Espoarte Digital 93 e 1/2

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digital Cover Artist

BERTOZZI & CASONI

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93 ½

Interview

STUDIO++ RICCARDO MANNELLI

Project

LOTTOZERO

Spazi

CC-COPENHAGEN CONTEMPORARY

Approfondimenti

Zurigo Celebra Francis Picabia


Manuela Bedeschi

CASALUCE

SETTEMBRE OTTOBRE 2016 Opening VenerdĂŹ 23 Settembre ore 18.30

Art Open Space

Galleria Lazisee Art Open Space Piazza Partenio 7 - 37017 Lazise (Verona) info@lazisee.com manuelabedeschi@alice.it


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ESPOARTE DIGITAL #93 ½ Espoarte Digital è un progetto editoriale di Espoarte in edizione esclusivamente digitale, tutto da sfogliare e da leggere, con i migliori contenuti pubblicati sul sito www.espoarte.net e molti altri realizzati ad hoc.

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Cover

BERTOZZI & CASONI, TEMPO LIBERO, 2016, ceramica policroma, cm 47x40,5x62,5

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INDICE / SU QUESTO NUMERO SI PARLA DI...

ESPOARTE Registrazione del Tribunale di Savona n. 517 del 15 febbraio 2001 Espoarte è un periodico di arte e cultura contemporanea edito dall’Associazione Culturale Arteam. © Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l’autorizzazione scritta della Direzione e dell’Editore. Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile alla redazione per la pubblicazione di articoli vanno inviati all’indirizzo di redazione. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista. Tutti i materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti.

Editore Ass. Cult. Arteam Direttore Editoriale Livia Savorelli Publisher Diego Santamaria Direttore Web Matteo Galbiati Segreteria di Redazione Francesca Di Giorgio Direttore Responsabile Silvia Campese Redazione via Traversa dei Ceramisti 8/b 17012 Albissola Marina (SV) Tel. +39 019 4004123 redazione@espoarte.net Art Director Elena Borneto Redazione grafica – Traffico pubblicità villaggiodellacomunicazione® traffico@villcom.net Pubblicità

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IL CAPITALE UMANO. BERTOZZI & CASONI TRA “CONSOLAZIONI E DESOLAZIONI” Intervista a Bertozzi & Casoni di Chiara Serri

8 RINASCIMENTO CINESE A PALAZZO STROZZI. INTERVISTA AD ARTURO GALANSINO Intervista ad ARTURO GALANSINO di Alessandra Frosini 12 CC-COPENHAGEN CONTEMPORARY: UN NUOVO CENTRO PER L’ARTE INTERNAZIONALE Intervista ad JENS ERIK SØRENSEN di Roberta Perego 16 INSIDE LOTTOZERO: ALLA SCOPERTA DI UNO SPAZIO POLIFUNZIONALE Intervista a TESSA e ARIANNA MORODER di Gaia Vettori 22 SCAMBIO, ESPERIENZA E ONESTÀ. CARIELLO E MAFFEI: INTERVISTA ATTORNO A UN DEGREE SHOW Intervista a LETIZIA CARIELLO e LUCA MAFFEI di Roberta Perego 26 UN PROGETTO OPEN AIR, TRA POSTER ART E PERFORMANCE Intervista a ELEONORA CHIESA di Livia Savorelli 28 UN TERZO GIARDINO PER FIRENZE: INTERVISTA CON STUDIO++ Intervista a STUDIO++ di Simone Rebora 32 RICCARDO MANNELLI: LE SPLENDIDE OSSESSIONI DEL MAGGIORDOMO DI BACON Intervista a RICCARDO MANNELLI di Viviana Siviero 36 DIALOGHI DI FILO… NE PARLIAMO CON LIVIA CRISPOLTI Intervista a LIVIA CRISPOLTI di Eleonora Roaro 38 FRANCIS PICABIA: A ZURIGO LA STORIA DI UNO SPERIMENTATORE di Matteo Galbiati 40 GERMINAZIONI E BIODIVERSITÀ: L’ANIMA DEL CIBO PER GIUSEPPE CARTA di Jacopo Fanciulli

Direttore Commerciale Diego Santamaria Tel. 019 4500659 iphone 347 7782782 diego.santamaria@espoarte.net

42 CANCELLARE PER RIVELARE: TRE SEDI A MILANO CELEBRANO LA POESIA DI EMILIO ISGRÒ di Matteo Galbiati

Ufficio Abbonamenti abbonamenti@espoarte.net

46 CON PINELLI E STACCIOLI L’ARTE CONTEMPORANEA (RI)ABITA A VILLA PISANI BONETTI di Matteo Galbiati

Hanno collaborato a questo numero: Francesca De Filippi Jacopo Fanciulli Alessandra Frosini Matteo Galbiati Roberta Perego Simone Rebora Eleonora Roaro Chiara Serri Livia Savorelli Viviana Siviero Gaia Vettori

48 “CHE IL VERO POSSA CONFUTARE IL FALSO”. LA COLLEZIONE FASOL A SIENA di Francesca De Filippi

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COVER ARTIST

IL CAPITALE UMANO. BERTOZZI & CASONI TRA “CONSOLAZIONI E DESOLAZIONI” MODENA | GALLERIA ANTONIO VEROLINO | 16 SETTEMBRE – 24 OTTOBRE 2016 Intervista a BERTOZZI & CASONI di Chiara Serri

Se la tecnica è anche linguaggio, avere una buona tecnica vuol dire avere in pugno l’immagine. Parola di Bertozzi & Casoni, maestri indiscussi della scultura ceramica contemporanea. Attratti da tutto ciò che è caduco, i due autori realizzano opere fortemente allusive, a tratti dissacranti, specchio fedele – e allo stesso tempo impietoso – della società in cui viviamo. Spinti dalla curiosità, dopo le sperimentazioni sui materiali ceramici, Bertozzi & Casoni si sono avvicinati alla seta, realizzando un’opera tessile su invito della Galleria Antonio Verolino di Modena che, per il festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo (in corso dal 16 al 18 settembre), ospita una loro mostra personale…

biamo recuperato l’idea di alveare come modulo creativo, come se fosse il pixel di un pezzo che avanza e che, a sua volta, rivela un’altra immagine. Dal disegno al tappeto c’è stata uniformità, quindi siamo soddisfatti, ma vorremmo lavorare anche in futuro con questo linguaggio per arrivare a livelli ancora più alti. È stata un’esperienza curiosa e formativa. D’altra parte la curiosità

Com’è nata l’idea della mostra da Antonio Verolino? Vi era già capitato di approcciarvi al tessile? Il progetto è nato circa tre anni fa, quando Antonio Verolino ci ha contattati per la prima volta. Non avevamo mai preso in considerazione il tessile se non marginalmente negli anni Novanta. In questo caso, tuttavia, il lavoro è stato molto più lungo e complesso. Come siete arrivati alla realizzazione dell’opera tessile in mostra? In un primo tempo avevamo pensato di legare questa nuova produzione al nostro lavoro ceramico, riproducendo di fatto le opere. Dopo varie sperimentazioni – e spedizioni di materiali dall’Italia al Nepal e ritorno – ci siamo però resi conto che così non funzionava perché gli oggetti risultavano privi di anima. A quel punto è stato tutto più chiaro. Abbiamo disegnato un cartone in scala 1:1 con tempere e acrilici e abbiamo pensato un lavoro tessile. In un secondo momento è venuto anche un collegamento con il nostro lavoro abituale… Da qui la cornice in ceramica e la scelta della seta? La seta è un materiale straordinario. È lucente e cangiante come la ceramica. Ab-

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Bertozzi e Casoni, Senza titolo, 2016, ceramica policroma e tappeto annodato a mano in seta, cm 234x160x17


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è il motore del nostro lavoro. E gli oltre mille fiori in ceramica della cornice sono il nostro marchio di fabbrica. Franco Bertoni, presentando il vostro lavoro, fa riferimento a temi classici della pittura, come vanitas e memento mori… Il lavoro si muove nella direzione della tradizione, o meglio, dell’innovazione nella tradizione. Negli anni Ottanta, quando abbiamo iniziato, c’era una grande propensione al concettualismo, alla “sparizione” dell’opera. Noi abbiamo sempre pensato alla bottega rinascimentale. Non abbiamo mai inserito l’uomo, ma molte simbologie che riportano all’umano. Tecnica e citazione? La tecnica è anche linguaggio. Abbiamo citato la Merda d’artista di Manzoni al pari di una scatoletta di Manzotin. Il nostro immaginario si nutre di tutto quello che è il nostro vivere quotidiano. Quindi un’operazione pop? In un certo senso sì. Attingiamo al nostro vissuto, ad un sostrato culturale consolidato

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negli anni. Quando abbiamo citato Manzoni, lo abbiamo caricato poi di leggenda. Si narra infatti che l’artista avesse presentato le sue scatolette in un ristorante e che il proprietario, infuriato, le avesse gettate in mare. Ed ecco il nostro “reperto”, coperto d’acqua e di fango. Come nasce una vostra opera? Solitamente non c’è disegno preparatorio. Tutto nasce da un’idea, da piccole visioni. Il lavoro tecnico è poi estremamente importante. Avere una buona tecnica vuol dire avere in pugno l’immagine. Nella nostra bottega ci sono competenze diverse, tutte fondamentali per la buona riuscita dell’opera. In fin dei conti è normale. Non possiamo pensare che Mimmo Paladino o Jeff Koons siano soli… L’opera intitolata Polar Bear propone una riflessione sui cambiamenti geologici e climatici… Con quest’opera vorremmo porre all’attenzione dei visitatori ciò che l’uomo ha fatto e sta facendo nell’Artico. L’orso è compresso in una gabbia stretta, claustrofobica. Cerchiamo di “addomesticare” la natura, peral-

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Bertozzi & Casoni, Per Manzoni, 2012, ceramica policroma, cm 41x46x46


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tro senza riuscirci. Ecco il nostro agonismo, ovvero il tema del festivalfilosofia 2016. Le navi delle compagnie petrolifere causano il surriscaldamento globale, la banchina si scioglie e l’orso scompare. Ci sono poi la forma, il colore, la composizione. Non è mai stata nostra intenzione accentuare esclusivamente l’aspetto critico. Qual è lo stato della ceramica oggi? Ci sono tanti bravi artisti che lavorano con la ceramica, soprattutto in Oriente. Se trent’anni fa i ceramisti guardavano poco all’arte contemporanea, ora stiamo registrando un’interessante inversione di rotta. Progetti in cantiere? Oltre alla mostra da Antonio Verolino, prosegue la personale all’Espace Grandjean di Vallauris e presenteremo presto tre nuovi progetti al MACIST di Biella, nel Palazzo Ducale di Massa e alla Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno in dialogo con Tiziano ed opere antiche. E già si parla di una mostra nel 2017 ad Hong Kong…

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Bertozzi & Casoni, alias Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni, vivono e lavorano ad Imola (BO). www.bertozziecasoni.it Eventi in corso: Il Capitale Umano. Tra Consolazioni e Desolazioni a cura di Franco Bertoni 16 settembre – 24 ottobre 2016 Galleria Antonio Verolino Via Farini 70, Modena www.galleriaantonioverolino.com In collaborazione con festivalfilosofia www.festivalfilosofia.it

24 settembre – 28 ottobre 2016 MACIST, Museo d’Arte Contemporanea Internazionale Senza Tendenze Costa di Riva 11, Biella www.macist.it Bertozzi & Casoni 8 ottobre – 10 novembre 2016 Palazzo Ducale Piazza degli aranci 35, Massa Bertozzi & Casoni. Minimi avanzi a cura di Stefano Papetti, Elisa Mori, Giorgia Berardinelli e Silvia Bartolini 26 novembre 2016 – 5 marzo 2017 Pinacoteca Civica, Ascoli Piceno

Bertozzi & Casoni 2 luglio – 31 ottobre 2016 Espace Grandjean Boulevard des deux Vallons, Vallauris, Francia www.vallauris-golfe-juan.fr Eventi futuri: Bertozzi & Casoni

Bertozzi & Casoni, Polar Bear (dettaglio), 2016, ceramica policroma su ferro, cm 190x200x110

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ARTE

A cura di Franco Basile

19 LUGLIO - 8 OTTOBRE 2016 Prenotazioni arte@cubounipol.it

DINO BOSCHI

IL MONDO DIETRO LA COLLINA Inaugurazione mostra temporanea “Luoghi e cose nella pittura di Dino Boschi”.

