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Cover Artist Frida Kahlo Speciale le grandi mostre d’autunno
Open Studios Giuliano Dal Molin
Arte & impresa Bruno Guidi
Tre Visioni Contemporanee Marinella Senatore, Gabriella Ciancimino, Chiara Mu 1
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ESPOARTE DIGITAL #85 ½ Espoarte Digital è un progetto editoriale di Espoarte in edizione esclusivamente digitale, tutto da sfogliare e da leggere, con i migliori contenuti pubblicati sul sito www.espoarte.net e molti altri realizzati ad hoc.
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Cover
Frida Kahlo, Autoritratto con scimmie, 1943, olio su tela, cm 81,5x63. The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and The Vergel Foundation, Cuernavaca. © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo. Museums Trust, México D.F. by SIAE 2014
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85 ½
5 Le grandi mostre d’autunno a cura di Matteo Galbiati ESPOARTE Registrazione del Tribunale di Savona n. 517 del 15 febbraio 2001 Espoarte è un periodico di arte e cultura contemporanea edito dall’Associazione Culturale Arteam. © Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l’autorizzazione scritta della Direzione e dell’Editore. Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile alla redazione per la pubblicazione di articoli vanno inviati all’indirizzo di redazione. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista. Tutti i materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti.
Editore Ass. Cult. Arteam
# Escher, Rauschenberg, Jeff Koons, Ileana Sonnabend, Pintoricchio, Rinascimento, Manzù / Marino, Luigi Russolo, Marc Chagall, Max Klinger, Barocco, Van Gogh, Giacometti, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, Macchiaioli, Caffè Michelangiolo, Carlo Scarpa, Collezione Reverberi, Dosso Dossi, Not Vital, San Sebastiano, Felice Casorati, Magnum, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour, Tutankhamon, Caravaggio, Van Gogh, Azimut/H. All’interno: Frida Kahlo e Diego Rivera di Valeria Barbera MAN Ray a Villa Manin. Una mostra enciclopedica, oltre le “icone” intervista a GUIDO COMIS ed ANTONIO GIUSA di Francesca Di Giorgio
Direttore Editoriale Livia Savorelli
30 Open Studios
Publisher Diego Santamaria
Giuliano Dal Molin. Porte per la mente intervista di Gabriele Salvaterra
Direttore Web Matteo Galbiati Segreteria di Redazione Francesca Di Giorgio Valeria Barbera Direttore Responsabile Silvia Campese Redazione via Traversa dei Ceramisti 8/b 17012 Albissola Marina (SV) Tel. +39 019 4004123 redazione@espoarte.net Art Director Elena Borneto Redazione grafica – Traffico pubblicità villaggiodellacomunicazione® traffico@villcom.net Pubblicità Direttore Commerciale Diego Santamaria Tel. 019 4500659 iphone 347 7782782 diego.santamaria@espoarte.net
36 Arte & Impresa Marco Lodola e Jill Mathis. Arte e impresa si incontrano a Genova per il Salone Nautico intervista a BRUNO GUIDI di Valeria Barbera
40 Design | Gioielli Gioielli da indossare, mangiare, contemplare intervista a Barbara uderzo di Gabriele Salvaterra
44 Progetti Continua la lunga estate di Dolomiti Contemporanee Intervista a GIANLUCA D’INCÀ LEVIS di Valeria Barbera
50 TRE VISIONI CONTEMPORANEE Marinella Senatore | Gabriella Ciancimino | Chiara Mu a cura di Daniela Trincia
Ufficio Abbonamenti abbonamenti@espoarte.net
Hanno collaborato a questo numero: Valeria Barbera, Francesca Di Giorgio, Matteo Galbiati, Gabriele Salvaterra, Daniela Trincia
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le grandi mostre d’autunno a cura di MATTEO GALBIATI
Torniamo, con questa rubrica a segnalare le grandi mostre, riassumendone brevemente i contenuti, che costellano i principali spazi espositivi e musei italiani. Con piacere registriamo la rilevante ricchezza di offerte e proposte che non mancheranno di accontentare anche il pubblico piĂš esigente. Tra antico e contemporaneo, percorriamo il calendario degli eventi in programma cercando di riportarne gli argomenti e le scelte condotte rispetto ai contenuti specifici, che contraddistinguono i singoli progetti. In questo spazio ci limiteremo a suggerire alcune delle mostre che abbiamo ritenuto di maggior rilievo e interesse e lasceremo, invece, al nostro lettore, che andrĂ a visitarle, il giudizio ultimo sulle singole proposte. Con la speranza che aspirazioni e aspettative vengano confermate e trovino soddisfazione nella verificata qualitĂ delle singole esposizioni.
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visto in Cover
Frida Kahlo e Diego Rivera di Valeria Barbera
“Ho avuto due gravi incidenti nella mia vita. Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto, l’altro fu Diego» _Frida Kahlo La mostra Frida Kahlo e Diego Rivera inaugurata lo scorso 20 settembre a Genova potrebbe essere interamente racchiusa in questa frase scelta come emblema del progetto. La narrazione dell’incontro/scontro amoroso e artistico tra due degli autori più celebri e celebrati della storia dell’arte messicana e mondiale si snoda tra le sale di Palazzo Ducale. L’esposizione però non racconta solo l’evoluzione della carriera di Frida e Diego Rivera, bensì si propone di illustrare il lato più intimo di una coppia divenuta una vera e propria icona, grazie ad autoritratti, tele e disegni in cui l’uno
rappresenta l’altra, i ritratti di mecenati e amici: oltre 130 le opere dei due artisti insieme per la prima volta in Italia. La storia di Frida Kahlo e Diego Rivera ha assunto ormai i contorni di una vera e propria leggenda, in cui solitamente la vera protagonista è la Kahlo la cui forza espressiva negli anni ha quasi oscurato l’opera dell’allora ben più celebre compagno. La mostra di Palazzo Ducale cerca di andare oltre ciò che del loro privato già conosciamo – gelosie, tradimenti reciproci, il divorzio e i due matrimoni – comprendendo
Martin Munkácsi, Diego e Frida, 1934, stampa in gelatina d’argento, cm 35,6x27,9. Cuernavaca, The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art
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Frida Kahlo, L’amoroso abbraccio dell’universo, la terra (Messico), io, Diego e il signor Xolotl, 1949, olio su tavola, cm 70x60,5. The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and The Vergel Foundation, Cuernavaca. © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust, México D.F. by SIAE 2014
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nella narrazione della loro opera artistica le battaglie politiche, la cerchia di artisti e intellettuali che erano soliti frequentare, da Picasso a Breton, i contatti con gli uomini più ricchi e influenti del pianeta, da Rockefeller a Trotzsky. Insomma restituire alla spettatore uno sguardo più completo delle vicende che li hanno resi allora e oggi un vero emblema dello spirito e dell’arte
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messicana. Grazie alla curatela della massima esperta internazionale, Helga Prignitz Poda e la collaborazione al progetto della pronipote di Frida, Cristina Kahlo, e del nipote di Diego, Juan Coronel Rivera, la mostra intende restituire una lettura inedita di due artisti di cui molto
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“A che mi servono i piedi, se ho ali per volare?” _Frida Kahlo “Non manca in quest’arte anche quella goccia di crudeltà e umorismo che consente di miscelare tra loro i preziosi poteri che insieme formano la pozione magica del Messico... L’arte di Frida Kahlo Rivera è un nastro colorato attorno a una bomba.” _André Breton
Frida Kahlo, Ritratto di Diego Rivera, 1937, olio su tela, cm 46x32. The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and The Vergel Foundation, Cuernavaca. © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo, Museums Trust, México D.F. by SIAE 2014 Diego Rivera, Ritratto di Cristina Kahlo, 1934, pastello su carta, cm 61,6x47,6. The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and The Vergel Foundation, Cuernavaca. © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo, Museums Trust, México D.F. by SIAE 2014 Frida Kahlo e Diego Rivera, veduta della mostra, Palazzo Ducale, Genova
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Frida Kahlo e Diego Rivera, veduta della mostra, Palazzo Ducale, Genova
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è stato detto e scritto. Un nuovo punto di vista sullo stretto legame tra la loro arte, la loro turbolenta vita insieme e le loro frequentazioni viene costruito attraverso opere, documenti, frammenti che l’esposizione compone come infinite tessere di un mosaico, mutevole e ancora in fase di completamento, che raffigura due personalità così complesse. Numerose anche le foto esposte, testimonianze di importanti fotografi, come Nickolas Muray, Manuel e Lola Alvarez Bravo, Florence Arquin e Leo Matiz e, poi ancora, una serie di filmati d’epoca che ricostruisce l’intimità della coppia nella loro quotidianità. Frida e Diego si offrono alla macchina fotografica sia nei momenti privati che in quelli istituzionali, ben consapevoli di come questo avrebbe contribuito ad aumentare il loro mito rendendoli vere e proprie star contemporanee; Frida in particolare amava quelle messe in scena in bilico tra verità e finzione, occasioni in cui poteva interpretare la persona che avrebbe voluto essere e l’artista che si augurava di diventare. La mostra ripercorre il destino della coppia partendo dal principio: quando Diego Rivera, 42 anni, incontrò Frida lei aveva poco più di vent’anni. Lui, artista affermato con alle spalle 7 anni di Accademia e 14 di perfezionamento in Europa, due anni dopo il loro matrimonio nel 1929 ebbe una mostra personale al MoMa di
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New York; i suoi murales sugli edifici pubblici del Messico narravano la storia del suo Paese. Frida, invece, autodidatta, ebbe la sua prima personale newyorkese solo 9 anni più tardi e le sue opere non raccontavano la storia collettiva di un popolo, bensì la sua personale contro la malattia, la solitudine e le sue paure. Una storia tanto personale da divenire però universale, attraversando il tempo in modo più inciso rispetto all’opera di Rivera, uomo e artista che incarnava le istanze del suo tempo: la rivoluzione di Frida, che ancora oggi la rende la sua opera così contemporanea, è proprio quella di aver trasformato elementi estremamente privati in qualcosa di pubblico e di urgente da comunicare. Così urgente da essere ancora contemporaneo. Il percorso mette a confronto le reciproche influenze e la maniera in cui l’uno tendeva a raffigurare l’altra. Frida Kahlo e Diego Rivera a cura di Helga Prignitz-Poda, Christina Kahlo e Juan Coronel Rivera 20 settembre 2014 – 8 febbraio 2015 PALAZZO DUCALE Piazza Giacomo Matteotti 9, Genova Info: www.fridakahlogenova.it www.palazzoducale.genova.ita
Riflessioni e memorie dal Medio Oriente
Dal 16 ottobre 2014 al 6 gennaio 2015 Spazio Arte CUBO
Porta Europa P.zza Vieira de Mello, 3 - Bologna
Venerdì 21 novembre ore 18.00 incontro e dibattito con Siniša Vlajković e Zoltán Somhegyi.
www.cubounipol.it
Lo Spazio Arte di CUBO presenta la personale fotografica di Siniša Vlajković, una raccolta di memorie e riflessioni sul Medio Oriente curata da Zoltán Somhegyi. Con la mostra “OUt Of tiME” CUBO inaugura iN-CUB-AZiONi, un nuovo percorso dedicato all’esplorazione della scena d’arte internazionale.
