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omar galliani Nuovi Mantra per Mosca
Grandi mostre
Rodin, Warhol, Mondino e gli altri...
Critica in arte
appuntamento al Mar di Ravenna
Nuovi spazi
(galleria +) oltredimore A Bologna nel cuore della Manifattura delle Arti
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82 ½
In questo numero: Ugo La Pietra Beatrice Pediconi Alessandro Lupi Daniele Giunta Andrea Salvetti
Il valore della “riscoperta”
Renzo Bergamo raccontato da Caterina Arancio Bergamo
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ESPOARTE DIGITAL #82 ½ Espoarte Digital è un progetto editoriale di Espoarte in edizione esclusivamente digitale, tutto da sfogliare e da leggere, con i migliori contenuti pubblicati sul sito www.espoarte.net e molti altri realizzati ad hoc.
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Omar Galliani, Nuovi Mantra per Mosca, in mostra alla K35 Art Gallery, Mosca, 5 dicembre 2013 – 26 gennaio 2014
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ESPOARTE Registrazione del Tribunale di Savona n. 517 del 15 febbraio 2001 Espoarte è un periodico di arte e cultura contemporanea edito dall’Associazione Culturale Arteam. © Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l’autorizzazione scritta della Direzione e dell’Editore. Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile alla redazione per la pubblicazione di articoli vanno inviati all’indirizzo di redazione. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista. Tutti i materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti.
Editore Ass. Cult. Arteam
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Hanno collaborato a questo numero: Deianira Amico, Niccolò Bonechi, Ginevra Bria, Francesca Caputo, Silvia Casagrande, Valeria De Simoni, Francesca Di Giorgio, Matteo Galbiati, Roberto La Carbonara, Massimo Marchetti, Kevin McManus, Simone Rebora, Gabriele Salvaterra, Chiara Serri, Site Specific, Sponge ArteContemporanea, Alessandro Trabucco, Igor Zanti
(galleria +) oltredimore Martina Adamuccio Josef Albers Flurina Badel Caterina Arancio Bergamo Renzo Bergamo Ashley Bickerton Ilaria Bignotti Blumm Prize Art Irene Calderoni Carcere di San Vittore Davide Caroli Cristiano Carotti Centre Pompidou Silvia Cirelli Collezione Maramotti Collezione UniCredit Guido Crepax Critica in Arte Giulio De Mitri Carola Ducoli Eron Fabbrica Borroni Fondazione Lighea Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Fondazione Stelline Galleria Giovanni Bonelli Galleria Continua Galleria Giuseppe Pero Omar Galliani GAM Silvia Giambrone Daniele Giunta Sammlung Goetz Gruppo Credito Valtellinese Guidi & Schoen Arte Contemporanea Irascibili K35 Art Gallery La Giarina Arte Contemporanea Ugo La Pietra Giancarlo Lamonaca
Lisson Gallery Alessandro Lupi MAMbo MAR Ravenna Jason Martin Aldo Mondino Museion Museo Cantonale d’Arte Museo d’Arte Lugano Museo Internazionale della Calzatura “Pietro Bartolini” MUST GALLERY Barbara Nati Maria Elisabetta Novello Cristina Nuñez Isabella Nurigiani Luigi Ontani Palazzo Reale Francesca Pasquali Beatrice Pediconi Massimo Pelletti Lissy Pernthaler Michelangelo Pistoletto Jackson Pollock Premio Nocivelli Reali Poste Auguste Rodin Andrea Salvetti Maria Savarese Filippo Sciascia Simbolismo Site Specific Sponge ArteContemporanea Soft Pictures Tino Stefanoni Studio d’Arte Pino Casagrande The Format Contemporary Culture Gallery Veronica Veronesi Andy Warhol Whitelabs Driant Zeneli
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Omar Galliani. Nuovi Mantra per Mosca Intervista ad omar galliani di chiara serri Nei giorni in cui a Venezia si conclude la 55. Esposizione Internazionale d’Arte, Omar Galliani, protagonista al Caffè Florian e a Palazzo Barbarigo Minotto, fa ritorno in Russia, per inaugurare una nuova personale negli ampi spazi di K35 Art Gallery. Un rapporto consolidato, quello con la galleria moscovita, che ha portato alla realizzazione del progetto Face and Soul, culminato nel 2013 al Museo Storico Statale della città. Volti, paesaggi cobalto e cupole d’oro: Nuovi Mantra per Mosca, che attingono al passato per dare voce alla contemporaneità. Opere fortemente concettuali che anticipano la grande mostra in programma nel 2014 alla GAM di Torino…
Il titolo dell’esposizione – Nuovi Mantra per Mosca – rimanda immediatamente ad alcune tue opere degli anni ’90. Come si coniuga questa ricerca con la città di Mosca? A chi è indirizzata la tua preghiera? Quando alla fine degli anni ‘90 realizzai i primi grandi Mantra, guardavo e pensavo all’Oriente e all’Occidente, mettendo in evidenza gli aspetti contrapposti delle due culture: immagine aniconica (fondo oro) ed immagine iconica (figura). Mosca oggi è una città in cui l’immagine è sovrastante, onnipresente. I fondi oro delle icone sacre recitano un Mantra iconografico uguale nel tempo. Le cupole delle chiese sono in oro affinché riflettano con il sole lo splendore di Dio. Siamo sempre all’interno di una contrapposizione tra mondo profano e mondo sacro. Ho realizzato per Mosca nuovi Mantra, in cui compaiono alcuni paesaggi blu. Una preghiera per la salvaguardia della natura… Le novità insite in questa nuova produzione?
Nei Nuovi Mantra per Mosca sono presenti anche fiori e paesaggi: elementi della natura che, come i volti, assumono un significato simbolico. Questa indistinzione dei generi fa sì che il Mantra si estenda al Tutto, anche alla casualità delle immagini, che acquisiscono nelle loro scelte un valore “altro”. L’origine del progetto? Il progetto nasce da un dittico a matita ed oro di due metri per quattro. Sulla tavola di destra, un piccolo Lama è sospeso da terra in una pioggia di fiori di loto. Sulla tavola di sinistra, il fondo nero mette in risalto un fiore tracciato a matita, che appare o scompare in rapporto alla luce. In questo periodo stai lavorando anche ad un’importante mostra, che si terrà in febbraio alla GAM di Torino. Qualche anticipazione? Insieme al curatore, Danilo Eccher, abbiamo scelto di esporre solo opere di grandi dimen-
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Omar Galliani, Nuovi Mantra per Mosca, pastello e oro su tavola, cm 100x200
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Omar Galliani, Nuovi Mantra per Mosca, in mostra alla K35 Art Gallery, Mosca, 5 dicembre 2013 – 26 gennaio 2014 7
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sioni, tra cui cinque lavori a grafite di quattro metri per quattro. Uno di questi parte dalla citazione di una tavola conservata nelle collezioni del disegno della GAM. Dopo mesi di lavoro in studio, è diventata un disegno extra large… Il Gabinetto disegni e stampe della GAM annovera oltre trentanovemila esemplari, dagli ultimi decenni del ‘700 a tutto il ‘900. A quale autore ti sei ispirato? Mi sono ispirato ad Antonio Fontanesi, artista paesaggista ma profondamente simbolista, originario come me di Reggio Emilia. Nato nella prima metà dell’800, visse a lungo in Giappone, dove divenne famoso. Per ragioni diverse e con altri ritmi, anch’io lavoro ed espongo in Oriente da tanti anni. Mi hanno affascinato
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queste affinità per cui ho scelto un suo disegno quale inizio di un nuovo ciclo di opere. Quali le possibili connessioni tra le tue nuove ricerche e le esperienze concettuali degli anni ’70 maturate all’Accademia di Belle Arti di Bologna? Nelle gallerie bolognesi, sul finire degli anni ’70, navigava di tutto ed io ero una spugna che si nutriva di ogni cosa, disegnando e dipingendo dal passato al presente, fondendo linguaggi, poetiche, tecniche e liriche senza posa. In sottofondo, i King Crimson di Robert Fripp… Alla GAM di Torino esporrò, oltre al nuovo ciclo di opere, anche alcuni passaggi significativi degli anni ‘70 e ‘80. L’ultimo lavoro è un inno al “Sublime”, visto che oggi è tutto transitorio. Sono
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fermo davanti alla tavola, l’opera nasce, si nutre, cresce dai miei muscoli che legano inesorabilmente il cielo alla terra… Altri progetti? Novanta artisti per una bandiera al Complesso del Vittoriano a Roma, terza tappa di un progetto benefico per costruire a Reggio Emilia un Ospedale della Donna e del Bambino e Vis-àVis con mio figlio Michelangelo alla Galleria Paola Verrengia di Salerno. L’opera pubblicata in copertina? La copertina nasce da un viso di donna, riflesso sul finestrino del volo Aeroflot da Mosca a Milano Malpensa. Di lei ho soltanto uno scatto, “rapito” velocemente con l’iPhone. Un ricordo
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che, nel mio studio, è diventato un piccolo disegno, parte delle opere selezionate per la Galleria K35. Andata e ritorno di un volto potrebbe essere un ottimo titolo per una delle prossime mostre… Eventi in corso e in apertura: Nuovi Mantra per Mosca A cura di Maria Saava K35 Art Gallery Savvinskaya Emb. 12/6, Mosca 5 dicembre 2013 – 26 gennaio 2014 Novanta artisti per una bandiera A cura di Sandro Parmiggiani Sacrario delle bandiere, Complesso del Vit-
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toriano Piazza D’Aracoeli, Roma 22 novembre 2013 – 31 gennaio 2014 Omar Galliani – Michelangelo Galliani. Vis-à-Vis Galleria Paola Verrengia Via Fieravecchia 34, Salerno 29 novembre 2013 – 30 gennaio 2014 Grande paesaggio dei miei veleni A cura di Danilo Eccher GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna Via Magenta 31, Torino 21 febbraio – 21 maggio 2014 Info: www.omargalliani.com
VISTO IN COVER Omar Galliani, Nuovi Mantra per Mosca, in mostra alla K35 Art Gallery, Mosca, 5 dicembre 2013 – 26 gennaio 2014
Omar Galliani, Mantra Buddha, matita su tavola, pastello e oro, cm 200x400 9
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Interviste > Personaggi
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Renzo Bergamo: l’energia della pittura e la forza della materia Intervista a CATERINA ARANCIO BERGAMO di Matteo Galbiati
Ritratto di Caterina Arancio Bergamo
Ritratto di Renzo Bergamo,2004
Entrando nella casa-studio di Renzo Bergamo, per incontrare la moglie e compagna di una vita Caterina Arancio Bergamo, quando abbiamo realizzato questa intervista, sono stato accolto immediatamente da un forte senso di calore umano e di affetto. Un’atmosfera intensa e piena di emozioni che si sono intensificate nel corso di una lunga conversazione. Lo scopo del dialogo con la signora sarebbe stato quello di parlare dell’attività dell’archivio dell’artista, della sua ricerca, del suo lavoro, eppure il tecnicismo del contenuto ha lasciato posto all’evidenza dell’aspetto umano che ha dato un senso ben più profondo alle parole che ci siamo scambiati. Le ragioni che spingono ad istituire un archivio di un artista scomparso sono innanzitutto volte ad una tutela della sua eredità artistica, in questo caso, pur rimanendo questo lo scopo, la radice profonda del lavoro di catalogazione che si sta conducendo resta generato e spinto da un atto d’amore. Ripetuto e sentito. Un diverso grado di amore quindi che, pur nella dolorosa assenza di chi ci ha lasciati, ritrova la ragione del sentimento e del ricordo in una attività che, nonostante tutto, riporta al centro dell’analisi il lavoro dell’uomo prima ancora dell’artista e dell’intellettuale. Un uomo che oggi resta calorosamente vivo e presente. Non solo come testimonianza nelle opere, ma anche nella passione con cui queste vengono ri-vissute da chi
resta. Scopriamo con Caterina Arancio Bergamo la ricerca di Renzo Bergamo e l’impegnativo lavoro che la vede occupata nella gestione dell’archivio e dell’associazione a lui intitolati: Quando ha deciso di iniziare l’archiviazione delle opere di suo marito? Il lavoro dell’archivio è iniziato nel 2006. La sua morte improvvisa fu per me uno shock, entrai in crisi profonda, eravamo molto uniti dopo 27 anni di intenso attaccamento e di condivisione specialissima. Per me è stato un periodo controverso, non sapevo cosa fosse giusto fare della sua eredità artistica e spirituale. Ma mi sono convinta che dovevo muovermi; dovevo proseguire quello che Renzo ha fatto per tutta la sua vita e in cui ha tanto creduto: la sua pittura. Sono una creativa anch’io e lo scoglio da superare era quello di vedermi svolgere un lavoro da burocrate. Questo aspetto tecnico mi ha sottratto energie e forze nell’affrontarne la mole e il carico di impegni. Cosa ha comportato poi lo svolgimento di questa impegnativa impresa di registrazione coerente delle opere? Tolta la grande fatica per gli aspetti che dicevo burocratici, mi ha dato moltissimo e moltissimo di inatteso. È stata una sorpresa continua: mettere mano a tutti i lavori di Renzo, alle sue
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carte, ai suoi progetti, ai suoi libri, rivedere tutte le opere mi ha permesso di leggere il suo lavoro diversamente. Oltre che di sentirlo ancora vicino e presente. Che uomo era Renzo Bergamo, che personalità aveva l’artista? Non dico a caso che ho letto diversamente il suo lavoro, perché Renzo era un uomo di pochissime parole sul lavoro, quasi segreto e io non mi sono mai permessa di fargli troppe domande mentre attendeva alle sue cose. Di questo oggi mi sono un po’ pentita… Poi riuscivamo a lavorare anche assieme come quando, ad esempio, abbiamo creato una collezione di abiti fatti a mano. Una collezione unica che ci ha visti condividere un’esperienza irripetibile. Aveva un atteggiamento molto paterno, amico, tollerante e paziente. Non solo con me, questo lo faceva con tutti, era una persona generosissima e attenta agli altri. Archiviare le opere, riguardare i cataloghi, i suoi appunti mi hanno permesso di riscoprirlo anche in aspetti che, forse, non mi erano così definiti. Non era un uomo di giudizio, non commentava non criticava a sproposito. Osservava il mondo con uno sguardo sempre pieno di incanto, lui ti portava a riscoprire la vita. E per me è stato un maestro di vita. Come nasce la sua passione per l’arte?
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Era un autodidatta acuto e passionale. Da giovane, nel secondo dopoguerra, lavorò in Svizzera facendo il panettiere per potersi permettere gli studi in Accademia. Si mise a dipingere, ma la svolta determinante avvenne negli Anni ’60 quando si trasferì a Milano – fece il creativo per Leon Goodman per due-tre anni – dove, frequentando Brera, conobbe Dova, Scanavino, Manzoni, Bonalumi con cui condivise intense amicizie. Amava il lato umano delle persone, era quello che cercava maggiormente negli altri: coltivare l’aspetto umano. Da loro ebbe moltissimo. Iniziò un periodo di vacche magrissime: rinunciò a fare il pubblicitario perché, grazie alla frequentazione con gli altri artisti, aveva capito come questo lavoro fosse inquinante per la sua ricerca pittorica. Renzo Bergamo però ha un rapporto stretto non solo con gli artisti per lui è stato fondamentale anche lo scambio con poeti e letterati… Certo, prima di venire a Milano ha frequentato molti scrittori e poeti come Zanzotto, Soldati, Pasolini e Comisso, che lo seguiva come un padre, e anche il musicista Malipiero. Era l’unico pittore, non parlava… dipingeva! In cosa si concentrava la riflessione di Renzo Bergamo? Parlava di luce e sostanza; cercava di capire il mondo con il pensiero di uno scienziato: nelle sue tele ci sono le prove di come si verifica la trasformazione delle cose da energia a materia. La spiritualità era il suo carisma forte e la traduceva nella sua pittura. I suoi dipinti sono esplosivi, dirompenti. Sono la vita che irrompe, è la natura che si manifesta. Abbiamo parlato di pensiero da scienziato, come ritroviamo l’evidenza scientifica nel suo approccio pittorico e formale? Renzo mi diceva di sentirsi un lazzarone, che doveva lavorare di più ed entrare piùin profondità nelle cose. Voleva verificarle. Io allora non
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avevo ben compreso l’importanza di quello che mi diceva, ma l’ho riscoperto lavorando all’archiviazione delle sue opere. Le sue esplosioni cromatiche sono la rappresentazione delle energie cosmiche: parlano di macrograndezze siderali e di microentità subatomiche. Molti disegni, schizzi e dipinti, che lui fece negli Anni ’60 e ’70, anticipano, nelle strutture e nelle forme, le scoperte scientifiche ed astronomiche fatte in tempi più recenti. Ha avuto l’intuito e l’immaginazione del visionario. Renzo cercava nella pittura l’estetica del Caos, quell’ordine nuovo delle cose che poteva diventare anche etico. Nel 2004 si è aperto il Festival della scienza, lui se ne era già andato e io l’ho frequentato per due anni, perché so che Renzo l’avrebbe apprezzato e se ne sarebbe interessato. In questo contesto ho trovato la conferma a quei concetti che tentava di farmi comprendere. È stata una conferma, una prova provata. Da questo momento ho iniziato a riguardare le sue cose, le sue immagini. Rivelatore è stato l’incontro con il fisico Fritjof Capra, autore di Il Tao della fisica: a lui ho mostrato, in modo azzardato e spregiudicato, le opere di Renzo al termine di una sua conferenza. Le ha apprezzate e ha compreso il legame stretto che la pittura di mio marito ha con la scienza. Da qui sono nati poi legami e incontri anche con Giorello. Il progetto delle mostra di quest’anno al Castello Sforzesco (Renzo Bergamo. Atomo – Luce – Energia) nasce da qui. Il lavoro che ha svolto è davvero encomiabile. Ha organizzato mostre, ha promosso incontri, ha pubblicato cataloghi… Arriverà presto il catalogo ragionato? È sicuramente un passo da fare perché serve per tutelare e promuovere l’artista anche dentro al sistema dell’arte. Sento di doverglielo, anche se Renzo diceva che i cataloghi diventano la tomba degli artisti perché chiudono un ciclo. Lui guardava sempre avanti a quel che c’era da fare. Credo che oggi, dopo tutto quello che ho
compiuto, siano sforzi che premiano, innanzitutto, il suo merito. È contenta degli sforzi compiuti fino ad oggi, di aver dato vita all’archivio e all’associazione? Avevo un vuoto, un vuoto d’amore. Renzo stava percorrendo un cammino che s’è interrotto all’improvviso. Ero smarrita. L’archivio nasce da un atto d’amore, un gesto particolare e dovuto, non potevo non rendere pubblico il lavoro di una vita e la particolarità del suo percorso pittorico. Tutto questo lavoro è stato anche un modo per non lasciarlo andare, ho potuto ritornare dentro al suo mondo, sono tornata indietro perché volevo riprendermelo. È stato un lavoro intensissimo a livello emotivo. Ma la soddisfazione oggi è grandissima. Renzo Bergamo per l’arte e per la scienza Via A.G. Barilli 31, Milano Info: +39 02 89690787 infoassociazione@renzobergamo.com www.renzobergamo.com
Atomo luce energia, veduta della mostra, Sala panoramica, Castello Sforzesco, Milano 15 gennaio-31 marzo 2013 In alto: Renzo Bergamo, s.t., 2003, tecnica mista, cm 56,5x76 (Archeologia cosmica) 12
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Interviste > Nuovi Spazi
(galleria +) oltredimore. A Bologna un nuovo spazio/tempo di ozio creativo BOLOGNA | (galleria +) Oltredimore | NUOVA SEDE Intervista a VERONICA VERONESI di Francesca Di Giorgio
Veduta del nuovo spazio (galleria +) Oltredimore, Bologna
Da una piazza del centro storico bolognese (P.zza San Giovanni in Monte 7) ad un distretto culturale, Manifattura delle Arti, tra i più estesi in Europa, a due passi dal MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna e dalla Cineteca di Bologna… Da appena una settimana la galleria Oltredimore ha traslocato ed amplia, insieme allo spazio fisico (150 mq) anche quello concettuale per diventare, in una visione allargata, un luogo d’ozio attivo a cui all’arte contemporanea si aggiungono progetti legati al food, all’editoria indipendente pensati come se fossero start up. In programma per venerdì 29 novembre la presentazione di Opuscolo Vaticana a cura di Andrea Renzini e Silvia Spada… Veronica Veronesi alla guida della galleria bolognese ci racconta cosa sta dietro a certe scelte e cosa significa per lei quel “(galleria +)” con un occhio al futuro e all’imminente ArteFiera 2014. A cosa risponde questo cambio di “dimensioni”? Quando e come hai deciso di trasferire Oltredimore? Ero stanca degli spazi espositivi tipo white cube, ambienti sterili e un po’ distaccati, ho iniziato a pensare ad una galleria dove poter STARE, DIRE, volendo CAPIRE di sicuro PARTECIPARE. Un luogo di ricerca ma anche di intrattenimento, spazio critico dove promuovere innovazione sociale, dove testare nuovi processi, metodologie e nuove forme di azione.
La galleria intesa come punto di snodo dove è possibile mettere da parte i modelli imposti a favore dell’ozio creativo. Il nuovo spazio racchiude queste caratteristiche nei suoi 150 metri quadri divisi in 3 ambienti. Come vedi questo nuovo spazio e come vuole interagire con il contesto che lo circonda? L’idea è quella di uno spazio contaminato, abbiamo voluto infatti inserire nuove attività parallele alle esposizioni in galleria tra le pareti di via del Porto 48 ci sarà anche un’area riservata al Food Design, dove trimestralmente verranno presentati progetti che daranno vita a “residenze temporanee” di progetti gastronomici, in un’area appositamente creata. Un programma che non si discosta dalla linea curatoriale della galleria, dalla sua apertura vicina alle tipicità del contemporaneo, della società, ad una cultura ampliata ad altre discipline e tensioni. Ludovico Pensato e Alessandra Ivul, in arte i Panem et Circenses, saranno i primi a sperimentare “la cucina” di (galleria +), con l’happening trEATticon, dove l’atto del mangiare è inteso come modalità per la conoscenza del mondo. L’universo insomma si amplia. Stiamo, inoltre, oraganizzando una comunicazione sinergica con le gallerie già esistenti nella Zona, parliamo la “stessa lingua” e non sarà difficile coordinarci per far sì che la ZONA MAMBO diventi quello che voleva il progetto iniziale.
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Si aggiunge un segno positivo alla vostra esperienza… Cosa sta a significare quel “(galleria +)” del nuovo logo? La prassi contemporanea vede fondersi le arti e il più vuole significare proprio questo, arte ma anche altro, come per esempio la sezione di editoria indipendente curata da MOTTO Distribution alla quale abbiamo dedicato un angolo/ libreria in continuo aggiornamento. Come si inserisce il lavoro di Maziar Mokhtari nei 150 mq della galleria? Perché avete deciso di inaugurare, lo scorso 15 novembre, proprio con il lavoro di un giovane artista iraniano? Lavoriamo con Maziar dal 2010 il suo lavoro dedicato ai muri della sua città in Iran è in continua evoluzione proprio da allora, in questi anni abbiamo potuto confrontare e testare il suo lavoro in diverse fiere nazionali ed internazionali era ora di “fare il punto” sul suo lavoro e così la mostra personale, la sua prima in Italia, a breve anche il libro d’artista con il testo critico di Eugenio Viola proprio per segnare questa fase del lavoro. Novità assoluta per la galleria è la “sezione” Food Design a cui accennavi prima… In Europa sono tanti gli spazi culturali dove è possibile fermarsi bere o mangiare qualche cosa, io ho voluto lavorare ulteriormente intorno all’idea del cibo ragionato, i progetti che
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esporremmo trimestralmente saranno trattai come delle vere e proprie mostre. Questa nuova attività è stata inaugurata da Ludovico Pensato e Alessandra Ivul di Panem et Circenses… Ci raccontate trEATticon, l’opening dello scorso week-end? Il progetto dei Panem et Circense presenta un excursus evolutivo basato sul rapporto evolutivo tra uomo e cibo. I tre atti, Materia, Deleteria e Aetheria, sono una metafora delle tre età della vita. Il progetto può essere letto, partecipato e fruito su diversi piani e da diversi punti di vista. La multistratificazione è stata una scelta voluta in fase di progettazione. La metafora delle tre età della vita è uno dei livelli del progetto. L’inaugurazione è stata una sintesi o meglio l’elemento che collega i tre atti, Ludovico e Alessandra hanno infatti presentato un’installazione di 24 kg di cioccolata una scultura a forma di piramide simbolo del fuoco che lega i tre atti, l’installazione poteva essere scolpita e/o mangiata dagli ospiti della galleria.
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29 – 30 novembre 2013 OPUSCOLO VATICANA è una bibbia tascabile, un breviario, un libro liturgico di immagini fluide che scorrono in sequenza, senza cronologie temporali né informazioni tecnico o biografiche. Un cerimoniale di suggestioni attraversate nella loro esteriorità da un unico foro che unisce le varie anime che intercorrono nel lavoro di Andrea Renzini, dalla pittura alla musica fino alla moda. Il foro è il sigillo di un’esecuzione/dissacrazione dell’oggetto sacro per antonomasia di ogni artista, il feticcio che certifica l’esistenza di una carriera, diviene in questo caso non il punto ma il foro della situazione, e come in tutti i fori c’è una via d’entrata ed una importantissima
Quali saranno i prossimi a mettersi alla prova? Stiamo valutando diversi progetti diversissimi tra loro l’idea di base rimane la stessa: dare la possibilità a giovani realtà che sperimentano nel food di confrontarsi e mettere a punto un format volendo può essere considerata anche una sorta di start up. E in vista di ArteFiera 2014? Progetti all’orizzonte? In galleria Mattia Barbieri a cura di Maura Pozzati e finalmente ad Arte Fiera nella sezione solo Show stand monografico di Maziar Mokhtari. Vi aspettiamo! (galleria +) oltredimore (NUOVA SEDE) Via del Porto 48 a/b, Bologna Orari: martedì e mercoledì 14.30-19.30; giovedì e venerdì 12.00-20.00; sabato 11.0019.00 e su appuntamento Info: +39 051 6449537 info@oltredimore.it www.oltredimore.it In corso: + Maziar Mokhtari. Yellow Apocalypse 16 novembre 2013 – 11 gennaio 2014 + Panem Et Circenses _ trEATticon 23 novembre 2013 – 22 febbraio 2014 Appuntamento: + Andrea Renzini & Silvia Spada_ Opuscolo Vaticana presentazione catalogo venerdì 29 novembre dalle 18.00
Maziar Mokhtari, Pellegrino, 2013, C-Print, cm 100x150 15
d’uscita. Nella versione deluxe OPUSCOLO VATICANA è avvolto e custodito in un sudario vescovile con emblema papale. (galleria +) oltredimore ospita la presentazione di OPUSCOLO VATICANA inaugurando così la propria sezione dedicata all’editoria. In questa occasione verrà proiettato il video inedito intitolato Ultrafine, multicolor cartone animato astratto del 2009 su musica del Teatro Sonico per Pantone. Le prime 200 copie di OPUSCOLO VATICANA contengono al loro interno un disegno originale usato per la realizzazione del video. OPUSCOLO VATICANA è prodotto da Luigi Tortato e SI Produzioni. Testi in italiano, francese e giapponese.