SPAZIO ARTE Ingresso libero

CUBO Centro Unipol BOlogna Piazza Vieira de Mello, 3 - Bologna - Tel 051.507.6060 - www.cubounipol.it


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ARTE

RINASCIMENTO CINESE A PALAZZO STROZZI. INTERVISTA AD ARTURO GALANSINO FIRENZE | PALAZZO STROZZI | 23 SETTEMBRE 2016 – 22 GENNAIO 2017 Intervista ad ARTURO GALANSINO di Alessandra Frosini

In attesa dell’opening della mostra Ai Weiwei. LIBERO, la prima personale italiana dell’artista designer e attivista cinese, abbiamo fatto alcune domande ad Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, nonché curatore della mostra. Dopo la mostra dedicata a Liu Xiadong dal titolo Migrazioni, Palazzo Strozzi tra

poco (il 23 settembre) aprirà le porte alla grande mostra dedicata ad Ai Weiwei, che conferma l’attenzione sugli artisti cinesi contemporanei e sulle tematiche sociali. Perché ha pensato d’invitare un artista come Ai Weiwei ad esporre a Palazzo Strozzi e com’è nata l’idea della mostra? I programmi di un’istituzione dovrebbero sempre seguire una linea. Abbiamo voluto improntare il 2016 con una programmazio-

Ai Weiwei, Reframe (Nuova cornice), 2016. PVC, policarbonato, gomma cm 650 x 325 x 75 ciascuno. Courtesy: Ai Weiwei Studio

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ne interamente moderna e contemporanea, dando un particolare rilievo all’arte cinese – da tempo in primo piano sulla scena internazionale – e a temi attuali e urgenti come quello delle migrazioni, che caratterizzava interamente la mostra di Liu Xiaodong e in parte quella di Ai Weiwei. Da quasi due anni stiamo lavorando a questa mostra, che credo sarà un momento importante per Strozzi e per Firenze. La scelta non riflette solo l’ambizione di ospitare a Strozzi la prima mostra italiana di quello che è stato definito “il più importante artista dei nostri tempi”, ma anche la volontà di mostrare un artista capace di parlare di temi importanti ad un pubblico più vasto possibile. Per la prima volta la personale di Ai Weiwei occuperà in modo unitario l’intero spazio espositivo di Palazzo Strozzi, senza distinzione fra piano nobile e Strozzina, solitamente utilizzate in modo distinto per mostre di artisti o movimenti storicizzati e per l’arte contemporanea: un’eccezione per questa mostra o una svolta che caratterizzerà anche le prossime esposizioni? I nostri visitatori godranno di un’esperienza inedita, riscoprendo il nostro palazzo nel suo intero. Inoltre in occasione della mostra abbiamo rimosso interamente le strutture allestitive che ricoprivano il palazzo in tutte le mostre precedenti e, per la prima volta dopo molti anni, si rivedranno, reinterpretati da Ai Weiwei, le forme e le strutture origina-

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rie. Questo tipo di utilizzo dello spazio sarà ripetuto anche per altre mostre: in particolare per la prossima grande mostra su Bill Viola – che ha appena conquistato la prima pagina dell’”Art Newspaper” – e che già si preannuncia straordinaria.

Palazzo Strozzi Con la collaborazione di Galleria Continua, San Gimignano/Beijing/Les Moulins/Habana a cura di Arturo Galansino 23 settembre 2016 – 22 gennaio 2017

La mostra Ai Weiwei. LIBERO porterà l’attenzione sul tema dell’immigrazione e sulla crisi umanitaria dei profughi anche attraverso l’installazione Reframe, formata da ventidue grandi gommoni che saranno appesi sulle cornici delle finestre di due delle facciate di Palazzo Strozzi. Qual’è, secondo lei, la funzione pubblica e politica dell’arte? Quale apporto può dare l’arte alle problematiche della nostra epoca? L’arte “impegnata” di Ai Weiwei nasce e vive proprio sull’analisi del nostro presente; per questo è stato invitato a Strozzi. L’installazione in facciata, in una stratificazione complessa di livelli di lettura che si sovrappongono all’architettura rinascimentale, è un gesto molto forte, quasi provocatorio, che intende sensibilizzare e far riflettere sul tema delle migrazioni. Nulla più dell’arte può servire ad educare ed informare su temi sociali e sull’attualità, fornendo un punto di vista non standardizzato come l’informazione tradizionale. Ai Weiwei. LIBERO Una mostra organizzata da Fondazione

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Palazzo Strozzi P.zza Strozzi, Firenze Info: +39 055 2645155 info@palazzostrozzi.org www.palazzostrozzi.org

Ai Weiwei, He Xie, 2011. porcelain crabs. 3,000 pieces, each cm 5x25x10. Courtesy of Ai Weiwei Studio. Courtesy: Ai Weiwei Studio © Ai Weiwei


MOSTRA FINALE ARTISTI SELEZIONATI Palazzo del Monferrato Alessandria 29 ottobre - 20 novembre 2016

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SPAZI

CC-COPENHAGEN CONTEMPORARY: UN NUOVO CENTRO PER L’ARTE INTERNAZIONALE COPENHAGEN | CC-COPENHAGEN CONTEMPORARY Intervista ad JENS ERIK SØRENSEN di Roberta Perego

Nasce a Copenhagen un nuovo centro per l’arte contemporanea. CC-Copenhagen Contemporary ha tutte le carte in regola per diventare un nuovo punto di riferimento sulla scena artistica internazionale. Nato su iniziativa privata, ispirandosi a istituzioni già consolidate come Palais De Tokyo di Parigi e Tate Modern di Londra, CC-Copenhagen Contemporary ospita mostre temporanee, secondo un progetto permanente in uno spazio in realtà provvisorio. In che modo? Jens Erik Sørensen, project director di CC ed ex curatore di ARoS, ce lo racconta… Iniziamo da te: la tua formazione e la tua precedente esperienza come curatore

presso ARoS – Aarhus Art Museum. Ti andrebbe di raccontarci come hai cominciato? Nel 1979, ottenuta la laurea specialistica in Storia dell’Arte presso l’Università di Aarhus, Danimarca, iniziai a collaborare con l’Aarhus Art Museum nel ruolo di curatore. Quando iniziai a lavorare presso l’Aarhus Art Museum gli ingressi ammontavano a 40.000 visitatori circa, se l’anno era stato favorevole. Quando lasciai l’ormai nuovo museo d’arte ARos (provi a digitare su Google “Olafur Eliasson Rainbow Panorama”) contavamo più di 550.000 visitatori l’anno. A quel tempo i musei d’arte danesi erano come addormentati, non accadeva granché; difficilmente si

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visitavano mostre particolari e le persone erano abituate a frequentare i musei soltanto nei giorni di pioggia. Ero parte attiva di un nuovo team di studenti determinati nel rinvigorire, con nuove attività e una nuova vita, questi musei impolverati. Iniziammo cercando di aprire i musei a un pubblico più vasto, generico, anche famiglie e bambini, proponendo mostre inedite e una serie di attività nuove, dialogando spesso con artisti giovani ed emergenti. Quando le economie lo permettevano spingevamo verso collaborazioni maggiori, anche con altre realtà europee. Il risultato fu l’inizio di un grande successo per i musei d’arte in Danimarca, un successo che tuttora prosegue.


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Jens Erik Sørensen, project director di CC-Copenhagen Contemporary

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Come avvenne il passaggio da ARos a CCCopenhagen Contemporary? Dopo aver dato forma al nuovo museo ARos, popolandolo con l’incredibile installazione permanente “Your Rainbow Panorama”, lasciai l’incarico pensando mi aspettasse la pensione. Ma accadde che mi richiamarono e per un nuovo ruolo, questa volta a Copenaghen. Qui ha preso forma una nuova istituzione: CC-Copenhagen Contemporary. Lo spazio è un ex magazzino per la carta su Papirøen, “l’isola della carta”, direttamente nel cuore della capitale danese, con una superficie di circa 3.400 m². Abbiamo inaugurato lo scorso 25 agosto 2016 presentando lavori di Ragnar Kjartansson (Islanda), Yoko Ono (Giappone), Bruce Nauman (USA), Carsten Nicolai (Germania), Petterson and Hein (Norvegia e Danimarca). Esattamente come ogni altra metropoli, Copenhagen ha bisogno di un centro per l’arte contemporanea che ospiti lavori di respiro internazionale. Attualmente sono project director di CC, alla ricerca di fondi per sostenere il progetto negli anni e di un nuovo luogo in cui rendere tutto questo permanente, perché dal 2018 quella che è attualmente la nostra sede espositiva sarà convertita in appartamenti e complessi residenziali. Mi rincresce. CC-Copenhagen Contemporary è una realtà estremamente giovane. Come ha preso forma e come descriveresti la mission di questa nuova istituzione? Il nostro obiettivo è quello di presentare grandi installazioni, impegnative anche da un punto di vista tecnico, facendole confluire a Copenhagen da diverse parti del globo. Vorremmo che il pubblico, le persone,

Carsten Nicolai, Unidisplay, 2012, Copenhagen Contemporary, 2016. Foto: Anders Sune Berg Nella pagina a fianco: Veduta del CC-Copenhagen Contemporary

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capissero attraverso i loro stessi sensi cosa l’arte contemporanea può fare e attivare. Non si tratta mai di arte da osservare solamente, ma di un’arte da esperire camminandoci attraverso, da poter sentire attraverso il corpo. Nel comunicato stampa di presentazione vi paragonate (“ispirate”) ad altre istituzioni come Palais de Tokyo di Parigi, Tate Modern di Londra, Baltic Centre for Contemporary Art di Newcastle, Pirelli HangarBicocca di Milano e MoMA PS1 di New York. Cos’hanno in comune tutte queste istituzioni? Come queste istituzioni, desideriamo una nuova generazione di musei e spazi espositivi – una porta per il futuro – con nuovi approcci, nuove idee, nuova arte, nuovi orari di apertura; un’istituzione rinnovata e democratica, un luogo d’incontro accogliente per diverse generazioni e per i giovani soprattutto. Ragnar Kjartansson, Bruce Nauman e Carsten Nicolai, così come un progetto sitespecific di Yoko Ono e Pettersen & Hein: un esordio importante. Perché aprire con questi artisti? C’è un progetto curatoriale che unisce le tre mostre personali? L’idea di presentare esattamente questi tre artisti, in apertura, rispecchia il mio desiderio di proporre al contempo: una produzione più naturalistica e figurativa (Kjartansson), capace di un alto grado di empatia e di identificazione con il pubblico; un lavoro più astratto e concettuale (Nauman); una presenza digitale (Nicolai). Inoltre ho pensato fosse necessario per le nostre prime tem-


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poranee mostrare artisti e lavori più “classici” tanto quanto performativi. Sono molto grato a questi artisti, ai collezionisti e ai musei di tutto il mondo per avermi dato credito. Specialmente il Guggenheim di New York, molto aperto e disponibile con un’istituzione nuova come la nostra. Parlando invece dei progetti futuri? Non tutte le nostre mostre future sono già state programmate. In pratica solo quattro temporanee sono già definitive, al momento stiamo lavorando per ultimare il programma. CC-Copenhagen Contemporary è un luogo estremamente accogliente: il visitatore può attraversare e comprendere le mostre in autonomia grazie a diversi supporti cartacei, oppure rivolgendosi a un buon team di mediatori culturali. Avete un programma educativo o delle attività per il pubblico? La prima cosa decisa sin dall’inizio fu quella di non stampare cataloghi ma solo ed esclusivamente piccole guide informative che potessero introdurre le mostre al pubblico. Ma abbiamo ricevuto diverse richieste per pubblicazioni ad hoc e, grazie a un contributo economico, ci stiamo attivando per realizzare dei cataloghi in tempi rapidi. Al momento non abbiamo un programma, ad esempio di conferenze…ma saremmo felici di aprire le nostre porte e accogliere delle proposte.

