Espoarte Digital 89 e 1/2

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digital Cover Artist Roberto Floreani Interview

Omar Galliani Francesco Candeloro Giovanni Robustelli Riccardo Gusmaroli

Nuovi spazi

LA FONDAZIONE CARRIERO

Galleristi

Pietro Gagliardi e Christian Domke

Collezionismi

AL MUSEION, la Zona Archives di Maurizio NannuccI

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ESPOARTE DIGITAL #89 ½ Espoarte Digital è un progetto editoriale di Espoarte in edizione esclusivamente digitale, tutto da sfogliare e da leggere, con i migliori contenuti pubblicati sul sito www.espoarte.net e molti altri realizzati ad hoc.

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Cover Roberto floreani, Ricognizioni del cuore III, 2015, tecnica mista su tela, cm 55x55 (dettaglio)

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ESPOARTE Registrazione del Tribunale di Savona n. 517 del 15 febbraio 2001 Espoarte è un periodico di arte e cultura contemporanea edito dall’Associazione Culturale Arteam. © Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l’autorizzazione scritta della Direzione e dell’Editore. Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile alla redazione per la pubblicazione di articoli vanno inviati all’indirizzo di redazione. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista. Tutti i materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti.

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indice / su questo numero si parla di...

Memoria, spiritualità e astrazione per la nuova personale di Roberto Floreani Intervista a ROBERTO FLOREANI di Gabriele Salvaterra

12 Disegnando nell’acqua: Omar Galliani a Milano

Intervista a Omar Galliani di Cristina Casero

14 Da Gagliardi Art System a Gagliardi e Domke… Puntando ad Art Basel Editore Ass. Cult. Arteam Direttore Editoriale Livia Savorelli Publisher Diego Santamaria Direttore Web Matteo Galbiati Segreteria di Redazione Francesca Di Giorgio Direttore Responsabile Silvia Campese Redazione via Traversa dei Ceramisti 8/b 17012 Albissola Marina (SV) Tel. +39 019 4004123 redazione@espoarte.net Art Director Elena Borneto Redazione grafica – Traffico pubblicità villaggiodellacomunicazione® traffico@villcom.net Pubblicità

16 A Prato, un viaggio sincronico da Lippi a Warhol

Intervista a STEFANO PEZZATO di Gaia Vettori

18 Francesco Candeloro: orizzonti instabili di luce

Intervista a FRANCESCO CANDELORO di Matteo Galbiati

20 Il “viaggio” di Riccardo Gusmaroli tra segni di vortici e gravitazioni particolari

Intervista a RICCARDO GUSMAROLI di Matteo Galbiati

22 Fondazione Carriero: il mecenatismo trova casa a Milano

Intervista a OLIMPIA PICCOLOMINI di Matteo Galbiati

24 Top Hundred. La concettualità del multiplo

Intervista a ANDREAS HAPKEMEYER di Corinna Conci

28 Incontri in galleria: dieci opere per raccontare il Novecento

Intervista a DAVIDE FERRI di Matteo Galbiati

30 La Medea da Pasolini di Giovanni Robustelli

Intervista a GIOVANNI ROBUSTELLI di Luca Bochicchio

34 Al confine tra regola e caos: Esther Stocker a Parigi

Direttore Commerciale Diego Santamaria Tel. 019 4500659 iphone 347 7782782 diego.santamaria@espoarte.net

Ufficio Abbonamenti abbonamenti@espoarte.net

Hanno collaborato a questo numero: Milena Becci Luca Bochicchio Cristina Casero Corinna Conci Matteo Galbiati Simone Rebora Gabriele Salvaterra Chiara Serri Gaia Vettori

Intervista a PIETRO GAGLIARDI e CHRISTIAN DOMKE di Chiara Serri

di Simone Rebora

36 Obiettivi al femminile: Sguardo di donna di Milena Becci

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Memoria, spiritualità e astrazione per la nuova personale di Roberto Floreani VICENZA | Musei Civici di Palazzo Chiericati, Interrati palladiani | 4 ottobre – 25 novembre 2015 Intervista a ROBERTO FLOREANI di Gabriele Salvaterra

Dopo le personali alla Biennale di Venezia (2009), al MaGa di Gallarate (2011), al Centro Internazionale di Palazzo Te (2013) e l’imponente progetto al Palazzo della Gran Guardia a Verona dello scorso anno, Roberto Floreani presenta i suoi più recenti lavori a Vicenza, nella splendida cornice di Palazzo Chiericati. Un progetto complesso che, oltre alla mostra, consisterà nella presentazione di I Futuristi e la Grande Guerra, libro di Floreani stesso finalista al Premio Acqui Storia di quest’anno, e nella serata teatrale Zang Tumb Tumb, sempre nel segno delle commemorazioni del primo conflitto mondiale.

Dopo gli importanti progetti degli anni scorsi, torni a esporre in uno spazio molto connotato dal punto di vista storico e architettonico. Cosa provi all’idea di entrare con le tue opere a Palazzo Chiericati e come intendi confrontarti con gli spazi di Palladio? Quando realizzo un progetto tento di fagocitare lo spazio in modo da ottenere il massimo risultato. In questo caso, dopo l’estensione monumentale delle 120 opere in Gran Guardia, ho optato per un progetto dalle caratteristiche completamente differenti per gli interrati palladiani del Palazzo, più suggestivi e criptici.

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Il desiderio primario era, come sempre, quello di superare il progetto precedente sul versante della sensibilità. Il titolo della mostra, Ricordare, rimanda al tema della memoria e dialoga con la particolare natura materica e stratificata della tua pittura, fatta di lente sedimentazioni, elementi che affiorano e scompaiono. Mi interesserebbe sapere che ruolo ha per te l’oblio, il nascondimento, nella tua idea di pittura e di memoria. Ricordare gioca simmetricamente sulla memoria oggettiva e collettiva della Grande Guerra


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e, allo stesso tempo, sulla mia memoria individuale che, fin dall’infanzia, si è confrontata con le vestigia di quell’immane tragedia, durante le mie prolungate permanenze sull’Altopiano di Asiago. Così facendo, viene ripresa anche la mia indagine memoriale abituale che si traduce nella ricerca materica stratificata delle mie opere: più disvelamento che nascondimento. Quanto all’oblio, è sicuramente una suggestione affascinante, che si attraversa automaticamente attivando la propria sensibilità, ma viene filtrato sempre attraverso una costante ricerca di consapevolezza. Non oblio in senso proprio quindi ma probabilmente parvenze d’abbandono. In che maniera le testimonianze della Prima Guerra Mondiale interrogano ancora la nostra coscienza e cosa ti ha portato al loro impiego nella tua pittura? I reperti bellici sono la testimonianza diretta, lacerante, di quell’evento storico che ha cam-

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biato le sorti dell’uomo e del mondo. Allo stesso tempo, sono riferibili alla mia infanzia e alla mia pubertà passata sull’Altopiano attraversando quei boschi e quelle radure martoriate di crateri e trincee. Si tratta di un fuoco che si è spento, ma che arde ancora in chi trova queste testimonianze semisepolte, lungo i ripidi pendii dei disperati assalti e nei solchi ancora profondi delle trincee. Le prime anticipazioni di questa mostra parlano anche di molte innovazioni tecniche nel tuo lavoro con l’impiego di nuovi supporti e l’inserimento di oggetti trovati. Mi incuriosisce anche la sperimentazione di nuove cromie come il blu di Yves Klein. Cosa significa per te questo colori? Gli oggetti trovati sono inseriti nelle 15 cartetessuto fatte a mano che rappresentano il fulcro del progetto espositivo. Le altre novità sono contenute nelle due nuove installazioni da 5 opere ciascuna: le Ricognizioni del Cuore

Roberto Floreani, Ricordare, 2015 tecnica mista su carta a mano con tessuto a immersione, in cornice di betulla sbiancata, cm 52x39 Nella pagina a fianco: Roberto Floreani, Fase lunare a quota 970, 2015, tecnica mista su carta a mano con tessuto a immersione, in cornice di betulla sbiancata, cm 70x90 8


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Roberto Floreani, Dosso Casina, 2015, tecnica mista su carta a mano con tessuto a immersione, in cornice di betulla sbiancata, cm 52x39

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e le Ricognizioni dello Spirito. La prima ribadisce la centralità delle declinazioni dell’arancio nel mio lavoro, presenti fin dal 2003. Le seconde sono caratterizzate dall’impiego significativo del Blu Klein, presentato per la prima volta nel progetto per la Gran Guardia. Il Blu Klein rappresenta un ulteriore sforzo per ribadire la centralità dell’idea che l’opera d’arte possa veicolare anche un messaggio di natura spirituale, in perfetta continuità con l’anima profonda dell’Astrazione, fin dagl’inizi de Lo spirituale nell’arte di Kandinskij, riproponendo così anche la mia forte convinzione della continuità della Pittura.

Roberto Floreani. Ricordare Con il sostegno dell’Assessorato alla Crescita del Comune di Vicenza In collaborazione con l’Associazione La Centrale, Padova Inserito dalla Regione Veneto nelle manifestazioni celebrative della Grande Guerra

Info: + 0444 222101

Dall’alto: Roberto Floreani, Ricognizioni dello spirito, 2015, installazione, tecnica mista su tela

Nel suo testo in catalogo Angelo Crespi, parlando del tuo lavoro, evoca la figura di Anselm Kiefer, artista che con la propria arte ha tentato di farsi carico delle contraddizioni storiche del ’900. In quale maniera puoi sentire dei parallelismi tra i vostri discorsi in questo progetto espositivo? Con Kiefer penso non si tratti di un parallelismo in senso stretto, quanto di una sensazione di fondo comune che evoca la stessa tragicità della storia e la stessa incrollabile fiducia nell’attualità espressiva della pittura. Probabilmente l’impiego dell’objet trouvé nelle mie ultime carte ha accentuato questo sentire comune.

Catalogo: Vanillaedizioni con testo di Angelo Crespi

Roberto Floreani, Ricognizioni del cuore IV, 2015, tecnica mista su tela, cm 40x45

4 ottobre – 25 novembre 2015 Musei Civici di Palazzo Chiericati Interrati palladiani, Vicenza

Per concludere, quale vorresti fosse la reazione delle persone una volta uscite da Palazzo Chiericati? Hai delle aspettative? Credo che l’artista, in ultima istanza, lavori per se stesso e per l’esplicazione della propria personalità. Tuttavia è evidente che una ricezione chiara delle ragioni dei progetti da parte del pubblico è importante. Per esperienze precedenti e ripetute, trovo un’atavica diffidenza iniziale nei confronti del non riconoscibile, con una simmetrica sincera adesione non appena il pubblico riesce a cogliere alcuni elementi essenziali come quello della spiritualità e della libertà assoluta di lettura all’interno dell’Astrazione.