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Interviste > Progetti
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Critica in Arte 13. Intervista #1 A Ravenna con Ilaria Bignotti & Francesca Pasquali. RAVENNA | MAR Museo d’Arte della Città di Ravenna | 15 dicembre 2013 – 12 gennaio 2014 Intervista a ILARIA BIGNOTTI di Matteo Galbiati
Il Museo MAR di Ravenna torna a presentare, per la sua sesta edizione, uno dei suoi appuntamenti più attesi e caratteristici: Critica in Arte. Il collaudato format, ideato e voluto da Claudio Spadoni, direttore scientifico del museo romagnolo, pone al centro dell’attenzione non solo l’arte giovane, ma anche la riflessione critica della nuova generazione di critici e storici dell’arte che la sostengono. Accanto agli artisti emergenti trovano, quindi, uno spazio peculiare anche le voci e le idee critiche che li accompagnano, rendendo ogni mostra l’esito di un binomio che fonda la propria dinamica su uno stretto rapporto, confronto e dialogo. Un percorso parallelo che negli anni ha dato conto di linee e tendenze dell’arte contemporanea declinata nelle ricerche più attuali, ponendo questo tris espositivo come una delle occasioni di approfondimento e verifica più sperimentale di ogni altra esperienza affine. Proponiamo un’intervista congiunta ai tre curatori scelti per l’edizione targata 2013 di Critica in Arte: Ilaria Bignotti (che presenta Francesca Pasquali), Davide Caroli (che presenta Eron) e Silvia Cirelli (che presenta Silvia Giambrone). Iniziamo con Ilaria Bignotti: Critica in Arte non è solo momento per cui un artista giovane accede all’esposizione in un museo, ma protagonista è anche la critica che lo sostiene. Come valuti questa esperienza? Il mio modo di lavorare con gli artisti si basa
su due aspetti imprescindibili: il dialogo come capacità anche di sapere ascoltare e la compartecipazione alla loro ricerca che deve essere di arte e vita assieme. Non conosco altro metodo, non credo al distacco tra opera d’arte e testo critico né alla separazione del critico dalla persona e dal luogo dove si crea, dove si costruisce, dove si allestisce. In tutto questo, non ho mai influenzato un artista, ho sempre lasciato che lavorasse secondo la propria direzione. O meglio: abbiamo sempre lavorato assieme, in un confronto incessante e vivo. Credo in questo dialogo, davvero, è la cosa a cui do più valore. Anche tra critici. Critica in Arte penso che nasca da e riconosca tutto questo: per cui, è e resterà una esperienza importantissima. Che progetto hai sviluppato con il tuo artista per la mostra al MAR? Quali sono i contenuti specifici che avete voluto mettere in evidenza? Il lavoro di Francesca Pasquali è attuale, indaga le relazioni tra naturale e artificiale attraverso il riuso critico di prodotti e materiali del nostro tempo; conosce e approfondisce ad ogni intervento le reazioni e le relazioni tra opera e fruitore, si relaziona con lo spazio nel quale la sua opera è situata in modo consapevole e nuovo, riflette sulla mutevole potenzialità dei materiali plastici e industriali. È legato alle moderne tecnologie, parla di interazione e interdisciplinarietà. Sa adattarsi al mondo che cambia con esso. È
Ilaria Bignotti
architetturale e scultoreo. Primordiale e modernissimo. Come vi siete conosciuti e incontrati? Da quanto tempo lavorate assieme? Ci siamo conosciute attraverso le selezioni di un Premio d’Arte. Avevo aperto una delle tante casse e vi trovai due sue opere scultoree. Pulp e Cris. Avevano qualcosa di violento, di coinvolgente, di forte e di elegantissimo. La chiamai dopo il Premio. Era il 2007, credo verso febbraio. Da allora abbiamo spesso lavorato insieme. Abbiamo allestito tante mostre, in spazi pubblici, privati, in occasione di premi. La cosa che più mi affascina è la sua capacità di lavorare con la materia e di agire nello spazio. Il suo lavoro è carico di colore, è multiforme, è mutevole e in perenne metamorfosi. Eppure trasmette pace, silenzio, profonda finitezza, ordine delle cose. Perché hai scelto proprio quest’artista per Critica in Arte? La contemporaneità delle sue opere è anche nella loro straordinaria capacità di dialogare con linguaggi e forme antichissimi, classici, moderni. Al MAR non potevamo non ragionare sul ruolo della sua ricerca rispetto all’arte musiva e a questa relazione guarda la scelta delle opere esposte, oltre a rendere espliciti i temi centrali del suo intero lavoro. L’arte, citando a memoria una riflessione che un grande artista degli Anni ’60, Paolo Scheggi, fece riprendendo Leibniz, deve essere “chargé du passé et gros de l’avenir”. Francesca Pasquali è un’artista colta, che sa dimenticare a memoria la storia, portandone il peso e guardando sempre al di là del presente. In cosa credi sia indicativa della contemporaneità la sua ricerca? In cosa è attuale? La sua ricerca è coerente, nasce da una profonda analisi della situazione contemporanea, segue la direzione della relazione con lo spazio e con i materiali plastici e industriali. Sa di essere figlia delle ricerche monocrome e oggettuali degli Anni ’60, alle quali il suo lavoro è stato giustamente avvicinato. Al contempo, dimostra
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di avere assimilato gli insegnamenti delle avanguardie programmate, al punto che in occasione di una sua monografia il confronto con le prime ricerche di Alberto Biasi, anch’egli partito dalla astrazione del dato naturale, fu necessario. Il suo lavoro sa trovare una nuova vita nelle cose che banalmente pensiamo di conoscere: in un rutilante assemblaggio di oggetti d’uso comune, Francesca Pasquali si fa creatrice di nuovi mondi, venuti fuori da un antichissimo dissidio tra la materia e la forma, dissidio oltremodo attuale nello stesso frangente: in questo inno alla energia delle cose, e dell’uomo che le sa ri-creare, è contemporanea Francesca Pasquali. Dal progetto, indaga il processo della visione. L’ho scelta per tutto questo.
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interdisciplinarietà. Abbiamo future mostre che saranno momenti di dialogo e di riflessione. Nuovi materiali si stanno profilando che porteranno anche a nuove ricerche, dei quali una preview è nell’opera inedita che presentiamo in mostra. Ma il progetto più grande al quale da sempre lavoriamo è uno solo: l’arte. Critica in Arte 13 Francesca Pasquali a cura di Ilaria Bignotti, Eron a cura di Davide Caroli e Silvia Giambrone a cura di Silvia Cirelli progetto di Claudio Spadoni in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna con il sostegno di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
Una mostra, un catalogo, un’opera che entra nelle collezioni: quali scelte avete operato? Abbiamo scelto innanzitutto di riconoscere l’importanza della sede, e di onorarla, attraverso un’opera assolutamente inedita, una composizione di piccoli oggetti ludici che sapranno svegliare innumerevoli immagini e scuotere la fantasia del visitatore. Abbiamo poi lavorato su un’altra installazione appositamente creata per lo spazio, componendo la serie delle Setole monocrome in un mosaico policromo. Abbiamo presentato altri due lavori che riusano i materiali plastici prettamente industriale: Frappa, opera parlante, metafora della volubile mutevolezza dell’arte, forse un alter ego di Francesca; Nero, una presenza che nasce dalla parete, in essa pare vivere; alcune Straws che rivendicano la libertà dello sguardo di ciascuno di creare una propria immagine: l’immaginazione al potere deve essere un grido attuale. Cosa può rappresentare per un critico e per un’artista un’occasione come quella offerta da Critica in Arte? Sicuramente un momento di crescita e di confronto con altre ricerche, con critici di alto livello, con artisti anche. È ancora quel dialogo di cui dicevo poco fa. Un dialogo possibile in una sede d’eccezione: un’istituzione museale dove la scientificità e la ricerca storico-critica sono ancora dei valori, e dove si crede nella sperimentazione. Non nella sperimentazione tout-court, ma nella sperimentazione dell’intelligenza e della contemporaneità, nel rispetto della storia. Dove si crede nel pubblico e non gli si rifilano educati percorsi e (in)quietanti passeggiate prive di contenuto. Siamo ovviamente contentissime. Quali programmi hai per il futuro con l’artista che hai presentato? State lavorando a qualche progetto specifico? Proseguire nella collaborazione. Abbiamo in progetto un lavoro di analisi critica di una ricerca sulla relazione tra le opere e il video, nell’ottica della interazione cinematica e cinetica e della
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15 dicembre 2013 – 12 gennaio 2014 MAR Museo d’Arte della Città di Ravenna Via di Roma 13, Ravenna Orari: martedì, giovedì e venerdì 9.00 – 13.30 e 15.00 – 18.00; mercoledì e sabato 9.00 – 13.30; domenica 15.00 – 18.00 Ingresso libero Info: +39 0544 482477 info@museocitta.ra.it www.mar.ra.it
Francesca Pasquali, Setola rossa, 2010, cm 30x30x8, Collezione privata Nella pag. a fianco: Francesca Pasquali, Frappa, 2012, cm 200x130, Courtesy Tornabuoni Arte Contemporanea
MARCUS JANSEN Prima mostra personale dell´artista americano in Italia!
28 novembre 2013 - 31 gennaio 2014
GALLERIA BIANCA MARIA RIZZI & MATTHIAS RITTER Via Cadolini 27, 20137 Milano T 02 5831 4940 / M 347 3100 295 info@galleriabiancamariarizzi.com www.galleriabiancamariarizzi.com Orari mar/sab ore 15 - 19, lun e dom chiuso Finissage & presentazione catalogo con testi di Alessandra Redaelli e Alessandro Riva GiovedĂŹ 30 gennaio 2014
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Critica in Arte 13. Intervista #2 A Ravenna con Davide Caroli & Eron. RAVENNA | MAR Museo d’Arte della Città di Ravenna | 15 dicembre 2013 – 12 gennaio 2014 Intervista a DAVIDE CAROLI di Matteo Galbiati
Continua la nostra ricognizione all’interno del progetto Critica in Arte in apertura al Mar di Ravenna. Dopo aver intervistato Ilaria Bignotti, una delle curatrici coinvolte in questa edizione, proponiamo le stesse domande a Davide Caroli, il curatore che ha scelto di presentare il lavoro di Eron: Critica in Arte non è solo momento per cui un artista giovane accede all’esposizione in un museo, ma protagonista è anche la critica che lo sostiene. Come valuti questa esperienza? Ho seguito il percorso di Critica in Arte fin dalla sua prima edizione e da subito mi è sembrata
un’intuizione innovativa per il panorama italiano e, come si è poi dimostrato, di sicuro successo. In questo progetto la critica è protagonista, con pari dignità ed interesse rispetto al lavoro degli artisti: i critici, under 40 come gli artisti, sono, infatti, scelti dal direttore del MAR per il loro percorso e viene a loro lasciata carta bianca per poter procedere con l’individuazione della proposta espositiva. Che progetto hai sviluppato con il tuo artista per la mostra al MAR? Quali sono i contenuti specifici che avete voluto mettere in evidenza?
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Davide Caroli
Eron, Senza titolo, 2009, pittura a spray su tela. Courtesy Terna SpA
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Eron, Senza titolo, 2010, pittura a spray su tela, cm 100x150 Courtesy collezione privata
Per Critica in Arte abbiamo pensato di proporre un approfondimento sul ciclo principale di opere a cui Eron si sta dedicando intitolato mindscapes. Da circa sei anni l’artista riminese sta realizzando questi paesaggi della mente, in cui si fondono realismo e visioni oniriche che danno vita a scene fantastiche pervase da una poesia dai tratti teneramente infantili. Come vi siete conosciuti e incontrati? Da quanto tempo lavorate assieme? Questa è la prima volta in cui io ed Eron lavoriamo insieme, ci siamo conosciuti personalmente proprio per preparare questa mostra. Perché hai scelto proprio questo artista per Critica in Arte? Sono l’unico tra i tre curatori che lavora nella zona romagnola e ho fatto cadere la mia scelta su Eron perché ho voluto presentare un artista del mio territorio che è anche quello del MAR, senza voler dare però una connotazione eccessivamente localistica. In cosa credi sia indicativa della contemporaneità la sua ricerca? In cosa è attuale? Eron nasce come street artist, è da molti considerato uno dei più importanti esponenti di questa storia che per certi versi è ancora con-
siderata borderline, tra il vandalismo e la vera e propria espressione artistica (proprio in questi giorni la discussione si è ravvivata grazie al progetto di Banksy a New York). Il tentativo di voler spostare il suo stile e la sua tecnica dal muro alla tela mi sembra molto coraggioso e interessante in questo periodo in cui, per certi versi, la pittura cerca di riconquistare il suo spazio nel confronto con altre realtà artistiche. Una mostra, un catalogo, un’opera che entra nelle collezioni: quali scelte avete operato? Il taglio che abbiamo voluto dare alla mostra è quello di presentare alcuni lavori più vecchi del ciclo mindscapes insieme ad alcune tele inedite realizzate appositamente per la mostra. Sarà inoltre proiettato un video che documenta l’imponente lavoro For ever and ever… commissionato ad Eron per la volta della Chiesa di San Martino in Riparotta a Rimini, primo intervento di street art all’interno di un luogo di culto ancora attivo; a fianco di questo, dal molto grande passando al molto piccolo, troverà spazio una piccola scultura, traduzione in 3D delle immagini realizzate su tela. Cosa può rappresentare per un critico e per un’artista un’occasione come quella offerta
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da Critica in Arte? Per i protagonisti delle edizioni passate Critica in Arte è stato un tassello importante per sostenere i passi di una carriera che si stava formando o per puntellare storie già consolidate; per molti degli artisti esporre al MAR ha costituito un punto di forza per meritare poi inviti a premi nazionali ed internazionali o per vincere prestigiose residenze. Sicuramente confrontarsi con l’imponenza di un museo – per la sua storia, i suoi spazi e il suo pubblico – è, sia per un curatore che per un artista, un’esperienza nuova, più impegnativa e sicuramente diversa rispetto al lavoro che si può preparare per una galleria. Quali programmi hai per il futuro con l’artista che hai presentato? State lavorando a qualche progetto specifico? Al momento non abbiamo ancora nessun programma congiunto ma, se ci sarà l’occasione, valuteremo le opportunità che si presenteranno.
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Critica in Arte 13. Intervista #3 A Ravenna con Silvia Cirelli & Silvia Giambrone. RAVENNA | MAR Museo d’Arte della Città di Ravenna | 15 dicembre 2013 – 12 gennaio 2014 Intervista a SILVIA CIRELLI di Matteo Galbiati
Siamo alla terza ed ultima intervista del ciclo dedicato a Critica in Arte 13. Concludiamo la serie di interviste ai curatori di quest’anno con le risposte di Silvia Cirelli che presenta la giovane artista Silvia Giambrone… Critica in Arte non è solo momento per cui un artista giovane accede all’esposizione in un museo, ma protagonista è anche la critica che lo sostiene. Come valuti questa esperienza? L’Italia è un paese in cui la giovane creatività è
in continuo fermento, oltre ad un interessante panorama artistico emergente, si nota da qualche anno un germogliare di figure professionali – curatori e critici – che seguono questo percorso. Critica in Arte diventa quindi un’importantissima occasione per vedere quanto anche la giovane critica italiana stia crescendo e si stia evolvendo.
Silvia Cirelli
Che progetto hai sviluppato con il tuo artista per la mostra al MAR? Quali sono i contenuti specifici che avete voluto mettere in
Silvia Giambrone, Made in Italy (dettaglio #5), 2012 Courtesy l’artista e Galleria Doppelgaender, Bari 25
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evidenza? Per la mostra al MAR io e Silvia Giambrone abbiamo pensato ad un corpus di opere che rappresentasse al meglio la sua grande versatilità. Nonostante la giovane età, Silvia è un’artista che ha già sperimentano molti linguaggi espressivi: si muove dal video all’installazione, ha una chiara predilezione verso la performance ed utilizza anche pratiche tradizionali come l’incisione ed il ricamo. La scelta dei mezzi artistici dipende di volta in volta dal tipo di messaggio che si vuole raccontare, prima nasce l’idea e poi, di conseguenza, Silvia decide il linguaggio più consono. Da un punto di vista invece tematico e contenutistico abbiamo scelto di evidenziare i concetti che più spesso ritornano nella sua poetica e cioè, da un lato l’indagine degli stereotipi sociali che purtroppo ancora si annidano nella cultura contemporanea, e dall’altro il labile equilibrio fra corpo e linguaggio, con una particolare attenzione verso l’universo emozionale delle persone.
scambiamo idee e progetti, le prime volte si trattava di corrispondenza via email o al telefono, vivendo io fra l’Italia e la Cina e lei sempre un po’ in giro per l’Europa. Ci siamo poi incontrate a Roma, la città in cui lei vive attualmente. La nostra prima occasione di collaborazione è stata invece una mostra che ho curato a Ferrara lo scorso Ottobre, una collettiva di artiste under 35 dove c’erano anche alcuni lavori di Silvia.
decifrare e raccontare la cultura contemporanea, ma con un taglio sempre personale, quasi privato. Affronta temi delicati come la questione femminile e i vincoli sociali che ancora oggi creano rapporti di forza faticosi da abbattere, oppure le difficoltà delle relazioni umane, in bilico fra bellezza e sofferenza, fra libertà e coercizioni comportamentali. Il suo è uno sguardo sul presente che esalta però la dialettica dell’emozione e della suggestione.
Perché hai scelto proprio questo artista per Critica in Arte? Credo che Silvia Giambrone riassuma al meglio la giovane creatività italiana. È un’artista molto attenta, preparata, che ama sperimentare e che investe completamente se stessa nei progetti che realizza, nonostante infatti affronti anche tematiche sociali di carattere collettivo, c’è sempre una forte componente autobiografica e personale. È una delle più interessanti voci artistiche italiane e pur essendo molto giovane, ha già un’impronta stilistica esclusiva ed originale.
Una mostra, un catalogo, un’opera che entra nelle collezioni: quali scelte avete operato? Così come per tutta la mostra, anche nel catalogo abbiamo deciso di marcare nuovamente l’obbiettivo del progetto Critica in Arte, e cioè lo scambio artista – critico. Abbiamo così abbandonato il comune testo critico (scritto da me) per pubblicare invece un dialogo fra me e Silvia Giambrone, una chiacchierata in cui non sono solo io a parlare della sua poetica, ma è la stessa artista che si racconta ai lettori.
Come vi siete conosciuti e incontrati? Da quanto tempo lavorate assieme? È da circa un anno che siamo in contatto e che
In cosa credi sia indicativa della contemporaneità la sua ricerca? In cosa è attuale? Silvia si concentra molto sul presente, cerca di
Cosa può rappresentare per un critico e per un’artista un’occasione come quella offerta da Critica in Arte? Occasioni come quella di Critica in Arte sono davvero rare in Italia. Non si tratta solo della promozione della giovane arte, ma è un progetto che mette in luce uno dei passaggi più importanti nell’organizzazione di una mostra, e cioè il confronto fra artista e curatore. È proprio questo scambio uno degli aspetti che amo maggiormente nel mio lavoro, non è una collaborazione fine a se stessa ma è un percorso che artista e curatore fanno insieme. Quali programmi hai per il futuro con l’artista che hai presentato? State lavorando a qualche progetto specifico? Abbiamo appena chiuso una mostra a Ferrara dove Silvia era una delle quattro artiste under 35 che avevo invitato, insieme anche a Laurina Paperina, Elisa Strinna e Ludovica Carbotta. Questo a Ravenna è quindi il secondo progetto che ci vede lavorare ancora insieme a distanza di pochissimo tempo. Quando credo in un’artista mi piace instaurare una collaborazione di fiducia che non si chiude con la fine di una mostra, ma che segue un percorso più ampio e a lungo termine. Per il futuro ho tante idee in mente, fra queste, sicuramente quella di portarla all’estero, ma lei ancora non lo sa…
Silvia Giambrone, 8 Novembre 2011, 2011. Courtesy l’artista e Fondazione Biagiotti Progetto Arte, Firenze 26
BETH MOON thy kingdom come gennaio marzo 2014
L’ARIETE artecontemporanea via d’azeglio 42 bologna www.galleriaariete.it
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Interviste > Arte+Design
Metallo. Naturalmente… Andrea Salvetti in mostra da MUST GALLERY LUGANO | MUST GALLERY | 5 dicembre 2013 – 19 gennaio 2014 Intervista ad ANDREA SALVETTI di Valeria De Simoni
Giovedì 5 dicembre Andrea Salvetti inaugura una mostra personale da MUST GALLERY a Lugano. Qui, fino al prossimo 19 gennaio, presenta al pubblico la sua multiforme attività che lo vede, di volta in volta, impegnato sui diversi fronti delle arti contemporanee muovendosi in spazi e tematiche interdisciplinari: tra scultura, design, architettura, performance e cucina. Le sue opere spesso faticano a riferirsi e affrancarsi a uno solo di questi settori tendendo piuttosto ad unirsi in senso orizzontale… Metallo. Naturalmente. Il titolo della tua personale da MUST GALLERY a Lugano evoca una predilezione primaria e spontanea per il metallo e il forte legame del tuo lavoro con la natura. Come ha avuto origine il tuo interesse per questo materiale? Un po’ per caso e un po’ per la professione di mio padre, un po’ perché Ron Arad è stato un modello da seguire ma soprattutto perché il metallo rende metafisiche le forme della natura
che associano le mie idee. La superficie fredda, la struttura inorganica, la rigidità e la lucentezza trasportano in una dimensione surreale tutto ciò che riferisco al mondo naturale e crea un contrasto e una dissonanza armonica che mi piace. Il fatto di vivere in campagna vicino alle Alpi Apuane in che modo influenza la tua poetica? E una condizione necessaria per il tuo lavoro? Mi dedico da sempre all’osservazione delle sfumature della natura iniziando a guardare intorno ai piedi. Partendo dalla realtà più vicina mi sorprendo ogni volta perché non è necessario allontanare lo sguardo. Tutto ciò che mi serve è intorno a me, vicino a casa, e la natura rigogliosa delle mie colline raccoglie un mondo di infinite meraviglie. Tutto parte da lì e ne sono dipendente. Cosa significa per te design autoprodotto?
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Andrea Salvetti, APPARITA, 2010/2013, pezzo unico, fusione di alluminio lucidato e verniciato, cm 90x117x126
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Andrea Salvetti, CONTROBASSOTTO, 2012, acciaio inox lucidato a specchio, cm 68x226x86, serie di 8 esemplari +2aps
Autopromozione, rivisitazione del processo di produzione in attesa di una committenza in senso “classico”, ribaltamento delle relazioni tra i diversi interlocutori all’interno dell’intero ciclo produttivo al fine di modificare il concetto stesso di design? Autoproduzione è una parola che non si usa nell’arte perché molto spesso l’artista per esprimersi deve lavorare direttamente e di norma occuparsi di tutti gli aspetti, anche della promozione o della comunicazione. Non mi sento un designer anche se comprendo le affinità e il motivo per cui ci finisco sempre dentro ma il mondo e i meccanismi del design non sono adatti al mio lavoro. Seguo semmai una strada più vicina alla scultura che cerca nella funzione un appiglio per allargare l’orizzonte su tematiche più vicine al carattere della società moderna e si plasma sulle sue preferenze. La mostra a Lugano ripercorre alcune delle tappe più rappresentative degli ultimi anni. Quali momenti hai scelto di raccontare? Ho scelto di affiancare alcuni lavori recenti e inediti a progetti già molto conosciuti per dimostrare che il percorso segue una direzione precisa e che confrontando lavori di anni diversi il panorama è omogeneo. Il fascino per le tematiche inerenti al mondo naturale e la predilezione per i metalli lucenti sono caratteristiche stabili del mio lavoro che da diversi anni ruota intorno ad un cosmo noto.
A destra: Andrea Salvetti, TRONCHI 48484, tv 2/8, 2012, fusione di alluminio placata oro, cm 165x40x40
Arte e design, ma anche cucina. In che modo mescoli questi tre ingredienti? Non provo nessuna difficoltà a muovermi in ambiti diversi perché non vi è nessuna differenza nello specifico ambito della creatività. Vorrei anche approfondire la fotografia e la cinematografia, mi affascino di progetti virtuali e dedico molto tempo all’arte ambientale per la quale, in questo momento, forse, sento più sintonia. Quindi seguo con libertà le mie passioni che da
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sole sanno relazionarsi e creare quel percorso unico che mi rappresenta. Anticipazioni per il futuro? Un grande progetto di sculture monumentali pensate apposta per la città di Lucca. Una mostra pubblica nelle meravigliose piazze della mia città che, per la prima volta, ospita le mie opere. Andrea Salvetti. Metallo. Naturalmente 5 dicembre 2013 – 19 gennaio 2014 Inaugurazione giovedì 5 dicembre 2013 dalle ore 19.30 alle 23.00 MUST GALLERY via del Canvetto, Lugano Info: +41 91 970 21 84 info@mustgallery.ch www.mustgallery.com
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Interviste > Arte
Alessandro Lupi: riflessioni sul concetto di corpo FIRENZE | Reali Poste, Galleria degli Uffizi | 29 ottobre – 30 novembre 2013 MILANO | WHITELABS | 25 ottobre – 7 dicembre 2013 Intervista ad ALESSANDRO LUPI di Niccolò Bonechi
Il mese di ottobre ha portato ad Alessandro Lupi numerosi ed importanti impegni. Dalla collettiva Turn on the Bright Light da poco conclusa a Genova negli spazi della galleria genovese Guidi&Schoen, alla personale Antiego da WhiteLabs di Milano, passando per il Premio Cairo e la partecipazione al progetto Laboratorio Novecento al Museo degli Uffizi… Facciamo il punto con l’artista genovese da anni residente a Berlino… Con quale spirito hai affrontato queste nuove avventure? Ne vengo da un anno pieno di progetti e mostre all’estero, mi fa piacere tornare in Italia e concentrare tutta la mia ricerca degli ultimi anni in queste esposizioni. Da diversi anni ho base a Berlino dove ho sviluppato molte idee, sperimentando, inventando nuove tecniche, diverse tipologie di opere ed installazioni e sviluppando
anche un’evoluzione poetica, filosofica e scientifica. A Milano da Whitelabs fino al 7 dicembre sarà possibile vedere una selezione tra i migliori lavori realizzati negli ultimi anni compresi i recentissimi… Una cosa che ho riscontrato in Italia è un aumento di sinergie, la comunicazione tra le persone, che mai come ora è necessaria in questo periodo di crisi. Per Laboratorio Novecento alle Reali Poste degli Uffizi, al quale partecipi di fianco ad artisti internazionali (tra gli altri Jan Fabre, Jeff Koons, Urs Lüthi e Michelangelo Pistoletto), hai presentato un’installazione nella sala d’ingresso. Come hai pensato di interagire con questo spazio in relazione alla dimensione didattica del progetto?