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Quale potrebbe essere il ruolo di CC-Copenhagen Contemporary nel panorama artistico danese? Desideriamo mostrare nuova arte al pubblico regalando nuove esperienze. Energia e cambiamento sono le nostre parole chiave. Speriamo di dare una “svegliata” alle istituzioni più arrugginite, ispirandole. Il mio staff è composto da professionisti molto giovani che si prendono cura del pubblico, in questo modo i visitatori si sentono a loro agio.

CC-Copenhagen Contemporary Trangravsvej 10-12, Copenhagen K Info: +45 29 89 72 88 contact@cphco.org www.cphco.org

Esiste un punto di forza nel sistema dell’arte danese e quale potrebbe essere, invece, il punto più debole? La forza del sistema museale danese risiede nel supporto annuale che riceve sia dai comuni sia dallo stato: un’ottima distribuzione dei finanziamenti. Con questo non significa che si possa fare “uso gratuito” di questo denaro. Invece molte iniziative nuove, soprattutto guidate dai più giovani, non hanno un adeguato sostegno per poter maturare e fiorire in un progetto concreto e innovativo. Questo è il punto più debole del sistema. Se potessi scegliere due parole per descrivere il tuo “museo ideale”, quali parole sceglieresti? Il mio museo ideale dovrebbe saper cambiare l’attitudine del visitatore nel guardare il mondo e se stesso. Sarai semplicemente una persona diversa dopo aver visitato questo museo. Un paio di parole chiave potrebbero essere: seduzione e trasformazione.

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Ragnar Kjartansson, Scenes From Western Culture, Burning House, 2015. Single channel video, duration: 01:32:00. Courtesy of the artist, Luhring Augustine, New York & i8 Gallery, Reykjavik


GEOMETRIA FIGU R ATIVA SADIE BENNING ALEX BROWN

MAMIE HOLST

CHIP HUGHES XYLOR JANE ROBERT JANITZ ULRIKE MÜLLER

NICOLAS ROGGY

RICHARD TINKLER

FIGU R ATIVE GEOMETRY ORGANIZED BY BOB NICKAS

16/10/2016 2/4/2017

collezione permanente arte internazionale 1950-oggi giovedì-domenica prenotazioni tel: +39 0522 382484 info@collezionemaramotti.org www.collezionemaramotti.org via fratelli cervi 66 – reggio emilia


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ARTE / DESIGN / SPAZI

INSIDE LOTTOZERO: ALLA SCOPERTA DI UNO SPAZIO POLIFUNZIONALE PRATO | LOTTOZERO | DAL 15 OTTOBRE 2016 Intervista a TESSA e ARIANNA MORODER di Gaia Vettori

Segnatevi sul calendario questa data: 15 ottobre 2016, giorno in cui, nel cuore di Prato, verrà inaugurato uno spazio polifunzionale progettato all’insegna della condivisione e consacrato alla valorizzazione dell’elemento tessile. Tessa e Arianna Moroder sono le due menti sorelle dietro questo ambizioso progetto sperimentale che prende il nome di LOTTOZERO. Le abbiamo intervistate cercando di scoprire qualcosa di più riguardo la mostra – Inside Lottozero a cura di Alessandra Tempesti – che sancirà l’avvio delle attività di questo multiforme laboratorio. Tutto è iniziato qualche anno fa, quando, nel 2012, avete ereditato un magazzino di circa 400mq, da anni abbandonato e situato nel cuore di Prato, in una zona – quella del Macrolotto zero – ad alta densità di residenti cinesi e al centro della cronaca locale e nazionale per via delle numerose problematiche sociali che la connotano. Allora, le due sorelle Moroder, Arianna (artista e designer) e Tessa (consulente aziendale con formazione economica), partendo da quella “materia grezza”, come sono arrivate a pensare LOTTOZERO, grande progetto di riqualificazione? Inizialmente abbiamo valutato varie idee, di certo non potevamo permetterci di continuare a pagare l’IMU molto alto su un immobile che stava solo decadendo, ma nessuna delle due viveva in Toscana e avevamo vite e carriere avviate altrove. Abbiamo pensato di affittarlo o di darlo in uso gratuito a qualche associazione, finché alla fine, e ognuna delle due incolpa l’altra, abbiamo deciso di farci qualcosa noi stesse. Prato è la città del tessile per eccellenza, unendo le nostre capacità alle circostanze potevamo realizzare un progetto bello e soprattutto utile. Nelle prime fasi di ideazione del progetto Lottozero abbiamo prima pensato a ciò che sapevamo e potevamo fare, e subito dopo a cosa manca a Prato, in Italia, in Europa, e cosa sarebbe bello realizzare.

Abbiamo capito che c’è una forte crescita di spazi come fab-lab e coworking, ma che la richiesta di hub creativi internazionali specializzati per settore, come l’oreficeria ecc… rimane insoddisfatta. Abbiamo eseguito una ricerca in vari paesi europei e ci siamo rese conto che la domanda di laboratori de-

dicati al tessile condivisi e accessibili (quindi non legati all’università e allo studio) era forte in tutti i paesi. Ovunque in Europa agli studenti neolaureati e i liberi professionisti mancava un posto dove lavorare e confrontarsi, posti come il laboratorio legato al museo tessile di Tilburg. Così abbiamo capito

Arianna e Tessa Moroder. Foto: Nadja Grechina. In alto: LOTTOZERO, la sede. Foto: Duccio Burberi

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che questa era la strada giusta da percorre. Infatti, nell’anno che è passato da quando abbiamo compiuto questa ricerca ad oggi stanno aprendo in Europa nuovi laboratori tessili come il nostro, per esempio quello di WAAG Society ad Amsterdam, diventato il nostro partner nel progetto europeo TCBL guidato dal comune di Prato. Lottozero include: un laboratorio, uno studio condiviso, un ufficio stile, e una Kunsthalle, ovvero uno spazio espositivo. Il laboratorio tessile è dotato di macchinari per la progettazione e la ricerca tessile. Lo studio condiviso è uno spazio aperto di coworking, un luogo di lavoro e incontro per chi ancora non si può permettere uno spazio in proprio. L’ufficio stile: Lottozero opera come ufficio stile per le aziende italiane che non hanno un ufficio stile interno e le aziende straniere che necessitano di facilitazione e product management per la produzione in Italia. Infine Lottozero è una Kunsthalle: uno

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spazio espositivo per collezioni, una galleria/showroom per chi risiede a Lottozero e per chi è coinvolto in collaborazioni dirette. L’elemento tessile è proprio il fil rouge che lega il vostro ambizioso progetto, ancorandolo saldamente alla città laniera: Prato – nonostante la crisi – è uno dei più importanti distretti tessili. Allora, quali sono gli obiettivi principali di LOTTOZERO e, soprattutto, quali le innovazioni che esso porterà in quell’ambito che ha reso Prato famosa in tutto il mondo? Lottozero ha l’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo di talenti emergenti con collaborazioni e residenze creative e rivitalizzare questo distretto tessile. L’idea è di dare spazio a giovani designer e creativi e di portare talenti emergenti in città con un sistema di residenze. I giovani saranno invitati a trasferirsi a Prato per un periodo, vivendo e lavorando nella nostra sede nel cuore del quartiere

Macrolottozero dove avranno a disposizione appartamenti in cui vivere oltre al laboratorio per le sperimentazioni pratiche e la produzione di prototipi. Il plusvalore sarà dato dalla collaborazione e il confronto con gli attori principali del distretto di Prato, con i quali, o almeno con i quali lo vorranno, si cercherà costruttivamente di creare sinergie, unendo la capacità creativa dei giovani all’esperienza di chi questo lavoro lo svolge da sempre, scambiandosi know-how tecnico e mezzi per l’innovazione creativa, spingendosi oltre procedure e tecniche assoldate. Infine, per Prato sarà fondamentale l’attività di advocacy, Lottozero, con le sue residenze crea ambasciatori mondiali del distretto. Una volta lasciata la città, gli individui che hanno lavorato da noi avranno la possibilità di esercitare influenza sui settori culturali, creativi e tessili nel resto d’Europa, favorendo la conoscenza del prodotto, dell’indu-

Foulard Collezione Zero by CORALIE PRÉVERT. Printed silk/modal scarf with fringed hems, by textile and accessory designer Coralie Prévert

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stria pratese e delle attrattive che la città ha da offrire.

Dall’alto: Foulard Collezione Zero di Anna De Florian, colorful print, 100% silk, all hems hand stitched, cm 70x70 Aldo Lanzini, The eyes are there where they see. What happens here stays here, 2016

Durante la campagna di crowdfunding grazie alla quale avete addirittura superato l’obiettivo economico prefissato, era prevista una ricompensa molto particolare: una raffinata sciarpa in seta caratterizzata da un design ispirato al marmo verde di Prato, realizzata da Arianna Moroder.

Tutt’ora, dal vostro sito, è possibile acquistare pregevoli sciarpe in seta, disegnate da importanti artisti e designer internazionali. Cosa vi ha spinto a proporre questo prodotto artigianale? E come è la risposta del pubblico? L’idea dei foulard di seta inizialmente è nata per coincidenza, cercavamo un prodotto di qualità, made in Italy e che si potesse facilmente spedire, inoltre ci piaceva tantissimo l’idea di poter lavorare con le più disparate tipologie di artisti, la seta funziona come un foglio bianco e sopra si può stampare veramente di tutto. È una scelta un po’ fuori dal comune perché il foulard fino a poco tempo fa era un accessorio demodé che richiamava un altro tempo, ma i giovani lo stanno riscoprendo adesso e quindi ha molto successo anche nelle sue forme più classiche come il carré. Per il Kickstarter avevamo creato due collezioni, Verde di Prato, ispirata ai monumenti Toscani che era in serie limitata, e Collezione Zero, in collaborazione con illustratrici come Anna Deflorian e grafici come il nostro Studio Mut. Questa collezione resta in vendita online e in alcuni negozi scelti e ci permette di coprire alcuni dei nostri costi. Lavorare con tutti questi artisti ci è piaciuto talmente tanto che abbiamo deciso di creare periodicamente una nuova collezione, abbiamo già in mente i temi per le prossime 6 o 7 collezioni e ovviamente siamo sempre alla ricerca di nuovi creativi. Dall’artigianato all’arte – del resto è proprio questa la vostra vocazione. Infatti, dopo tanto duro lavoro, il 15 ottobre 2016 ci sarà l’inaugurazione caratterizzata da una forte vocazione artistica: ciò che darà il via alle vostre attività sarà la variegata mostra INSIDE LOTTOZERO, celebrazione dell’elemento tessile nell’arte contemporanea. Il vernissage prevede una fruizione continua delle opere dei 13 artisti invitati, per 12 ore non-stop, dalla sera al mattino successivo. Quali motivi hanno spinto le curatrici (le due sorelle Moroder e la storica dell’arte e sound artist Alessandra Tempesti) a proporre una soluzione espositiva ed esperienziale così particolare? Una delle poche cose che abbiamo capito da quando abbiamo iniziato questa esperienza è che quando uno lavora così tanto per avere uno spazio proprio e un evento da poter realizzare esattamente (purtroppo per motivi di budget questo non è al 100% vero) come vuole, inizia a farsi tante domande sui propri desideri. Nel nostro caso una delle cose che ci mancava di più nel mondo dell’arte è quella di potersi godere liberamente una mostra senza dover sotto-

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stare al limite di tempo e di comportamento al quale si è normalmente assoggettati. Ci era rimasta molto impressa una volta in cui Arianna si è sdraiata per terra nel Metropolitan Museum of Art e subito la guardia è accorsa per farla alzare, chiaramente se tutti si sdraiassero al Met sarebbe il caos ma visto che noi abbiamo la possibilità di far entrare le persone all’interno di Lottozero per un periodo prolungato, farle sdraiare, farle ascoltare della musica che dovrebbe aiutare a stimolare i loro pensieri e la loro percezione, perché no. Speriamo che il pubblico esca la mattina avendo fatto una bella esperienza, di interiorizzazione delle opere e apertura della mente a nuove idee e nuove sensazioni.