Siniša Vlajković
Out Of time
sarĂ presente a
ART VERONA 2014 9 -13 Ottobre PAD. 12 STAND H8
CONTEMPORARY ISTANBUL Istanbul Convention & Exhibition Center
13 -16 Novembre HALL 2 BOOTH LK 605
Robert Pan, Rapsodia, 2006-2014
www.galleriagiovannibonelli.it
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le grandi mostre d’autunno
ESCHER Al Chiostro del Bramante, in collaborazione con la Fondazione Escher e grazie ai prestiti provenienti dalla Collezione Federico Giudiceandrea, si potranno ammirare, fino al prossimo febbraio, centocinquanta opere di Maurits Cornelis Escher (1889-1972), semplicemente conosciuto come Escher, che, tra capolavori più noti e opere meno conosciute, proiettano il nostro sguardo nel pieno del mondo visionario di questo artista. Di Escher più che parlare di artista bisognerebbe riferirsi a lui come ad un compiuto intellettuale ed è proprio su questa sua attitudine che ci si è basati per tessere i contenuti e le scelte critico-scientifiche di questo progetto. Il pubblico, infatti, potrà esplorare quel suo tipico sguardo che, in altro modo, provava a raccontare la bellezza della natura e del visibile lasciando sempre emergere, in modo più o meno marcato, il fascino per quella regolarità geometrica che sa sempre diventare ed esprimere una grande magia e un gioco incantato. Il meraviglioso, l’inconsueto, la fantasia dominano le sue opere che, nate tanto nella mente quanto nel cuore, colgono la realtà in un reticolo geometrico il quale lascia accedere, poco alla volta, alle qualità delle sue immagini interiori. La suggestione del disegno fa raccontare ad Escher la compenetrazione di vari aspetti che vanno da una visione simultanea di mondi diversi al continuo passaggio tra tridimensionalità e bidimensionalità, dalle ricerche sulla Gestalt alle implicazioni matematico-geometriche insite nelle sue opere, dalle leggi sulla percezione visiva alle connessioni della sua opera con la società del suo tempo. Il percorso della mostra si arricchisce anche di altri capolavori che, messi in comparazione, portano la testimonianza di artisti come Duchamp, de Chirico, Balla e Patella. ROMA | Chiostro del Bramante 20 settembre 2014 – 22 febbraio 2015 www.chiostrodelbramante.it
Maurits Cornelis Escher, Nastro di Möbius II, 1963, xilografia colorata, cm 45,3x20,5. Collezione Federico Giudiceandrea. All M.C. Escher works © 2014 The M.C. Escher Company. All rights reserved 12
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le grandi mostre d’autunno
DA RAUSCHENBERG A JEFF KOONS. LO SGUARDO DI ILEANA SONNABEND Ileana Sonnabend (1914-2007) è certamente stata, con Peggy Guggenheim, tra i più grandi ambasciatori e talent scout dell’arte della seconda metà del ‘900 e, dopo il successo della mostra della scorsa primavera al MoMA di New York, torna protagonista di un’esposizione in Italia in cui se ne mette in risalto lo straordinario sguardo e intuito. Alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro – dal 2013 la Fondazione Musei Civici di Venezia ha in deposito a lungo termine la Sonnabend Collection – ripropone una selezione di opere della collezione che, periodicamente, vengono esposte al pubblico qualificando ulteriormente le proprie collezioni permanenti. Una settantina di lavori ripropongono le scelte che la Sonnabend attuò privilegiando artisti che, sostenuti in memorabili esposizioni presso le sue gallerie, fossero espressione dei linguaggi più sperimentali. Tra grandi nomi dei protagonisti del ‘900 – come Rauschenberg, Warhol, Lichtenstein,
Morris, Lewitt, Kiefer o Koons – si apre anche una sezione particolare dedicata alle opere dell’Arte Povera italiana, a dimostrazione di come la Sonnabend, da collezionista, gallerista e mentore appassionata, abbia saputo incrociare le diverse esperienze artistiche diffondendo pionieristicamente l’arte americana in Europa e, al contrario, contibuendo a diffondere l’arte europea in America. Le sue gallerie divennero presto punto di riferimento fondamentale di conoscenza e verifica delle nuove istanze artistiche. Il pubblico assapora in questa mostra uno spunto, particolare e personale, di un percorso storico del ‘900 che introduce a quell’avvicendamento dei percorsi espositivi dedicati al moderno che l’istituzione veneziana ha in atto. VENEZIA | Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna 31 maggio 2014 – 4 gennaio 2015 http://capesaro.visitmuve.it/
Roy Lichtenstein, Little Aloha, 1962, acrilico su tela, cm 112x107 © Sonnabend Collection, New York, © Estate of Roy Lichtenstein, by SIAE 2014 13
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PINTORICCHIO. LA PALA DELL’ASSUNTA DI SAN GIMIGNANO E GLI ANNI SENESI La Pinacoteca Civica di San Gimignano dedica un’interessante mostra al pittore umbro Bernardino di Betto, meglio conosciuto come il Pintoricchio, la quale avvia un progetto più allargato che, con cadenza annuale, proporrà, di volta in volta, un approfondimento critico e storico specificatamente dedicato ai capolavori dei maestri presenti nelle proprie collezioni. La mostra, cui ha lavorato un comitato scientifico d’eccezione, percorre con un numero ridotto di pezzi, ma attentamente selezionati, la traccia di quel percorso artistico e storico che ha segnato con testimonianza di grande rilievo il patrimonio storico e artistico di San Gimignano.
La Pala dell’Assunta costituisce un esempio indicativo di quelle convergenze storiche, politiche, economiche e sociali, non meno che artistiche e culturali, che, in quella fioritura straordinaria della stagione rinascimentale a Firenze e a Siena, ha compreso e influito anche su San Gimignano, centro equidistante tra le due grandi città. La stupenda pala del Pintoricchio suggerisce un intenso messaggio religioso che vuole indicare come, già in vita, ci sia la possibilità di conquistare la dimensione celeste dell’esistenza rivolgendo lo sguardo al carisma monastico. La città con i suoi traffici ordinari resta lontana, mentre si privilegia il dialogo tutto ascetico che si instaura tra la Madonna e i santi
a cui appare, isolati in una dimensione di grande trasporto mistico. L’opera, dipinta tra l’ottobre 1510 e il febbraio 1512 per il monastero di Santa Maria Assunta a Barbiano, nei pressi di San Gimignano, è l’ultima opera documentata di Pintoricchio, che muore nel 1513 a Siena, dove è sepolto nella Chiesa di San Vincenzo in Camollia, e si affianca in questa circostanza anche ad altre diverse opere dell’ultima stagione creativa dell’artista provenienti da altri importanti realtà museali. SAN GIMIGNANO (SI) Palazzo Comunale, Pinacoteca 6 settembre 2014 – 6 gennaio 2015
Bernardino di Betto detto il “Pintoricchio”, La Vergine Assunta tra i Santi Gregorio Magno e Benedetto, oro, tempera su tavola, Pinacoteca civica di San Gimignano 14
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RINASCIMENTO
Il progetto Rinascimento non consiste in una sola mostra, ma si suddivide in tre episodi distinti che, per sei mesi, faranno rivivere questo periodo non solo attraverso le opere esposte, ma anche aprendo un calendario di altri eventi e appuntamenti che riguarderanno e coinvolgeranno tutta la città di Brescia e le sue istituzioni culturali. Rinascimento dentro e fuori dal Museo di Santa Giulia, quindi, per riscoprire e vivere la città, attraverso l’arte che diventa vera e propria esperienza. Protagonisti principali sono quattro grandi maestri – Giorgione e Savoldo, Fra Bartolomeo, Raffaello – le cui opere, dal patrimonio ricco della Pinacoteca Tosio Martinengo, si metteranno a confronto con le opere provenienti da altri musei, nazionali e internazionali, che hanno voluto condividere questo progetto, vero e proprio programma culturale complessivo, del museo bresciano.
Le tre piccole mostre-studio sono importanti e preziose occasioni per ammirare e approfondire i temi proposti grazie anche ad un percorso espositivo coinvolgente, innovativo e tecnologico che si avvale di utili supporti interattivi grazie ai quali il pubblico ha modo di entrare meglio nel novero dei contenuti scientifici, critici e iconografici proposti. Giorgione e Savoldo. Note di un ritratto amoroso (12 settembre – 9 novembre 2014), Fra Bartolomeo. Sacra famiglia a modello (20 novembre 2014 – 18 gennaio 2015) e Raffaello. Opera prima (29 gennaio – 6 aprile 2015) sono i tre titoli delle esposizioni messe al centro dell’intero progetto e da cui si vuole avviare un modo nuovo di leggere i capolavori delle collezioni dei nostri musei che, analizzate e confrontate in una visione mirata e scientifica, intendono guidare la conoscenza ad un allargamento ulteriore della prospettiva storiografi-
ca insita nelle stesse scelte attuate. Altro momento importante di riflessione è costituito anche da Svelare l’Arte, altra importante mostra che propone la ricerca storica e storico-artistica mossa dai Musei Civici che qui presentano i dipinti della Pinacoteca oggetto di recenti studi, scoperte e restauri. BRESCIA | Museo di Santa Giulia 12 settembre 2014 – 6 aprile 2015 www.bresciamusei.com
Raffaello Sanzio, Angelo, 1500-1501, olio su tavola su tela, cm 31x27, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia 15
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MANZÙ / MARINO. GLI ULTIMI MODERNI Per la prima volta con questa mostra si porta la scultura nella Villa dei Capolavori che, sede della Fondazione Magnani Rocca, già ospita nella propria collezione permanente numerosi capolavori dei più grandi scultori italiani dell’Ottocento. S’incontra ora la grande tradizione scultorea del Novecento con due dei suoi rappresentati più indicativi quali Giacomo Manzù e Marino Marini, autori che negli anni Cinquanta e Sessanta, dopo il successo in patria, diventano rappresentanti dell’arte italiana a livello internazionale. Interpretando le forme della scultura figurativa classica secondo un’accezione stilistica individuale, hanno saputo cogliere il senso e il valore di un linguaggio che ancora poteva parlare dell’uomo e della sua condizione. Novanta fra sculture, dipinti e grafiche dei due artisti, tra il 1945 e il 1970 documentano, oltre alla condivisa affermazione della comune pratica artistica,
tanto le analogie quanto le differenze proprie dello stile dei due autori. Dai ritratti al tema della danza, dalla questione della serialità all’affermazione internazionale, lo sguardo percorre mirabili esempi di capolavori che testimoniano le posizioni raggiunte dagli artisti con le rispettive ricerche. Questa esposizione rilegge la loro attività ed è occasione per un’accurata revisione scientifica degli studi fin qui condotti che, grazie all’intervento critico di prestigiosi studiosi, rendono il catalogo un eccellente strumento di analisi e lettura dei contenuti dell’approfondita e intensa ricerca che ha portato alla realizzazione della mostra. MAMIANO DI TRAVERSETOLO (PR) Fondazione Magnani Rocca 13 settembre – 8 dicembre 2014 www.magnanirocca.it
Marino Marini, Il trovatore, 1950, olio su tela, cm 100x80 16
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LUIGI RUSSOLO. AL DI LÀ DELLA MATERIA Questa mostra, che presenta cinquanta opere tra dipinti, disegni e grafiche, è certamente tra le più significative dedicate a Luigi Russolo (1885-1947), di cui qui si legge e riassume l’intero percorso dal periodo simbolista a quello classico-moderno. Personalità tra le più profonde e interessanti del Futurismo Italiano, di Russolo si riporta un’ampia panoramica delle attività che ne hanno affermato l’elaborato pensiero e riflessione di cui si cerca di testimoniare, in questa occasione, più che l’apparente discontinuità e frattura, la stretta continuità tematica vissuta, ad esempio, attraverso un elemento intenso e rilevante come quella della spiritualità, motivo questo che resta costante in tutta la sua produzione. Integrano l’analisi di questo ricco percorso anche le letture di Russolo, le sue riflessioni contenute nel trattato Al
di là della materia e di cui i diari, ritrovati di recente, rappresentano laboratorio sperimentale che ne anticipa la preparazione. L’iniziativa, curata da Mara Folini, direttrice del Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona, con Anna Gasparotto e Franco Tagliapietra, riunisce opere che provengono da importanti istituzioni museali quali il Kunstmuseum di Basilea, il Mart di Trento e Rovereto, la Galleria degli Uffizi di Firenze, la raccolta del Comune di Portogruaro, il Musée de la Ville de Paris, oltre, naturalmente, a prestiti di collezioni private. Di Luigi Russolo questo progetto espositivo vuole offrire e raccontare la personalità sfaccettata di artista poliedrico e versatile che, in tutta la sua esistenza, ha provato a far convergere in un’armonica sintesi ideale tanto la razionalità scientifica, quanto il fascino per l’irrazionale e
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l’esoterico, oltre alla critica al materialismo e al positivismo. In mostra viene esposta anche una ricostruzione di un Intonarumore, celebre invenzione di Russolo del 1913 con cui “intonare” la nuova musica Futurista, rimando e richiamo ai rumorisuoni della modernità. ASCONA (SVIZZERA) Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona 14 settembre – 7 dicembre 2014 www.museoascona.ch
Luigi Russolo, Convivio (Vecchi castagni), 1945, olio su compensato. Courtesy Galleria MAG Como
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MARC CHAGALL. UNA RETROSPETTIVA 1908-1985 La mostra dedicata a Marc Chagall (18871985), curata da Claudia Zevi con la collaborazione di Meret Meyer, porta a Milano una delle più grandi – la maggiore tra quelle proposte in Italia – e intense retrospettive dedicate ad un artista che, con il suo linguaggio di universale bellezza, riesce a conquistare da sempre un pubblico vario ed eterogeneo. La ricerca posta alla base di questo progetto cerca di risolvere due interrogativi: il primo vuole trovare risposte sullo stile di Chagall che, pur partecipe delle Avanguardie, ha saputo mantenersi saldamente radicato alla propria coerenza, dall’altra parte, il secondo, vuole sondare le ragioni di una poesia che, tanto personale e ancorata alle proprie tradizioni, è riuscita a superare le più tragiche circostanze storiche della sua epoca. Ben 220 opere compongono un’esposizione che, vantando prestigiosi prestiti e prevalentemente composta da dipinti, copre, dal 1908, data di Le petit salon il suo primo dipinto, al 1985, con le ultime opere monumentali,
l’intero arco biografico e artistico dell’artista russo. Queste opere, dalle collezioni degli eredi e con capolavori dei maggiori musei del mondo, guardano ad una nuova interpretazione del linguaggio di Chagall che, in un percorso cronologico suddiviso in sezioni, da artista in perenne esilio ha mantenuto sempre uno sguardo disincantato, onirico e dolcemente raffinato, la cui musicalità visiva ha conquistato l’animo di un pubblico allargato e assai diverso per cultura, storia e tradizioni. Stupore, gioia, meraviglia, ricordi e visioni si sono impegnati in una pittura che ha segnato la sua convinzione di provare a costruire un mondo migliore; una pittura che ha testimoniato quella forte carica poetica che ha saputo sommare in modo originale la cultura ebraica, quella russa e quella occidentale in un insieme unico di dirompente per quel valore immaginativo che ha legato coerentemente tutta la sua storia estetica e filosofica. In mostra, torna anche il suo senso di meraviglia per la natura tanto che i fiori e gli animali saranno una presenza pressoché costante nei suoi dipinti e
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dall’indubbio valore metaforico. Questa mostra, destinata ad allungare le code fuori da Palazzo Reale di Milano, lascia vivere con partecipazione il valore e il senso di un’arte che, attraverso la reciproca contaminazione culturale, ha inseguito un messaggio universale, cosa che la rende ancora estremamente attuale e moderna e, per questo, tanto apprezzata. MILANO | Palazzo Reale 17 settembre 2014 – 1 febbraio 2015 www.mostrachagall.it
Marc Chagall, La mucca con l’ombrello, 1946, olio su tela, The Metropolitan Museum of Art, New York, Bequest of Richard S. Zeisler, 2007 (2007.247.3) © Chagall ®, by SIAE 2014
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MAX KLINGER. L’INCONSCIO DELLA REALTÀ La mostra, che presenta un corpus di 116 incisioni di Max Klinger (1857-1920), si costruisce attorno al generoso comodato che la professoressa Paola Giovanardi Rossi ha concesso alla Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna: la preziosa collezione della studiosa, riunita in 25 anni, annovera otto Opus completi, cicli che comprendono i famosi fogli di Eva e il futuro (1880), Intermezzi (1881), Amore e Psiche (1880), Un guanto (1881), Una vita (I884), Drammi (1883), Un amore (1887) e Quattro paesaggi (1883).
