digital Cover Artist Lemeh42
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Dossier LuoGhi SPazi LA FONDAZIONE GOLINELLI A BOLOGNA
Open Studios VALERIO BERRUTI
Interview
CORIN SWORN, JOE MCNALLY NICOLA EVANGELISTI, NICOLA SAMORÌ
E TANTI CHRISTMAS TIPS NELLO
Speciale Natale
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ESPOARTE DIGITAL #90 ½ Espoarte Digital è un progetto editoriale di Espoarte in edizione esclusivamente digitale, tutto da sfogliare e da leggere, con i migliori contenuti pubblicati sul sito www.espoarte.net e molti altri realizzati ad hoc.
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Cover LEMEH42, EXVOTO-8, 2015, vernice su vetro graffiata, cm 150x100 OPERA VINCITRICE DI ARTEAM CUP 2015
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INDICE / SU QUESTO NUMERO SI PARLA DI...
ESPOARTE Registrazione del Tribunale di Savona n. 517 del 15 febbraio 2001 Espoarte è un periodico di arte e cultura contemporanea edito dall’Associazione Culturale Arteam. © Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l’autorizzazione scritta della Direzione e dell’Editore. Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile alla redazione per la pubblicazione di articoli vanno inviati all’indirizzo di redazione. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista. Tutti i materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti.
Editore Ass. Cult. Arteam Direttore Editoriale Livia Savorelli Publisher Diego Santamaria Direttore Web Matteo Galbiati Segreteria di Redazione Francesca Di Giorgio Direttore Responsabile Silvia Campese Redazione via Traversa dei Ceramisti 8/b 17012 Albissola Marina (SV) Tel. +39 019 4004123 redazione@espoarte.net Art Director Elena Borneto Redazione grafica – Traffico pubblicità villaggiodellacomunicazione® traffico@villcom.net Pubblicità Direttore Commerciale Diego Santamaria Tel. 019 4500659 iphone 347 7782782 diego.santamaria@espoarte.net Ufficio Abbonamenti abbonamenti@espoarte.net Hanno collaborato a questo numero: Niccolò Bonechi Elena Borneto Francesca Caputo Luisa Castellini Silvia Conta Rosangela Coti Francesca Di Giorgio Matteo Galbiati Kevin McManus Ilenia Moschini Matilde Puleo Eleonora Roaro Gabriele Salvaterra Alessandro Trabucco
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5 Lemeh42 vince l’Arteam Cup 2015 | Intervista a LEMEH42 di Matteo Galbiati 8 Opificio Golinelli: educazione, formazione e creatività | Intervista a ANTONIO DANIELI di Ilenia Moschini 10 La “Commedia dell’Arte” di Corin Sworn | Intervista a CORIN SWORN di Matteo Galbiati 12 Tra reportage e immaginazione: le foto di Joe McNally | Intervista a JOE McNALLY di Matteo Galbiati 16 Nicola Evangelisti. Beware. L’immagine della guerra all’epoca 2.0 | Intervista a NICOLA EVANGELISTI di Luisa Castellini 18 Gare du Sud. Nicola Samorì al Teatro Anatomico di Bologna | Intervista a NICOLA SAMORÌ di Silvia Conta 20 Pino Colla e il “sentire” visibile. Una storia intorno alla fotografia, “per caso e per necessità” | Intervista a PINO COLLA di Alessandro Trabucco 22 Quando la luce diventa scultura: le magiche forme luminose di Anthony McCall | di Matteo Galbiati 25 SPECIALE NATALE Christmas Tips: Per un Natale a regola d’arte... Una selezione di gioielli, accessori e oggetti per tutte le tasche e con un solo denominatore in comune: sono tutti rigorosamente d’artista. Immancabili per collezionisti e appassionati d’arte! Per un Natale a tavola... Cosa c’è in tavola e attorno alla tavola per Natale? Noi vi diamo alcuni consigli per gli acquisti... E per un Natale da Jedi... Nell’arte e nel design è già “STAR WARS-MANIA”! In occasione dell’uscita di Star Wars: Il risveglio della Forza, Episodio VII diretto da J. J. Abrams – la pellicola verrà distribuita nelle sale cinematografiche il 16 dicembre 2015 in Italia e il 18 dicembre negli Stati Uniti –, vi proponiamo una selezione di must have per i fan della Saga. Metti un libro a Natale... Se invece preferite andare sul sicuro e regalare un libro, ecco una selezione di titoli da cui prendere spunto, per i piccoli e per i grandi. 36 Open Studio > Lost in Langhe. Una chiesa per studio: Valerio Berruti a Verduno | Intervista a VALERIO BERRUTI di Luisa Castellini 38 Tommaso Fiscaletti guarda al Sud Africa: Between Home and Wisdom | di Ilenia Moschini 40 Andrea Santarlasci. La profonda specificità dei luoghi | di Niccolò Bonechi 41 James Casebere. Tra illusione e rivelazione | di Eleonora Roaro 42 Erruas, Khelil, Selmani. “Carta bianca” al Nord d’Africa | di Francesca Di Giorgio 44 A Torino l’entusiasmo del colore: Monet, anima dell’Impressionismo | di Matteo Galbiati 46 Tutto Malevič. Alla GAMeC | di Rosangela Coti 47 Beppe Devalle. Riscoprire un protagonista del ‘900 italiano | di Silvia Conta 48 Quando la Natura fiorisce nel mito dell’arte… | di Matteo Galbiati 50 Cerith Wyn Evans. Da oriente a occidente, lungo la traiettoria del sole | di Gabriele Salvaterra 51 La luce in mostra a Parma | di Kevin McManus 52 L’Altra misura delle cose di cui parlare, ancora | di Matilde Puleo 53 A Milano il primitivismo “radicale” di Gauguin | di Matteo Galbiati 54 Il viaggio in Italia di Henri Cartier-Bresson e gli altri | di Francesca Caputo
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INTERVISTE
LEMEH42 VINCE L’ARTEAM CUP 2015 ARTEAM CUP 2015 | Vincitore Categoria Over 30 e Vincitore Assoluto Arteam Cup 2015 Intervista a LEMEH42 di Matteo Galbiati
In occasione della chiusura della mostra degli artisti selezionati all’Officina delle Zattere di Venezia (24 ottobre – 22 novembre 2015), esposizione che ha rappresentato il momento di presentazione dei 40 artisti delle due categorie (under e over 30) del Premio Arteam Cup 2015, abbiamo incontrato Lemeh42 che si è aggiudicato il primo premio della manifestazione: Vincitore Assoluto Arteam Cup 2015 e vincitore categoria Over 30.
processo che diventa quasi narrativo, come avviene questo processo di rivelazione? Così come io amo sviscerare tutto quello che ho davanti agli occhi, fino quasi alla maniacalità, al fine di comprenderlo e farlo mio, inevitabilmente le mie opere, trattandosi di lavori che portano il mezzo stesso impiegato al limite, celano in sé molto di più di quello che sembra ad un primo sguardo. Le mie animazioni, ad esempio, ti lasciano volutamente senza fiato e
Tra gli elementi chiave cui tieni molto, e che metti sempre in evidenza nelle tue presentazioni, ci sono i temi legati all’organizzazione delle strutture spazio-temporali. Cosa intendi esattamente? Ci spieghi quali sono queste strutture? In tutto quello che ho fatto fino ad ora, ho cercato di sovvertire le strutture stesse che ci relegano alla condizione di esseri umani, come lo spazio ed il tempo. Fin dalle prime opere di matrice fotografica, che ho realizzato più di dieci anni fa, non tolleravo che una singola foto racchiudesse quel singolo attimo, perché per me quel singolo attimo era così ricco che una singola immagine non bastava. Per questo scattavo intere serie di foto, come a documentare il momento stesso, e poi le assemblavo per creare un’unica foto, più lunga, più duratura ed esaustiva. Nelle animazioni, in cui il fotogramma è bloccato tra quello precedente e quello successivo, cerco di depistare le aspettative dell’occhio di chi guarda e di far sì che ogni scena o momento non sia finito, ma continui ad aleggiare per tornare a riproporsi quando meno ce lo aspettiamo. Infine nell’ultima serie di lavori, i vetri graffiati, sono partito da alcune icone religiose, immagini fortemente radicate nelle nostre menti da migliaia di anni per servirmene per crearne di nuove. Queste nuove icone contemporanee non vogliono anteporsi a quelle a cui mi sono ispirato. La loro forza sta proprio nel fatto che si rifanno ad immagini che hanno in sé una forza antropologicamente senza eguali ed è per questo motivo che chi le guarda le riconosce, pur non avendole mai viste, creando un corto circuito spazio temporale. Nei tuoi lavori guidi sempre lo sguardo di chi osserva a scoprire qualcosa entro un
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Lemeh42, Exvoto-8, 2015 vernice su vetro graffiata, cm 150x100
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solo dopo che le guardi e le riguardi trovi dei dettagli, dei riferimenti che ti svelano qualcosa di più. Molti riferimenti sono volutamente celati o talmente personali che nessuno probabilmente li scoprirà mai. Le ultime opere, i “vetri graffiati”, giocano su due livelli d’interazione ed interpretazione che ad un osservatore disattento sfuggono. Ogni opera è in sé una sfida, in tutti i sensi, una sfida per me, ma una sfida anche per chi guarda, credo che senza ciò non ci sia né ricerca, né innovazione stilistica.
piegato per concepirle mentalmente perfette, scevre da ogni debolezza. Solo così un’opera d’arte ha in sé quella forza per cui può essere chiamata tale.
Quali sono i temi che toccano il nervo scoperto della tua ricerca? A cosa sei maggiormente sensibile? Non mi prefiggo dei temi, non credo di essere legato a tematiche specifiche. Per citare Dylan Thomas: “Io creo un’immagine, vi applico quel tanto di potere intellettuale e critico che posseggo per generarne un’altra e lascio che questa nuova immagine contraddica la prima. Ciascuna immagine contiene in sé il germe della propria distruzione, e il mio metodo, così come io lo intendo, è un costante ergersi e crollare delle immagini che si sprigionano dal germe centrale, che è esso stesso distruttivo e costruttivo allo stesso tempo”.
Mi ha sempre colpito la versatilità con cui passi da una tecnica all’altra: pittura, video,
Nascete come gruppo adesso lavori da solo. Cambia qualcosa per Lemeh42? Assolutamente no. È stata una fase della mia vita molto importante che mi ha insegnato tanto e mi ha permesso di conoscermi oggettivamente ancora meglio.
Troviamo realtà e immaginazione? Cosa prevale nelle tue immagini? Entrambe. Le mie immagini devono essere un equilibrato mix di realtà e immaginazione. Anche nella vita, quella “reale” fuori dal mio studio, mi rendo conto che cerco continuamente un equilibrio tra queste due costanti. Purtroppo però vedo che nel mondo là fuori c’è troppa realtà nella realtà e poca immaginazione nell’immaginazione. Spesso i temi alti vengono “drammatizzati” lasciando accedere l’interesse di chi guarda ad un registro espressivo che, poco a poco, rivela il proprio contenuto profondo. Come riesci a non disperdere la forza del senso di quanto cerchi e di quanto vuoi comunicare? Le mie opere hanno richiesto molto tempo per essere create. Non necessariamente tempo pratico impiegato nel realizzarle, ma tempo im-
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installazione, animazione… Come adatti i diversi registri linguistici nella coerenza complessiva che caratterizza la tua ricerca? Molto spesso si commette l’errore di farsi fascinare dal nuovo mezzo espressivo e dalla tecnologia applicata al mondo dell’arte, è successo con la fotografia, con il video ed ora con l’interazione. Ciò che rende un’opera d’arte tale è la sua forza. La forza non è quindi il medium, la forza è l’idea, ciò che vogliamo esprimere, che rende appunto un’opera d’arte ciò che è. Come dicevo prima, bisogna spingere il mezzo espressivo impiegato al suo limite, il più vicino possibile al punto di rottura, piegarlo
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al nostro volere e non il contrario solo così c’è vera creazione. Recentemente hai iniziato una nuova tipologia di opere. Ce ne racconti brevemente le specificità? Queste nuove opere sono state realizzate con una tecnica che ho ribattezzato “vetro graffiato”. Utilizzo delle lastre di vetro di un determinato spessore, dipingo un lato della lastra di vetro con della vernice nera. Una volta asciutta, graffio via la vernice con dei piccoli strumenti di mia invenzione.
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Quali sono le caratteristiche dell’opera Exvoto-8 che hai presentato all’Arteam Cup 2015 e che fa parte dell’ultimo ciclo di lavori? Quest’opera è un’installazione che ho concepito appositamente per il premio. I vetri graffiati che ho scelto fanno parte di una nuova serie più ampia di vetri graffiati dal titolo Holy Lines. Per la realizzazione di questi cinque vetri, come per il resto della serie, mi sono ispirato alle icone della religione cattolica, per lo più raffigurazioni di santi e immagini sacre che fanno parte dell’iconografia cristiana. Grazie alla tecnica che utilizzo i cinque vetri danno vita ad
una nuova iconografia, contemporanea ma allo stesso tempo fortemente legata all’iconografia di riferimento, innovativa dal punto di vista stilistico e visivo ma non per questo blasfema o dissacratoria. Le linee che solcano questo ultimo ciclo di lavori, così come questi cinque vetri, sono negazioni stesse di linee, sono ciò che resta delle linee, bianchi squarci che nel distruggere e deturpare l’opera la rivelano ai nostri occhi. Quali sono i prossimi impegni? Mostre, progetti? Il 21 gennaio 2016 inaugurerò una mostra personale presso la Galleria Remomero a Beirut in Libano dal titolo Drawing Renaissance, una nuova serie di disegni su tela. Sarò poi presente ad Artefiera 2016 con la galleria L’Ariete artecontemporanea, la mia galleria di riferimento, ed in quest’occasione presenteremo Holy Lines la nuova serie di vetri graffiati da cui l’opera per il premio è stata estrapolata, ed una nuova videoanimazione. A settembre sarò di nuovo a Beirut per una residenza presso la Galleria Remomero per realizzare una nuova serie di vetri graffiati. Info: www.lemeh42.com Galleria di riferimento: L’Ariete artecontemporanea www.galleriaariete.it Prossimi eventi: Drawing Renaissance. 20 Disegni su tela Remomero Gallery Beirut, Libano opening 21 gennaio 2016
Lemeh42, Exvoto-3, 2015 vernice su vetro graffiata, cm 120x100 Nella pagina a fianco: Lemeh42, Exvoto-1, 2015 vernice su vetro graffiata, cm 120x100 In basso: Lemeh42, La mano nera, 2014 matita su carta, cm 50x350
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DOSSIER LUOGHI SPAZI
OPIFICIO GOLINELLI: educazione, formazione e creatività BOLOGNA | Opificio Golinelli Intervista a ANTONIO DANIELI di Ilenia Moschini
La Fondazione Golinelli di Bologna nasce nel 1988 per volontà di Marino Golinelli, imprenditore, filantropo e grande collezionista di arte contemporanea. Fin dall’inizio la Fondazione si è occupata in maniera integrata di educazione, formazione e cultura al fine di favorire la crescita intellettuale, responsabile ed etica dei giovani e della società. Dopo un importante intervento di riqualificazione architettonica e urbana, lo scorso ottobre ha inaugurato, sempre a Bologna, l’Opificio Golinelli, cittadella per la conoscenza e la cultura dove si svolgeranno la gran parte delle attività formative, didattiche e di promozione delle scienze e delle arti svolte dalla Fondazione. Abbiamo incontrato Antonio Danieli, direttore generale della Fondazione Golinelli, al quale abbiamo chiesto quali sono gli intenti che guidano le iniziative che fanno capo alla Fondazione e all’Opificio, come sono strutturate e quale può essere il ruolo di educazione, formazione e creatività in un mondo sempre più complesso, multiculturale e imprevedibile…
gnare loro un metodo; Giardino delle imprese, rivolta ai giovani adulti dai 15 ai 25 anni, per stimolare idee e la determinazione di realizzarle concretamente unendo il sapere al saper fare; Educare a educare, per aiutare gli insegnanti a stimolare lo spirito critico negli studenti e far sì che l’educazione sia utile per la crescita personale e culturale e non indottrinamento verso una società statica e immobile; Arte, scienza e conoscenza, per aiutare i ragazzi e i cittadini tutti a sapere immaginare un futuro e a guardare le cose da molteplici punti di vista; Scienza in piazza, rivolto anche questo a cittadinanza e istituzioni per far crescere la società della conoscenza. Che tipo di collaborazioni e sinergie avete instaurato con i partner istituzionali, acca-
demici, scientifici e culturali con i quali operate? La fondazione ha più di cento partner ed è aperta a lavorare in rete e in sinergia a livello nazionale e internazionale; co-progetta iniziative e stipula accordi programmatici pluriennali alla base di collaborazioni strategiche che si traducono sempre in progetti concreti. Con quali intenti è stato creato l’Opificio Golinelli? Quali sono le specificità dello spazio? L’Opificio è la casa della fondazione Golinelli, una cittadella per la conoscenza e la cultura rivolta a 150.000 presenze all’anno tra studenti, insegnanti, famiglie, imprenditori, artisti, scienziati e uomini e donne di cultura. Un grande laboratorio didattico e culturale, un acceleratore
Quando e come inizia la storia della Fondazione Golinelli? Quali sono i suoi valori fondativi e gli obiettivi che si prefigge? Fondata nel 1988 da Marino Golinelli, imprenditore, uomo di cultura, filantropo, che decide di restituire parte della propria ricchezza alla società. Responsabilità e continuità sono i valori fondativi, mentre l’obiettivo principale è quello di sostenere la crescita culturale dei giovani per immaginare e costruire con fiducia un futuro mondo sostenibile. La fondazione è privata, filantropica strategica, operativa, autonoma e indipendente, esempio unico in Italia e ispirata ai modelli anglosassoni. Può descriverci brevemente le sei aree progettuali nelle quali sono articolate le attività della Fondazione, che tipo di approccio le caratterizza e a chi sono rivolte? Scuola delle idee, rivolta ai bambini dai 18 mesi ai 13 anni, per stimolare la creatività e favorire l’orientamento verso le proprie attitudini fin da piccoli; Scienza in pratica, rivolta agli adolescenti dai 14 ai 18 anni, per accendere la passione verso la scienza e la tecnologia e inse-
Un ritratto di Marino Golinelli. Foto: Giovanni Bortolani In alto: Un ritratto di Antonio Danieli. Foto: Giovanni Bortolani
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della società verso il futuro, verso il 2065. 9000 mq disponibili, l’80% dello spazio è dedicato ai laboratori mentre il restante 20% agli spazi espositivi ispirati a criteri di sostenibilità, rigenerazione urbana e policentrismo con una visione metropolitana territoriale “glocale” e multiculturale. Quali sono le ambizioni e i progetti per il futuro, sia a breve termine, sia nel lungo periodo? Un solo nome, progetto ultradecennale OPUS 2065, per intendere: 1) avvio di nuove strutture didattiche altamente innovative; 2) creazione di un centro di ricerca sulle frontiere futuribili della conoscenza; 3) creazione di nuove, originali, innovative ed economicamente sostenibili, iniziative produttive. Secondo voi, che valore ha – o dovrebbe avere – la creatività per lo sviluppo di una società della conoscenza? Creatività e passione sono capisaldi culturali per lo sviluppo! L’educazione dovrebbe essere orientata a stimolare la creatività e ad accendere la passione nelle nuove generazioni fin dalla tenera età. Serve una “nuova cassetta degli attrezzi” per ognuno di noi con dentro questi due strumenti basilari e poi anche: immaginazione, saper sbagliare, spirito critico e finanche valori etici come la responsabilità sociale ed il senso civico. L’apertura dell’Opificio è avvenuta lo scorso 3 ottobre, quasi in concomitanza con l’inaugurazione della mostra Gradi di libertà: dove e come nasce la nostra possibilità di essere liberi in corso al MAMbo, Museo di Arte Moderna di Bologna. Semplice coincidenza oppure si tratta di una scelta consapevole e con un significato ben preciso? Scelta consapevole e con significato preciso. L’Opificio è un luogo per menti aperte e la precondizione di base è la libertà. Le mostre sono uno dei tanti progetti della Fondazione che hanno tutti l’obiettivo di “educare alla conoscenza” le nuove generazioni e la società tutta.