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FRANCO CIMITAN TIZIANO GUZZETTA MICHELE TOMBOLINI FABRIZIO VATTA PAOLA VOLPATO

OPEN STUDIOS #2 24 ottobre 2015 h 17-23 pm

via della Pila 102-109 ZONA INDUSTRIALE-MARGHERA VENEZIA a cura di Gaetano Salerno


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interviste

Disegnando nell’acqua: Omar Galliani a Milano MILANO | Acquario Civico e Conca dell’Incoronata | 15 settembre – 11 ottobre 2015 e 15 settembre – 25 ottobre 2015 Intervista a Omar Galliani di Cristina Casero

Si è inaugurata a Milano una bella mostra di Omar Galliani (1954) che, articolata su due sedi, si incentrata sul tema dell’acqua, soggetto a lui caro e spesso frequentato nel corso degli anni. Anche le sedi dell’esposizione, intitolata Il disegno nell’acqua e curata da Raffaella Resch, sono state scelte con cura, in stretta relazione con i lavori esposti: l’Acquario Civico, dove viene allestita una ricca antologica che raccoglie opere anche inedite, e la Conca dell’Incoronata in via San Marco, un luogo storico e significativo, per il quale l’artista ha ideato un intervento site-specific. Abbiamo incontrato l’artista nella fase di preparazione di questo suo nuovo progetto per fargli alcune domande: Ci può sinteticamente descrivere il progetto

sotteso alla mostra Il disegno nell’acqua? L’acqua ha caratterizzato una parte importante dei miei primi lavori della fine degli Anni Settanta sulla rivisitazione di alcune pagine della storia dell’arte, fra questi alcuni fogli “siamesi” tratti dagli studi sulle acque realizzati da Leonardo. L’acqua poi si è mossa attorno al mio lavoro rileggendo miti classici Aretusa o letterari Ophelia. Opere in cui l’acqua aveva un ruolo simbolico e attivo consumando o mutando l’origine del disegno. Nell’Acquario Civico di Milano sono esposte queste opere insieme ad altre meno conosciute come i Rami, lavori della fine degli Anni Ottanta in cui, attraverso un processo alchemico, il disegno galleggia e si imprime letteralmente attraverso una soluzione di acido nitrico e acqua, fino al film Fluire realizzato da mio figlio

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Massimiliano, epifania di un’opera inedita presente in mostra. Nella Conca dell’Incoronata, impresa idrica disegnata da Leonardo per gli Sforza, ho installato una nuova grande opera (un polittico) sul fondo asciutto del canale. Il disegno è tratto da una crocchia di capelli della perduta Leda e il cigno di Leonardo e, realizzato con sale dell’Himalaya e albume d’uovo, si scioglierà con la pioggia e, riassorbito nell’etere, si dissolverà come ogni altra opera dell’uomo in un flusso perpetuo, ciclico. Spesso nel suo lavoro i segni grafici si susseguono e si sovrappongono, come a rappresentare il sedimentarsi dei ricordi nella memoria. Perché la memoria è così importante per lei? Possiamo intendere allo stesso modo la memoria culturale, da cui il


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guardare a Leonardo? Come nel processo omeopatico dell’acqua, in cui alcuni scienziati hanno ravvisato l’ipotesi che l’acqua abbia memoria, credo che anche la condizione storica del “segno” abbia la stessa natura. Il mio disegno non è “mio”, in quanto sedimentazione ancestrale e storica di un’evoluzione che nonostante il web resiste e si trasmette quale condizione primaria del “dire” o del “fare”. Leonardo quindi è per me un’omeopatia del disegno. Come si coniuga l’uso di una tecnica “tradizionale” come il disegno con la dimensione ambientale dell’installazione? Il disegno che realizzo ha spesso esiti “esagerati” per dimensioni. Non è quindi un disegno convenzionale, se pensiamo a dimensioni come quattro metri per quattro o cinque metri per sei. Il disegno nella storia dell’arte ha avuto quasi sempre una funzione progettuale, quasi

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mai la dimensione di un’opera finita. Questa “infinitezza” del disegno mi ha portato ad allungare il segno nello spazio, nell’ambiente, non più soltanto in funzione della parete o della cornice. Nella sua ricerca si è costantemente attuata una sintesi tra l’antico e il contemporaneo. Anche in base all’esperienza di quest’ultima mostra milanese, quali sono per lei le prospettive future per una prassi espressiva come quella da lei praticata? Nel 1978 Demetrio Paparoni mi invitò ad una mostra a Siracusa: L’Annunciazione di Antonello. Alcuni noti artisti concettuali lavorarono sull’opera di Antonello e io scelsi il disegno quale mezzo per indagare la “pelle” del dipinto. Qualche anno dopo, Flavio Caroli mi invitò con Luigi Ontani, Michelangelo Pistoletto ed altri a rivisitare Lorenzo Lotto, La ruota del Lotto. In quegli anni era pionieristico, mentre oggi è diventata una consuetudine. È un boome-

rang storico che porta i visitatori a rivedere e a confrontare la storia dell’arte con gli occhi del contemporaneo. Non è una sfida e neppure un confronto ma semplicemente… omeopatia. Omar Galliani. Il disegno nell’acqua a cura di Raffaella Resch mostra di Comune di Milano, Acquario e Civica Stazione Idrobiologica Milano, Archivio Omar Galliani con il patrocinio di Città di Locarno in collaborazione con Navigli Lombardi allestimento di Mario Botta parte del palinsesto di Expo in Città con il supporto di Landirenzo catalogo Silvana Editoriale 15 settembre – 11 ottobre 2015 Acquario Civico Via G.B. Gadio 2, Milano Orari: dal 1 maggio al 31 ottobre in occasione di Expo 2015 sarà esteso l’orario d’ingresso; da martedì a domenica ore 9.0019.30 (ultimo ingresso ore 19.00); chiuso lunedì Ingresso intero €5.00; ridotto; €3.00; gratuito ultima ora di apertura; tutti i martedì dalle ore 14.00; ogni prima domenica del mese del 2015 15 settembre – 25 ottobre 2015 Conca dell’Incoronata via San Marco, Milano Info: +39 02 88465750 c.acquario@comune.milano.it www.acquariocivicomilano.eu

Omar Galliani, Il disegno nell’acqua, 1979-2015, matita su carta, vetro, acqua, cm 40x30. © Luca Trascinelli Nella pagina a fianco: Omar Galliani, Aquatica. La memoria dell’acqua, 2015, polittico di 4 tavole di pioppo, sale dell’Himalaya, albume, pigmenti naturali, cm 251x185. © Luca Trascinelli 13


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interviste > galleristi

Da Gagliardi Art System a Gagliardi e Domke… Puntando ad Art Basel TORINO | Gagliardi e Domke | 24 settembre – 25 ottobre 2015 Intervista a PIETRO GAGLIARDI e CHRISTIAN DOMKE di Chiara Serri

Da Gagliardi Art System a Gagliardi e Domke. Tante le novità per la storica galleria torinese, fondata nel 2003 da Pietro Gagliardi: in primo luogo la società con Christian Domke, giovane gallerista originario di Düsseldorf, in secondo luogo la ristrutturazione dei locali – 800 metri quadrati – per ospitare, accanto alle esposizioni temporanee, anche la collezione della galleria, che oggi comprende oltre 900 opere, con sculture ed installazioni multimediali. Mostra d’apertura, dal 24 settembre al 25 ottobre 2015, dedicata alla pittura iperrealista di Rómulo Celdrán, in dialogo con la parte fotografica della collezione e con l’apertura del nuovo Centro Italiano per la Fotografia di Torino. Il passaggio da Gagliardi Art System a Gagliardi e Domke? Pietro Gagliardi: Per garantire alla galleria, che ormai ha dodici anni di attività, nuove opportunità di crescita ed un futuro. Non sono più un ragazzino… Ho conosciuto Christian diversi anni fa: ci siamo confrontati, valutati e alla fine abbiamo deciso di entrare in società per ripartire con nuovo slancio. Quando avete deciso di lavorare insieme? Christian Domke: Ci siamo incontrati nel 2011

a Mosca. Stavo collaborando con la Galleria Frolov e Pietro era presente in fiera. Abbiamo iniziato a lavorare insieme gradualmente, soprattutto per progetti legati a fiere internazionali, come New York e Miami. In modo del tutto naturale questo feeling è sfociato in una collaborazione a tutti gli effetti. I vostri percorsi personali? P.G.: Vengo dal mondo della pubblicità. Nel 1968, con altre quattro persone, ho fondato una piccola struttura creativa, finita poi con l’essere la seconda agenzia di pubblicità italiana, ormai internazionalizzata, con 450 collaboratori. Ad un certo punto ho lasciato l’attività perché – nella mia storia ritorna sempre l’aspetto generazionale – ritenevo che oltre i cinquant’anni non si potesse fare il pubblicitario. La passione per l’arte contemporanea mi ha portato ad aprire, nel 2003, la mia prima galleria. C. D.: È una stranissima coincidenza, ma anche il mio passato professionale è riconducibile alla pubblicità. Ho lavorato per alcuni anni in Inghilterra, aprendo successivamente un’agenzia a Düsseldorf. L’ingresso nel mondo dell’arte è stato quasi casuale, seguendo il fotografo Ralf Kaspers.

Gagliardi art system ha un passato importante. Pur nella continuità, quali le principali novità? C. D.: Rispetto agli intenti iniziali – promozione e ricerca di giovani talenti – l’impostazione della galleria è cambiata nel tempo, perché quei “giovani” sono diventati artisti affermati, con mostre museali e carriere ben avviate. Questa è la nuova dimensione in cui ci muoviamo, senza tralasciare però le nuove generazioni. Esporremo, ad esempio, i vincitori del Premio Ora. La collezione della galleria è andata via via ampliandosi, fino a superare le 900 opere. Abbiamo ristrutturato gli spazi per avere diverse possibilità espositive: due sale antistanti per le mostre temporanee, in dialogo con le opere della collezione, oppure grandi mostre personali con oltre 800 metri quadrati a disposizione. Per spazi e collezione la galleria potrebbe essere assimilata ad un museo… C. D.: Attualmente i nostri artisti sono coinvolti in sei mostre museali a Lecce, Perugia, Torino… La collaborazione con Musei ed Istituzioni pubbliche è un punto di forza. P. G.: Vengono richiesti prestiti di opere di grandi dimensioni, soprattutto installazioni, generate un po’ dalla passione, un po’ dallo spazio, un po’ dalla voglia degli artisti di oltrepassare i loro limiti. Com’è il rapporto con gli artisti? C. D.: Nonostante Pietro sottolinei sempre il suo carattere schivo, abbiamo ricevuto grandi manifestazioni di stima. Tanti artisti hanno tenuto in galleria la loro prima mostra e si sono conquistati, nel tempo, la possibilità di esporre in Musei ed Istituzioni pubbliche. C’è un affetto, una gratitudine, un legame…