Le incisioni del grande artista tedesco, allestite nelle sale di Palazzo Fava, si articolano muovendo e scandendo sulle pareti i singoli gruppi degli Opus: ogni serie si legge in autonomia e pure, nella variegata ricerca di Klinger, esercita quel valore, inquieto e visionario, che lascia in bilico il suo sguardo tra il mondo oscuro e ignoto delle visioni interiori e quello aspro e concreto della realtà. Conosciuto principalmente per l’opera grafica, Klinger è pure un eccellente pittore e scultore la cui opera resta oggetto di una rivalutazione
critica in costante aggiornamento: la mostra, infatti, a completamento della ricognizione attuata si arricchisce di un dipinto (Tre donne nel vigneto, 1912) e due sculture in bronzo (Cassandra, 1895-1903 circa e Busto di Elsa Asenijeff, 1899-1900) provenienti dalla Collezione privata Siegfried Unterberger di Merano e un disegno (Ritratto di signora, 1915) prestato da una collezione privata. La ricerca di Klinger, che appare bizzarra, spiazzante e incredibilmente moderna, pur con una tecnica che sembra ancora tradizionale (soprattutto nella grafica), diventa testimonianza storica dell’evoluzione culturale in seno alla società europea che stava uscendo dall’Ottocento e si avviava a quel rutilante secolo che fu il Novecento: legato alla storia del suo tempo e precursore dei tempi, influenzerà i contemporanei che partecipano al Simbolismo o all’Espressionismo, e porrà da innovatore anche le basi solide per la nascita della Metafisica e del Surrealismo. BOLOGNA | Palazzo Fava 25 settembre – 14 dicembre 2014 www.genusbononiae.it
Max Klinger, Primo futuro da Eva e il futuro Opus III, 1880, acquaforte e acquatinta 19
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I BASSIFONDI DEL BAROCCO. LA ROMA DEL VIZIO E DELLA MISERIA La mostra, curata da Francesca Cappelletti, professoressa di storia dell’arte moderna dell’Università degli Studi di Ferrara, e Annick Lemoine, responsabile del dipartimento di Storia dell’arte dell’Accademia di Francia a Roma e professoressa all’Università di Rennes 2, cerca di svelare al pubblico quegli aspetti oscuri, spesso indecorosi, della Roma Barocca. Non quella nobile e ricca dei grandi palazzi e residenze, non quella dell’ufficialità sontuosa, ma quella dei bassifondi, delle taverne e dei luoghi di perdizione. La Roma viziosa, attraverso una pittura “sovversiva” che va da Caravaggio a Claude Lorrain, rivive agli occhi dello spettatore svelando l’anima e il volto nascosto della capitale del papato. Artisti italiani, francesi, olandesi, fiamminghi, spagnoli venivano richiamati in gran numero nel Seicento in quella che era la capitale culturale e artistica più viva, dinamica e attiva in Europa, dove potevano ammirare, accanto ai grandi spledori, anche le diffuse miserie. Queste visioni diventano parte dell’immaginario espressivo dell’arte, aprendo a nuovi orizzonti l’estetica cui
si rivolgevano gli artisti alcuni dei quali proprio a questo mondo burlesco e poetico, volgare e violento, dedicarono una parte importante della propria produzione, se non addirittura un vero e proprio genere. Una cinquantina di opere, realizzate a Roma nella prima metà del XVII, sono le protagoniste di questa particolare esposizione, il cui tema insolito riunisce artisti di diversa origine che, con quadri, disegni, stampe, provenienti dai più importanti musei europei e da collezioni private, raramente esposte in pubblico, testimoniano l’ebbrezza e la malinconia e, attraverso paesaggi urbani o pastorali, con dettagli dissonanti, burleschi, tra mendicanti, prostitute, travestiti, vagabondi o briganti, riportano non solo scene di genere, ma testimonianze di una quotidianità reale e presente, cui spesso nemmeno gli stessi artisti erano in grado di sfuggire. ROMA | Grandes Galeries, Accademia di Francia a Roma, Villa Medici 7 ottobre 2014 – 18 gennaio 2015 www.villamedici.it
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Bartolomeo Manfredi, Riunione di bevitori, 1619-20 circa, collezione privata
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VAN GOGH. L’UOMO E LA TERRA La grande mostra, curata da Kathleen Adler esperta internazionale di Impressionismo, porta a Milano uno dei più apprezzati, celebrati artisti della fine dell’Ottocento, vero e proprio mito radicato nella cultura, non solo artistica, ma anche nell’immaginario popolare: il segno avvincente della pittura di Vincent Van Gogh è, infatti, il protagonista di questo progetto destinato a raccogliere e registrare numerosissimi consensi. Centrale nella scelta delle opere resta la dimensione filosofica ed esistenziale dell’artista olandese che pone un’interrogazione costante sul senso del vivere dell’uomo e sul rifugio primigenio offerto dalla terra che accoglie anche chi viene rigettato da una società moderna che è legata a falsi valori. La serie di stupefacenti capolavori, tra tele e disegni, cerca di raccogliere quello sguardo, attento e puntuale, che Van Gogh ha calato nel
pieno del mondo agreste, dove, entro quel ciclo dedicato alla vita umana dura di contadini e umili, o rivolta a paesaggi naturali di una bellezza pura e incontaminata, cercava una sua visione esclusiva di eternità. Nelle sei sezioni, in cui si suddivide l’esposizione, il pubblico potrà approfondire, in un’occasione che diventa assolutamente unica, il rapporto tra essere umano e natura visto attraverso gli occhi attenti e acuti di Van Gogh che cercava, in cose semplici, il senso grande e misterioso della vita. Lo scruta nella fatica, nel duro lavoro, nella natura aspra e forte, nei ritratti di persone comuni, lo esalta nell’eccezionalità del quotidiano con un’arte che, al suo tempo, proprio perché troppo “avanti’, risultò quasi incomprensibile. Realizzata in collaborazione con il KröllerMüller Museum di Otterlo, questa mostra, cui hanno contibuito numerosi studiosi interna-
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zionali, rientra nel palinsesto di Milano Cuore d’Europa, proposta culturale multidisciplinare dedicata all’identità e alla vocazione europea del capoluogo lombardo. MILANO | Palazzo Reale 18 ottobre 2014 – 8 marzo 2015 www.vangoghmilano.it
Vincent Van Gogh, Paesaggio con covoni e luna che sorge, 1889, olio su tela, cm 72x91,3, Kröller-Müller Museum, Otterlo. © Kröller-Müller Museum, Otterlo
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BOLDINI PARISIEN D’ITALIE Quaranta capolavori provenienti da importanti collezioni private, alcuni dei quali mai esposti prima, riportano a Milano le atmosfere incantevoli e raffinate della pittura di Giovanni Boldini (1842-1931). Questa esposizione attraverserà le tappe fondamentali e indicative della storia artistica del pittore ferrarese di cui si privilegia il lavoro eseguito nel soggiorno parigino tra il 1871 e il 1920 e che coincide con il periodo della sua piena maturità creativa e stilistica. Le opere, tra cui un nucleo di tele eseguite per il mercante Adolphe Goupil, testimoniano lo stile incofondibile e sensibile di Boldini che, attraverso un colore denso e una materia vibrante, sapeva ricostruire l’incando e la bellezza del suo tempo: soggetti garbati, allusivi, ambienti
galanti, tipici esotismi orientaleggianti dell’epoca ci regalano ancora l’intensità forte e conturbante della sua contemporaneità. Caratterizzante del suo linguaggio risulta l’inconfondobile e suadente bellezza delle sue figure femminili, che, attraverso effetti luministici e coloristici peculiari, affermano la propria emancipazione e indipendenza, spesso testimoniata da figure di spicco dei suoi tempi come ritratti dell’attrice Jeanne Renouardt, di Enrichetta Allegri, di Marie-Louise Herrouet, della Principessa d’Isemburg-Birstein, di M.me Lacroix o di M.lle Gillespie. Che sia la ritrattistica o la descrizione di paesaggi con modi non convenzinali, questa mostra offre lo spunto per ammirare un mondo
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scomparso di cui l’opera di Boldini ci restituisce, grazie alla sua unicità, tutta la ricercatezza che, da artista celebrato e richiesto, ha manifestato con un’arte che al suo tempo ha incontrato pochi rivali. MILANO | GAMManzoni 24 ottobre 2014 – 18 gennaio 2015 www.gammanzoni.com
Giovanni Boldini, Ritratto della principessa Radzwill, 1910, olio su tela, cm 82,5x91
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A UN PASSO DAL TEMPO. GIACOMETTI E L’ARCAICO Ricca di circa settanta pezzi questa considerevole mostra svelerà al pubblico il fascino che la statuaria antica esercitò agli occhi di Alberto Giacometti (1901-1966). Il grande maestro noto per le sue figure in cammino, forme immote e silenti che si presentano come echi di idoli del passato - apprezzava dell’arte antica, di ogni epoca e cultura, quella dimensione di eternità intaccabile che sa superare il tempo stesso. La sua scelta scultorea, scarna e concisa, vicina ad un’interpretazione archeologica della materia, viene qui rappresentata da importanti capolavori prestati dalle maggiori collezioni internazionali e incontra, per la prima volta, le opere archeologiche di considerevole importanza storico-artistica in un progetto di consistente valore documentario. La voce “moderna” di Giacometti, quindi, potrà qui coniugarsi con le
testimonianze lasciateci da culture lontane nel tempo: in un percorso che si sviluppa per temi e iconografie, lo spettatore sarà al centro dei continui rimandi e degli sguardi incrociati suggeriti dai capolavori esposti che, tutti ricollocati in un allestimento specificamente pensato, riposizionano gli equilibri della storia e della contemporaneità. L’esposizione, frutto di attenti studi condotti recentemente sull’artista, ripropongono i punti di contatto tra le opere di Giacometti e la statuaria dell’antichità nelle espressioni più amate dall’artista: emerge quel valore ancestrale della forma che rappresenta l’uomo in una visione eterna, originale, unica. La mostra si propone quasi come un intensissimo e affascinante viaggio nel tempo che, dall’Egitto antico, attraverso l’arte africana, greca, nuragica ed etrusca, porta alla moder-
nità di Alberto Giacometti, e ci consegna un linguaggio che si fa immutabile nel suo costante rinnovarsi. NUORO MAN, Museo d’Arte Provincia di Nuoro 24 ottobre 2014 – 25 gennaio 2015 www.museoman.it
Alberto Giacometti, Donna che cammina, 1936, bronzo, altezza cm 144.6, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York). Foto: David Heald 23
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LUCI SUL ‘900. PROVA DI ALLESTIMENTO PER IL FUTURO DELLA GALLERIA D’ARTE MODERNA DI PALAZZO PITTI Cento anni dopo la fondazione della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, a Firenze si espongono e raccontano le collezioni dedicate all’arte del ‘900: per la celebrazione di questo anniversario, infatti, il museo fiorentino ha voluto dedicare questa mostra a quel grande patrimonio che, dall’inizio del secolo scorso per arrivare ai nostri giorni, racconta l’arte del nostro tempo. Sono proposti al pubblico, quindi, quei notevoli capolavori che, parte di una consistente collezione poco conosciuta, sono normalmente conservati nei depositi dell’istituzione fiorentina. Questa mostra costituisce un’occasione importante per poter ammirare opere “sommerse” o sconosciute che, esposte in questa circostanza, vogliono proporre un possibile percorso espositivo che doni a questi lavori una soluzione allestitiva stabile e definitiva. Con donazioni e acquisti la raccolta si è nel tempo accresciuta e ampliata, senza mai essere valorizzata come meglio avrebbe meritato, ora, gli allestimenti e le scelte della selezione delle opere esposte comprendono i principa-
li interpreti della cultura figurativa italiana del ‘900. Con un taglio storicistico, si narrano i tempi e i modi delle acquisizioni delle opere che, attraverso le scelte operate nel corso dei decenni, sanno testimoniare i coevi fermenti culturali vissuti nella Firenze di quel periodo. In mostra si ammirano anche le opere acquistate durante le edizioni delle Biennali veneziane tra il 1925 ed il 1945, alla Quadriennale Romana del 1935, oltre a quelle, decisamente più numerose, provenienti dalla Società di Belle Arti di Firenze, dalle Sindacali Toscane che erano dedicate alla cultura figurativa regionale. Nel secondo Dopoguerra le acquisizioni proseguirono grazie alle scelte di una Commissione che a partire dal 1950, per vent’anni, ha saputo aggiornare le collezioni sui linguaggi della contemporaneità.