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Alessandro Lupi, Laboratorio Novecento, Reali Poste, Galleria degli Uffizi, 2013
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Alessandro Lupi, Berliner Fenster, 2013, Turn on the Bright Light. Courtesy Guidi&Schoen Arte Contemporanea In basso: Alessandro Lupi, Ombre albero, 2013, Courtesy Whitelabs
Dopo un sopralluogo ho cominciato a lavorare cercando di respirare lo spazio e relazionandomi con la dimensione formativa del progetto. Ho scelto di presentare la mia serie dei bauli Densità fluorescenti che perfettamente si integravano mischiando contemporaneità e antico creando un legame tra l’identificazione dei bambini che partecipano al laboratorio e la dimensione di memoria che i bauli suggeriscono. In fondo al corridoio inoltre ho presentato un lavoro interattivo intitolato Ombre, un paravento di opalina su cui un fascio di luce genera ombre virtuali e ombre reali delle persone che passano e interagiscono. Anche in questo caso gli spettatori si relazionano con una virtualità, generata solo da luce ed ombra, con il quale possono entrare a far parte dell’opera. Trovo molto interessante la dimensione didattica di questo progetto perché permette alle nuove generazioni di essere stimolate e libere di respirare la contemporaneità, strumento fondamentale per poi comprendere meglio l’arte del passato.
verso gli altri. Per questo lo specchio antiego diventa un gioco di liberazione dall’ego, quando due persone si specchiano contemporaneamente entrambi riescono a vedere l’altro ma nessuno riesce a vedere se stesso. Inoltre quello che si vede al posto del proprio viso sono disegni di luce nel quale l’immaginazione a sua volta crea diverse immagini, un altro se stesso, una identità astratta che fa comprendere quanto sia complicata la percezione della realtà e quanto sia basata su percorsi mnemonici e ripetitivi. Quali progetti imminenti hai in agenda? Torno giusto questa settimana a Berlino, e mi preparo per fare due grandi installazioni e un workshop con degli studenti a Obidos in Portogallo in occasione di un evento internazionale incentrato sulla luce. Dopodiché mi dedicherò a realizzare dei nuovi lavori che presenterò ad Artefiera a Bologna con la galleria Guidi&Schoen.
La tua ricerca s’incentra in particolar modo sulla figura umana, attentamente analizzata e sempre ri-contestualizzata. Nell’opera Antiego Mirror, emblema della personale da WhiteLabs, utilizzi la tecnologia per annullare la percezione del proprio volto riflesso nello specchio. Cosa ti ha portato a riflettere sul concetto di identità a partire da questa “privazione”? Con le Densità fluorescenti ho sempre lavorato sul corpo come presenza tridimensionale di luce, fitta ma vuota, interconnessa con lo spazio ed aperta all’interpretazione soggettiva dello spettatore che guarda. Proprio partendo da questo concetto di fusione con lo spazio e basandomi sulla teoria “non esiste nessun corpo isolabile” negli ultimi anni ho capito che l’ego è una costruzione indotta ed è l’origine di ogni conflitto interno ed esterno. Non dico che bisogna eliminarlo del tutto ma nel momento in cui lo si mette un po’ da parte si incomincia ad avere un’apertura più grande verso il mondo e
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Mostre in corso: Laboratorio Novecento 29 ottobre – 30 novembre 2013 Reali Poste, Galleria degli Uffizi Piazzale degli Uffizi, Firenze Info: +39 055 2388651 www.polomuseale.firenze.it ———————————————– Alessandro Lupi. Antiego A cura di Nicola Davide Angerame 25 ottobre – 7 dicembre 2013 WHITELABS Via Gerolamo Tiraboschi 2, Milano Orari: da martedi a venerdì 15.00/19.00 sabato su appuntamento Info: +39 348 90 31 514 info@whitelabs.it www.whitelabs.it
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A Mondovì. Sulle “tracce” di Ugo La Pietra MONDOVÌ (CN) | Museo della Ceramica | 26 ottobre 2013 – 6 gennaio 2014 Intervista a UGO LA PIETRA di Matteo Galbiati Sempre coerente nel linguaggio, pur nella sorprendente poliedricità delle differenti declinazioni, tecniche e pratiche, definire Ugo La Pietra (1938) come un personaggio eclettico e trasversale sarebbe al contempo riduttivo e impreciso. Riduttivo perché la sua complessità poetica e intellettuale non si affranca mai ad una definizione delimitante, ma, al contrario, il suo sguardo riesce a muoversi in ogni direzione, si fa antenna ricettiva di quelle tensioni con cui spesso lo rendono anticipatore di tempi, mode e gusti. Impreciso perché tali definizioni non devono far incorrere nell’errore di considerare ogni sua opera come un qualcosa di sporadico o completamente avulso dal suo percorso. Tutto si lega in una logica profonda in cui il suo “segno” si applica come misura uniforme, costante, una variabile di movimento che genera una ricca differenza di esperienze. Forse più, e meglio, di chiunque altro la sua storia artistica, tanto aperta e versatile, si pone in una logica dialettica che si estende ad esercizi aperti, anche in costante rapporto con i territori di confine delle attività artistiche. La
Pietra non ha paura di fondere le arti “maggiori” con le “minori”, differenza che in lui perde di senso, legando i vari ambiti in una complessa descrizione unica. Al centro resta sempre la dimensione di ricerca dell’uomo. La Pietra non fa figli e figliastri, ma unisce e mette in stretta relazione ogni attività artistica – o del pensiero – dell’uomo per tradurne la sua visione del mondo. Attivandola sempre dal suo “segno” inconfondibile nello sperimentalismo. Lo abbiamo intervistato in occasione di questa sua nuova mostra in cui presenta le opere ceramiche. Presenti una mostra di ceramiche, un lavoro cui tieni molto. Quale continuità poetica offri al pubblico? In questa mostra di ceramiche vorrei proprio mostrare la mia continuità di pittore del segno, dove metto in correlazione queste mie opere con tutte le altre della mia produzione. Abbiamo avuto modo di parlare spesso insieme del valore del “segno”, cosa che diventa
significativa fin dall’inizio del tuo percorso, fin dall’esperienza del Gruppo del Cenobio. Un segno che esprime sempre l’intensità della vita. Che valore definisce in te? Esattamente questo. Il mio segno è gestuale, nel senso che è frutto di un gesto a cui si vuole dare valore. L’ho espresso anche andando in opposizione a quello “programmato” che si diffondeva negli anni ’60, figlio di un pensiero logico, quasi matematico. Io volevo che il mio segno fosse randomico, autonomo, a flusso di coscienza quasi. Da questo nacque il Sistema Disequilibrante: il gesto, nel segno, diventa pittorico, performativo, scultoreo… Questo è il valore – e il potere – del segno. Qui presenti ceramiche e so che tieni molto a dire che non sono lavori completamente tuoi. Un gesto di rispetto verso l’artigiano con cui hai lavorato per l’esecuzione pratica delle opere? Ogni ceramica reca la mia firma cui si lega quella dell’artigiano. È per me giusto e fondamentale – l’ho sempre fatto fin dagli anni ’60 – porre il senso del valore di una forte identità riconoscibile a livello territoriale. Ogni territorio esprime capacità e tradizioni che le sono propri e che non sono le mie esperienze, ma che, attraverso il mio lavoro, possono denunciare l’importanza, il riconoscimento e il valore della territorialità. Quindi queste opere sono mie, ma voglio riconoscere che sono state fatte con il preziosissimo aiuto e l’esperienza di altri collaboratori. Come ho detto, di mio resta riconoscibile l’elemento del segno che endemicamente fa parte del mio linguaggio e della mia poetica fin dai miei esordi artistici. Qui si apre un dibattito sul valore dell’artigianato come patrimonio della tradizione. Un altro spunto che ti vede militante in questo… Ho sempre posto il problema della valorizzazione dell’artigianato come topos di una produzione di stile. Certo artigianato di qualità rappresenta la cultura del fare, espressione che in Italia ha basi antichissime e ricche, che, proprio per la storia del nostro territorio, ha dato vita a localismi preziosissimi. L’artigianato esprime un patrimonio immenso e sommerso di conoscenze – non solo storiche ma anche pratiche – che non devono essere perdute. Con Abitare
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il tempo ho cercato, per esempio, di dare l’opportunità di fare fiere ai mobilieri classici, ebanisti di rara capacità. Da quelle sono derivate poi mostre di alto profilo e livello. Questo interesse per l’artigianato – le ceramiche sono un esempio significativo – ti porta ad una interdisciplinarietà. Cosa ti preme maggiormente? Le ceramiche diventano proprio il veicolo per spiegare – e avere – rapporti tra discipline diverse che trovano unione e rapporto nell’oggetto finito. Le esperienze dell’artista si basano sul progetto, questo arriva all’artigiano, che spesso lavora secondo tradizione. Questa operazione di considerazione di una progettualità applicata alla tradizione del fare ha un suo esempio massimo in Gio Ponti. Con questa mostra io dichiaro la mia posizione di artista evidenziando ed esprimendo le relazioni e i rapporti che la ceramica ha con la mia pittura. Anche di oggi.
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futuro per questa eredità culturale del localismo rispetto alla cultura globale? Sono pessimista. A Caltagirone – che ha una tradizione ceramica fortissima – hanno chiuso un istituto come il Don Sturzo che ne rappresentava la storia. L’hanno accorpato ad un’altra scuola. Questo è il grave aspetto della situazione attuale: si chiudono gli istituti, i centri formativi specialistici, le antiche botteghe. L’artigianato di livello, poi, è povero per eccellenza non avendo mai avuto gallerie, musei o realtà affini che lo promuovessero. Problema ulteriore sono i designer che perdono i legami con l’industria e si limitano al disegno, oppure si adeguano con l’auto-produzione che uccide la produzione artigianale vera. In Europa c’è un rispetto maggiore di quella che definiamo arte applicata. È un tema importante che merita attenzione e approfondimenti attraverso dibattiti seri e che deve stimolare uno scambio continuativo. Cer-
Hai parlato di tradizione, cosa ci dici di quella di Mondovì? Mondovì ha una grande storia ceramica che viene da una tradizione povera nel senso nobile: la sua decorazione era semplice, fatta a piccoli colpi di spugna. Io ho voluto riprenderla in alcune opere fatte apposta per la mostra. Mi ha dato soddisfazione ottenere molto con così poco. Cosa ci dici del Museo di Mondovì? Come hai operato in questo luogo? Un luogo stupendo, all’avanguardia. Ha un’installazione interattiva di Studio Azzurro che è sorprendente. Porta nell’attualità il passato e lo fa meglio conoscere. Questo luogo mi piace perché assolve appieno a quelle missioni che per me sono fondamentali in un museo: la conservazione e l’archiviazione, l’acquisizione, l’attività divulgativa e quella espositiva. Qui nel piccolo ci sono tutte e tutti lavorano bene. Sulla tua mostra…? La mia mostra si colloca nella parte espositiva, in sale separate, ma ho voluto cercare correlazioni, proprio per la loro bellezza, con i manufatti della loro storia. Mi hanno lasciato operare in un piccolo laboratorio, uno degli ultimi scrigni di quel fare antico di cui parlavamo prima. Besio 1842 rimane depositario di una tradizione che è la ricchezza patrimoniale del localismo. Questo laboratorio si lega al museo anche per le future attività dei prossimi anni, un esempio di reciproco sostegno. Con certe difficoltà abbiamo comunque realizzato alcune opere fatte appositamente per questa occasione, sempre guardando alla poesia del mio segno. Abbiamo parlato di tradizione, come vedi il
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to artigianato ha diritto – e qualità – per entrare nel mondo e nel mercato dell’arte. Ugo La Pietra. Tracce. La mia territorialità a cura di Christiana Fissore e Riccardo Zelatore con il patrocinio di Regione Piemonte, Provincia di Cuneo, Città di Mondovì 26 ottobre 2013 – 6 gennaio 2014 Museo della Ceramica Palazzo Fauzone di Germagnano Mondovì piazza, Mondovì (CN) Orari: venerdì e sabato 15.00-18.00; domenica 10.00-18.00 Info: +39 0174 330358 info@museoceramicamondovi.it www.museoceramicamondovi.it
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Il Reportage fotografico
Daniele Giunta. Last paintings GENOVA | Guidi & Schoen Arte Contemporanea | 29 novembre – 29 dicembre 2013 In attesa di leggere l’intervista a daniele giunta di francesca di giorgio – coming soon su espoarte.net – vi proponiamo alcuni scatti della personale last paintings da Guidi & Schoen Arte Contemporanea a genova.
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Daniele Giunta. Last Paintings 29 novembre – 29 dicembre 2013 Guidi & Schoen Arte Contemporanea Vico Casana 31r, Genova Info: +39 010 2530557 info@guidieschoen.com www.guidieschoen.com
Last Paintings è un percorso tra una serie di lavori che prendono forma negli inverni trascorsi tra il 2011 e il 2013. Questo tipo di pratica esplora le polarità tra visibilità e percezione, dove luce e suono sono alcuni degli elementi che fanno emergere le sembianze dell’ambiente naturale prediletto, in unione con quello spirituale dell’artista. Giunta, per declinare il suo territorio pittorico d’elezione, adotta una visione installativa, confrontandosi costantemente con disegno, pittura di vari formati e materialità – alcune inedite nella sua ricerca – forme e sculture nella cristallizzazione di concrezioni che risiedono tra una dimensione terrena e immaginifica. Tra gli strumenti personali utilizzati nella formalizzazione della sua visione, costante è l’elemento sonoro. Genesi, natura, paesaggio e una temporalità infinita si uniscono nella geografia interiore che affiora dall’esperienza di questi gesti minimi celati tra naturalia e l’esperienza contemplativa della realtà. ll pennello di cui l’artista si serve è costituito dall’accumulo di esperienze e pratiche trascorse. Si intravedono tracce di un passaggio, reso possibile anche grazie al carattere performativo di abitazione dello spazio, sempre in rinnovamento nella genesi metodologica e concettuale della sua ricerca. Esse costituiscono le membra separate di un corpo che si genera del tutto nuovo in questa occasione, ricomponendosi tramite il filo variopinto soggiacente al concetto di pittura come vera e propria “esperienza possibile”.
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grandi mostre 2013 Il meglio della nuova stagione >> RECENSIONI
Nello scorso numero di Espoarte Digital era stato incluso uno speciale sui grandi progetti espositivi previsti per questa nuova stagione. Ora che alcuni di essi hanno inaugurato, vi proponiamo le recensioni a cura dei nostri collaboratori..
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Josef Albers: alle Stelline lo stupore per il sublime MILANO | Fondazione Stelline | 26 settembre 2013 – 6 gennaio 2014 di MATTEO GALBIATI sperimenta nelle sue opere e lo comunica. Lo mette in evidenza con un linguaggio che, nella sua forza semplice, vale per tutti. Questa tensione alla trasmissione di un valore grande e trascendente diventa quel messaggio di Josef Albers che questa mostra riesce molto bene a raccontare. La potenza del sublime nel visibile. Sublime Optics, appunto.
Non solo una geometria ragionata e pensata, non solo un colore che diventa forma composta. Se si guardano con profondità e attenzione le opere racchiuse in questa pregevolissima mostra, di Josef Albers (1888-1976) si mette in luce soprattutto quell’aspetto di intensa dimensione spirituale che è una delle sue prerogative più forti e decise e che ne ha contraddistinto, come presenza determinante, tutta la ricerca. Una spiritualità che non deve essere intesa a senso unico relegandola nell’alveo di un credo religioso, ma si deve aprire alla dimensione della meraviglia e dello stupore per il sublime. Albers cercava quel culto per l’inesplicabile che le sue opere avrebbero dovuto tradurre in immagini: da artista, e da raffinato teorico e pensatore, ha votato il suo impegno nella descrizione di quello che colpisce l’immaginazione interiore dell’uomo e che nasce dalla realtà visibile. Albers ha sempre guardato attorno a sé, alle cose del e nel mondo, per rivelare ed evocare quella visione miracolosa che si nasconde dentro al reale. L’assunto principale del suo impegno era mosso da quel desiderio radicato di poter far connettere la nostra percezione con le frequenze dell’arte: egli individuava una discrepanza forte tra la registrazione della fisicità tangibile delle cose e la loro rilevanza a livello psichico. Un’intuizione determinante per il suo linguaggio, tanto da fargli porre il principio del ciò che vediamo non coincide esattamente con ciò che pensiamo di vedere, quale base per ogni sua considerazione. La mostra, composta in modo non cronologico (scelta che risulta coerente e vincente rispetto
la lettura dei lavori e dei materiali esposti), distribuisce i 78 capolavori seguendo le tre tracce guida di linea, forma e colore. Un viaggio di scoperta che si apre con Untitled del 1921, opera in vetro proposta al suo arrivo al Bauhaus, per chiudersi con la superlativa Homage to the Square del 1976, che resta quasi un testamento spirituale dei suoi insegnamenti, summa definitiva del suo sapere dove forma e colore toccano la profondità dell’assoluto. Il percorso – molto ben allestito –, che inizia al piano seminterrato e risale al piano superiore, accompagna il visitatore in un viaggio davvero emozionante: scorrendo le sale, si passano in rassegna le esperienze artistiche che Albers ha condotto tra Europa e Stati Uniti dove, dopo l’insegnamento al Bauhaus, ottiene la cattedra al Black Mountain College e alla Yale University. Fondamentale l’analisi dell’architettura moderna, ma anche antica, testimoniata dalla sua raccolta di immagini di architettura sacra – romanica e gotica soprattutto – e poi il fascino per quella precolombiana, repertoriata in una lunga serie di scatti fotografici eseguiti dopo un soggiorno in Messico. Albers, scrivendo all’amico Kandinskij, esalta il fascino di questi luoghi, sottolineando come le antiche popolazioni mesoamericane avessero raggiunto già la sintesi della spiritualità nelle forme del visibile e, di più, il senso dell’arte astratta fosse in loro già presente. Lo spirituale per Albers si riesce a rintracciare dentro ogni epoca, dentro ogni luogo e là dove viene scoperto egli si sforza di osservarlo, di rintracciarlo, di assimilarlo. In ogni modo lo
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Josef Albers: sublime optics a cura di Nick Murphy su un progetto di Nicholas Fox Weber in collaborazione con la Josef & Anni Albers Foundation con il patrocinio di Regione Lombardia, Provincia di Milano e Comune di Milano 26 settembre 2013 – 6 gennaio 2014 Fondazione Stelline Corso Magenta 61, Milano Orari: martedì-domenica 10.00-20.00 Ingresso: intero Euro 8,00, ridotto Euro 6,00, studenti Euro 3,00 Info: +39 02 45462411 www.stelline.it
Josef Albers, Homage to the Square, 1976 © 2013 The Josef and Anni Albers Foundation / Artists Rights Society New York In alto: Josef Albers, Variant / Adobe, Pink Orange Surrounded by 4 Grays, 1947-1952, olio su masonite, 38.1x68.6 cm © 2013 The Josef and Anni Albers Foundation / Artists Rights Society New York
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I marmi di Rodin conquistano Milano MILANO | Palazzo Reale – Sala delle Cariatidi | 17 ottobre 2013 – 26 gennaio 2014 di IGOR ZANTI Auguste Rodin è sbarcato, con il suo pesante carico di oltre sessanta opere in marmo, nella suggestiva cornice della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano. La mostra milanese, intitolata Rodin: il marmo, la vita, segue, a due anni di distanza, l’esposizione di Palazzo Leone da Perego di Legnano, dedicata agli anni giovanili ed alla formazione dell’artista, e condivide con questa la firma curatoriale di Aline Magnien, conservatore capo del museo Rodin di Parigi e del talentuoso Flavio Arensi che, anche in questa occasione, si dimostra studioso attento e raffinato.
stino che, negli intenti, dovrebbe ricreare la dimensione “del fare” dello studio dell’artista francese, risultando però un po’ troppo rigido e seriale, soffocato dalle quinte in tessuto che annullano il rapporto con l’ evocativo ambiente della Sala delle Cariatidi.