Gli artisti che hanno mosso da voi i primi passi? P. G.: Paola Risoli e Giuliana Cunéaz. Paolo Consorti forse aveva già fatto qualcosa altrove, ma è stato comunque uno dei primi artisti che abbiamo seguito. E poi Daniele D’Acquisto, Fabio Viale, i Glaser/Kunz…

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Hélène Depotte, Mythologies, veduta della mostra

Il primo allestimento della collezione? P. G.: Desideriamo privilegiare la parte fotografica della collezione perché a Torino sta nascendo il Centro Italiano per la Fotografia. Il rapporto con la mostra personale di Rómulo Celdrán? C. D.: Spesso la pittura di Rómulo Celdrán, iperrealista, viene scambiata per fotografia. Abbiamo scelto di “cavalcare” l’equivoco. Seguivamo l’artista da tempo, ma solo a Basilea abbiamo avuto l’opportunità di vedere dal vivo la qualità del suo lavoro. Dati i lunghi tempi di realizzazione, è piuttosto complicato reperire le opere necessarie per l’allestimento di una personale. Per una favorevole coincidenza, alcuni lavori stavano rientrando dall’America e la galleria Arthobler ci ha dato una gran mano. I quadri rappresentano oggetti quotidiani. C’è qualche lavoro recentissimo e qualche lavoro più vecchio. Visto che è la prima volta che

espone in Italia, abbiamo cercato di raccontare la sua storia. Il nome della galleria viene spesso legato al multimediale… P. G.: È probabilmente un interesse che viene dalla mia precedente attività. La prima mostra presentava alcuni lavori di Ennio Bertrand, in particolare un video che riproduceva l’attacco alle Torri Gemelle. Il visitatore poteva interagire con l’opera assumendo la guida dell’aereo. Progetti per il futuro? P. G.: Per il momento abbiamo in programma l’esposizione dei finalisti del Premio Ora ed una personale di Antonio Marchetti Lamera. La prossima fiera sarà quella di Colonia. E prima o poi bisognerà arrivare ad Art Basel… L’andamento del mercato? P. G.: Gli artisti con cui lavoriamo produco-

no spesso opere molto impegnative. Stiamo aspettando un boom (ride, ndr) che consenta di sviluppare questo tipo di lavoro. C. D.: È momento difficile per tutti, ma non si può rimanere fermi. È indispensabile muoversi. Pensare di realizzare tutto in sede è illusorio… Gagliardi Art System nasce a Torino nel 2003. Nel 2015 Christian Domke si unisce a Pietro Gagliardi e nasce Gagliardi e Domke. Evento in corso: Rómulo Celdrán, Macro.Zoom 24 settembre – 25 ottobre 2015 Inaugurazione: 24 settembre, ore 18.00-24.00 Gagliardi e Domke Via Cervino 16, Torino Info: info@gagliardiedomke.com www.gagliardiedomke.com

Rómulo Celdrán, ZOOM XXIX, pencil and acrylic on board, cm 122x192 Nella pagina a fianco: Ritratto di Pietro Gagliardi e Christian Domke 15


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interviste

A Prato, un viaggio sincronico da Lippi a Warhol PRATO | PALAZZO PRETORIO | 25 settembre 2015 – 10 gennaio 2016 Intervista a STEFANO PEZZATO di Gaia Vettori

A Prato, nella mirabile cornice di Palazzo Pretorio, inaugura il 24 settembre 2015 la mostra Synchronicity, curata da Stefano Pezzato, già conservatore del Centro Pecci. 36 opere contemporanee – da Marcel Duchamp a Matthew Barney, passando per Andy Warhol e Bruce Naumann – dialogheranno con le opere della collezione del Museo del palazzo. Un invito a lasciarsi trasportare dall’arte in un viaggio sincronico che ci aiuti a “capire qualcosa di più del mondo in cui viviamo, su quello che facciamo e ciò che siamo”, come sostiene lo stesso curatore. Dall’Officina pratese alle opere più più dissacranti ed attuali, da Lippi a Warhol, per una rilettura innovativa della storia dell’arte, in nome di una vocazione, quella pratese, da sempre votata al contemporaneo. Espoarte ha intervistato in anteprima Stefano Pezzato che ci ha regalato alcune preziose anticipazioni riguardo l’imminente evento. “Non sarà semplicemente una mostra”, ha affermato in occasione di un’intervista per lo stesso Museo di Palazzo Pretorio, luogo che dal 24 settembre 2015 ospiterà la sua prossima esposizione dal titolo Synchroni-

city. Cosa dovrà quindi aspettarsi il visitatore percorrendo le splendide sale del rinnovato palazzo pratese? Il visitatore troverà un Museo inaspettato, con una selezione inedita di 36 opere d’arte contemporanea – tra dipinti, fotografie, video e installazioni – innestata su tutti i piani del palazzo, intrecciata alle belle collezioni civiche di Prato per scardinare la rigida cronologia storica e innescare la “sincronicità” fra opere recenti e passate in un unico percorso espositivo originale: da Lippi a Warhol, dall’Officina pratese alla Factory, dal locale al globale. L’arte contemporanea è da sempre stata al centro degli interessi culturali della città laniera, grazie anche al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, del quale lei è Conservatore. Finalmente, eccola conquistare una fortezza che fino ad ora era stata solo in parte toccata dalle influenze più recenti (comunque non in modo così strutturato ed eterogeneo). Rischioso azzardo o doveroso tributo alle due anime di una città combattuta tra il rinnovamento e l’attaccamento alle tradizioni? In passato ho già sperimentato il confronto fra

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il contemporaneo e il grande passato di questa terra, curando mostre come Corrispondenze. Dal presente al passato al Centro Pecci (2006) o proponendo innesti come Contrappunti nella Villa Medicea di Poggio a Caiano (2014) o collocando opere del Centro Pecci alla Scuola Normale di Pisa (in corso). Ora, invece, presento una rilettura della storia attraverso l’arte, nella città e nel Museo che ha celebrato la fabbrica rinascimentale intorno al Duomo, ma anche la donazione dei gessi di Lipchitz, per affermare appunto la vocazione di Prato al contemporaneo, ad essere un laboratorio di esperienze e ricerche artistiche. Il termine “sincronia” si riferisce a qualcosa che avviene nello stesso momento, ad una sorta di concomitanza di eventi; in Synchronicity, l’arte del presente e quella passato dialogano tra di loro. Quale è stata la motivazione che l’ha spinta a voler far interagire opere di autori contemporanei (Vito Acconci, Marina Abramovic, Vanessa Beecroft, Daniel Spoerri, Bruce Naumann, solo per citare alcuni dei trenta e più nomi) con i capolavori di Lippi, Donatello, Bartolini, ecc.ecc. presenti nel Museo di


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Palazzo Pretorio? La “sincronicità” dell’arte segue le “coincidenze significative” – così le chiama Jung nel suo libro La sincronicità – fra opere contemporanee e storiche: non è una proposta di semplice sincronia, anche se tutta l’arte ci appare contemporanea, la interpretiamo dal nostro punto di vista attuale, non secondo le regole iconografiche della storia. Gli accostamenti e le associazioni puntuali, non casuali fra opere di tipologie, provenienze e tempi diversi mirano a far emergere la meraviglia, la rivelazione, la scoperta nel visitatore che abbia voglia di lasciarsi trasportare dall’arte, dove “la nostra conoscenza non ha spiegazioni causali da offrire” per dirla con Jung. Tra i lavori da lei selezionati, una delle Gioconde duchampiane (L.H.O.O.Q., 1964) e quella di Warhol (Mona Lisa, 1979 ca.): qualche anticipazione sulla collocazione di questi irriverenti capolavori consacrati proprio al rifiuto di quello stesso tradizionale concetto di opera d’arte che invece caratterizza tutta la collezione del Museo di Palazzo Pretorio? Provocazione e quindi invito a riconsiderare i vari tipi di manifestazioni artistiche, siano essi “retinici” o meno? Nel percorso presentiamo la replica della dissacrante Gioconda coi baffi (1964) e la sua versione complementare, rasée (1965) di Duchamp proprio accanto alla moltiplicazione della Mona Lisa – Four Times (1979 circa) di Warhol. Sono tutte riproduzioni di un’opera d’arte ac-

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clamata e idolatrata, che rivendicano la forza della dissacrazione e l’autenticità dell’appropriazione, così come il valore della moltiplicazione e il sovvertimento dell’originale a favore di una ripetizione virtualmente infinita. Oggi viviamo nell’epoca della riproducibilità digitale! L’arte e il Museo per attirare il suo pubblico devono “vendere” la propria immagine: Duchamp ci ha insegnato a impadronirci delle cose per dargli nuovi significati, Warhol l’ha fatta diventare un’idea commerciale e insieme un’attività mediatica di successo. Sono due caposaldi della nostra contemporaneità.

virtualmente al centro della scena per il tempo della visita. Quest’ultima immagine, scattata da Maria Mulas, è un magnifico doppio specchio di senso rivolto al nostro immancabile “io”.

Quali sensazioni, emozioni, riflessioni, turbamenti spera che possano sorgere nel visitatore, dopo aver visto la mostra? Spero che i visitatori trovino spunti per riflettere e magari anche per capire qualcosa di più del mondo in cui viviamo, su quello che facciamo e ciò che siamo. All’inizio abbiamo opere che si pongono in relazione con la città (Dan Graham), con il Museo stesso (Keith Sonnier) e con temi imprescindibili come il lavoro (Moretti, Spoerri, Van der Keuken) o più generali come l’esistenza (Orta), la sopravvivenza (Morgantin), la sussistenza (Sierra). Alla fine del percorso, fra gli straordinari busti di Lorenzo Bartolini e di Jacques Lipchitz, fra i ritratti fotografici di Matthew Barney e Pistoletto, che ovviamente ci mette allo specchio, ci ritroviamo davanti al ritratto del grande collezionista pratese Giuliano Gori dipinto da Warhol e ad una fotografia dello stesso Warhol che fotografa: noi stessi,

Museo di Palazzo Pretorio Piazza del Comune, Prato

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SYNCHRONICITY. Contemporanei, da Lippi a Warhol Progetto espositivo a cura di Stefano Pezzato 25 settembre 2015 – 10 gennaio 2016 Inaugurazione giovedì 24 settembre 2015 ore 19

Info: +39 0574 19349961 www.palazzopretorio.prato.it

Andy Warhol, Portrait of Giuliano Gori, 1974 Maria Mulas, Andy Warhol, 1987 Nella pagina a fianco: Palazzo Pretorio, particolare esterno Keith Sonnier, Florentine Neon#1,1983


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interviste

Francesco Candeloro: orizzonti instabili di luce MILANO | A arte Invernizzi | 24 settembre – 18 novembre 2015 Intervista a FRANCESCO CANDELORO di Matteo Galbiati

A arte Invernizzi presenta a Milano la personale di Francesco Candeloro (1974) in cui si raccolgono opere di una ricerca che l’artista ha condotto nel corso degli ultimi cinque anni. Le sue opere, spesso installative e site-specific, cercano un dialogo stretto e scambievole con l’ambiente che, attraverso la mutevole presenza della luce, che ne altera e muta sempre le consistenze e le percezioni. Le stratificazioni cromatiche e trasparenti dei suoi lavori inducono sempre lo sguardo a sposare un riverbero caleidoscopico che sottolinea e accentua l’esserci irripetibile dell’opera nel momento stesso di ciascuna sua visione, che si fa, quindi, unica e assoluta. Sul carattere peculiare del suo lavoro abbiamo conversato con lo stesso artista:

Su quali elementi si struttura questa tua nuova mostra? Il corpo centrale è sicuramente lo sviluppo di un lavoro iniziato 5 anni fa. Opere a parete che io chiamo Doppi specchianti, skyline di frammenti di città per la maggior parte come fossero orizzonti frastagliati, una grande installazione a terra che, attraverso uno specchio posato sul pavimento, potenzia luce e segni ed una nuova installazione posta sulla finestra che materializza la luce solare nello scorrere del tempo, facendo fluttuare orizzonti instabili. Infine un’installazione al neon che diviene uno spazio ambientale. Si parla di “segni di luce”, cosa sono, come li intendi?