FIRENZE Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti 28 ottobre 2014 – 8 marzo 2015 www.polomuseale.firenze.it
Felice Casorati, I limoni, 1950 circa, olio su tela, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, Firenze 24
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SIGNORINI, FATTORI, LEGA E I MACCHIAIOLI DEL CAFFÈ MICHELANGIOLO. RIBELLI SI NASCE Tornano protagonisti di un’intensa e peculiare mostra i Macchiaioli, di cui si cerca di sottolineare e valorizzare il ruolo decisivo avuto nel proprio tempo. Testimoni di un cambiamento in atto, hanno voluto, infatti, schierarsi apertamente e mettersi in gioco guardando alla tensione della vita reale e spirituale di cui si sono fatti interpreti ideologicamente rivoluzionari e “moderni”. Questo progetto, curato da Maurizio Vanni e Stefano Cecchetto, guarda proprio all’universo dei Macchiaioli sottolineandone la modernità, il loro essere ribelli rispetto a quelle regole accademiche che erano allora punti certi di riferimento e l’andare contro ogni tipo di con-
venzione acquisita. Accento particolare, quindi, si pone sul desiderio che questo movimento ha manifestato quando, con la propria esperienza, ha tentato, attraverso la cultura, di portare un cambiamento reale nel mondo e alle sorti del proprio paese. Non isolati rispetto alle innovazioni culturali in atto sulla scena artistica internazionale, punto di ritrovo diventa per gli allora giovani artisti il Caffè Michelangiolo dove si scambiavano idee e sentivano forte la necessità di confrontarsi con i loro colleghi europei, francesi in modo particolare. La mostra ripercorre, con 50 capolavori dei suoi maggiori esponenti, le fasi principali del
movimento dalla nascita alla successiva evoluzione, analizzando, secondo uno spunto alternativo e attuale, la loro ricerca sperimentale che con la loro luce caratteristica cercava di illuminare la verità. LUCCA Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art 22 novembre 2014 – 6 aprile 2015 www.luccamuseum.com
Silvestro Lega, La signora Clementina Bandini con le figlie a Poggiopiano, 1887, olio su tavola, cm 33,5x26 25
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MAN Ray a Villa Manin. Una mostra enciclopedica, oltre le “icone” Intervista a GUIDO COMIS ed ANTONIO GIUSA di Francesca Di Giorgio Villa Manin continua ad esplorare il Novecento attraverso figure chiave della storia dell’arte internazionale. La mostra dedicata a Man Ray si inserisce, infatti, in un percorso ragionato. Come abbiamo raccolto dal Sovrintendente Piero Colussi Villa Manin ha le idee molto chiare sulla direzione da prendere per “raccontarsi” al pubblico nella duplice veste di “contenitore” – basti pensare alle recenti mostre sugli scatti di Robert Capa e sulla collezione di costumi per il cinema di Danilo Donati o, ancora, ai progetti interamente dedicati ai diciotto ettari di giardino circostante – e di spettacolare “contenuto”, che ripercorre il filo della storia legata al territorio friulano, partecipe
di eventi storici di rilevanza nazionale: qui si firmò il trattato di Campoformio che sancì la fine della Repubblica di Venezia a favore dell’Impero Asburgico. Dopo il quinquennio di mostre dirette da Francesco Bonami e, più recentemente, da Linea d’ombra di Marco Goldin la sfida per il prossimo futuro è dunque quella di imporsi come spazio indipendente capace di produrre dentro e attorno a sé progetti culturali dalla forte identità. Oltre 300 opere in mostra inquadrano il genio di Man Ray spingendosi oltre le icone universalmente riconosciute del maestro dei “rayographs”, superando l’impostazione da retro-
spettiva e andando incontro al pubblico con un allestimento multimediale tagliato per gli spazi di Villa Manin. Se da una parte si rassicura il pubblico sulla presenza dei “pezzi forte” del maestro dall’altra lo si invita ad una nuova visione “one to one” in cui è l’artista stesso a parlare di sé. Ne abbiamo parlato con i due curatori Guido Comis ed Antonio Giusa... Francesca Di Giorgio: Perché Man Ray a Villa Manin e con quali novità rispetto ad altre mostre a lui dedicate? Guido Comis: Negli ultimi anni non sono state organizzate molte mostre su Man Ray, so-
Man Ray, Le Violon d’Ingres, 1924, collezione privata, Svizzera, ®MAN RAY TRUST _ADAGP Paris By SIAE 2014 26
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prattutto in Italia. La mostra dedicata da Villa Manin rappresenta dunque un’occasione rara per apprezzarne il lavoro. Questo è particolarmente vero se pensiamo che a Villa Manin sono esposte più di trecento opere: dipinti, oggetti, film, e naturalmente fotografie. La mostra documenta dunque tutti gli aspetti della creatività di un artista multiforme e ne ripercorre la carriera dagli esordi newyorchesi fino agli ultimi anni parigini. È vero che nel 2011 sono stato fra i curatori della mostra su Man Ray che si è tenuta al Museo d’Arte di Lugano e i due progetti sono senza dubbio imparentati, anche perché in entrambi i casi un sostegno fondamentale è venuto dalla Fondazione Marconi di Milano. La mostra di Villa Manin ha tuttavia un taglio diverso rispetto all’esposizione di Lugano e sottolinea aspetti dell’opera dell’artista che allora non erano stati approfonditi. Rispetto invece alla programmazione della Villa? Antonio Giusa: Certamente la mostra si inserisce con coerenza nella programmazione di Villa Manin, mantiene il filo conduttore con le mostre precedenti: Robert Capa e Trame di cinema e getta anche uno sguardo al futuro, pensando le mostre sempre in relazione agli spazi della Villa, costruendo un vero e proprio percorso tagliato ad hoc. Tutte le sale sono messe a disposizione della multiforme creatività di Man Ray. Non a caso la sua personalità si sposa benissimo con lo spazio di Villa Manin: 36.000 metri quadri di superficie interna, diciotto ettari di parco, al suo interno esiste un centro di restauro... Tutto questo ricordando che la Villa era il centro di un sistema economico, una casa d’unione dove Manin è stato l’ultimo dei Dogi. Quali sono le opere e/o gli aspetti della mostra che rendono imprescindibile un viaggio a Villa Manin? G.C.: Potrei dire che si tratta di una mostra enciclopedica più che antologica, quindi offre l’occasione per impossessarsi davvero dell’opera di uno degli artisti più affascinanti del Novecento e vederne i capolavori fotografici (in mostra figurano per esempio Violon d’Ingres e La priére), gli oggetti più celebri come Cadeau, fino ai film sperimentali, oggi unanimemente considerati fra i più interessanti esempi di cinematografia dada e surrealista. Abbiamo voluto inoltre raccontare, attraverso le sue creazioni, la vita stessa di Man Ray: i suoi rapporti d’amore con donne affascinanti e le sue relazioni di amicizia con i più grandi artisti, scrittori, registi del secolo scorso: Picasso, Duchamp, Joyce, Buñuel solo per citarne alcuni. La mostra è insomma anche l’occasione per rivivere l’atmosfera di straordinaria vitalità della Parigi fra le due guerre.
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Come si presenta al pubblico il percorso all’interno della Villa? A.G. / G.C.: Il percorso si apre con le opere create da Man Ray a New York negli anni dieci, prima ancora di cimentarsi con la fotografia. Sono lavori molto interessanti perché permettono di cogliere le curiosità e gli interessi che concorrono a definire lo stile dell’artista, dalla scoperta del cubismo a quella del nudo femminile: una folgorazione che come sappiamo segnerà tutta la sua carriera. Da lì in poi il percorso prosegue raccontando, attraverso una scelta di temi, l’avventura artistica e umana di Man Ray. La mostra si conclude con una selezione dei magnifici ritratti che l’artista scattò a Juliet Browner, conosciuta nel 1940 e sua compagna fino alla morte. Oltre all’importante collaborazione con Fondazione Marconi di Milano da dove proviene la selezione delle opere in mostra? A.G. / G.C.: Le opere provengono da numerose raccolte italiane, svizzere, francesi, statunitensi. Un contributo importante è giunto per esempio da Francis Naumann, che oltre a essere gallerista e collezionista di Man Ray, è fra i massimi studiosi dell’opera dell’artista. Prestiti significativi sono stati concessi anche dall’ASAC, l’Archivio storico delle arti contemporanee della Biennale di Venezia: una collaborazione che ci ha fatto molto piacere perché riteniamo importanti le relazioni con istituzioni che lavorano in uno stesso territorio o in aree attigue, come in questo caso. MAN RAY a cura di Guido Comis ed Antonio Giusa in collaborazione con la Fondazione Marconi, Milano Azienda Speciale Villa Manin Piazza Manin, 10 Passariano, Codroipo (UD) 13 settembre 2014 - 11 gennaio 2015 Orari: da martedì a domenica 10.00–19.00. Chiuso lunedì Info:+39 0432 821211 info@villamanin.it www.villamanin.it
Vedute della mostra Man Ray a Villa Manin. Al centro: Man Ray, Cadeau, 1974, replica dell’originale, 1921, ferro da stiro con chiodi, collezione privata. Courtesy: Fondazione Marconi. ©ManRay Trust by SIAE 2014
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segnaliamo inoltre... NEL SEGNO DI CARLO SCARPA VENEZIA | Fondazione Querini Stampalia 5 giugno – 29 settembre 2014 (prorogata al 23 novembre 2014) www.querinistampalia.org UNA STAGIONE INFORMALE. CAPOLAVORI DELLA COLLEZIONE REVERBERI AOSTA | Museo Archeologico Regionale 20 giugno – 26 ottobre 2014 www.regione.vda.it RINASCIMENTI ECCENTRICI. DOSSO DOSSI AL CASTELLO DEL BUONCONSIGLIO DI TRENTO TRENTO | Castello del Buonconsiglio 12 luglio – 2 novembre 2014 www.buonconsiglio.it NOT VITAL MENDRISIO (SVIZZERA) Museo d’Arte Mendrisio 26 settembre 2014 – 11 gennaio 2015 www.mendrisio.ch/museo/ SAN SEBASTIANO. BELLEZZA E INTEGRITÀ NELL’ARTE TRA QUATTROCENTO E SEICENTO SAN SECONDO DI PINEROLO (TO) Fondazione Cosso, Castello di Miradolo 5 ottobre 2014 – 8 marzo 2015 www.fondazionecosso.com
DONI D’AMORE. DONNE E RITUALI NEL RINASCIMENTO RANCATE, MENDRISIO (SVIZZERA) Pinacoteca cantonale Giovanni Züst 12 ottobre 2014 – 11 gennaio 2015 www4.ti.ch
TUTANKHAMON CARAVAGGIO VAN GOGH. LA SERA E I NOTTURNI DAGLI EGIZI AL NOVECENTO VICENZA | Basilica Palladiana 24 dicembre 2014 – 2 giugno 2015 www.lineadombra.it
FELICE CASORATI. Collezioni e mostre tra Europa e Americhe ALBA (CN) Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero 25 ottobre 2014 – 1 febbraio 2015 www.fondazioneferrero.it
AZIMUT/H. Continuità e nuovo VENEZIA | Collezione Peggy Guggenheim 20 settembre 2014 – 19 gennaio 2015 www.guggenheim-venice.it
LA NASCITA DI MAGNUM. ROBERT CAPA HENRI CARTIER-BRESSON GEORGE RODGER DAVID SEYMOUR CREMONA | Museo del Violino 31 ottobre 2014 – 8 febbraio 2015
4. Piet Mondrian, Notte d’estate, 1907, olio su tela, cm 71x110,5, L’Aia, Gemeentemuseum © Mondrian/Holtzman Trust 5. Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Castello reale del Wawel, Cracovia, Polonia 6. Felice Casorati, Beethoven, 1928, MART Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Rovereto © MART Archivio Fotografico
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3. Girolamo Mocetto, Ritratto femminile, 1517 circa, olio su tavola, Museo di Castelvecchio, Verona
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1. Not Vital, 625, fibra di vetro e sapone, cm 300x150x140 2. David Seymour, Seminaristi di colore giocano a pallavolo. Vaticano, Italia, 1949. © David Seymour / Magnum Photos
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Giuliano Dal Molin Porte per la mente Intervista di Gabriele Salvaterra
Nel lavoro di Giuliano Dal Molin pittura, scultura, installazione e architettura dialogano per raggiungere una sintesi finale di estremo rigore formale. Con costanza da anni l’artista realizza interventi e opere astratte di grande equilibrio, giocate su un attento montaggio di colori e forme geometriche. In viaggio in provincia di Vicenza, veniamo accolti nello studio dell’artista in un angolo isolato di natura a pochi passi dalla statale. Gabriele Salvaterra: Raccontaci la storia di questo posto, è vero che l’hai costruito interamente con le tue mani? Giuliano Dal Molin: Sì, con le mie mani e quelle di mio padre. Ho lavorato per anni in spazi ristretti, anche in una vecchia casa che mi aveva prestato un amico. Il mio sogno era avere uno studio mio con spazi in cui poter lavorare in piena libertà. Gli spazi dello studio sono molto articolati
e ciò forse dipende dalle opere che produci, come dai diversi processi di produzione che le interessano. Ce ne vuoi parlare? Essendo il mio lavoro composto da una parte costruita, tridimensionale, “scultorea” e una pittorica, dipinta con vari materiali e più passaggi di colore, avevo bisogno di dividere gli spazi dello studio in modo che ogni fase del lavoro avesse un suo luogo. Ho quindi ricavato il laboratorio, la parte più ampia, dove realizzo i lavori tridimensionali (taglio, sagomo, incollo, costruisco); lo studio, un ambiente più raccolto, dove disegno, progetto e dipingo le opere. Poi un ambiente più grande dove le installo, fotografo e espongo. Infine il magazzino, sempre troppo piccolo, dove ripongo i lavori. Che effetto fa avere lo studio sotto casa? Come organizzi la tua routine giornaliera? Lo studio sotto casa mi permette di raggiungere i miei spazi per lavorare ogni qualvolta io ne senta la necessità trovando la giusta dimen-
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Giuliano Dal Molin nel suo studio. Foto: Gabriele Salvaterra
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sione e, non avendo dispersione di tempo, la possibilità di organizzare al meglio la giornata. Sono piuttosto metodico e di solito il pomeriggio sono in studio. Tua moglie e tua figlia sono coinvolte nel tuo lavoro? È inevitabile che la mia famiglia sia coinvolta, se non altro per i momenti di tensione o “crisi” che vivo; sicuramente ricevo un sostegno morale che mi aiuta a proseguire nonostante le difficoltà. Lo studio è spesso specchio dell’artista, qui vedo molto ordine e rigore pur nella varietà di materiali e oggetti che si incontrano. Secondo te è vero?
