati meditativi profondi attraverso cui “prendere le distanze” dai limiti posti dalla quotidianità e dalla contingenza e ritrovare quella parte intima di noi, che anche nella solitudine, ci lega e avvicina agli altri e al senso globale dell’esistenza. E l’Arte a parer mio nasce da questo: dalle riflessioni e dagli interrogativi più profondi intorno all’esistere». Valentina D’Amaro. Oltre il paesaggio Galleria Ghetta via rezia 59, Ortisei – Val Gardena Info: +39 0471 796 557 info@galleriaghetta.com www.galleriaghetta.com

Valentina D’Amaro, Switzerland, 2012, olio su tela, cm 100x150

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Stefano Bolcato. La festa è finita VITULANO (BN) | GiaMaArt studio | 3 novembre 2012 – 26 gennaio 2013 Intervista a STEFANO BOLCATO di VIVIANA SIVIERO Sabato 3 novembre GiaMaArt studio inaugura e si trasferisce al piano terra della sua già nota sede di Via Iadonisi 14 a Vitulano, presentando la mostra The party is over, personale dell’artista Stefano Bolcato. Una tecnica classica, colori saturi, quasi artificiali vivaci allegri e giocosi tipici dei soggetti che ritraggono, fatti per insegnare a quel popolo di bambini che un giorno sarà adulto, a costruire. Ma l’azione in cui sono impegnati è tutt’altro che rassicurante e genera nello spettatore uno scarto fra sorriso ed incertezza. Un’incertezza che si focalizza sul periodo di crisi che il mondo occidentale sta attraversando e di cui l’uomo è unico responsabile. Parliamo con Stefano Bolcato (Roma, 1977), del suo attuale, gioco preferito… The Party is over. Qual è il significato che sottintende questo titolo? Puoi essere i nostri occhi e raccontarci la mostra che inaugura a breve da GiaMaArt studio? È una riflessione sul periodo che stiamo vivendo, sulla crisi di quello che chiamiamo comunemente mondo occidentale. Una galleria di immagini che focalizzano momenti o raccontano storie. Le opere sono coloratissime, rispettando la vocazione tipo del

giocattolo, i messaggi in esse contenuti non sempre sono così seducenti. Su cosa si basa la tua ricerca a livello poetico e quale tecnica utilizzi? Cerco di produrre un corto circuito emozionale nello spettatore, prendo un gioco di costruzioni molto popolare e provo a sovvertirne le regole proposte nelle istruzioni di montaggio e nell’immagine patinata stampata sulle confezione in vendita. La maggior parte dei lavori sono olio su tela, mi piace molto la consistenza e l’odore di questo tipo di colori, anche perché mi riporta all’infanzia nel periodo in cui mio padre dipingeva. Mi trovo bene con la materia, mi permette di ottenere buoni risultati realistici, riproducendo l’effetto accattivante della plastica dai colori vivaci, inoltre l’accostamento di una tecnica di così antica tradizione a soggetti tanto contemporanei e dal disegno industriale, è perfettamente in linea con la trasversalità del percorso creativo che guida il mio lavoro. I personaggi riprendono le fattezze degli omini lego: giocattoli evergreen che hanno impegnato e stimolato intere generazioni di bambini e regalato la tranquillità

Stefano Bolcato, Figlio riparatore, olio su tela, cm 60×120 51

ad altrettante generazioni di genitori: perché li hai scelti come soggetto pittorico per i tuoi lavori e in che maniera li “poni in scena”? Fanno parte del mio vissuto, da piccolo erano il mio gioco preferito, ora mi consentono di restare ancora bambino. La differenza è che oggi, attraverso di loro, lungo un percorso trasversale, cerco di raccontare alcuni aspetti inquietanti ed analoghe azioni della specie umana, che sembra votata all’autodistruzione. La realizzazione del quadro, solitamente olio su tela, è l’ultimo passaggio di un lavoro in più fasi. In linea di massima il percorso è questo: parto da un’idea legata ad un episodio, una notizia o una foto che mi colpiscono, cerco nelle mie scatole di lego elementi utili per comporre materialmente la scena, segue l’allestimento del micro set di posa e lo studio della luce e dei dettagli, posiziono la macchina fotografica digitale a distanza ravvicinata in maniera di ottenere un effetto realistico ed eseguo numerosi scatti sperimentando angolazioni, luce, atmosfere diverse e modificando posizione dei personaggi e degli accessori. Trasferisco le immagini sul computer, inizio la selezione e decido il taglio definivo da dare all’inquadratura. Ul-


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tima fase, disegno la scena sulla tela prendo i colori e completo il lavoro. Secondo te perché la tua pittura piace? E cosa dici a coloro a cui invece non piace…? Il consenso deriva senz’altro dalla marcata matrice pop del soggetto, è una pittura che fa da eco ad un mondo immaginario senza età. Bisogna anche considerare che la storia di questa grande azienda Danese ha oltre mezzo secolo, pertanto generazioni diverse sono legate a questo marchio. Per la stessa ragione questo lavoro può essere criticato negativamente, additato come facile scorciatoia per sedurre il pubblico… viva la varietà di opinione dei fruitori. Per quanto mi riguarda, per la realizzazione dei miei lavori, attingo esclusivamente dal mio vissuto combinando a mio piacimento, in una sorta di contrazione temporale, elementi diversi, cronaca nera, finanziaria, politica ecc… esattamente come facevo da bambino quando assemblavo invenzioni con le costruzioni Lego, il resto mi interessa poco.