Palazzo Reale – Sala delle Cariatidi
Rodin: il marmo, la vita a cura di Aline Magnien in collaborazione con Flavio Arensi
Info: tel. 199 15 11 14 – prenotazioni servizi@civita.it www.mostrarodin.it
Orari: lunedì dalle 14.30 alle 19.30 martedì, mercoledì, venerdì, domenica dalle 9.30 alle 19.30 giovedì e sabato dalle 9.30 alle 22.30
17 ottobre 2013 – 26 gennaio 2014
Le oltre sessanta opere in mostra indagano il rapporto dell’artista francese con il marmo. Se nella prima sezione si evidenziano aspetti di una ricerca dedicata alla sensualità che culminano nel celeberrimo Bacio, proseguendo, anche da un punto di vista squisitamente cronologico, si nota come l’interesse di Rodin nella sua maturità si sposti verso un’indagine più precisa della materia, recuperando, in un’accezione contemporanea, la poetica michelangiolesca del non finito. E proprio il Buonarroti diviene l’ideale fil rouge che mette in relazione questa esposizione con il territorio milanese. È palese, infatti, lo stretto rapporto che intercorre tra le opere della maturità di Rodin e la ricerca che sottende alla Pietà Rondanini custodita nelle collezioni del Castello Sforzesco, come risulta un evidente omaggio al genio del rinascimento italiano il busto dell’Uomo con il naso rotto, ispirato al ritratto di Michelangelo eseguito dal Braghettone, la cui versione in bronzo, custodita sempre al museo del Castello, è stata modellata sulla base della maschera funeraria del Buonarroti. Questa esposizione ha permesso, inoltre, ai curatori di indagare il rapporto di Rodin con i suoi collaboratori nella fase più matura della sua carriera artistica. In questo senso l’artista francese può essere inteso come un vero e proprio anticipatore della pratica contemporanea, delegando agli aiutanti l’esecuzione finale dell’opera ma, al tempo stesso, sovraintendendo in maniera totale all’ideazione a livello concettuale e poetico. Unico neo della mostra è rappresentato dal progetto d’allestimento curato da Didier Fau-
Auguste Rodin, La Mano di Dio, 1896, © Musée Rodin, Parigi. Foto di Christian Baraja 39
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Tutti i temi del Simbolismo. A Lugano in due Musei LUGANO (SVIZZERA) | Museo Cantonale d’Arte e Museo d’Arte Lugano | 15 settembre 2013 – 12 gennaio 2014 di MATTEO GALBIATI Del Simbolismo, presentato in questa mostra ricca e corposa, suddivisa nelle due sedi del Museo d’Arte Lugano e del Museo Cantonale d’Arte, si presenta al pubblico un’analisi attenta e precisa che – se da un lato si concentra soprattutto sugli artisti svizzeri dall’altro non omette nemmeno gli importanti riferimenti all’ambiente internazionale con i suoi protagonisti più illustri – inquadra questo movimento come una stagione intellettuale e culturale profondamente legata, se non anticipatrice, della complessa stagione del Novecento avanguardista. Questa la riflessione che si pone come obiettivo la mostra: far comprendere come questi artisti abbiano saputo cogliere, in anticipo sui tempi, precisi spunti e tematiche che sarebbero poi deflagrate nel pieno del secolo breve. Le 21 sezioni, suddivise nei due musei luganesi, riescono a catalizzare l’attenzione del visitatore accompagnandolo in un’esplorazione puntuale di temi e soggetti che, con linguaggi differenti, sono stati il mezzo degli artisti per affrontare le tensioni e i mutamenti di una società e di un momento storico cruciale, evidenziando paure, ansie, angosce e sentimenti di un’epoca intera. Sono oltre duecento le opere esposte, che comprendono dipinti, fotografie, sculture, disegni, incisioni e manifesti e coprono un arco temporale tra la fine dell’Ottocento e i primissimi anni del Novecento: una richezza di perso-
nalità e poetiche artistiche sapientemente orchestrate da un’attenta regia che ha prodotto un’esposizione da raffinati specialisti per la tensione intellettuale con cui è stata composta. Non poteva essere diversamente visto che la curatrice della mostra, la storica dell’arte e ricercatrice Valentina Anker, è tra i massimi esperti e studiosi mondiali proprio del Simbolismo, e nello specifico quello degli autori svizzeri, suo il testo di riferimento, edito nel 2009, Le Symbolisme suisse. Destins croisés avec l’art européen. Anker, in collaborazione con il Kunstmuseum di Berna che conserva la maggiore collezione di opere simboliste di Ferdinand Hodler, ha realizzato una mostra significativa e importante: da studiosa e critica non si è limitata a evidenziare la peculiarità dei contenuti di questo movimento di pensiero e a legare gli artisti svizzeri al contesto europeo, ma ha voluto proprio restituire la pienezza di una stagione che ha avuto una caratterizzazione e un impatto internazionale. Nei temi individuati lo sguardo corre meravigliato sui miti e i misteri di dipinti straordinari che, proprio in questa occasione, lasciano vivere un dialogo tra autori diversi che riportano all’attenzione una “corrente” che – come ha avuto modo di dire la stessa curatrice – per la sua complessità è stata lungamente trascurata con progetti espositivi specifici. Le opere di Arnold Böcklin, Ferdinand Hodler,
Giovanni Segantini, Franz von Stuck, Augusto Giacometti e di molti altri ancora, provenienti da musei svizzeri, collezioni pubbliche e private con ricchi prestiti europei, accolgono lo sguardo meravigliato del visitatore e lo accompagnano in un suggestivo viaggio di ri-scoperta dell’immaginazione che, passando tra i temi come il sogno, l’inconscio, la donna, la natura, la morte e l’oscurita, dà il senso dell’attualità di una storia ancora tutta da ritrovare. Forza del Simbolismo e del potere di rinnovamento che ha avuto, rinnovamento che è un’esigenza di cui oggi abbiamo tanto bisogno. Forse per questo lo ritroviamo come uno stimolo attivo e vitale, a noi ancora tanto prossimo. Come spesso accade per le proposte dal polo museale luganese, una mostra assolutamente da vedere. Miti e misteri. Il Simbolismo e gli artisti svizzeri a cura di Valentina Anker 15 settembre 2013 – 12 gennaio 2014 Museo Cantonale d’Arte Via Canova 10, Lugano (Svizzera) Orari: martedì 14.00-18.00; mercoledì-domenica 10.00-18.00 Museo d’Arte Lugano Riva Caccia 5, Lugano (Svizzera) Orari: martedì-domenica 10.00-18.00; venerdì 10.00-21.00 Ingresso un museo intero 12,00 Franchi, ridotto 8,00 Franchi; due musei intero 16,00 Franchi, ridotto 12,00 Franchi; gratuito under 16 e prima domenica del mese Info: +41 (0)58 8667214 www.mitiemisteri.ch www.mda.lugano.ch www.decs-mca.ch
Arnold Böcklin, Rovine sul lungomare / Ruinen am Meer, 1880, olio su tela, cm 100x141, Aargauer Kunsthaus Depositio della Fondazione Gottfried Keller, Aarau Cat. 6 40
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La pienezza del vuoto: antologica di Tino Stefanoni al Credito Valtellinese a Milano
Intervista a Tino Stefanoni sul #83 di Espoarte
MILANO | Galleria Gruppo Credito Valtellinese | 20 novembre 2013 – 11 gennaio 2014 di KEVIN McMANUS Ci sono artisti che ad un’occhiata superficiale sembrano costeggiare le vicende della cultura visiva contemporanea, toccandole solo di striscio, e che invece – se ci si ferma ad osservare il loro lavoro con quella calma intellettuale che oggi va così poco di moda – rivelano un’attenzione, una presenza sorprendente. Il merito principale della mostra in corso alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese, forse, è quello di dimostrare come Tino Stefanoni (1937) sia uno di questi artisti. Una presenza silenziosa, la sua, ma di un silenzio assordante, che riempie la più piccola delle stanze come la più vasta delle Kunsthalle; è solo uno dei tanti piccoli paradossi che caratterizzano questo lavoro, e che confluiscono nell’azzeccatissimo titolo dell’antologica, L’enigma dell’ovvio. Sono decisamente ovvi questi oggetti, così paradigmatici, svuotati di specificità; ma proprio da questa ovvietà, inserita nello spazio della contemplazione, scaturisce la loro carica enigmatica. La ricerca di Stefanoni sull’oggetto inizia in anni propizi e ricchi di esperienze analoghe, gli anni della Pop Art e della Nuova Figurazione da una parte, delle prime istanze concettualiste dall’altra: stimoli dai quali Stefanoni si mantiene rispettosamente equidistante, e non per una presunta ingenuità, né tantomeno per la trita retorica dell’artista “non-etichettabile”, che forse ha finitocol creare essa stessa un’etichetta, per di più generica. In Stefanoni, semplicemente, c’è un’attenzione particolare verso l’oggetto, che va rintracciata più indietro, e precisamente in quella sensibilità metafisica che nasce dall’amore per Beato Angelico, e solo in seconda battuta per le atmosfere di Carrà. L’oggetto è sì freddo, industriale, seriale (anche letteralmente, in molti casi) nell’aspetto, ma gode di un respiro, di uno spazio di contemplazione che non è lo spazio normalmente destinatogli nella quotidianità: c’è un dialogo tra la poesia che scaturisce dall’oggetto e la letteralità degli elementi formali che lo costituiscono – linee, colori, rapporti reciproci, tutti elementi dichiarati ad alta voce, mostrati nella loro più clamorosa evidenza. Un’arte, insomma, che per dirla parafrasando Susan Sontag, va fruita attraverso un’«erotica» dello sguardo, e non certo attraverso un’«ermeneutica». Una volta tanto l’allestimento, al quale Stefanoni stesso ha contribuito in primissima persona, è veramente parte attiva e “poetica” del progetto di mostra. La soluzione scelta privilegia innanzitutto il vuoto rispetto al pieno: i lavori dialogano, da parete a parete, con i rispettivi pannelli esplicativi – o
meglio, “suggestivi” – in una scansione spaziale che valorizza il ritmo, le pause, la meditazione piuttosto che il consueto “bombardamento” di immagini tipico di molte retrospettive. I pannelli si riferiscono ad insiemi di lavori, a ciascuno dei nove linguaggi in cui l’artista ha suddiviso la sua produzione ad oggi, dalle “bolle“ dei Riflessi (1965-65) fino alle contemporanee ricerche attuali delle Sinopie e dei Senza titolo pittorici e scultorei, realizzati a partire dagli anni Ottanta. Una successione di “atmosfere” in cui le opere, anziché essere feticizzate nella propria individualità, mostrano le direzioni di un cammino artistico che ha ancora molto da dire. Tino Stefanoni. L’enigma dell’ovvio a cura di Valerio Dehò
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20 novembre 2013 – 11 gennaio 2014 Galleria Gruppo Credito Valtellinese Corso Magenta 59, Milano Orari: da lunedì a venerdì 13.00-19.30; sabato 9.00-12.00 ingresso libero Info: +39 02 48008015 galleriearte@creval.it www.creval.it
Tino Stefanoni. L’enigma dell’ovvio, veduta della mostra, Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Milano
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Aldo Mondino: a Milano il viaggio continua… MILANO | Galleria Giovanni Bonelli e Giuseppe Pero | 22 novembre 2013 – 1 febbraio 2014 di IGOR ZANTI Avevamo lasciato Aldo Mondino, quest’estate, al centro di una serie di mostre tra Venezia e Milano, constatando come questo fosse l’anno che più l’ha celebrato dalla sua scomparsa avvenuta nel 2005. A ribadire questa sensazione di grande interesse per quello che può essere definito uno dei grandi maestri dell’arte italiana, contribuisce il particolare progetto espositivo, intitolato Milano, Venezia, Calcutta, organizzato dalle gallerie milanesi Giovanni Bonelli e Giuseppe Pero. Il caso, favorito dalla vicinanza fisica degli spazi espostivi, che si collocano uno di fronte all’altro nel quartiere Isola, uno dei luoghi emergenti per l’arte contemporanea milanese, ha permesso ai due giovani galleristi di creare una mostra antologica che ripercorre varie tappe del lavoro di Aldo Mondino in momenti diversi della sua carriera. Il tema del viaggio, del fondersi di culture differenti, tema che è in un certo senso filo conduttore della produzione di Mondino, trova anche in questo percorso espositivo occasione per esprimersi, ed i galleristi sembrano invitarci in un tour spazio temporale che tocca tempi e luoghi lontani tra loro. Si parte da Venezia, dalla celeberrima sala che ospitò l’intervento di Aldo Mondino alla Biennale di Venezia del 1993, riproposta fedelmente negli spazi della Galleria Giuseppe Pero, dove inizia a delinearsi, attraverso l’iconica presenza dei dervisci e le influenze della tradizione artigianale, l’interesse di Mondino per la Turchia ed il Medioriente. A corollario di questo intervento si pongono altri lavori tipici della produzione di Mondino come Eiffel e Scultura un corno, che palesano l’approccio ironico che sottende molta produzione dell’artista piemontese. Il viaggio prosegue attraversando la strada e, con pochi passi, nelle spaziose sale della Galleria Giovanni Bonelli, una corposa selezione di opere, di video, e di materiale editoriale, permette di scoprire e comprendere la passione e l’interesse di Mondino per il subcontinente indiano, per i suoi colori, le sue suggestioni estetiche, e per l’influenza che questo luogo ebbe sul suo percorso spirituale. Ma come Mondino non amava stare mai fermo, instancabile viaggiatore nel fisico e nell’anima, anche questa particolare mostra presenta degli aspetti di dinamicità, quasi il visitatore debba compiere, a sua volta, un viaggio di conoscenza e di comprensione, che si dovrebbe concludere il 1 febbraio 2014 con il finissage e la presenta-
zione del catalogo a firma di Marco Meneguzzo, curatore del progetto espositivo. Una parabola, una ulteriore occasione di approfondimento, che va a chiudere l’anno di Aldo Mondino. Aldo Mondino. Milano, Venezia, Calcutta a cura di Marco Meneguzzo 22 novembre 2013 – 1 febbraio 2014 Finissage e presentazione catalogo sabato 1 febbraio 2014 ore 18.30
Galleria Giovanni Bonelli Via Luigi Porro Lambertenghi 6, Milano +39 02 87246945 info@galleriagiovannibonelli.it www.galleriagiovannibonelli.it Galleria Giuseppe Pero Via Luigi Porro Lambertenghi 3, Milano +39 02 66823916 info@giuseppepero.it www.giuseppepero.it
Veduta allestimento “Aldo Mondino. Milano, Venezia, Calcutta”, Galleria Giovanni Bonelli, Milano. Foto: Laura Fantacuzzi
Veduta allestimento “Aldo Mondino. Milano, Venezia, Calcutta”, Galleria Giuseppe Pero, Milano 43
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Il volto del ‘900 “vis-à-vis”. Dal Pompidou a Palazzo Reale (MI) MILANO | Palazzo Reale | 25 settembre 2013 – 9 febbraio 2014 di MATTEO GALBIATI Qualcuno potrebbe pensare che, con l’avvento della fotografia alla metà dell’800 – e con il suo rapido perfezionamento, affermazione e diffusione – nelle arti visive il genere del ritratto fosse destinato ad un definitivo e repentino oblio. Lo scatto fotografico, replica esatta ed immediata del vero e della realtà, ha in effetti reso più accessibile e “popolare” questa nuova forma di ritrattistica, ma ciò non ha impedito agli artisti di rinunciare ad un genere che, nella rappresentazione della figura umana, affonda le proprie radici nella notte dei tempi dell’arte. La raffigurazione di sé – come autoritratto – o dell’altro – nel ritratto – fa parte di un repertorio fondamentale nella storia artistica e, anzi, proprio dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento, liberatosi da vincoli formali di genere, si apre ad una libera espressione e interpretazione da parte degli artisti. Questa mostra guida lo sguardo del visitatore proprio alla scoperta (o riscoperta) di un “tema” artistico mostrandone la diversa declinazione in un secolo costellato di ricerche, tendenze, correnti che hanno prodotto una proliferazione di soluzioni che, uscendo da ogni formalismo precostituito, hanno spinto verso un’evoluzione dei significati della rappresentazione della figura umana. Le opere esposte provengono dalla collezione del Centre Pompidou, che vanta un repertorio davvero ricco di capolavori, di cui si è fatta un’attenta selezione tesa ad evidenziare, per exempla, le soluzioni più originali e creative le cui forme e soggetti, complessi e, al contem-
René Magritte, Lo stupro, 1945, olio su tela, 65.3x50.4 cm (AM 1987-1097) © Centre Pompidou, MNAM-CCI / Christian Bahier et Philippe Migeat / Dist. RMN-GP
Henri Matisse, Odalisca con i pantaloni rossi, particolare, 1921, olio su tela, 65x90 cm (LUX.0.85 P) © Centre Pompidou, MNAM-CCI / Philippe Migeat / Dist. RMN-GP
po, più liberi, sono indicazioni storicamente e artisticamente importanti di quel soggettivismo nell’approccio al ritratto che ha contraddistinto il secolo scorso. In rassegna sono raccolti, accanto a nomi che costituiscono una scoperta, i maggiori autori del Novecento provenienti dal museo parigino, i quali sono tutti insieme testimonianza evidente di come la figurazione dell’immagine della propria immagine resti attiva e presente, certo non senza risentire dei paralleli accadimenti storici e artistici: dall’affermazione della psicoanalisi, alla negazione dell’individuo dei regimi totalitaristici, dalla fine dell’ideale collettivo alla perdita dei volti con l’astrazione. Una scelta importante, che avvantaggia la comprensione del percorso narrativo e i contenuti della ricerca espositiva, è certamente quella di non aver assecondato la logica scontata di distribuire le opere secondo una scansione cronologica: la scelta curatoriale ha, invece, privilegiato la suddivisione per aree tematiche che consente di legare, per affinità, sensibilità e condivisioni, contenuti e aspetti interpretativi analoghi. Entro ogni sezione ritroviamo quella comune temperatura che codifica legami e intrecci tra personalità artisticamente lontane e diverse. Gli oltre ottanta straordinari capolavori raccolgono, in questo modo, quelle idee che esemplificano una strategia narrativa del taglio curatoriale che lascia percepire, dalla prima all’ultima sala, come, nell’arte “moderna” la volontà condivisa degli artisti sia riuscita, nel ritratto, ad andare ben oltre la riproduzione schietta e semplice del
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modello umano che avevano davanti a sé. Chi si aspetta di ammirare una carrellata di dipinti rimarrà sorpreso nel ritrovare nell’allestimento anche molta scultura, rappresentata con pezzi davvero di grande bellezza e fascino. Una raccolta intensa di opere che diventano quasi epicentro emotivo dell’intera mostra, rendendo emotivamente presente la tensione vibrante delle “varie facce” del ‘900. Il volto del ’900. Da Matisse a Bacon. Capolavori dal Centre Pompidou a cura di Jean-Michel Bouhours promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, Mondo Mostre e Skira Editore in collaborazione con Musée National d’Art Moderne – Centre Pompidou 25 settembre 2013 – 9 febbraio 2014 Palazzo Reale piazza Duomo 12, Milano Orari: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30 Ingresso: intero Euro 11,00; ridotto, gruppi, Euro 9,50; scuole Euro 5,50; famiglia (adulto+ragazzo inferiore a 14 anni) Euro 15,00 Info: +39 02 92800375 www.ilvoltodel900.it www.comune.milano.it/palazzoreale
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Gli “Irascibili” a Palazzo Reale: l’autunno americano di Milano MILANO | Palazzo Reale | 24 settembre 2013 – 16 febbraio 2014 di MATTEO GALBIATI indicazione e le spiegazioni su opere e periodi storici agli interventi diretti del curatore. Un linguaggio preciso ed essenziale che arriva chiaro ed esaustivo a tutti. Audioguida compresa nel prezzo del biglietto. Pollock e gli irascibili. La scuola di New York a cura di Carter E. Foster e Luca Beatrice prodotta da Artehemisia Group e da 24Ore Cultura – Gruppo24Ore promossa da Assessorato alla Cultura del Comune di Milano 24 settembre 2013 – 16 febbraio 2014 Il 20 maggio del 1950 un gruppo di artisti, prevalentemente facenti parte dell’Espressionismo Astratto americano, scrissero una lettera di risentita protesta, pubblicata sul New York Times, con cui espressero tutto il loro ribelle disappunto per l’ingiusta esclusione delle loro opere da una grande mostra che il Metropolitan Museum dedicava all’arte americana. I destinatari erano Francis Henry Taylor, direttore del Metropolitan e Robert Beverly Hale, conservatore aggiunto per l’arte americana dello stesso museo. Tra i firmatari di quello storico documento – tutti immortalati in una celebre fotografia di Nina Leen – troviamo quelli più conosciuti di Jackson Pollock, Willem de Kooning, Mark Rothko, Robert Motherwell e Barnett Newman. Un atto che passò alla storia e che li rese famosi, secondo l’etichetta con cui li definì l’Herald Tribune, come il “gruppo degli Irascibili”. A Milano ritroviamo il percorso di questa fondamentale fase della storia dell’arte recente – non solo americana ma internazionale, che contribuì a spostare l’epicentro del fermento artistico dall’Europa, con Parigi in testa come capitale di riferimento, agli Stati Uniti e a New York quale nuova Mecca della contemporaneità – riassunto in 49 capolavori che tracciano un percorso che muove dagli anni ’30 agli anni ’60 del Novecento. La mostra è esito di quella collaborazione che Palazzo Reale ha avviato con i maggiori musei internazionali che, con i loro prestiti d’eccezione, contribuiscono a seguire e tracciare percorsi di analisi di temi legati alla storia dell’arte: protagonista in questo caso è il Whitney Museum di New York, istituzione che fin dall’inizio ha sostenuto e promosso proprio le ricerche degli “Irascibili”. Se il visitatore poco attento – che non bada ai
sottotitoli delle mostre! – si aspetta la grande mostra monografica dedicata alla “mitica” figura di Pollock compie un errore clamoroso e resterà, forse, deluso: il senso di questa esposizione è proprio quello di inquadrare un frammento della storia del recente passato, da cui si sono originate quelle rivoluzioni, soprattutto nel segno della libertà di pensiero e azione dell’individuo, che hanno radicalmente mutato gli orientamenti e i linguaggi dell’arte del secondo Dopoguerra, partendo da un’attenta selezione dei capolavori delle collezioni del Whitney. Un’analisi quindi specifica e indirizzata su un nucleo preciso di opere. Non una personale e non solo i capolavori del maestro del dripping. Attraverso le opere esposte si potranno leggere con attenzione tutte le tensioni e i differenti esiti che si sono verificati in quella stagione, dal gesto liberatorio e istintivo di Jackson Pollock fino ad arrivare alla suggestiva poesia cromatica, lirica e animosa di sentimento, di Mark Rothko. Protagonista il colore che emerge dalla semi oscurità di un allestimento sobrio e senza vezzi che ne enfatizza la potente individualità: le cromie si susseguono e ritrovano la vitalità di un reciproco confronto nelle espressioni dei loro protagonisti. Questa mostra – celebrazione di avvio dell’Autunno Americano a Milano – mantiene, intensa e concentrata, uno sguardo preciso, compiendo un itinerario che si compone spesso di piacevoli scoperte e visioni inedite o, quanto meno, non manualistiche. Agevolano il percorso del pubblico una serie di filmati e documenti video che aiutano a penetrare con maggior senso le idee e i contenuti delle ricerche di questi artisti. Non da ultimo ci sentiamo di segnalare l’ottimo lavoro eseguito con le pratiche audioguide, i cui contenuti alternano le
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Palazzo Reale Piazza Duomo 12, Milano Orari: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30 Ingresso: Intero Euro 11,00; ridotto Euro 9,50; ridotto speciale Euro 5,50; gruppi di almeno 15 persone Euro 9,50 e gruppi Touring Club e FAI Euro 5,50; scuole Euro 5,50 Info: +39 02 92800375 www.mostrapollock.it www.comune.milano.it/palazzoreale
Willem de Kooning, Door to the River, 1960, olio su tela, 203.5x178.1 cm, Whitney Museum of American Art, New York; purchase, with funds from the Friends of the Whitney Museum of American Art 60.63 © 2013 The Willem de Kooning Foundation / Artists Rights Society (ARS), New York Foto di Sheldan C. Collins In alto: Jackson Pollock, Number 27, 1950, olio, smalto e pittura di alluminio su tela, 124.6x269.4 cm, Whitney Museum of American Art, New York © 2013 The Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society (ARS), New York Foto di Sheldan C. Collins
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La “magia” di una collezione: al MAMbo la raccolta di UniCredit BOLOGNA | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | 20 ottobre 2013 – 16 febbraio 2014 di MASSIMO MARCHETTI La mostra di opere della Collezione UniCredit in corso al MAMbo di Bologna, La Grande Magia, è un’occasione offerta al pubblico di verificare la qualità degli investimenti di questo gruppo bancario. Questo tipo di attività degli istituti di credito, pur essendo piuttosto comune, in Italia diventa particolarmente benemerito dal punto di vista culturale data la bassa tensione che corre nel collezionismo d’arte contemporanea. Negli ultimi anni i musei hanno finalmente iniziato a mostrare alcuni patrimoni significativi sostanzialmente nascosti alla vista del pubblico, come quelli dei Righi, dei Fasol, degli Esposito. Qualche altro grosso collezionista poi ha aperto la propria fondazione ma si tratta ancora di eccezioni, perché fino a ieri i nostri grandi gruppi industriali non hanno mostrato particolare interesse verso gli artisti del presente. Si deve considerare che un investimento in questo ambito non è solo un beneficio per l’artista e la sua galleria, ma può assumere l’importanza di un vero finanziamento alla ricerca culturale qualora si sostengano anche percorsi poco canonici, come ha dimostrato la storia dell’arte concettuale e della Land Art negli Stati Uniti. Il guaio è che alla fine l’elite economica del nostro paese quando – e se – si occupa di cultura è decisamente conservatrice e pavida: meglio affidarsi ai valori collaudati dalla storia. Meritoriamente UniCredit dedica i propri fondi anche agli artisti delle ultime generazioni, come è noto a chi frequenta il museo bolognese dove è ospitata e periodicamente aggiornata una sezione dedicata alle sue acquisizioni di arte italiana, Focus on Contemporary Italian Art. Come
dichiarato dal titolo, il tema unificante di questa nutrita scelta, curata da Walter Guadagnini e dal direttore del MAMbo Gianfranco Maraniello, è dato dagli aspetti variamente declinati della magia nell’arte. Nelle dieci sezioni, introdotte dall’insolito preambolo della prima sala dedicata a quattro dipinti datati tra il Cinque e Settecento (tra cui una splendida Psiche di Dosso Dossi) che ci iniziano alla materia, si susseguono opere di artisti ormai storici come Gerhard Richter e Giulio Paolini, mostri sacri del Novecento come Schwitters e Balla, giovani affermati come Matthias Weischer e Markus Schinwald, e alcuni nomi poco noti (da noi) che offrono interessanti suggestioni. Se il cuore della selezione è geograficamente centro-europeo, la mostra è arricchita anche da due presenze bolognesi come sono quelle di Luca Caccioni e Marco Di Giovanni. Il display dell’allestimento tende a sollecitare i sensi, suggerendo l’interno di una macchinalaboratorio in movimento, grazie ai lavori dinamici di Jeppe Hein e Gilberto Zorio, al cui centro campeggia la triplice proiezione di frammenti dai fratelli Lumiére, da Méliés e da Cocteau offerti dalla Cineteca di Bologna, emblemi di un cinema dello stupore. Se è un’occasione sempre da cogliere quella di vedere dal vivo opere di autori che troviamo nei manuali di storia dell’arte, come una piccola macchina di Jean Tinguely, i lavori fotoconcettuali di Goran Trbuljak, Vladimir Kupriyanov e Barbara Probst sono incontri particolarmente interessanti proprio perché poco conosciuti. Altro momento da suggerire è quello per il video Telephones di Christian Marclay, dove sono condensate e montate secondo una
logica narrativa una serie di azioni legate all’atto del telefonare prelevate da film hollywoodiani, un lavoro che si rivela come prova generale di quel capolavoro che sarà The Clock, premiato alla scorsa Biennale di Venezia. Un’intera sala, quella dall’atmosfera forse più autenticamente magica, “negromantica” secondo il suo titolo, è infine dedicata alla fotografia storica, con pezzi tra gli altri di Julia Margaret Cameron, Florence Henri, Herbert Bayer, immagini al limite dell’evanescenza di mondi ormai lontanissimi. Quei mondi che l’arte, tuttavia, è sempre in grado di resuscitare con l’incantesimo delle forme. La Grande Magia. Opere scelte dalla Collezione UniCredit a cura di Gianfranco Maraniello e Walter Guadagnini in collaborazione con Bärbel Kopplin testi critici di Gianfranco Maraniello, Walter Guadagnini, Bärbel Kopplin, Federico Barbierato, Marco Pasi e Antonio Somaini 20 ottobre 2013 – 16 febbraio 2014 MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna via Don Minzoni 14, Bologna Orario: martedì, mercoledì e venerdì 12.00-18.00; giovedì, sabato, domenica e festivi 12.00-20.00 Ingresso - mostre temporanee e collezione permanente: intero Euro 6,00; ridotto Euro 4,00 Info: +39 051 6496611 info@mambo-bologna.org www.mambo-bologna.org www.unicreditgroup.eu
La Grande Magia. Opere Scelte dalla Collezione UniCredit, vedute della mostra. Foto: Matteo Monti 46
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Il Warhol che (non) ti aspetti! è a Milano, a Palazzo Reale MILANO | Palazzo Reale | 24 ottobre 2013 – 9 marzo 2014 di MATTEO GALBIATI In molti penseranno: Andy Warhol a Milano… Ancora?! Se il legame tra il grande artista americano, padre della Pop Art, e la città meneghina è certamente consolidato da una storia particolare, questa mostra – la prima che lo vede protagonista a Palazzo Reale – riesce a conservare qualcosa di speciale ed inedito. Aspettarsi di incontrare opere completamente sconosciute, di un maestro che ha fatto della serialità e della ripetizione l’epicentro del suo lavoro, sarebbe pretenzioso. Un’aspettativa che si scontra con la matrice stessa del pensiero e dell’atteggiamento artistico di Warhol. Qui c’è qualcosa di più che è dato dalla provenienza di questi lavori. Gli oltre 160 capolavori esposti – in un allestimento gradevole, preciso e puntuale – appartengono alla collezione della Brant Foundation, istituzione voluta da Peter Brant – che è anche il curatore della mostra – il quale con Warhol ha condiviso una lunghissima amicizia, che li ha potati a condividere gli anni più intensi e vivaci dell’America degli anni Sessanta e Settanta. Quindi ancora Warhol, ma un altro Warhol! Un Warhol che viene letto dagli occhi di una persona che allo stesso tempo è stato suo amico, suo sostenitore, suo collezionista. Un personaggio coinvolto a 360° nella conoscenza di “prima mano” dell’artista americano. Attraverso una ricca presenza di capolavori, che testimoniano la sua ricerca dai primi anni creativi agli ultimi (con alcune opere appartenenti alla serie dell’Ultima Cena che furono presentate a Milano nel 1987, la sua ultima mostra prima del-
la sua scomparsa), questa esposizione permette di approfondire ulteriormente la conoscenza del Warhol artista, e la sua immagine pubblica di star dell’arte contemporanea, ma anche, proprio per il rapporto stretto con Peter Brant, il suo profilo più intimo e privato di uomo e amico. Il campionario di opere selezionate copre, quindi, tutto l’arco temporale della sua appassionata, diversificata e coerente ricerca, ma qui il visitatore, che non può fare a meno di subire il fascino del mito warholiano, trova anche delle sorprese: come una seria di Polaroid con i ritratti di vari personaggi famosi o meno, esposta in Europa per la prima volta proprio in questa occasione; oppure le Shoes degli anni ’50 produzione meno conosciuta al grande pubblico; o le Silver Coke Bottles in cui mostra un interesse per la scultura; e anche moltisimi disegni e una grande e affascinante Oxidation Painting del 1978. Un tessuto variegato di soggetti diversi che, tra miti dello spettacolo e della politica, prodotti di consumo, icone dell’arte e della cultura, nelle sue opere, vengono “democraticamente” trattati tutti allo stesso modo. Pubblicitario, istrione della comunicazione contemporanea, precursore di mode e tendenze, scopritore di talenti e innovatore, spesso trasgressivo, del linguaggio dell’arte e del costume contemporanei, Worhol torna – ancora – a Milano e ventisei anni dopo la sua scomparsa, nonostante la società attuale abbia subito profondi cambiamenti, il valore delle sue opere e del suo insegnamento e messaggio restano sempre
attualissimi. Un mito che non si spegne mai e che anzi, nella visione data da Brant, si offre nella complessità più articolata del suo carattere. Pregevole il catalogo che, secondo le impostazioni di 24 Ore Cultura, ha soluzioni e veste grafica specifiche, realizzate per questa occasione e non ricalca un format precostituito. Segnaliamo anche le audioguide che – fornite gratuitamente – rendono piacevole la visita accompagnando lo spettatore con un’alternanza di voci: oltre a quella che introduce le sezioni e le opere, si possono ascoltare anche i commenti del cocuratore Francesco Bonami e le battute di un narratore che interpreta in prima persona i pensieri di Warhol. Evento centrale dell’Autunno Americano a Milano, questa mostra ha riacceso la warholmania. E le code fuori da Palazzo Reale si allungano. Warhol a cura di Peter Brant e con il contributo di Francesco Bonami una mostra: Comune di Milano – Cultura, Moda, Design; Palazzo Reale; 24 Ore Cultura – Gruppo 24 Ore; Arthemisia Group 24 ottobre 2013 – 9 marzo 2014 Palazzo Reale Piazza Duomo 12, Milano Orari: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30 Ingresso: Intero Euro 11,00; ridotto Euro 9,50; ridotto speciale Euro 5,50 Info: +39 02 54913 www.warholmilano.it www.comune.milano.it/palazzoreale
Andy Warhol, Silver Coke Bottles, 1967, Collezione Brant Foundation © The Brant Foundation, Greenwich (CT), USA © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2013 47
grandi mostre 2013
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Interviste > Arte
Soft pictures (for hard plots). Alla Fondazione Sandretto l’arte “ha stoffa” TORINO | Fondazione Sandretto Re Rebaudengo | 23 ottobre 2013 – 23 marzo 2014 Intervista a IRENE CALDERONI di Ginevra Bria
Merce per eccellenza, il tessuto rimanda ai concetti di ricchezza e potere tanto familiari alle logiche commerciali e di mercato e, implicitamente, alle derivazioni politiche che vi sono legate. Nell’iter di Soft Pictures, diciotto artisti si confrontano con un’attività anti-digitale, nel tentativo di ampliare i confini dell’arte contemporanea. Arazzi, tappeti, abiti, le principali forme di questo nuovo linguaggio, che alla Fondazione Sandretto si fa manifesto di una tendenza artistica in atto, l’abbandono della tecnologia in favore della riscoperta dei mezzi della tradizione. La curatrice Irene Calderoni qui ne approfondisce i temi… A tuo modo di vedere, quale approccio, quale metodologia, quale sensibilità al Contemporaneo il supporto tessile ispira? Sicuramente la Storia dell’Arte come la Storia dell’Uomo restano i punti di riferimento teorici dai quali partire per sviluppare un discorso critico nei confronti dell’immagine e della trama
che la supporta. Ritengo che l’Arte Concettuale negli Anni Sessanta-Settanta sia stato il periodo di alterazione del confine tra arti liberali e arti applicate, designando l’uso del tessuto come materiale per creare immagini artistiche, approccio oggi ripreso dagli artisti nelle sue molteplici valenze, storiche, politiche, sociali e simboliche, attraverso una ricca trama di significati di cui questa mostra rende conto. Prendendo ad esempio le sperimentazioni di Anni Albers, mi ha interessato approfondire le ricerche del laboratorio tessile della Bauhaus e gli esperimenti della Fiber Art per poi arrivare alla conclusione che oggi non esiste più una forma di delimitazione tra quella che è la rappresentazione della realtà e le metafore, le simbologie evocate dal supporto tessile. Soft pictures analizza la relazione (anche materica) tra queste due dimensioni e le rispettive caratteristiche formali poste in opposizione dialettica. Che cosa rappresenta il tessuto oggi?