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In queste pagine: Francesco Candeloro, Segni di luce, veduta parziale dell’esposizione, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy: A arte Invernizzi, Milano. Foto: Bruno Bani, Milano


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I Segni di Luce sono frammenti di diverse città, piccole parti di linee di differenti luoghi che restano nella materia; il plexiglas, e la luce, attraversandole, si espande. La luce ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella tua opera: dapprima attraversando le trasparenze cromatiche del plexiglas ed ora anche come sorgente reale data dalle installazioni con i neon. Come evolve, cosa ci racconta, come vivi la luce? Sì, ma ancor da prima dell’utilizzo del plexiglas e parlo delle grandi installazioni in poliuretano, pigmento e grafite che chiamo Occhi. Occhi, ciò che rende possibile il nostro vedere la luce. La luce di ciò che emerge dal buio, riflette e proietta. La Luce è lo scandire del Tempo, il sole è elemento determinate nelle installazioni sulle finestre. Il cambiamento della luce modifica la visione dell’opera, sia che si tratti di luce naturale o di luce artificiale. Quali sono le opere che compongono questo progetto espositivo? Come le avete scelte? Che dialogo generano tra loro? Le opere sono state pensate per quest’esposizione e, come dicevo prima, è uno sviluppo di più tipologie di lavori. I Doppi specchianti di cui volevo sviluppare le varie possibilità, una riflessione è la grande piramide a parete composta da sei differenti luoghi o, ancora, ne cito un paio, Visioni di Luci (Petra), Altre Luci (Stoccolma), per passare alle installazioni ambientali alle finestre Visioni del Tempo, alle installazioni a terra Passaggi Alterni, all’ambiente neon Linee Attese e ad una piccola installazione di carta a libro che può esser allestita aperta o chiusa dal titolo Io Tu Luce. Tra loro è un dialogo di segni, linee e luci. Quali aspetti coglie lo spettatore? In cosa e come lo solleciti? Sicuramente le infinite variabili di luce e colore. Un caleidoscopio di segni di luce. Gli skyline urbani conservano e rimandano il ricordo di città, monumenti… Quanto conta questo senso di “memoria” nel tuo lavoro? L’idea di memoria è sempre presente: a volte in maniera più riconoscibile e collettiva, altre più intima, racconta sempre di un vissuto. Le città e i luoghi ritratti hanno una loro storia a volte più o meno forte, ma hanno una storia vissuta da me, una storia dei viaggi che ho fatto. Un altro aspetto fondamentale resta anche il legame che cerchi con lo spazio, con l’ambiente che accoglie i tuoi lavori. Cosa ti interessa di questo connubio? L’ambiente è elemento fondamentale per lo sviluppo del lavoro in quanto a volte è l’opera che cambia lo spazio, ad esempio nelle instal-

lazioni sulle finestre lo spazio muta attraverso la luce; altre volte l’opera s’inserisce nell’ambiente cambiando il naturale percorso in cui muoversi all’interno dell’architettura. Come sta mutando la tua ricerca nel corso del tempo? Una sintesi del volume per poter incidere di più con il colore e la luce nello spazio e nel suo aspetto percettivo. Quali progetti ti aspettano dopo questa personale da A arte Invernizzi? Un intervento in un’architettura storica e un paio di esposizioni all’estero. Francesco Candeloro. Segni di luce In catalogo saggi di Tommaso Trini, Ara Merjian; un testo di Luca Scarlini; una poe-

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sia di Carlo Invernizzi 24 settembre – 18 novembre 2015 A arte Invernizzi Via Domenico Scarlatti 12, Milano Orari: da lunedì a martedì ore 10.00-13.00 e 15.00-19.00, sabato su appuntamento Info: +39 02 29402855 info@aarteinvernizzi.it www.aarteinvernizzi.it

In alto: Francesco Candeloro, Visioni del Tempo (Milano), 2015, taglio laser su plexiglas, cm 197x160, dettaglio, A arte Invernizzi, Milano. Courtesy: A arte Invernizzi, Milano. Foto: Bruno Bani, Milano


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interviste

Il “viaggio” di Riccardo Gusmaroli tra segni di vortici e gravitazioni particolari MILANO | Galleria Glauco Cavaciuti | 2 ottobre – 30 novembre 2015 Intervista a RICCARDO GUSMAROLI di Matteo Galbiati

Alla Galleria Glauco Cavaciuti di Milano si possono ammirare una serie di opere di Riccardo Gusmaroli (1963) che, tra le sue consuete cartine e le più recenti coperte termiche o le uova intagliate, portano a compiere una ricognizione sul tema a lui più caro: il viaggio. Mentali o fisici, immaginari o reali, oltre lo spazio e il tempo, i viaggi di Gusmaroli portano lo sguardo a seguire rotte im-probabili, sempre aperte a libere associazioni e riferimenti che, in taluni casi, derivano dai materiali stessi che l’artista adotta o dagli elementi simbolici, quasi un suo segno distintivo, come le barche o gli aeroplani. Le opere che ci propone diventano allegorie di quello spostamento ideale che, nella nostra esperienza, ha modo di maturare in

vera e propria conoscenza. Abbiamo conversato con Riccardo Gusmaroli sui contenuti che questa mostra ci offre: In questa nuova mostra presenta una serie di trenta lavori inediti che appartengono a differenti serie: abbiamo i Vortici, le Uova, i Vulcani e le Coperte termiche. Ce ne riassume brevemente contenuti e significati? L’uovo per me racchiude il tutto, la vita e la sua fragilità, la leggerezza e la forza, la purezza e l’imperfezione. I vortici rappresentano il viaggio con le sue molteplici sfaccettature. E poi gli ultimi lavori si basano sulla sorpresa e la protezione, l’aprire e il coprire, lo svelare e il proteggere.

Riccardo Gusmaroli, Mondo oro, 2014, barche di carta su tela e foglia oro, cm 100x150. Courtesy Galleria Glauco Cavaciuti 20

A cosa si vuol fare riferimento con il titolo Frequenze parallele? Penso che ogni cosa, pensiero, sentimento viaggino su piani paralleli; mi piace porre attenzione sull’ovvio, spesso celato dall’apparenza. La barca è sempre stata una presenza simbolica e caratteristica del suo lavoro. Cosa rappresenta? Oggi ha un valore e un senso strettamente legato alla cronaca… La barca è la semplicità di gesti che tutti abbiamo fatto per creare un gioco: “quello del viaggio“. Riporta ai viaggi sognati, all’avventura e alla scoperta… Da questo è nato il lavoro con le barche, ma oggi non possiamo fingere che assuma anche


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altri significati. Quali altri elementi definiscono il suo lavoro? Sono partito da materiali poveri e di uso comune per esperire un pensiero semplice, ironico e leggero.

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Orari: lunedì 15.00-19.00; da martedì a sabato 10.00-13.00 e 14.00-19.00; domenica su appuntamento Info: +39 02 45491682 info@glaucocavaciuti.com www.glaucocavaciuti.com

Tra i nuovi materiali usati mi incuriosisce, come supporto, quello delle coperte termiche dorate impiegate per i soccorsi e le emergenze. Ci sono rimandi alla cronaca? L’idea di fondo è quella di dare protezione e tutela con una visione contemporanea. Nella sua ricerca si parla spesso del tema del viaggio. Come incide sul suo sviluppo? In modo fondamentale: soddisfa la curiosità, stimola la creatività e arricchisce. Nel suo lavoro la dimensione del fare acquisisce un senso peculiare, l’atto creativo e generativo si predispone in un tempo e in una “operatività” davvero singolare: gesti, manualità, rapporto con le materie, precisione, dedizione sono ingredienti che determinano quasi un esercizio di “scrittura” attenta dell’opera… Grazie, perché con le parole non sono molto bravo… Un significato preciso lo assume anche la superficie “lavorata” di ciascun opera? Quale il senso e quali i riferimenti? Sì, spesso è un lavoro che si basa sulla rimozione: togliere per creare. Quanto contano i materiali che adotta per la definizione di ciascun ciclo di lavori e per ciascuna opera? Ogni materiale non è scelto a caso, ma come punto di partenza per ottenere il concetto finale. Lo spettatore come viene stimolato e come reagisce davanti a queste serie di opere? Voglio che l’opera lasci liberi di stupirsi, di emozionarsi e rispecchiarsi nel proprio pensiero. Programmi futuri? Prossimi impegni? Sto lavorando ad un nuovo progetto, ma è ancora prematuro parlarne! Riccardo Gusmaroli. Frequenze parallele testo critico di Gianluca Ranzi catalogo Silvana Editoriale 2 ottobre – 30 novembre 2015 Galleria Glauco Cavaciuti Via Vincenzo Monti 28, Milano

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Dall’alto: Riccardo Gusmaroli, Mondo coperto, 2015, tecnica mista su coperta termica e velluto, cm 80x120. Courtesy Galleria Glauco Cavaciuti Riccardo Gusmaroli, Uovoforato, 2015, tecnica mista su uovo, cm 20x20.Courtesy Galleria Glauco Cavaciuti


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interviste > nuovi spazi

Fondazione Carriero: il mecenatismo trova casa a Milano MILANO | Fondazione Carriero | 16 settembre – 13 dicembre 2015 Intervista a OLIMPIA PICCOLOMINI di Matteo Galbiati

In occasione dell’apertura della Fondazione Carriero, nuovo e interessante spazio dedicato all’arte contemporanea a Milano, luogo fortemente voluto dall’imprenditore-collezionista Giorgio Carriero ed espressione di un mecenatismo dal sapore antico, abbiamo incontrato la direttrice Olimpia Piccolomini nello storico palazzo che ne ospita la sede: Quando e come nasce la Fondazione? Che obiettivi si pone? La Fondazione nasce per volontà di Giorgio Carriero, milanese, imprenditore, collezionista e persona di grande vivacità e dinamismo, che ha voluto a questo punto della sua vita immaginare un modo di condividere la sua passione per l’arte e la bellezza con il pubblico. Particolarità della Fondazione è quella di non esporre la collezione del suo fondatore, che rimarrà privata, ma di produrre nuove mostre. La Fondazione nasce con un forte richiamo alla curiosità individuale e si orienta piuttosto verso la ricerca artistica, per proporre al pubblico un’offerta di qualità. Vogliamo far vivere questi

spazi e diventare un punto di riferimento per artisti, curatori, appassionati d’arte e non. Speriamo che le persone si sentano arricchite, e perché no, anche divertite, dopo essere state nostre ospiti. Giorgio Carriero è un uomo molto riservato, non ama la luce dei riflettori, eppure l’impegno assunto con questa sua veste di mecenate merita un plauso. Chi è, che profilo ci traccia del vostro fondatore? Nemmeno vuole esporre pezzi della sua ampia collezione… Il Dottor Carriero è effettivamente una persona molto riservata, è un uomo d’altri tempi. Gran lavoratore, molto appassionato di sport, generoso e curioso per natura. Non si definisce un mecenate, forse neppure un collezionista, e rifiuta la definizione di esperto. A chi gli chiede perché si circondi di opere d’arte, lui risponde semplicemente che gli piacciono le cose belle, che la bellezza lo rende felice. E il visitatore più curioso e più desideroso di imparare dalle nostre mostre è proprio lui.