Stefano Bolcato, Pigs and futures, olio su tela, cm 60×120

Stefano Bolcato. The party is over a cura di Carolina Lio Inaugurazione sabato 3 novembre 2012, ore 18.30 3 novembre 2012 – 26 gennaio 2013 GiaMaArt studio Via Iadonisi 32, Vitulano (BN) Info: +39 0824 878665 www.giamaartstudio.it

Stefano Bolcato, Caro armato, olio su tela, cm 50×50 52


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Colombo e Demis “apollinei” da Area B MILANO | Area B | 6 novembre – 22 dicembre 2012 di IGOR ZANTI «Quando nel 1871 Friedrich Nietzsche pubblica La Nascita della Tragedia Greca, introduce, per la prima volta, una diade concettuale – quella tra apollineo e dionisiaco – che in seguito riscuoterà un grande successo critico. Per il filosofo tedesco, l’apollineo attiene alla sfera dell’astrazione, declinandosi attraverso le arti figurative in immagini chiare e distinte, nitide e serene, mentre, al contrario, il dionisiaco è il campo dell’ebbrezza e delle pulsioni irrazionali che si esprimono al meglio attraverso la musica». Con questa fondamentale premessa Ivan Quaroni apre il catalogo della mostra Apoliinea, una doppia personale di Alice Colombo e Marco Demis, che inaugura la nuova stagione espositiva della galleria Area B di Milano. L’esposizione presenta due percorsi che, pur partendo da premesse che possono apparire analoghe, si differenziano profondamente nel loro compiersi sia da un punto di vista stilistico sia concettuale. Da un lato, infatti, si trovano le opere di sapore vagamente vittoriano di Alice Colombo, che interviene con una materia artistica che supera la dimensione pittorica, per immergersi in aspetti fattuali che si avvicinano ad una sperimentazione più ampia, dove il collage, ed una pacata tensione astratta, si coniugano con i frame di una racconto biografico, onirico e plausibile al tempo stesso.

Istantanee, quelle della Colombo, che immortalano una quotidianità che si svela straordinaria ed immaginifica, quasi l’omen nomen si declinasse nella surreale goticità della prosa carolliana. In contrapposizione, si pone la risposta fortemente ed incisivamente pittorica di Marco Demis, con il suo universo asfittico e congelato, con la sua tendenza alla sublimazione ed al controllo, dove il ricordo ottocentesco si smorza nella dimensione leggermente inquietante di una femminilità che, Quaroni stesso, definisce curiale. L’artista, infatti, fonde il suo agire pittorico con una organizzazione compositiva fortemente venata da una ricerca geometrica e matematica che sembra influenzare anche l’aspetto narrativo. Si rivela, in questo senso, coraggiosa la scelta della galleria, che si offre come privilegiato luogo di confronto tra due artisti che giudizi troppo frettolosi o disattenti tendono ad accogliere sotto un comune ombrello stilistico. La visita della mostra si conclude, infatti, con la certezza di avere nuovi strumenti critici per la lettura del lavoro della Colombo e di Demis, lasciando, però, l’impressione che la dimensione dell’apollineo stia cedendo progressivamente il passo ad un serpeggiante dionisiaco. Alice Colombo, Marco Demis. Apollinea a cura di Ivan Quaroni Inaugurazione: 6 novembre 2012 – ore 18.30 7 novembre – 22 dicembre 2012 Area B Via Cesare Balbo 3, Milano Info: + 39 02 5831 6316 www.areab.org info@areab.org Orari: lunedì-giovedì 9.30-18.00 / venerdì 9.30-17.00 / sabato su appuntamento

Alice Colombo, Il concerto, 2012, tecnica mista e collage su tela, cm 60×80 53

Marco Demis, La bugia, 2012 olio su tela, cm 25×20


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Alice Anderson. Quando il tempo è un fatto personale MILANO | Artopia | 15 novembre 2012 – 19 gennaio 2013 di IGOR ZANTI