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come tramite per la costruzione del proprio lavoro e che cosa riuscisse effettivamente a tenere insieme ricerche e poetiche anche molto diverse tra loro. Ripercorrendo velocemente le opere che abbiamo selezionato nella mostra quella che emerge è una forte dimensione antropologica, un legame di prossimità con il corpo capace di estendersi anche in senso lato, come metafora di un pensiero che può assumere valenze sociali, politiche, storiche e identitarie, oltre a possedere una materialità che si avvale di un ricchissimo patrimonio di tecniche e tradizioni, antico quanto la storia stessa dell’uomo, e in continua evoluzione. Le maschere a uncinetto di Aldo Lanzini e i

Sarà possibile anche dormire in loco? Sì, l’evento si chiama INSIDE LOTTOZERO perché il pubblico è invitato ad entrare dentro Lottozero ad invadere il suo spazio e sentirlo come proprio… quale miglior modo che passarci una notte? È come quando da adolescenti si va a dormire a casa del migliore amico. Inoltre il pubblico viene esortato a disfare l’installazione di Arianna i cui pezzi, essendo costituita di stoffe e tessuti, verranno usati come giacigli e coperte. Un’installazione che si disfa e contemporaneamente prende forma nel corso della notte, nel modo in cui le persone ne faranno uso. Vero e proprio elemento innovativo della mostra, è lo “Sleep Concert”, un concerto che vede protagonisti 6 musicisti, i quali, a rotazione e a partire dalla mezzanotte del 15 ottobre, accompagneranno i fruitori durante tutta la notte (magari anche durante il sonno) e che, assieme all’opera site-specific di Arianna Moroder costituiranno il punto nodale di INSIDE LOTTOZERO. Molti altri (ben 13) sono però gli artisti internazionali invitati, così come eterogenee le loro opere. Quali saranno gli artisti presenti e, soprattutto, come si coniugano tra loro tutte queste diverse proposte? Alessandra Tempesti (curatrice della mostra): Con la mostra abbiamo cercato di costruire un percorso che testimoniasse la vitalità del medium tessile nel panorama artistico contemporaneo, la sua estrema versatilità che lo rende capace di intersecare i diversi linguaggi della scultura, pittura, installazione, fotografia, performance, suono e video, insieme alle forme espressive più tradizionalmente legate alla tradizione tessile, come costume, arazzo e soft sculpture. Ci siamo anche chieste, in questi mesi di studio e approfondimenti, che cosa conducesse gli artisti a scegliere il tessile

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Sadi, Inside Lottozero. Foto: Emma Innocenti


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costumi di Marjorie Chau, artista cilena residente a Berlino, sono gli elementi primari di una performatività che ricorre, più o meno direttamente, in altre opere presenti in mostra, come se fosse impossibile prescindere completamente da un legame con il corpo, da una qualche traccia di usura che rimane impressa nel tessuto. Come le stoffe che avvolgono le stele funerarie nella serie fotografica di Virginie Rebetez, artista svizzera che lavora con la fotografia e che in questo progetto documenta un rituale funebre ancora in uso in Sud Africa. Nicole Miltner, residente a Vienna, ha realizzato un arazzo che raffigura un corpo nudo, sagomato come un cartamodello che riproduce fedelmente la foggia di un giustacuore: un’indagine sulla rappresentazione del corpo che si relazione al video dell’artista Zoè Gruni, toscana trapiantata in Brasile, ancora una frammentazione anatomica di un corpo nudo che si lega ad una riflessione sui miti della tradizione contadina, di cui l’artista recupera tecniche di intreccio e fibre, come la juta e la saggina. Anna Rose invece, artista americana che vive a Firenze, ha scelto come materia prima del lavoro i capelli sintetici, sviluppando nei diversi linguaggi espressivi da lei adottati un’operazione di corrosione di certi stereotipi legati alla femminilità. La tecnica della maglieria, realizzata lavorando ai ferri un filo continuo di pasta di ceramica, diventa metafora della

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vulnerabilità del corpo umano come sistema precario, nel lavoro scultoreo del duo Khurtova/Bourlanges, attivo in Olanda ma di origini russe e francesi. La struttura ortogonale della tessitura, come intreccio di trama e ordito, è invece al centro dell’opera di Claudia Losi: griglia su cui far sedimentare il ricordo altrimenti intraducibile di un’esperienza di relazione con il paesaggio naturale. Anche Mariana Sales, giovane artista portoghese, si serve del linguaggio della tessitura, come gestualità essenziale e primaria con cui acquisire consapevolezza del proprio corpo. Ci sono poi una serie di lavori che introducono in mostra la relazione tra analogico e digitale, in una dinamica sempre spostata a favore del primo termine, sia in Fabrichmachine, una macchina che suona il tessuto traducendone consistenza, struttura e qualità materica in segnale audio, opera di Kathrin Stumreich, (anch’essa viennese), sia nella simulazione video di natura tutta digitale del collettivo Zeitguised, di base a Berlino, frutto di un lavoro di fabbricazione “manuale” degli algoritmi per dare vita ad una coreografia di tessuti dai colori psichedelici, che a sua volta richiama la gamma cromatica della pittura astratta di Roland Barth, mutuata da una sua personale rivisitazione della tecnica di stampa serigrafica. Dell’installazione site-specific di Arianna Moroder abbiamo già parlato, perno attorno

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a cui si si costruisce l’intera mostra, perché parlare del tessile significa in primo luogo farne diretta esperienza, come dormire per una notte dentro un’opera fatta di materassi, coperte, cuscini. LOTTOZERO Via Arno 10, Prato Mostra d’apertura: Inside Lottozero sabato 15 ottobre 2016 Info: +39 340 2787854 info@lottozero.org www.lottozero.org

Zeitguised, Geistxyz / chrome


ARTE

Foto di Marco Mioli per CUBO

A cura di Franco Basile

20 SETTEMBRE 2016 ORE 21:00

L’incontro è parte delle iniziative legate alla mostra temporanea: DINO BOSCHI IL MONDO DIETRO LA COLLINA 19 LUGLIO 8 OTTOBRE 2016 SPAZIO ARTE Ingresso libero

I LUOGHI E LE COSE DI DINO BOSCHI, UN RICORDO

La profonda relazione tra l’artista e il luogo dove ha vissuto e dove la luce di Gaibola ha fornito allo sguardo di Boschi nuove interpretazioni al suo dipingere. Incontro-dialogo con Franco Basile, giornalista, critico d’arte, e Alberto Boschi figlio dell’artista.

SPAZIO CULTURA Ingresso libero CUBO Centro Unipol BOlogna Piazza Vieira de Mello, 3 - Bologna - Tel 051.507.6060 - www.cubounipol.it


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SPAZI

SCAMBIO, ESPERIENZA E ONESTÀ. CARIELLO E MAFFEI: INTERVISTA ATTORNO A UN DEGREE SHOW MILANO | LOOM GALLERY Intervista a LETIZIA CARIELLO e LUCA MAFFEI di Roberta Perego

Lo scorso giugno vi abbiamo presentato Ex-Voto (leggi qui), collettiva di sette giovani artisti italiani organizzata da Loom Gallery in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Brera. A fine mostra abbiamo pensato di intervistare i curatori del progetto: il gallerista Luca Maffei e l’artista e docente Letizia Cariello. Nel frattempo Loom Gallery si è guadagnata un posto nella sezione New Entries di Artissima 2016, con un progetto dedicato all’artista Andreas Burger, e si prepara a riaprire dopo la pausa estiva con una monografica del giovanissimo Francesco

De Prezzo (l’appuntamento è per la sera di giovedì 22 settembre). Come per gli artisti di Ex-Voto, Isabella Camodeca, Valentina Daga, Ginevra Ghiaroni, Luca Laurora, Tommaso Lugoboni, Simone Natalizio e Marta Scanu, conosciuti attraverso un ciclo di incontri iniziati sempre con una breve presentazione di se stessi e del proprio lavoro, ho chiesto ai curatori di presentarsi per aprire l’intervista… Luca Maffei: Mi presento, come gallerista naturalmente: quello che vorrei fare attra-

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Veduta della mostra Francesco De Prezzo. Null Paintings, © Loom Gallery & the artist


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verso la mia galleria è lavorare come cronista dei miei tempi. Di base il ruolo del gallerista dovrebbe sempre essere quello di fare da tramite tra la sua generazione e quella che sarà, appunto, la generazione futura. Niente di più di un anello della catena. Questo è quello che vorrei fare con Loom Gallery, tenere un occhio puntato sul passato e un occhio puntato su quello che sarà, i giovanissimi artisti e i giovanissimi galleristi che arriveranno dopo di me… spero tra tanti anni (ride). Letizia Cariello: Io lavoro sul tempo e sulla materia. Il mio lavoro è profondamente intrecciato con l’esperienza di scambio con gli studenti e lo considero come un servizio dovuto a loro. Credo nel valore fondante della disciplina, nell’ascolto del corpo, nel considerare la dimensione totale dell’essere artista intesa come una ricerca che, attraverso un lavoro di scavo progressivo, conduca all’essenziale e fugga dall’elementare. Si può scavare solo dove si trova sostanza, siamo dunque tenuti a un lavoro quotidiano di esercizio e di studio, di tensione al dialogo interiore e di onestà nel procedimento. Se le va bene questa come presentazione… L’impressione che ho avuto incontrando gli artisti è stata di una riuscita eterogeneità (la stessa ritrovata in mostra) di mezzi, forme e contenuti. Ho incontrato sette mondi distinti, riuniti in un progetto corale e partecipato. Com’è nata l’idea di Ex-Voto e come sono stati selezionati gli artisti?