Quali sono i vostri programmi? Che orientamento volete dare ai vostri progetti espositivi? Vi avvalete di collaborazioni esterne? Puntiamo a proporre un’offerta culturale di qualità e aperta a tutti. Vogliamo fare ricerca, stimolare il dibattito, coinvolgere la città e, nel nostro piccolo, rendere un servizio ai cittadini. L’orientamento viene di conseguenza: stare lontani dalle logiche di mercato, dare spazio anche ad artisti emergenti, creare un ambiente che non sia elitario, attrattivo solo per gli specialisti e gli appassionati, ma per tutti. Per fare questo ci avvaliamo della collaborazione di persone di grande competenza. Per questa prima mostra, imaginarii, abbiamo chiamato un curatore italiano con una solida esperienza internazionale: Francesco Stocchi, curatore di arte moderna e contemporanea al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. A che pubblico intendete rivolgervi? A un pubblico più vasto possibile, naturalmente. Vorremmo contagiare un po’ tutti con i principi che animano questo luogo. Attirare gli appassionati con un nuovo spazio e avvicinare i curiosi di tutte le età, offrendo la possibilità di entrare gratuitamente in contatto con l’arte, avvicinandoli a opere magari meno immediate da comprendere anche a chi di solito non frequenta i musei. Sappiamo che è un obiettivo ambizioso, ma vogliamo provarci. Per questo abbiamo voluto cominciare pensando alle famiglie e sviluppando un’attività di Education dedicata ai bambini. Ogni mostra sarà corredata da un laboratorio per i piccoli visitatori, dai 5 ai 12 anni, gestito da personale specializzato. Mentre i grandi visitano tranquillamente l’esposizione, i bambini verranno guidati in un percorso che parli il loro linguaggio e permetta loro di scoprire l’arte contemporanea. Pensare al pubblico di domani ci sembrava un inizio doveroso per chi voglia rendere l’arte davvero di tutti e per tutti. La vostra sede ha storia e caratteristiche uniche, ce le riassume brevemente? Casa Parravicini è uno dei pochi edifici quattrocenteschi rimasti a Milano. Per anni è stata sede di una banca privata, ora siamo orgogliosi

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di restituirla alla città. È un palazzo che da solo merita la visita. Gli interni sono in parte quattrocenteschi, come per esempio i soffitti a cassettoni, mentre la grande sala all’ultimo piano, parte in realtà dell’adiacente Palazzo Visconti di Modrone, è interamente decorata con affreschi secenteschi. E nel rinnovamento degli interni di Gae Aulenti, amica personale di Giorgio Carriero, si riscontra il segno di contemporaneità. Si trattava in origine di una dimora privata, con spazi raccolti. Un ambiente molto diverso dal white cube, che pone una sfida al curatore. Una sfida che Francesco Stocchi ha voluto prendere di petto: la mostra da lui curata e con cui inaugureremo, imaginarii, indaga la dimensione spaziale e il rapporto tra l’opera d’arte e l’ambiente circostante. Con i lavori di Gianni Colombo, Giorgio Griffa e Davide Balula allestiti all’interno di Casa Parravicini, Stocchi sta orchestrando un vero e proprio “quartetto” tra i tre artisti e il palazzo. Lo Spazio Elastico di Gianni Colombo posto a riempire una sala con affreschi del ‘600 non è certo un allestimento convenzionale.

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per l’apertura e che le immagini non fossero quelle di repertorio ma documentassero il lavoro svolto, per far vedere come le opere vivono nello spazio. Per questo abbiamo allestito molto prima rispetto al solito, per fotografare la mostra e poter stampare il catalogo. Quali sono le vostre ambizioni? Quali i progetti per il futuro? Per il futuro vogliamo continuare su questa strada, motivati da nuove idee e progetti, per rendere la Fondazione un punto di riferimento per il mondo dell’arte e per i milanesi. Ci piace quello che facciamo e siamo molto curiosi, speriamo di riuscire a trasmettere il nostro entusiasmo al pubblico.

Evento in corso: Imaginarii. Gianni Colombo, Giorgio Griffa, Davide Balula a cura di Francesco Stocchi 16 settembre – 13 dicembre 2015

Operate con tempi particolari: la mostra è pronta già dall’inizio dell’estate. Come mai questa lunga decantazione? Per ogni mostra verrà realizzata una pubblicazione: per approfondire le tematiche trattate e per creare una memoria storica della Fondazione. Ci piaceva l’idea che il libro fosse pronto

Fondazione Carriero Via Cino del Duca 4, Milano Info: +39 02 36747039 info@fondazionecarriero.org www.fondazionecarriero.org

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Davide Balula, Grand Opening (the Window, the Wind, the Weather in), 2015, granito, corda elastica, tenda, vento, finestra. Courtesy l’artista e Galerie Frank Elbaz, Parigi. Foto Agostino Osio Nella pagina a fianco: Casa Parravicini, via Cino del Duca 4, Milano, sede della Fondazione Carriero. Foto Agostino Osio


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interviste > collezionismi

Top Hundred La concettualità del multiplo BOLZANO | MUSEION | 18 settembre 2015 – 7 gennaio 2016 Intervista a ANDREAS HAPKEMEYER di Corinna Conci

Sfoglio il numero 2 della rivista “Azimuth”, datata 1960: «Dare alle opere concretezza di infinito» sostiene nel testo Continuità e nuovo Enrico Castellani, che con Piero Manzoni fonda la rivista nel 1959. Si parla di opere come di frammenti moltiplicabili di uno spazio totale, che va al di là della rappresentazione e del visivo per arrivare ad essere mentale. Ed è all’interno di quest’atmosfera che si presenta la collezione di Zona Archives di Maurizio Nannucci. Il suo progetto Top Hundred porta a Museion, dopo un’attenta selezione, cento opere: multipli, riviste come Azimuth, libri e dischi d’artista, edizioni, video, documenti ed ephemera firmati da cento protagonisti della scena artistica dagli anni sessanta ad oggi. Al secondo piano del Museo, pezzi che raccontano l’arte internazionale di questi anni

dialogano con opere site-specific dello stesso Nannucci, come la grande scritta “NO OBJECT IS INNOCENT” che compare sulle porte a vetro dello spazio. Tra le figure di riferimento artistico spiccano John Cage e Yoko Ono, nei confronti della quale Nannucci prova una stima professionale anche per il suo lavoro nel sociale, e dichiara «È sempre stata chiamata la “moglie di John Lennon” ma io preferisco chiamare lui il “marito di Yoko Ono”». Si intravede poi una chiave politica nella collezione che si riferisce principalmente a “La Société du Spectacle” di Guy Debord, che ha in qualche modo orientato le scelte di Nannucci all’interno di questo progetto. Da Sol LeWitt a Gordon Matta-Clark, da Lucio Fontana a Rirkrit Tiravanija, da Joseph Beuys a Brian Eno, da Allan Kaprow a Christian Jankowski si delinea un percorso attraverso

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la conoscenza e la negazione per provare di nuovo ad inventare. Risultato di un’idea che da embrionale ha trovato modo di esistere e svilupparsi grazie alla cura attenta di Andreas Hapkemeyer, si apre così al pubblico una parte dell’archivio di una collezione tra le più ricche a livello europeo. In Top Hundred troviamo alcune presenze fondamentali dell’arte internazionale degli ultimi cinquant’anni. Colpisce subito la disposizione delle opere: momenti storici diversi e artisti differenti si combinano in una contaminazione elegante. Secondo quale intuizione è stato progettato l’allestimento? Mentre i curatori museali di solito seguono un ordine cronologico o tematico, per così dire scientifico, Nannucci ha deciso di accostare le


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opere esposte in maniera intuitiva, per affinità e complicità note solo a lui. Questo è un diritto e una libertà che ha l’artista. Un criterio che ha seguito è sicuramente quello del contrasto, per l’accostamento tra i diversi media di opere esposte. Poi non è un caso che la copertina della rivista “Vision” con una famosa fotografia di Rrose Sélavy – l’alter ego di Marcel Duchamp, impersonato dall’artista travestito da donna – sia una delle prime opere in cui si imbatte il visitatore. Si tratta di un omaggio a un personaggio chiave dell’arte del Ventesimo secolo e del tipo di arte che Nannucci ci presenta. L’idea della riproducibilità dell’opera sorpassa l’importanza dell’unicità manifestandosi sotto forma di multipli all’interno della collezione. Cosa pensa riguardo questa forma di “circolazione democratica dell’arte”? Al centro di Top Hundred sta il concetto di opera multipla. Cioè un’arte che rinuncia deliberatamente all’auraticità tipica del dipinto classico, pezzo unico e irripetibile per antonomasia. Mentre l’aura del pezzo unico deriva in buona parte dalla sua realizzazione fisica, il multiplo mette al suo centro la concettualità. È stato Duchamp a ribellarsi per primo all’arte ‘retinale’ contrapponendo a questo tipo di arte sensuale un’opera dominata dal pensiero. Negli anni ’60 questo suo concetto è stato recepito da tantis-