Veduta dello studio di Giuliano Dal Molin. Foto: Gabriele Salvaterra 31
Devo dire che in parte è così: ho bisogno di ordine, ogni cosa al suo posto, solo allora riesco a lavorare serenamente e iniziare nuove opere, così l’ordine in studio coincide con il bisogno di chiarezza nel lavoro. Poi quando sono immerso nelle mie cose non mi preoccupo di ciò che ho attorno ed è il momento in cui mi sento davvero libero. È strano vedere come siamo a poche decine di metri dalla statale eppure sembra di tuffarsi completamente nella natura. Ti piace questo spazio così “racchiuso”, in disparte? Ci vivo bene, la natura, gli alberi che ho piantato, lo studio. A volte mi sento un eremita, ed è una condizione che ho cercato e desiderato.
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Naturalmente il mondo è fuori ed è importante uscire; il lavoro deve viaggiare se veramente è un dialogo ed ha qualcosa da dire all’uomo. Quello in cui ci troviamo è quindi lo spazio in cui si svolge il lavoro mentale e di concezione del tuo operare. Quali sono i tuoi stimoli? Vedo anche che collezioni alcuni strumenti antichi, è qualcosa che rientra nel tuo lavoro? Questo è un luogo più raccolto dove riesco a concentrarmi; qui progetto, sperimento, disegno, rendo visibili e concrete le idee che a volte diventano lavori tridimensionali anche di grandi dimensioni. In questo studio realizzo anche la parte pittorica (e più importante) delle opere. Penso che senza storia e passato non si possa
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creare qualcosa di nuovo, ma anche l’architettura, la pittura e una serie di elementi che incontro durante il percorso, a volte anche piccoli segni, cose apparentemente insignificanti, diventano spesso origine di nuovi percorsi. Tutto ciò per arrivare ad una sintesi che “significa”, ad un “segno” che racchiude il tutto, che ridefinisce lo spazio. Questi oggetti e strumenti che vedi in studio sono cose che ho raccolto nel tempo, in modo istintivo - un desiderio di tenermi vicino queste cose “inutili”. C’è un senso in tutto questo e penso sia il fatto che sono oggetti non più funzionali che tolti dal loro contesto diventano qualcosa di “misterioso”, indefinito che, come dovrebbe essere l’arte, apre nuove porte alla mente.
Veduta dello studio di Giuliano Dal Molin. Foto: Gabriele Salvaterra 32
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Ci sono anche molti libri, mi incuriosisce in particolare questa monografia sugli affreschi di Beato Angelico al monastero fiorentino di San Marco. Me ne vuoi parlare? La pittura è sempre presente nel mio lavoro ed era inevitabile, dopo varie esperienze, tornare alle origini e rivedere con occhio più attento la nostra storia, dove tutto è nato: Giotto, Beato Angelico, Masaccio, ecc. Cosa penso degli affreschi del Beato Angelico a San Marco? Straordinari, un tutt’uno con il luogo, grande arte nello spazio; molto più intensi e attuali di tanta arte ambientale contemporanea. Ti ringrazio della chiacchierata. Quali progetti hai in programma per i prossimi mesi? Una piccola personale qui in zona e un’opera per una biennale di scultura a Piazzola sul Brenta (PD). Giuliano Dal Molin è nato nel 1960 a Schio (VI). Vive e lavora a S. Vito di Leguzzano (VI). www.giulianodalmolin.it Gallerie di riferimento: Lara & Rino Costa Arte Contemporanea, Valenza (AL) Artesilva, Seregno (MB) LAC Lagorio Arte Contemporanea, Brescia
Dall’alto: Veduta dello studio di Giuliano Dal Molin. Foto: Gabriele Salvaterra Giuliano Dal Molin, 01, 2014, tecnica Mista, cm 77x55x4,5 33
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arte & impresa
Marco Lodola e Jill Mathis. Arte e impresa si incontrano a Genova per il Salone Nautico GENOVA | Galata Museo del Mare | 2 - 22 ottobre 2014 Intervista a BRUNO GUIDI di Valeria Barbera
Bruno Guidi, titolare della Guidi s.r.l. – azienda leader nel settore di accessori per la nautica – nel 2008 ha deciso di far entrare all’interno della sua impresa l’arte e tutta la sua forza generatrice. E da allora non ha più voluto rinunciare a questa positiva contaminazione. Guidi, infatti, negli anni non si è limitato a tradizionali forme di sponsorizzazione o partnership, ma ha deciso di dar vita ad un’iniziativa strutturata e organica ispirata al mecenatismo illuminato del passato, grazie alla quale commissiona ad artisti contemporanei opere inedite che raccontino l’azienda e la sua filosofia. Proseguendo nel suo intento, la Guidi s.r.l. porta quest’anno a Genova un nuovo capitolo dell’iniziativa in occasione del 54° Salone Nautico di Genova, tracciando un percorso di continuità con le precedenti esperienze in questo ambito. Alla vigilia dell’opening abbiamo incontrato questo mecenate contemporaneo per far-
ci raccontare in anteprima alcuni dettagli del progetto ideato appositamente per il Galata Museo del Mare che coinvolge Jill Mathis e Marco Lodola… Valeria Barbera: Nel 2008 l’arte entra in azienda e da allora la sua impresa commissiona opere d’arte contemporanea in occasione di eventi, fiere e presentazioni. Quali sono i motivi che hanno determinato questa scelta e che ancora oggi la convincono a portarla avanti? Bruno Guidi: Per me l’incontro con l’arte è avvenuto, quasi casualmente, nel 2007. L’anno successivo l’azienda avrebbe compiuto 40 anni di attività e noi stavamo cercando un modo alternativo di promuovere il marchio aziendale. Abbiamo deciso così di raccontare quei nostri 40 anni mediante una monografia aziendale per la quale Jill Mathis ha realizzato il servizio fotografico. Questo ha rappresentato il nostro
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primo incontro con l’arte e le emozioni scaturite sono state così profonde e avvincenti che per noi è diventato impossibile pensare di scindere il binomio arte-industria o di tornare ad avvalerci dei sistemi di promozione aziendale tradizionali. Nel nostro percorso di mecenatismo industriale abbiamo contribuito anche ad arricchire l’offerta culturale di Genova con diverse manifestazioni artistiche: nel 2011 la mostra Industria – un reportage fotografico di Jill Mathis che illustrava il processo di trasformazione delle materie prime nei nostri prodotti finiti –, nel 2012 si è trattato dell’installazione Love Difference di Michelangelo Pistoletto – un progetto mirato a promuovere una politica interculturale – e nel 2013 abbiamo presentato la mostra Gilmour&Mathis: l’arte contemporanea incontra l’industria, che ha visto come protagonista una piccola imbarcazione, realizzata da Chris Gilmour con l’utilizzo esclusivo di cartone riciclato e colla, corredata da fotografie di Jill Ma-
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Dall’alto: Jill Mathis, Industria, 2014, stampa fine art Giclèe montata e incorniciata in alluminio, cm 90x120 Chris Gilmour, work in progress Yacht Cantieri Camuffo, 2013, cartone e colla, m 7x3x1, stand Salone Nautico Genova Nella pagina a fianco: Michelangelo Pistoletto, installazione Love Difference, 2012, Palazzo Della Meridiana, Genova
this. Anche quest’anno torniamo a Genova con grande piacere, con la mostra Lodola&Mathis. Nuovo mecenatismo: immaginare il futuro. C’è una sorta di parallelismo tra la creazione di un’opera d’arte contemporanea, che spesso ha una “bellezza” non immediatamente accessibile, e i componenti realizzati dalla sua azienda, indispensabili per le imbarcazioni sulle quali vengono installati, anche se non “immediatamente visibili”. Come si stanno unendo l’identità della sua impresa e le opere fino ad oggi commissionate? Scoprire il lato artistico celato nei nostri prodotti è stata per me, all’inizio, una grande sorpresa. Gli scatti di Jill Mathis hanno portato alla luce ed espresso straordinariamente la bellezza che ci circonda quotidianamente nello stabilimento. L’artista, col suo tocco femminile, delicato
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e poetico, ci ha fatto notare e comprendere il peso estetico di prodotti e macchinari, trasformandoli in opere d’arte di grande atmosfera. Così, a poco a poco, l’intero spazio produttivo della fabbrica si è trasformato ai nostri occhi in una galleria d’arte. Abbiamo capito che anche particolari “umili” – perché solitamente nascosti e non visibili, come la maggior parte di quelli che produciamo noi – racchiudono un notevole potenziale artistico. Abbiamo quindi continuato il percorso intrapreso, collaborando con vari artisti – in quanto ci incuriosisce incontrarne ogni volta di nuovi e apprezzarne il talento – e devo dire che riescono sempre a stupirci. E proprio l’arte contemporanea sarà il vero fil rouge della presenza della Guidi srl quest’anno al Salone Nautico di Genova 2014: all’interno dello stand in fiera sarà esposta un’opera della collezione aziendale
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realizzata lo scorso anno da Chris Gilmour – il piccolo yacht in scala 1:1 interamente in cartone, di cui ci ha già accennato prima – e al Galata Museo del Mare verrà presentato il progetto Marco Lodola & Jill Mathis. Nuovo Mecenatismo: immaginare il futuro. Come è nata e come si è sviluppata quest’iniziativa? Metaforicamente, l’opera di Gilmour rappresenta il “passato” dell’azienda, termine inteso nel senso più ricco e prezioso del termine: le radici, i valori, la saggezza, l’esperienza. L’opera di Lodola rappresenta invece il “futuro”, ricco di incognite, di incertezze ma anche di opportunità e sfide che ci spronano a fare sempre di più e sempre meglio. Da ormai una decina d’anni mi affiancano nella conduzione dell’azienda i miei figli Daniele ed Alessandro, che dimostrano il mio stesso impegno ed entusiasmo e nei quali ripongo con grande fiducia le aspettative per il futuro. Investiamo costantemente in ricerca e innovazione – ad oggi abbiamo depositato 13 brevetti – e cerchiamo di essere sempre molto attenti all’evoluzione del mercato per rispondere rapidamente ed efficacemente alle mutevoli esigenze della nostra clientela. I nostri accessori infatti sono montati anche a bordo del futuristico e vivace yacht di Lodola. Colorato e luminoso: ecco come auspichiamo, di cuore, possa essere il futuro di tutti. Questi “sconfinamenti” in un settore apparentemente distante come quello dell’arte contemporanea sono funzionali per l’impresa, oltre alla promozione dell’immagine?
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L’arte e la cultura all’interno di un contesto aziendale aiutano la creatività, portano ad “immaginare il futuro”? Dice bene… “apparentemente” distante. Arte e industria sono due campi fondamentali dell’attività e dell’esperienza umana che troppo spesso vengono tenuti separati. In realtà non sono così distanti. Prima accennavo al potenziale artistico degli oggetti, ma va da sé, ovviamente, che dietro agli oggetti ci sono le “persone”. Noi in Guidi abbiamo sempre gestito le risorse umane come patrimonio fondamentale. Ognuno di noi possiede creatività e capacità. La presenza nell’ambiente lavorativo di arte e cultura e il contatto con gli artisti offrono grandi opportunità di arricchimento personale, stimolando al tempo stesso la manifestazione e il potenziamento dei talenti di ognuno. La Guidi s.r.l. ha anche una collezione aziendale, quali sono gli artisti che ne fanno parte e ci sono dei momenti in azienda legati alla divulgazione e alla fruizione di questa collezione? Le opere realizzate durante gli eventi ci riguardano da vicino e ci piace ammirarle anche al di fuori della singola occasione, per questo alcune di esse sono state da noi acquistate e al momento si trovano in azienda. Ad oggi, abbiamo fotografie di Jill Mathis e l’imbarcazione in cartone di Chris Gilmour. Non appena sarà terminata la manifestazione di quest’anno la nostra collezione si arricchirà ulteriormente con l’opera di Lodola. I nostri dipendenti possono ammirare queste opere in azienda e durante le
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ricorrenze aziendali – come i recenti festeggiamenti in occasione del 30° e 40° anniversario di anzianità lavorativa di tre nostri operai – hanno l’opportunità di vedere i filmati realizzati durante le fiere e le mostre. Il personale è portato a conoscenza di tutti i progetti artistici e viene invitato a partecipare alle serate inaugurali degli eventi. La nostra è una grande famiglia e tutti devono essere resi partecipi di quanto avviene. LODOLA & MATHIS. Nuovo mecenatismo: immaginare il futuro a cura di Ivan Quaroni da un’idea di Bruno Guidi con l’organizzazione di Marcorossi artecontemporanea in collaborazione con GenovaInBlu – Il Salone Nautico in Città Galata Museo del Mare Calata de Mari 1, Genova 2 - 22 ottobre 2014 inaugurazione giovedì 2 ottobre 2014, ore 19.30 presso la Saletta dell’arte Info: www.galatamuseodelmare.it www.genoaboatshow.com
Marco Lodola, work in progress installazione per Guidi s.r.l.