Veduta della mostra Alice Anderson’s Timescale, Artopia, Milano

La percezione del tempo è profondamente influenzata dall’esperienza personale. Vi è, nel tener conto del suo fluire, un aspetto autobiografico, influenzato dal modo di concepire e di elaborare la sua dimensione astratta nel tentativo di darne forma concreta. Proprio il tempo, nella sua accezione più ampia, nel suo farne esperienza, ma anche nel rimanerne segnati attraverso l’atto di ricordare, caratterizza la ricerca di Alice Anderson, giovane artista di origini anglofrancesi. La mostra Alice Anderson’s Timescale – con evidente riferimento, già nel titolo, ad una azione di circoscrizione e misurazione della dimensione temporale – occupa i rinnovati spazi della galleria Artopia di Milano, realtà espositiva milanese che si distingue per la ricerca e per il continuo interesse nel proporre giovani artisti, italiani ed internazionali, di grande rilievo. Gli spazi della galleria, con la loro diaframmatica disposizione, permettono alla Anderson di confrontarsi con due capitoli della sua produzione: da una parte la sua visione del tempo nella dimensione del fluire, come testimoniano opere quali Toise, una sorta di totem cronometrico che pone l’accento sul decadimento fisico e dall’altra, il tema della memoria, che si esplica attraverso l’installazione Binding the studio.

Proprio in quest’ultima installazione, dove una miriade di oggetti, idealmente provenienti dallo studio dell’artista, vengono avvolti con filo rosso di rame, sembra si esplichi in maniera più forte e più precisa la ricerca della Anderson, con il poetico riferimento all’azione di avvolgersi, di nascondersi, che l’artista metteva in atto fin da piccola con i propri capelli, una sorta di bozzolo in cui celarsi, ma anche, in cui mutare forma. Binding the studio, inoltre, si ricollega direttamente ad una serie di lavori che hanno visto la nostra artista confrontarsi con la dimensione dello spazio pubblico, quali gli interventi site specific presso il Freud Museum di Londra o presso Cinémathèque Française di Parigi. Rimane costante, nei due percorsi proposti dell’artista la ricerca sui materiali, che si evidenzia nella presenza del rame – quasi un feticcio estetico e concettuale per la Anderson – che si plasma, nel senso più letterale del termine, assumendo, talvolta, le forme taglienti di una di una lastra sottile o si diluisce nel fluido movimento di un filo. Anche in questo caso Artopia sembra aver colto nel segno, portando in anteprima a Milano un suggestivo spaccato dell’attività di un’artista che da anni, nonostante la giovane età, si sta profilando come una delle più interessanti figure del panorama internazionale.

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Alice Anderson, Binding The Studio, 2012, filo di rame dimensioni variabili, Artopia, Milano

Alice Anderson’s Timescale 15 novembre 2012 – 19 gennaio 2013 Artopia Via Lazzaro Papi 2, Milano Orari: martedì, giovedì 10.00/13.00 – 15.00/19.00 mercoledì, venerdì, sabato 15.00/19.00 Info: +39 02 5460582 www.artopiagallery.it


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Jaan Toomik. Sublimazione di ogni fine MILANO | Galleria Artra | 30 ottobre 2012 – 13 gennaio 2013 di GINEVRA BRIA Da bambino, ricorda Jaan Toomik (1961, Tartu, Estonia. Vive e lavora a Tallinn dove insegna alla Estonian Academy of Arts) disegnava continuamente macchine escavatrici, mezzi cingolati utili nei cantieri a spostare macerie o a sollevare gravi, materiali edili. Un giorno, durante una festa tra parenti, una misteriosa signora, mai vista prima, guardando attentamente quei disegni, sparsi sul pavimento, gli chiese cosa volesse fare da grande. Toomik, senza alcun tipo di indugio rispose: semplice, voglio guidare gli scavatori. E l’anziana, sorridendogli gli rispose: tu disegni molto bene, diventerai un’artista. Appena se ne fu andata dalla stanza, Toomik ricorda, che non la vide mai più, come dissolta. Come una premonizione, un passaggio segreto che agita e, assieme sovrasta, ancora oggi, a distanza di oltre quarant’anni, il suo lavoro di artista visuale, di escavatore delle origini.

odoo Child di Jimi Hendrix. In Run, infatti, video che dà il titolo all’esposizione milanese, all’interno di una cava teatrale la telecamera è alla ricerca di una danza rituale che possa sintonizzare un rumore qualsiasi al ritmo cardiaco di chi, in quel luogo, esiste. Il video impressiona un’eco sorda di passi che prima battono a terra, poi, da un momento all’altro, tendono ad accelerarsi in una corsa per smorzarsi nell’interno di un buio hangar, ritorno alla fine.