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simi artisti, che poi hanno finito per influenzare le generazioni seguenti – fino ai giorni nostri. In questo risiede anche l’attualità di Top Hundred, che è una mostra storica e di arte contemporanea allo stesso tempo. Sulla scia di Fluxus e della Poesia concreta fino alle ricerche della prima decade del duemila, in Top Hundred è presente la parola legata ai suoi significati ma concepita anche come forma visiva: quale valore possiede il linguaggio in questa collezione? La presenza della parola in Top Hundred è molto forte. Introdotta nell’arte dalle avanguardie storiche all’inizio del Ventesimo secolo, la parola ha visto un proliferarsi esponenziale dalla fine degli anni ’50 in poi, soprattutto nella Poesia concreta, nel Fluxus e nell’arte concettuale. Mentre negli anni ’60 e ’70 la presenza della parola nell’arte contraddistingueva un certo tipo di opere, per lo più concettuali e intermediali, oggi la parola è riscontrabile più o meno in tutte le tipologie di opere. Si può sicuramente dire che l’utilizzo della parola avviene più spesso nelle forme d’arte caratterizzate da una presenza della dimensione riflessiva. Nella mostra spiccano anche opere dello stesso Nannucci, quasi a sottolineare la complementarietà del ruolo dell’artista con quello di collezionista. Secondo Lei in che

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modo influisce l’essere artista sul carattere di una collezione? In Top Hundred Maurizio Nannucci intreccia la propria biografia artistica con la documentazione storica di artisti e correnti a cui si sente da sempre vicino. La mostra ci introduce ad un clima in cui lo stesso Nannucci ha operato e opera e ci fa partecipare a un certo tipo di energia, che è anche la sua. Se un artista come Nannucci decide di documentare sistematicamente, a livello internazionale, l’arte intorno a lui, finisce per diventare attività artistica. E lo stesso vale per la presentazione delle opere: combinata con interventi dell’artista diventa anch’essa installazione artistica. La mostra comprende opere multiple e documenti di: Vito Acconci / Saadane Afif / Vincenzo Agnetti / Laurie Anderson / Carl Andre / Archigram / John Armleder & Ecart / Art & Language / Avalanche / John Baldessari / Robert Barry / Base progetti per l’arte / Joseph Beuys / Pierre Bismuth / Bit / Alighiero Boetti / George Brecht / AA Bronson & General Idea / James Lee Byars / Chris Burden / Daniel Buren / Gordon MattaClark / John Cage / Maurizio Cattelan & Permanent Food / Christo / Claude Closky / Gianni Colombo / Concrete Poetry / Martin Creed / Guy Debord & Internationale Situationniste / Herman de Vries / Antonio Dias / Nico Dockx /


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Brian Eno / Cerith Wyn Evans / VALIE EXPORT / Hans Peter Feldmann / Robert Filliou / Ian Hamilton Finlay / Henry Flint / Lucio Fontana / Terry Fox / Marco Fusinato & John Nixon / Katharina Fritsch / Rainer Ganahl / Liam Gillick / Global Tool / John Giorno / Piero Golia / Felix Gonzales Torres / Dan Graham / Rodney Graham / Guerrilla Girls / Hans Haacke / Damien Hirst / Jenny Holzer / Pierre Huyghe / Dorothy Iannone / Isidore Isou / Christian Jankowski / Allan Kaprow / Martin Kippenberger / Peter Kogler / Koo Jeong-a / Joseph Kosuth / Jannis Kounellis / Ferdinand Kriwet / Barbara Kruger / Yayoi Kusama / Robert Lax / Le point d’ironie / Sherry Levine / Sol Lewitt / Roy Lichtenstein / Richard Long / Francesco Lo Savio / George Maciunas & Fluxus / Piero Manzoni / Christian Marclay / Gordon Matta-Clark / Allan McCollum / Cildo Meireles / Méla / Gustav Metzger / Maurizio Mochetti / Jonathan Monk / Olivier Mosset / Matt Mullican / Antoni Muntadas / Maurizio Nannucci / Bruce Nauman / Carsten Nicolai / Olaf Nicolai / Claes Oldenburg / Yoko Ono / Gabriel Orozco / Ou / Giulio Paolini / Philippe Parreno / Richard Prince / Markus Raetz / Recorthings / Tobias Rehberger / Pipilotti Rist / Gerwald Rockenschaub / Dieter Roth / Allen Ruppersberg / Ed Ruscha / Seth Siegelaub / Gianni Emilio Simonetti / Something Else Press / SMS / Michael Snow / Daniel Spoerri / Spur /

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The Fox / Rirkrit Tiravanija / Niele Toroni / Franco Vaccari / Ben Vautier / Bill Viola / Wolf Vostell / Andy Warhol / Lawrence Weiner / Franz West / Emmett Williams / Christopher Wool / Heimo Zobernig / Zona…

fino al 18 ottobre 2015 MAXXI, Roma www.fondazionemaxxi.it

Top Hundred Un progetto di Maurizio Nannucci a cura di Andreas Hapkemeyer in collaborazione con il Museo Marino Marini di Firenze 18 settembre 2015 – 7 gennaio 2016 Museion Piazza Piero Siena 1, Bolzano Orari: da martedì a domenica: 10.00 – 18.00 Giovedì: 10.00 – 22.00 / Ingresso libero: 18.00 – 22.00 / Visita guidata gratuita: 19.00 Info: +39 0471 223413 info@museion.it www.museion.it Altro evento in corso: Maurizio Nannucci. WHERE TO START FROM

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In queste pagine: Maurizio Nannucci, Top Hundred, Museion 2015. Foto: Luca Meneghel. Courtesy: Archivio Zona Maurizio Nannucci


Maddalena Barletta ... de Rerum Scriptura 2015, stampa fotografica su plexiglass e manoscritto originale 1800 - su base materica

riferimenti RezArte Contemporanea - Reggio Emilia Pinacoteca Comunale di Gaeta Orizzonti Arte Contemporanea - Ostuni www.maddalenabarletta.it - mdbar@interfree.it


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interviste > progetti

Incontri in galleria: dieci opere per raccontare il Novecento MILANO | Galleria Glauco Cavaciuti | 2 ottobre – 30 novembre 2015 Intervista a DAVIDE FERRI di Matteo Galbiati

Novecento in dieci opere è un programma di incontri, ospitato a Roma da smART – polo per l’arte, la cui peculiare caratteristica, attraverso il confronto, il dibattito e l’analisi, è quella di discutere del Novecento, dei suoi linguaggi e dei suoi movimenti, concentrandosi su dieci opere significative ed esemplari per ciascun autore. Attraverso ricognizioni critiche, interpretative e argomentative trasversali, nel corso di un anno intero di appuntamenti, il pubblico ha modo di farsi coinvolgere in una conversazione peculiare e fuori dagli schemi ordinari ed abituali, qui l’arte si offre secondo modelli e schemi meno “autoreferenziali”. In occasione della ripresa di questo vivace programma di incontri abbiamo intervistato Davide Ferri, il curatore e ideatore di questo palinsesto: Come nasce questo progetto di incontri che vede protagonisti dieci, uno per ciascuna conferenza, capolavori dell’arte del XX secolo? Il progetto nasce dalla mia necessità di sviluppare una riflessione sullo stato della critica d’ar-

te iniziato alcuni anni fa con un lungo progetto, curato assieme ad Antonio Grulli, al MAMbo di Bologna. Tra i problemi, che ci sembrò interessante evidenziare, c’era quello legato alla difficoltà, da parte dei critici d’arte, dei curatori, e, in generale da parte di chi si occupa d’arte contemporanea, di concentrarsi sui singoli lavori e non genericamente sulle poetiche o sulle pratiche degli artisti. Per me sarebbe fondamentale riportare il dibattito critico verso una maggiore aderenza alle singole opere. L’altra questione, di natura strettamente teorica, ma altrettanto importante, è legata all’idea di un canone per l’arte del Novecento. È forse possibile stabilire quali siano i romanzi fondamentali del secolo scorso, ma è molto difficile fare la stessa cosa con le opere d’arte. Invece noi avremmo bisogno, in questa fase storica, di ricostruire narrazioni organiche, è un problema vastissimo che riguarda molti spazi di racconto, a cominciare dalle collezioni museali. Il Novecento in dieci opere vuole evidenziare queste difficoltà e nel suo piccolo provare ad affrontarle, pur con leggerezza. Il progetto si lega anche alla specificità del luogo che lo ospita, smART - polo per l’arte, che ha un’attività culturale e didattica molto interessante e cerca un linguaggio diverso, meno autoreferenziale, per parlare degli artisti e delle loro opere. Come sono state scelte le opere e gli artisti? La scelta è stata fatta in base a delle specificità, delle predilezioni, degli amori delle persone che conoscevo e che ho deciso di invitare e per me si tratta spesso di riprendere il filo di discorsi interrotti in altri luoghi e in forma privata. Per fortuna le loro predilezioni, in molti casi coincidono con le mie, e ricostruiscono i contorni di un mio canone personale…

Davide Ferri. Foto di Francesco Basileo

Che tipo di itinerario segue la conversazione? Quali sono i contenuti su cui puntate? La conversazione si colloca a metà strada tra la specificità dell’opera, a cui si deve sempre tornare, e l’esperienza della persona che sta

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parlando. Se uno storico dell’arte, ad esempio, ha lavorato tantissimo su un artista, come Monet nel caso di Claudio Zambianchi, m’interessa anche sapere come è iniziato il suo amore per questo artista. Se invece a parlare è un artista, m’interessa costruire un dialogo tra il suo lavoro e l’opera che sta analizzando. E via dicendo… Dichiarate di non voler riassumere le storia complessa e ricca dell’arte del Novecento, e nemmeno di darne uno sguardo organico… Quali punti toccate? Le questioni fondamentali che tocchiamo in maniera organica – il delicato rapporto tra arte e realtà, il progressivo avvicinamento tra autore e spettatore, la scomparsa della bellezza dal territorio dell’arte – riportano a Marcel Duchamp, naturalmente, perché sembra impossibile, per quanto sia necessario imparare a ridurre il peso Duchamp, raccontare l’arte del secolo scorso senza iniziare da lui. Qualche discorso che abbiamo affrontato lascia però spazio a molte incertezze in proposito. Chi ha detto ad esempio che il Novecento non sia il secolo di Brancusi? Diciamo che durante gli incontri ripercorriamo il filo di una storia ufficiale, ma con qualche dubbio e molte divagazioni. Con questo palinsesto volete anche aprire una discussione sull’arte di oggi, come s’innesca il dibattito su questo tema partendo da una singola opera “storica”? Le persone che invito operano nel mondo dell’arte contemporanea oggi, e la loro voce è, di per se, la testimonianza di un presente che si relaziona con qualcosa che è già ampiamente storicizzato. È bello parlare dei problemi del presente avendo alle spalle le opere del passato, è come farlo al cospetto dei padri. Come interagisce il pubblico, come viene coinvolto? Che tipo di riscontro avete verificato nei sei incontri già avvenuti? Il pubblico, sempre più numeroso, interagisce molto con gli ospiti, e una delle cose più belle è che si sia creato un gruppo di persone che viene a tutti gli incontri. Ma non è abbastanza. L’obiettivo, per i prossimi incontri, sarebbe


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quello di riservare una parte finale non tanto alle domande, ma a una forma di confronto che avvicini il linguaggio di chi parla a quello di chi ascolta. Come dicevo prima uno dei problemi della critica è il linguaggio troppo autoreferenziale che è abituata a parlare.