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L.M.: Questa collaborazione, come spesso accade con le collaborazioni, è nata per caso. Letizia oltre a essere docente di anatomia presso l’Accademia di Brera è anche un’artista di successo, rappresentata dalla Galleria Massimo Minini, una galleria alla quale guardo molto per storia e per legame con il passato. Letizia frequentava e frequenta i nostri opening. Lo scorso settembre, durante l’inaugurazione della mostra di Clemens Behr, abbiamo chiacchierato e mi ha invitato a tenere una open class ai suoi studenti. Da questo primo momento è nata poi l’idea di visionare dei lavori, da qui l’idea del degree show e sei mesi dopo è arrivata la mostra. L.C.: L’idea di Ex-Voto non è nata da sola. È la tappa di un percorso di lavoro che ho portato avanti da diversi anni a Brera. Insegno anatomia, dunque, mi occupo di corpi. Ad un certo punto ho deciso di occuparmi dei loro corpi, del mio e di quello dell’opera. Ho iniziato a studiare il corpo dei santi ed è diventato il titolo del mio corso monografico, declinato ogni anno in direzioni specifiche. I santi sono stati grandissimi performers. La diffidenza nei confronti della cristianità ci ha impedito di vedere quanto abbiano influito i loro gesti di coraggio sul nostro sistema affettivo, cognitivo ed espressivo. Se l’arte è dare forma al mondo, non possiamo esimerci dal metterci di fronte alle parole dei santi sul corpo e sull’umano nel mondo. I tempi sono maturi perché non ci siano più i preconcetti che ci hanno spesso impedito di misurare il nostro corpo sul loro, al di

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Ex – Voto, Isabella Camodeca, veduta dell’installazione, © Loom Gallery & the artist


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lo mettiamo nelle mani delle Pr siamo nei guai! Trovo spesso più innovazione nella moda ma, anche qui, in quella vera… L.M.: Le accademie sono cambiate molto… Brera ha una tradizione forte e insegna ancora le materie plastiche integrando con corsi nuovi, indirizzati anche ad altre professionalità e non solo ad artisti. Non penso che ci sia una mancanza, credo che il mondo dell’arte sia molto circoscritto e fare del mercato è abbastanza difficile. L’offerta è altissima rispetto alla richiesta. Non è detto che tutti i laureati dell’accademia vadano a fare gli artisti, possono trovare un’occupazione anche in altri ambiti. Più che una mancanza è una selezione naturale. Nel mio piccolo cerco di trovare delle micro soluzioni senza andare ad addossare colpe al sistema, è una perdita di tempo che non sopporto più. là delle convinzioni di fede. Anche Pollock ha usato il suo corpo per modificare l’orientamento della pittura. Anche Pollock a un certo punto si è sacrificato. I miei ragazzi non sono miei se non nel senso del legame morale. Sono diversi perché devono essere diversi. La loro diversità è il valore. Diffidare sempre delle classi di uguali. L.M.: La selezione è stata prima di tutto fisiologica, naturale. Insieme abbiamo individuato un ventaglio di artisti e sotto le direttive specifiche di Letizia (trattandosi della sua classe) abbiamo individuato quegli studenti che avrebbero potuto più di altri rappresentare questa idea di percorso. Direi che è stata una selezione integrata tra me e lei. Letizia, dagli incontri con i tuoi studenti è emersa una profonda stima nei tuoi confronti e in diversi hanno trovato in te un riferimento importante, soprattutto in quanto docente-artista. Come fai convivere la tua ricerca artistica con il ruolo di docente? L.C.: È una vocazione. Ma lo devo a loro e alla vita. Questo è quello che cerco di trasmettere ai miei studenti. La cosa più importante è la diffidenza nei confronti delle classi che ripetono sintassi e linguaggio dei maestri. Piccole copie di forti esempi sono un lascito ben triste per il nostro tempo. Leonardo si emancipò da Verrocchio dipingendo una mosca su un angelo che il maestro gli aveva lasciato come esercizio tecnico. Sapeva bene che era arrivato il momento di andare. Il frutto sa quando deve staccarsi dalla pianta. Siamo saturi di piante false e di frutti pompati in serra che vanno ad avvelenare il mondo. Qualcuno ce la fa perché ha stoffa, anima e cuore. Adolfo Wildt fu maestro di Fontana e Melotti senza imporre loro le parole da dire, ma esigendo che modellassero

un uovo in marmo per essere ammessi al suo corso. I tempi hanno aggiunto le bibliografie e lo studio strutturato ma, perdonate la mancanza di novità, il metodo è questo e questo solo. L’arte, il pensiero, sono processi creativi e appartengono al regno della natura. È necessario nutrirsi ma il processo non è mutato. Pensando al bel binomio galleria-accademia proposto da “Ex-voto”: si tratta di un episodio sporadico oppure è un legame che continuerete a coltivare? L.M.: Non sporadico perché la ricerca di nuovi talenti è una costante per Loom Gallery. Un degree show come appuntamento ciclico? Volentieri! Vedremo se questo sarà possibile in futuro. Da parte mia sì, mi piacerebbe espanderlo a una serie di altre classi. Questo è stato un test. Vedremo se sarà possibile riproporre l’idea magari migliorandola. Mi piacerebbe che Loom Gallery fosse un riferimento su quello che può essere un panorama locale, perché l’Accademia di Brera fa parte di questo quartiere e della cultura della città di Milano. Manca, secondo voi, questo collegamento tra mondo accademico e sistema dell’arte? Quali sono le principali lacune del sistema dell’arte italiano? L.C.: La mancanza di originalità. Tanta moda, tanta ignoranza. Quest’anno a Basilea il piano delle gallerie storiche era più forte di quello delle gallerie che propongono il contemporaneo. Se Burri con le sue combustioni è esposto al piano di sotto e io presento giovani artisti “che bruciano” come scopritori di nuovi linguaggi, o sono ignorante, o sono in mala fede oppure non ho talento. Ci si augura che questo non porti all’auto digestione del sistema dell’arte. Se

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Loom Gallery Via Marsala 7, Milano Progetto in corso: Francesco De Prezzo. Null Paintings 22 settembre – 30 ottobre 2016 Inaugurazione giovedì 22 settembre ore 19.00 – 21.00 Orari: martedì/sabato 15.00 – 19.00 oppure su appuntamento +39 02 8706 4323 Info: ask@loomgallery.com www.loomgallery.com

Simone Natalizio, The control room, 2015, site specific installation at Studio Piero Manzoni


e Breil Loc. Cret d on till 11024 Châ osta) (Valle d’A 563252 6 6 T +39 01 a.vda.it tellogamb s a .c w w w

Massimo Sacchetti Latitudine 46,7 Longitudine 7,6 2016 ∙ 10 8 31 06 ∙ 0

E’ la natura la protagonista dell’esposizione temporanea Latitudine 45.7 / Longitudine 7.6 presente in questi mesi al Castello Gamba. Si tratta quasi di un omaggio che l’artista, Massimo Sacchetti, fa alla Valle d’Aosta, attraverso i suoi paesaggi, colti nel mutare delle stagioni, che spingono l’osservatore a riflettere sulla bellezza dei luoghi del cuore e della memoria, spesso solamente evocati da tratti, linee e simboli, sospesi tra astrattismo e simbolismo.

I ORAR

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UN PROGETTO OPEN AIR, TRA POSTER ART E PERFORMANCE ROCCAVIGNALE (SV) | SEDI VARIE Intervista a ELEONORA CHIESA di Livia Savorelli

Roccavignale, un paesino di 745 abitanti nell’entroterra savonese, ha ospitato quest’estate un evento di poster-art davvero interessante capitanato da un’artista performer Eleonora Chiesa, che i natali li ha anch’essa in terra ligure. Ripercorriamo la nascita di L’Aperto – questo il nome del progetto – con la sua creatrice… L’Aperto, ispirato all’omonimo libro di Giorgio Agamben, riflette “sul concetto di spazio aperto, inteso non solo come spazio misurabile ma anche come dimensione di apertura o spazio in cui accadono le diverse possibilità”… Arte pubblica e arte relazionale, un seme che può attecchire ovunque? Credo di sì, in fondo ogni esperienza umana cognitiva/esplorativa si basa sulla Relazione con l’altro da sé, con ciò che sta “al di fuori di noi”. Arte pubblica e arte relazionale non sono certo la stessa cosa ma, allo stesso tempo, sono due ambiti d’azione paralleli con diverse possibilità in comune, infatti

l’arte a contatto con lo spazio pubblico modifica la percezione degli spazi e del paesaggio cambiandone la visione quotidiana che i passanti hanno dello stesso, se poi a maggior ragione l’arte pubblica decide di sfruttare le possibilità d’interazione che le pratiche dell’arte relazionale offrono allora si possono aprire interessanti “spazi di manovra”, spazi in cui si verifica l’esperienza o come le chiama Roberto Marchesini: delle “aperture di sistema”. Per questo ho scelto L’Aperto come titolo del progetto, per riferirmi a quel “TRA” di cui parla Giorgio Agamben quando indaga il rapporto tra umanità e natura, tra umanità e animalità, quello spazio che intercorre tra diversi mondi, tra mondi “altri”, quell’apertura che c’è tra noi e chi consideriamo L’Altro. L’Aperto è stata una piccola sfida, un voler mettersi alla prova invitando e coinvolgendo il lavoro degli altri artisti che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento, chiedendo agli artisti invitati di mandarmi un’immagine che fosse destinata all’iper-

manenza, un’immagine, un documento, una visione che raccontasse una storia in parte aperta, ancora da scrivere o da raccontare. I feedback che ho ricevuto sono stati incredibilmente complementari tra loro, sia dal punto di vista formale sia relativamente ai contenuti. Come hai operato, da artista, la scelta degli artisti da coinvolgere? Chi tra loro ha presentato opere site-specific? Gli artisti che ho invitato a L’Aperto sono tutti colleghi (italiani e non) ma anche amici o persone che ho incontrato nel mio percorso, artisti con cui ho dei contatti continuativi e con cui sento di condividere un certo tipo di sensibilità o una parte di intenti. Alcuni di loro hanno proposto lavori già prodotti che hanno ritenuto in sintonia con il tema indicato nella lettera d’invito mentre altri hanno realizzato lavori nuovi appositamente pensati per il progetto: tra questi ci sono il duo italo-svizzero composto da Fabian von Unwerth e Giselle Bigatello, Opiemme, Chiara Marini, Massimo Palazzi, Simona Barbera, Ronny Faber Dahl, Guia del Favero. L’artista lituana Viktorija Gedraityte ha deciso invece di produrre un lavoro site-specific attraverso una serie fotografica realizzata nella vecchia chiesa sconsacrata del paese in cui io ho accettato di prestare “la mia presenza” di performer come soggetto. Hai voluto portare in questi luoghi un linguaggio a te molto caro, quello della performance… Sì, ho chiesto a 2 degli artisti invitati un’azione performativa che si potesse svolgere nel castello il giorno della presentazione del progetto al pubblico e agli abitanti del luogo, così da poter creare un maggior coinvolgimento e una maggiore attenzione/ curiosità rispetto all’evento. Durante i miei diversi sopra-luoghi nel paese, parlando con gli abitanti ho capito che il castello, oltre all’antico dolmen, è un po’ il simbolo storico del paese, questa scelta probabilmen-

Veduta di L’Aperto, Roccavignale (SV). Foto: Vicktorija Gedraityte

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te ha contribuito a determinare una buona partecipazione dei cittadini (molti dei quali neofiti rispetto all’arte contemporanea) all’inaugurazione. La prima performance è stata realizzata da Opiemme attraverso la realizzazione “live” di un pannello di metri 3×2, fatto di colature di colore mentre il live elettronico di Yel Bosco accompagnava armonicamente i suoi gesti; mentre il duo Von Unwerth e Bigatello (sempre con la collaborazione-interpretazione musicale di Yel Bosco) ha proposto un’azione multimediale corale composta di proiezioni, live audio e un intervento fisico tra il cortile e la torre del castello. Le varie installazioni dei manifesti nelle bacheche comunali del centro storico o negli spazi riservati alle affissioni lungo la strada, destinati all’usura e alla consunzione da parte del caso e degli agenti atmosferici, contribuiscono a creare un’immagine effimera del paesaggio urbano temporaneamente modificato, proprio come l’accadere temporaneo di un’azione performativa (in quanto linguaggio fondato di per sé sull’idea di non conservazione dell’arte) di cui resta solo una documentazione che per quanto curata possa essere non riesce a sostituire la presenza dell’azione avvenuta.

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questo modello di evento di arte pubblica, che prende in prestito uno degli strumenti della street art, sia in effetti facilmente esportabile o meno perché un progetto del genere dipende molto dal contesto in cui viene ospitato. La partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini sono fondamentali, mettere dei manifesti in una grande città o ad esempio in una metropolitana potrebbe essere interessante ma sarebbe difficile ottenere un alto coinvolgimento degli abitanti senza realizzare prima un lavoro di reciproca conoscenza (determinato dalle possibilità della relazione diretta) con il territorio, i quartieri e suoi cittadini, senza fare ciò il rischio sarebbe quello di “invadere” lo sfondo degli spazi pubblici fruiti con le stesse dinamiche dei manifesti commerciali pubblicitari.