Jaan Toomik. Run a cura di Mario Scotini 30 ottobre 2012 – 13 gennaio 2013 Galleria Artra Via Burlamacchi 1, Milano Info: +39 02 5457373 www.artragallery.com artragalleria@tin.it

L’Uomo, amorevolmente solipsista e affettuosamente soggetto di Jaan Toomik, torna a specchiarsi in Run, ultima personale milanese dell’artista, allestita negli spazi della Galleria Artra. Run, prende il titolo dall’ultimo video di Toomik del 2011, ed è anche la prima retrospettiva italiana realizzata sull’artista estone, prodotta in collaborazione con il Centro per le Arti Contemporanee dell’Estonia di Tallin. La mostra esponendo video, film e dipinti su tela (vd. The eyes e The moment of rest del 2011) a partire dal 1995, intende proporre il suo percorso artistico in maniera esaustiva, concentrandosi sulla biografia personale di Jaan Toomik come momento della costruzione di una soggettività post-socialista e, più ampiamente, precaria, plurale e contemporanea. Apparentemente libero, in un paesaggio possibilmente replicabile, il soggetto di Toomik agisce in sé stesso rappresentando esteriormente gestualità senza alcun rito apparente. Individui solitari, a volte nudi, ridotti allo stato di corpi puri, solcano l’obiettivo della telecamera come identità che corrono, pattinano, danzano sulla tomba del proprio padre, penzolano da un ramo o girano in tondo, sintonizzandosi sulle frequenze basse del motore di una nave o sulle note di Vo-

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Dall’alto: Jaan Toomik, Oleg, 2010, video, 35,20 min Jaan Toomik, The meeting of friend in Marfa, 2011, acrilico su tela, cm 195x160


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Elogio della FORMA… sculture BOLOGNA | L’Ariete artecontemporanea | 17 novembre 2012 – 12 gennaio 2013 di MATTIA ZAPPILE Con la collettiva FORMA la galleria bolognese L’Ariete artecontemporanea propone un percorso raffinato nel mondo dell’arte tridimensionale. Nelle opere dei sei artisti risaltano i differenti approcci al tema della spazialità in un gioco geometrico di rimandi e contrasti. Dell’americano James Brown un lavoro in grès e ceramica non solo apre una finestra sulla sua arte, sempre più attuale, forse profetica, ma funge anche da catalizzatore tra le diverse proposte estetiche. La materialità del gesto, del demiurgo che le crea e ancor più dell’osservatore, la forza oggettuale che si trasferisce dal gesto artigianale dell’autore al contatto sensuale che poi l’opera sa comunicare, tornano e si intensificano nello stimolante itinerario proposto da FORMA. Le sculture in gesso alabastrino e pigmenti di Nicola Samorì sono brillanti esempi di commistione tra linguaggi e tecniche eterogenee. Attraverso una solida preparazione teorica Samorì crea delle giunture, degli innesti, dove la tradizione artistica del passato instaura invece un dialogo denso, al limite del drammatico, tra ciò che è stato e ciò che sarà. Su binari paralleli viaggiano i feticci di Luca Lanzi, nodo intricato di incontro-scontro fra culture e input sensoriali alternativi. Leggerissime nella loro pesante armatura di terracotta, queste bambole diventano squarci su un filo carico di tensioni. Al limite dell’autocontraddizione, le opere di Lanzi letteralmente incarnano una spaccatura di

senso tra autoreferenzialità e illusione ottica in un quadro già conflittuale di incontro tra linguaggi. Ed oggetti pronti all’esplosione sono anche le innocue scarpette di Willie Bester, delicatamente appoggiate su pale che scavano verso un’interiorità nascosta, sedimentata sotto strati di alienazione e oblio indotto. Al centro di entrambe le sale, le case strappate al marmo, quasi circondate da un ferro mai trattabile, ripropongono la conflittualità come cifra significante di ogni discorso sull’uomo oggi. Le polarità opposte, e le scariche elettriche conseguenti, si rivelano il trait d’union della collettiva, le cui “forme”, pur nella perentorietà della loro presenza fisica, diventano pretesti, oggetti concettuali, che proprio attraverso la materialità danno maggior forza ad un percorso di senso.

Willie Bester, The Missing Ones, 2008, metallo, cm 67x26x3. Courtesy L’ARIETE artecontemporanea, Bologna

FORMA sculture Nicola Samorì, Willie Bester, Luca Lanzi, Graziano Pompili, James Brown, Aldo Mondino 17 novembre 2012 – 12 gennaio 2013 Galleria L’Ariete artecontemporanea via d’azeglio 42, Bologna Orari: feriali 15.30 – 19.30 Info: www.galleriaariete.it info@galleriaariete.it

Da sinistra: Nicola Samorì, Vaccolini, gesso alabastrino, cera, pigmenti, cm 83x54x39. Courtesy L’ARIETE artecontemporanea, Bologna Luca Lanzi, Totem, 2010, terracotta e pigmenti, cm 140x100x47. Courtesy L’ARIETE artecontemporanea, Bologna 56


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Tetsuro Shimizu. Im-permanenza MILANO | Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili | 21 novembre 2012 – 26 gennaio 2013 di DEIANIRA AMICO

Alla galleria Paraventi Giapponesi di Milano, fino al 26 gennaio 2013, la mostra personale di Tetsuro Shimizu (Tokyo, 1958) indaga sul concetto di Mujo, tradotto come Im-permanenza. Si tratta di un principio fondamentale della cultura nipponica, fondato sulla concezione della transitorietà delle cose e dell’esperienza estetica che si origina non solo nella visione dell’oggetto, ma anche nella percezione del tempo e dell’alterazione dello spazio vissuto.

il mero compiacimento estetico, perché la piacevolezza è stasi, chiusura che preclude l’avvicinamento al Mujo e quindi alla comprensione dell’energia dell’universo sempre in divenire.