È in programma, inoltre, nell’ambito dell’Undicesima Giornata del Contemporaneo, un laboratorio didattico con l’artista, mentre a dicembre organizzeremo un incontro culturale di approfondimento del lavoro di Gabriele e delle sue opere presenti in mostra.

Quali sono le sorprese, le scoperte, l’aspetto inatteso che hai colto durante la programmazione svolta? Ci sono state delle piacevoli discussioni con il pubblico: le persone ti invitano sempre, e con una certa determinazione, a ricondurre i discorsi verso l’opera quando sentono che i ragionamenti si stanno allontanando troppo o stanno diventando impalpabili e imprecisi.

Pensate di riproporre l’esperienza di Novecento in dieci opere? Mi piacerebbe molto! Franco Guerzoni. Foto di Francesco Basileo

Il Novecento in dieci opere a cura di Davide Ferri con il patrocinio di Roma Capitale, Municipio II (ex II e III), Assessorato alla Cultura Fino a febbraio 2016

Ci racconti quali sono le attività che occupano smART – polo per l’arte? Dovresti chiederlo a Margherita Marzotto e Stephanie Fazio, rispettivamente Presidente e direttrice dello spazio espositivo di smART. Ma dal mio punto di vista, quello di un collaboratore esterno, posso dire che nei suoi quasi tre anni di attività smART ha sviluppato in parallelo progetti espositivi, didattici e culturali che hanno coinvolto artisti e differenti personalità dell’arte contemporanea. smART è una realtà che si fonda sul progetto di sviluppare un dialogo fra i protagonisti del mondo dell’arte e il suo pubblico di appassionati, persone curiose di conoscere e di avvicinarsi al linguaggio contemporaneo. Quali progetti avete in cantiere? Con smART sto lavorando alla prima personale a Roma di Gabriele Picco. Ultimo dipinto, questo il titolo della mostra, inaugurerà il prossimo 30 settembre e include quasi cento dipinti realizzati dall’artista in un periodo di residenza svolto nella sede di smART durante l’estate.

Programma: 4 febbraio 2015 Claudio Verna Marcel Duchamp, Grande Vetro, 1915-23 4 marzo 2015 Riccardo Falcinelli Andy Warhol, Brillo Boxes, 1964 1 aprile 2015 Claudio Zambianchi Claude Monet, Le Ninfee dell’Orangerie, 1920-26 13 maggio 2015 Franco Guerzoni Luigi Ghirri, Modena, 1973

1 luglio 2015 Italo Zuffi Bruce Nauman, A Cast of the Space under My Chair, 1965-68 28 ottobre 2015 Chiara Camoni Costantin Brancusi, Porta, 1914-16 18 novembre 2015 Cecilia Canziani Cindy Sherman, Untitled Film Stills, 197780 * gennaio 2016 Daniele Balicco Alberto Burri, Cretto di Gibellina, 1989 * febbraio 2016 Pier Luigi Tazzi Rirkrit Tiravanija, Untitled (Fear Eats the Soul), 1994 * date da definire

10 giugno 2015 Luca Bertolo Philip Guston, The Studio, 1969

smART – polo per l’arte piazza Crati 6/7, Roma Orario: tutti i giorni 18.45 Ingresso libero, gradita la prenotazione Info e prenotazioni: +39 06 99345168 esposizioni@smartroma.org www.smartroma.org

A Cast of the Space under My Chair di Bruce Nauman con Italo Zuffi. Foto di Francesco Basileo

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interviste

La Medea da Pasolini di Giovanni Robustelli MILANO | Spazio Papel | 27 settembre – 17 ottobre 2015 Intervista a GIOVANNI ROBUSTELLI di Luca Bochicchio

Giovanni Robustelli è nato nel 1980 nella città siciliana di Vittoria, dove tuttora vive e lavora. Si è formato da autodidatta in pittura e disegno. Dopo la laurea in Storia dell’arte, nel 2010 ha conseguito il Diploma di Specializzazione nella stessa materia all’Università di Genova. La sua mostra personale Medea da Pasolini (a cura di Leo Lecci), presentata quest’anno al Castel dell’Ovo di Napoli, sarà visibile in un adattamento allo Spazio Papel di Milano, dal 27 settembre al 17 ottobre (catalogo Edizioni Papel). Come descriveresti la tua formazione? Credo che la mia formazione sia un percorso iniziato quando ero molto piccolo. Ho avuto la fortuna di capire che il disegno mi donava un equilibrio, un’idea, tra la mia coscienza e le novità del mondo. Negli anni ho quindi investito

tutto il mio tempo sulla formazione tecnica e culturale del segno, sul suo valore, sulla caratteristica espressiva e narrativa. A 10 anni sfogliavo, ogni giorno, il volume dell’enciclopedia dedicato all’arte e, con molta pazienza e dedizione, copiavo i classici. Non ricalcavo perché capivo che dovevo allenare la mano all’armonia che studiavo, solo così sentivo di comprendere meglio perché quella linea o quel colore erano stati tracciati in un determinato modo anziché un altro, costituendo così un preciso ordine del tempo e dello spazio. Cercavo di entrare in empatia con l’artista attraverso la tecnica. Sono stati anni ingenui ma importanti per apprendere la disciplina e la tecnica. Studiando il segno, ritracciandolo a mano libera, cercavo di capire il valore del significante; a questa cosa ovviamente diedi il nome anni dopo, studiando linguistica generale all’università. Ho guardato

molto e disegnato tantissimo, ma le intuizioni più importanti non sono mai provenute dall’arte figurativa in generale. Autori come Carmelo Bene o Aphex Twin, ad esempio, mi hanno coinvolto in una serie di scelte e di studi che reputo necessari per una ricerca profonda sul linguaggio. Non credo nell’accademia e nell’insegnamento della tecnica come fine espressivo. La tecnica semmai appartiene al linguaggio soltanto se ha una funzione di svuotamento del discorso per non caderne vittima. L’atto artistico risiede nella vanità (vano), nell’abbandono, e lo si ottiene discernendo la coscienza dal soggetto. Questa è una disciplina di metodo, attraverso la tecnica e lo svuotamento quindi del significante. Come scegli i soggetti delle tue opere/serie? O sono loro che scelgono te? Amo pensare che io vada incontro, per gli stessi interessi, per gli stessi percorsi, ai miei soggetti. A volte mi vengono suggeriti e se mi piacciono li accolgo volentieri, ma si tratta, in questo caso, di scorciatoie che mi vengono donate o di clamorose coincidenze. In realtà preferisco affrontare i soggetti che incontro nel mio percorso di letture e studi. Se dedico una serie al soggetto di un romanzo che ho letto, ad esempio, è solo perché ho voglia di comprenderne meglio il suo valore, perché questo mi permetterà di proseguire bene, secondo me, la mia vita. Se si può svelare, mi dici qualcosa sul tuo processo creativo? Se fossi una mosca e potessi seguire Robustelli ogni giorno in studio, che cosa vedrei? Tanto per cominciare mi vedresti entrare e scegliere il supporto e la tecnica, mi vedresti iniziare il lavoro e finirlo nel tempo che richiede. Così per ogni opera. Non realizzo mai studi o bozzetti e non pianifico gli esiti dell’immagine. Tutto è improvvisazione, decido solo il giro armonico. Questo atteggiamento mi serve per avere paura di sbagliare e, di conseguenza, concentrarmi meglio. Ogni cosa deve avere senso di esistere, deve avere un valore. Questo richiede tecnica, immaginazione e quindi un forte senso critico. Ovviamente la soddisfazione del mio linguaggio

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si riduce nei momenti di lavoro. Alla fine di tutto il risultato diventa subito desueto perché i segni mi hanno suggerito altre strade, nuovi strati da scavare. Per la cronaca, nel mio studio ascolteresti molta musica. Quale musica? Molto Jazz e musica classica, l’elettronica sperimentale e, in generale, mi attira molto la musica indipendente. Iosonouncane è l’ultimo artista che mi sta molto appassionando; ho anche la fortuna di avere due grandi amici musicisti come Francesco Cafiso e Giovanni Caccamo.

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come ho detto prima, è costituito di parole. Durante la storia questi contenitori si sono svuotati continuamente per essere riempiti nuovamente e costantemente, fino ad oggi. Non so se esistono nuovi miti, ma sinceramente non sono riuscito ancora ad affrancarmi da quelli esistenti, non posso permettermi di andare oltre con superficialità. Artista o intellettuale? Negare una figura per l’altra, o viceversa, sarebbe come essere certo del mio ruolo. Cerco l’incoscienza e vivo costantemente nel dubbio

Chi è il tuo primo critico? A chi mostri i tuoi lavori compiuti? Annovero, tra i miei critici, chiunque capiti per primo. Mi fido di tutti e di nessuno, ho l’ingenua arroganza di voler piacere a tutti e quindi ascolto i pareri di intellettuali ed operai, amici e parenti. Ognuno può dire una grande sciocchezza o regalarti la chiave di volta, a prescindere dalla condizione sociale o culturale, ma alla fine devo sempre rassegnarmi ed avere il coraggio di affidarmi alla mia stessa intelligenza. Saghe letterarie, cicli mitologici, racconti sacri… C’è una differenza nel modo di affrontarli? Reputo che qualsiasi cosa è figlia della parola perché siamo esseri “parlati”. La realtà si manifesta attraverso un’illusione costante, prodotta dall’interpretazione dei sensi e dell’intelligenza. Vogliamo capire e spiegare le dinamiche del caos attraverso il linguaggio. Per me, quindi, tutto è vulnerabile, potenzialmente vittima del cortocircuito del linguaggio. La Parola è un contenitore, e il suo significato è labile. Medea, Santa Lucia o Santiago sono la stessa cosa, un’idea, un’astrazione (per come la argomenta puntualmente Wilhelm Worringer). Di conseguenza qualsiasi tema voglia affrontare cerco di andare dietro la storia, la trama, il significato, la morale, il sentimento, per cercare di scoprire il valore della parola, e cioè, del significante. Cosa cerchi? Tutto, anche se io sono miserabile, egoista, ignorante, pieno, insomma, di materiale di risulta e quindi il mio “lavorio” tende a scavare per non trovare più qualcosa da rimuovere: ogni strato raggiunto viene buttato fuori dalla buca, creando un cumulo ai bordi, e più vado in profondità e più sento di mirare allo svuotamento totale per raggiungere quindi l’assenza. Il mio tormento è che probabilmente non riuscirò, purtroppo, a non trovare più nulla ed arrivare ad essere, finalmente, il più cretino. Prego ogni giorno come se fossi un derviscio. Cos’è il mito, per te, oggi? Il mito mantiene la sua validità nei secoli perché,