L’Aperto – Roccavignale Open Air Progetto a cura di Eleonora Chiesa Testo a cura di Margherita Merega Artisti: Paolo Angelosanto, Simona Barbera, Eleonora Chiesa, Guia Del Favero, Ronny Faber Dahl, Isabelle Fordin, Vicktorija Gedraityte, Franca Giovanrosa, Monika Gricko, Chiara Marini, Massimo Palazzi, Moita Soto, Opiemme, Fabian Von Unwerth & Giselle Bigatello, Renzo Gandolfo Roccavignale (SV), Spazi delle Pubbliche affissioni, castello, sedi varie

L’Aperto lascia comunque un segno permanente del suo passaggio. Penso all’intervento murale di OPIEMME sulla facciata della scuola… In qualche modo questo è vero, anche se non del tutto. Il muro realizzato da Opiemme sulla facciata della scuola è un intervento nato grazie alle relazioni professionali e personali sviluppatesi di conseguenza al progetto ma non vi è direttamente incluso, si potrebbe piuttosto definire un progettoopera “a latere” di L’Aperto; inoltre la street art ha natura di arte pubblica anti-monumentale nonostante tratti e colore sui muri siano maggiormente permanenti rispetto ai manifesti, in futuro potrebbero sempre essere coperti da una ristrutturazione e comunque non sopravvivere al tempo quanto la struttura che li ospita. Credi che le finalità con cui hai ideato il progetto siano state raggiunte? Trattandosi di arte relazionale, che feedback hai ottenuto dagli abitanti del paese? Credi che una tipologia di progetto come questo possa essere facilmente “esportata” anche in realtà totalmente diverse da questa? Non so, l’idea di L’Aperto è nata solo dopo aver visitato il paesino di Roccavignale, vedendo la sua curiosa divisione in 4 frazioni, le sue strade, i suoi luoghi; è difficile dire se

Dall’alto: performance di OPIEMME, nell’ambito di L’Aperto, Roccavignale (SV); performance del duo Fabian Von Unwerth & Giselle Bigatello, nell’ambito di L’Aperto, Roccavignale (SV). Foto: Vicktorija Gedraityte

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UN TERZO GIARDINO PER FIRENZE: INTERVISTA CON STUDIO++ FIRENZE | RIVA DELL’ARNO – LE MURATE | DALL’8 GIUGNO 2016 Intervista a STUDIO++ di Simone Rebora

Collocandosi idealmente nella tradizione tutta italiana degli “studi” per l’arte, Studio++ si è affermato negli ultimi anni come uno dei collettivi più attenti alle questioni calde della contemporaneità. Partendo dall’architettura e dalle nuove tecnologie, il gruppo fiorentino (composto da Fabio Ciaravella, Umberto Daina e Vincenzo Fiore) ha sviluppato una ricerca sempre più attenta alle tematiche sociali e ambientali, tramite un approccio peculiarmente processuale. Li abbiamo intervistati in occasione del rinnovo di un progetto (Terzo giardino) che riassume con efficacia questa vocazione. Lo scorso 8 giugno, nell’ambito del Proget-

to RIVA a cura di Valentina Gensini, è stata inaugurata a Firenze la vostra opera Terzo Giardino. Uno spazio di 10.000 mq sulla riva sinistra dell’Arno, concepito come “un parco pubblico stagionale” aperto alla fruizione di tutti. Ci potreste raccontare quali obiettivi e quali ideali hanno dato vita al progetto? Il nostro è un intervento che riqualifica una grande area sulla riva del fiume con un gesto simbolico: questo è l’obiettivo più immediato. Terzo Giardino ha due riferimenti fondamentali: uno teorico che richiama il Terzo Paesaggio di Clément e la sua relazione tra vegetazione spontanea e metafora politica; un altro formale ai Giardini dei Semplici ed al

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giardino all’italiana. Poiché viene realizzato per sottrazione, ovvero tracciando dei percorsi nella vegetazione abbandonata della riva d’Arno, di fatto mette in evidenza la bellezza di quello che riteniamo nel senso comune “terzo” appunto, di minore valore. La diversità biologica che caratterizza la vegetazione spontanea viene valorizzata da un impianto architettonico che permette ai cittadini di osservarla. Questo rapporto diventa più forte a Firenze: la città della bellezza misurata. Di fatto è sì uno spazio pubblico della città, ma anche un luogo per riflettere attraverso il paesaggio su temi sociali e politici: rimane anche per questo un’opera d’arte.


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In queste pagine: Terzo giardino - Riva dell’Arno, Firenze, Intervento nello spazio pubblico, 2016

Ma quello dell’8 giugno non è stato un vero e proprio vernissage, perché Terzo Giardino era già comparso per due volte sulla riva dell’Arno. In entrambi i casi, però, la vostra opera era andata incontro a una prematura “cancellazione”. In quali circostanze si è ripetuto l’inconveniente, e come lo avete interpretato? Nelle due edizioni precedenti il giardino è stato raso al suolo per errori diversi: una prima volta per un allarme incendio inesistente, una seconda volta invece è stato falciato per un problema di comunicazione con chi gestisce la manutenzione ordinaria dell’area. Questi fatti ci hanno però portato a riflettere su alcuni problemi dell’arte nello spazio pubblico, come per esempio quelli del rapporto con le amministrazioni che hanno la competenza e responsabilità dei luoghi su cui poi le opere insistono. Abbiamo capito, ad esempio, che il nostro errore era stato di dialogare con una sola delle istituzioni che si occupano del fiume. Quest’anno quindi abbiamo creato una collaborazione più ampia con Regione, Comune, Autorità di Bacino ed altre realtà interessate al fiume e alle sue sponde per creare un riconoscimento graduale e una concreta fattibilità del lavoro anche in prospettiva futura. Su questo teniamo a dire che abbiamo incontrato grande disponibilità da parte di tutti e voglia di darci una mano, ma le leggi e la struttura amministrativa sono ancora un po’ pesanti e poco adatte a certi interventi. Crediamo ad ogni modo che in questo processo l’artista

debba entrare con tutte le scarpe, per assumersi delle responsabilità concrete, superare i confini settoriali e lasciare al territorio il proprio lavoro, non solo nei termini concreti dell’opera d’arte, ma anche nella costruzione di una cultura dell’arte per lo spazio pubblico, dimostrando che l’arte contemporanea interessa e migliora le vite quotidiane e che in qualche modo è un servizio culturale e politico verso la società. Come si evolverà il progetto nei prossimi mesi? All’intervento sulla riva dell’Arno, quest’anno abbiamo aggiunto due parti che hanno luogo alle Murate a Firenze, dove siamo in residenza: un archivio aperto al pubblico che raccoglie riferimenti teorici, disegni, esperienze passate ed altre informazioni sul fiume visto attraverso il filtro del nostro lavoro; ed un ciclo di incontri con esperti che stanno affrontando nella loro ricerca temi che vorremmo approfondire per la nostra. Tanto l’archivio quanto gli incontri sono uno strumento di studio e un’ulteriore apertura della nostra ricerca alla città. Abbiamo invitato biologi che condurranno workshop, abbiamo creato dei momenti di incontro interdisciplinare tra sociologi, studiosi d’arte e ancora biologi, politici e docenti universitari. L’idea è di affrontare il problema sotto molti punti di vista, almeno quelli che finora siamo riusciti a vedere. Anche queste attività, come il Terzo Giardino, fanno parte di RIVA, il progetto focalizzato

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sulla riqualificazione e rivalorizzazione delle rive dell’Arno diretto da Valentina Gensini, grazie al quale tutto è iniziato. L’immagine del giardino e il processo per sottrazione riportano direttamente a un altro vostro progetto, Il giardino cancellato, presentato lo scorso anno nell’ambito dell’Estate Fiorentina. Che cosa vi porta a interessarvi a queste modalità d’intervento e in quali forme le avete finora declinate? Siamo interessati al dinamismo infinitesimo delle cose, anche di quelle che sembrano più inerti, e il contributo delle nostre esistenze in questo movimento inevitabile. Il Giardino Cancellato è stato un intervento temporaneo all’interno di un grande vuoto urbano che noi abbiamo svuotato ancora un po’ di più con la tecnica dell’idropulitura. Era una sorta di spazio teorico, di segno che mostra il tempo; un segno che nella sua graduale scomparsa mostrava la stratificazione continua della vita negli spazi pubblici di cui anche i nostri gesti più distratti fanno parte. Avevamo già lavorato sulla cancellazione, a partire dal 2012 quando su un muro, usando una gomma, abbiamo cancellato una data. Da quel momento l’accumulazione diventava di nuovo evidente fino a quando avrebbe raggiunto un climax con il resto della parete. Quell’accumulazione era una traccia, ineffabile ma provata, della vita che trascorreva in quelle case, in quegli spazi. Era paradossalmente una dimostrazione di vitalità. Lo stesso accade con il Giardino Cancellato


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Per chiudere come di consueto sui nuovi progetti, mi limito a chiedervi qualche anticipazione in rapporto ad alcune tematichechiave. In primo luogo, l’evoluzione tecnologica. Una a cui teniamo molto è l’evoluzione del progetto web Navigare, su cui stiamo lavorando per capire come un’installazione web possa assumere una matericità che la renda unica e tangibile. Un’altra direzione di ricerca che stiamo affrontando riguarda le cellule fotovoltaiche come materiale della contemporaneità in relazione ai simboli sacri. Come nel passato l’argento o l’oro sono stati materiali per i simboli sacri, così crediamo che oggi sia interessante usare le cellule fotovoltaiche come significante da articolare partendo dal suo rapporto con l’energia. Ne stiamo parlando con un museo e speriamo presto di iniziare la ricerca con un’applicazione concreta.

che riattiva l’accumulazione di uno spazio della città, lo rende evidente usando un archetipo formale e strumentali della vitalità: la relazione tra acqua e giardino arabo.

possedibili e vendibili. Uno dei grandi temi è se il percorso dell’opera, la ricerca dietro ogni lavoro, sia parte dell’opera stessa e quindi esponibile, o solo una documentazione.

A fronte di questo percorso di ricerca, un problema con cui vi confrontate necessariamente è quello della “presentabilità” delle opere. Intendo: quanto queste risultino appetibili per i collezionisti, o facilmente gestibili per musei e gallerie. Come vi confrontate con questa problematica? Ci sono stati dei momenti in cui ha veramente pesato sul vostro modo di lavorare? Certo, è una questione aperta nella nostra ricerca. La prima risposta a questa domanda è: sì, ha pesato sul nostro lavoro, ma è anche ovvio che per chi come noi non possiede una sola tecnica, ma un meta-strumento come il progetto, questo problema è quasi naturale. Di fatto da un po’ di tempo stiamo discutendo su come, tanto gli interventi nello spazio pubblico, quanto le opere web ad esempio, possano concretizzarsi in opere toccabili,

Studio++ nasce precisamente dieci anni fa a Firenze. Al di là di bilanci e consuntivi, quanto potete dire che sia cambiato (se è cambiato) il vostro approccio al “fare arte”? Vi sono aspetti (sul piano teorico, metodologico, o puramente processuale) nei quali avete meglio percepito un’evoluzione in corso? Certo difficile fare autoanalisi e soprattutto evitare luoghi comuni. Se qualcosa è veramente cambiato è il tipo di lavoro di gruppo che con il tempo si è fatto meno “radicale”. Paradossalmente oggi sperimentiamo più che agli inizi, accettiamo di parlare con critici e curatori di ricerche in corso, vediamo un percorso di maturazione dell’opera nel tempo ed i passaggi formali e di contenuto come necessari.