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design | gioiello
Gioielli da indossare, mangiare, contemplare Intervista a Barbara uderzo di Gabriele Salvaterra
Fresca della partecipazione al Premio Fondazione Cominelli per il gioiello contemporaneo (leggi l’intervista alla curatrice della Fondazione Cominelli, Rosanna Padrini Dolcini: http://bit.ly/cominelli), incontriamo Barbara Uderzo – produttrice di gioielli e designer – per capire come affronta il processo di creazione dei suoi oggetti. Gioielli che sfidano le categorie e in cui una grande mole di suggestioni e citazioni vengono sintetizzate in una forma indossabile, concisa ma densa di rimandi. Gabriele Salvaterra: Mi piacerebbe parlare delle molte aree che riesci a toccare attraverso il tuo lavoro: gioielleria, arte, cibo, fumetto, design. Per prima cosa però raccontaci da dove sei partita e come poi sei riuscita a inserire così tanti aspetti nelle tue produzioni… Barbara Uderzo: Il mio percorso non è stato diretto. Ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia nella sezione pittura, col tempo l’interesse si è definito per forme d’arte contemporanee e per il design. Ho iniziato a occuparmi di gioielli nel 1990 e, da allora, ho elaborato in modo personale la mia ricerca artistica sul gioiello. Ad una approfondita conoscenza dei procedimenti tecnici ho affiancato una ricerca continua sulla creazione di gioielli come pezzi unici, spinta da un’energia di contaminazione anche con ambiti diversi come quello culinario: il mio lavoro infatti non è circoscritto all’oreficeria, e come dici tu, si apre a molte suggestioni. I tuoi sono oggetti che raccontano molto rispetto alla loro mera funzione decorativa; portano dettagli di vissuto o elementi eterogenei all’interno degli accessori alla persona. Ce ne vuoi parlare? Nel mio fare gioielli non mi concentro solo sul-
la funzione decorativa, anche se poi il risultato visivo è comunque di grande equilibrio formale e cromatico, ma parto da un interesse nei confronti dei contenuti, del significato di ciò che faccio e avendo sempre chiaro il risultato finale. Su cosa ti sei concentrata per le tue ultime linee? Le mie creazioni si suddividono in linee che io chiamo “famiglie”. Ultimamente ho realizzato soprattutto lavori della serie Blob. Anche il lavoro con le performance mi interessa molto ed è frutto di un desiderio di interagire con il pubblico e di suscitare una nuova reazione tra gioiello e persona. Ho poi un ambito di indagine
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Barbara Uderzo, performance Orticola bijoux, ortinfestival, Reggia di Venaria, Venaria Reale, Torino, 31 maggio 2014
Barbara Uderzo, BIJOUX-CHOCOLAT boules, anello, cioccolato fondente, foglia d’oro puro. Foto: Augusto Collini
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Dall’alto: Barbara Uderzo, BLOB RING_incredible, anello, 2014, argento 925/1000 (rodiato), plastica, cristallo, fiche. Foto: Studio Maraboli
legato esclusivamente all’argento che è forse meno eclatante degli altri ma su cui tuttora lavoro cercando di esplorare sensualità e scabrosità delle superfici.
Barbara Uderzo, BIJOUX-CHOCOLAT boules, collana, cioccolato fondente, foglia d’oro puro, chiusura quarzo fumé. Foto: Augusto Collini
Partecipi a molte mostre ed eventi che riguardano il mondo dell’arte: vedi le tue produzioni più vicine al design, alla gioielleria o all’arte? Come ti definiresti? Le mie collezioni sono espressione del mio pensiero, come intuizioni di concetti che traduco in forme, a volte ascolto semplicemente la voce degli oggetti, altre volte seguo le mie sensazioni legate all’utilizzo di un materiale e alla sua indossabilità, e il gioiello diventa forma-rappresentazione di sensazioni e percezioni. Lavoro con estrema libertà e non mi pongo il problema di come definire o catalogare i miei lavori, se come oggetti di design o artistici. Cerco comunque di creare gioielli, cioè oggetti fatti per essere indossati. Ci sono figure o punti di riferimento a cui guardi in questo percorso? Hai avuto degli influssi provenienti dalle arti visive più tradizionali? Alcune tue produzioni, mi fanno pensare alla pop art o al più recente popsurrealista... Senz’altro il mio interesse è per la materia “viva”, non per forme che derivano da un astrattismo geometrico, ma per forme fluide e organiche dove a volte immergo micro oggetti. Oppure l’interesse per la materia altre volte si esplica nella giustapposizione di elementi raccolti e nell’utilizzo di materiali “veri” decontestualizzati dal solito utilizzo. Così si può parlare forse di vicinanza con la pop art o meglio a un risultato finale che può far pensare al pop-surrealismo o al dadaismo. Di recente sei stata coinvolta anche in progetti espositivi che riguardano una delle aree più innovative ed emergenti della creatività: quella del food design. Da cosa è nato l’impulso a creare anche gioielli commestibili e deperibili? L’anno scorso alcuni miei Bijoux-Chocolat, in cioccolato, sono stati esposti nella mostra del Mart di Rovereto Progetto cibo. La forma del gusto, mentre alcuni Glucogioielli, realizzati con caramelle, sono stati in esposizione alla mostra itinerante The New Italian Design, de La Triennale. I miei primi gioielli realizzati con il cibo risalgono al 1992, in seguito il lavoro con il cibo mi ha aperto strade nuove, ho posto l’attenzione sulla sensorialità utilizzando nuovi materiali, sui significati simbolici, sulle possibilità della fruizione di tali gioielli.
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Quanto conta quindi l’ironia in quello che fai? Sei una persona che si prende molto sul serio? L’ironia è importante, è un modo di vedere le cose da punti di vista inaspettati. A volte creo nei gioielli situazioni un po’ buffe e stravaganti ma lo faccio molto seriamente. Sono concentrata nella mia dimensione lavorativa personale, isolata da tutto, e creo in libertà. Il tuo lavoro è stato selezionato anche per la mostra del Premio Fondazione Cominelli per il gioiello contemporaneo. Cosa hai presentato in questo contesto? Per questa V edizione del Premio Fondazione Cominelli, Ramon Puig Cuyàs ha selezionato due miei anelli facenti parte della collezione Blob, dal titolo: Aperitivo esplosivo e Girotondo, un po’ di ironia c’è anche qui. In ogni caso anche se gli anelli appaiono dominati da un grande aspetto visivo e affabulatore, la realizzazione della parte in metallo prezioso dell’anello è ergonomica. Nonostante quindi le grandi dimensioni e il carico di elementi sovrastanti, l’anello risulta essere molto confortevole.
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Eventi in corso: Creativity contest: il gioiello si mette in posa a cura di Susanna Maffini 3 ottobre - 15 novembre 2014 Creativity Oggetti Via Carlo Alberto 40/f, Torino European triennial of contemporary jewellery a cura di WCC-BF World Craft CouncilBelgique francophone 24 ottobre - 28 dicembre 2014 Site des Anciens Abattoirs Rue de la Trouilles 17/02, Mons (Belgio)
Dall’alto: Barbara Uderzo, BLOB RING “the shadow of dreams”, anello, 2013, argento 925/1000 (rodiato), plastica, moka d’argento. Foto: Studio Maraboli Barbara Uderzo, BLOB RING “aperitivo esplosivo”, anello, 2012, argento 925/1000 (rodiato), plastica, vetro, tappo corona campari, freccetta magnetica, fiche. Foto: Studio Maraboli Barbara Uderzo, Glucogioiello giallo, collana, banane di zucchero 42
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Leggi su espoarte.net http://www.espoarte.net/arte/continua-la-lunga-estate-di-dolomiti-contemporanee/
Continua la lunga estate di Dolomiti Contemporanee DOLOMITI – Patrimonio dell’UNESCO | Il progetto Dolomiti Contemporanee – laboratorio d’arti visive in ambiente Intervista a GIANLUCA D’INCÀ LEVIS di Valeria Barbera
Dolomiti Contemporanee, il “laboratorio a cielo aperto” curato da Gianluca D’Incà Levis, porta avanti dal 2010 una riflessione legata alla regione Dolomiti-Unesco – intesa come spazio fisico e mentale – grazie alle arti visive, alla loro capacità di dialogare con l’ambiente e leggerlo con nuovi occhi, di valorizzare siti a grande potenziale, attualmente in uno stato di totale o parziale sottoesposizione dando loro nuovi significati. La IV stagione di DC ha un ricco ed articolato programma che si estenderà sino a dicembre 2014 e che valicherà i confini con collaborazioni internazionali grazie all’adesione a PIANO, piattaforma franco-italiana di scambi artistici e culturali. Dopo un’estate intensa, abbiamo incontrato il curatore per farci raccontare gli sviluppi dell’iniziativa sino ad oggi e quelli previsti per il futuro… Valeria Barbera: È stata una lunga estate quella di Dolomiti Contemporanee, che ha visto il progetto impegnato su più fronti:
dalle mostre nel Nuovo Spazio di Casso, alle residenze nell’ex villaggio Eni a Borca di Cadore, al doppio bando di Twocalls. Come è andata? Cosa ci aspetta per l’autunno? Gianluca D’Incà Levis: È ancora un po’ presto per fare il punto, la nostra stagione è in pieno svolgimento. Siamo partiti a giugno, con il lancio del Concorso Twocalls, che si concluderà, nella fase di ricezione dei progetti, a fine ottobre; mentre le mostre a Casso andranno avanti fino alla metà di novembre, ed a Borca vi sarà praticamente soluzione di continuità, con le residenze di artisti attive anche durante l’inverno. Anche rispetto alla piattaforma di scambio franco-italiana di PIANO, siamo in piena azione: Daniele Pezzi partirà per la Francia a giorni, Lise Lacombe e Jeremy Laffon sono ora in Residenza a Casso, insieme ad altri cinque artisti italiani. Oltre a ciò, diverse altre cose stanno per arrivare: tra pochi giorni saremo ad ARTVerona, con uno stand nella sezione Independents, insieme a Protocombo; a dicembre
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sarà la volta di Chiavi di Accesso, un progetto sull’accessibilità culturale del Museo, sviluppato insieme al GAL Altobellunese, che vedrà all’opera tre artisti (Mario Tomè, Michael Fliri, Nicolò De Giorgis). Rispetto a tutto ciò, direi che il lavoro che stiamo conducendo è definibile come un processo, più che come una serie di attività o eventi in successione. Ci interessa implementare il processo, ovvero ampliare lo spettro culturale del progetto, e il ragionamento generale che stiamo portando avanti, che è coerente in ognuna delle sue parti (i singoli eventi), e chiaro nei suoi assunti generali: si lavora, direi, in senso lato sull’assetto del paesaggio, in termini critici e teorici, di ricerca e sperimentazione, metodologici, operativi e pratici. In questi mesi quali sono state le reazioni e i risultati raggiunti? Come dicevo tutto è in divenire, non ci sono risultati, ma piuttosto una costante proiezione in avanti. Il progetto rilancia sempre: ci è diffi-
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Dall’alto: Gianluca d’Incà Levis e Alfredo Jaar, entrambi nella giuria di Twocalls Progetto Borca, la prima capanna-atelier riaccesa nel villaggio Eni. Foto: Giacomo De Donà Nella pagina a fianco: Progetto Borca, Colonia, Ex Villaggio Eni di Borca di Cadore
cile fare dei report. I risultati sono quest’azione stessa: in qualche modo non raggiungiamo mai risultati (definitivi), in quanto reinvestiamo costantemente nel progetto, crescendolo. Naturalmente, ciò non impedisce di misurare e rilevare quel che si sta facendo: quasi un mese fa (venerdì 12 settembre) abbiamo inaugurato a Casso due mostre: Meteorite in Giardino, in partnership con Fondazione Merz e Palazzo Riso, e Paths. I siti che scegliamo di riattivare, e in cui viviamo e lavoriamo, sono, per scelta deliberata, difficili: difficili da raggiungere, difficili da ripensare, difficili da riaprire, difficili da gestire. Ma sono siti potenti e stimolanti, in modo peculiare ed estremo, dei quali riusciamo a mostrare, ed a muovere, il potenziale, mescolando i flussi, i network, le attenzioni, gli uomini. All’opening del 12, erano presenti molti artisti, venuti da ogni parte d’Italia (in mostra, Michael Fliri, Cecilie Hjelvik Andersen, Botto&Bruno, Caretto e Spagna, Alessandro Piangiamore e Stefano Cerio). C’erano i nostri partner della Fondazione Merz, Willy Merz e Maria Centonze, e c’era Angela Vettese – le ultime due anche nella Giuria di Twocalls – e c’era il pubblico. C’erano poi gli abitanti di Casso: si cerca quotidianamente, attraverso il lavoro, di coltivare relazioni con la comunità locale. Se si vuole lavorare sul territorio, non si può evitare di muoversi anche in questo senso, bisogna possedere un’attitudine spiccata alla relazione, che va coltivata. Non basta quindi invitare i bravi artisti e i partner di peso culturale, portando nei contesti chiusi i loro preziosissimi sguardi esterni. È altrettanto necessario lavorare dall’interno. Durante l’inaugurazione diversi residenti hanno anche accettato di prendere parte ad una performance di Alessandro Piangiamore, i cui esiti mostreremo a breve: ancora una volta, sguardo interno ed esterno si sono incontrati. In questo modo, accade che una mostra non si riduca ad un’esposizione, ma diventi una parte di un costrutto socio-culturale rinnovativo, e questa è precisamente la nostra accezione del sostantivo contemporaneo.