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Giovanni Robustelli, Medea, 2014, olio su tela, cm 80x50 Nella pagina a fianco: Giovanni Robustelli, Giasone e il Centauro, 2015, tecnica mista su tela, cm 200x200


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della mia persona, quindi non so darmi una definizione. Quello che realizzo è la traccia della mia ignoranza. Un artista lo è per coscienza altrui. Un intellettuale ha il tempo di volerlo essere. Com’è nato il desiderio di affrontare Medea? Arrivare a Medea, che è tra i miti che preferisco per la sua ricchezza di contrasti, di estremismi, è stata l’occasione di un viaggio interiore. Medea è incontro e scontro, dolcezza e odio, amore e violenza. In sostanza il mito è la idiosincrasia tra la realtà e l’astrazione, Medea e Giasone sono l’unione impossibile, nella storia, tra materialità e spiritualità, e questo non può avvenire se non come tragedia. Nello specifico, l’orrore non risiede nell’uccisione dei figli o del fratello di Medea, ma nell’unione infausta

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tra astrazione e materia, occidente ed oriente, amore e pragmatismo. Nel momento in cui Medea si innamora di Giasone avviene la morte di tutto, del passato (Medea rinnega la propria terra, la propria famiglia, e uccide il fratello) e del futuro (uccide i figli, testimoni dell’unione). Le vicende che si articolano intorno a questa scintilla sono la conseguenza coerente di un’idea, di un evento, di uno scontro tra due parole. Medea e Giasone si incontrano in un punto, due linee che se prima convergevano poi divergono. Lungo queste linee possiamo soltanto mirarne gli effetti. Dal 2010 al 2015 è un iter lungo, è normale per te? E se no, come mai lo è stato? Nel cuore del mito, Medea nasconde una verità che credo sia per me di vitale importanza.

Per farmi aiutare ho studiato il mito da più punti di vista, traendo spunto dalle interpretazioni che ne hanno fatto i vari autori, da Euripide a Cherubini fino ad arrivare, con l’ultima mostra, a Pasolini. A Napoli, presso Castel dell’Ovo, ho ritenuto quindi importante esporre, oltre la Medea pasoliniana, anche qualche riferimento delle versioni precedenti; la prima stanza, infatti, esponeva la figura di Medea dal 2010 al 2015, come a considerare la forma attraverso l’interpretazione della parola. Per realizzare la Medea di Pasolini ho impiegato due anni, ma a causa di altri impegni con altre mostre. Vivendo solo di arte devo sempre dare la precedenza a commissioni private, alle richieste delle gallerie per mostre personali o collettive. Grazie a questo lungo periodo di tempo, forzato, ho avuto modo di affrontare la Medea di Pasolini con sempre più strumenti, quelli che si possono imparare nell’arco di due anni. Giovanni Robustelli, Medea da Pasolini 27 settembre – 17 ottobre 2015 Spazio Papel via Savona 12, Milano Info: www.spaziopapel.net

Giovanni Robustelli, Medea, 2014, penna a sfera bic su cartone, cm 100x70 32


ETTORE FRANI COMPOSIZIONI doppia personale con LORENZO CARDI a cura di Eli Sassoli de’ Bianchi

SANTA MARIA DELLA VITA Via Clavature 10 Bologna novembre dicembre 2015

L’ARIETE artecontemporanea | Info 348 9870574 | BOLOGNA | www.galleriaariete.it


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arte > mostre

Al confine tra regola e caos: Esther Stocker a Parigi PARIGI | Galerie Alberta Pane | 5 settembre – 7 novembre 2015 di SIMONE REBORA

Una “firma” consolidata negli anni attraverso uno stile asciutto, essenziale, ma anche facilmente attribuibile, Esther Stocker gioca con abilità e leggerezza con le attese del proprio pubblico: stimolandole, imbrigliandole, ma anche disattendendole con costante ironia. In primo luogo c’è la percezione. Percezione approcciata con taglio spiccatamente scientifico (e l’artista non nasconde i suoi interessi in ambito cognitivista, supportati da un approccio psicologico gestaltista). Ma dentro la percezione c’è la struttura, c’è la forma del mondo (o la forma che si suppone intrinseca al mondo percepito). Introdurre un lieve squilibrio entro una struttura formale che, a tutti gli effetti, pare porsi come l’ideale trait d’union tra queste due dimensioni, rovescia inopinatamente l’ordine nel caos: s’inscrive come lieve frattura dai risvolti catastrofici (in senso geometrico, più che geologico), lasciando un segno assai più profondo di quello che appare ai nostri sensi. Ma l’attesa, ovviamente, è anche quella del collezionista, del frequentatore d’arte, che trova agio nel riconoscere le forme (forse un po’ abusate) di una certa op art, ma che può al contempo screziarle di un approccio tendenzialmente minimalista. Esther Stocker, dal canto suo, si dimostra affatto smaliziata sul piano della consapevolezza storica, creando per se stessa un alfabeto che ha radici ben profonde nella contemporaneità artistica, senza chiudersi in facili manierismi. La mostra ospitata da Alberta Pane si offre come un sintetico riassunto della produzione dell’artista, attraverso una selezione di opere inedite, che si pongono però in diretta linea di continuità con il percorso retrostante. La grande installazione ambientale conferma la tendenza di Stocker a interagire con gli spazi con perturbante autonomia, mostrando la possibilità di altre geometrie, di altre architetture, senza però sconvolgere quelle già esistenti. Le opere pittoriche sintetizzano questo fenomeno entro una misura più dominabile, più controllabile. Ed è infine un malcelato desiderio di possesso ciò che ne viene veicolato: correggere gli errori, aggiornare la struttura. Annientare l’arte di Esther Stocker, che prolifera negli interstizi dell’ordine imposto: portandola così implicitamente alla luce.

Esther Stocker, Based on Anarchic Structures

Info: +33 1 43 06 58 72 info@galeriealbertapane.com www.galeriealbertapane.com

Galerie Alberta Pane 64 rue Notre-Dame de Nazareth, Parigi 5 settembre – 7 novembre 2015 Orari: da Martedì a Sabato 11:00 – 19:00 e su appuntamento

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Exhibition view Esther Stocker 2015 © Takeshi Sugiura. Courtesy Galerie Alberta Pane


Bruno Munari: Ritratto di una collezione a cura di riccardo Zelatore

24 settembre | 24 ottobre

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Via L. Porro Lambertenghi 6, Milano Tel. +39 02 87246945 info@galleriagiovannibonelli.it www.galleriagiovannibonelli.it


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fotografia

Obiettivi al femminile: Sguardo di donna VENEZIA | Casa dei Tre Oci | 11 settembre – 8 dicembre 2015 di MILENA BECCI

Una torre a tre piani intorno alla quale si affacciano stanze con le pareti bordeaux che racchiudono sguardi che parlano di vita, amore, morte, sofferenze, paure e relazioni. Oci ben aperti, verso la laguna e oltre. Questa la sensazione uscendo dalla mostra Sguardo di donna, a cura di Francesca Alfano Miglietti, ospitata dalla Casa dei Tre Oci, appunto, a Venezia.

Il progetto allestitivo dello stilista Antonio Marras si snoda su tre spazi centrali disposti sui tre piani della Casa, riutilizzando abiti, tappezzerie abbozzate e strutture lignee che, dimenticate nei depositi del Teatro La Fenice, assumono qui un significato altro, raccontano storie fra storie. Meraviglioso il passaggio dal bianco al nero delle fila di vestiti all’ingresso

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dell’esposizione: si legge Masuda Marchesa sull’etichetta di una delle sottovesti appese davanti al ritratto di una donna che piange di Letizia Battaglia. È la testimonianza del dolore di chi rimane, di chi non viene ucciso nei delitti di mafia ma sopravvive con l’orrore della morte nel cuore. Le circa duecentocinquanta fotografie raccol-


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Martina Bacigalupo, Walter and Benjamin (from the series Hito), 2005 © Martina Bacigalupo/Agence VU’, Paris

te nelle sale della Giudecca accompagnano il visitatore attraverso una serie di tematiche riguardanti l’esistenza umana, l’identità, la violenza, le differenze, i conflitti religiosi e razziali, riunendo venticinque donne, fotografe, che scrutano il mondo attraverso l’obiettivo. A grandi nomi quali Diane Arbus, Sophie Calle, Yoko Ono, Nan Goldin e Tacita Dean, si affiancano artiste più giovani e meno note che, senza dubbio, reggono il confronto; è interessante, ad esempio, la lunga ricerca portata avanti da Martina Bacigalupo nella serie in mostra composta da immagini di gemelli omozigoti identici, in cui la presenza dell’altro non è limite ma opportunità, così come spiega l’ideogramma giapponese Hito, titolo del progetto fotografico. Le figlie dell’arte degli anni Sessanta e Settanta, come Tracey Rose, invece criticano gli stereotipi, i ruoli assegnati alle donne in una società fortemente patriarcale; in Ciao Bella l’artista veste i panni di vari personaggi femminili divenuti icone quali Lolita, Maria Antonietta e Ilona Staller. Commoventi e degni di essere citati, i dodici scatti a Ezra Pound di Lisetta Carmi che, con la sua Leica 35 mm, fotografa il poeta dal momento in cui esce dalla porta di casa per pochi minuti, ammalato e in silenzio, fino a quando rientra. Sguardi quindi, ma anche spazi: gli ambienti in cui avvengono le esecuzioni capitali di Omega Suites, serie di Lucinda Devlin, e la fotografia d’architettura, di design e industriale di Margaret Bourke-White. Un quadro ricco e completo di una visione tutta al femminile della realtà, carica di passione e coraggio.

Martha Rosler, Chiara Samugheo, Alessandra Sanguinetti, Sam Taylor-Johnson, Donata Wenders, Yelena Yemchuk 11 settembre – 8 dicembre 2015

Sguardo di donna. Da Diane Arbus a Letizia Battaglia. La passione e il coraggio a cura di Francesca Alfano Miglietti Artisti: Diane Arbus, Martina Bacigalupo, Yael Bartana, Letizia Battaglia, Margaret Bourke-White, Sophie Calle, Lisetta Carmi, Tacita Dean, Lucinda Devlin, Donna Ferrato, Giorgia Fiorio, Nan Goldin, Roni Horn, Zanele Muholi, Shirin Neshat, Yoko Ono, Catherine Opie, Bettina Rheims, Tracey Rose,

Casa dei Tre Oci Fondamenta delle Zitelle 43, Isola della Giudecca, Venezia Orari: tutti i giorni 10.00-19.00; chiuso martedì Info: +39 041 2412332; +39 041 2414022 info@treoci.org www.treoci.org

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In queste pagine: Sguardo di donna. Da Diane Arbus a Letizia Battaglia. La passione e il coraggio, veduta della mostra, Salone d’ingresso, Casa dei Tre Oci, Venezia


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