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In secondo luogo (ma affatto secondario) viene il rapporto con il pubblico, in parallelo al vostro costante impegno nelle questioni socio-politiche dell’attualità. Proprio in questa esperienza sulle cellule fotovoltaiche speriamo di coinvolgere anche la comunità di persone interessate dal lavoro. Sempre in relazione alle condizioni, crediamo che il rapporto con il pubblico debba essere onesto, e per fare questo l’artista debba accettare dei rischi, anche dei fallimenti. Tuttavia dall’altra parte è assoluta demagogia per certi linguaggi delle arti visive, lasciare completamente il lavoro alla decisione collettiva. Ad un certo punto l’artista deve ritirarsi e trarre le proprie conclusioni. In questo momento scatta la responsabilità ed il rischio dell’opera: è davvero una condizione difficile da accettare, che però bisogna avere presente prima di iniziare dei percorsi poetici. Studio++. Terzo Giardino a cura di Valentina Gensini Dall’8 giugno 2016 Riva dell’Arno Lungarno Serristori, Firenze Ingresso libero Le Murate. Progetti Arte Contemporanea Piazza delle Murate, Firenze Aperto dal martedì al sabato 14.00-20.00, Info: 055 2476873 info.pac@muse.comune.fi.it www.studioplusplus.com

Il giardino cancellato - Architettura elisa per Largo Annigoni, Firenze, Intervento d’arte nello spazio pubblico (reverse graffiti), 2015


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ARTE

RICCARDO MANNELLI: LE SPLENDIDE OSSESSIONI DEL MAGGIORDOMO DI BACON SAN GIMIGNANO (SI) | GALLERIA GAGLIARDI | 10 SETTEMBRE – 2 OTTOBRE 2016 Intervista a RICCARDO MANNELLI di Viviana Siviero

Per festeggiare le nozze d’argento di Galleria Gagliardi, a San Gimignano, con il sistema dell’arte il suo direttivo ha scelto una figura d’eccezione: fino al 2 ottobre gli spazi della galleria ospiteranno Bellezza vera – una mostra a cura di Alessandra Frosini – incarnandola in una quindicina di tecniche miste su carta-cotone intelaiata e una decine di disegni di Riccardo Mannelli (Pistoia, 1955), uno dei più interessanti artisti del panorama nazionale, noto soprattutto come autore satirico. In questo campo la sua carriera l’ha portato agli onori delle cronache: ha vissuto per tre mesi in Nicaragua tra l”82 e l’83, poi è stato sotto le bombe nella guerra jugosla-

va pubblicando diversi libri divenuti vere e proprie pietre miliari. A livello editoriale ha collaborato con Il Male, della cui cooperativa è stato tra i fondatori, ma anche con Cuore, Boxer fino a riviste a fumetti e non, come Linus, Playmen, L’Europeo, La Stampa, Il Messaggero, Lotta continua, Il Manifesto, e per l’estero L’Heco des Savanes (Francia), Humor, pagina 12 (Argentina). Attualmente collabora con La Repubblica e Il Fatto Quotidiano (recentissime le polemiche riguardanti una vignetta sul ministro Boschi)…

Riccardo Mannelli, live painting, veduta della mostra. Courtesy: Galleria Gagliardi, San Gimignano

Ti interessa tutto quello che è umano; questa è la tua splendida ossessione. Sei

Nella pagina a fianco: Riccardo Mannelli, Le plus profond, 2016, disegno su carta, cm 46x32

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curioso di vite, di vissuti. Chi sei? Potresti definirti per noi? Sono curioso di vissuto perché, in una scala etica, lo considero il primo diritto-dovere di ogni essere umano: la curiosità, allargando il proprio orizzonte empatico, annulla i conflitti. Se sei curioso della vita altrui non gli bombardi casa, non gli annienti la famiglia, non lo riduci in povertà, non l’ammazzi. La curiosità è la medicina contro la guerra. Chi sono me lo sono chiesto i primi tre giorni di vita, poi fortunatamente ho avuto un sacco di cose da fare e non me lo sono chiesto più. In un mondo che si sta ingessando sempre più in questa vacua pomposità mi piace non prendermi sul serio e una delle ultime definizioni che mi sono dato recitava più o meno così: “artisticamente sono il maggiordomo di Bacon, abitiamo gli stessi spazi anatomici, lui fa un gran casino e io rimetto tutto a posto”. Hai affermato che la tua arte è ciò che ti interessa davvero: dipingere e disegnare; la satira è solo quella cosa (vocazione) che hai trovato sulla tua strada e che hai utilizzato. Su cosa si basa la tua pratica artistica e cosa vuole affermare? Cosa è cambiato nella tua volontà espressiva con il passare del tempo e il modificarsi degli avvenimenti intorno a te (e non mi riferisco alla

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carriera satirica)? A me interessa davvero vivere: prima vivere. Di conseguenza avendo metabolizzato una capacità di sintesi mi interessa anche raccontare la vita. Ma essendo la mia una sintesi “animale”, perché scaturisce dal disegno, non ha un supporto razionale. Per intendersi, io non ho cercato la satira, è stata lei a trovare me e anche piuttosto accidentalmente. Io sono sempre partito dalla necessità di disegnare quello che incontravo sulla mia strada e negli anni settanta (quelli della mia formazione) la tensione, il dibattito-sbattito e il confronto-scontro politici te li ritrovavi in ogni cosa; aggiungi a questo la mia necessità primaria di guadagnarmi da vivere e, oltre alla capacità di ritrarre naturalisticamente, una spiccata e divertita vena sarcastica e grottesca… e il gioco è cominciato. In maniera molto naturale ho sempre continuato a dipingere in anni in cui se usavi pennelli e matite per fare arte venivi arrostito sul rogo. In più critica e stampa mi segnalavano continuamente che la figurazione era morta e sepolta ed ero l’unico coglione che non se n’era accorto… Ma andavo avanti: la mia pratica artistica si basa sulla mia pratica artistica. Non ho niente da affermare se non la capacità di farti comparire davanti agli occhi qualcosa che prima non esisteva. Se questa cosa ti provoca una qualsiasi emozione, un

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moto dell’anima in positivo o in negativo, io sono a posto. Sennò ci riprovo. (… ma questa domanda quante domande sono..?!?) Oggi dedico molto più tempo alla mia ricerca pittorica, mantengo una certa presenza nell’illustrazione mediatica perché è un mestiere che ancora mi affascina, ma ho definitivamente abbandonato l’espressione satirica: la satira non si fa per mestiere, è una cosa che ti annoda le budella, che ti coinvolge esistenzialmente e che ha un suo tempo e un suo ritmo definiti. Non si può allungare il brodo della radicalità. Le vignette sulla prima pagina del Fatto le considero sberleffi irridenti al potere, a volte pernacchie sonore, ma sempre all’interno di un gioco giornalistico. Ho sempre sostenuto che definire satira la vignetta di prima pagina di un quotidiano è una specie di ossimoro, una contraddizione in termini. La satira è una forma d’arte e come qualsiasi forma d’arte antitetica al giornalismo. Non vedo perché adesso che faccio le vignette dovrei cambiare idea a riguardo. Hai lavorato a lungo su La Ricostruzione della Bellezza; ora la tua ultima mostra ha come titolo Bellezza vera; hai parlato spesso della tua idea di bello in relazione al gusto, ridefinendo la concezione di


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“brutto”, dichiarando un concetto di assenza di erotismo molto interessante in relazione all’apparenza delle tue opere e di equilibrio precario delle anatomie, paragonate all’umano. Vorresti brevemente parlarci dei significati che nascondono (nemmeno troppo) i tuoi corpi così iperreali? Credo che il concetto di “brutto” sia nato con le religioni e le ideologie, cioè con la volontà presuntuosa degli uomini di definire e rimodellare la naturalezza dell’esistente e di conseguenza farne scaturire giudizi per accettare o rifiutare quello che la natura ci proponeva: per me quindi il brutto in natura non esiste e considero bello tutto quello che vive e che poi muore, perché la bellezza è anche una combinazione spazio temporale. Anche l’erotismo è un termine che per me significa poco o nulla; cioè quantomeno è pleonastico. Noi SIAMO eros, come tutti i mammiferi e le altre specie viventi siamo mossi da una unica funzione primaria che è quella sessuale per la riproduzione. Il mondo è erotico, sennò non esisterebbe… definire un comportamento o una immagine “erotismo” e un’altra no è , prima che da ipocriti, da imbecilli. Quindi se tutto è erotico, niente è erotico.: è semplicemente normale. Il significato dei corpi che rappresento è che cercano di non nascondere nulla. (Per anni ho adottato come “sigla” lo strepitoso pezzo dei Beatles “Everybody’s got something to hide except me and my monkey”, tutti hanno qualcosa da nascondere eccetto me e la mia scimmia…). Hai affermato che la libertà assoluta che ti sei preso l’hai dovuta pagare, quindi l’a-

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vevi messa in conto. Lo rifaresti? E adesso quale libertà ti prendi? Dicendo questo ho semplicemente voluto ribadire quello che dovrebbe essere scontato per ogni essere umano: la libertà o la conquisti in prima persona o non ce l’hai. Punto. La libertà non è un valore acquisito e dovuto alla nascita, concerne invece il libero arbitrio, cioè la volontà, il talento e il rispetto per ottenerla. Il prezzo che ho pagato, quindi, non lo considero affatto un eroismo personale ma una banalità. Certo che lo rifarei, è giocoforza, soprattutto perché la libertà non è che te la prendi, la libertà te la guadagni chiedendola, argomentando e partecipando. «Il graphic giournalism che adesso va di moda me lo sono inventato io, ma qui nessuno mi prendeva sul serio e mi facevo i libri da solo». Dato che ciò che ti interessa è l’aspetto ludico dell’arte più di quello formale, cosa trovi interessante nel panorama artistico contemporaneo? E in quello grafico? E satirico? Da poco alcune pagine di satira straniera sono balzate ancor più all’onore delle cronache in maniera piuttosto prepotente… L’arte è ludica per definizione, sennò non è. Mi piace tutto quello che sta in bilico, che sta in piedi per magia. Mi piace quando sento l’odore dello sciamano dietro, perché una proposta artistica è anche una cura, mi piacciono le contaminazioni dell’apprendista stregone che combina un gran casino. Qualche tempo fa insieme all’amico Luca Arnaudo, curatore e grande passionale, fondammo L’Accademia Degli Sbilenchi. Non mi piace la certezza che è appannag-

gio dei poveracci, che sono tanti, tantissimi. Mi piace soprattutto che ci sia tutto quello che non mi piace, che è tanto, tantissimo. Ho letto decine di interviste, ti hanno chiesto di tutto non sei stufo? No, solo quando dico una cosa e ne vedo riportata un’altra. Ma in fondo va bene anche così, tanto le cose che dico non le ritengo così importanti. Riccardo Mannelli. Bellezza vera a cura di Alessandra Frosini 10 settembre – 2 ottobre 2016 Galleria Gagliardi Via San Giovanni 57, San Gimignano (SI) Info:+39 0577 94219621 www.galleriagagliardi.com

Riccardo Mannelli, Hasta Manana Mio Amor, 2012, tecnica mista su carta, cm 70x100

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Palazzo Reale presenta: LA TERRAZZA DEL CONTEMPORANEO (2° EDIZIONE)

ORIZZONTE REAL[E]VISUALE REALVISUALISMO LIGURE

opere e installazioni di:

riccardo accarini luca ferrando lorenza rossi lasab roberto scarpone fabio taramasco

Genova, 15-23 ottobre 2016 Terrazza di Palazzo Reale/Via Balbi 10

info, orari e bigliettazione: www.palazzorealegenova.beniculturali.it info, orari e bigliettazione: www.palazzorealegenova.beniculturali.it