a cura di Cristiana Perrella e Giovanni Carrada La Fondazione Golinelli partecipa al programma di ART CITY con alcune proposte per il pubblico. Opificio Golinelli, la cittadella per la conoscenza e la cultura inaugurata lo scorso ottobre e voluta dal presidente Marino Golinelli, sarà aperto dal 29 al 31 gennaio con attività per bambini e adulti e una performance per ART CITY White Night sabato 30 gennaio, a cura di Cristiana Perrella. Venerdì 29 e sabato 30 gennaio, dalle 15.00 alle 19.00, ci saranno visite all’Opificio e alle
opere esposte della collezione Golinelli. Sabato sera, dalle 21 a mezzanotte, si potrà entrare a Opificio fino a esaurimento posti, mentre alle 22 saranno date anticipazioni sulla prossima mostra di arte e scienza in programma a Opificio Golinelli (più altri luoghi della città), fra gennaio e marzo 2017. Dedicata alle attività per bimbi e adulti tra arte e scienza il pomeriggio di domenica: dalle 15.00 alle 19.00 laboratori su prenotazione, dalle 16.00 alle 18.00 visite a Opificio. Info: http://www.artescienzaeconoscenza. it/fondazione-golinelli-partecipa-ad-artcity/1745
Fondazione Golinelli | Opificio Golinelli Via Paolo Nanni Costa 14, Bologna Info: +39 051 0923200 info@fondazionegolinelli.it www.fondazionegolinelli.it Progetti: La Fondazione Golinelli per Arte Fiera 2016 l’Opificio espone una selezione di opere della collezione Golinelli
Opificio Golinelli, Bologna. Foto: Giovanni Bortolani
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INTERVISTE
LA “COMMEDIA DELL’ARTE” di Corin Sworn REGGIO EMILIA | Collezione Maramotti | 4 ottobre 2015 – 28 febbraio 2016 Intervista a CORIN SWORN di Matteo Galbiati
All’inaugurazione della mostra collettiva Industriale immaginario e dell’installazione Silent Sticks di Corin Sworn (1976), recentemente presentate dalla Collezione Maramotti nella sua splendida sede di Reggio Emilia, abbiamo incontrato la giovane artista vincitrice della quinta edizione del Max Mara Art Prize for Women. Dopo l’anteprima alla londinese Whitechapel Gallery, la sua opera viene esposta, con una mostra dedicata, nella grande sala al pian terreno della collezione emiliana prima di entrarne a far parte in permanenza. Pensata come ad una scena teatrale, con tutti i relativi oggetti che occorrono ad una messa in scena di uno spettacolo, questo intervento installativo propone una stratificazione di elementi eterogenei che, sviluppato durante la residenza d’artista che Sworn ha trascorso in Italia durante il 2014, interpreta la visione della Commedia dell’Arte, tema su cui l’artista ha scelto di concentrarsi per questo specifico progetto. Abbiamo posto a Corin Sworn alcune domande su questa sua esperienza:
Cosa ha rappresentato per te il Max Mara Art Prize for Women? Cosa significa per te questo importante successo personale? Il Max Mara Art Prize for Women è stata una fantastica forma di sostegno per un duplice motivo: è bello sentire che quello che stai facendo viene considerato interessante e di valore. Inoltre ho avuto da poco un figlio ed ero assai preoccupata per come avrei continuato a portare avanti il mio lavoro e se mai fossi risultata meno professionale; chi promuove il premio ha sentito che avevo assolutamente necessità di un sostegno come artista, con o senza bambino. Questo è stato un grande sollievo e un aiuto in un momento in cui mi sono sentita vulnerabile nella mia carriera. Hai scelto come soggetto la Commedia dell’Arte, cosa ti ha spinto in questa direzione? Ero interessata alle forme di migrazione e alle loro conclusioni. Apprendendo dalla Commedia dell’Arte e dal suo successo che attraversa le frontiere culturali, mi sono chiesta come
questa abbia potuto essere stata comunicata così ad ampio raggio. Inizialmente l’ho pensata come una forma d’arte fondata sul linguaggio, eppure sembrava attraversare poi, con notevole successo, anche altre frontiere linguistiche e mi sono chiesta che cosa significasse nell’uso del linguaggio e in che misura il gesto e il corpo dessero altrettanto il loro contributo. Quali sono state le tappe del percorso di ricerca e lavoro che ti hanno condotto all’installazione esposta in mostra? La mia ricerca iniziale parte dalla biblioteca dove cercavo di decidere cosa esattamente avrei dovuto studiare. Dopo aver dato senso a come fosse ampio e complesso il tema, ho capito che avrei dovuto restringere il campo e ho deciso di concentrarmi su un periodo particolare, attorno al 1550, e sul cliché dello scambio di identità che sembrava un soggetto comune, ma mi chiedevo il perché. Da lì ho letto, ho pensato e ho girato a lungo. Stavo cercando di guardare al presente mentre rileggevo il passato. Ad un certo punto, durante la mia ricerca, ho deciso che avrei lavorato coi costumi. Inizialmente volevo che questi fossero di periodi diversi ed ho pensato agli attori che, usandoli, potevano quindi desumerli da differenti epoche storiche. Da questo istante non sono del tutto in grado di definire chiaramente come le cose si siano sviluppate, il progetto ha preso il sopravvento. Lo scambio di identità resta tema centrale della Commedia dell’Arte, ma è altrettanto attuale nel nostro tempo. Cosa vuoi indicare al pubblico? Non sono sicura che ci sia qualcosa di particolare su cui voglio puntare, costruisco uno spazio che spero orienti in diverse direzioni e che sia poi lo spettatore ad assemblare gli spunti. Detto questo, una delle cose che mi hanno interessata sullo scambio di identità nella fase iniziale è stato dove avvenga l’atto di scambio di una persona in un’altra, sul palco il pubblico è testimone dell’errore, ma non lo realizza da solo. Quindi, quello che viene fuori tra il palcoscenico e il pubblico è una prova che verifica la
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natura di fiducia e di riconoscimento (di questo rapporto), non è più un inganno. Video, performance, installazione… Ci sono media differenti che compongono il tuo lavoro. Come li hai diretti e orchestrati in un solo lavoro? Suppongo che la gamma di supporti differenti derivi dalla sensazione di dover rifinire qualcosa in mio possesso, dovevo modificare qualcosa, ma che è totalmente necessaria o utile alla conoscenza dello spettatore. Quindi penso di costruire un’altra opera che parli di questa idea, ma anche di sostenere una relazione tra le idee stesse. A volte queste sono in sintonia, a volte si tratta di rapporti più indisciplinati. Non credo che lo spettatore abbia necessità di ritrovare interamente la parte che gli è utile, ma mi piace dare i vari pezzi per lasciare che siano assemblati poi da interessi diversi. Quali sono i tuoi prossimi impegni e progetti? Il mio prossimo progetto è quello di riprendere il mio precedente lavoro, per far ampliare la mostra originale attraverso diversi racconti che, per dovere di semplicità, furono tagliati, ma che ancora la tormentano. Voglio capire ora come permettergli di “parlare”. Silent Sticks. Corin Sworn Max Mara Art Prize for Women in collaborazione con Whitechapel Gallery 4 ottobre 2015 – 28 febbraio 2016 Collezione Maramotti via Fratelli Cervi 66, Reggio Emilia Orari: giovedì e venerdì 14.30-18.30; sabato e domenica 10.30-18.30 Ingresso gratuito, visita accompagnata solo su prenotazione Info: tel. +39 0522 382484 info@collezionemaramotti.org www.collezionemaramotti.org
Corin Sworn, Silent Sticks, veduta della mostra alla Whitechapel Gallery. Courtesy: Whitechapel Gallery. Foto: Stephen White
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INTERVISTE > FOTOGRAFIA
TRA REPORTAGE E IMMAGINAZIONE: le foto di Joe McNally BASSANO DEL GRAPPA (VI) | Museo Civico | 1 novembre 2015 – 19 gennaio 2015 Intervista a JOE MCNALLY di Matteo Galbiati
In occasione di Bassano Fotografia 15 “Liberamente” abbiamo avuto modo di incontrare, all’inaugurazione della sua personale Joe McNally. A life on Assignment presso il Museo Civico di Bassano del Grappa – dove per la stessa manifestazione si tiene anche Fulvio Roiter. World Trade Center before, con protagonista l’omonimo fotografo veneto – il grande fotografo Joe McNally (1952) con il quale ci siamo intrattenuti per una (piacevolissima) conversazione sul suo lavoro. La mostra, che abbraccia oltre trent’anni del suo lavoro, comprendendo fotografie di reportage per le celebri riviste con cui ha collaborato (Life, National Geographic, Time, Newsweek, New York e New York Time Magazine, Fortune, Sport Illustrated, …), gli scatti delle sue campagne commerciali e i suoi lavori di ricerca, è
stata organizzata da Manfrotto, azienda italiana leader nella produzione di treppiedi (e altra attrezzatura per la fotografia), di cui lo stesso McNally è ambassador ufficiale. Nella cittadina veneta, per la prima volta in Italia, si possono ammirare in un’esposizione di grande respiro gli scatti di McNally in una “collezione” unica e di forte impatto e intensità come solo il suo sguardo sa riconsegnarci. Ecco il riassunto dell’incontro con il celebre fotografo americano:
ché quell’idea prendesse forma e diventasse reale nella mia testa. L’ho deciso mentre ero ancora a scuola. Ho intrapreso la mia strada viaggiando su un peschereccio nel Mare del Nord per eseguire un progetto fotografico durante la scuola di specializzazione. Fu un’esperienza incredibile e straordinaria. Due settimane in mare nel mese di novembre. Ma, in quel preciso momento, mi convinsi assolutamente che avrei voluto essere un fotografo e raccontare storie.
Quando nasce la tua passione per la fotografia? Quando è diventata una professione? L’ho compreso fin dal primo istante in cui ho preso una macchina fotografica in mano, anche se poi, ovviamente, c’è voluto un po’ per-
Quali sono stati i tuoi maestri i tuoi modelli? Chi e cosa ha influenzato la tua ricerca e il tuo lavoro? In giovane età ho avuto molte influenze a cominciare dai miei professori alla Syracuse University: Fred Demerest, mio professore di
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fotografia, ha avuto un profondo effetto su di me, ha sostenuto la mia visione creativa e ha incoraggiato il suo sviluppo. Ci sono così tanti “maestri” che venero, poiché, come si dice, “chi viene prima di noi costituisce le spalle su cui ci appoggiamo”, dovrei includere Carl Mydans, Alfred Eisenstaedt, John Loengard, Jay Maisel e Greg Heisler per citarne solo alcuni. Non sono sicuro di come influenzino la mia ricerca in modo diretto, ma direi che, per il tempo passato a lavorare per la rivista Life e per il National Geographic, ne conosco l’importanza della ricerca. Questa è la chiave. Penso che avere modelli, influenze ed eroi fotografici sia importante per dare informazioni al nostro sguardo: guardando altri lavori lo si alimenta, ti dà ispirazione e idee. Hai lavorato per le maggiori riviste di fotoreportage come Life, il National Geographic, Newsweek, Fortune o il The New York Times Sunday Magazine cosa ha rappresentato per te questo lavoro come ha segnato la tua carriera? Sono molto fortunato ad aver avuto il privilegio e l’opportunità di scattare per queste riviste e sicuramente è stata una preziosa esperienza formativa. Lavorare per pubblicazioni tanto significative, importanti e considerate ti permette di creare un corpus di lavoro che può interessare altre testate o futuri clienti; così mi ha decisamente aiutato nella mia carriera, aprendo nuovi canali e connessioni, rapporti e accrescendo le mie commissioni. L’altro straordinario vantaggio nel lavoro con i periodici è che si arriva a rapportarsi con i maggiori e più talentuosi photoeditor del settore, una cosa che ti aiuta a crescere e a maturare come fotografo. Ovviamente il nome stesso della rivista ti apre tutte le porte: mi è stato concesso di vedere e fare cose straordinarie con la macchina fotografica proprio per alcune delle testate che ho rappresentato.
tuato ad usare la pellicola in bianco e nero per i lavori con le agenzie di stampa e i giornali, ma quando ho iniziato a scattare a colori, mi è finalmente sembrato tutto giusto. Ho una buona immaginazione e un’ampia tavolozza di colori. L’introduzione del colore e il suo sviluppo successivo, pertanto, è stato, per me, fantastico: avevo a disposizione così tante scelte per la mia espressività. Io vedo a colori. Scattare con pellicola colore con un ISO basso mi ha anche costretto ad imparare come dare luce, proprio perché non stavo più scattando con un ISO ad alta sensibilità. La luce resta un parametro che condiziona sempre la tua fotografia, come la utilizzi? La luce è sempre la forza trainante, sia la luce esistente, reale che la luce che noi creiamo. Io dico che è “situazionale”, dipende da come la applico. Devi metterti in discussione ogni volta, non c’è un “solo” modo per usarla. Io tratto la
Un momento di svolta avviene negli anni Settanta quando inizi a lavorare con la pellicola a colori. Cosa ha comportato l’introduzione del colore? Scattare con la pellicola a colori per me è stato un punto di svolta importante perché ero abi-
Joe McNally. A life on Assignment, Museo Civico, Bassano del Grappa (VI) In alto e nella pagina a fianco: Joe McNally. A life on Assignment, veduta della mostra, Museo Civico, Bassano del Grappa (VI)
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luce come fosse un linguaggio. L’uso della luce è come noi parliamo in quanto fotografi. Nelle tue foto artistiche non ricorri a Photoshop, ma segui ancora la strada dello “scatto unico”. Cosa implica? Non ci vedo implicazioni, poiché dipende molto dal committente. Alcuni committenti o lettori preferiscono guardare immagini molto “lavorate”, dove lo scatto dell’otturatore è stato solo l’inizio del processo. Il fotografo, in post produzione, trasferisce, forse, in altro ambito l’immagine. Viste le mie radici, cerco di visualizzare l’immagine come fosse un affare fatto, che esce direttamente dalla macchina fotografica. Questo non vuol dire che non ricorri a a Photoshop. Tutte immagini digitali necessitano di una misura di tweaking. Quello che faccio, però, vorrei fosse caratterizzato dal lavoro di base in camera oscura. L’immagine, come la concepisco, si fa nella macchina. Inoltre, le
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testate per cui, storicamente ho lavorato, ti chiedono di inviare loro foto non “verniciate”. Prese direttamente dalla macchina fotografica e girate a loro. Quanto tempo necessita la preparazione del set? In studio o nell’ambiente naturale? Dipende dall’incarico. Alcuni scatti richiedono giorni di preparazione mentre altri potrebbero necessitare solo di poche ore. Ognuno è diverso. Sono stato fortunato ad essere stato ingaggiato per ogni tipo di lavoro, dal fotogiornalismo sul campo al duro lavoro su set impegnativi. Per molti tuoi lavori la fotografia spinge al limite la fisicità stessa del tuo corpo, sfidando altezze, con la furia degli elementi, stando in luoghi e situazioni improbabili. Come mantieni la concentrazione sullo scatto in situazioni tanto al limite? In realtà riesco a stare molto calmo quando opero in condizioni di forte pressione. È un po’ strano. Ma è importante focalizzarsi solo sulla fine della partita: sei lì per fare una foto e, occasionalmente, le cose potrebbero diventare frenetiche. Devi solo tenere d’occhio la macchina fotografica e andare avanti con il lavoro. Le tue immagini sanno combinare la forza diretta del reportage con la narrazione fiabesca e surreale come combini queste due differenti anime? Questa è una domanda interessante! Penso che sia perché ho una fervida immaginazione. Sono cresciuto con una sensibilità “da tabloid” sui giornali, ma anche apprezzando i cartoni animati e le animazioni, così è forse da lì che derivava
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tutto! Penso di aver letto troppi fumetti! Quali sono i contenuti della mostra di Bassano? La mostra si compone di 40 fotografie che sono una rappresentazione della mia carriera come fotografo lunga 35 anni. È un meraviglioso onore esporle, il mio lavoro è presentato bene. Ringrazio ancora moltissimo tutte le persone coinvolte. Come hai scelto le fotografie? È stato uno splendido lavoro di collaborazione con i nostri amici di Manfrotto. Abbiamo scelto una serie di lavori, alcuni dei miei primi scatti più documentaristici e dedicati alla natura, ma anche volevamo quelli in cui si vede la mia passione per la danza e la ritrattistica in generale. Inoltre dovevano essere presenti i volti di Ground Zero. Che ruolo ha la fotografia oggi? Cosa e dove guarda McNally? La fotografia è un’affascinante finestra spalancata su genti e luoghi. Con le persone ho sviluppato amicizie e legami duraturi che non hanno prezzo. Ma oggi è ancora più competitivo. Sul set è sempre bene avere abilità diversificate: sapere come ritoccare, trasmettere, fare video, scrivere, e, naturalmente, sapere come fare affari! Del resto, come dico sempre, c’è il cibo per la tavola e il cibo per l’anima. Hai bisogno di entrambi per sopravvivere come fotografo. Quali sono i tuoi prossimi progetti e impegni?
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Sono entusiasta del futuro e dei futuri incarichi. Amo insegnare e scrivere così ho intenzione di continuare a fare quello che faccio. In realtà mi sto divertendo di più, come fotografo, ora, in questa nostra era di Internet, di quanto non abbia mai fatto prima. Non vedo l’ora di guardare ciò che è oltre la collina. È sempre una cosa sorprendente. Joe McNally. A life on Assignment a cura di Manfrotto nell’ambito di Bassano Fotografia 15 “Liberamente” 1 novembre 2015 – 19 gennaio 2015 Museo Civico Piazza Garibadi 34, Bassano del Grappa (VI) Orari: da martedì a sabato 9.00-19.00; domenica e festivi 10.30-13.00 e 15.00-18.00 Intero €5.00, ridotto gruppi (minimo 15 massimo 30 persone) €3.50; cumulativo Museo Civico + Museo Remondini + Museo Ceramica intero €7.00; ridotto €5.00 Info: +39 0424 519901 www.museibassano.it www.manfrotto.it www.bassanofotografia.it
Joe McNally. A life on Assignment, Museo Civico, Bassano del Grappa (VI)
robert pan mahdi
10 dicembre 6 febbraio 2016
GALLERIA GIOVANNI BONELLI Via L. Porro Lambertenghi, 6 20159 Milano +39 02 87246945 www.galleriagiovannibonelli.it info@galleriagiovannibonelli.it
DI 3.657 AH, 2014/2015, resina e tecnica mista, cm 146x106
inaugurazione 10 dicembre ore 19.00
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INTERVISTE
NICOLA EVANGELISTI. BEWARE. L’immagine della guerra all’epoca 2.0 MILANO | Area35 Art Gallery | 2 dicembre 2015 – 26 gennaio 2016 Intervista a NICOLA EVANGELISTI di Luisa Castellini
Il conflitto reale si consuma. Il conflitto “virtuale” si riverbera attraverso i media generando una violenza o comunque una minaccia potenzialmente continua e perpetua. I meccanismi di questa comunicazione, soprattutto nel web, sono al centro del progetto Beware di Nicola Evangelisti, in mostra a Milano. Con il progetto Beware, che presenti integralmente in questa mostra e in un libro, porti a emergere l’antinomia tra il conflitto reale e quello “virtuale”. Quali sono gli aspetti che hai portato nelle tue opere e con quale intento? Il mio intento non è portare nelle opere degli elementi di guerra, quanto porre una riflessione sulle modalità di comunicazione della violenza.