Tetsuro Shimizu. Im-permanenza. Mujo A cura di Matteo Galbiati

Shimizu porta avanti un discorso artistico che punta all’insondabile e trascina oltre il contingente; lo sguardo dello spettatore si rivolge oltre la soglia del visibile a diverse possibilità di esperienza e di conoscenza, per aprirsi con curiosità a culture “altre”.

Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili Via Marsala 4, Milano Orari: lunedì 15.00-19.00 | martedì-sabato 11.00-13.00 / 14.00-19.00 Info: +39 026551681 www.paraventigiapponesi.it

21 novembre 2012 – 26 gennaio 2013

Nelle opere di Shimizu il segno pittorico agisce sul campo della tela sagomata, lasciata in parte grezza e incompiuta alla vista dello spettatore, dimostrando che il colore, psicologico, emotivo, è incompatibile con una delimitazione dello spazio: la pittura è impermanente, è cambiamento in divenire. Ogni tela ha una sua sagomatura che la rende un unicum nella continua variazione degli stati dello spirito. Le torsioni e le fenditure esprimono lo stato d’animo dell’artista e comunicano un’energia vitale che travalica il confine tra realtà fisica e pittorica: ogni vuoto, ogni soglia, è un intervallo per la riflessione. Ogni taglio è espressione del limite (nel senso di limen, confine) nello spazio e tempo della contemplazione, sempre diverso perché è sempre diverso il fruitore che partecipa di questa realtà. L’artista stabilisce con il fruitore un rapporto diretto, co-esistenziale, dispone lo spettatore a sentire l’ambiente con un determinato colore che, sebbene all’apparenza sembri monocromo, in realtà nasce dalla stratificazione sulla tela di colori complementari. Il colore è un ritratto potenziale dell’essere dell’artista nel preciso momento in cui l’opera è compiuta; la scelta consapevole del non-finito fa riferimento proprio alla vibrazione transitoria dell’emozione. I titoli delle opere di Shimizu riflettono i flussi di coscienza e di tensione spirituale dell’artista: in Mutabilità il campo dei blu violacei traduce la dimensione del sacro; in Fugacità i porpora rivelano il fuoco fatuo della passione; nella grande tela Mujo, il bianco, somma di tutti i colori, è espressione della natura sincretica della cultura giapponese. Nell’opera Avvenire, i colori acidi respingono

Tetsuro Shimizu, Mutabilità T-6, 2012, olio su tela sagomata, cm 120x80 57


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Enrico Robusti. Kiss Me MILANO | Federico Rui Arte Contemporanea | 22 novembre 2012 – 25 gennaio 2013 di CLAUDIA BERNAREGGI

Enrico Robusti, Acque tremule, 2012, olio su tela, cm 120x100 A fianco: Enrico Robusti, Il giro intorno alla tavola, 2012, olio su tela, cm 100x120

“Il dadaista – scriveva Jean Arp – inventava gli scherzi per togliere il sonno alla borghesia, il dadaista comunicava alla borghesia un senso di confusione e un brontolio distante e potente tanto che i suoi campanelli cominciavano a ronzare, le sue casseforti ad asciugarsi e i suoi amori scoppiavano in bollicine”.

quello di demistificare l’apparenza in onore della realtà, nuda e cruda. Ogni tela è un fotogramma di situazioni comuni, quotidiane, anche le più apparentemente banali, reinterpretate dal filtro di una mente estremamente fantasiosa ed ironica. Come camminare per strada e vedere in un angolo la pettegola del paese nel pieno ritmo redazionale da gazzettino ufficiale e dipingerne in un tratto tutti i colori e i suoni e i paradossi. Così Robusti, estremamente influenzato dai suoi esordi di ritrattista, entra nelle nostre case la sera, la domenica mattina durante la preparazione del pranzo con nonni e nipoti, ci segue in una gita fuori porta e durante un pomeriggio in piscina. Gioca con le parole e ne crea titoli, anche questi colorati, grotteschi, immancabili per avere una chiave di lettura più nitida di ciò che sta accadendo nella tela a fianco. Ed è proprio il titolo, forse, ad indicarci la rotta dell’ironia e la disposizione emozionale con cui approcciarci a questi lavori, perchè in effetti, senza il suo apporto, le situazioni ombrose e il grandangolo convesso ci condurrebbero a tutt’altra lettura.