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Andrea Zittel, A-Z Carpet Furniture, 2012. Soft Pictures, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Foto: Giorgio Perottino
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Pae White, Still, Untitled, 2010. Foto: Giorgio Perottino
Il tessuto diventa oggi a tutti gli effetti una trama metaforica, un metatesto, un percorso per creare connessioni e strategie, diventando traccia di migrazioni segniche che amplificano i loro significati trasponendosi da un medium all’altro. Questa traslitterazione materiale si ripete identica, ma su altra scala, quando ci si rende conto che il tessuto ha seguito le trasformazioni antropologiche dell’uomo, che è passato da una forma di vita nomadica ad una stanziale. Questa caratteristica, ad esempio, mi ricorda le forme di ombre migranti descritte da Kentridge (Sud Africa 1955. Vive a Johannesburg), contorni antichi che si stagliano su mappe geopolitiche poste ai confini del mondo, lungo le rotte mercantili dei grandi esploratori coloniali. Soft Pictures, quali reazioni – tra il pubblico, tra gli artisti e gli addetti ai lavori – ha suscitato? C’è stato un grande riscontro positivo, soprattutto da parte degli artisti che, grazie agli spazi ampli, hanno riscoperto nuove relazioni tra i diversi lavori. Credo che ad averli incuriositi sia stato l’accostamento di poetiche e iconografie, alla fine, inaspettatamente interconnesse. La seduzione della manifattura, dal vivo, sulle superfici dei lavori di Soft pictures ha degli effetti di grande fascino sul pubblico. Tanto per gli addetti ai lavori, quanto per i neofiti, il percorso regala diversi livelli di lettura permettendo di intravedere come lo statuto dell’immagine, attraverso il tessuto, mostri frizioni analogiche e fruizioni digitali, accessibilità e differenze, radici e contemporaneità.
MoMa, 1935). File distorti che l’artista olandese fa intessere nuovamente, in una seconda fase, con telaio Jacquard. Nel tessuto si intrecciano funzioni rituali e paesaggi politici della rappresentazione che rimettono in circolo tutti gli itinerari dell’immagine, attraverso forme diverse. De Rooij, ad esempio, propone in Soft pictures un suo ragionamento su quel che rimane escluso, alla periferia dell’immagine attraverso la stampa mistica e commerciale del Batik, evocato attraverso un lembo d’acqua. Quali lavori in mostra rappresentano maggiormente il percorso di Soft Pictures? Fra gli altri, sicuramente è da citare il lavoro di Pae White (USA 1963. Vive a Los Angeles) che partendo da fotografie di impalpabili volute di fumo ricrea un mosaico di immagini cucite sulla superficie di un arazzo. Il contrasto tra la rappresentazione delle cangianze fumogene e la pesantezza dei fili intrecciati è un dialogo meraviglioso, fonte di grande fascino. Che cosa non ti aspettavi, quale sorpresa ha rivelato la concertazione di tanti artisti differenti tra loro? Vedere dal vivo lavori che non si aveva avu-
Hai scoperto caratteristiche intrinseche comuni fra gli artisti che hai selezionato? Una volta installati i lavori, le corrispondenze e i dialoghi a distanza non si sono fatti attendere. Ma la coppia di lavori e di artisti che ha reciprocamente creato più riflessi è stata quella degli olandesi Willem De Rooij (Olanda 1969. Vive a Berlino) e Vincent Vulsma (Olanda 1982. Vive ad Amsterdam). Vulsma manipola al PC alcune foto di Walker Evans esposte nella prima mostra antropologica in cui manufatti tribali venivano presentati in un museo d’arte (New York,
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to modo di visionare prima è sempre fonte di emozioni. L’esperienza più forte la regala comunque e sempre l’incapacità dell’esperienza digitale di riprodurre esattamente il reale. Mai ricomponibile per intero. Dunque sia a monte dell’organizzazione di Soft pictures, che successivamente all’opening è la superficie, la consistenza e la tattilità del tessuto a rendere la percezione della materialità una magnifica sorpresa. Soft pictures a cura di Irene Calderoni 23 ottobre 2013 – 23 marzo 2014 Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Via Modane 16, Torino Info: +39 011 3797600 www.fsrr.org
Veduta della mostra Soft Pictures, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Foto: Giorgio Perottino
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“Ritratti d’autore”. Fondazione Lighea promuove un dialogo tra pazienti ed artisti MILANO | Palazzo di via santa Marta 15 (mostra) e Fondazione Stelline (asta benefica) | 5 – 9 dicembre 2013 Intervista a MARTINA ADAMUCCIO di Deianira Amico
Dal 5 al 9 dicembre presso la Fondazione Lighea di Milano sarà aperta al pubblico una mostra di opere pittoriche realizzate da pazienti con disagi psichici e artisti professionisti contemporanei in un doppio percorso che interpreta il ritratto femminile. Un progetto che nasce dalla lunga attività di terapia con i pazienti e che si concluderà il 9 dicembre con un’asta benefica a sostegno della Fondazione. Una mostra
che ha il merito di ricordare al pubblico come l’opera d’arte in quanto rappresentazione sia sempre manifestazione di un’identità psichica. Ne parliamo con la curatrice Martina Adamuccio… Come si struttura la pratica di laboratorio con i pazienti, occasione in cui sono nati i lavori in mostra?
Fondazione Lighea ha sviluppato nel corso del tempo diversi laboratori, da quello di teatro a quello di musica e arte e tanti altri. In ognuno di essi i pazienti sono liberi di esprimersi come preferiscono, naturalmente sotto la visione di operatori esperti che li seguono cercando di farli esprimere nel migliore dei modi. È la prima esposizione alla Fondazione Lighea? Fondazione Lighea sviluppa un impegno costante in difesa dei diritti sociali e della cura dei malati psichici realizzando diverse iniziative. Ritratti d’autore è però la prima esposizione d’arte che ha preso forma all’interno della Fondazione, e lo fa all’interno di uno dei futuri alloggi predisposti per i pazienti e per il loro reinserimento all’interno della società. Come hanno reagito i pazienti all’idea di un’esposizione dei loro lavori? I pazienti non sono stati immediatamente informati dell’esposizione del loro lavoro. Si è cercato di non creare ansie o pressioni psicologiche su di loro, dandogli invece, sotto forma di semplice esercizio, il compito di realizzare un ritratto femminile. Una volta messi al corrente non si è nascosto un profondo entusiasmo generale. Come nasce il dialogo tra gli artisti ed i pazienti in mostra? Gli artisti si sono offerti come “maestri” durante i laboratori o hanno aderito successivamente all’iniziativa? Artisti e pazienti sono legati da un solo filo conduttore: l’uso della pittura come forma di ricerca, rinascita e conoscenza, non solo di se stessi ma di tutto il mondo. Gli artisti sono stati chiamati a rispondere successivamente a questa chiamata che veniva da chi non aveva voce, o quantomeno, non ne aveva abbastanza da andare oltre ciò che è la barriera che noi stessi creiamo intorno a noi ogni giorno. Sono rimasta profondamente colpita dalla sensibilità mostrata da questi artisti nonostante il contesto storico in cui viviamo. Non dimentichiamo che molti artisti, giovani e non, vivono di questa grande passione che è
Santiago Ydanez, Senza titolo, 2009, acrilico su tela, cm 100x80 52
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l’arte e “togliere” una possibile fonte di guadagno non è sempre facile. Nonostante ciò, tutti hanno risposto con estrema sensibilità.
RITRATTI D’AUTORE a cura di Martina Adamuccio e Fondazione Lighea Onlus
Il tema della mostra è il ritratto femminile. Perché questa scelta? Fin dall’inizio del progetto prendeva vita nella mia mente l’idea di trovare un modo per non realizzare la “classica” iniziativa a scopo benefico, ma volevo dare al progetto un valore in più. Questo valore è dato dal costringere l’artista che “dona” il proprio lavoro per un’iniziativa simile, ad entrare nell’ottica del progetto stesso. Dare un tema unico a tutti ha permesso di coinvolgere ancora di più ogni singolo artista che si è trovato non più solo a donare un proprio lavoro ma a ricercare o realizzare qualcosa di specifico per il progetto, impegnandosi ancor di più a comprendere il valore del tema e la profondità del progetto stesso. L’idea iniziale del progetto era il ritratto di madre, che caricandosi di troppi profondi significati ci ha portati a cambiare direzione. Da qui, l’idea del Presidente della Fondazione, Giampietro Savuto, di elaborare il ritratto femminile in generale. Ecco perché il ritratto femminile, perché guardare il volto di una donna è caricarsi di significati ed emozioni profonde, che aspettano di essere svelate sempre e da chiunque, in mille maniere differenti. Guardare il volto di una donna, in fondo, equivale ogni giorno ad aprire un vaso di Pandora.
CATALOGO vanillaedizioni con testi di: Martina Adamuccio, Lorenzo Canova e Giampiero Savuto (presidente Fondazione Lighea)
Roberta Coni, Ragazza con turbante azzurro, 2001, olio e acrilico su tela, cm 50x50 53
5 – 9 dicembre 2013 giovedi 5 dicembre ore 18.30 Palazzo di via santa Marta 15, Milano Asta benefica lunedì 9 dicembre ore 18.30 Fondazione Stelline corso Magenta 61, Milano Gli artisti professionisti: Gabriele Ardemagni – Giuseppe Bombaci – Barbara Bonfilio – Erica Campanella – Sara Cancellieri – Maurizio Cariati – Gianni Cella – Francesco Cervelli – Pierluca Cetera – Roberta Coni – Aldo Damioli – Marco Demis – Stefania Fabrizi – Massimo Festi – Antonio Finelli – Marco Formisano – Maurizio Galimberti – Cristina Iotti – Federico Lombardo – Anna Madia – Paolo Maggis – Ilaria Margutti – Antonello Matarazzo – Sabrina Milazzo – Davide Puma – Denis Riva – Alessandro Russo – Giovanni Sesia – Andrea Simoncini – Santiago Ydanez – Luca Zampetti.
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A Terni l’“identità in crisi” nelle opere di Cristiano Carotti e Massimiliano Pelletti TERNI | Cenacolo San Marco | 23 novembre – 15 dicembre 2013 Intervista a NICCOLÒ BONECHI di Matteo Galbiati
In occasione dell’XI edizione del Festival Popoli e Religioni a Terni, la mostra Crisi d’identità, in cui sono protagonisti gli artisti Cristiano Carotti (1981) e Massimiliano Pelletti (1975), propone un’analisi introspettiva sull’arte contemporanea che, attraverso opere realizzate appositamente per questa esposizione, apre un dialogo di reciprocità sulle ricerche di due giovani artisti su temi complessi e profondi che muovono dall’identità a riflessioni esistenziali, da conside-
razioni sul proprio passato ad una concezione di un presente e un futuro incerti. Poniamo al curatore, Niccolò Bonechi, alcune domande: Come è nato questo progetto? Quali sono le tematiche importanti che affronta? L’idea di sviluppare un progetto espositivo che fosse in sinergia con le tematiche affrontate dall’XI edizione del Festival Popoli e Religioni nasce da Virginia Colonna, presidente dell’As-
sociazione 4Start, la quale mi ha invitato a pensare una mostra per gli spazi del Cenacolo San Marco, una piccola chiesa sconsacrata nel centro di Terni. Crisi d’identità vuole interrogare lo spettatore su alcuni aspetti fondamentali della propria esistenza a partire da una riflessione sulla figura del Padre, intesa come simbolo di certezza, emblema di verità e punto di riferimento in un’ottica di accrescimento interiore. Perché hai scelto di mettere in dialogo questi due giovani artisti? Cristiano Carotti e Massimiliano Pelletti riescono nella difficile operazione di esprimere un concetto attraverso una profonda sintesi espressiva, affrontando ogni nuovo stimolo con fare ironico ma mai dissacratorio. La mostra, che ruota attorno al tema centrale del Festival – la ricerca del Padre -, comporta una necessaria riflessione sulla propria identità prima che sulla proiezione di essa verso una figura di riferimento; pertanto ho ritenuto necessario coinvolgere due artisti che avessero la capacità di imbattersi in un progetto così introspettivo in maniera diretta ed allo stesso tempo tagliente. Cosa hai scelto di mettere in evidenza di ciascuno? Quali sono le loro singole specificità e, invece, i temi condivisi? Ho chiesto a Carotti di realizzare alcune nuove opere sul tema della mostra, il che lo ha portato a lavorare direttamente sullo spazio, scegliendo di “invadere” due grandi cornici in stucco con altrettante tele che, dialogando strettamente tra loro, vanno a formare un perfetto fondale scenico per il crocifisso che sta ai loro piedi. Diversamente per Pelletti ho selezionato una serie di opere recenti che mettono in evidenza una ricerca eterogenea nella scelta dei medium utilizzati (sculture in marmo e bronzo, tele etc) ma omogenea nelle intenzioni. Così facendo ho voluto sottolineare una predisposizione progettuale nei due artisti, dove in Carotti si esprime con opere site-specific, mentre in Pelletti nella scelta di costruire un determinato percorso espositivo.
Massimiliano Pelletti, Untitled, 2013, tela stampata, ossidi tecniche miste e resina epossidica, 90x70 cm 54
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Tu hai parlato di contiguità tra le due esperienze artistiche, quasi una fosse logica e naturale conseguenza dell’altra. In che cosa si percepisce questo aspetto? Innanzitutto nella necessità di entrambi di affrontare il proprio lavoro con una estrema libertà espressiva che li conduce ad operare senza alcuna limitazione, sia essa concettuale o materiale. Certamente ognuno ha le sue peculiarità e si rende distinguibile dall’altro, ma è sempre percepibile un filo conduttore che lega la ricerca di uno all’altro, come se si compensassero a vicenda: entrambi amano testare le potenzialità dei materiali per capirne le infinite possibilità di manipolazione; si concentrano sulla destrutturazione dell’identità umana attraverso interventi di stratificazione o corrosione;
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vanno oltre una concezione univoca dei propri lavori, alimentando pertanto innumerevoli possibilità di interpretazione. Questa mostra è evento collaterale al Festival Popoli e Religioni, che significato ulteriore acquisisce il loro lavoro e come si relazione a questa manifestazione? La mostra si allaccia direttamente al Festival, è parte integrante della programmazione ma soprattutto da esso attinge quegli spunti concettuali su cui ho costruito il concept del progetto. Certamente questa occasione è un valore aggiunto al calendario del Festival, che così amplia i propri interessi anche all’arte contemporanea, ma nello stesso momento sia io che gli artisti abbiamo dovuto necessariamente
tenerne di conto. Per questo motivo abbiamo pensato di rafforzare questo ponte con il Festival – soprattutto con i suoi risvolti sociali – attraverso la performance dei MONTSALVAT (di cui lo stesso Carotti fa parte, oltre all’attore e regista Riccardo Festa ed il compositore Alessandro De Florio) che riflettono sul concetto di colpa prendendo le mosse da Lettera al Padre di F. Kafka e da testimonianze anonime raccolte tramite Facebook dell’azione manipolatrice che spesso i genitori operano sui figli durante il processo educativo. Quali sono i tratti forti che rendono le loro ricerche contemporanee e attuali? In un’epoca come quella che stiamo attraversando, dove la maggioranza dei giovani artisti si imbatte in sperimentazioni ripetitive ed obsolete, credo che la soluzione più attuale a questo punto sia quella di tornare alle origini. Cristiano Carotti e Massimiliano Pelletti si confrontano indifferentemente con la pittura e la scultura, riuscendo nel tentativo di rendere contemporanee queste soluzione “classiche”. Crisi d’Identità a cura di Niccolò Bonechi evento collaterale al Festival Popoli e Religioni 2013 organizzato dall’Associazione 4Start e realizzato in collaborazione con Galleria Canovaccio, Terni Artisti: Cristiano Carotti, Massimiliano Pelletti 23 novembre – 15 dicembre 2013 Cenacolo San Marco via Del Leone 12, Terni Orari: tutti i giorni 10.00-12.00 e 17.0019.00 Info: +39 0744 424786
Cristiano Carotti, Son, 2013, teca + tecnica mista su tavola, cm 130x100x35 55
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Interviste > Arte
Bali Bulè… Napoli chiama Bali NAPOLI | Museo Archeologico | 20 ottobre 2013 – 6 gennaio 2014 Intervista a MARIA SAVARESE di Igor Zanti
Si è inaugurata al Museo Archeologico di Napoli Bali Bulè una mostra che riunisce opere di Luigi Ontani, Filippo Sciascia e Ashely Bickerton influenzate dalla cultura indonesiana, mettendole a confronto con i capolavori custoditi in uno dei più bei musei d’Italia. Espoarte ha incontrato Maria Savarese, curatrice della mostra ed ideatrice di questo viaggio tra passato e presente, tra Oriente ed Occidente… Come nasce l’idea della mostra Bali Bulé e a cosa fa riferimento il titolo? L’idea di Bali Bulé è nata nel giugno 2012 in occasione della personale di Filippo Sciascia a Castel dell’Ovo. In quella circostanza vennero in città Ashley Bickerton e Tony God-
frey. S’incominciò a parlare di questa mostra e a dar forma all’idea embrionale. Visitammo il Museo Archeologico e tutti rimasero molto colpiti dall’incredibile fascino delle straordinarie opere custodite. Insieme a Marco De Gemmis pensammo di proporre l’idea a Luigi Ontani, il quale, considerando il Museo Archeologico di Napoli fra i più belli e prestigiosi del mondo, accettò immediatamente. È stato lo stesso Ontani a suggerirmi il titolo Bali Bulé, tratto da una sua opera che ho scelto come immagine guida della mostra. A Bali, i bulè sono gli albini, i bianchi, i portatori di alterità, come Filippo Sciascia e Ashley Bickerton che hanno scelto di vivere e lavorare sull’isola o Ontani che vi ha soggiornato più volte negli anni.
Ashley Bickerton, Gold Head I, 2012, oil acrylic coral and found object on digital print on plywood, cm 208,3x177,8x17,8
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Ontani, Sciascia e Bickerton sono artisti che appartengono a generazioni differenti. Che cosa unisce il loro lavoro? Tutti e tre usano diversi media linguistici: scultura, pittura, fotografia, insieme ad un utilizzo di materiali eterogenei; le loro opere nascono da una riflessione e fusione di linguaggi; il risultato sono lavori che vanno oltre qualsiasi barriera spazio-temporale. Come si inseriscono le opere nel contesto delle collezioni del Museo Archeologico? Le opere di questa mostra sono state allestite nelle sale dell’atrio del Museo Archeologico ed in quelle della collezione Farnese. Si è creato un suggestivo confronto con i capolavori d’arte antica presenti nelle collezioni permanenti. Far dialogare realtà culturali così distanti cronologicamente e geograficamente non è stato facile, ma lo stimolo era proprio questo, proporre un incontro che, superando i confini dello spazio e del tempo, riuscisse a dare una nuova linfa all’antico, evidenziando, al tempo stesso, gli archetipi culturali presenti nelle opere contemporanee.