La guerra di cui parlo, attraverso i miei lavori, è quella raccontata dai media e in particolare dal web. È proprio su internet che ho trovato gli elementi più interessanti, come i video di Anonymous e quelli di propaganda dell’Isis, realizzati con tecniche cinematografiche e post produzioni impeccabili. I telegiornali “alternativi” proposti dal web, in cui vengono argomentate le teorie complottiste, non sono meno fuorvianti di quelli ufficiali controllati dal potere economico e politico. La cacofonia dell’informazione rende impossibile farsi un’idea oggettiva dei fatti, è questo senso di “galleggiamento” sopra il dato oggettivo, lo scollamento dalla realtà, il senso di vivere in un videogame, una realtà alternativa, appunto virtuale, che voglio rappresentare.
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Nicola Evangelisti e Ronald Lewis Facchinetti, Peace bullet mandala, 2015, scultura in proiettili e alluminio, cm 38x38. Foto: Gabriele Corni
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Pace e guerra, nelle tue installazioni, sono traslate nella stessa semantica di piombo. La realtà si rende quindi misurabile nei suoi frammenti? Pace e guerra sono concetti complementari: se non ci fossero le guerre la pace sarebbe semplicemente uno stato di normalità. In questo senso il pacifismo è un termine che non amo: la pace dovrebbe essere semplicemente l’assenza di guerra come condizione unica possibile e non il frutto di uno scontro ideologico e politico. Lo scontro ideologico è la condizione stessa per la quale si formano le divisioni e i contrasti sociali. Nelle mie opere, tuttavia, non sono propriamente rappresentate la guerra o la pace, bensì la modalità di comunicazione delle informazioni, la distanza che intercorre tra gli accadimenti e la loro percezione. Il piombo dei proiettili e l’ottone dei bossoli, non sono l’unità di misura della realtà, ma partes minimae delle mie installazioni. Come avviene la trasfigurazione dei proiettili delle tue installazioni in elementi plastici? C’è una prima trasfigurazione formale che porta a percepire questi elementi nella loro totalità a cui ne segue una seconda di ordine “alchemico” data dal trattamento delle superfici. I proiettili delle opere, realizzate in collaborazione con Ronald Facchinetti, sono stati cromati, mentre l’ottone dei bossoli è stato lucidato a specchio. C’è un impreziosimento del materiale che non è solo estetico ma sostanziale perché va a trasformare questi elementi nel loro rapporto con la luce. L’arte, anche se in qualche modo denuncia l’orrore del mondo, comunque lo trasfigura, lo elabora spostando verticalmente l’andamento orizzontale degli eventi.
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tentativo di destabilizzare i valori, le coscienze e lo stile di vita del mondo occidentale.
Inaugurazione mercoledì 2 dicembre 2015, ore 18.30
In che modo la luce, insieme al fruitore, torna protagonista nell’installazione Holy Lance? Il massmediologo Herbert Marshall McLuhan ha definito la luce un medium senza contenuto. È paradossale l’idea di una luce che parli di luce. In questo senso è limitante l’idea che non ci possano essere bacini tematici da cui attingere che non siano quelli inerenti il medium stesso. La luce non ha mai abbandonato il mio percorso di ricerca, forse è meno evidente quando, come nel caso delle sculture di bossoli, è solo riflessa e generatrice di ombre rispetto a quando è realmente prodotta dagli elementi interni illuminotecnici. In Holy Lance, doppi coltelli e spade si dispongono a formare l’immagine di un mirino grande come l’intera parete della galleria. Le sagome in alluminio cromato, che rappresentano queste “armi bianche”, divengono specchi in cui il fruitore ritrova se stesso riflesso.
Area35 Art Gallery via Vigevano 35, Milano Orari: martedì – venerdì 15.30 – 19.30 Info:+39 339 3916899 info@area35artfactory.com www.area35artfactory.com
Nicola Evangelisti. BEWARE A cura di Arianna Grava e Olivia Spatola Testo critico di Paolo Bolpagni Catalogo vanillaedizioni 2 dicembre 2015 – 28 gennaio 2016
Dalla tua indagine sulla crisi economica a oggi, con Beware: come si colloca nell’ambito della tua ricerca questo avvicinamento ai nodi cruciali della società contemporanea? Il mio percorso artistico, iniziato alla fine degli anni ’90 in linea con la mia passione per lo Spazialismo di Lucio Fontana, ha visto una prima svolta in ambito sociale nel 2006 con l’installazione olografica You Are Not Safe. Quell’opera, che segna una tappa fondamentale della mia ricerca, ha avuto un completamento con un’installazione di bossoli raffigurante la stessa scritta. Alla fine del 2012 ho realizzato a Bologna una mostra personale presso la Galleria Oltredimore, a cura di Olivia Spatola, dal titolo Temporary Illusions. In quel caso ho presentato un ciclo di opere incentrate sul rapporto tra reale e virtuale nel contesto della crisi economica. Nel progetto Beware, invece, mi sono interessato alla stessa relazione in rapporto alla modalità di guerra terroristica in cui la comunicazione mediatica assume un valore determinante nel
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Nicola Evangelisti, Holy Lance, 2015 installazione in alluminio, cm 240x240 (render)
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INTERVISTE
GARE DU SUD. Nicola Samorì al Teatro Anatomico di Bologna BOLOGNA | Teatro Anatomico | 14 novembre 2015 – 1 febbraio 2016 Intervista a NICOLA SAMORÌ di Silvia Conta
Gare du Sud è la mostra di Nicola Samorì, a cura di Chiara Ianeselli, che inaugura venerdì 13 novembre al Teatro Anatomico dell’Archiginnasio di Bologna, come secondo appuntamento del progetto Les Gares, che «si propone – scrive la curatrice – di sviluppare in maniera continuativa uno studio storico-artistico dei teatri anatomici in cui si insedia temporaneamente, con particolare attenzione ai diversi contesti sociali in cui le dissezioni anatomiche si sono svolte». Primo appuntamento di Les Gares è stata, nei mesi scorsi, la collettiva Gare du Nord presso il Teatro Anatomico di Amsterdam, a cui hanno partecipato, assieme a Samorì, gli artisti Sonja Bäumel e Laurent-David Garnier, e realizzata con il contributo del Museo Vrolik, il museo di
anatomia del capoluogo olandese, che ha concesso in prestito alcuni lavori. Gare du Sud è una mostra destinata a suscitare un grande pathos nello spettatore attraverso un’interpretazione del luogo nella sua funzione originaria, riletta attraverso la potenza di scultura e pittura che si fanno alchimia tra storia e presente. A pochi giorni dall’opening è Nicola Samorì a presentarci, in anteprima, il progetto bolognese… Quale via hai percorso per far nascere un dialogo tra scultura e pittura e un luogo storicamente connotato in modo così forte come un teatro anatomico? Cercando di abitare i vuoti causati dall’assenza
Nicola Samorì, Gare du Sud, visione della cattedra dal tavolo settorio. Foto: Rolando Paolo Guerzoni 18
dei rituali: quello che il corpo ha lasciato dopo la sua sparizione dal tavolo e quello lasciato dal lettore nella cattedra. Ogni antico teatro anatomico è del resto una scatola orfana della sua funzione, dove si deambula, ad Amsterdam come a Bologna, intorno a una sottrazione. L’anfiteatro bolognese è, inoltre, un corpo di legno suturato, del quale solo pochi frammenti sono sopravvissuti dopo il bombardamento del 1944; schegge pazientemente raccolte e riordinate, poi innestate a protesi continue che hanno ridonato alla stanza l’illusione della completezza attraverso una seconda pelle, quasi una pratica di chirurgia lignea come quella curiosamente annunciata dalla mano di Gaspare Tagliacozzi che regge un naso (scultura a figura intera conservata nel Teatro stesso). Porsi di
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fronte, oggi, a questa decorazione e ricomporla a partire da isole o da piccoli arcipelaghi, non è dissimile dallo sforzo che molti miei lavori domandano, fondati come sono sull’estetica di un residuale che dona levando. Come sarà strutturato il lavoro che presenterai a Bologna? Occupare temporaneamente questo spazio induce a riaffermare la presenza del corpo, con il simulacro in marmo bianco di Carrara deposto sul piano della stessa materia – quasi fosse un’espulsione spontanea del minerale – e con la cattedra del lettore, esaltata dagli scorticati lignei di Ercole Lelli, che incorniciano un silenzio nel quale trova spazio una pala temporanea, incisione a olio che con il bulino apre l’aperto, ripercorrendo una anatomia finissima di una donna gravida incisa per il “De formato foetu liber singularis” di Julius Casserius. Ma nella pala il volume del ventre resta un vuoto uterino, un ammanco che reclama la pietra ovoidale incastonata nella pelle marmorea posata sul tavolo settorio. Una fertilità che si ricompone solo di scorcio, quando la testa del curioso si allinea con il corpo di marmo e l’occhio s’indirizza verso il lettore. Quale rapporto c’è tra Gare du Sud a Bologna e il progetto Gare du Nord svoltosi ad Amsterdam nei mesi scorsi? Gare du Nord era una mostra collettiva, mentre a Bologna è una personale. Come scrive Chiara Ianeselli, curatrice del progetto, «se ad Amsterdam la funzione anatomica doveva ancora iniziare dato che la figura di Nicola Samorì collocata al centro del teatro era, infatti, stante, criminale e chirurgo contemporaneamente, a Bologna arriviamo quando l’operazione è in uno stadio avanzato. Nella “Sala per la funzione dell’Anatomia”, “sede per il controllo della verità e per la contemplazione aperta di ogni segreto” l’artista ha effettuato i primi tagli, levando i primi organi in disfacimento dalla figura deposta sul tavolo settorio». Magnete di entrambe le mostre continua, dunque, ad essere il corpo come massa occupante il centro delle stanze, anche se nel passaggio da un ambiente all’altro questo fulcro sembra essersi liberato dalle ossa e dalle cartilagini per diventare un sacco marmoreo che avvolge una forma compatta, un grosso sasso di fiume (cuore, testa e ossa al tempo stesso). Si sostituisce così il transeunte con lo stabile, quasi si volesse far rivivere i segreti del “pietrificatore” Girolamo Segato, disinfettando la forma dagli umori della decomposizione. La scelta del marmo assume qui un valore particolarmente intenso… Quel che vediamo in mostra è il fossile di un corpo sottoposto all’esercizio dell’anatomista,
un insaccato barocco che affida il fastidio del rivoltante alle cure dello scalpello. Non conosco materia più adatta per compiere questa traslazione: ogni marmo, anche quello che racconta la peggiore delle infezioni, ne annienta il fastidio. E questa sublimazione è tanto più leggibile quanto più il calco della rovina organica si fa esplicito; un sesto giorno sul tavolo che solo la mineralizzazione può consegnarci intatto. Nicola Samorì. Gare du Sud a cura di Chiara Ianeselli la mostra è realizzata in collaborazione con Istituzione Biblioteche Bologna e l’Archiginnasio e rientra nella programmazione di ART CITY Bologna 2016 in occasione di ARTE FIERA 14 novembre 2015 – 1 febbraio 2016 Inaugurazione venerdì 13 novembre 2015 alle ore 16.30
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Aula dello Stabat Mater Teatro Anatomico, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio Piazza Galvani, 1, Bologna Teatro Anatomico dell’Archiginnasio Piazza Galvani 1, Bologna Orari: lunedì – venerdì 10.00 – 18.00 sabato 10.00 – 19.00 domenica e festivi 10.00 – 14.00 Info: +39 051 276811 archiginnasio@comune.bologna.it www.archiginnasio.it
Dall’alto: Nicola Samorì, Gare du Sud, dettaglio della mano del Tagliacozzi che regge un naso. Foto: Rolando Paolo Guerzoni Nicola Samorì, Thòv (particolare), 2015, marmo bianco di Carrara, pietra, cm 115x40x30
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INTERVISTE > FOTOGRAFIA
PINO COLLA E IL “SENTIRE” VISIBILE UNA STORIA INTORNO ALLA FOTOGRAFIA, “per caso e per necessità” Intervista a PINO COLLA di Alessandro Trabucco
Pino Colla ha sviluppato negli anni, con una sana e paziente dedizione, una propria ricerca fotografica ad oggi difficilmente classificabile in schemi o tendenze. La sua autonomia creativa lo ha portato a dedicarsi in totale libertà alla realizzazione visiva di un proprio intimo “sentire” (come lo definisce egli stesso) trovando nell’immagine fotografica lo strumento ideale per questa profonda necessità espressiva. In quale momento della tua vita nasce l’interesse per la fotografia? E quali ne sono state le motivazioni? Buona parte delle cose nasce “per caso e per necessità”, come scrisse Jacques Monod. Nel 1950 ero in collegio e un assistente mi offrì l’opportunità di fare la foto di gruppo alla 5° elementare. Fui affascinato dall’immagine capovolta nel piccolo prisma della macchina fotografica Rondine. Naturalmente in seguito anche la camera oscura è stata molto intrigante in merito, con tutte le emozioni che questa comportava, non ultima quell’odore di fissaggio (iposolfito di sodio) che ancora adesso mi porto nella memoria.
Pino Colla, Ghiannis Ritsos, Epitaffio e Makronissos,1970
Pino Colla, Sedimenti-1, 2006
Quali sviluppi ha avuto in seguito questa passione nei primi anni della tua attività fotografica? Frequentavo la camera oscura di un fotografo che realizzava fototessere, matrimoni, comunioni e battesimi. In seguito frequentai la scuola di fotografia, mia madre era contraria, fortunatamente mi venne fatto il nome della allora famosa Fototecnica Publifoto di Vincenzo Carrese, di viale Montello a Milano, mi presentai e fui assunto. Lì capii di non avere altre passioni, tutto di quel laboratorio mi affascinava. Nel ‘67 inizio quindi a sperimentare fotograficamente un mio “SENTIRE”. Nel 1970 espongo alla Galleria il Diaframma di Milano, a cura di Lanfranco Colombo, la personale fotografica RITSOS: IMMAGINI E POESIA. In questa mostra presento fotografie in bianco e nero ispirate alle poesie delle raccolte Epitaffio e Makronissos del poeta greco Ghiannis Ritsos, nelle quali cerco di rappresentare le atmosfere contestatrici di quel periodo e, allo stesso tempo, la sua rabbia e sofferenza causate dalla
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deportazione subita da parte dei colonnelli che fecero il colpo di Stato. Ad un certo punto del tuo percorso però scegli di abbandonare definitivamente il bianco e nero a favore del colore. Cos’ha determinato questa scelta e dove pensi ti abbia portato? L’ultima immagine che scattai in bianco e nero è del 1973. Penso sia stata significativa del mio percorso, perché già lì il tema del ritratto e della rappresentazione del tempo erano elementi determinanti ed anticipatori di sviluppi futuri. La donai a Lanfranco Colombo che, a sua volta, la donò al Museo d’arte Moderna Carrara di Bergamo. Ciò che ha determinato la scelta del colore è lo scoprire che il B/N abita nella luce stessa, non nel supporto, dentro di essa c’è il B/N, ma anche molto di più. Alcuni non sono d’accordo, specialmente coloro che hanno una visione retrò delle cose, un’idea un po’ romantica. Tempo addietro ho chiesto se mi vendevano un ingranditore Leitz, era molto
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bello, io non volevo utilizzarlo per la stampa, ma come scultura. Non è una questione di romanticismo, bensì un grande riconoscimento per tutte le cose che mi hanno portato sin qui. Gli strumenti ti aiutano a crescere, ma quello che hai da dire è più importante.
Se oggi penso alla fotografia di attualità e al suo “linguaggio”, lo trovo sintetico, asciutto e coinvolgente. Se penso alle foto del “SENTIRE”, immagini a me più affini, trovo in esse molti giochi, effetti visivi stupefacenti ma in realtà con pochi contenuti.
Hai dei maestri? Chi sono? Tanti, tanti maestri. Fotografi della fototecnica Publifoto come Schedoni, Salvati e, in seguito, fotografi di riferimento come Bill Brandt, Herbert List, Weston, Kessel e altri… Trovavo interessanti i ritrattisti cecoslovacchi, del resto sono dell’idea che un buon ritratto riesca a indagare una parte di te che non conosci.
Che differenza secondo te c’è tra una “fotografia” e una “immagine”? Come sempre la foto la fa la macchina fotografica, da tempo progettata per non fare errori. La macchina fotografica è lo strumento per realizzare fotografie, il mezzo è il medesimo, ma “L’IMMAGINE” richiede necessariamente, a differenza della foto comune, una ricerca individuale, e la scelta dell’argomento ne determinerà il percorso. Il digitale ha reso meno macchinoso il lavoro del fotografo e Photoshop ha in effetti sostituito la camera oscura. Le esperienze acquisite in passato, lastre, pellicole e camera-oscura sono oggi, con il digitale, i mezzi che mi consentono, meglio che in passato, di rendere il mio “SENTIRE” visibile.
La tua ricerca è contraddistinta da alcune tematiche che sono per te fondamentali e che hai affrontato sempre con degli scatti raccolti in serie specifiche. Ce ne puoi illustrare le principali? Come detto prima, nel ‘73 realizzo l’ultima immagine in Bianco e Nero. Lascio le mie ricerche, smonto la “CAMERA OSCURA DELL’INTERIORITA’” e mi dedico al lavoro su commissione. Nel 1999, con il mio autoritratto, inizia il “RITORNO VERSO ME STESSO…” come Riccardo Riganti scrive in occasione della mostra personale antologica 1967-2012 dal titolo “IMMAGINI DEL SOGNO E DELLA NOTTE”. Le tematiche che seguiranno dal 1999 in poi sono molteplici, con un comune denominatore, “II SENTIRE”. Dapprima fui attratto dalla dimensione spaziale-temporale. Tentai di fondere due immagini in una. Concettualmente fusi il passato e il presente, il giorno e la notte, l’esterno e l’interno, il sopra e il sotto. E, come era prevedibile, approfondendo quell’esperienza venni attratto dall’azione disgregatrice del tempo; dai frammenti di un muro, dalle pavimentazioni consunte, dagli intonaci scrostati e quindi dai colori che traspaiono sotto altri colori perdendosi a ritroso negli anni. Nel contempo la mia ricerca si concentra sul Mito della caverna di Platone, che si concluderà con la mostra alla libreria Cardano di Pavia nel 2010 dal titolo: IMMAGINI D’OMBRE. Seguirà per il MIA Fair, nell’edizione del 2011, l’esposizione dal titolo SEGRETI SILENZI, poi completata nel 2012 e presentata alle Serre Ratti di Como. Unitamente alla personale antologica dal titolo DEL SOGNO E DELLA NOTTE, presento parte della mia ultima ricerca LE METAMORFOSI VEGETALI che non mi è dato di sapere dove mi porterà in seguito. Nella natura tutto è mutazione, e la mutazione è un linguaggio che trova nella poesia la sua più alta espressione.