Nei lavori di Robusti il borghese si trasforma in ciascuno di noi, l’obbiettivo non è tanto quello di distruggere un mondo, quanto

L’estremo espressionismo che caratterizza il disegno tipico di questo artista, ritrova sì effettivo fondamento nell’ispirazione all’espres-

Una mostra personale di Enrico Robusti è una sfida. Non soltanto quella ora in corso da Federico Rui Arte Contemporanea a Milano, ma qualunque sua esposizione, persino il suo studio, persino un catalogo. È una sfida per chiunque osservi i suoi lavori a non sorridere, a non trovare una parentesi della propria vita rappresentata sulla tela, una sfida a non provare la sensazione di déjà vu, una sfida, per i più colti, a non trovare quella sfumatura che si collega all’opera preferita dei primi del ’900. Enrico dice di essersi ispirato all’espressionismo tedesco, Camillo lo ritrova addirittura prima, in Hieronymus Bosch, io ci vedo del dadaismo.

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sionismo tedesco e in quel Bosch ricordato da Langone, e l’ironia è sì solo l’ultimo step di un discorso intriso di dettagli e rimandi, ma la verità è che si tratta di un approccio inedito, simile solo a se stesso. Una mostra personale di Enrico Robusti è sicuramente una sfida. Una sfida al paradosso e una sfida a superare le apparenze, una sfida a cogliere la leggerezza nel buio e certamente, per i più colti, a riconoscere il valore nell’originalità del presente, e non solo nel richiamo del passato. Enrico Robusti. Kiss Me testo critico di Camillo Langone Federico Rui Arte Contemporanea Via Turati 38 – cortile interno, Milano 22 novembre 2012 – 25 gennaio 2013 orari: da martedì a venerdi 15.00-19.00; giovedi 15.00-21.00 sabato su appuntamento Info:www.federicorui.com federico@federicorui.com +39 392 4928569


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Francis Bacon, testimone scomodo della contemporaneità FIRENZE | CCC Strozzina | 5 ottobre 2012 – 27 gennaio 2013 di ROBERTO LACARBONARA Francis Bacon padre e testimone della “condizione esistenziale della contemporaneità”: una tesi di fondo – quella assunta dalla mostra in Strozzina a Firenze, aperta fino al 27 gennaio 2013 – suggestiva ed audace, un’ipotesi ansiosa e sinistra. Bacon conosceva, forse anche godeva del deliro dei corpi, dei desideri incarnati e del tormento. Aveva la virtù di trattenere, nella rappresentazione, l’agitazione concreta del profondo, mettendo sotto vetro l’esistenza, facendone tableau vivant. Ai limiti della patologia estetica, nella spasmodica affezione per la scarnificazione dei volti e per una torbida intimità delle passioni, Bacon ha posto le premesse per una condizione che l’arte contemporanea oggi percorre ripetutamente, una strada che allontana lentamente dalla vita e genera abominio. Gli 8 dipinti del Maestro irlandese, provenienti dalla Dublin City Gallery The Hugh Lane, corpo centrale della mostra fiorentina, fondano una nuova teoria dell’arte come scienza decadente, peritura e fallace. Un’arte che non può sublimare nulla, può far strada ma non far luce. Affiancano Bacon cinque artisti di estremo interesse, segno di un gioco ben fatto nella manovra curatoriale di Franziska Nori (direttore CCC Strozzina) e Barbara Dawson (di-

rettore Dublin City Gallery The Hugh Lane). Annegret Soltau (Germania, 1946) esibisce cicatrici e cuciture, trasforma volti e persone in frammenti impossibili da trattenere. Parla di nevrosi, di scissione, del diverso. Ma senza andare oltre colui di chi si sta parlando, ovvero Sé. Adrian Ghenie (Romania, 1977) lascia esplodere la centrifuga dell’identità, raduna nel dipinto l’ipertesto della mente: immagini biografiche e non, pezzi di film e giornali e massmedia. Tutto compone un’unità figurativa dalle sembianze umane e dall’essenza irrintracciabile. Nathalie Djurberg (Svezia, 1978) si accosta a Bacon nell’inquietudine più ambigua e straziante: quella di un’infanzia sabotata, messa in fuga dalla volgarità e dalla perversione. Eppure i suoi claymation (film prodotti dall’animazione di scultura in argilla) fanno sorridere ed ammaliano, dal fondo fiabesco in cui accadono quelle storie di stupri e zoofilie. Poco gentile ma geniale il depistaggio di Arcangelo Sassolino (Italia, 1967), un corpo macchina che mette in trazione una fune legata a due travi sempre sul punto di cedere e crollare. Trasformare Bacon in fatto, in azione, in forza dirompente e disumana vuol dire averne compreso il profondo slittamento dal reale all’invisibile.