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di eccellenza nel contemporaneo e quindi far auspicare un nuovo rinascimento napoletano.
scientifico Marco De Gemmis 20 ottobre 2013 – 6 gennaio 2014
Bali Bulé. Ashley Bickerton, Luigi Ontani e Filippo Sciascia A cura di Maria Savarese Ente organizzatore Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei (Servizio Educativo e Museo Archeologico di Napoli) Soprintendente Teresa Elena Cinquantaquattro Coordinamento tecnico-
Museo Archeologico Nazionale di Napoli Piazza Museo 19, Napoli Orari: tutti i giorni dalle 9 alle 19.30. Chiusura settimanale: martedì Info: +39 081 4422149
Qual è l’influenza della cultura balinese sul lavoro degli artisti? Elementi della cultura balinese sono riscontrabili in tutte le opere in mostra. Basti considerare le maschere in legno di pule realizzate da Ontani, che rimandano ai cerimoniali del teatro indonesiano e all’importanza che queste hanno nella statuaria e nella cultura iconografica balinese, così come pure alle mitologie e filosofie orientali che permeano molta parte della sua produzione artistica. Ed ancora, i materiali e gli elementi strutturali e decorativi, come i tronchi di felce balinese, foglioline decorative, piccole campanelle che vengono utilizzate nelle funzioni religiose induiste adoperate da Sciascia nella realizzazione dei suoi lavori. Napoli con questa mostra e con la recente riapertura del Madre ritorna ad essere un centro di eccellenza per il contemporaneo. Si può parlare di nuovo rinascimento napoletano? Credo che Napoli stia vivendo un momento molto difficile dal punto di vista culturale. Manca una visione, una progettualità armonica e a lungo periodo. Il rischio è ridurre la cultura in generale, e quella contemporanea in particolare, ad una serie di eventi, di iniziative slegate, disarmoniche, non inserite in un progetto d’insieme. Al tempo stesso il lavoro e l’impegno di Andrea Viliani al Museo Madre, o quello di Marco De Gemmis al Museo Archeologico Nazionale, così come quello di diversi operatori culturali in città, sta facendo in modo che Napoli possa avviare nuovamente un percorso
Luigi Ontani, Inconforme, 2007-2009, maschera di legno di pule dipinta, cm 73x37x33
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Interviste > Premi
Premio Nocivelli 2013. Rispondono le vincitrici Nurigiani e Ducoli PREMIO NOCIVELLI V edizione Mentre è in corso la mostra di tutti i vincitori del Premio Nocivelli all’Accademia di Belle Arti di Brescia – Santa Giulia cogliamo l’occasione per intervistare le due vincitrici assolute di questa quinta edizione del Premio: Isabella Nurigiani per la categoria over 25 – scultura e Carola Ducoli per la categoria giovani artisti – fotografia. Attendono entrambe due mostre personali nel 2014 nelle gallerie partner dell’evento: Isabella Nurigiani esporrà le sue opere presso Beyond Factory di Verona e Carola Ducoli presso 28 Piazza di Pietra di Roma. Conosciamole meglio…
Intervista a ISABELLA NURIGIANI di francesca di giorgio
Con l’opera Colonna Mobile ti sei aggiudicata uno dei due Premi Assoluti… Perché hai deciso di presentare quest’opera, cosa rappresenta all’interno del tuo percorso artistico? Colonna mobile è una scultura che ho realizzato per partecipare al Premio Nocivelli. Rappresenta un continuum del mio percorso artistico, caratterizzato dal tentativo di semplificare progressivamente la materia fino a renderla quasi una percezione di assenza di peso attraverso l’ondulazione, il movimento, il suono. Nella manipolazione della materia, instauro, con essa, un rapporto dialogico, quasi intimo, come fosse viva. La scultura è il tuo “territorio”… Com’è cambiato nel tempo il tuo approccio ai materiali e soprattutto la concezione del tuo lavoro nello spazio? Il tempo e l’esperienza aiutano molto nella conoscenza dei materiali, ma il mio approccio era e rimane sempre un rapporto, oserei dire un rapporto sensuale, che giorno dopo giorno si nutre attraverso il tatto, l’olfatto e l’udito che mi catapulta in una percezione dello spazio che non ha dimensione, dove tutto è naturalmente esteso Insieme alla pittura la scultura rappresenta ancora per molti il simbolo di un legame molto forte con la “tradizione” artistica del nostro Paese… Quali sono gli artisti contemporanei a cui guardi oggi con interesse? Una mappatura della ricerca artistica, soprattutto dell’ultimo periodo, deve necessariamente fare i conti con un panorama caratterizzato da un numero elevato di artisti in attività, provenienti da tutto il mondo, che riesce difficile una ricerca della diversità. Gli artisti a cui guardo con grande interesse, non sono solo i contemporanei e, per fare un breve elenco, sicuramente Brancusi, Giacometti, Melotti, più vicini Edoardo Chillida, Richard Serra, Eliseo Mattiacci, ma mi fermo qui, altrimenti rischio un elenco infinito. Il Premio Nocivelli non è il primo a cui hai partecipato. Cosa ha distinto questa esperienza dalle altre? In primo luogo una grande sorpresa, non me lo aspettavo, poi ovviamente una soddisfazione! Il fatto di essere stata apprezzata mi ha dato una maggiore sicurezza ed un’ulteriore spinta a proseguire nella mia ricerca. A cosa stai lavorando in questo momento? Ho appena realizzato una scultura per una mostra collettiva a Budapest ed ora sono in viaggio per l’inaugurazione! www.isabellanurigiani.com
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Isabella Nurigiani, Colonna mobile
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Intervista a CAROLA DUCOLI di francesca di giorgio
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L’opera con cui hai vinto il Premio Nocivelli è tratta da un progetto più ampio dal titolo Vasilij Vasil’evič Kandinskij… Di cosa parla? Ci racconti le scelte che ti hanno portata all’editing finale di questa fotografia? Vasilij Vasil’evič Kandinskij è una ricerca fotografica che porta al ritrovamento del tassello mancante della riflessione di Kandinskij nell’opera “Lo spitiruale dell’arte”. Kandinskij prese in esame il diretto concatenamento fra l’opera d’arte e la dimensione spirituale dell’uomo, dove il colore può avere un effetto sia fisico che psichico sullo spettatore, esso ha un odore un sapore ed un suono. Ed io, assieme alla mia modella, amica e ballerina Noemi, abbiamo cercato di interpretarne invece il movimento che il colore può sucitare nell’anima e nella capacità interpretativa, di chi, come lei fa della danza il suo principale canale di espressione. Il progetto ha previsto la selezione di cinque colori, ad ognuno di loro Kandinskij associò suoni e strumenti noi, in campiture monocomatiche uniformi, abbiamo studiato e ricercato la danza dei colori. Ho selezionato per la candidatura al Premio Nocivelli la coppia di movimenti del colore Viola, il mio colore preferito assieme al verde. Sei giovanissima ma il tuo percorso sembra avere una direzione chiara… Quando e come è nata la tua passione per l’immagine e quando hai deciso di lavorare nel mondo della fotografia fine-art? Da bambina scattavo un sacco di fotografie, per ogni occasione che reputavo importante, lo vedevo fare spesso da mio padre; mia madre ha sempre amato dipingere. Alle scuole medie le mie materie preferite erano disegno e storia dell’arte, ho iniziato a studiare come danzatrice dai 5 ai 19 anni, mi sono diplomata in Arte Applicata – decorazione pittorica e scenografica per poi trasferirmi a Milano per studiare e diplomarmi all’Istitututo italiano di fotografia come fotografa professionista. È da quando ho memoria che amo occuparmi di immagine e espressione, nelle sue varie ed infinite forme e spero di poterlo continuare a fare per tutta la vita, tra affitti, bollette, gioie, dolori e tutto il resto. Come per Isabella Nurigiani non sei al primo contatto con un Premio d’arte. Cosa caratterizza il Premio Nocivelli e soprattutto qual è stata la tua esperienza fino a qui? Sia durante che dopo gli studi di fotografia ho cercato sempre di essere molto attiva nel settore che ho deciso di intraprendere, credo che qualsiasi creazione esista per essere condivisa. Il Premio Nocivelli come altri premi fotografici, associazioni, spazi, gallerie, aiutano alla diffusione del concetto di espressione artistica, aiutano a far passare una moltitudine di messaggi e contenuti, quello che l’arte ha sempre fatto da quando è esistito l’uomo. Continuerò a scattare, a lavorare con la fotografia e a creare quanti più legami possibili. A cosa stai lavorando in questo momento? Al momento sto finendo di organizzare una mia personale a Roma che inaugurerà il 25 ottobre presso Laboratori Visivi in collaborazione con LoolitArt, lavoro come post produttrice dal lunedì al venerdì full time in un laboratorio di stampa fine art e presto vorrei realizzare quel progetto fotografico in pellicola sul concetto “Coppia” che ho da molto tempo ho idea di realizzare. http://caroladucoliphoto.prosite.com
Premio Nocivelli 2013 – V Edizione A cura di Associazione Culturale Techne Maddalena Nocivelli Organizzazione Barbara Bongetta +39 030 7776718 segreteria@premionocivelli.it www.premionocivelli.it mostra opere vincitrici: Accademia di Belle Arti di Brescia “SantaGiulia” via Tommaseo 49, Brescia Orari: dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18.30 22 ottobre – 22 novembre 2013
Carola Ducoli, Tratta dal progetto “Vasilij Vasil’evic Kandinskij” 59
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Interviste > Progetti
Sponge ArteContemporanea chiama SITE SPECIFIC L’occhio di Sponge… #1 a cura di Sponge ArteContemporanea Intervista a site specific Una nuova avventura, pellegrinando per l’Italia tra strutture autonome che, dall’interno di un sistema statico, tentano di indicarci nuove direzioni di sperimentazione e di contaminazione tra mondi altri. Sponge ArteContemporanea invita a conversare gli indipendenti più affini, in un interscambio di contenuti, attraverso una serie di dialoghi tra realtà che condividono una “comunione d’intenti” e una linea di pensiero comune. Per questo primo appuntamento, Sponge chiama SITE SPECIFIC. Perché come Sponge, SITE SPECIFIC porta l’arte contemporanea in luoghi nuovi da abitare e vivere. Il luogo d’azione è Scicli (RG) cittadina del ragusano Patrimonio dell’Umanità, dove il barocco siciliano avvolge e coinvolge. A “costruire” gli eventi i membri dell’associazione Culturale PASS/O attiva dal 2008. Qui strutture pubbliche e private vengono messe in rete, in funzione di una riflessione sull’identità e le problematiche culturali di un territorio. Qual è la genesi di SITE SPECIFIC (PASS/O – CLANG – SITE SPECIFIC) le tappe, l’evoluzione, il qui e ora? L’associazione culturale PASS/O è stata fondata nel 2008. La prima sede ufficiale è stata
inaugurata a Modica nella storica via Grimaldi. Successivamente per volontà del Direttore Artistico Sasha Vinci, PASS/O si sposta a Scicli in una nuova sede, dove prosegue l’attività di ricerca sviluppando diversi progetti d’arte contemporanea: mostre personali, collettive, installazioni urbane, workshop. Nel dicembre del 2012 PASS/O, in partnership con l’impresa di produzione s.r.l. DEARTE, inaugura il progetto CLANG, uno spazio di ricerca che sperimenta un nuovo modo per generare valore fondendo espressioni artistiche con innovazioni imprenditoriali. CLANG era un piccolo spazio multifunzionale in un’intima casa del ‘900 situata nel centro storico di Scicli, in via Francesco Mormino Penna. Luogo d’arte, di costruzione e di partecipazione CLANG ha visto coinvolti numerosi artisti del panorama nazionale ed internazionale e autorevoli critici e curatori – Francesca Alfano Miglietti, Antonio Arévalo, Luigi Fassi, Zara Audiello, Salvatore Davì, ecc… Nel settembre del 2013 l’entusiasmante esperienza con il progetto CLANG volge al termine, l’Associazione Culturale PASS/O decide di espandere l’indagine delle arti contemporanee in nuovi luoghi, in nuovi spazi di ricerca in cui “abitare ed esistere”. Da un’idea di Sasha Vinci,
Chiesa di San Matteo, Scicli. Foto Sasha Vinci 60
nasce SITE SPECIFIC un progetto ambizioso e di ampio respiro che mette in rete alcune strutture pubbliche e private della città di Scicli. SITE SPECIFIC si sviluppa per volontà di un gruppo di giovani professionisti – Sasha Vinci, Marilina Buscema, Francesca Vinci Mortillaro, Maria Grazia Galesi – che si confrontano e investono nella propria città per generare un impulso alla sperimentazione, per raggiungere, attraverso l’arte, obiettivi comuni. È così che prende forma una realtà dinamica che necessita di interagire con spazi differenti; interventi site-specific che trasformano Scicli in uno spazio da vivere, in cui gli artisti lasciano tracce e segni del loro transito. Attualmente SITE SPECIFIC comprende: SITE CHURCH | Chiesa di Santa Maria della Consolazione | Via Santa Maria La Nova – Scicli SITE CHURCH è un esempio splendido di barocco siciliano, una chiesa monumentale nel cuore del centro storico di Scicli. Nelle cinque sale della parte absidale SITE SPECIFIC aspira a creare un museo dinamico e sperimentale. SITE ART | Spazio di Ricerca per le Arti Contemporanee | Via Catena n.20 – Scicli Uno spazio espositivo volto alla ricerca e alla sperimentazione delle arti contemporanee che sarà inaugurato a dicembre 2013. All’interno sarà allestito un art shop per presentare manufatti e oggetti realizzati “con arte” dal Laboratorio di Ricerca Creativa. SITE GARDEN | Giardino della Chiesa San Giovanni Evangelista | Via Spadaro – Scicli Un piccolo giardino incastonato nel cuore barocco del centro storico di Scicli. Un’oasi mediterranea immersa in un’atmosfera di suoni, aromi, luci, parole, un luogo in cui sostare e rilassarsi per assistere ad eventi di natura diversa. SITE LAB | Laboratorio di Ricerca Creativa Il Laboratorio di Ricerca Creativa ha l’obiettivo di rigenerare il settore manifatturiero e dell’artigianato attraverso l’interazione con la creatività degli artisti. Nasce dal desiderio di riconoscere alla tradizione dell’artigianato in Sicilia, il valore che ha avuto nello sviluppo culturale e artistico dell’intera regione. SITE RESIDENCE | Case d’arte SITE SPECIFIC comprende anche tre case d’arte, messe a disposizione dagli ideatori del
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progetto per offrire ospitalità alle personalità coinvolte nei diversi eventi. Che cosa significa operare nella provincia siciliana? La Sicilia, a partire dalla sua stessa natura territoriale e dalla sua collocazione geografica, è “centro”, punto di mezzo del Mediterraneo, un territorio dalle immense potenzialità in gran parte inespresse. Scicli è una splendida città d’arte animata da un’intensa vivacità culturale e da una luce che permea tutto, un luogo che emoziona e coinvolge appieno i cinque sensi, in un viaggio che ha il sapore primario di un’esperienza estetica. Svolgere un’attività creativa, di sperimentazione delle arti contemporanee in una cittadina che deve ancora esprimere il suo vero potenziale è un’esperienza entusiasmante. Emerge un’insolita creatività, un dinamismo progettuale con una forte identità. Per una seria attività professionale è necessario però mantenere uno sguardo attento sull’età contemporanea, per non chiudersi in circuiti provinciali che rischiano di limitare la ricerca. SITE SPECIFIC è infatti una realtà in movimento che si disloca per creare sempre nuove possibilità di dialogo e relazioni con altre realtà nazionali e internazionali. SITE SPECIFIC si presenta con ORGANUM un progetto multisensoriale dove le arti visive incontrano la musica, location la chiesa consacrata di Santa Maria della Consolazione di Scicli, ce ne parlate? Santa Maria della Consolazione – SITE CHURCH – è una chiesa consacrata che diventa spazio d’interazione ed espressione per le arti contemporanee. Un bene monumentale denso di memorie, in cui gli artisti – Rebecca Agnes, Daniele Cascone, Claudio Cavallaro, Doren, Francesco Lauretta, Sebastiano Mortellaro, Piero Roccasalvo Rub, Lino Strangis, Sasha Vinci & Maria Grazia Galesi – in occasione di ORGANUM hanno creato delle opere che dialogano con l’ambiente, l’architettura, la simbologia. ORGANUM, scritto da Sasha Vinci e Daniela Galesi, è il primo evento a cura di SITE SPECIFIC ideato come una performance culturale per trasformare Scicli in un Teatro Vivo. Un progetto in cui discipline diverse si uniscono e si concretizzano nell’esecuzione di un evento unico che ci incoraggia ad osservare e tutelare con attenzione il passato per connetterlo con l’età contemporanea. Le opere concepite per ORGANUM interagiscono con il luogo che le accoglie e attraversano i suoni, i pensieri, le memorie di una collettività, creano una forte analogia fra la metafora anatomica e quella musicale: l’organo come corporeità in relazione con l’organo in quanto strumento musicale.
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La città di Scicli ha obliato la cura e l’amore per l’arte organaria. Oggi gli organi rimangono involucri vuoti e immobili nelle chiese, dimenticati, degradati, ricordi appannati di un passato glorioso. Attraverso il progetto ORGANUM gli antichi strumenti concettualmente hanno risuonato e tramite i differenti linguaggi dell’arte è stata rievocata la loro memoria. Il Progetto ORGANUM ha ricevuto il riconoscimento scientifico dell’Associazione Culturale “Il Saggiatore musicale”; vanta il patrocinio di Enti autorevoli come: Dipartimento delle Arti di Bologna, Regione Siciliana – Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Ragusa, Diocesi di Noto, Comune di Scicli. Organum è una sorta di work in progress nella città, ultima fase il 27 dicembre, che cosa accadrà? La particolarità di ORGANUM è quella di essere un progetto che si articola nel tempo in tre differenti momenti. La prima fase si è svolta all’interno della chiesa di Santa Maria della Consolazione – SITE CHURCH – con gli interventi di arte contemporanea. In occasione della seconda fase del progetto si è tenuta una conferenza nella chiesa di San Michele Arcangelo sui temi trattati dallo Special Project Organum, in cui sono intervenuti come relatori la Dott.ssa Daniela Galesi, il Maestro Organaro Antonio Bovelacci, la Prof.ssa Maria Rosa De Luca, il M° Andrea Macinanti, il M° Diego Cannizzaro, Don Antonio Sparacino e Sasha Vinci. A conclusione della conferenza il pubblico si è spostato nella chiesa di Santa Maria La Nova per assistere al concerto per organo del M° Andrea Macinanti. L’ultima fase del progetto si svolgerà il 27 dicembre e vedrà coinvolto il M° Diego Cannizzaro, che eseguirà un concerto per organo nella chiesa di Santa Maria La Nova. Non ci fermiamo a SITE SPECIFIC, un altro innesto SEM, Spazi Espressivi Monumentali, che cos’è? Perché la necessità di costruire una piattaforma altra dalla neonata Site Specific? SITE SPECIFIC è una piattaforma in cui si sperimentano prevalentemente le arti contemporanee e nasce in seno all’associazione PASS/O. SEM, acronimo di Spazi Espressivi Monumentali è un modello di sviluppo sostenibile che a Scicli ridisegna la gestione integrata dei monumenti, unendo strategie fieristiche sostenibili a contenuti culturali, dell’arte e delle tradizioni. Gli ideatori di SEM, sono tutti professionisti che hanno scelto di vivere e costruire il proprio futuro in Sicilia. Sensibili a nuove visioni e ispirati dal grande potenziale della città, provano a restituire memoria, identità e funzione economica, agli spazi culturali e monumentali di Scicli,
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trasformandoli in motore trainante per le attività turistico-commerciali, e spingendo tutti i cittadini a partecipare attivamente. Con SEM i beni monumentali spesso chiusi e inaccessibili, si aprono a nuove possibilità, diventando contenitori di eventi culturali, organizzati in una rete di servizi che osserva nuove prospettive ed esalta le diverse identità di Scicli. SEM si presenta con Rubino, dall’1 al 3 novembre. Tra le 10.00 e le 18.00, i palazzi, le chiese, le piazze e le colline di Scicli, diventano un unico itinerario dedicato al vino e alla cultura, qual è l’importanza di un evento di questo genere? Snocciolateci il calendario… Il vino ha sempre avuto varie interpretazioni simboliche, è un antico prodotto della terra, elegante e raffinato, che ben rappresenta la tradizione e la cultura mediterranea. Ispirati dai molteplici significati che racchiude, dal colore intenso e dal profumo inebriante, il team di SEM ha ideato un viaggio sensoriale che vede il vino protagonista. L’evento Rubino si sviluppa in più fasi e luoghi della città di Scicli. Si inizia con l’Expo delle migliori case vinicole siciliane accolte nelle sale e nei chiostri del Convento della Croce, si continua con le degustazioni guidate a cura dell’AIS Sicilia e Slow Food Modica in centro storico e le “cene con i produttori” presso i ristoranti convenzionati. Durante i tre giorni della manifestazione SEM ha ideato DITHYRAMBUS, un percorso dedicato all’arte contemporanea, alla musica e alla poesia per dar vita ad un ritmo di linguaggi creativi, un “canto corale” che si espande sul tessuto urbano della città. SEM ravviva i monumenti della città di Scicli, spazi espressivi che altrimenti rimarrebbero chiusi e silenziosi. Info: www.passonontemporanea.it www.clangsite.it www.sitespecific.it www.semscicli.it
SEM, Scicli
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Interviste > Progetti
SITE SPECIFIC chiama Sponge ArteContemporanea L’occhio di Sponge… #2 a cura di Sponge ArteContemporanea SITE SPECIFIC intervista Sponge ArteContemporanea Una nuova avventura, pellegrinando per l’Italia tra strutture autonome che dall’interno di un sistema statico tentano di indicarci nuove visioni di sperimentazione dell’arte contemporanea. Sponge ArteContemporanea è un’Associazione Culturale che nasce nel 2008 per promuovere l’arte contemporanea in uno spazio ai margini del circuito convenzionale. Due sono le caratteristiche che compongono l’essenza di Sponge ArteContemporanea: da una parte la scelta di operare nel territorio della provincia italiana; dall’altra un’idea innovativa di ricerca artistica che vede curatori e artisti lavorare insieme rendendo incerta la divisione dei ruoli. Questi due elementi si fondono sprigionando una grande forza creativa. Dopo l’intervista che Sponge ha rivolto a SITE SPECIFIC questa volta, per il secondo episodio de L’occhio di Sponge…, è la nota Associazio-
ne marchigiana ad essere intervistata. Si aggiunge un’altra voce che mette in relazione gli indipendenti più affini, in un interscambio di contenuti, attraverso una serie di dialoghi tra realtà che condividono una “comunione d’intenti” e una linea di pensiero comune. Per questo primo appuntamento, SITE SPECIFIC chiama Sponge. Perché come Sponge, SITE SPECIFIC porta l’arte contemporanea in luoghi nuovi da abitare e vivere. Sulla sommità di una collina in un casolare di campagna dell’entroterra marchigiano vive Sponge. Com’è “germogliata” la vostra realtà? Il seme di Sponge ArteContemporanea, piantato nel 2008 da Giovanni Gaggia, oggi è un albero robusto alimentato da un direttivo che lavora costantemente e con tenacia, compo-
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Casa Sponge. Foto: Cristian Iotti
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VIDEO-documentario realizzato dalla casa di produzione milanese LaGalla23productions regia: Alessandra Galletta riprese e montaggio: Andrea Giannone
Clicca qui per guardare il video: http://goo.gl/PI55gy
sto da Federica Mariani, Stefano Verri, Milena Becci, Paolo Angelosanto, Daniele Vimini. I suoi rami rigogliosi, che si diffondono in tutta Italia, collaborano ostantemente con realtà come scatolabianca, RAVE e oltre i confini nazionali grazie Arthub Asia, diretta da Davide Quadrio. In questi ultimi due anni, in particolare, abbiamo acquisito una grande forza nel circuito indipendente dell’arte contemporanea italiana, partecipando anche a fiere come INDEPENDETS ad ArtVerona, SetUp a Bologna e The Others a Torino. Quali sono i valori che avete riscoperto sperimentando l’arte contemporanea in uno spazio ai margini del circuito convenzionale? La nostra sede è immersa nelle colline marchigiane, nella frazione di Mezzanotte a Pergola (PU), abbiamo scommesso sulla provincia e siamo stati dei pionieri nelle Marche. Questa scelta è stata la nostra forza, abbiamo riscoperto il legame con il territorio, il dialogo tra natura e arte, aprendo la home gallery dove lo stesso Presidente di Sponge, Giovanni Gaggia, vive e lavora. La dimensione quotidiana dell’arte riporta al centro dell’attenzione il dialogo tra estetica ed essenza, tra curatore ed artista, senza vincoli e senza formalismi. Cosa vuol dire sperimentare e promuovere una ricerca indipendente nel panorama dell’arte? Innanzitutto significa avere coerenza. Essere indipendenti significa perseguire una strada difficile, anche economicamente, per portare avanti le proprie idee. Nel panorama dell’arte contemporanea di oggi significa aver compreso che siamo di fronte alla trasformazione
storica che sta avvenendo: il sistema dell’arte sta cambiando velocemente e subisce le congiunture economiche negative, ripensare ad un nuovo modo di promuovere l’arte è un passo fondamentale per non arrivare al collasso. Nella società si assiste ad un appiattimento intellettuale dominante. Come reagisce Sponge? Sponge reagisce come ha sempre fatto, focalizzando la sua attenzione sulla ricerca, sul rapporto informale che si instaura tra il pubblico che viene a visitare la nostra home gallery e le opere, facendo dialogare tutti gli attori del mondo dell’arte artisti, curatori , critici e giornalisti attorno ad una tavola imbandita. Ultimamente Sponge ha partecipato ad ArtVerona Independents 4 e The Others Art Fair. Raccontateci la vostra esperienza e soprattutto, qual é la vostra opinione sul sistema fieristico dell’arte contemporanea? Premesso che con pochissimi finanziamenti è difficile partecipare alle fiere d’arte contemporanea, anche in Italia il sistema fieristico sta lentamente cambiando, da qualche tempo si è messo in ascolto delle realtà indipendenti riservando loro degli spazi e collaborando con questo nuovo fenomeno che acquista sempre più forza. Questo è un passo importante, l’unico modo per rinnovarsi ed aprirsi proponendo le varie sfaccettature che sta assumendo l’arte contemporanea di oggi. Lo scorso 16 novembre 2013, Sponge ha inaugurato una personale dell’artista spagnola Cristina Nuñez – But Beautiful – a cura di Carolina Lio. Com’è nato quest’ultimo progetto?