Su quali progetti stai lavorando in questo periodo? Con i Ritratti Contemporanei (2014-2015), realizzati in questi ultimi mesi, propongo una rinnovata forma visiva nell’elaborazione dell’immagine finale, utilizzando le risorse offerte dall’odierna tecnica digitale.
Quali differenze trovi nella fotografia di oggi (non tanto dal punto di vista tecnico, che sono evidenti, ma soprattutto di linguaggio) rispetto agli anni dei tuoi esordi?
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Cerco di far risaltare all’occhio dell’osservatore il “fattore tempo”, quale legante tra le due porzioni del volto che costituiscono la struttura compositiva dell’opera, mostrando due momenti differenti della vita del soggetto rappresentato, come per riprendere e portare a termine un discorso lasciato in sospeso per un determinato arco temporale, forse necessario per sedimentare la memoria di pensieri, riflessioni e sensazioni. Questi lavori saranno presentati nel corso del 2016 per la prima volta durante MIA Fair a Milano, presso lo stand della Galleria Riccardo Costantini Contemporary. Info: www.pinocolla.it
Pino Colla, Ritratti Contemporanei - ALDO 2015, inkjet print cm 62x62
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MOSTRE > ARTE
QUANDO LA LUCE DIVENTA SCULTURA: le magiche forme luminose di Anthony McCall LUGANO (SVIZZERA) | MASILugano – Museo d’Arte della Svizzera Italiana | 12 settembre 2015 – 1o gennaio 2015 di Matteo Galbiati
Per l’apertura del MASILugano nuovo polo museale della città di Lugano, che sancisce l’inizio ufficiale del polo culturale (non si faranno solo mostre d’arte), LAC Lugano Arte Cultura, tra le proposte espositive inaugurali, accanto alla bella mostra Orizzonte Nord-Sud, all’installazione di Zimoun, la direzione del museo ha voluto proporre al pubblico una personale dedicata ad un grande artista contemporaneo proprio come Anthony McCall (1946). La scelta dell’artista inglese pare programmatica per il nuovo spazio espositivo che, con questa presenza, vuole sottolineare la sua vocazione e il suo impegno nel sostegno e nella diffusione dell’arte contemporanea e non solo la proposta – come negli anni abbiamo egregiamente avuto modo di apprezzare – di mostre di carattere e taglio scientificamente più storico. Una dichiarazione d’intenti e una di campo quindi, una presa di posizione che ci piace leggere come “militante”. McCall, che il pubblico italiano aveva avuto
modo di apprezzare in una sorprendente mostra all’HangarBicocca qualche anno fa, è intervenuto negli ambienti del Livello -2 con un progetto pensato appositamente per questo luogo, con opere che si legano in modo specifico agli ambienti e alle sale dell’istituzione elvetica. Con una prassi di ricerca che lo fanno evadere da ogni stringente definizione di campo, che per lui diventa sempre troppo riduttiva – agisce con modi vicini al Minimalismo, ma si interessa anche di cinema sperimentale, ricorre alla performance, guarda al mondo del teatro, … – l’artista inglese porta un progetto che sottolinea l’innata capacità poetica del suo lavoro di coinvolgere e di far partecipare il pubblico ad un’esperienza estetica, ma che diventa anche sensoriale, narrativa, immaginifica, onirica, meditativa. Non sfugge e non lascia immune nessuno, McCall con le sue sculture, “solidi” ed evanescenti corpi geometrici di luce, porta ad un altro livello il modo di intendere la presenza
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ambientale della scultura. S’inizia dal buio, come condizione imprescindibile dell’ambiente, l’oscurità come fattore necessario e prioritario alla “visione” dell’opera. Pare impossibile eppure, per “vivere” la dimensione profonda delle sue opere, occorre affievolire alcuni sensi per poterne potenziare la percezione. McCall spinge al limite la capacità di assorbire gli stimoli offerti dal suo lavoro e, in una condizione claustrofobicamente circoscritta, costretta, incerta, quasi rischiosa, accompagna il visitatore all’incanto suggestivo delle sue sculture di luce. Proprio la percezione resa acuta dall’ambiente trasferisce, infatti, un nuovo senso di sicurezza che spinge e porta chi guarda, a vivere, a toccare, a sfiorare, a interagire con le magiche forme delle sue opere. McCall presenta proiezioni luminose che scrivono nello spazio le forme di solidi geometrici in continua evoluzione e cambiamento, e proprio la luce ne proietta le immagini che lentamente si intrecciano, si spostano, descrivendo nel
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buio il profilo di figure che, col fascio luminoso, acquistano la loro effimera solidità. Quello che colpisce e tocca l’osservatore, infatti, è poter vedere come la luce si spinga a consolidarsi in un oggetto fisico che ci chiama a sé naturalmente: i Solid Light Works di Anthony McCall, infatti, dilatano la spazialità del loro esserci con la loro presenza ingombrante e allo stesso tempo trasparente, sono concrete ed eteree, e chi le approccia deve obbligatoriamente “sentire” con mano l’esperienza di una fisicità prossima alla sparizione. Dobbiamo interagire con questi corpi, capirli, toccarli, sentirli. L’avvicinamento a questi grandi lavori ambientali, che inizialmente si pone come quasi ludico, porta lo sguardo dall’ammirazione e dall’incanto istintivo ad una meditazione che si fa più profonda e silenziosa, attenta a cogliere quegli aspetti e quei contenuti che affiorano dall’anima della loro luce e che toccano le corde sensibili del nostro spirito. La concretizzazione di una luce, che progressivamente nel tempo lento del un suo ciclo impostole dall’artista a descrivere spazi di solidità progressive, trascurando i calcoli complessi, gli studi preparatori, il ricorso alla tecnologia che sta alla sua base, porta i propositi canonici della scultura a trasferirne la corporeità oggettuale da se stessa, come opera, a quella di chi l’ammira. Il corpo di chi osserva, di chi si sofferma nel suo luogo resta il transfer, l’elemento catalizzatore di quel tempo in cui avviene l’esperienza estetica. Il movimento, la verifica sensoriale, l’interazione, nell’impalpabilità di una concretezza apparente nella sostanza, ma effettiva nella concezione intellettiva, sono i mezzi e gli strumenti che noi abbiamo per porci al centro dell’opera. Volendo com-prendere il
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lavoro di McCall, noi recepiamo il suo invito a considerare un nuovo pensiero sull’idea di tempo, spazio e movimento. Anthony McCall ci accoglie con l’importante lezione di come poco occorra alla meraviglia per trasformarsi in pensiero, per portare il “sentimento” a farsi introspezione, al visibile per sconfinare nella profondità immensa dell’invisibile, alla circostanza per mutare in esperienza. La cultura della “cosa semplice” calata nella contemporaneità del proprio tempo – tanto da essere precisamente impostata sull’istante unico della percezione – accoglie il valore della spontaneità diretta dell’immediatezza. L’approccio multidisciplinare di McCall ci regala un nuovo tempo, un nuovo modo di relazionarci all’arte e, soprattutto all’arte di oggi; illumina non solo lo spazio di volumi solidi, ma anche
l’intuizione di uno sguardo che guarda oltre i confini del buio, oltre l’accecante forza della luce. Un inizio sbalorditivo per il nuovo e atteso museo ticinese, un inizio che segna il passo della vocazione dei suoi intenti e dei suoi programmi che, ereditando una consolidata attività espositiva di grande livello delle sue precedenti proposte culturali, rilancia l’impegno internazionale della città di Lugano che, da oggi con questo centro, riconferma ed amplifica il suo ruolo di una tra le capitali europee della cultura. Anthony McCall. Solid Light Works a cura di Bettina della Casa 12 settembre 2015 – 1o gennaio 2015 Livello -2 MASILugano – Museo d’Arte della Svizzera Italiana piazza Bernardino Luini 6, Lugano (Svizzera) Orari: martedì, mercoledì e domenica 10.3018.00; giovedì, venerdì e sabato 10.3020.00; chiuso 24 e 25 dicembre; aperture straordinarie giovedì 31 dicembre 10.3016.00; venerdì 1 gennaio 14.00-20.00 Ingresso intero CHFr 15.00; ridotto CHFr10.00; biglietto combinato intero CHFr18.00; combinato ridotto CHFr12.00 Info: +41 (0)58 8664230 info@masilugano.ch www.masilugano.ch In alto e nella pagina a fianco: Anthony McCall. Solid Light Works, veduta dell’esposizione, MASILugano, Lugano 2015 Foto Stefania Beretta, Verscio A sinistra: Anthony McCall, Meeting You Halfway (II), 2009, computer, QuickTime movie file, videoproiettore, macchina per foschia artificiale ciclo di 15 minuti
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4.10.2015 – 28.02.2016
Ph. Stephen white, Courtesy whitechapel Gallery
C o r i n Swo r n S i l e n t St i c k S
info@collezionemaramotti.org www.collezionemaramotti.org via fratelli cervi 66 – reggio emilia
Speciale Natale
Avete giĂ pensato a cosa regalare a Natale? Se siete senza idee, questo speciale fa al caso vostro! a cura di Elena Borneto e Francesca Di Giorgio
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Christmas Tips ~
Per un Natale a regola d’arte... Una selezione di gioielli, accessori e oggetti per tutte le tasche e con un solo denominatore in comune: sono tutti rigorosamente d’artista. Immancabili per collezionisti e appassionati d’arte!
Elisabetta Cipriani – Jewellery by Contemporary Artists invita rinomati scultori e pittori internazionali per creare sculture esclusive da indossare con l’utilizzo di materiali pregiati. Il design di ognuno di questi progetti, parte da uno schizzo creato dall’artista, mentre orafi specializzati con sede in Europa producono il pezzo finale. Il risultato è un gioiello eccezionale che racchiude l’espressione più intima di ciascun artista. Questi pezzi sono creati in serie di 12 o come pezzi unici. Dal 2009 questa galleria londinese collabora esclusivamente con 16 artisti contemporanei distintivi tra cui Ilya & Emilia Kabakov, Carlos Cruz-Diez, Enrico Castellani, Erwin Wurm, Giorgio Vigna, Jannis Kounellis, Rebecca Horn, Tatsuo Miyajima e, da quest’anno, con Ai Wewei del quale ha da poco presentato la collezione Rebar in Gold, visibile alla Elisabetta Cipriani Gallery a Mayfair fino al 16 gennaio 2016.
Ai Weiwei, Rebar in Gold, 2013, bracciale in oro 24k, cm 60 (lunghezza), pezzo unico
Ai Weiwei. Rebar in Gold Elisabetta Cipriani Gallery 23 Heddon Street - W1B 4BQ London fino al 16 gennaio 2016 Info: www.elisabettacipriani.com Pedro Cabrita Reis, B1, 2015, bracciale in ferro e oro 18k, cm 3,8x6
Carlos Cruz Diez, Chromointereference, 2013, bracciale in oro 18k, acrilico con pigmento UV, ø cm 6, ed. 5
Giorgio Vigna, Sasso, 2015, spille magnetiche in argento e rame granulato
Le opere di Lia Pascaniuc possono essere incorniciate, ma anche indossate. L’artista, infatti, ha realizzato, in collaborazione con gli artigiani comaschi, carré e stole di seta o cachemire, firmate e numerate, che riproducono fedelmente le immagini e i colori dei suoi lavori, mantenendone inalterate le cromie. Info: www.liapascaniuc.com
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Francesca Della Toffola, OCCHIO, 2015, collana, 3 esemplari in argento 925, vetro e stampa fotografica su carta cotone, cm 5,3x14, firma al retro. Info: www.galleriamelesi.com
Per la casa o da collezionare: è la piastrella STILER®, nata da un progetto che fonde assieme, in un unico prodotto, artigianato ceramico di alta qualità – è realizzata a mano dagli artigiani ceramisti di Albisola (SV) –, design e l’opera di artisti invitati a realizzare lavori appositamente pensati per il marchio Made in Italy. La Collezione Arte 2015 è composta da 16 pezzi con le opere riprodotte degli artisti: Silvia Argiolas, Gabriele Arruzzo, Elisa Bertaglia, Valentina Biasetti, Massimo Caccia, Arianna Carossa, Linda Carrara, Casagrande & Recalcati, Andrea Chiesi, Vanni Cuoghi, Marco Grassi, Julian T, Elena Monzo, Nero, Sergio Padovani, Elisa Rossi. Ogni piastrella misura cm 12,3x12,3 e viene consegnata in un cofanetto accompagnata da un Certificato di Autenticità e Garanzia su cui è riprodotta l’opera assieme ai dati di tiratura, il titolo dell’opera, il nome dell’artista autore e la sua firma riprodotta. Prezzo: € 24.90 cad. Info: www.stiler.it
L’anello Art Pod è uno spazio portatile per l’arte contemporanea. Micro sculture o frammenti di installazioni artistiche possono essere inserite al suo interno e sostituite a piacimento. In questo esempio, Art Pod contiene un frammento di Peace Bullet Mandala, scultura in proiettili e alluminio del 2015 realizzata da Nicola Evangelisti e Ronald Lewis Facchinetti. Prezzo: € 105 (anello) + € 90 (proiettile) Info: www.artpod.it
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La galleria romana Secondome presenta, in esclusiva, la nuova linea di gioielli ideata da Monica Castiglioni – figlia del grande architetto Achille – per .bijouets, prima collezione realizzata dall’artista con l’utilizzo della tecnologia di stampa 3D. Grazie alla loro modularità, i gioielli possono essere indossati in diversi modi e combinati in modo da creare nuovi pezzi e personalizzare il proprio stile. Le famiglie che compongono la serie disegnata da Monica Castiglioni per .bijouets sono: Superleggera, Superleggera Doppia, Filifusi e Foglie. Info: www.bijouets-italia.com Galleria SECONDOME Via Giovanni da Castel Bolognese 81, Roma 16 dicembre 2015 - 30 gennaio 2016 Inaugurazione: 15 dicembre, ore 18.30 www.secondome.biz
Paura di perderti? Porta una mappa sempre con te! Talia Sari crea la linea di gioielli YOU ARE HERE partendo dalle mappe delle città. Puoi scegliere tra Londra, Parigi, New York, Barcellona, Roma, San Francisco, Tokyo, Tel Aviv e Gerusalemme. Talia Sari, anello Tokyo della serie YOU ARE HERE, oro 24k o argento Prezzo: $ 75 (anello) Info: www.taliasari.com
Il designer Konstantin Kofta lancia, per il suo marchio, la Collezione ARXI | SS16, zaini e borse ispirati alle architetture barocche e della Grecia antica. Info: www.kofta.com.ua
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Huawei ha presentato il suo primo Smartwatch in edizione speciale, realizzata dal famoso designer italiano Barnaba Fornasetti grazie alla collaborazione tra Huawei con Vogue China. L’esclusivo design del quadrante dell’orologio con display AMOLED touch-sensitive circolare da 1,4 pollici, include l’iconico motivo Fornasetti “Tema e Variazioni” che si ispira alla cantante lirica del 19° secolo Lina Cavalieri, con il cinturino e il contenitore dell’orologio entrambi realizzati nel classico colore verde “Malachite”, caratteristico dei modelli di Fornasetti. Sul contenitore viene ripresa anche la forma della “Serratura”, segno distintivo immediatamente riconoscibile di Fornasetti. Info: www.huawei.com
Sei un fan accanito della pagina Facebook di Amori Sfigati? Non perdere i taccuini e i quaderni nati dalla collaborazione tra l’artista RAP - Chiara Rapaccini e Pixartprinting. Prezzo: da € 9 a € 12. Info: www.pixartprinting.it/progetti-speciali/rap/
Ōki Izumi, Walking Micro Sculptures, collane
Il 26 novembre 2015 ha inaugurato presso le Officine Saffi la mostra a cura di Alessandra Quattordio, Il gioco delle diversità - Gioielli contemporanei, che vede dialogare fra loro i pezzi di Martha Pachòn Rodrìguez, Fabio Cammarata, Ōki Izumi e Chiara Scarpitti.
Martha Pachòn Rodrìguez, Eldorado necklace, 2012, porcellana, lustro dorato
Il gioco delle diversità - Gioielli contemporanei Officine Saffi Via A. Saffi 7, Milano 27 novembre 2015 - 5 gennaio 2016 Info: www.officinesaffi.com
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Per un Natale a tavola... Cosa c’è in tavola e attorno alla tavola per Natale? Noi vi diamo alcuni consigli per gli acquisti...
Barnaba Fornasetti presenta la 49esima versione del Piatto Calendario, proseguendo la tradizione iniziata nel 1968 dal padre Piero. L’edizione 2016 è dedicata ai libri: una passione ricorrente per Piero Fornasetti, che amava collezionare volumi preziosi, e uno dei decori preferiti nella sua eccezionale raccolta di immagini. La scelta di questo soggetto è anche d’auspicio per un nuovo progetto che impegnerà Fornasetti nel 2016 e che avrà a che fare con l’editoria. A questa idea di novità e nascita si riferiscono le due poesie che compaiono sul dorso dei libri, composte appositamente per il Piatto Calendario 2016. Come ogni anno anche il Piatto Calendario 2016 ha una tiratura limitata a 700 esemplari ed è quindi un prezioso oggetto da collezione. Per chi volesse vedere l’intera raccolta dei Piatti Calendario, potrà recarsi presso il Fornasetti Store di Milano che ospiterà la mostra Calendarium fino al 31 dicembre. Calendarium. I piatti calendario Fornasetti dal 1968 ad oggi fino al 31 dicembre 2015 Fornasetti Store Corso Matteotti 1/A, Milano Info: www.fornasetti.com
Occhio al vaso! Il vaso in maiolica con iride in decalco per la vostra tavola natalizia è di Roberto Cambi (“Iride”, 2015, ø cm 12). Lo potete trovare presso il Design Store del Mudec - Museo delle Culture di Milano. Info: http://robertocambi.blogspot.it | www.mudec.it
Le lampade a led con i disegni originali di Max Frezzato sono pezzi unici di Ganù - Cristina Clelia Cambiganu. Porcellana tenera dipinta a engobbi. Info: www.cristinacambiganu.it
Siete dei lettori di Toilet Paper Magazine, il progetto di Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari? Per voi gli oggetti per la casa della serie Seletti wears Toilet Paper di Seletti. Nella nostra proposta, il Tavolo Lipstick (prezzo € 400) e il set per la tavola composto da vassoio, tazze, teiera e tovaglia (prezzo € 176). Info: www.tp0610.com | www.shoptoiletpaper.com 30
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Lampadario Botero S5+5 progettato da Manuel Vivian per Masiero. Struttura metallo verniciato bracci e coppe poliuretano espanso, cm 65x120. Info: www.masierogroup.com
Il Natale Alessi è firmato Massimo Giacon e LPWK con il piatto da panettone HAPPY SNOWTIME (ø cm 32, € 39) e la biscottiera LET IT SNOW (cm 19x20, € 60). Info: www.alessi.com
Gillo Dorfles firma la nuova illy Art Collection in occasione della mostra Gillo Dorfles. Essere nel tempo, la prima grande antologica che celebra l’arte e il pensiero dell’artista contemporaneo, inaugurata al Museo MACRO di Roma. L’artista si è ispirato ad alcuni suoi disegni decorativi per tessuti e ha scelto di riprenderli, giocando con la ripetizione di alcuni elementi grafici e con la reinterpretazione di segni archetipi. La collezione sarà disponibile da febbraio 2016 nei punti vendita illy e sul sito www.illy.com.