Francis Bacon, Untitled (Three Figures), 1981, olio su tela, cm 198x147,5. Dublin City Gallery The Hugh Lane, Dublin (reg. 1982) © 2012 The Estate of Francis Bacon. All rights reserved. By SIAE, Roma, and DACS, London

Ed infine Chiharu Shiota (Giappone, 1972), la sua trama inestricabile di filo nero che irretisce ogni cosa, lo spazio aperto e le memorie anguste. Poetico intervento site specific a pochi passi da uno dei dipinti incompiuti di Bacon, Three figures, una grande tela che mostra le linee di costruzione ed i volteggi del colore. La lana nera di Shiota genera un’altra idea di spazio vuoto, già segnato ed irretito. Eppur sospeso, non finito – ancora meglio – in-finito. Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea Nathalie Djurberg, Adrian Ghenie, Arcangelo Sassolino, Chiharu Shiota, Annegret Soltau a cura di Franziska Nori e Barbara Dawson 5 ottobre 2012 – 27 gennaio 2013 Centro di Cultura Contemporanea Strozzina Palazzo Strozzi, Firenze Orari: martedì-domenica, 10.00-20.00; giovedì 10.00-23.00; lunedì chiuso

Nathalie Djiurberg, Once Removed on My Mother’s Side, 2008, clay animation, video, 6’00’’, sound by Hans Berg. Courtesy l’artista e Fondazione Prada, Milano 59

Info: +39 055 2645155 www.strozzina.org


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Ardessi e Scheggi: riflessioni sulle storie (riflesse) di una fotografa e di un artista MILANO | Sotheby’s | 11 – 20 dicembre 2012 di ILARIA BIGNOTTI ZONE RIFLESSE. La vita, le opere di Paolo Scheggi nella fotografia di Ada Ardessi a cura di: Isisuf Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo 11 – 20 dicembre 2012 Inaugurazione martedì 11 dicembre ore 18.30 Sotheby’s Via Broggi 19, Milano Orari: A partire dal 12 dicembre, apertura al pubblico su appuntamento ore 10.0013.00; 14.00-18.00 Sarà possibile inoltre partecipare a visite guidate tra le ore 10.00 e le ore 13.00 Ada Ardessi, Paolo Scheggi con Getulio Alviani davanti a Sole solo di Carlo Belloli, Typoezija – Typoetry, Galerija Studentskog Centra, Zagreb, 1969

L’artista guarda nell’obiettivo: è sdraiato a terra, vestito di nero; accanto, appoggiata alla parete a sinistra, la scritta “luna”: le lettere bianche emanano una luce soffusa, che rende ancora più diafana, evanescente, l’immagine. Lo scatto pare essere stato realizzato nell’immediatezza dell’idea, eppure è carico di premonizioni e aumenta il fascino dell’opera, nutrendo il mito dell’artista: ma da chi sarà provenuta, appunto, l’idea? Dall’artista o dal fotografo? Difficile dirlo. Sarebbe meglio pensare a uno scambio, a un continuo riflettersi di un’intuizione in un’azione, di uno sguardo in uno scatto. Solo negli ultimi quindici anni si sta finalmente rivolgendo la giusta attenzione al ruolo del fotografo d’arte; ed eccetto alcuni casi eclatanti e celebrati, molti sono ancora quelli poco riconosciuti, abbastanza dimenticati e anche scorrettamente citati nelle immagini pubblicate su cataloghi e manifesti, inviti e copertine. E spesso hanno saputo dire molte più cose dell’opera senza che nessuno le avesse neppure pensate: l’obiettività non passa dall’obiettivo e fotografare è un atto critico ed artistico. Ada Ardessi e Paolo Scheggi sono una perfetta dimostrazione di questo scambio e dialogo tra arte e fotografia. Si conobbero a Milano, all’inizio di quel decennio esplosivo che fu gli anni ’60. Uno veniva dalle porte di Firenze, l’altra era istriana.

Entrambi, come Fernanda Pivano scrisse di Paolo Scheggi, nello stesso 1963, volevano “annusare” una città, quale Milano, che era un vero e proprio cantiere, come recentemente ha anche dichiarato la mostra alle Gallerie della Scala, curata da Francesco Tedeschi, Cantiere del ‘900. Un cantiere di idee, di confronti anche accesi, tra arte programmata e nuova figurazione, con Bruno Munari e Lucio Fontana attenti osservatori, e mentori anche, di quei giovani artisti ai quali tuttora guardiamo con fascinazione. Ada Ardessi e Paolo Scheggi si conobbero così: lei fotografava, lui dipingeva. E in entrambi i casi mai verbi furono più riduttivi. Perché se le opere di Scheggi non furono solo “pittoriche”, passando dalle più note Intersuperfici a zone riflesse e Intersuperfici curve, agli ambienti della fine degli anni ’60, quali l’Intercamera plastica, l’Interfiore, alle performance e alle azioni teatrali, alle opere concettuali dell’ultimo periodo, nemmeno quelle di Ada Ardessi furono semplici fotografie chiamate a documentare un’epoca sulla quale c’è ancora tanto da dire. Ogni suo scatto è un racconto, è un angolo dell’anima dell’artista, è un lembo di storia e una riflessione critica. E la mostra, allestita nella sede storica di Sotheby’s con oltre cinquanta fotografie di Ada Ardessi e una raffinata selezione di opere di Paolo Scheggi, ne è la dimostrazione.