borca dell’Ex Villaggio Eni a Borca di Cadore? Si tratta di una piattaforma aperta, con degli obiettivi strategici di rifunzionalizzazione di una parte del sito, nel quale lavoreremo nei prossimi tre anni, insieme alla proprietà del sito stesso, il Gruppo Minoter e la famiglia Cualbu, che alcuni anni fa rilevò il Villaggio dall’Eni. Le funzionalità base del progetto sono state attivate: una Residenza Internazionale, alcuni programmi curatoriali ed artistici che saranno sviluppati ed avviati progressivamente e per gradi, una piattaforma di comunicazione, un lavoro di implementazione delle reti – com’è proprio di DC – volto alla ricerca di partnership funzionali agli obiettivi sul breve e medio periodo. Siamo ancora nella fase iniziale, nella quale, attraverso misure ed operazioni di diverso tipo, si costruisce l’architettura del sistema che pensiamo possa costituire la base di un possibile programma di rilancio del sito, e di alcune sue parti in particolare. Il programma e la strategia sono articolati e complessi, ma l’obiettivo, in realtà, è, sem-
Come dicevamo i fronti di lavoro di DC si sono moltiplicati: puoi raccontarci brevemente come si sta sviluppando il progetto-
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plicemente, sempre lo stesso, come nel caso degli altri siti: riuscire a generare un momento di attenzione a favore del bene sottoutilizzato, ridefinirne l’identità, valorizzarne e amplificarne il potenziale, trovare per esso una destinazione d’uso nel nostro tempo. È quanto facciamo in ognuno dei siti che affrontiamo, l’impulso è il medesimo, mentre le procedure cambiano sempre, perché non esiste un sito uguale ad un altro, e quindi non esiste alcun format replicabile. L’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore è un sito formidabile: intendiamo utilizzarne la forza, per tradurla in immagini, trasformandolo, come abbiamo già detto, in una sorta di cava culturale, e al tempo stesso instillare in esso altra energia, caricandolo ulteriormente, per contribuire a innescare una reazione che possa, finalmente, riaccenderlo. Altra “novità” di quest’anno è il doppio concorso Twocalls che intende coinvolgere ar-
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zo secolo, ha voluto dire questo: opporsi alla logica passiva dell’eterna celebrazione di un lutto atroce, paralizzante, e alle sue economie. Twocalls è una manifestazione di quest’idea, che si apre al mondo, e porta su questo luogo l’attenzione di molte persone disposte a pensare ed a fare, trasformando i luoghi-simbolo della morte, chiusi, in cantieri proiettivi, aperti; trasformando un non-luogo, in uno spazio, dove per spazio intendiamo appunto un luogo con un senso (fare spazio è fare senso).
tisti e street artist in un’operazione non così facile: rileggere attraverso le arti – almeno in parte – il territorio del Vajont che nel nostro immaginario è ormai indissolubilmente legato a una tragedia che segnato la storia del nostro Paese… Twocalls è, in sostanza, una dichiarazione: è possibile, crediamo noi, pensare questo luogo (l’area del Vajont) in modo nuovo, invece di continuare a guardarlo attraverso la lente opaca della commemorazione, della disperazione rassegnata, considerandolo morto per sempre. Questo luogo non è proprietà esclusiva di chi ci vive, né di chi ancor oggi soffre nel ricordare la tragedia terribile. Questo luogo, proprio in virtù della terribile emblematicità della sua storia, è di ogni uomo. E nessun uomo può esser lasciato solo, dentro alla tragedia, che, in casi simili, non è mai ineluttabile, ma, soprattutto, non è mai insuperabile. Non si tratta dunque di venir qui a fare due opere d’arte contempora-
nea, sulla Diga e sulla facciata dell’ex scuola di Casso (ora Nuovo Spazio di Casso) che guarda il versante franato del Monte Toc. Si tratta di venire qui a dichiarare che questa terra non interessa solamente per la sua terribile, spettacolare tragedia, e che l’uomo è ancora in grado di pensare, dire, fare cose, precisamente qui, e che la morte non l’ha potuto fermare, azzittire, sconfiggere, e che l’arte contemporanea è prima di tutto pensiero ed azione, capacità e responsabilità. Che l’arte è ricerca del senso, e sensibilità e intelligenza, e per questo essa ha il diritto di venire, deve venire, non ad insegnare o a guarire, ma ad essere e a dire. L’arte e la cultura rappresentano la disposizione dell’uomo alla vita, alla costruzione, alla tensione critica produttiva, che è il contrario della rassegnazione. In questa terra, nulla di culturalmente significativo è sorto, per decenni, perché la tragedia ha preso tutto, annichilendo l’uomo e le sue facoltà. Riaprire la scuola di Casso, dopo mez-
In questi ultimi tempi si parla molto di conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico, meno di frequente questo dibattito coinvolge il paesaggio sempre più legato ad una sua lettura turistica… DC cerca proprio di lavorare su questo: ridisegnare l’immaginario che da sempre colleghiamo alle Dolomiti. Quali sono gli strumenti principali e quali le maggiori resistenze – se ne hai incontrate? In effetti, come già dicevo, il lavoro che facciamo in DC può essere letto anche in questo modo: ripensare il paesaggio umano, sociale, fisico e culturale, delle Dolomiti (ma anche il paesaggio in generale, e l’approccio ad esso), che spesso viene rappresentato in modo stereotipo, fermo, attraverso cliché e immagini fossili. Produrre immagini nuove, contemporanee, vuol dire credere nel valore di stimolo di questa terra e di questi luoghi, non limitarsi a contemplarne la bellezza, essere determinati ad attivare al suo interno delle prassi di senso, ovvero a realizzare delle idee. Il paesaggio è l’uomo: questo il titolo della conversazione che si è svolta tra me e Marc Augé due settimane fa, a Forni di Sopra. L’uomo fa la propria storia e fa il proprio paesaggio, ogni giorno, nel momento in cui lo riconsidera criticamente, senza prenderlo per già dato. Il paesaggio, dunque, non è un fossile. Riguardo alle resistenze: chi rinnova, trova le resistenze di chi non sa rinnovare, sempre. Le resistenze caratterizzano le mentalità fossili. Che non possono mai molto. A tal proposito quest’estate hai avuto modo anche di parlarne con Marc Augé… Augé è stato nostro ospite a Forni di Sopra, all’interno dell’evento Paesaggi contempora-
Dall’alto: Angela Vettese nel Nuovo Spazio di Casso. Foto: Giacomo De Donà Esplorazioni all’Ex Villaggio Eni di Borca di Cadore per il Progetto Borca Nella pagina a fianco: Artisti in vista all’Ex Villaggio Eni di Borca di Cadore 46
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nei, realizzato insieme alla Provincia di Udine. Ha viaggiato con noi per una settimana per le Dolomiti, vivendo tra Casso e Borca di Cadore, lavorando con noi, condividendo i nostri spazi, ragionando sui progetti e sui temi, incontrando gli artisti negli studio-visit. Si è immerso nel paesaggio, fisico e culturale, in cui operiamo, entrando nel vivo del progetto. Non l’abbiamo chiamato qui per farlo parlare delle espressioni arcinote per cui è celebre nel mondo, per declinare, per l’ennesima volta, le sue categorie culturali, ma per applicare il suo sguardo chiaro e diritto a questa realtà specifica, ai processi a cui attendiamo, e per aiutarci a sviluppare una riflessione articolata, antischematica, aperta. Il confronto ha dato i suoi frutti, com’era naturale che fosse. Abbiamo pubblicato una primo breve videointervista, in cui Augé, che fa anche parte della Giuria di Twocalls, fa alcune considerazioni sintetiche. Stiamo per pubblicare un altro video, più ampio, una sintesi della conversazione che abbiamo condotto insieme a Forni di Sopra. Lì escono delle cose interessanti e nuove. Dolomiti Contemporanee fa parte di Progetto X (Industria, Cultura, Creatività, Sviluppo), iniziativa di ricerca elaborata nel 2013 dal Laboratorio di Management delle Arti e delle Culture – m.a.c.lab – dell’Università Ca’ Foscari e finanziato dalla Regione Veneto.
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Sul sito si legge che Industria, Cultura, Creatività e Sviluppo sono le parole chiave del progetto. Ci puoi raccontare in che modo si inserisce DC in questo contesto? DC, come abbiamo detto, non è una prassi autistica, autoreferenziale, in cui l’arte contemporanea galleggia su un territorio in cui non si sa o vuole immergere, rimanendone sostanzialmente avulsa, e creando rispetto ad esso una discontinuità di processo, utilizzando linguaggi esclusivi. È il contrario: un sistema di nuove relazioni e integrazioni. La discontinuità è essenziale, a livello culturale, nel rivalutare il senso e il potenziale di oggetti, cose, spazi, paesaggi, memorie, identità. La discontinuità culturale coincide con il non dare per scontate le ragioni delle cose, col volerne mettere in luce le essenze e i potenziali. Questo è quanto dovrebbe fare l’arte, o no? E questo è quanto possono riuscire a fare i progetti di cultura innovativi, che sono una cosa ben diversa dalle mostre (l’espressione fare una mostra, non è forse, effettivamente, stucchevole e infantile?). La discontinuità culturale è quindi un’esigenza critica. La discontinuità sociale corrisponde, invece, ad un’incapacità di coltivare relazioni capitali, di alimentarsi del tessuto, alimentandolo a propria volta. Questa capacità di reciprocità, unitamente ai risvolti di concreta operatività funzionale del progetto, e alla sua effettiva capacità di fornire
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impulsi positivi al territorio in cui si opera, impulsi anche economici, anche produttivi, è interessante per gli analisti dell’economia culturale. Il format del progetto, mette in luce, anche, attitudini di managment culturale. DC è un laboratorio d’arti visive in ambiente. E il M.a.c.Lab è anch’esso un laboratorio, d’economia creativa, nel quale si analizzano esempi, come il nostro ed altri, di rigenerazione e ripensamento innovativo delle modalità operative per/nel territorio, attuate attraverso l’arte e la cultura. Il progetto DC è quindi perfettamente a suo agio in questo ambito accademico-operativo, nel quale dunque la ricerca prosegue, e dove si creano relazioni con altre pratiche, analoghe e diverse, si sviluppano ed analizzano modelli inediti. Prossimo appuntamento da segnare in agenda? Io inviterei chi non c’è stato ancora a venire a visitare Casso, e Borca, ed a seguire il Concorso Twocalls: tre cantieri ben accesi, in moto, nei quali si produce un’attività continua, che non può essere del tutto compresa attraverso parole e immagini: dei siti e dei cantieri potenti non basta leggere: occorre andarci.