L’alzatina per dolci Belle, a forma di campana, è firmata Ilaria Innocenti per Incipit, impresa e laboratorio creativo – nata nel 2013 da un’idea di Roberto Hoz e Marta Bernstein – il cui scopo è coltivare nuovi talenti, condividere capacità e senso per gli affari, e promuovere nuove figure professionali. Prezzo: € 120. Info: www.incipitlab.com
Gillo Dorfles. Essere nel tempo a cura di Achille Bonito Oliva 27 novembre 2015 - 30 marzo 2016 MACRO - Museo d’Arte Contemporanea Roma Via Nizza 138, Roma Info: www.dorflesmuseomacro.it | www.museomacro.org
Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carrol compie 150 anni. La sedia HYBRID NO 2: BUNNY, ispirata al Bianconiglio, è della designer turca Merve Kahraman. Prezzo su richiesta. Info: www.mervekahraman.com
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e per un Natale da Jedi... Nell’arte e nel design è già “STAR WARS-MANIA”! In occasione dell’uscita di Star Wars: Il risveglio della Forza, Episodio VII diretto da J. J. Abrams – la pellicola verrà distribuita nelle sale cinematografiche il 16 dicembre 2015 in Italia e il 18 dicembre negli Stati Uniti –, vi proponiamo una selezione di must have per i fan della Saga. Info sul film: www.starwars.com
C-3PO e uno Stormtrooper diventano degli speaker Bluetooth per AC Worldwide. Prezzo di prevendita: £ 129 cad. Info: www.acworldwide.cool
Il fotografo David Eger immortala due action figure di Stormtrooper ricreando lo storico scatto fatto da Neil Leifer durante lo scontro tra Muhammad Ali e Sonny Liston. Prezzo stampa fotografica: da € 65 (www.galerie-sakura.com). Info: www.365daysofclones.com
Per l’uscita del nuovo Episodio di Star Wars, Havaianas lancia una nuova collezione di infradito. Prezzo: € 26. Info: www.havaianas-store.com/it
Decorazione natalizia “BB-8, Star Wars: Il Risveglio della Forza”. Prezzo: € 20.90. Info: www.disneystore.it
Appassionati di filatelia? Ecco i francobolli da collezione della Royal Mail. Prezzo cofanetti da collezione: da £ 12.35. Info: www.royalmail.com/starwars
Il trolley Samsonite si chiama Star Wars Ultimate. Prezzo: € 125. Info: www.samsonite.it 32
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Le scarpe più bizzarre sono quelle per le vere Star Warsaddicted e sono firmate Irregular Choice. Prezzo: da 159,50. Info: www.irregularchoice.com Una statua in marmo? No, si tratta di una delle elaborazioni digitali di Travis Durden, un mix tra i personaggi di Star Wars e le statue dell’antica Grecia. Prezzo stampe fotografiche: da € 65 (www.galerie-sakura.com). Info: www.travisdurden.com
Per una colazione da Padawan c’è il set colazione impilabile Star Wars. Prezzo: € 14. Info: www.amazon.it
La sveglia con i personaggi della Saga è LEGO®. Prezzo: € 29,99. Info: http://shop.lego.com
Vuoi comandare un vero droide robotico interattivo con il tuo smartphone? BB-8 by Sphero fa al caso tuo! Prezzo: € 169,90. Info: www.sphero.com
Dormi con Star Wars! L’azienda olandese Snurk trasforma lenzuola e cuscini con i personaggi del film. Prezzo: € 112,65. Info: www.snurkbeddengoed.nl
“The daily life of Darth Vader” è il titolo della serie fotografica di Pawel Kadysz. Guarda tutti gli scatti su www.tookapic.com/dvader
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Metti un libro a Natale...
Se invece preferite andare sul sicuro e regalare un libro, ecco una selezione di titoli da cui prendere spunto, per i piccoli e per i grandi.
per i Piccoli... Bruno Munari’s ABC. Semplice lezione d’inglese “ABC” è un alfabetiere scritto e disegnato da Bruno Munari nel 1960, con la consueta colorata ironia. Destinato originariamente agli Stati Uniti, diventa una semplice e divertente lezione d’inglese per i bambini (e non solo) italiani. Corraini Edizioni, cartonato, cm 22x30, pagg. 48, € 19. www.corraini.com
Il Natale di Marguerite Marguerite ha ottantadue anni e poca voglia di festeggiare. I figli sono ormai lontani, già grandi, e lei ha paura di tutto ciò che si trova oltre la porta di casa sua. Questo Natale, però, sarà diverso. Premiato con il Premio Ragazzi 2014 alla Fiera di Bologna, questo volume tocca temi insoliti per le storie di festività, e lo fa in modo delicato e profondo al tempo stesso, con illustrazioni memorabili. I testi di India Desjardins e le illustrazioni di Pascal Blanchet creano un connubio magico, indimenticabile. Bao Publishing, cartonato, cm 22x29, pagg. 72, € 18. www.baopublishing.it
Lupetto Rosso Perché stavolta Cappuccetto Rosso è un Lupetto Rosso. La nonna una lupa anziana senza denti che non può più andare a caccia, e mamma Lupa una figlia premurosa che dà al cucciolo un coniglio da portare alla nonnina. Prima della partenza, però, il piccolo è stato messo in guardia: nella foresta, infatti, si nascondono degli umani pericolosissimi da cui dovrà tenersi alla larga, il cacciatore e sua figlia… Amélie Fléchais inaugura Mirari, la collana degli Illustrati Tunué con un libro dai colori cangianti, in cui la cura per il dettaglio è tale da rendere delizioso anche il fiore più piccolo e nascosto. Un’opera che, capovolgendo e rileggendo la fiaba di Perrault, racconta come la tristezza e la felicità non siano una questione di specie, ma siano cosa del lupo come dell’essere umano. Tunuè, in prenotazione, € 14.90. www.tunue.com
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Il sentiero e altre filastrocche La sensibilità di Gianmaria Testa indaga l’assurdo di questo nostro mondo con lo sguardo puro dei bambini. Le figure di Valerio Berruti rappresentano con straordinaria delicatezza lo stupore dei più piccoli. Tre preziose filastrocche senza età. Gallucci Editore, 2015, cartonato, cm 23x28, pagg. 32, € 15. www.galluccieditore.com
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per i Grandi... Cacciatori d’arte. I mercanti di ieri e di oggi Visionari, uomini d’affari, spericolati avventurieri con il pallino dell’arte e un’infatuazione infantile per il rischio. Stanare i van Gogh di domani è l’ossessione che da sempre spinge i mercanti più intrepidi a battere strade ignote rastrellando studi e scommettendo tutto su pittori incompresi o troppo in anticipo sui tempi. In anni recenti, tuttavia, la truffa dei falsi che ha mandato alla rovina una delle più rispettabili gallerie newyorkesi, Knoedler, ha messo allo scoperto il marcio di una professione che può presto degenerare in becera speculazione. Yann Kerlau narra la folgorante ascesa e le alterne vicende di alcuni fra i più celebri cacciatori di artisti dall’Ottocento ai giorni nostri: dal primo fervido sostenitore degli impressionisti Théodore Duret, fino a Charles Saatchi e Larry Gagosian per sette ritratti a tutto tondo, ognuno a suo modo specchio della propria epoca. Johan & Levi editore, brossura, cm 15,5x23, pagg. 250, € 25. www.johanandlevi.com
Giovanni Gastel. Un eterno istante Mondadori Electa pubblica, per la collana Madeleines, Un eterno istante. La mia vita di Giovanni Gastel, un libro nel quale il grande fotografo racconta, per la prima volta, la sua storia intima celebrando i suoi quarant’anni di carriera. Mondadori Electa, 2015, cartonato con sovraccoperta, cm 14x21, pagg. 144, € 16.90 www.librimondadori.it
Hayez Le opere illustrate in questo volume a cura di Fernando Mazzocca – edito in occasione della mostra presso Gallerie d’Italia, Milano, fino al 21 febbraio 2016 –, tra cui dipinti inediti o finora poco conosciuti, offrono un’immagine completa e aggiornata di Francesco Hayez (Venezia, 1791 - Milano, 1882), restituendogli in maniera definitiva quella statura artistica che ne ha fatto un protagonista assoluto del Romanticismo italiano e uno dei maggiori pittori europei dell’Ottocento: un repertorio sorprendente e un universo di immagini che va ben oltre il popolarissimo Bacio – di cui sono qui presentate le tre versioni – divenuto un’icona delle sua opera. Silvana Editoriale, brossura con alette, cm 24x28, pagg. 384, € 34. www.silvanaeditoriale.it
Keep calm e impara a capire l’arte Diciamolo, una buona volta: l’arte contemporanea è un problema. Vi è mai capitato di entrare in un museo o in una galleria in compagnia di qualcuno che davanti a un dipinto gigantesco a testa in giù, si è messo a fissare la tela come se fosse apparsa la Madonna di Lourdes? Ecco, se vi siete sentiti disarmati o presi in giro di fronte a un pescecane in formaldeide, un aspirapolvere dentro una teca o dei ragazzini impiccati per le vie di Milano, questo libro è per voi. Alessandra Redaelli scrive un manuale divertente, dissacrante e pieno di aneddoti e notizie, per capire l’arte, non sentirsi mai più un pesce fuor d’acqua e fare bella figura in società. Newton Compton Editori, 2015, cartonato, cm 14x20, pagg. 288, € 9.90. www.newtoncompton.com
Piero Manzoni. Divorare l’arte Piero Manzoni. Divorare l’arte, scritto da Guido Andrea Pautasso, analizza le opere di Manzoni legate all’Arte alimentare, muovendosi in tutte le direzioni possibili e senza preclusioni di sorta, per mettere in luce l’unicità di una ricerca sperimentale che trova le sue radici nella creazione e nella formulazione di un linguaggio espressivo all’avanguardia in grado di allargare l’orizzonte delle percezioni dello spettatore a tutti i campi, a tutti i sensi. Mondadori Electa, 2015, brossura con alette, cm 15x23, pagg. 176, € 22. www.electaweb.it 35
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OPEN STUDIOS
LOST IN LANGHE. Una chiesa per studio: Valerio Berruti a Verduno VERDUNO (CN) | OPEN STUDIOS Intervista a VALERIO BERRUTI di Luisa Castellini
Il sole rende limpido il freddo. La strada per arrivare a Verduno ti lascia avventurare nelle Langhe più belle, tra campi educati alla generosità, paesi saliti alla ribalta e altri, come questo, che dopo la guerra sono rimasti con un pugno di abitanti: vecchi, donne, e qualche bambino. «Prima della guerra c’erano sette chiese, un emporio e un panettiere» racconta Valerio Ber-
ruti. Ha 16 anni quando, passando di qui sul suo Fantic Oasis, vede quella che sarebbe stata a tratti la sua casa e per sempre il suo studio. Una chiesa diroccata del ’600. «Il tetto era crollato, gli altari erano stati tolti con il martello pneumatico dagli operai del paese che fino agli anni ’60 la usavano come deposito». Quando l’ha acquistata – una foto in canonica ricorda
gli ex proprietari: il parroco con Papa Giovanni Paolo II – ha realizzato un sogno che, quaderni alla mano (pubblicati in parte con Charta nel bel volume Primary del 2005), inseguiva seriamente fin da bambino. Così questo, leggenda vuole, è diventato il teatro di tutti gli altri e il perfetto avamposto dal quale trarre energie per portarli nel mondo. Hai mai pensato di andartene? «Scherzi? Ancora mi commuovo per i colori di una giornata come questa. Ho la fortuna, come diceva Pavese, di voler morire nel posto dove sono nato». Mentre lo ascolto, dal portone socchiuso della chiesa si consuma un periodico via vai di curiosi. Entrano, pochi passi, poi arretrano negandosi il piacere di un saluto e la risposta ad almeno una domanda. Sì è una chiesa, ma cosa c’è dentro? Valerio Berruti: È stata la mia casa per 18 anni e da quando l’ho acquistata, nel ’96, il mio studio. Quando è nato mio figlio Zeno, un paio di anni fa, ci siamo trasferiti ad Alba per motivi pratici. Questo rimane una sorta di “salotto” e resta il mio studiolo, dove vengo soprattutto d’estate a pensare e a disegnare. È qui che sono nati tutti i miei progetti. Alcuni hanno bisogno di molto spazio per essere realizzati e conservati e così ad Alba ho allestito due laboratori più tecnici. Anche Just Kids, l’ultima installazione che hai presentato aprendo il tuo studio ai visitatori, è nata qui? Sì, a Verduno l’ho immaginata e ho fatto i primi schizzi: ad Alba l’ho realizzata. Ho voluto quindi “riportarla” dove l’ho pensata, in dialogo con questo luogo straordinario. Mi piace quando l’arte interviene sulla percezione dello spazio. I busti e le braccia di ogni scultura formano un arco naturale. Entrando nello spazio formato dai corpi in cerchio, si ha la percezione di essere all’interno di una cattedrale. I suoi pilastri però sono naturali, come a Stonehenge. Il vertice di questa “cattedrale” formata dai tuoi Kids, è in asse perfetto con la cupola della chiesa trovandovi un’amplificazione. Più volte nella tua ricerca ti sei misurato con il sacro, in che modo?
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Nella mia tesi di laurea in critica d’arte, mi sono mosso dalla convinzione che il segno sia la prima e più autentica manifestazione del pensiero dell’uomo e quindi anche del suo senso del sacro. Così ho studiato il segno dei miei “padri” spirituali, Morandi, Beuys, Rothko, Twombly, Giacometti e Serra per poi misurarmi con me stesso e la mia ricerca. Negli anni ho lavorato in diversi contesti religiosi ma credo che il sacro non sia necessariamente religioso e viceversa. Mi affascinano la storia e l’iconografia: questa è stata spesso un pretesto per fare arte, per disegnare e scolpire quello che si voleva. Basta pensare all’Estasi di Santa Teresa e ai tanti sensualissimi San Sebastiano. Dall’affresco al pixel, passando per juta e metallo, quanto è importante il rapporto con la tecnica? Ciò che mi interessa è la durata dell’opera, scegliere i materiali, confrontarmi con le necessità espressive ma anche seguire il processo opposto. L’affresco richiede massima organizzazione, concentrazione, rapidità: il lavoro è davvero e per forza a giornate come anticamente. Nella pittura uso, invece, delle tele che hanno una particolare punzonatura fatta a mano. Le produce un’azienda vicino ad Alba che faceva i teloni per i camion e i sacchi per le nocciole. Ecco, forse ho lasciato che questa juta mi ispirasse! Cosa ti ha affascinato della realizzazione delle sculture di Just Kids? Potrebbero essere state realizzate duemila anni fa. Sono pezzi unici in metallo: mi sono limitato a lucidare i corpi e a sabbiare le braccia; a cambiare è solo la finitura. È un’opera pensata per essere esposta all’aperto senza temere che si danneggi. Ma è anche un mock up perché voglio realizzarla su scala ancora maggiore, di otto metri, perché prenda definitivamente la dimensione di architettura. Sarà in cemento. Come sei arrivato dal segno alla scultura? Attraverso le video animazioni. Ho iniziato a New York insieme a Humberto Duque quando ho partecipato all’ISCP (International Studio & Curatorial Program). Mi piace l’effetto schizofrenico dei disegni che si muovono senza un inizio e una fine. Puoi guardarli un minuto o cinque, mezz’ora o due, e il flusso non cambia, è lo stesso. Credo che il video, nell’arte, abbia senso solo senza narrazione, altrimenti ha già un nome: si chiama cinema. Per questo lavoro sempre con il loop domandando lo stesso anche agli artisti con cui collaboro. In che modo la musica appartiene alle tue opere? Mi sono diplomato al Conservatorio perché credo sia importante misurare i propri limiti.
Conosco, per me, la difficoltà di fare musica rispetto alla naturalezza del disegno. La musica non “entra” ma appartiene alle mie opere. Non è una colonna sonora o un altro medium ma parte integrante dell’installazione. Le opere realizzate con Paolo Conte e Sakamoto non sarebbero potute esistere altrimenti, senza la loro musica. Anche le collaborazioni non possono che muoversi su questo asse, della necessità.
capace di accogliere un pic-nic come un concerto. Sarebbe la scultura più alta in Europa, un enorme monumento alla vita. Ci hai mai pensato? Le nostre vie, le piazze, sono sempre intitolate ai caduti, alle tragedie, mai un monito positivo. Ecco, vorrei che una bimba diventasse una scenografia per intromettersi nel nostro quotidiano. Con gioia. Info: www.valerioberruti.com
È proprio una tua collaborazione, per Il sentiero e altre filastrocche (Gallucci Editore, ndr), la raccolta di versi in rima di Gianmaria Testa che hai da poco illustrato, a riportarci qui, nel cuore delle Langhe. Che cosa vorresti realizzare nella tua terra? Vorrei costruire una bimba su una collina. Dovrebbe essere alta 40 metri per essere vista da Alba, Cuneo e Torino. Ai suoi piedi immagino un luogo di aggregazione non convenzionale
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In alto: Ex chiesa di San Rocco a Verduno (CN), studio e atelier di Valerio Berruti. Foto: Stefania Spadoni Nella pagina a fianco: Valerio Berruti, Just Kids
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MOSTRE > FOTOGRAFIA
TOMMASO FISCALETTI GUARDA AL SUD AFRICA: Between Home and Wisdom BOLOGNA | CUBO – Centro Unipol Bologna – Spazio Arte | 23 ottobre 2015 – 16 gennaio 2016 di Ilenia Moschini
Lo Spazio Arte di CUBO, all’interno del programma annuale IN-CUB-AZIONI, dedicato alla valorizzazione di giovani artisti provenienti da contesti socioculturali differenti, presenta per la prima volta in Italia, Between Home and Wisdom, il progetto fotografico di Tommaso Fiscaletti, (con un testo di presentazione di Filippo Maggia, direttore di Fondazione Fotografia Modena) realizzato in Sudafrica, a Città del Capo, dove dal 2013 il giovane fotografo pesarese vive e lavora. La mostra è il frutto di una ricerca per immagini che documenta e racconta attraverso una serie di fotografie, per la maggior parte ritratti, la vita quotidiana di un gruppo di donne Sangomas, di etnia xhosa, e il loro rapporto con la comunità alla quale appartengono e che risiede nel sobborgo di Dunoon, nel circondario della capitale sudafricana.