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Sponge è una delle realtà della rete nazionale del Premio Ora, per ogni edizione ci viene chiesto di scegliere un vincitore da ospitare, Cristina Nuñez è il nostro ultimo designato. Dopo aver guardando attentamente tutto il materiale di ciascun artista, abbiamo deciso di tentare con un’artista internazionale e per noi la più forte, comunicativa ed intensa, appunto la Nuñez. Quasi una scommessa, mai avremmo pensato di averla qui a a Mezzanotte di Pergola. Invece fino al 16 dicembre la ospitiamo nelle nostre 9 stanze ed il 7 e l 8 dicembre l’avremo fisicamente per presentare una performance e, in anteprima mondiale, un workshop di autoritratto in video, The Self-Portrait Experience. LEGGI ANCHE LA RECENSIONE DELLA MOSTRA DI Cristina Nuñez: http://goo.gl/CJ0P5h Osservando gli andamenti del sistema dell’arte contemporanea dove si proietta Sponge? Cosa immagina, progetta e desidera per il prossimo futuro? Tutti i nostri progetti sono proiettati verso il futuro, per creare legami stabili e duraturi. Non possiamo dire ancora con certezza cosa diventeremo, possiamo solo affermare che Sponge è una struttura dinamica e in quanto tale portata al cambiamento. Sponge Living Space (Casa Sponge) Sponge ArteContemporanea Frazione Mezzanotte 84, Pergola (PU) Info: +39 339 4918011 spongecomunicazione@gmail.com www.spongeartecontemporanea.net
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Interviste > Premi
Blumm Prize Art in progress | U40. La prima edizione vinta da Maria Elisabetta Novello Intervista a MARIA ELISABETTA NOVELLO di Matteo Galbiati Maria Elisabetta Novello (1974) si è aggiudicata con l’opera Vasi comunicanti la prima edizione del Blumm Prize Art in progress | U40, recente manifestazione di promozione internazionale della giovane arte europea. Un premio che pone nuovamente attenzione sulla profonda e intensa poesia della giovane artista che in questi anni – la conosciamo ormai da molto tempo
– ci ha abituati ad una coerente e intelligente riflessione in cui un materiale povero e di recupero, come la cenere, si carica di significazioni tanto inattese quanto puntuali. In occasione di questo ultimo suo successo abbiamo posto a Maria Elisabetta alcune domande:
Un altro premio che ti conferma ulteriormente come protagonista della nuova arte italiana a livello internazionale. Quali sono le tue emozioni? Sarà banale, ma sono felice! Ci racconti brevemente l’esperienza di questo premio? Il premio ha chiamato gli artisti ad esprimersi sulla necessaria compenetrazione tra l’etica e tutte le sfere dell’esistenza, la coscienza civile, la trasparenza tra Istituzione e cittadino, attraverso ogni modalità possibile. I partecipanti, under 40 e provenienti da differenti paesi, sono stati invitati direttamente dalla curatrice Martina Cavallarin che, con Franco Pomilio, presidente di Pomilio Blumm s.r.l., hanno costituito un illustre comitato scientifico multidisciplinare. Un’esperienza importantissima e intensa. Quest’occasione, prima che con gli altri, mi ha messo in discussione con me stessa rispetto la mia responsabilità di persona e di artista. Cosa rappresenta un premio che si è svolto davanti ad una platea internazionale nella suggestiva cornice dell’Ambasciata italiana a Bruxelles? La Pomilio Blumm – agenzia italiana specializzata nel settore della comunicazione pubblica e istituzionale – dà vita a iniziative culturali plurali, legate alla comunicazione, chiamando diverse personalità per discutere delle variabili declinazioni dell’etica. Noi artisti siamo stati protagonisti in una cornice che, oltre ad essere suggestiva, è molto significativa. Un premio, finalizzato alla promozione degli artisti e delle arti contemporanee svolto oggi a Bruxelles, una delle capitali dell’Unione Europea e che ospita prestigiose istituzioni sovranazionali, rappresenta e imprime grande valore e forza all’arte. Come sono stati assegnati i premi? Tutti gli artisti hanno partecipato attraverso una piattaforma web nella quale i visitatori potevano visionare la totalità del percorso di ogni autore attraverso un portfolio completo e quindi votare l’artista nella sua totalità. Il Blumm prize on line è stato assegnato al bravissimo Michele Spanghero. Per quanto riguarda il Blumm prize, il comitato scientifico è stato chiamato a decretare il vincitore in sede espositiva, dopo la visione di tutti i lavori installati sul posto. Il confronto con questi professionisti e con gli artisti partecipanti alla mostra è stato per me
Maria Elisabetta Novello, Vasi comunicanti, 2013, vasi antichi in vetro e cenere 64
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un momento di grande crescita personale oltre che professionale. Ci racconti nello specifico i contenuti dell’opera Vasi comunicanti con cui ti sei aggiudicata questo premio? Di cosa parla? Il mio lavoro vuole essere sostanzialmente un’azione, una presa di coscienza e un invito alla riflessione. Ho suddiviso il mio progetto in tre fasi analizzando e mettendo in discussione il mio ruolo e la mia responsabilità di artista: l’azione, l’etica e l’opera. Per questo project specific ho sentito l’esigenza di indagare la provenienza della cenere: mi è stato necessario agire e produrla. Bruciare è un atto violento, una reazione a una provocazione, ma bruciare è anche atto salvifico, consumare, modificare, ardere di luce e di calore. Vedo l’artista come essere in azione che opera nell’atto e nella conseguente responsabilità di esso. Eticamente l’arte è la possibilità di generare un movimento che parte dal pensiero e l’artista ha il dovere di essere responsabile cercando di comprendere il mondo nella sua complessità. L’opera è una struttura verticale trasparente che è pilastro, sostegno, contenitore, fondamenta. Al suo interno il materiale combusto, risultanza dell’azione che ha originato la cenere. L’opera è provocata da un atto di consunzione e di rigenerazione al contempo; la materia si trasforma e diventa cenere, continua a esistere senza una sua forma definitiva. La cenere è contenuto, gli oggetti bruciati traducono la loro esperienza e la loro portata culturale e sociale nella polvere che non si distrugge, ma è materia di nuovo inizio, in continua trasformazione e evoluzione. Qualcuno potrebbe dire: ancora la cenere… Come rispondi a questa critica? Mi viene detto spesso e quello che rispondo sempre è che vorrei che si andasse oltre la cenere, mi piacerebbe essere identificata con quello che sta tra la mia poetica e il materiale, ovvero tra ciò che c’è tra il contenuto e la forma, che in qualche modo è il motivo per cui mi sono avvicinata ad esso. Il materiale che uso è importante e fa parte del lavoro, ma prima viene il pensiero. Con il pensiero, poi, seguono l’azione, il processo, l’opera. A me, infatti, ha sempre convinto questa tua capacità innata di costante rinnovamento, in cui un materiale ripetuto si carica sempre di tensioni ed energie nuove. Come riesci ad arrivare a questi esiti? Quali difficoltà implica il tuo lavoro e quali rischi affronti? Se difficoltà e rischi ci sono…! Il rischio, se così si può chiamare, è appunto una critica sulla cenere, ovvero essere super-
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ficialmente identificata in un unico materiale. D’altra parte, paradossalmente, questi esiti li ottengo forse proprio perché, pur mutando e arricchendosi, il mio percorso e i miei lavori contengono sempre un senso di incertezza temporale, di materiale e immateriale, di dubbio, di imponderabile e di non tangibile, che è dato dalla materia stessa. Riflessioni e ossessioni che fanno parte da sempre del mio lavoro. Quale destino spetta all’opera vincitrice? Resta a te o entra in qualche collezione? L’opera entrerà a far parte della nuova collezione della Pomilio Blumm, ma forse verrà poi da loro donata ad un’istituzione pubblica europea. 9000 Euro è la cifra assegnata al primo premio. Un capitale consistente e importante di questi tempi. Come pensi di “investirlo”? Hai progetti particolari che vorresti realizzare? Sogni nel cassetto? Lo investirò in lavori nuovi. Il sogno nel cassetto è sempre quello, riuscire a fare sempre in modo dignitoso quello che sento di voler esprimere. Quali programmi hai per l’immediato futuro? Quali mostre stai preparando? Il prossimo importante appuntamento sarà al Museo Schauwerk di Sindelfingen vicino a Stoccarda e poi a Kiel per il Premio Fondazione VAF. Sono emozionata e orgogliosa di partecipare all’iniziativa di una Fondazione che da sempre diffonde, rende accessibile e promuove l’arte italiana.
Blumm Prize Art in progress | U40 Artisti: Afterall, AuroraMeccanica, Davide Balliano, Simone Bergantini, Claude Collins Stracensky, Dusica Drazic, Ygor Eskinja, Matteo Fato, Leonora Hamill, Richard Loskot, Andrea Mastrovito, Jacopo Mazzonelli, Ivan Moudov, Maria Elisabetta Novello, Yael Plat, David Rickard, Cagdas Sari, Michele Spanghero, Jonathan Sullam, Lamberto Teotino Giuria: Martina Cavallarin (critica e curatrice), Franco Pomilio (presidente di Pomilio Blumm s.r.l.,), Rosanna Gangemi (direttrice Drome magazine), Simona Gavioli (critica e curatrice), Vania Gransinigh (conservatore dei Civici Musei di Udine – Casa Cavazzini), Paola Marino (comunicazione applicata alle Arti Contemporanee), Rizziero Di Sabatino (gallerista) Info: www.blummprize.eu
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Dall’alto: Ritratto di Maria Elisabetta Novello Maria Elisabetta Novello, Vasi comunicanti, particolare, 2013, vasi antichi in vetro e cenere
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When Now Is Minimal. La collezione Goetz in arrivo al Museion
Intervista a Ingvild Goetz sul #83 di Espoarte
BOLZANO | Museion | 23 novembre 2013 – 5 ottobre 2014 di GABRIELE SALVATERRA La Sammlung Goetz è una tra le più importanti raccolte private di arte al mondo e vanta una collezione di più di 5000 pezzi: opere realizzate nelle tecniche più disparate e in grado di coprire movimenti artistici e personalità tra le più significative degli ultimi trent’anni. Nella Sammlung Goetz si possono incontrare gli esponenti di Arte Povera, artisti come Tracey Emin e Mona Hatoum, fotografi come Andreas Gursky e William Eggleston, videoartisti come Douglas Gordon e lavori fondamentali per la storia dell’arte più recente come l’intero ciclo CREMASTER
di Matthew Barney. Nata dall’attività di Ingvild Goetz, che tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 apre la casa editrice Edition art in progress e in seguito la galleria Art in progress, questa collezione può vantare una reputazione da istituzione pubblica e la realizzazione di molti progetti e collaborazioni di livello museale. Mentre nella sede di Monaco si festeggiano i vent’anni dalla nascita della collezione con la mostra Happy Birthday!, al Museion di Bolzano arriva un nucleo di opere neo-minimaliste
When Now is Minimal, veduta della mostra a Museion, 2013. Courtesy Sammlung Goetz. Foto: Luca Meneghel
e una mostra frutto della collaborazione tra Sammlung Goetz, Museion e New Museum di Norimberga: When Now Is Minimal. La mostra prende in considerazione una serie di artisti che oggi affrontano il linguaggio del minimalismo assumendo la sua pulizia formale con più elasticità, attenuandone il caratteristico rigore ed inserendo al suo interno anche elementi spuri. In questo senso l’appuntamento si inserisce negli interessi di Museion che da alcuni anni con mostre come Carl Andre, Migros Meets Museion o Rosemarie Trockel “Flagrant Delight”, guarda con occhio di riguardo al movimento americano degli anni ’60, non soltanto nella sua prospettiva storica ma anche attraverso i semi e le filiazioni, perché no divergenti, riconoscibili nelle generazioni più giovani. In mostra i lavori sgargianti di Peter Halley, le strutture sagomate di Imi Knoebel, i grigi impassibili di Alan Charlton, affiancati da artisti più storicizzati come Blinky Palermo. Aspetteremo con particolare interesse Wofgang Tillmans, da sempre in bilico tra fotografia sociale e astrazione, e Andrea Zittel con le sue strutture abitative in cui la semplicità formale minimalista viene messa al servizio del vivere quotidiano. La mostra si prospetta interessante, soprattutto per valutare lo stato della grammatica minimalista a mezzo secolo dalla nascita del movimento. Non ci perderemo questa mostra e ne parleremo anche con Ingvild Goetz in un’intervista esclusiva in uscita sul #83 di ESPOARTE. When Now is Minimal. Il lato sconosciuto della Sammlung Goetz Una cooperazione tra Museion Bolzano, Sammlung Goetz e Neues Museum, Nürnberg A cura di Karsten Löckemann, Angelika Nollert, Letizia Ragaglia 23 novembre 2013 – 05 ottobre 2014 Inaugurazione venerdì 22 novembre 2013 ore 19.00 Museion Via Dante 6, Bolzano Info: + 39 0471 223413 info@museion.it www.museion.it
When Now is Minimal, veduta della mostra a Museion, 2013. Courtesy Sammlung Goetz. Foto Luca Meneghel In primo piano: Katja Strunz, Ohne Titel, 2008 68
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Fabbrica Borroni. Fenomenologia dello “Spirito”: Spirito Italiano – Atto IV BOLLATE (MI) | Fabbrica Borroni | 17 ottobre – 20 dicembre 2013 di KEVIN MCMANUS Parlare di figurazione oggi, soprattutto per chi predilige – epidermicamente o criticamente – altri orizzonti della produzione artistica, è come incamminarsi su un terreno minato; soprattutto perché, al di là e al di fuori di qualsiasi discorso puramente qualitativo, il problema è innanzitutto l’inquadramento disciplinare. Appare evidente come la contemporaneità stretta veda ormai una polarità tra un’arte ancora impegnata a riflettere sul proprio linguaggio e un’arte impegnata a riflettere sull’immagine: due pratiche parimenti necessarie, in quanto riposte a due problemi (o a due categorie di problemi) differenti, per quanto non slegati tra di loro. Altrove – pensiamo ad esempio all’America – questi due approcci hanno ormai dato luogo a due categorie di studiosi, di critici, perlopiù indipendenti l’una dall’altra. Da critico, mi chiedo a volte se questa soluzione non sia in effetti la migliore, salvo tentennare di fronte a quegli esiti, e a quegli artisti, capaci di giocare lungo l’asse che separa i due poli, mettendo in discussione la polarità stessa e stimolandoci a criticare la faciloneria con quale l’abbiamo accettata. La Fabbrica Borroni è uno dei luoghi – nel senso pregnante del termine – in cui questi dubbi affiorano in modo più chiaro e ricco di spunti.
La difesa strenua della figurazione in quanto tale, contro una presunta “dittatura dell’avanguardia”, è tentazione alla quale si sono lasciati andare alcuni tra i critici managerialmente più abili (e meglio retribuiti) di oggi, spesso invocando quella fantomatica “libertà di pensiero” che è spesso adesione, tutt’altro che libera, a una visione dell’arte come forma di intrattenimento elegante e facile ad un tempo. Merito di Spirito italiano, anche agli occhi di un sostenitore dell’“avanguardia”, è quello di aver dimostrato come l’opzione a favore dell’immagine non abbia come conseguenza necessaria l’“anything goes” della critica “libera”, ma possa al contrario accompagnarsi a una seria, e questa volta veramente libera, riflessione sulle opere. Potremo non essere sempre d’accordo con le scelte (sarebbe anomalo il contrario), ma la presenza di un progetto e la sua serietà non si discutono. Questo Atto IV, che ha tutti gli alti e bassi di una collettiva, si segnala tuttavia per l’attenzione verso la grammatica dell’immagine, verso la capacità di “comporre” prima ancora di rappresentare o esprimere: dal rigore formale di Daniela Ardiri alla lettura quasi surrealista dello spazio di Francesca De Pieri, dal linearismo austero, orientaleggiante di Irene Balia alla
Daniela Ardiri, dalle serie UP - Con la presunzione di poter sollevare tutto, 2013, stampa fine art su carta cotone, 10x15 cm (particolare) 69
reiterazione di frammenti di Linda Carrara. Il tutto in una cornice che, benché si sappia che non è così, sembra fatta apposta per contenere immagini. Gli altri artisti esposti sono Simone Durante, Francesca Manetta, Chiara Paderi, Alessio Tibaldi, Angela Viola. Spirito italiano. Atto IV a cura di Annalisa Bergo Artisti: Daniela Ardiri, Irene Balia, Linda Carrara, Francesca De Pieri, Simone Durante, Francesca Manetta, Chiara Paderi, Alessio Tibaldi, Angela Viola 17 ottobre – 20 dicembre 2013 Fabbrica Borroni via Matteotti 19, Bollate (MI) Orari: lunedì-venerdì 10.00-18.00; sabato 16.00-19.00 (possibili variazioni, verificare sempre via telefono) Info: +39 36507381 info@spiritoitaliano.org www.spiritoitaliano.org
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Jason Martin alla Lisson Gallery. Il verso contrario della pittura MILANO | Lisson Gallery | 21 novembre 2013 – 10 gennaio 2014 di GINEVRA BRIA Milano, 20 novembre 2013. Le insidie pittoriche di Jason Martin, le sue volute pigmentali e le torsioni materiche di superficie, finalmente, si trasformano. Per la sua sesta personale in collaborazione con Lisson Gallery, la prima realizzata negli spazi di via Zenale a Milano, l’artista britannico presenta una nuova serie di opere in rame e nichel. La galleria è stata suddivisa in due livelli esatti, due letture del suo lungo percorso: al piano terra sono stati disposti alcuni lavori precedenti al 2013, dipinti monocromi in cui, talvolta, il livore dell’olio radia la superficie di tele scalfite da circonferenze ipnotiche. Al piano superiore invece, invece una serie di otto bassorilievi, otto superfici metalliche, preziose che oscillano, come di fronte ad uno specchio, tra pittura e scultura, tra la vitalità singolare e la certezza
seriale, movimento e stasi, e persino tra astrazione e figurazione, come se ogni spettatore si rispecchiasse nelle levigate sezioni non dipinte dei supporti. I vortici e i rivoletti serpeggianti ottenuti tramite il gesto pittorico formano mulinelli senza fine che si scontrano. E tuttavia, sostiene Luca Massimo Barbero, la lucentezza metallica rifiuta e respinge l’interpretazione facile, rendendo questi oggetti adamantini e al tempo stesso seduttivi e impenetrabili. Per la realizzazione dell’opera esposta all’esterno, Jason Martin si è spinto ancora più in là nell’esplorazione del legame tra pittura e scultura, con una nuova opera scultorea fissata al suolo: una sorta di gigantesco baccello di origine aliena o un meteorite cromato, schiantatosi nel cortile della galleria. In questa mostra, dal titolo Sculpture as pain-
ting, Martin mostra il lato opposto, invisibile perché riflesso al di là di uno specchio, delle zampate violente inferte alla materia del colore. La volumetria pittorica alla quale il campo monocromo lo ha sempre chiamato ad aderire, in questa personale lascia spazio al calco impreziosito di alcune colate massive, ipostatizzate dai riflessi dei metalli. L’artista britannico a Milano mostra il verso contrario della pittura, avvicinandosi alla perdita della tridimensionalità schiva, interrotta che lo ha sempre caratterizzato. L’impasto convulso, ancora accalorato dall’energia fisica impressa alle tracce plastiche di pigmento, sotto la superficie metallica trova una fissità che incanta e che sottrae, questi otto lavori di piccole dimensioni (tutti datati 2013) allo stato della nostra realtà e alle brutture del tempo. Jason Martin. Painting as Sculpture 21 novembre 2013 – 10 gennaio 2014 Lisson Gallery Via Zenale 3, Milano Orari: lu – ve 9.30 – 13.00 e 15.00 – 18.00 sabato su appuntamento Info: +39 02 89050608 milan@lissongallery.com www.lissongallery.com
Jason Martin. Sculpture as painting. Veduta della mostra, Lisson Gallery, Milano 70
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Barbara Nati. Architetture sospese… MILANO | The Format Contemporary Culture Gallery | 15 novembre – 13 dicembre 2013 di ALESSANDRO TRABUCCO Questa serie si intitola La casa di questa mia sera, un riferimento all’ultimo verso di una poesia di Montale che ha colpito l’immaginario dell’artista. Il componimento finisce con questa frase: “Ed io non so chi va e chi resta”, di sicuro restano le pareti lacerate e distrutte, le potenziali storie vissute in quegli ambienti ormai svuotati, e la forte sensazione di trovarsi di fronte ad un’epoca non bene identificata, oppure, più efficacemente, alle suggestive fantasie di un’artista visionaria. Barbara Nati. Unpredictable Trees a cura di Massimo Sgroi 15 novembre – 13 dicembre 2013 The Format Contemporary Culture Gallery Via Giovanni Enrico Pestalozzi 10, Interno 32, Milano Nell’immaginario visivo di Barbara Nati il paesaggio, e con esso anche alcune considerazioni di tipo ambientalista, trovano espressione in quanto elementi rappresentativi di un percorso che fa della fotografia e del fotoritocco digitale i propri strumenti privilegiati. Sin dalle serie di immagini, di qualche anno fa, intitolate Il mondo oltre il mondo e Nebbie di Avalon, la tecnologia della manipolazione elettronica è utilizzata dall’artista per creare scenari inesistenti, ma allo stesso tempo verosimili, perché derivanti da una più approfondita riflessione su tematiche non molto lontane da un’effettiva quanto, a volte, drammatica realtà dei fatti. Nelle fotografie di Barbara Nati manca comunque la rappresentazione dell’azione che mette in atto l’evento descritto, l’artista raffigura piuttosto un risultato già avvenuto, senza con questo svelarne con precisione le cause. Possono essere ricavate ricorrendo all’intuizione, oppure alla natura stessa dell’immagine, che contiene alcuni indizi identificativi. Nelle sei immagini presentate nella personale dal titolo Unpredictable Trees presso The Format Contemporary Culture Gallery di Milano, Barbara Nati presenta sei differenti luoghi con altrettante tipologie di costruzioni abitative sospese su delle strutture verticali, un richiamo
palese alla forma naturale dell’albero. Naturale ed artificiale si uniscono a creare una nuova entità ibrida, la cui vera origine, però, ci è del tutto ignota. Costruzioni misteriose che hanno subìto un’azione traumatica che le ha rese quasi completamente inagibili, o per lo meno non più integre, ma alcuni elementi testimoniano che qualche presenza nascosta vi è ancora al loro interno. Anche in questo caso il segreto sulla natura di queste esistenze non viene svelato, ma è sufficiente riscontrare che in queste condizioni di degrado strutturale la dimensione umana non venga negata completamente, ma rimanga comunque vitale, seppure come residuo, all’interno di queste architetture in fase di totale disfacimento. L’idea della casa sull’albero non può che suscitare reminescenze ludiche di un’età legata all’infanzia o all’adolescenza, o per lo meno indicare il tentativo di un ritorno alla natura, o il rifiuto della dimensione alienante della città contemporanea, con quegli agglomerati tutti uguali ed attaccati l’uno all’altro, togliendo il respiro e la vista dell’orizzonte infinito. Ma in questo caso c’è come un’eco remota di attaccamento almeno alle comodità di tale stile di vita, testimoniato dai materiali utilizzati (i canonici mattoni e cemento) ma anche dal ricorso a fonti di energia non del tutto naturali, come la luce artificiale (che immaginiamo sia elettrica) che illumina solo alcuni interni.
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Barbara Nati. Unpredictable Trees, a cura di Massimo Sgroi, 15 novembre - 13 dicembre 2013, The Format Contemporary Culture Gallery, Milano Sotto: Barbara Nati. Unpredictable Trees
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Pistoletto alla Galleria Continua. “100 idee per altrettante mostre” SAN GIMIGNANO (SI) | Galleria Continua | 21 settembre 2013 – 7 gennaio 2014 di NICCOLÒ BONECHI Si è aperto il 21 settembre il nuovo progetto espositivo di Michelangelo Pistoletto per la sede italiana della Galleria Continua. L’artista, reduce dal successo della grande mostra parigina al Louvre, si trova a confrontarsi con gli eterogenei spazi dell’ex cinema teatro attraverso una ricognizione storica del proprio percorso creativo, espresso e condensato nel libro “Cento mostre nel mese di ottobre”, pubblicazione datata 1976 e realizzata dalla Galleria Giorgio Persano: una sorta di intimistico prontuario nel quale sono contenute 100 idee per altrettante mostre ed opere. In questo dichiara che: “La progettazione di queste mostre avviene nello stesso modo come per gli Oggetti in meno del 1966, dove ogni singolo elemento è il frutto immediato di una necessità contingente. L’eventuale momento esecutivo a dimensione reale, anche se sembra contraddire la logica della contingenza, obbedisce alla logica della progettazione che nel mio processo non occupa che un solo posto su cento” affermando così un’attenzione particolare al processo ideativo al quale Pistoletto ha riservato sempre una puntuale attenzione, antecedendola solamente all’analisi del contesto dove sarebbe andato ad agire. Per quanto alcune delle opere in mostra, pur se realizzate recentemente, trovino spunto da
riflessioni di oltre trenta anni fa, si percepisce fortemente una coerenza espressiva che contraddistingue da sempre il percorso artistico di Pistoletto, non tanto per l’uso di quei materiali che lo hanno reso riconoscibile ed apprezzato in tutto il mondo ma per la costante attenzione che ha posto nelle tematiche affrontate nel corso della sua carriera, perseguendo una direttiva che non ha mai ceduto il passo alle mode del tempo o alle controverse leggi del mercato (celebre l’aneddoto della conversazione in taxi con Castelli e Solomon), ma che si persiste tutt’ora nell’equilibrio e nell’attualità delle opere esposte per questa occasione. Il percorso espositivo si apre con una serie di opere dal ciclo Vortice, un nuovo sviluppo della superficie riflettente che in questo caso viene “deturpata” della sua candida limpidità – e linearità – con l’inserto di linee d’ombra che modificano la percezione di sé stessi (osservatore) e dello spazio in cui sono inserite. L’elemento specchio ritorna ovviamente anche nelle opere realizzate da “Cento mostre nel mese di ottobre”, sia nell’opera Altalena dove è calato dal soffitto per offrirsi al fruitore che ne può modificare la stabilità strutturale e la sensazione che offre, alterando l’imprescindibile tangibilità che ci si aspetterebbe da questo; sia in Specchio di taglio o in Questo spazio non esiste dove il proposito è indagare sul ruolo
dell’artista e sul suo campo d’azione. Sono numerose le installazioni “storiche” che completano la mostra (Il bacio al piede, Il giro del mondo, Profilo), ma per lo spazio della platea Pistoletto decide di intervenire con una interpretazione del concetto di Terzo Paradiso che dieci anni fa teorizzava nell’omonimo manifesto e ne rendeva nota l’identità visiva: al simbolo matematico dell’infinito (due cerchi significanti natura e artificio) viene inserito un terzo cerchio a congiunzione e rottura tra i primi due, ipotizzando nuove relazioni tra uomo e società. Per questa occasione Pistoletto lo realizza attraverso numerosi e differenti piatti da batteria, dando vita ad una connessione naturale con il luogo che la accoglie, e ancor prima con la fluidità dell’elemento sonoro. Michelangelo Pistoletto 21 settembre 2013 – 7 gennaio 2014 Galleria Continua Via del Castello 11, San Gimignano (SI) Orari: da lunedì a sabato, 10.00 -13.00 / 14.00-19.00 Info: +39 0577943134 info@galleriacontinua.com www.galleriacontinua.com
Michelangelo Pistoletto, Frammenti di specchio, 2013, specchio, senza dimensioni. Courtesy GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Foto: Ela Bialkowska, OKNO STUDIO 72
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Beatrice Pediconi: Never ending story… alla Collezione Maramotti
Intervista a Beatrice Pediconi sul #83 di Espoarte
REGGIO EMILIA | Collezione Maramotti | 6 ottobre 2013 – 9 gennaio 2014 di CHIARA SERRI Giocata sul binomio luce/ombra, la mostra di Beatrice Pediconi alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia si configura come un’esperienza sensoriale, fatta di attraversamenti ed immersioni, di ritmi lenti, adagi ed improvvise accelerazioni. Dal chiarore diffuso della prima sala, interrotto da sequenze di polaroid che concentrano nella piccola dimensione visioni siderali, al buio relativo della seconda stanza, dove il visitatore viene sommerso dalla pittura e proiettato in un mondo “altro”, lontano dalla realtà e allo stesso tempo vicino, in quanto l’acqua evoca idee di nascita e gestazione. Una videoinstallazione ambientale che, come dichiarato dal titolo della mostra – 9’/ Unlimited -, si colloca al di fuori del tempo, concentrando nel medesimo istante passato, presente e futuro. Lo stesso video viene, infatti, proiettato sulle quattro pareti con un solo secondo di scarto. Pittura mutante che l’artista ottiene attraverso un procedimento tecnico perfezionato negli anni: all’interno di una vasca immette, a diverse velocità, liquidi organici ed inorganici, colori, sostanze alimentari ed estratti vegetali, abbracciando una casualità veicolata di matrice orientale. Dopo una prima fase di ricerca, in cui le prove vengono documentate attraverso l’uso di polaroid formato 10×13 cm, ottenute con un banco ottico zenitale, si passa al lavoro vero e proprio, con esiti solo parzialmente controllabili. Dovendosi confrontare con una Collezione in cui la pittura è ampiamente rappresentata, Beatrice Pediconi sceglie di creare un vero e proprio ambiente pittorico, che si differenzia dalle sue precedenti produzioni, zen e minimali, per l’uso di una materia ricca e corposa. Bolle, accensioni luminose, iniezioni di tempera nera che entrano nel campo visivo “sporcando” nubi di panna, ritmi misteriosi generati dal silenzio, continue contaminazioni che incuriosiscono l’artista, portandola ad operare come un piccolo chimico. Non a caso, il prezioso volume che accompagna l’esposizione contiene una formula chimica elaborata appositamente da Andrew Lerwill. Libro nella concezione, opera nella realizzazione: una scatola nera per polaroid che si apre gradualmente, secondo l’idea di esplorazione connaturata alla mostra. Al suo interno, fotografie e still da video, ma anche un haiku di Momoko Kuroda ed un musical score di Lucio Gregoretti, che probabilmente non sarà mai suonato. «La musica è dentro», spie-
ga Beatrice Pediconi, «visitando questo mondo vorrei che ognuno sentisse il proprio suono: naturale, istintivo, non predeterminato…».