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01. corrado zeni 02. gianluca chiodi 03. aqua aura
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TRE VISIONI CONTEMPORANEE Marinella Senatore | Gabriella Ciancimino | Chiara Mu a cura di Daniela Trincia
Marinella Senatore L’Artist/Activator di collettività intervista di Daniela Trincia
“Questa è una chiamata aperta a tutti”. È con questo appello che l’Activator Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, SA, 1977) ha invitato a partecipare a The School of Narrative Dance, Roma, il progetto che a giugno l’ha vista vincitrice del PREMIO MAXXI 2014, spiccando su Yuri Ancarani, Micol Assaël e Linda Fregni Nagler. Avviata già da alcuni anni, quella di Marinella Senatore è una scuola che si fonda sulla condivisione dei saperi e dei mestieri, che non ha limiti di età e per la quale non è richiesto alcun requisito preliminare, se non quello di raccontare la propria storia per costruire un racconto collettivo condiviso. Con la consolidata collaborazione del collettivo di architetti ASSEMBLE – anche a Roma è stata costruita un’aula nella piazza Alighiero Boetti concepita come un set capace di ospitare le lezioni delle più diverse fattispecie – fondanti della performance di teatro-danza guidata dalle coreografe del collettivo berlinese ESPZ, che ha suggel-
lato gli incontri delle classi formatesi in maniera libera e spontanea. Una partecipazione attivata da Marinella Senatore che, negli incontri al Guggenheim, nel suo badge è stata segnalata come: Marinella Senatore_Artist/Activator. Daniela Trincia: Da quello che mi hai accennato adesso dovresti essere a Bruxelles, giusto? Cosa hai presentato e quali altri progetti hai in cantiere? Marinella Senatore: Adesso sono a Berlino ma sì arrivo da Bruxelles dove al Centre for Fine Arts Brussels nella collettiva The Yellow Side of Sociality - Italian Artists in Europe ho presentato Movie Set. Mentre, a ottobre, durante Frieze (15 - 18 ottobre 2014), inauguro a Londra una personale nella MOT International. Per me è molto importante perché debutto a Londra e lo desideravo parecchio. Per il lavoro che faccio, è rilevante lavorare in Inghilterra perché l’ambiente anglosassone ha una lunga tradizione di
Marinella Senatore, The School of Narrative Dance, Ecuador #12, #106, performance. Courtesy dell’artista 50
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inclusione del pubblico, una cultura di socializzazione molto forte. Inoltre, dopo una serie di mostre realizzate nei musei, una mostra in una galleria privata, con artisti che amo molto, sia storici che giovanissimi che realizzano lavori interessanti, è l’occasione per presentarmi con un display diverso, quello appunto della galleria privata. Infine, mi offre l’opportunità di sondare anche il mercato, in termini di ragionamento e dialogo. Lavori come i miei, che coinvolgono il pubblico, che agiscono tantissimo con la performance come esperienza collettiva, non sono facili da veicolare nel privato; quindi, è un’enorme sfida capire come poter dialogare con esso e le nuove linee del collezionismo che si possono aprire. Dei tuoi lavori esistono le fotografie, i documenti, insomma oggetti che ne attestano lo svolgimento, mi sembra di capire, però, che in qualche modo non lo esprimono appieno… Il mio immenso archivio è fatto di opere atte ad arrivare alle performance; non sono backstage ma vere opere. Non è il solito display con tavolo ecc, ma sono i dati dei partecipanti sui quali intervengo col disegno prima, durante e dopo. Il disegno per me è molto importante perché è lo strumento che mi permette di indagare, è la forma più spontanea per capire. Spesso si mescola con gli scritti, con gli elaborati, per-
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ché durante le school si produce moltissimo materiale e col mio disegno interagisco con il testo del partecipante, prestando sempre molta attenzione anche all’aspetto estetico, perché ogni giorno ha un valore, ogni momento ha un valere e la bellezza – e i valori estetici – sono anche una forma di aggregazione giacché intorno a una cosa bella le persone si riuniscono e interagiscono con più passione.
72 New Bond St. 1st Fl., Londra 14 ottobre - 29 novembre 2014 Gallerie di riferimento: Peres Projects, Berlin www.peresprojects.com MOTInternational, London e Bruxelles www.motinternational.com Mendes Wood, Sao Paolo www.mendeswooddm.com
Solitamente in lavori come la performance realizzata da terzi è come se l’artista non fosse presente, invece tu ci sei… Io porto le mie conoscenze e mi interessa condividerle e, tutti insieme, condividiamo il nostro sapere. Lasciare e prendere esperienza è bellissimo. Non credo che l’artista debba stare in una posizione di superiorità, che possa dare delle verità e indicazioni. Nell’arte inclusiva, relazionale, partecipativa, si costruisce dal basso tutti quanti insieme. È un monumento alla nostra dignità. Marinella Senatore è nata nel 1977 a Cava dei Tirreni (SA). Vive e lavora tra Berlino e Londra. www.marinella-senatore.com Eventi futuri: Marinella Senatore. FACING CIRCLES. The word community feels good MOTINTERNATIONAL London
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Marinella Senatore, THE SCHOOL OF NARRATIVE DANCE: LITTLE CHAOS #1, 2013, fine art prints on Hahnemühle paper, framed, cm 160x300. Courtesy: Peres Projects, Berlin; MOTInternational, London & Brussels e dell’artista. Prodotto da: Musei Civici e Comune di Cagliari
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Gabriella Ciancimino La colonizzazione vegetale intervista di Daniela Trincia
La vegetazione, è questo l’elemento costante dei lavori di Gabriella Ciancimino (Palermo, 1978). Diversi sono i media da lei utilizzati. Con una certa predilezione al disegno, Gabriella Ciancimino spazia, infatti, dal video alla fotografia, dall’installazione al wall drawing. Ma tutto è pretestuoso per invitare a riflettere su altro. Nella convinzione che l’arte sia la miccia capace di dar inizio a un cambiamento sociale, e soprattutto politico, ogni intervento da lei realizzato mira al compimento di azioni, con le inevitabili reazioni, che presumono il totale coinvolgimento dello spettatore, attivatore dell’intero processo; assente lo spettatore, l’opera stessa perde vitalità. Daniela Trincia: Parlami dei tuoi più recenti interventi... Gabriella Ciancimino: Ho appena partecipato a delle collettive come Sous nos yeux (partie 3), curata da Abdellah Karroum e Soledad Gutiérrez nel Museu d’Art Contemporani de Bar-
celona (MACBA), e GOLA curata da Cristiana Perrella alla Triennale di Milano. E cosa hai presentato al MACBA? Ho presentato La flora soñatora, come lavoro finale della ricerca, in collaborazione con l’orto botanico, sul paesaggio catalano e la flora spontanea degli anni del movimento delle donne del secolo scorso. Pertanto La flora soñatora, lavoro site specific per il MACBA, è l’installazione, che oltre al wall drawing prevedeva delle lavagne sulle quali il pubblico poteva scrivere dei messaggi, e il progetto vero e proprio. Una ricerca eseguita mettendo a confronto dei testi, attraverso la quale ho constatato l’estinzione di alcune piante nonché l’ingresso di nuove. Ma qual è la finalità della tua ricerca? Il mio proposito non è solo quello di creare un’opera, un “oggetto”, ma anche attivare delle azioni precedenti, entrando in contatto con la comunità del luogo, realizzando in parte una
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Gabriella Ciancimino, Herbario Imaginario, 2014, progetto sitespecific La Flora Soñadora per il MACBA, Barcelona: installazione, tecnica mista, cm 170x60x60
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ricostruzione storica, che si completa con la parte relazionale. Perciò, prima di qualsiasi intervento, penso prima all’azione e poi all’opera, proposta come installazione e media diversi, mettendo sempre a confronto uomini e piante. Ad esempio ne All’allerbaggio, curata da Ilaria Bonacossa al Museo di Villa Croce a Genova, ho messo in relazione le piante di rada e le “erbacce della società”, come a volte il pensiero comune tende a definire i carcerati, attraverso colui che è stato il “giardiniere di Calvino”, Libereso Guglielmi, un anarchico perseguitato dalla polizia che ha lavorato col carcere di Marassi, instaurando così un legame col territorio, da cui è nata la realizzazione di tre barchette/fioriere dove ho coltivato delle erbacce, importate dalle navi mercantili. Perché tendi a creare questa relazione tra uomo e pianta? Perché entrambi sono elementi indissolubili di un paesaggio. In un posto noti le piante e le persone, anch’esse endemiche. Oggi i paesaggi che le collettività vivono sono completamente diversi da quello di un tempo, per lo spostamento di intere comunità. E – come sostiene Sergei Podolinsky, il precursore del socialismo ecologico – non possiamo avere una società ecologica se prima non abbiamo un’ecologia tra uomo e uomo. Quindi tutti i diversi livelli concorrono a creare la cultura? Certo. Per questo lo spettatore non è mai passivo. Il mio lavoro tende a demolire la distanza tra artista e visitatore e, quindi, consapevolmente metto in atto delle azioni nelle quali ognuno può riconoscersi. Tutto il mio lavoro ha avuto origine, infatti, sullo studio della mia terra, la Sicilia, e sulla sua cucina, che è un mix di varie culture. Mi ha fatto ragionare sul rapporto con l’altro, inteso come individuo, come comunità e come cultura, cercando i punti di connessione e sconnessione. Possiamo dire che le tue azioni artistiche sono delle azioni politiche? Certo. La forza è non fermarsi, è una forma di resistenza, perché credo tantissimo nell’azione politica quotidiana, in quanto arte e vita si sovrappongono. Il tuo prossimo impegno? Una residenza a Bruxelles e poi il 15 gennaio una personale presso Komplot sempre a Bruxelles. Gabriella Ciancimino è nata nel 1978 a Palermo, dove vive e lavora. www.ciancimino.it
Dall’alto: Gabriella Ciancimino, Liberty Flowers_1 (Project Plans&Plants), 2014. Collage: tecnica mista su carta, metallo, plexiglass, cm72x52x3 Gabriella Ciancimino, All’allerbaggio (Ahoy the herbs)_ Barchette, 2013. Collezione Museo Villa Croce, Genova. Sculture (legno, alluminio, scatole di latta, piante pirata), cm 150x80x60
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Chiara Mu Il tempo e lo spazio, materiali che creano intervista di Daniela Trincia
Fermamente convinta che un lavoro non possa essere riproposto una seconda volta, perché ognuno nasce in quel luogo e in quel momento specifici, Chiara Mu (Roma, 1974) ripudia l’incasellamento sotto una specifica etichetta. Seppure alcuni suoi lavori abbiano una specifica declinazione (vedi Noli me tangere o Stigma) e provochino un profondo disorientamento dello spettatore, principalmente le performance di Chiara Mu tendono a metterla in contatto con l’altro, a creare attraverso un’esperienza condivisa, una relazione, affinché, artista e spettatore, ne escano trasfigurati e comunque con una maggiore consapevolezza.
Daniela Trincia: Hai appena concluso una residenza in Val Saisera. Parlami di quest’esperienza e del lavoro che hai realizzato nei Prati di Oitzinger… Chiara Mu: È stata una residenza organizzata dall’Associazione Culturale Modo che, attraverso interventi di land art, lavora sui luoghi interessati dai conflitti della Prima Guerra Mondiale. I Prati di Oitzinger sono la terra detta dei tre confini perché qui si incontravano i confini della Slovenia, dell’Austria e dell’Italia. Residenza che si è conclusa il 28 settembre con la mostra permanente dei lavori realizzati dagli artisti invitati.
...E tu, cosa hai presentato? Ragionando sul parco, ho realizzato delle opere che racchiudevano i concetti della pace, sottolineando anche quanto la natura è stata modificata dalla guerra e la fatica necessaria per proteggerla. Ho così ideato dei lavori che realizzano una relazione tra gli abitanti del paese e gli eventuali visitatori e questa parte della vallata, attivando un’interazione tra le parti. Sono intervenuta utilizzando però elementi naturali e, col tempo, quello che rimarrà, sarà il processo che ha avviato i miei due lavori Abbracciare lungo la linea e Esercizio di cura. Nel primo, proseguendo un’azione di Penone che lo vedeva abbrac-
Chiara Mu, Stigma, situation-specific performance for/against one man at the time (violence against women is a serious male problem, now unbearable). Mostra collettiva: “Con i tuoi occhi” (with your eyes), Milan Council, Milano, a cura di Francesca Guerisoli, 18 novembre 2012 Nella pagna a fianco: Chiara Mu, Back home, site-specific Installation for one person at the time, Condotto C, Rome, a cura di Fabrizio Pizzuto, 4 e 7 marzo 2010 Chiara Mu, Il gioco della scala, installazione site-specific sulle scale della Chiesa. Mostra collettiva: “Resurrectio”, a cura di Artlante / DiStUrb Arte Scafati, Abbazia di Badia a Ruoti, Bucine (Arezzo), 19 luglio 2014 54
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ciare un albero, ho realizzato cinque sagome diverse su altrettanti alberi, levigando le parti di contatto tra il corpo dell’individuo e l’albero stesso. Il luogo da me individuato presenta un piccolo cerchio formato dagli arbusti, una sorta di cerchio magico, ma anche una specie di trincea. Concetti da me sovvertiti poiché non sono più di contenimento ma di slancio verso l’altro, di abbraccio, che è l’esatto opposto dell’idea della guerra. Nel secondo sono gli abitanti stessi ad essere coinvolti. In un piccolo anfratto ho posizionato una vecchia madia, con dentro una bottiglia di acqua fresca ed una barretta di cioccolata, a disposizione del viandante: saranno gli abitanti che settimanalmente si impegneranno a integrare gli alimenti, prendendosi così cura del luogo. Quindi tu, principalmente, con cosa realizzi i tuoi lavori? Lavoro con il tempo e con lo spazio, elementi totalmente effimeri che, invece, nelle mie opere, sono trasfigurati in qualcosa di oggettivo che costruisce l’opera stessa. I lavori che presento, nei quali anche il registro visivo ha una grande importanza, pongono me stessa a contatto con l’altro e viceversa. Sono convinta che l’opera abbia bisogno di una relazione affinché possa esistere, è quindi fondamentale la presenza di uno spettatore che voglia partecipare. Per questo utilizzo anche la provocazione e l’intimità per attuare una strategia relazionale. Perché? Per me l’arte è far vedere un determinato luogo diversamente da come è stato vissuto e inteso fino a quel momento. Mettendo sempre te stessa come attivatrice di alcune esperienze, quali sono stati i lavori più faticosi e dolorosi? È molto difficile rispondere, perché tutti rappresentano un momento di crescita e sono legati ad uno preciso momento della mia vita. Riflettendo posso dire che sono stati Back home, installazione site specific a Condotto C di Roma, e Stigma, la performance realizzata nella giornata contro la violenza alle donne a Milano. Quali sono i tuoi prossimi impegni? Per dicembre ho in programma un intervento a Milano e uno a febbraio presso Albumarte, uno spazio recentemente inaugurato a Roma. Chiara Mu è nata a Roma. Vive e lavora tra Londra e Roma. www.chiaramu.com
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