Nella cultura tradizionale dell’Africa del Sud, le sangomas hanno il dono spirituale di poter comunicare con l’aldilà, intercedere con gli antenati e applicare la medicina tradizionale; ciò conferisce loro un ruolo estremamente importante e delicato all’interno della società poiché, grazie alle loro capacità sciamaniche, sono in grado di aiutare gli altri. Pur assolvendo a tale funzione con grande dedizione, queste donne affrontano la vita di tutti i giorni guadagnandosi da vivere grazie a piccole attività di artigianato ed è proprio questo confine sottile tra quotidianità e divinazione, solitudine dell’esercizio religioso e socialità, l’elemento centrale della serie di fotografie di Fiscaletti. Le protagoniste di queste immagini sono donne dalla forte identità e con una grande energia interiore, il cui carisma si effonde su chi sta loro intorno, siano essi parenti, amici o membri
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della comunità; perciò, spesso, nelle fotografie sono ritratte persone del luogo che sono entrate in contatto o fanno parte della vita delle sangomas. In Between Home and Wisdom, Fiscaletti ribadisce il suo personale approccio all’immagine nel quale condensa due modi di utilizzare il mezzo fotografico; quello documentaristico e quello dove invece è determinante l’intervento del fotografo per restituire l’atmosfera e le suggestioni che vanno oltre il tempo dello scatto e da cui scaturisce la forza narrativa delle immagini. In questa serie, dopo un lungo e attento lavoro di osservazione che ha condotto alla costruzione del set e alla scelta delle inquadrature, Fiscaletti si è concentrato su un’accurata calibratura della luce; quando le donne sono ritratte all’interno delle loro abitazioni, proprio la luce
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sembra sottrarle dal contesto e far trasparire la loro compostezza ieratica mentre, negli scatti realizzati in esterno, essa è utilizzata per ricreare e trasmettere l’aura che emanano le donne protagoniste delle immagini. Così, muovendosi in equilibrio tra realtà e rappresentazione di essa, il giovane fotografo ci offre la sua personale lettura del mondo che ruota attorno alle sangomas, affrontando contestualmente tematiche esistenziali quali la spiritualità, la memoria delle tradizioni, i legami familiari e le relazioni personali. Nel ristorante La Porta, adiacente allo spazio espositivo di CUBO, la mostra di Tommaso Fiscaletti prosegue e si conclude con fotografie paesaggistiche dedicate al rapporto tra uomo e natura. Between Home and Wisdom. Sguardi dal Sudafrica nelle fotografie di Tommaso Fiscaletti testo di presentazione di Filippo Maggia, direttore di Fondazione Fotografia Modena 23 ottobre 2015 – 16 gennaio 2016 CUBO – Centro Unipol Bologna – Spazio Arte Piazza Vieira de Mello 3, Bologna Orari: lunedì 14.00 – 19.00 martedì 09.30 – 23.30 mercoledì, giovedì e venerdì 09.30 – 20.00 sabato 14.30 – 20.00 domenica chiuso Info: arte@cubounipol.it www.cubounipol.it
Dall’alto: Tommaso Fiscaletti, Sylvia and the children, Dunoon, Cape Town, 2014 Tommaso Fiscaletti, The girl #1, Dunoon, Cape Town, 2014 Nella pagina a fianco: Tommaso Fiscaletti. Between Home and Wisdom, veduta dell’allestimento
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MOSTRE > ARTE
ANDREA SANTARLASCI La profonda specificità dei luoghi PISA | Galleria Passaggi | 30 ottobre 2015 – 23 gennaio 2016 di Niccolò Bonechi
Riflettere su un territorio, il proprio, per indagare la condizione dell’essere umano che vive costantemente un perturbante mutamento di luoghi e spazi. Le opere che Andrea Santarlasci presenta alla Galleria Passaggi di Pisa, città dov’è nato e dove vive e lavora, nascono da un progetto più ampio che intende riportare alla luce un luogo ben preciso – quell’area in cui il fiume Auser (oggi Serchio) incontrava l’Arno – che oramai appartiene al passato, e che per l’artista rappresenta una sorta di filo conduttore tra tutte le opere esposte in mostra, definendo di fatti una sorta di volontà di riflettere sullo scorrere del tempo e sul trasmutare dei luoghi. Questo è il pretesto per passare dal particolare all’universale, pertanto da qui si aprono interessanti spunti sulla rivalutazione del luogo come generatore di impulsi creativi. Lo stesso artista afferma che «…è il luogo che suggerisce, che in qualche modo genera l’opera… Il luogo, per potersi definire come tale, e non come spazio aspecifico e astratto, deve, a mio avviso, contenere o alludere a un significato, a un’immagine, a un rimando che evochi e allo stesso tempo ci rinvii a un altrove, a un qualcosa che non è di questo luogo, che ci perviene da un altro contesto, ma allo stesso tempo appartiene al luogo stesso, intimamente custodito dentro di sé. Spesso proprio quel che sembra estraneo, quell’estraneità è ciò che identifica il luogo nella sua particolarità, solo a questo punto è possibile, per me, parlare di quel luogo e non di un altro. È questo l’aspetto più interessante, questa la caratteristica che ci fa comprendere la profonda specificità del luogo». L’esposizione, composta da installazioni, fotografie e opere pittoriche, pone in evidenza l’inevitabile rapporto tra naturale e artificiale, concentrando l’attenzione sulle divergenze/ convergenze degli spazi interni e l’ambiente esterno. Emblema di ciò è la grande installazione Sotto di noi, immobile, scende il tempo dell’acqua che domina la sala principale della galleria, composta da tavole di recupero che disegnano l’inconfondibile sagoma di una scala, “allagata” dalle acque del fiume. Accanto ad essa, sulla parete, è posto un ramo di albero, evidentemente consunto dal tempo, che ricorda le fattezze di un remo primordiale. La
visione di questa “composizione ambientale” offre allo spettatore uno spunto per riflettere su quel luogo invisibile che il tempo ha cancellato, una volta certamente scenario di proliferazione per fauna e flora nonché campo di azione per l’uomo: ecco che la scala interrotta ed allagata assume quel significato di feticcio, o meglio di relitto, di reliquia, che non assolve più alcun compito, sta a ricordarci che un tempo lì c’era la vita. Il trittico di light box Eterocronia: ipotesi di un ricordo presenta una veduta parziale del fiume Auser, le cui lettere che compongono la parola sono parzialmente visibili nella frase di Eraclito riportata nella sezione centrale: Negli stessi fiumi entriamo e non entriamo siamo e non siamo. Qui Santarlasci propone una riflessione sulla condizione dell’uomo di esistere in determinati momenti spazio/temporali, così come l’acqua scorre incessantemente, anche la vita è un procedere sempre oltre. Inoltre, la posizione di questo luogo invisibile, a cavallo tra la riva naturale dell’Arno e il tessuto urbano, conduce necessariamente a valutare due diversi ritmi. Le serie fotografiche La sostanza delle visioni e Riflessioni da un luogo invisibile completano il percorso espositivo mettendo in risalto la volontà di Santarlasci di porre lo sguardo su ciò che rimane di quell’area dimenticata dove il fiume Auser incontrava l’Arno. Ancora una volta l’acqua è metafora di vita e di opportunità, non-
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ché mezzo di comunicazione. Se nell’installazione Sotto di noi, immobile, scende il tempo dell’acqua si manifestava come intangibile strumento di memoria, in questo caso la sua proprietà specchiante offre nuovi e meravigliosi orizzonti. Andrea Santarlasci. Riflessi da un luogo invisibile a cura di Arabella Natalini 30 ottobre 2015 – 23 gennaio 2016 Galleria Passaggi via Garofani 14, Pisa Orari: dal martedì al sabato 16.00 – 20.00 e su appuntamento Info: + 39 050 8667468 – +39 338 35 25 236 info@passaggiartecontemporanea.it www.passaggiartecontemporanea.it
Veduta della mostra, Riflessi da un luogo invisibile, Galleria Passaggi, Pisa, 2015
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MOSTRE > ARTE
JAMES CASEBERE Tra illusione e rivelazione MILANO | Lisson Gallery | 26 novembre 2015 – 15 gennaio 2016 di Eleonora Roaro
A partire dagli anni ’70 James Casebere (East Lansing, Michigan, 1953) gioca con il senso del reale, mettendo in crisi l’idea la veridicità della fotografia. Attraverso la documentazione di realtà ricostruite egli pone l’accento sull’artificiosità di ciò che si ritiene vero e sul modo in cui viene costruito l’immaginario mediatico. Le sue fotografie ci interrogano su quale sia la gerarchia esistente tra essenza e apparenza, originale e copia, modello e simulacro. In una parte della sua produzione mette in scena la crisi del Sogno Americano e la fine delle utopie attraverso la rappresentazione di aree urbane degradate o cataclismi ambientali, che rivelano l’impotenza dell’uomo di fronte alla natura. Cloudy/Sunny skies è una fotografia che ironicamente prova a immaginare due possibili futuri dell’economia americana: uno conforme ai cliché della middle-class, un altro al degrado, alla povertà e al fallimento. L’immagine mette in
luce le contraddizioni del capitalismo ed è stata scelta come copertina del The New York Times Magazine del 5 maggio del 2013 per illustrare un articolo di Adam Davidson su un dibattito tra gli economisti Larry Summers e Glenn Hubbard. Nella mostra alla Lisson Gallery l’artista si rifà all’opera del pittore romantico Caspar David Friedrich (Greisfwald, Germania, 1774- Dresda, Germania, 1840) indagando, attraverso fotografie allestite in studio, la crisi climatica mondiale. The sea of Ice dimostra come la sublime perfezione della natura sia stata interamente saccheggiata dall’uomo e, come suggerisce l’altro titolo con il quale è nota l’opera originaria, ovvero The Wreck of Hope, rappresenta la fine e il crollo di ogni speranza. Trees of bushes in the snow è una serie fotografica in cui la vegetazione del giardino di Casebere viene sottoposta ad una fittizia glaciazione realizzata in studio con bicarbonato e soda.
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L’artificio è talmente verosimile che lo spettatore è portato a credere che ciò che vede sia neve reale. Ancora una volta la fotografia rivela la sua ambiguità perturbante, nell’oscillare costante tra illusione e rivelazione – per ricordare la domanda posta nel titolo di un celebre testo di Francesca Alinovi e Claudio Marra. James Casebere 26 novembre – 15 gennaio 2016 Lisson Gallery Milan Via Zenale 3, Milano Info: +39 02 89050608 contact@lissongallery.com www.lissongallery.com
James Casebere, Sea of Ice, 2014. Courtesy: Lisson Gallery. Foto: Daniele Venturelli
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MOSTRE > ARTE
ERRUAS, KHELIL, SELMANI. “Carta bianca” al Nord d’Africa MILANO | Galleria Officine dell’Immagine | 22 ottobre 2015 – 23 gennaio 2016 di Francesca Di Giorgio
Mentre, tra New York, Parigi, Amsterdam, Bilbao e Ostenda – dal Met Museum al Musée d’Orsay, dalla Kahmann Gallery al Guggenheim – sono in corso mostre che si interrogano su quale idea abbiamo dell’Africa e sotto quali forme risiede nel nostro immaginario, a Milano, da Officine dell’Immagine, è in mostra Carte blanche, a cura di Silvia Cirelli. Una collettiva di tre giovani artisti dal Nord Africa: Safaa Erruas, Farah Khelil, Massinissa Selmani rispettivamente da Marocco, Tunisia e Algeria. Se da una parte il dato geografico rivendica un carattere di appartenenza dall’altra, l’intento del progetto è chiaro: prendere le distanze dagli stereotipi che, troppo spesso, soprattutto nell’arte, ma non solo, contribuiscono a comporre un quadro parziale, se non falsato, di un continente come l’Africa che vive come
ricchezza le sue complessità e contraddizioni. Ed è proprio su contrasti, paradossi e certezze solo apparenti che si costruisce la visione di Carte blanche il cui filo conduttore resta sempre visibile nell’estrema diversità degli artisti chiamati a “scrivere” come su di un “foglio bianco” senza temi precostituiti, senza il rischio di “inscatolare” lo sguardo imponendo un punto di vista univoco. La carta, del titolo, ritorna in Erruas, Khelil e Selmani come disegno-strumento (Erruas) a volte per dare spazio al segno-grafia (Khelil), come base e supporto di installazioni (Selmani, forse il più conosciuto in Italia dopo la menzione speciale all’ultima Biennale di Venezia). Così il bianco non è solo quello della carta da lucido nei disegni satirici di Selmani ma anche quello del cuore di pollo (vero) tinto da Erruas
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Veduta della mostra CARTE BLANCHE. Giovani Artisti Dal Nord Africa, a cura di Silvia Cirelli, 22 ottobre 2015 - 6 gennaio 2016 Galleria Officine dell’Immagine, Milano
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o ancora dei quadri da suk tunisino che Khelil ricopre di colore lasciando solo qualche lacerto di tela visibile allo spettatore che potrà ricomporre una nuova identità del luogo, il centro turistico di Sidi Bou Said, lontano dai cliché “da cartolina”. Poi, la parola, immaginata, scritta, ascoltata che in Safaa Erruas diventa tessitura sospesa, composta da aghi appesi a fili che pendono, come lacrime, da un grande bouquet (da sposa?) di fiori bianchi di gypsophila (Ipazia, 2011) o cucitura, incompleta, realizzata con fili di nylon trasparenti che possiamo notare con uno sguardo ravvicinato che ricuciono la “pelle fotografica” del Corazones Desnudo. Anche le 700 siringhe installate su una delle pareti di ingresso in galleria (Coutures cutanées, 2009) tentano di disegnare l’immagine di un mondo cui l’immagine cambia inevitabilmente se visto da lontano o da vicino in un gioco di attrazione e repulsione che ritorna in molte opere dell’artista marocchina. Quando Farah Khelil scrive sul retro di una serie di cartoline (Point of view, listening point (Clichés II) 2013, 2014) che hanno alimentato i cliché sulla cultura arabo-musulmana del suo paese d’origine (ora Khelil vive a Parigi) smonta, ritaglia e ricompone l’immagine capovolgendola come se fosse un avvertimento a non fermarsi mai ad una prima lettura. L’artista tunisina invita a leggere una serie di disegni su carta (IQRA, 2015) e ad entrare, e a perdersi, in una spirale di scritte in arabo che ruotano attorno ad un microchip: una vera “sfida” per lo spettatore che in Point of view, listening point (Readings) 2012 – 2014 viene coinvolto attivamente nel funzionamento di un carrillon che da una frase in braille “traduce” in suono la scritta (in arabo e in francese) sul muro della galleria, una citazione da Denis Didetot: «Per un cieco la bellezza, separata dall’utilità, è soltanto una parola». Apparente distante Massinissa Selmani il cui lessico come racconta Silvia Cirelli predilige l’ironia e un evidente richiamo a fatti socio-politici attuali. Il mezzo è l’immediatezza del disegno che è narrazione di una realtà restituita con humor tagliente e composta, come in una messa in scena, da livelli soprapposti (le carte da lucido dove Selmani disegna) o da una sequenza di disegni animata nel video La parade (2010). Artisti molto diversi tra loro, dicevamo, ma che in mostra rivelano un equilibrio e una coerenza che segna anche il percorso di Officine dell’Immagine. Un progetto intrapreso un paio di anni fa insieme alla curatrice Silvia Cirelli che vuole creare delle “parentesi culturali” importanti per approfondire l’arte dell’area medio-orientale e africana e che, dopo la chiusura di Carte blanche, continuerà dal 4 febbraio 2016 con la personale dell’artista iraniana Gohar Dashti.
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Safaa Erruas, Farah Khelil, Massinissa Selmani CARTE BLANCHE. Giovani Artisti Dal Nord Africa a cura di Silvia Cirelli catalogo vanillaedzioni 22 ottobre 2015 – 23 gennaio 2016 Galleria Officine dell’Immagine Via Atto Vannucci 13, Milano Orari: martedì – venerdì: 15.00 – 19.00 sabato: 11.00- 19.00; lunedì e giorni festivi su appuntamento Info: +39 02 91638758 info@officinedellimmagine.it www.officinedellimmagine.it
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Dall’alto: Safaa Erruas, Corazones desnudo (Coeur Blanc), 2014, veduta della mostra, Galleria Officine dell’Immagine, Milano Farah Khelil, Point of view, listening point 8Readings, 2012-2014, veduta della mostra, Galleria Officine dell’Immagine, Milano
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MOSTRE > ARTE
A TORINO L’ENTUSIASMO DEL COLORE: Monet, anima dell’Impressionismo TORINO | GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea | 2 ottobre 2015 – 31 gennaio 2016 di Matteo Galbiati
Davanti alle opere di Claude Monet (18401926), nonostante siano innegabilmente scolpite in modo così chiaro nella memoria da riconoscerle, comprenderle e legarle a lui fin dal primo sguardo, ci si stupisce e ci si incanta sempre per il suo linguaggio, si resta comunque ammaliati, per quanto sia conosciuto, dal suo colore che rende mobile e fuggevole l’immagine che vuole raccontare. Se l’immediatezza del riconoscimento ci consegna il suo nome, quindi, l’attrazione magnetica della sua pennellata cattura la nostra attenzione con una seduzione poetica che coglie il fascino complesso, eppur spontaneo, delle sue visioni, restituendocele sempre come fossero una cosa nuova e rinnovandoci l’incanto e la sorpresa dell’ammirazione. Gli oltre quaranta capolavori che la mostra
monografica alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, di Torino – dopo quelle di Degas (2012) e Renoir (2013) chiude un ciclo dedicato ai maestri dell’Impressionismo – aggiornano, con opere provenienti dalle collezioni del Musée d’Orsay, questa lettura peculiare del linguaggio del maestro francese. Monet è certamente l’artista che più d’ogni altro incarna lo spirito e la modernità dell’Impressionismo e del nuovo modo di intendere la pittura e il colore che la rappresenta: è in questo senso di appartenenza che ci dichiara quanto l’insistenza del suo dialogo stretto, diretto e imprescindibile con la Natura, abbia condizionato il rapporto della sua pittura con il ritratto del mondo. Il vigore delle sue pennellate, alla ricerca del variare della luce, della mutevolezza del mondo
reale, ci consegnano il contrarsi e il palpitare di un pensiero che rende la rappresentazione del naturalismo stesso – inteso come la “cosa” naturale – emblematicamente diverso da quanto fino ad allora raggiunto. La sua pittura si fa “fortemente” moderna. La sua modernità nasce, infatti, dalla quella stessa ossessione che spingeva Monet a rapportarsi in modo risoluto con i suoi soggetti e il loro luogo nella fisicità del loro esserci e verificarsi. Dipingeva la realtà standovi dentro, non dans une chambre, ma tenacemente convinto della necessità imprescindibile dell’en plein air. Il suo atelier non poteva contenersi entro le quattro mura di uno studio, perché il suo sguardo necessitava un orizzonte più ampio, si alimentava avido della luce, della natura stessa. Si misurava
Claude Monet, La pie, entre 1868 et 1869, olio su tela, cm 89x130, inv. RF 1984 164 3. (id 5) Monet 3, Paris, Musée d’Orsay © RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski 44
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corpo a corpo con il mondo nella sua verità fugace e mutevole. Monet, con il suo linguaggio cromatico, si fa interprete del disvelamento della transitorietà del reale e ci consegna la bellezza senza tempo dell’istante. La sua pittura conserva la qualità e il principio della mobilità di quelle immagini che fissa. Scorrono la visioni di Monet come lo specchio fluido della Senna che trascina con sé quanto si affaccia sulla sua superficie liquida. Guarda all’acqua il maestro di Giverny, la studia, la osserva, assimila le sue luci e i suoi riflessi, ripete anche soggetti identici in cui il tempo, l’ora della giornata, la condizione meteorologica fanno vibrare l’immagine leggendola e producendola, alla fine, sempre secondo specificità diverse e irripetibili nel fascino della loro unicità. La pittura di Monet porta ad un allargamento delle nostre possibilità percettive che, davanti alle sue tele, si dilatano proprio nell’impressione dell’atto medesimo del vedere. La pienezza del suo calore e della sua personalità si legano a quella velocità con cui concepiva e realizzava i suoi dipinti che, quasi lasciati allo stato di bozzetto, si facevano carico di una visione letta con un palpito di ciglia. La natura veniva assimilata
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nel colore come atto intellettivo colmo e sovraccarico di tutta la tensione lirica dell’impossibilità di trattenere, oltre e diversamente, la verità della visione. Abbiamo imparato col tempo a capire, ad accettare, a fare nostre queste tele e a celebrarle come chiave d’accesso per la storia della nostra contemporaneità artistica, ed oggi sappiamo distinguerle, cogliere per la straordinarietà della fatica, dell’impegno e dell’assiduità del lavoro di Monet, autore che ha dato un contributo imprescindibile nel traghettare la pittura nel Novecento. Monet il più impressionista degli impressionisti. Monet, non serve altro al titolo di questa mostra. Monet. Dalle Collezioni del Musée d’Orsay a cura di Xavier Rey, conservatore presso il Musée d’Orsay e specialista di Monet; Virginia Bertone, conservatrice della GAM di Torino partnership istituzionale Fondazione Torino Musei e Musée d’Orsay di Parigi mostra co-prodotta da Città di Torino, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Skira
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main sponsor Unipol sponsor FCA – Fiat 500 media partner La Stampa, Il Secolo XIX catalogo Skira 2 ottobre 2015 – 31 gennaio 2016 GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea Via Magenta 31, Torino Orario: da martedì a domenica 10.00-19.30; chiuso il lunedì Ingresso intero €12.00, ridotto €9.00, gruppi €8.00, scuole €5.00, famiglia €24.00 (2 adulti + 1 under 14 anni) Info: +39 011 0881178 www.gamtorino.it www.mostramonet.it
Claude Monet, Champs de tulipes en Hollande, 1886, olio su tela, cm 65.5x81.5, 12 (i.d 31) Monet 12, Paris, Musée d’Orsay © RMNGrand Palais (Musée d’Orsay) / Franck Raux
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MOSTRE > ARTE
TUTTO MALEVIČ. ALLA GAMEC BERGAMO | GAMeC | 2 ottobre 2015 – 17 gennaio 2016 di Rosangela Coti
Nel centenario della nascita del Suprematismo, la GAMeC di Bergamo regala una retrospettiva sul maestro dell’avanguardia russa, personalità chiave nello sviluppo dell’arte astratta. L’antologica è costruita secondo un ordine cronologico che ripercorre le tappe stilistiche di Kazimir Severinovič Malevič. La mostra non ospita solo la fase cruciale del suo percorso, ma ne copre l’intero arco produttivo, dagli esordi simbolisti fino al “ritorno all’ordine” degli ultimi anni. Una mostra, inoltre, arricchita da pezzi riguardanti un’interessante produzione collaterale e da opere di artisti coevi che, insieme a Malevič, hanno contribuito alla storia dell’arte contemporanea russa. Il percorso si sviluppa in sale, ciascuna delle quali dedicata a una fase formale, guidandoci verso il Suprematismo e verso la successiva elaborazione. Tale disposizione aiuta il visitatore a seguire il filo temporale ed evolutivo della produzione, accompagnato da linee del tempo che inseriscono l’attività pittorica all’interno del contesto artistico, storico e politico. L’allestimento contribuisce alla fluidità del percorso di visita, con la collocazione delle opere di Malevič su pareti bianche e di quelle dei contemporanei su pareti rosse, permettendo così di seguire la produzione del singolo, facilitando il confronto con i lavori coevi. La mostra ospita pietre miliari della storia dell’arte, Quadrato rosso del 1915, Quadrato nero con Croce Nera e Cerchio Nero inviati alla Biennale di Venezia nel 1924, ed esplora tuttavia anche la produzione post-suprematista, offrendo una visione dell’arte di Malevič completa e sfaccettata, non riconducibile solo ed esclusivamente alla fase suprematista. L’esposizione si arricchisce inoltre di alcune (fantastiche) ceramiche, di plastici e bozzetti architettonici; gli acquerelli con motivi ornamentali per tessuti e i disegni per gli abiti suprematisti dimostrano la vivacità e la versatilità dell’artista. Nella sala dedicata al Supranaturalismo, è proposto il confronto con alcune icone russe che, accostate alle opere dell’autore, rendono evidente lo studio e il debito nei confronti dell’arte tradizionale russa e delle sue più peculiari composizioni. A chiudere (in realtà nell’ambiente che prece-
de l’inizio del percorso), è la riproduzione video dell’opera totale Vittoria su Sole del 1913. Trovano spazio negli ambienti adiacenti alcuni dei disegni, sulla base dei quali lo spettacolo è stato ricostruito, e i diciannove meravigliosi costumi di scena. Una mostra che riporta alla GAMeC un nome di forte richiamo, che non trascura l’approfondimento, che offre la visione di opere punto di riferimento, inserite tuttavia in un percorso omogeneo, che valorizza l’intero corpus, non solo pittorico, e che ci restituisce un autore nella grandezza del suo momento artistico più importante, ma anche nella completezza del suo percorso. Ne aspettiamo altre.