Info: +39 0522 382484 info@collezionemaramotti.org www.collezionemaramotti.org
Beatrice Pediconi | 9’/ Unlimited 6 ottobre 2013 – 31 gennaio 2014 Collezione Maramotti Via Fratelli Cervi 66, Reggio Emilia Orari: giovedì e venerdì 14.30-18.30, sabato e domenica 10.30-18.30, chiuso 25-26 dicembre, 1 e 6 gennaio
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Beatrice Pediconi, 9’-Unlimited, 2013, veduta della mostra, Collezione Maramotti, Reggio Emilia © Beatrice Pediconi. Foto: Dario Lasagni
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Cristina Nuñez. Senza vergogna a Casa Sponge PERGOLA (PU) | Sponge Living Space (Casa Sponge) | 16 novembre – 16 dicembre 2013 di FRANCESCA DI GIORGIO Cristina Nuñez. BUT BEAUTIFUL, veduta della mostra da Sponge Living Space. Foto: Stefano Baraghini
«Preparatevi ad opere scomode, sincere, senza vergogna» si precisa nella comunicazione e in effetti a leggere i “passaggi” biografici di Cristina Nuñez (Figueras, 1962) in mostra, dallo scorso week-end, da Sponge Living Space di Pergola c’è da crederci. Le radici militari franchiste della famiglia, l’infanzia come bambina invisibile, l’adolescenza come eroinomane e prostituta, uscire dalle droghe in comunità, immigrare in italia, sposare un fotografo, scoprire la fotografia e iniziare ad usare l’autoritratto come autoterapia, girare il mondo per diffondere il suo metodo The Self-Portrait Experience… Com’è arrivata a Casa Sponge? Semplice, ha vinto la seconda edizione del Premio Ora e l’associazione l’ha scelta per una mostra personale a cura di Carolina Lio. Per un’artista abituata a riflettere sugli aspetti più intimi dell’esperienza umana esporre in una casa vissuta rappresenta un’occasione particolare per porsi in dialogo, come ci racconta Cristina Nuñez, «con una casa antica, con una storia, e in campagna. Ho sempre voluto fare un viaggio nel tempo, immaginare come vivevano una volta. Esporre le mie foto a Casa Sponge significa stabilire un rapporto con gli spiriti della casa, gli antenati, coloro che in questo luogo hanno vissuto». Le immagini esposte fanno parte di tre progetti recenti incentrati sull’autoritratto: Someone to
love: la sua autobiografia in autoritratti, foto di famiglia, paesaggi… Higher Self, autoritratti condivisi, prodotti durante i suoi workshop di autoritratto, sul tema dell’espressione di emozioni; La Vie en Rose, il nuovo progetto in video e performance, con l’obiettivo di trovare l’amore della sua vita. Le persone fanno parte della ricerca della Nuñez a partire dalla loro consistenza fisica perché, capovolgendo il “tema” della stagione espositiva di Sponge ArteContemporanea la “Forma è sostanza”, senza mezzi termini, l’artista spagnola mira a “convertire la merda in diamanti”: «Il corpo è sacro, è sublime, non importa l’età, esprime profondamente l’essenza di quell’essere umano, in tutta la sua molteplicità e plasticità. Mostra i segni del tempo, delle vicende vissute, delle emozioni ma è anche capace di cambiare, evolvere e, ogni tanto, mostra altro, altri esseri, anche iconici, epici. Il corpo nudo ci mette a contatto con la nascita e la morte, la vulnerabilità totale, la sessualità, il riprodursi, le funzioni metaboliche come mangiare, digerire e defecare, ci porta a fare il viaggio più profondo, più perturbante». Cristina Nuñez sente anche l’incedere del tempo e la necessità che l’uomo ha di agire e di colpire nel segno:
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«Stiamo distruggendo il pianeta. Il mondo finirà in meno di 100 anni e noi non avremo capito niente, perché viviamo pensando di essere qui per fare una bella vita. No, se questo nostro mondo deve finire, noi dobbiamo essere consci, consapevoli, saggi, forti. Dobbiamo essere guerrieri, pronti al peggio, e determinati a passare tutte le prove. Dobbiamo concentrarci nella nostra evoluzione. Non dobbiamo scappare, dobbiamo affrontare tutto a partire da noi stessi. L’arte può essere uno strumento potente, incredibilmente efficace e catartico, per farci fare un viaggio verso le nostre profondità e farci riflettere su chi siamo e che cosa stiamo facendo». Una mostra coinvolgente, che non lascia spazio all’indifferenza, con opere che l’artista stessa definisce scomode, perché l’arte e la vita «rivoltano l’artista come un calzino». In questa direzione attendiamo il workshop e la performance in programma il 7 e l’8 dicembre. Cristina Nuñez. But Beautiful a cura di Carolina Lio partner: PREMIO ORA, azienda vinicola Terracruda di Fratterosa PU Sponge Living Space (Casa Sponge) Sponge ArteContemporanea Frazione Mezzanotte 84, Pergola (PU) 16 novembre – 16 dicembre 2013 Inaugurazione sabato 16 novembre ore 18.30 Orario: su appuntamento Workshop e performance: 7/8 dicembre 2013 Info: +39 339 4918011 spongecomunicazione@gmail.com www.spongeartecontemporanea.net
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Driant Zeneli alla GAM. Siamo tutti in Vitrine TORINO | GAM | 16 ottobre 2013 – 12 gennaio 2014 di GINEVRA BRIA
Rievocando il primo, cliccatissimo video di Chris Crocker (video virale dal titolo Leave Britney alone, 2007), Driant Zeneli (1983, Shkoder, Albania. Vive e lavora a Torino) presenta, alla GAM, Leave me alone. Il video, cliccato da quattro milioni di persone in soli due giorni, è stato ripreso e imitato come un format gestuale dagli utenti del canale YouTube. Il lavoro di ricerca intermediale dell’artista albanese si inserisce all’interno della terza edizione di Vitrine, il progetto dedicato alla ricerca artistica contemporanea sviluppata in Piemonte. La curatela della nuova edizione è stata affidata ad Anna Musini, che ha invitato cinque artisti a presentare un progetto capace di raggiungere con immediatezza il pubblico del museo e di instaurare dialoghi. Questa terza edizione di Vitrine, prendendo spunto da un dipinto appartenente alla Collezione GAM, di Renato Guttuso, Gente in Strada (Passaggio Pedonale), eseguito tra il 1956 e il 1957, si propone di suggerire un racconto, una narrazione visiva sul nostro tempo e sulla contemporaneità storica e artistica. L’opera cristallizza un momento, una scena rubata dalla strada, dalla quotidianità, un’immagine comune cui siamo abituati, che seppure datata 1956-1957 resta assolutamente attuale. Uno sguardo aperto sulla società e sulla realtà civile. Vitrine si sviluppa in uno spazio volutamente
non definito e di passaggio come l’atrio del museo, un’area aperta che ospita progetti artistici proprio come se i lavori venissero posti in vetrina. Una lettura e una riflessione circolare tra le due parti che trova espressione nell’arte. Gli artisti selezionati sono: Driant Zeneli, Manuele Cerutti, Alessandro Quaranta, Alis/Filliol, Felipe Aguila.
VITRINE Un progetto della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino Terza edizione: Gente in strada (passaggio pedonale) a cura di Anna Musini PRIMO APPUNTAMENTO: Driant Zeneli. Leave me Alone
A partire dal dipinto di Guttuso, Zeneli si interroga su chi sia la gente di strada oggi, e trova la risposta, fra i passanti virtuali del web, fra i navigatori di internet e gli incapricciamenti, i fad virali che spostano le masse dell’opinione pubblica giovanile. Zeneli, nel progetto esposto alla GAM, si ispira all’odierno panorama massmediatico di esibizione accessibile e di guadagno facile attraverso il web, concentrando l’attenzione sul fenomeno-Crocker. Cercando in rete, Zeneli compie una selezione, facendo provini attraverso i quali scrittura gli attori e li invita a partecipare alla sua pièce cinematografica. Il percorso dell’artista albanese investiga solitamente aspetti e meccanismi della natura umana rappresentando situazioni ironiche, momenti surreali, azioni, performance e drammi. Da ricordare che l’artista, prima di approdare alla GAM, ha vinto il Young European Artist Award, a Trieste nel 2009; l’Onufri International Contemporary Art Prize a Tirana nel 2008 e l’International Film Festival di Pesaro, nel 2007.
17 ottobre 2013 – 12 gennaio 2014 Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM) via Magenta, 31, Torino Info: +39 011 4429518 (centralino) – +39 011 4429595 (segreteria) gam@fondazionetorinomusei.it www.fondazionetorinomusei.it
Vitrine, Driant Zeneli. Foto: Biamino 75
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Esperidi… le installazioni di Giulio De Mitri da Pino Casagrande ROMA | Studio d’Arte Pino Casagrande | 5 novembre – 31 dicembre 2013 di ROBERTO LA CARBONARA Un grande bagliore, nella sospensione silenziosa dello spazio, avvolge il lavoro di Giulio De Mitri ospitato dalla galleria romana di Pino Casagrande. Tra i maggiori esponenti della light art italiana, l’artista tarantino presenta un progetto di armonioso rigore formale e sensibilità estetica: installazioni in grado di trattenere complesse implicazioni e riferimenti arcaici di matrice mediterranea e mitologica. Sin dal titolo della mostra curata da Paolo Aita, Esperidi, l’artista definisce luogo ed utopia di un notturno architettonico dove la caducità del giorno si coniuga all’eterno. Evoca le figlie della notte e dell’Oceano o di Atlante che di fronte al loro giardino sostiene la volta celeste. E ricostruisce in pieno la seduzione di quel giardino immateriale dove è la luce nei toni dell’azzurro a declinare un orizzonte visivo e memoriale. L’opera centrale, Eden, una grande circonferenza su cui si adagiano leggeri gli strali di ampie volute di seta e poliestere, emana la sua luminosità attraverso centinaia di minuscoli led azzurri qualificando la scena di una fragile solennità in cui tutto appare evanescente e
precario eppure immutabile ed eterno. Il moto circolare, al centro dell’installazione, del profilo di una farfalla conferma questa intuizione e coniuga il simbolismo della bellezza e della purezza. Così anche nella vibrazione aerea di Passaggio, la grande parete disseminata di 42 farfalle recanti ciascuna un punto luce, è la storia della trasformazione, di un divenire perenne tra nascita e fuga, tra unità e molteplicità. I riferimenti di Giulio De Mitri sono da sempre di natura trascendentale e ogni tentativo di trattenere in scultura la leggerezza aerea della luce riposiziona costantemente lo sguardo dell’artista e dell’uomo rispetto all’immensità delle distese azzurre, del mare e del cielo. Sia in Lucis, le tre stelle tridimensionali di dimensioni diverse, dipinte con smalto metallizzato di colore blu, da cui irradiano seicento corpi luminosi, che nelle nove stele di Flux, esili corpi trasparenti verticali, si percepisce l’inarrestabile tensione che volge verso l’alto e che rende ogni presenza testimone dell’assoluto. La mostra di De Mitri segna una tappa fon-
Giulio De Mitri, Eden, 2012 76
damentale nel percorso dell’artista in virtù di una armoniosa sintesi di un lavoro decennale in cui dalla scultura alla pittura, dall’installazione alla grafica d’arte e alla performance, tutto quanto appare inestricabilmente connesso e sembra ricondurre ad un’esigenza spirituale ed estetica. Senza alcuna scissione tra i due termini dell’elaborazione concettuale. Laddove l’immagine diventa immersiva ed esprime pienamente lo slancio dell’uomo verso l’azzurro dell’infinito. Giulio De Mitri. Esperidi a cura di Paolo Aita 5 novembre – 31 dicembre 2013 Studio d’Arte Pino Casagrande Via degli Ausoni 7a, Roma (San Lorenzo) Orari: da lunedì a venerdì - 17.00 / 20.00 Info: +39 06 4463480 info@pinocasagrande.com www.pinocasagrande.com
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Tre giovani artisti tra cielo, terra e… carne VERONA | La Giarina Arte Contemporanea | 26 ottobre 2013 – 15 gennaio 2014 di SIMONE REBORA Metti una mostra sospesa tra la terra e il paradiso. Mettila in mano a tre giovani artisti: tra ricami d’amore e di sangue, body parts e nubi deflagranti, la vedrai crollare nel profondo, fin sotto la pelle, dentro la carne. Ma, come per ogni caduta, nel cuore dell’abisso è anche la scintilla per la risalita. Alla galleria La Giarina di Verona, Luigi Meneghelli mette così in moto un percorso duplice e specchiante, catabasi che è anche proiezione. Nella prima stanza i tre artisti si confrontano direttamente, per poi sviluppare in autonomia i propri discorsi: sentieri divergenti ma riuniti da un bisogno comune, da una speranza (e un malessere) costante. Flurina Badel (Engadina, 1983; vive a Basilea) espone le foto del suo corpo nudo, abbandonato come resti di carne nel folto della foresta. Un desiderio di abbandono e dispersione, che si accentua nel video proiettato sulla superficie lattiginosa di una
tinozza, e poi sprofonda fin sotto la pelle, attraverso la pratica del ricamo. Negli ironici fazzoletti con sopra cucite dichiarazioni d’amore, ma soprattutto nella perfomance eseguita durante il vernissage (Under my skin II), momento anch’essa di abbandono e profferta del proprio essere, che per narrarsi implica però sacrificio, sangue versato. Sulla chiave di volta del percorso espositivo, si situano poi le creazioni di Giancarlo Lamonaca (Cortina D’Ampezzo, 1973; vive a Varna). Immagini aeree, slanciate verso e oltre il cielo: deflagrazioni di nubi che lasciano però percepire il senso di una materia ribollente, quasi nebulose informi sospese nel vuoto, da cui poi sorgeranno nuovi pianeti, stelle e galassie. Le composizioni sono esposte nell’ampia e luminosa sala finale, che ne esalta la consistenza quasi pittorica: frutto di numerosissime sovrimpressioni fotografiche, le opere di Lamonaca sembrano suggerire come proprio nell’apertura sconfina-
ta del cielo si celi un nuovo germe d’abisso. E il percorso si conclude infatti con la discesa nel sotterraneo, dove è proiettato il video Dark Diary – Mein dunkles Tagebuch di Lissy Pernthaler (Bolzano, 1983; vive tra Berlino e l’Alto Adige). L’avevamo già incontrata nella prima sala, con le sue immagini disturbanti, legate al consumo smodato del cibo e allo smembramento del corpo. Qui il discorso è sviluppato ulteriormente, in una complessa narrazione a tre canali: ma proprio al momento di sprofondare nell’abisso delle pulsioni, quando la foresta si fa folta e irrespirabile, uno squarcio di luce si offre inatteso, impulso a risalire infine quel sentiero segreto, sospeso Between Heaven and Earth. Between Heaven and Earth Flurina Badel, Giancarlo Lamonaca, Lissy Pernthaler a cura di Luigi Meneghelli 26 ottobre 2013 – 28 gennaio 2014 La Giarina Arte Contemporanea Via Interrato Acqua Morta 82, Verona Orari: dal martedì al sabato 15.30 – 19.30 e su appuntamento Info: +39 045 8032316 info@lagiarina.it www.lagiarina.it
In alto: Between Heaven and Earth - Opening con performance di Flurina Badel, Under my skin II - sabato 26 ottobre. foto: Anto/Fotoland. Courtesy La Giarina Arte Contemporanea Giancarlo Lamonaca, Nube_#21, 2013, stampa a pigmenti su carta cotone, cm 120x120. Courtesy La Giarina Arte Contemporanea, Verona 77
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“Visitors & Natives”: le scarpe e i talenti di domani in mostra a Vigevano VIGEVANO (PV) | Museo Internazionale della Calzatura “Pietro Bartolini” - Castello Sforzesco | 14 settembre – 10 dicembre 2013 di SILVIA CASAGRANDE
«Non giudicare il tuo vicino finché non avrai camminato per due lune nelle sue scarpe». Così sentenziavano i Nativi d’America, anticipando visioni contemporanee sull’ingerenza delle calzature nella costruzione identitaria dell’individuo. Da quando gli abiti non vollero più saperne di toccare il suolo, le scarpe, “piano terra” dell’edificio stilistico, hanno iniziato a contribuire alla progettazione di mode e a definire lo stato d’animo di un’epoca, talvolta offuscando l’importanza dell’abito stesso.
una ragazza le scarpe giuste – assicurava Marilyn Monroe – e conquisterà il mondo!”
Da accessorio, dunque secondario e complementare, sono diventate con il tempo elementi primari dotati di autonomiaformale e oggetti da esposizione. Con questo spirito il Museo Internazionale della Calzatura del Comune di Vigevano, con il patrocinio di Assocalzaturifici e della Provincia di Pavia, ha organizzato la mostra Visitors & Natives: le scarpe e i talenti del domani, una vetrina prestigiosa per giovani designers con l’ambizione di diventare nel tempo un appuntamento annuale. Visitors and Natives propone le calzature di cinquanta giovani designers di talento, divisi tra “Natives”, italiani, e “Visitors”, stranieri. Alcuni autori sono già noti, come Sarah Flint, affermata negli Stati Uniti con il marchio che porta il suo nome, o Heather Williams, che ha realizzato collezioni per brand importanti come Reebok, Calvin Klein e Tommy Hilfiger; altri invece, come la designer Shaowei Wu, sono agli esordi suggerendo però percorsi promettenti.
Designers: Benjamin Adams, Liza Åslund, Rosanne Bergsma, Kary Chaudhry, Breno Cintra, Liz Ciokajlo, Maco Custodio, Dukas, Adil Dzouzi, Sarah Flint, Stephanie Hensley, Kron Kron, Jenna Lievonen, Vera Meijwaard, Gio Metodiev, Iva Minkova, Geisa Polina, Anastasia Radevich, Zuzana Serbáková, Jan Taminiau, Deniz Terli, Eniko Toth Kern, Anne Vaandrager, Shaowei Wu, Michelle Wu, Heather Williams, Rohini Yadav, Mauro Bracalente, Edy Cardinali, Isabella Cascianelli, Francesca Castagnacci, Antonio Cesaro, Simona Citarella, Alice Coppola, Graziana De Girolamo, Pietro Paolo Del Prete, Charline De Luca, Salvatore Grasso, Giulia Leonardi, Giorgio Properzi, Paolo Ronga, Giulia Signorini, Vincenzo Somarelli, Gianluca Tamburini, Sara Tognacci, Simone Traini, Andrea Sara Trezzi, Matteo Vanzolini
Ottanta scarpe-opere d’arte da guardare e da indossare. Scarpe per percorrere nuove strade che, tra arte e funzione, spostano l’attenzione dall’insieme al particolare, come a ricordarci che nel nostro tempo il senso non è più nei grandi significati ma nel dettaglio sensibile, nel frammento. Ci sono state stagioni che hanno pressoché ignorato le calzature: un semplice “attacco a terra” dai volumi minimi, quasi invisibile e secondario rispetto ai piani superiori – gli abiti – ai quali si intonavano per sudditanza. Ora invece la totalità moderna ha ceduto il posto al frammento postmoderno e il senso si è parcellizzato, forse, per l’impossibilità di uno sguardo complessivo o forse perché la scarpa, senza richiamare l’attenzione direttamente sul corpo, rappresenta un’estensione del sé meno ingombrante dell’abito. Comunque sia: “date a
Visitors & Natives. Le scarpe e i talenti del domani a cura di Museo della Calzatura del Comune di Vigevano con il patrocinio di Assocalzaturifici e della Provincia di Pavia e Assessorato alla Valorizzazione Culturale del Comune di Vigevano
14 settembre – 10 dicembre 2013
Scarpe di Vincenzo Somarelli
Museo Internazionale della Calzatura “Pietro Bartolini” Scuderie Ducali - Castello Sforzesco Piazza Ducale XX – Castello Sforzesco; accesso disabili da Corso della Repubblica e Via del Popolo, Vigevano (PV) Orari: martedì-venerdì 14.00-17.00; sabato, domenica e festivi 10.00-18.00 (col ripristino dell’ora solare la chiusura è alle 17.30); chiuso lunedì Ingresso libero. Scuole su prenotazione Info: +39 0381691636 infopointcastello@comune.vigevano.pv.it www.comune.vigevano.pv.it https://www.facebook.com/VisitorsAndNatives
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Scarpe di Giulia Leonardi
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Fumetto
Il sogno tra le sbarre. L’arte di Guido Crepax a San Vittore MILANO | Carcere di San Vittore | 19 novembre – 12 dicembre 2013 di FRANCESCA CAPUTO È la prima volta che l’arte di Guido Crepax entra nel Carcere di San Vittore a Milano, con Il sogno tra le sbarre, la mostra-vendita aperta al pubblico dal 19 novembre al 12 dicembre 2013. Le adesioni hanno superato le aspettative e non si esclude l’aggiunta di nuove date a gennaio 2014. Gli spazi angusti dello storico IV raggio, oggi in disuso e in attesa di restauro, sono ri-animati dai suoi personaggi più noti: Bianca, Belinda, Anita, Dracula, Dr Jekyll, Casanova e, naturalmente, Valentina. Memorabilia, tracce estratte da recenti mostre prodotte e organizzate dall’Archivio Crepax – a Palazzo Reale di Milano, Guido Crepax: ritratto di un’artista, a Palazzo Incontro di Roma, Valentina Movie – per dare vita a una inedita e speciale esposizione, con un allestimento altamente scenografico e di impatto emotivo. Sono circa cento le gigantografie, pannelli, sagome a grandezza naturale, copie autenticate delle tavole illustrate. Esemplari unici, anche se riproduzioni. Metà del ricavato delle vendite, per volontà dell’Archivio Crepax, servirà a finanziare le attività della Sartoria San Vittore. Il fashion brand, nato dalla collaborazione tra Cooperativa Alice e la stilista Rosita Onofri, che racchiude un progetto sociale e imprenditoriale. Costituito da laboratori di moda (due interni alle sezioni femminili di San Vittore e Bollate, e uno esterno dove lavorano persone in misura alternativa e a fine pena) che, dal 1992, impegnano detenute ed ex detenute, in percorsi di formazione e produzione sartoriale, reinserendole nel tessuto lavorativo; insegnando loro un mestiere. È questo il valore aggiunto dell’inconsueta rassegna, frutto di condivisioni e sinergie. Sviluppando un’intuizione della giornalista Francesca Brunati e dell’avvocato Alessia Egidi, la realizzazione si deve a una cooperazione tra l’Archivio Crepax, Sartoria San Vittore e Direzione del Carcere di San Vittore, sensibile all’idea di un carcere aperto. Le riproduzioni delle opere di Crepax acquistate, potranno essere ritirate a mostra conclusa nella boutique Sartoria San Vittore a Milano, dove, oltre alla collezione del marchio, si può trovare la linea di maglieria e orecchini, creata per l’occasione, che richiama il mondo di Valentina. La mostra ospitata in San Vittore, trasformando una struttura penitenziaria in sede museale temporanea, innesca un processo di connessione tra mondo interno ed esterno. Il particolare contesto in cui si trovano le opere di Crepax ci insegna a sentire sulla nostra pelle, a guardare per comprendere, come si vive negli ambienti carcerari, cosa significa davvero il sovraffollamento, la chiusura.
Crepax, allestimento “Il sogno tra le sbarre”. Foto di Emanuele Bestetti per Archivio Crepax. Per gentile concessione ARCHIVIO CREPAX
Innesca un dialogo tra i visitatori e alcuni detenuti, formati dall’Archivio Crepax, che conducono insieme ai figli dell’artista le visite guidate. Determina un’opportunità per la popolazione carceraria di conoscere la sua produzione artistica. La visita è un percorso di esperienza. Dopo aver depositato carta d’identità e qualsiasi strumento tecnologico, si è accompagnati in gruppo dalle guardie penitenziare. Attraverso un labirinto di cancelli si entra in un ambiente dalle volte amplissime, con affreschi corrosi dall’umidità. Una scala, stretta e fatiscente, conduce al IV raggio. Appena entrati, è impressionante il cortocircuito tra l’eleganza del segno grafico di Crepax e gli ambienti desolati, le celle claustrofobiche, dove non esiste intimità. Si stenta a credere che, fino a qualche anno fa, questi luoghi fossero vissuti. Sconvolge avvicinarsi alle sbarre delle finestre e vedere altre celle illuminate, abitate. L’allestimento attiva un gioco di sovrapposizioni percettive e di senso, le opere di Crepax diventano il transfert tra il mondo esterno che si immagina al sicuro e le stratificazioni di cui sono intrise le pareti delle celle. Resti di graffiti, scritte (la più frequente è la parola “libertà”), cartoline, immagini sacre, ritagli sgualciti di riviste (paesaggi, vedute marine, automobili, calciatori, alcune ricette di cucine, qualche donna seminuda) e qua e là grossi fogli di carta sui muri a contenere gli intonaci gonfi. Una volta fuori, l’immediatezza delle percezioni non si dirada. Al termine di questo sogno tra le sbarre, ci si sente come Valentina al risveglio dalle sue incursioni nel mondo onirico, dove esplora costan-
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temente se stessa. Parte di questo sogno resta impresso alle nostre coscienze. Portiamo con noi la testimonianza della vita dentro. IL SOGNO TRA LE SBARRE. Memorabilia dalle ultime mostre di Guido Crepax per un’esposizione nel Quarto raggio di San Vittore a cura di Archivio Crepax Casa Circondariale di San Vittore Piazza Filangieri 2, Milano Visite guidate: giovedì 21, martedì 26, giovedì 28 novembre / martedì 3 e giovedì 5 dicembre / martedì 10 e sabato 12 dicembre con la possibilità di aggiungerne altre in gennaio, dopo la pausa natalizia Ogni visita avrà regole precise, dettate anche da questioni di sicurezza Per prenotarsi: inviare una mail a crepax.sv@ libero.it., con la scansione del proprio documento di identità Per ulteriori informazioni: Antonio Crepax – +39 335 298335 – antonio@ guidocrepax.it avv. Alessia Egidi – +39 334 1929576 – alessia. egidi@studiolegalelm.it A mostra conclusa, per il ritiro delle opere acquistate: Sartoria San Vittore Via Terraggio 28, Milano www.sartoriasanvittore.com
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