Info: +39 02 295001 www.sothebys.com/it Isisuf Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo Piazza Aspromonte 11, Milano press +39 392 7900203 www.isisuf.org

Ada Ardessi, sfilata con abiti disegnati da Getulio Alviani, sartoria Germana Marucelli, Corso Venezia 45, Milano, 1964 60


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Picasso… da La Ville Lumière a Palazzo Reale MILANO | Palazzo Reale | 20 settembre 2012 – 6 gennaio 2013 di MARTA CASATI PICASSO Capolavori dal Museo Nazionale Picasso di Parigi a cura di Anne Baldassari Palazzo Reale Piazza Duomo 12, Milano 20 settembre 2012 – 6 gennaio 2013 Orari: lunedì, martedì e mercoledì, 8.3019.30 | giovedì, venerdì, sabato e domenica, 9.30-23.30 Info: infoline e prevendita + 39 02 54911 www.ticket.it/picasso www.mostrapicasso.it A sinistra: Picasso, Deux femmes courant sur la plage (La course), 1922 ca, gouache su compensato, cm 32,5 x 41,1. Masterpiece from the Musée National Picasso Paris to be held at Palazzo Reale in Milan from September 2012 to January 2013 © Succession Picasso by SIAE 2012 Sotto: Visitatori alla mostra di Picasso del settembre 1953 a Milano, Palazzo Reale. Credito fotografico: © Rene Burri / Magnum Photos / Contrasto © Succession Picasso by Siae 2012

C’è un prima e dopo Cristo. Nell’arte c’è un prima e dopo Picasso, proprio quel Pablo Picasso, nato a Malaga nel 1881 (morto a Mougins nel 1973), che traeva i suoi natali dai popoli e dalle civiltà che hanno formato la maniera di essere, di pensare e di vivere de Mediterraneo. È quel Picasso che ha fatto tesoro delle sue origini per evolversi, andare oltre, talvolta negarle, straziarle fino ad arrivare a sublimarle con il paradosso. Picasso sbarca, dopo la mostra del 1953 e quella del 2001, per la terza volta a Milano in una personale con oltre 250 capolavori tra dipinti, disegni sculture e fotografie dal Museo Nazionale di Parigi a cura dalla sua direttrice Anne Baldassari. Il percorso abbaglia e stordisce per la storicità e la potenza delle opere, ognuna coesa alla ricerca dell’identità, tra autoritratti e ritratti dalla forte virilità, grandi composizioni dal carisma emblematico, i cicli tematici del Pittore e della modella o la Minotauromachia. Per discorrere su ogni caposaldo della storia dell’arte non è concesso trascurare date o anni. I dipinti in esposizione hanno come incipit temporale il 1900, con Caffè-concerto del Paralelo del 1900 o Tre figure sotto un albero del 1907-08, dalla fase più nettamente cubista intorno al 1908-1911 – come

Uomo con chitarra del 1911 o Bicchiere e pipa, cifra e lettere (1914) – a quella in cui la posa plastico/formale ha un peso più incisivo come Bagnanti che giocano a palla del 1928, il tutto condito con i più grandi classici di sempre: La Celestina (1904), Paulo vestito da Arlecchino (1924), Ritratto di Dora Maar (1937). L‘opera più recente è grafica, Casa chiusa. Maldicenze: con un profilo di Degas dal naso arricciato ed è del 1971. Ma in una produzione tanta vasta e articolata c’è solo forse un elemento che possa definirsi comune a quasi ogni suo periodo artistico: il primitivismo e l’attrazione verso il mondo delle sculture e dei feticci africani. Questa passione influenzerà, quando più incisivamente e quando in maniera più distaccata, tutta la sua ricerca rivestendo un ruolo chiave. Picasso, che piaccia o meno, ha scardinato la bidimensionalità, ha raggiunto la terza dimensione restando nella seconda, l’artista che con Les Demoiselles d’Avignon ha dato una rottura senza precedenti con la tradizione figurativa, creando nella storia delle arti pittoriche e plastiche una punto di nonritorno. Affascinanti più che storiche sono le numerose fotografie che completano la mostra, dettagli unici in grado di raccontare un grande artista e un uomo.

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Picasso, Guitare et bouteille de Bass, primavera/autunno 1913, elementi di abete parzialmente dipinti, papier collé, tratti a carboncino, chiodi su tavola, cm 89,5x80x14. Masterpiece from the Musée National Picasso Paris to be held at Palazzo Reale in Milan from September 2012 to January 2013 © Succession Picasso by SIAE 2012


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