MALEVIČ a cura di Evgenija Petrova e Giacinto Di Pietrantonio 2 ottobre 2015 – 17 gennaio 2016 GAMeC Via San Tomaso 53, Bergamo Orari: da martedì a venerdì 9.00-19.00; giovedì 9.00-22.00; sabato e domenica: 9.00 – 20.00 Info: +39 035 27 02 72 mostramalevic@gamec.it www.gamec.it
Vedute dell’allestimento della mostra, GAMeC, Bergamo. Foto: Antonio Maniscalco, Milano
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BEPPE DEVALLE Riscoprire un protagonista del ‘900 italiano ROVERETO (TN) | MartRovereto | 16 ottobre 2015 – 14 febbraio 2016 di Silvia Conta
Con Devalle. 1940-2013, la prima retrospettiva dedicata all’autore, il MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto rende omaggio alla figura e alla poetica di Beppe Devalle (Torino, 1940 – Milano, 2013), a meno di due anni dalla scomparsa. Settantacinque le opere in mostra, dalle grandi scenografie ai ritratti, passando per i collage, i dipinti, i fotomontaggi, gli ambienti e i Paesaggi-stanza, dipinti che si estendono in modo tridimensionale nello spazio. Molti dei lavori esposti appartengono alla produzione più recente dell’artista, rimasta pressoché inedita. L’ultima mostra che gli era stata tributata in vita risale al 2012, al Museo del Novecento di Milano ed era dedicata ai suoi collages degli anni Settanta. La stessa istituzione, nel 2014, dopo la sua morte, gli ha reso omaggio presentando al pubblico una delle sue ultime opere, il grande dipinto Guardandovi, con le figure di Marilyn Monroe, Fryderyk Chopin e John Lennon, ora in mostra al Mart. L’esposizione di Rovereto – come rende noto il museo – è un “progetto corale coordinato da Maria Teresa e Jolanda Devalle, moglie e figlia dell’artista, che hanno favorito la nascita di un comitato scientifico d’eccezione, composto da studiosi che conobbero Devalle: Carlo Bertelli, Paolo Biscottini, Barbara Cinelli, Flavio Fergonzi, Daniela Ferrari, Maria Mimita Lamberti, Sandra Pinto, Giovanni Romano, Alessandro Taiana, Dario Trento”. La mostra al Mart riaccende i riflettori sulla figura di Devalle, costituisce un’occasione per ricontestualizzare e riconsiderare il suo lavoro nel dibattito storico-artistico e culturale italiano, e diventa un’occasione per rileggerne la portata e il ricostruirne il ruolo in prospettiva storico-artistica, aprendo lo sguardo sulla complessità e ricchezza della totalità del suo percorso. Dalle opere esposte emergono la profondità e l’attualità del suo percorso artistico, che si confrontava con costanza con le espressioni più vive della sua contemporaneità, senza mai, tuttavia, rinunciare ad un marcato apporto personale. Mediante quest’ultimo, Devalle imprimeva sempre una rivisitazione radicale di ciascun elemento visivo o riferimento storico, culturale o artistico che fosse, rimeditava e fa-
ceva proprie tendenze e approcci con cui veniva a contatto nella sua assidua frequentazione del mondo dell’arte e delle amicizie che in esso aveva stretto. La sua produzione avvenne tra la natale Torino, poi Milano a partire da metà dagli ’70 e una serie di soggiorni a New York dal 1997 ai primi anni del nuovo millennio. Numerose le mostre, in Italia e all’estero, a cui partecipò fin dal 1958 con la sua prima personale, giovanissimo, a Torino, a cui ne seguirono molte, tra cui si distinguono le tre partecipazioni alla Biennale di Venezia (1963, 1972, 1982) e le due alla Quadriennale di Roma (1972 e 1986). Note sono anche la sua collaborazione con il Corriere della Sera per una serie di illustrazioni e la lunga attività di insegnante prima all’Accademia Albertina di Torino, poi all’Accademia di Brera di Milano, tutti elementi che gli consentivano di essere attivo in campo artistico su più fronti e suscitavano in lui continue riflessioni sulla propria poetica e il proprio ruolo nel dibattito culturale, all’interno del quale la critica seguì il suo lavoro con attenzione non sempre costante, nonostante la qualità e la validità non fossero mai venute meno. Per un nuovo incontro con la figura di Devalle, la mostra al Mart riparte dall’unico punto possibile, eppure non scontato: il contatto diretto
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dell’osservatore con le opere. Nasce così un percorso espositivo molto articolato e ricco, eppure essenziale nella sua linearità, che favorisce un contatto personale e meditativo con le opere e lascia emergere il cammino non solo artistico ma anche umano di Devalle: fin dai suoi esordi un’unione tra arte e vita senza soluzione di continuità. Devalle 1940-2013 Un progetto coordinato da Maria Teresa e Jolanda Devalle 16 ottobre 2015 – 14 febbraio 2016 MartRovereto Corso Bettini 43, Rovereto (TN) Info: T. 800 397760 info@mart.trento.it www.mart.trento.it
Beppe Devalle, Guardandovi (John Lennon, Marilyn Monroe, Frédéric Chopin), 2010, collezione privata
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QUANDO LA NATURA FIORISCE NEL MITO DELL’ARTE… MILANO | Palazzo Reale | 31 luglio 2015 – 10 gennaio 2016 di Matteo Galbiati
Lo sguardo dell’uomo ha da sempre ammirato, con un’attenzione colma di fascino incantato e con estrema interrogazione, il mistero della bellezza della Natura da cui, poi, ha attinto quei modelli da elevare al rango di divinità da venerare, o le forme da impiegare come decori o, persino, i caratteri da prendere come esempio in cui riassumere connotazioni di vizi e virtù. Il mondo naturale è stato l’ispirazione del talento espressivo umano che si è poi tradotto nelle differenti variazioni offerte da ogni linguaggio artistico. La grande mostra di Palazzo Reale Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei – evento legato all’ormai concluso Expo Milano 2015 e parte del palinsesto di Expoincittà – accoglie e recepisce l’insegnamento delle “cose naturali”, presentando gli esiti di questi modelli in una ricca raccolta di reperti provenienti dalle maggiori collezioni nazionali e internazionali e che spaziano dalla Grecia antica alla classicità romana. I 180 reperti, che sarebbe giusto definire come vere e proprie preziosissime opere, misuratamente e coscienziosamente distribuiti nelle sei sezioni in cui si divide la mostra, raccontano, con esempi e presenze di altissimo livello, testimonianza del notevole valore scientifico di questo progetto, come la Natura abbia attraversato, con le sue varie presenze animali, vegetali o di elementi fisici, la quotidianità della vita dei nostri antenati mediterranei: in Grecia e a Roma (e per estensione nel bacino del Mediterraneo) il rapporto con gli elementi naturali si
diffuse ampiamente e qui si esemplifica, infatti, in una miriadi di oggetti che costellano non solo la ritualità, ma anche lo svolgersi delle attività di tutti i giorni. Vasi, gioielli, lastre tombali, sculture, coppe e affreschi costellavano il “paesaggio” visivo degli antichi e ne contaminavano, con l’innegabile bellezza, lo svolgersi del tempo e delle esistenze. Di fattura incredibile – davvero si scoprono opere memorabili e, magari, poco conosciute – questi pezzi riportano una storia che mostra le idee e i modi della rappresentazione della Natura, spaziando da stili e generi differenti, guidano l’attenzione anche su come, nello scorrere dei secoli, questa visione e lettura che l’uomo ha della Natura varia e si modifica. Una parte di primo piano si ritaglia per i gioielli e gli affreschi: se da una parte i vasi, la ceramica, i vetri e le sculture sono largamente conosciuti (magari non in tutte le loro soluzioni), dall’altra i monili guidano lo sguardo sull’incantevole stupore esercitato dall’oggetto prezioso che qui tocca fatture e realizzazioni di pregevolissima qualità, indice di un’abilità artigiana di rara perizia come si legge in orecchini e collane, ma soprattutto nelle corone d’oro con serti vegetali. Riguardo la pittura murale emerge tangibile, in queste conturbanti creazioni, quanto, nell’ambito romano in particolar modo, la produzione artistica sia divenuta ancor più raffinata e meticolosamente attenta al “vero”: non possiamo, infatti, affrancare il miglioramento dei mezzi espressivi e la loro attenta particolarizzazione
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Mito e natura. Dalla Grecia a Pompei, veduta dell’allestimento, Palazzo Reale, Milano
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e caratterizzazione dall’affinarsi delle conoscenze naturalistiche. Se i naturalisti di allora osservavano, studiavano e capivano meglio il funzionamento del meccanismo naturale, questo insieme delle loro nuove conoscenze si riversava in modo decisivo anche nella produzione artistica, e i dipinti qui esposti affermano questo trionfo di saperi acquisiti che cercano e scavano ancor più nel profondo dell’anima del bello naturale. L’esito sono affreschi che, per suggestione, eclissano molta dell’arte dei secoli successivi. Scrivendo di questa mostra – e consigliandone la visita – ci sentiamo in dovere di avvisare il pubblico di non intimorirsi, come spesso succede, davanti ad una mostra di connotazione e contenuti di tipo “archeologico” che – non si capisce per quale ragione – spaventano un po’ i visitatori, forse mossi dal pregiudizio che questi progetti siano pensati per studiosi ed esperti più che per il grande pubblico. Questa mostra ha il grande pregio di sommare un’innegabile progettualità dal valore scientifico, ad una vivibilità che, complice un allestimento misurato e mai banale e scontato, è davvero per tutti. Sa, quindi, colpire e affascinare anche il grande pubblico e la qualità elevatissima dei pezzi esposti conquista e ammalia, per diversità, varietà e ricchezza, anche lo sguardo dei visitatori più scettici e diffidenti. Del resto come non rimanere affascinati davanti alla Natura che diventa mito eterno nella bellezza dell’arte?
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dì, venerdì e domenica 9.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30; la biglietteria chiude un’ora prima Ingresso intero comprensivo di audio guida €12.00; ridotto comprensivo di audio guida €10.00; ridotto speciale comprensivo di audio guida €6.00; gruppi adulti di almeno 15 e massimo 25 persone con 1 accompagnatore per ogni gruppo €10.00; ridotto famiglia comprensivo di audio guida 1 o 2 adulti + bambini (da 6 a 14 anni) adulto €10.00, bambino €6.00; prevendita €1.50 Info e prenotazioni: +39 02 92800821 www.artpalazzoreale.it www.lastataleperexpo.it
Mito e natura. Dalla Grecia a Pompei mostra a cura di Gemma Sena Chiesa e Angela Pontrandolfo promossa da Comune di Milano – Cultura, Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Salerno, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Soprintendenza Speciale per Pompei Ercolano e Stabia prodotta e organizzata da Palazzo Reale, Electa con il patrocinio di MIBACT nell’ambito di Expoincittà allestimento a cura di Francesco Venezia catalogo Electa con testi di Alain Schnapp, Nikolaus Dietrich, Francois Lissarrague, Eliana Mugione, Cornelia Isler-KereÅLnyi, Giampiera Arrigoni, Claude Pouzadoux, Nikolina Kei, Federica Giacobello, Elisabetta Gagetti, Mauro Menichetti, AgneÅLs Rouveret, Valeria Sampaolo, Fabrizio Slavazzi, Maria Grazia Facchinetti, Elena Calandra, Francesca Ghedini, Fabrizio Pesando 31 luglio 2015 – 10 gennaio 2016 Palazzo Reale Piazza Duomo 12, Milano Orari: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercole-
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visite guidate e didattica ADMaiora +39 02 39469837 info@admaiora.education Aster +39 02 20404175 segreteria@spazioaster.it
Dall’alto: Pittura: paesaggio nilotico, da Pompei, Casa del Medico, 55-79 d.C., affresco, altezza 82 cm, larghezza 133 cm, Museo Archeologico Nazionale, Napoli (inv.113195) Mito e natura. Dalla Grecia a Pompei, veduta dell’allestimento, Palazzo Reale, Milano
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CERITH WYN EVANS Da oriente a occidente, lungo la traiettoria del sole BOLZANO | Museion | 3 ottobre 2015 – 10 gennaio 2016 di Gabriele Salvaterra
Cerith Wyn Evans (1958) porta al Museion di Bolzano una riflessione complessa affidata principalmente all’impiego del neon, che si declina però in una serie di riflessioni decisamente aperte e polisemiche. L’artista gallese, attualmente residente “altrove” (così recita la sua biografia), occupa l’intero quarto piano del museo altoatesino, sfruttandone la direttrice est-ovest per rendere idealmente parti del suo allestimento anche le grandi vetrate che si affacciano sul paesaggio e la città circostante. In quello che l’O.N.U. ha dichiarato essere l’Anno Internazionale della Luce, Evans utilizza lo spazio come cassa di risonanza per mettere in relazione macrocosmo e microcosmo, portando i pensieri del visitatore a confrontare quanto vede con i movimenti planetari o le nuove scoperte sulle particelle subatomiche. Cominciando dalla facciata orientale, dove il nuovo giorno continuamente rinasce, si incontra un suggestivo accumulo di neon che rimanda all’esperimento che ha permesso di individuare il bosone di Higgs: la particella elementare teorizzata da Peter Higgs nel 1964 e verificata al C.E.R.N. di Ginevra solo nel 2012. Ciò che sembra interessare Evans è l’elemento di pre-figurazione della teoria che ha consentito
di visualizzare questa particella (determinando per di più la costruzione del più grande laboratorio scientifico mai esistito) soltanto sulla base di una congettura. L’aspetto razionale dell’opera viene infatti messo in questione o parodiato dall’inserimento di un altro diagramma, la struttura molecolare dell’L.S.D, come a suggerire una via d’uscita visionaria alla questione, postulando l’esistenza di un mondo “altro” di natura creativa in cui le “porte della percezione” possano risultare aperte. Sul lato occidentale trova spazio invece E-CL-I-P-S-E, opera ispirata all’eclissi solare del 2005 che, affidandosi ancora al neon, descrive, come in un diario, il percorso del cono d’ombra lungo il globo terrestre. Simbolicamente posta sullo sfondo del paesaggio che quotidianamente saluta il concludersi della giornata, anche in questo caso il raggiungimento maggiore dell’opera sta nella sua capacità di far dialogare con grande sintesi ambito tematico, concretezza dei materiali, riferimento al cosmo e paesaggio circostante, reso realmente parte del lavoro. Nell’intervento di Evans anche le grandi colonne luminose al pianterreno, l’elemento sonoro dei flauti trasparenti di Interlude o l’inserto organico semovente nelle palme rotanti di Still life portano avanti il tema della luce in maniera aperta, grazie al costante utilizzo del neon, al riferimento alla fotosintesi clorofilliana e all’im-
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piego di materiali trasparenti. Ciò che però costituisce il nucleo più interessante del lavoro di Evans si trova proprio nel costante rimando, aiutato dall’architettura del Museion, all’asse fondamentale della nostra vita, da oriente a occidente, attraverso i movimenti dell’astro che quotidianamente ci permette di esistere. Cerith Wyn Evans a cura di Letizia Ragaglia 3 ottobre 2015 – 10 gennaio 2016 Museion via Dante 6, Bolzano Orari: da martedì a domenica 10.00-18.00; giovedì 10.00-22.00, con ingresso gratuito dalle 18.00; lunedì chiuso Info: www.museion.it
In alto: Cerith Wyn Evans, Socle du Monde (Park Hyatt, Berlin), 2008, digital scales © Cerith Wyn Evans Foto © Stephen White Courtesy White Cube A sinistra: Cerith Wyn Evans, Untitled (Column), 1, 2008, wood, 48 fluorescent tubes and lamp fixtures © Cerith Wyn Evans Courtesy Galerie Neu, Berlin
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LA LUCE IN MOSTRA A PARMA PARMA | Palazzo del Governatore e CSAC - Abbazia di Valserena | 14 novembre 2015 – 17 gennaio 2016 di Kevin McManus
Va precisato fin dall’inizio che non si tratta di una mostra “tematica”, espressione sotto la quale, molto spesso, si celano eventi all-inclusive e pretestuosi. La luce non è infatti il contenuto dei lavori esposti, ma piuttosto il loro mezzo, o meglio ancora, il materiale di cui sono principalmente costituiti. Considerazione importante, dal momento che la sezione “arte” della mostra – di cui ci occuperemo qui nello specifico – si colloca così in piena continuità con le interessantissime sezioni cinema e scienza: da una parte, quindi, la luce nella sua natura fisica, dall’altra la sua fenomenologia come medium artistico. La mostra al secondo piano del Palazzo del Governatore, curata da Cristina Casero, Jennifer Malvezzi e Francesca Zanella, articola il discorso su due registri: da un lato la luce come agente, come produttrice di segni indessicali, dall’altro la luce come strumento del fare arte, come dispositivo ottico. Il primo registro è rappresentato da una notevole selezione di lavori fotografici, gran parte dei quali appartenenti alla straordinaria collezione dello CSAC; non si tratta però di una generica rassegna di fotografie, che avrebbe indebolito la tenuta teorica del tema-luce, ma piuttosto di lavori nei quali l’aspetto teorico e semiotico del processo foto-grafico è messo più o meno esplicitamente a tema. Fotografie in cui la luce è mostrata nella sua materialità, dunque, come nella splendida scelta di opere di Luigi Veronesi e di Franco Grignani, ma anche lavori complessi in cui le componenti del processo, e in particolare l’e-
lemento della scrittura, sono utilizzate a prescindere dall’ottenimento di un’immagine-specchio del reale, e quindi liberate nella loro autonomia espressiva, come nell’imponente dipinto a scrittura luminosa di Bruno Di Bello, o nei Fotograffia di Vincenzo Agnetti, ma anche nelle Icone di luce di Silvio Wolf. Il secondo registro è invece rappresentato da opere che mostrano la luce in azione, nella sua fenomenologia; come nelle Eco di luce di Francesco La Fosca, nei diversi lavori che utilizzano il neon (poeticissima la Sostituzione 11/20 di Germano Olivotto) o la proiezione luminosa. Quest’ultima categoria include alcune performance di grande forza rimesse in scena per l’occasione, come Quiescente obliqua di Ferruccio Ascari (originariamente del 1981), in cui Gustavo Frigerio diventa una sorta di schermo per un raggio di luce che si trasforma così in una fonte di infinite possibilità espressive, o nel Film a strisce (La petite mort) (1976) di Michele Sambin, in cui il testo video originale è stato “suonato” al sax in occasione del vernissage, quasi fosse una partitura musicale in cui caso e artificio, visione e ascolto, presenza e assenza vanno ad intrecciarsi. Va osservato come, in mostra, i lavori siano presentati in modo decisamente “leggero”, al di fuori di qualsiasi rigida classificazione, con un utilizzo armonioso dei vasti, suggestivi, ma complicati, spazi del Palazzo del Governatore; un allestimento che lascia ampio respiro alle opere, evitando al contempo di risultare dispersivo. Un percorso stimolante e visivamente appagante, che si com-
pleta negli spazi dello CSAC presso l’Abbazia di Paradigna, dove una selezione ad hoc dei lavori della collezione illustra i possibili usi della luce tra sperimentazioni sulla superficie, arte programmata e optical. Luce. Scienza Cinema arte a cura di Cristiano Viappiani (Sezione Scienza), Luigi Simeone e Franco Piccoli (Sezione Cinema), Cristina Casero, Jennifer Malvezzi e Francesca Zanella (Sezione Arte) mostra interattiva realizzata in occasione delle manifestazioni per L’Anno Internazionale della Luce 2015 catalogo MUP a cura di Luigi Allegri, coordinatore della mostra testi di Cristina Casero, Jennifer Malvezzi, Franco Piccoli, Luigi Simeone, Cristiano Viappiani e Francesca Zanella 14 novembre 2015 – 17 gennaio 2016 Palazzo del Governatore Piazza Garibaldi, Parma Orari: da martedì a giovedì 10.00-13.00, da venerdì a domenica 10.00-19.00; ingresso libero una sezione è ospitata presso CSAC Abbazia di Valserena Strada Viazza di Paradigna 1, Parma Orari: da martedì a venerdì 10.00-15.00, sabato e domenica 10.00-20.00 fino al 30 novembre; dal 1° dicembre da martedì a venerdì 9.30-15.00, sabato e domenica 10.00-19.00; chiuso dal 24 al 28 dicembre e il 1° gennaio Ingresso €5.00 (con il biglietto della mostra al Palazzo del Governatore) Info: +39 0521033652 info@csacparma.it www.csacparma.it
Silvio Wolf, Icone di luce, Icona di luce 01, 1993, cibachrome, smalti, laminati espansi sagomanti, cm 130×135×4, Collezione privata, Roma; Icona di luce 08, 1994, cibachrome, smalti, laminati espansi sagomanti, cm 146×118×4, Collezione privata, Roma; Icona di luce N-02, 2008, c-print, alluminio, smalti e laminati espansi sagomanti, cm 216×93x4. Courtesy: Silvio Wolf 51
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L’ALTRA MISURA DELLE COSE DI CUI PARLARE, ANCORA FIRENZE | Frittelli Arte Contemporanea | 21 novembre 2015 – 8 marzo 2016 di Matilde Puleo
L’ampia mostra a cura di Raffaella Perna, dal titolo Altra misura. Arte, fotografia e femminismo in Italia negli anni ’70 è una ricognizione attenta e rigorosa di un tema complesso quale quello del femminismo e della sua relativa produzione artistica. Non è facile pensare ad un altro periodo della nostra storia così restio a separare arte e vita. Periodo nel quale sperimentare una gamma così estesa di possibilità artistiche a metà strada tra danza, musica e quella letteratura di verità, sempre in cerca di nuove strade. Con una portata di esperimenti e di scoperte in grado di vanificare ogni zelante tentativo di inquadrare e catalogare, gli anni ’70 ci hanno abituato a performer che erano al tempo stesso, manifestanti, poetesse, sobillatrici e fotografe. Donne prima di essere artiste, le undici protagoniste in mostra raccontano con fotografia, collage ed esempi di poesia visiva, un mondo contraddittorio tutto italiano. Lo fanno a partire da se stesse proprio per rimuovere e mettere in discussione frontiere, divieti e luoghi comuni, rifiutandosi di considerare il segno estetico come un “doppio” della realtà da mettere in mostra per le sue esclusive qualità estetizzanti. Cercare di fornire una definizione esauriente di questi scatti e di ciò che era davanti e accanto a quei corpi che si fanno prototipo e suppor-
to della futura produzione artistica europea e americana, sarebbe come voler cristallizzare la materia organica. Meglio limitarsi alla pura elencazione dei suoi elementi costitutivi: la vasta area tipologica delle ricerche da un lato e le inedite modulazioni spaziali, finalizzate a coinvolgere il pubblico, dall’altro. Il rapporto con la propria femminilità, specie se in continuo confronto con l’imperativo dell’opera d’arte come per Libera Mazzoleni, o nei lavori di Paola Mattioli, nei travestiti di Lisetta Carmi, nei decori più conosciuti di Ketty La Rocca o nelle rappresentazioni dei contrastati b/n di Lucia Marcucci. Da aggiungere al carattere fortuito dell’evento che ha sortito la necessità di fotografare. Materiale utile e documento atto a sovvertire schemi mentali e stereotipi come nei lavori di Tomaso Binga, Diane Bond, Nicole Gravier e Verita Monselles. Inutile cercare di decifrare il messaggio: esso è ambiguo e sfuggente, come sottolineano i lavori di Anna Oberto. È alogico e desideroso di non soddisfare alcun tipo di funzione informativa (vedi Cloti Ricciardi). È teatro dei sensi succube dei fattori visivi, ma sembra essere pronto a quel delirio comunicativo che meglio della comunicazione educata, sa creare vero scambio tra uomo e donna. Le motivazioni politiche sono implicite: rifiuto a considerarsi
merce e spiccata tendenza a vedere il corpo femminile come gesto di rivolta contro la società dei consumi. Questioni insomma, ancora tutte da affrontare. Altra misura. Arte, fotografia e femminismo in Italia negli anni ’70 Tomaso Binga, Diane Bond, Lisetta Carmi, Nicole Gravier, Ketty La Rocca, Lucia Marcucci, Paola Mattioli, Libera Mazzoleni, Verita Monselles, Anna Oberto, Cloti Ricciardi a cura di Raffaella Perna 21 novembre 2015 – 8 marzo 2016 Frittelli arte contemporanea Via Val Di Marina 15, Firenze Orari: da lunedì a sabato, 10.00 – 13.00 | 15.30 – 19.30 (domenica e festivi su appuntamento) Info: +39 055 410153 info@frittelliarte.it www.frittelliarte.it
Cloti Ricciardi, Expertise. Conferma di identità, 1972 fotografia, cm 30x20
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A MILANO IL PRIMITIVISMO “RADICALE” DI GAUGUIN MILANO | MUDEC – Museo delle Culture | 28 ottobre 2015 – 21 febbraio 2016 di Matteo Galbiati
La sbrigativa leggerezza, con cui si è soliti etichettare l’opera dei grandi artisti – soprattutto per quelli che hanno lavorato nel XIX e nel XX secolo – facendola rientrare in un –ismo che ne riassume estetiche e visioni, risulta spesso fuorviante e riduttiva, se non proprio semplicistica ed avventata. Pensare che un artista come Paul Gauguin (1848-1903) sia semplicemente un “membro” dell’Impressionismo o che abbia anticipato le tendenze del Simbolismo e del Fauvismo risponde solo ad un aspetto della verità storico-artistica legata alla sua figura. Se questi –ismi appartengono certo al suo vissuto e alla sua esperienza, è altrettanto vero che la sua volontà di artista ha guidato una visione aperta e autonoma che ha saputo coniugare e declinare, nel paradigma del suo colore, l’essenza del superamento del naturalismo all’anticipazione di soluzioni “astratte” ormai emancipazione artistica dell’evo moderno. Non poteva essere altra location migliore delle sale del MUDEC – Museo delle Culture di Milano ad ospitare, in sinergico rapporto con i contenuti delle collezioni del museo milanese, la mostra Gauguin. Racconti dal paradiso che, con una selezione di oltre 70 capolavori (la metà dei quali provenienti dalle collezioni del Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, istituto che conserva una delle maggiori raccolte mondiali del maestro francese), sintetizza la ricerca di Gauguin le cui immagini hanno raccolto le testimonianze di vita, di natura, di tradizioni e di stati d’animo raccolte in mezzo mondo. Artista “pellegrino” ed “errante”, Gauguin ha viaggiato in quasi ogni continente alla ricerca di un “vivere selvaggio” – come lui stesse lo definiva – lontano dalla sua nazione, la Francia, che non ne aveva compreso del tutto il valore della sua opera, e per essere sempre più vicino alla naturalezza spontanea delle popolazioni primitive, dal Sud America alle isole polinesiane. Le influenze recepite dalle immagini vissute in modo diretto, o quelle filtrate dai ricordi, riconducono al fascino di un mondo primordiale che diviene, nella sua concisione, più autentico sia che descriva la ruvidezza delle donne bretoni o la dolcezza esotica dei paesaggi e delle persone della Polinesia. Tratto distintivo dei capolavori esposti – e dell’arte di Gauguin in genere – è proprio l’esercizio costante della
Paul Gauguin, Donne tahitiane sdraiate (Arearea no varua ino, “Il divertimento dello spirit maligno”), 1894, olio su tela, cm 60x98, Copenhagen, Ny Carlsberg Glyptotek
commistione delle fonti iconografiche differenti che spaziano da quelle “alte” a quelle “etniche”, senza soluzione di continuità e con un esplicito e imprescindibile desiderio contaminante. In questa mostra – in cui si ammirano anche altri capolavori di maestri come Cézanne o Van Gogh – si testimonia, oltre all’invenzione del suo stile sintetista e cloisonniste, anche l’impegno dell’artista nella fusione e amplificazione delle tecniche artistiche che lo vedono essere oltre che solo pittore – altro stereotipo e mito sfatati – anche abile ceramista, intagliatore e scultore. L’arte di Gauguin, in questa moltiplicazione di presenze, non rinuncia e non abdica mai alla risoluta fermezza del suo stile. Il percorso espositivo lascia scoprire una personalità fortissima e illuminata, la cui trascrizione cromatica assolve ad un esotismo non di carattere etnico o etnografico, ma completamente umano. Il suo colore e le sue forme, riassunte nella loro essenza primordiale, sommano epoche e civiltà, diverse e lontane, in un unicum incantato, sempre valido come esempio della varietà dell’accordo tra uomo e natura. Tra cromie brillanti e disegni sintetici di figure, in un crogiolo di materiali vari, rintracciamo l’eco di un animo complesso la cui volontà rimane sempre quella di dare all’arte il dolce fascino poetico dell’universalità del mondo.
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Gauguin. Racconti dal paradiso a cura di Line Clausen Pedersen, curatrice del Dipartimento di Arte Francese e Flemming Friborg, direttore della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore in collaborazione con Ny Carlsberg Glyptotek, Copenhagen promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura con il sostegno di M&G Investments 28 ottobre 2015 – 21 febbraio 2016 MUDEC – Museo delle Culture via Tortona 56, Milano Orari: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 09.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30; il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura Ingresso intero €12.00; ridotto €10.00 Info e prenotazioni: +39 02 54917 www.mudec.it ww.ticket.it/mudec
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MOSTRE > FOTOGRAFIA
IL VIAGGIO IN ITALIA DI HENRI CARTIER-BRESSON E GLI ALTRI MILANO | Palazzo della Ragione | 11 novembre 2015 – 7 febbraio 2016 di Francesca Caputo
Un itinerario lungo duecento immagini ripercorre l’Italia degli ultimi ottant’anni, con lo sguardo di trentacinque tra i più grandi fotografi internazionali, negli spazi di Palazzo della Ragione di Milano. Osservata con l’obiettivo di culture e sensibilità diverse, restituisce quella giusta distanza per rileggere il nostro Paese con affetto, attraversando fascinazione, contraddizioni, bellezza, stereotipi, e allo stesso tempo percorrendo l’evoluzione del linguaggio fotografico, dagli anni Trenta ad oggi. Henri Cartier-Bresson e gli altri, racchiude progetti fotografici declinati in chiave diversa – a volte poetica a volte ironica, intima o documentaria – che accolgono molteplici letture del territorio e del tessuto umano, culturale, tanto dei luoghi e simboli più famosi quanto delle periferie e dei piccoli centri. La scrittura espositiva è concepita dalla curatrice Giovanna Calvenzi come un moderno Gran Tour, organizzato in sette sezioni, in un intrecciarsi di volti, scorci e scene di vita. È l’occhio assoluto di Cartier-Bresson – fin dal suo primo viaggio nella Penisola nel 1933 – che si incontra per primo, con il suo particolare modo di raccontare l’uomo e la sua vita per istanti fugaci, intensi, decisivi. La “visione umanista” nella fotografia prosegue negli scatti della II Guerra Mondiale di Robert Capa, nella suggestione delle processioni religiose di David Seymour, nell’empatia dei volti di Na-
poli di Herbert List. Sino a comprendere il lavoro di Sebastião Salgado sulla mattanza dei tonni, con i pescatori siciliani che trasudano fatica, disperazione, orgoglio della tradizione e consapevolezza di un lavoro destinato a scomparire. La scelta estetica del bianco e nero evolve, in tempi in cui tutti prediligono il colore, nella poetica ricerca di radici e atmosfere, unendo, ad esempio, i porti del Mediterraneo di Guy Mandery alla passeggiata notturna di Helmut Newton nelle sue settantadue ore romane. Tutte le possibili declinazioni linguistiche della fotografia sono utilizzate da una serie di autori che interpretano la realtà. Come la Venezia magica dei light box di Hiroyuki Masuyama che, con esposizioni multiple e sovrapposte, incontra le atmosfere dipinte di Turner; o la Milano di Irene Kung che emerge dal buio, come una “città invisibile”. Lo sguardo inquieto di tre autori americani analizza i lati oscuri della realtà italiana: gli scempi architettonici e naturalistici che deturpano il nostro paesaggio o le inquietudini sociali ed esistenziali di una Napoli definita dallo stesso Micheal Ackerman “l’ultima vera capitale europea”. Non poteva mancare il linguaggio documentario, tipico del Gran Tour ottocentesco. La sensibilità di Paul Strand e Cesare Zavattini permette di entrare nelle radici antropologiche del nostro Paese, narrando nell’incrocio tra iconografia americana anni
Trenta e neorealismo, la realtà contadina del paese di Luzzara, in Emilia, e della sua gente. Mentre, con un approccio di sottile e corrosivo umorismo, Jordi Bernardó, esplora in tre palazzi emblematici, i simboli che rendono Roma l’immagine stessa del potere. L’Italia a colori esplode alla fine del lungo percorso. Tra gli altri, Martin Parr, con accezioni che vanno dal grottesco al kitsch, lavora sulla massificazione delle esperienze, mostrando turisti più attenti a loro stessi che alla realtà che li circonda, dove il monumento o il paesaggio diventa un perfetto sfondo per un selfie. Ciò che rende interessante questo racconto sono i continui salti temporali che creano un dialogo ininterrotto di assonanze, affinità elettive. Henri Cartier-Bresson e gli altri. I grandi fotografi e l’Italia a cura di Giovanna Calvenzi Artisti in Mostra: Michael Ackerman, Nobuyoshi Araki, Jordi Bernadó, Elina Brotherus, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Gregory Crewdson, John Davies, Joan Fontcuberta, Harry Gruyaert, Axel Hütte, Art Kane, William Klein, Irene Kung, Herbert List, Guy Mandery, Iroyuki Masuyama, Steve Mccurry, Joel Meyerowitz, Sarah Moon, Abelardo Morell, Helmut Newton, Claude Nori, Martin Parr, Bernard Plossu, Mark Power, Sebastião Salgado, David Seymour, Thomas Struth, George Tatge, Alexey Titarenko, Hans Van Der Meer, Cuchi White, Jay Wolke, Sophie Zénon. 11 novembre 2015 – 7 febbraio 2016 Palazzo della Ragione Fotografia Piazza Mercanti 1, Milano Orari: martedì, mercoledì, venerdì e domenica dalle 9.30 alle 20.30 Giovedì e sabato dalle 9.30 alle 22.30. Chiuso lunedì Info: + 39 0243353535 www.palazzodellaragionefotografia.it
Martin Parr, Costiera Amalfitana, 2014 © Martin Parr Magnum Photos – Courtesy Studio Trisorio, Napoli 54
SILVIA ARGIOLAS GABRIELE ARRUZZO ELISA BERTAGLIA VALENTINA BIASETTI MASSIMO CACCIA ARIANNA CAROSSA LINDA CARRARA CASAGRANDE & RECALCATI ANDREA CHIESI VANNI CUOGHI MARCO GRASSI JULIAN T ELENA MONZO NERO SERGIO PADOVANI ELISA ROSSI
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