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ARTE

DIALOGHI DI FILO… NE PARLIAMO CON LIVIA CRISPOLTI MILANO | PALAZZO MORANDO – COSTUME MODA IMMAGINE | 24 GIUGNO – 27 NOVEMBRE 2016 Intervista a LIVIA CRISPOLTI di Eleonora Roaro

Le sale museali di Palazzo Morando | Costume Moda Immagine ospitano la mostra Dialoghi di filo, nella quale i lavori tessili realizzati dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera dialogano con gli abiti in ricostruzione storica di Maria Antonietta Tovini e con le opere dell’artista Elisabetta Catamo*. Il percorso espositivo mette così in luce lo stretto rapporto tra l’alta formazione, la realtà produttiva italiana e la creazione artistica, come ci racconta più nel dettaglio la curatrice Livia Crispolti in un’intervista. Perché il titolo Dialoghi di filo? Il titolo della mostra Dialoghi di filo nasce

dalla volontà di metter in relazione diversi ambiti operativi della cultura tessile con il contesto museale di Palazzo Morando. Credo nel dialogo e nella contaminazione, in questo caso tra il settore dell’alta formazione artistica, la realtà produttiva italiana e il mondo della creazione artistica. La mostra ospita anche i lavori tessili degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Come sono stati coinvolti? L’intera esposizione ripercorre il lavoro svolto durante il corso accademico di Cultura tessile. Tutto parte dal lavoro di tessitura a telaio fatto con gli studenti in stretta rela-

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Maria Antonietta Tovini – Dreamlux. Foto: Matteo Girola


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BLU NOTTE, tessuti Dedar, madreperla, legno, 2016, cm 100x60x4 In basso: Corso di Cultura Tessile, Accademia di Brera, Milano

zione con le tre aziende partner Alcantara, Dedar e Dreamlux. Il percorso espositivo è stato arricchito anche dal lavoro di giovani costumisti la cui formazione è avvenuta proprio in accademia: Gisella Cappelli, Giulia Mio, Luca Morando, Jiwoo Park e Edoardo Russo. Che cosa è importante nell’ambito della formazione nella moda oggi in Italia? Oggi come in passato è fondamentale avere delle buone conoscenze tecniche. Il saper fare è strettamente legato al sapere teorico, è dall’unione di queste due competenze che nasce la qualità del lavoro e la possibilità di creare liberamente in maniera consapevole. Perché si è scelto di esporre, oltre al lavoro degli studenti, anche le ricostruzioni storiche realizzate da Maria Antonietta Tovini e le opere dell’artista Elisabetta Catamo? La scelta è nata dalla volontà di stabilire relazioni operative capaci di esemplificare differenti declinazioni d’uso del tessuto e delle sue possibili modalità creative. Sono nate così le sei opere realizzate dall’artista romana Catamo e i tre abiti in ricostruzione storica della Tovini.

Qual è il ruolo di Alcantara®, Dedar e Dreamlux, le tre aziende partner? Il ruolo delle aziende sostenitrici è stato un ruolo fondamentale, sia perché esse hanno sostenuto l’intero corso accademico attraverso la fornitura a titolo gratuito di materiale tessile di diversa natura, dal filato al tessuto alle fibre ottiche; sia perché hanno creduto fortemente in un progetto di collaborazione, aperto anche a ulteriori sviluppi.

Dialoghi di filo a cura di Livia Crispolti ricostruzione abiti storici Maria Antonietta Tovini allestimento Luca Ghirardosi promossa nell’ambito di EXPO IN CITTÀ da Comune di Milano | Cultura, Servizio Musei Storici e da Archivio Crispolti con il patrocinio di Accademia di Belle Arti di Brera, Milano.

*Elisabetta Catamo nasce a Roma nel 1948, dove vive e lavora. Dal 1990 al 2014 ha insegnato Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Firenze. La sua attività artistica prende avvio nella prima metà degli anni Settanta con esperienze legate alla pittura, mentre parallelamente si interessa al linguaggio fotografico. Ha presentato più di 20 mostre personali tra Italia, Giappone e Gran Bretagna, mentre i suoi lavori sono stati inclusi in più di 60 esibizioni in tutto il mondo.

24 giugno – 27 novembre 2016

L’allestimento è stato pensato da Luca Ghirardosi nelle sale storiche di Palazzo Morando, ovvero una sede tutt’altro che neutra e già destinata alla moda e al costume. In che modo i lavori esposti dialogano con lo spazio espositivo? Nel delineare il percorso espositivo si è cercato di rispettare il carattere storico del percorso museale. Il dialogo con le opere museali ha un carattere stimolante, dialettico e non invasivo. Direi che la nostra presenza ha scelto di essere una presenza silenziosa ma incisiva.

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Palazzo Morando | Costume Moda Immagine via Sant’ Andrea 6, Milano Info: +39 0288465735 – 46056 c.palazzomorando@comune.milano.it www.civicheraccoltestoriche.mi.it www.expoincitta.com


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ARTE

FRANCIS PICABIA: A ZURIGO LA STORIA DI UNO SPERIMENTATORE ZURIGO (SVIZZERA) | KUNSTHAUS ZÜRICH | 3 GIUGNO – 25 SETTEMBRE 2016 di MATTEO GALBIATI

In concomitanza con Manifesta 11, la prestigiosa sede della Kunsthaus Zürich, ospita Francis Picabia. Eine retrospektive, grande mostra dedicata al talento visionario e libero da schemi e formalismi del celebre artista francese. Non poteva, infatti, che essere Zurigo, la città in cui fu fondato cento anni fa il Movimento Dada, ad intraprendere un percorso celebrativo dedicato a questa avanguardia – con un progetto davvero forte ed ampio – che rileggesse e analizzasse scientificamente proprio l’opera di Picabia (1879-1953), uno dei suoi massimi esponenti, ma ad oggi ancora poco conosciuto e considerato. Il pubblico ha modo di attraversarne, nelle diverse sezioni presenti nel ricco allestimento, tutta l’ampia e assai diversificata esperienza artistica che ha saputo rigenerarsi e mutare fortemente nel tempo: le oltre 200 opere presenti raccontano, quindi, una ricerca instancabile e infaticabile che, dall’arguzia dei primi lavori dadaisti (fu nel movimento tra il 1915 e il 1921), passa al “ritorno all’ordine” comune a molti artisti della sua generazione, per ritrovare negli ultimi anni uno sperimentalismo infaticabile pieno di energia, tanto per soluzioni poetiche quanto per scelte tecniche e operative. Quello che emerge chiaro, anche ad un occhio non esperto nel leggere le “storie” artistiche e culturali che le opere dei maestri celano, risulta essere proprio il carattere intellettualmente nomade di Picabia, pensatore capace di spostarsi rapidamente dalla pittura all’installazione, dal teatro alla poesia, dalla scenografia alla scrittura. Questo segno tangibile appare evidente proprio attraversando le stanze allestite nel museo zurighese, dove ci circonda un eterogeneo corollario di “impressioni”, capaci di raccontare in modo esaustivo e ampio un pensiero fecondo, ricettivo e sollecito nel trovare proposte e suggestioni sempre nuove nelle cui creazioni si fissa quest’attitudine sfaccettata nell’approccio e nella riflessione.

Picabia fu tra i primi artisti a recepire, nella tempesta rivoluzionaria per le arti quale fu il XX secolo, lo spunto – in lui vera e propria convinzione radicata – che non ci fosse (o dovesse essere) distinzione tra arte elevata e minore, tra bello e kitsch, tra tradizione e innovazione radicale. Questo atteggiamento in lui si traduce in una spinta quasi eversiva nei confronti dell’arte moderna di cui

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seppe sfidare convinzioni e formalismi anche ricorrendo ad ironia e autocritica. All’interno del corposo percorso cronologico, in cui ci sono innesti e interruzioni a rispecchiare le variazioni e l’alternanza del linguaggio, abbiamo tutta la testimonianza della poetica di Picabia anche se, in taluni casi, alcune opere, a nostro avviso, perdono quella forza innovatrice che, invece, attestano quelle della fase iniziale dove risulta lampante l’energia intellettuale e il desiderio di esprimersi secondo nuovi codici. Come nei migliori costumi dei musei internazionali – noi dovremmo prendere esempio – questa mostra viene condivisa con il Museum of Modern Art di New York che la ospita dal 20 novembre prossimo al 19 marzo 2017.

con il sostegno di Festpiele Zürich, Fondazione Ernst Göhner, Fondazione Truus e Gerrit van Riemsdijk

Francis Picabia. Eine retrospektive a cura di Cathérine Hug e Anne Umland in collaborazione con il MoMA di New York

Francis Picabia, Ohne Titel (Espagnole et agneau de l‘apocalypse), um 1927-1928, Aquarell, Gouache, Tinte und Bleistift auf Papier, cm 65x50, Privatsammlung © 2016 ProLitteris, Zürich

Nella pagina a fianco: Francis Picabia, Guillaume Apollinaire, 1918, Tinte, Aquarell und Bleistift auf Papier, cm 58x45.7, Collection Natalie and Léon Seroussi © 2016 ProLitteris, Zürich

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3 giugno – 25 settembre 2016 Kunsthaus Zürich Heimplatz 1, Zurigo (Svizzera) Orari: martedì e da venerdì a domenica 10.00-18.00; mercoledì e giovedì 10.0020.00 Ingresso intero CHFr.22,00; ridotto CHFr.17,00 Info: +41 (0)44 2538484 www.kunsthaus.ch


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ART & FOOD

GERMINAZIONI E BIODIVERSITÀ: L’ANIMA DEL CIBO PER GIUSEPPE CARTA MILANO | EATALY | 7 – 28 SETTEMBRE 2016 di JACOPO FANCIULLI

Il cibo – quello made in Italy, bello a vedersi e buono da mangiare – e la sua mimesi perfetta realizzata da uno degli artisti che ha fatto dell’iperrealismo la sua cifra stilistica: questo è il protagonista nella personale di Giuseppe Carta, Germinazioni. I diari della Terra, nella sede milanese di Eataly.

Dal 7 al 28 settembre, per la prima volta, lo store del cibo italiano di alta qualità ospita nei suoi spazi una mostra d’arte figurativa che celebra i frutti della terra e del lavoro dell’uomo: limoni, uva, fichi e melograni, mele e pere, ciliegie e fragole ritratti in oltre quaranta tra oli su tela e sculture in bronzo policrome che mettono in scena lo

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stretto rapporto fra cibo e arte, nutrimenti per il corpo e per l’anima. Ideata e organizzata da Arte Contemporanea Italiana, in collaborazione con lo stesso Eataly, l’esposizione esplora, attraverso la pittura e la scultura, la biodiversità del nostro Paese, nel luogo che più di tutti, in questi ultimi anni, ha diffuso e valorizzato nel mondo i migliori prodotti che l’Italia offre. A fare da padrino all’operazione, un testimonial dell’eccellenza della cucina italiana: lo chef pluristellato Pino Cuttaia che, in occasione dell’inaugurazione della mostra, ha omaggiato simbolicamente il progetto con uno dei suoi piatti più famosi, la Nuvola di Caprese, la cui ricetta è anche presente sul catalogo edito per l’occasione. In questo mix di ingredienti ideale, a farla da padrona è l’arte di Giuseppe Carta. La sua pittura esplora da sempre l’intimità della natura, ritraendo frutti e ortaggi nei loro momenti di massimo splendore e potenziale vitale e nutritivo, ma anche nei momenti di caducità, evoluzione e marcimento. Carta non trascura nulla, consapevole della forza rigeneratrice che anche i frutti ormai deteriorati possono avere, ma soprattutto appassionato della loro bellezza in ogni sua fase. La scultura ha un ruolo altrettanto fondamentale nel corpus del suo lavoro. A testimoniarlo è l’imponente peperoncino in bronzo policromo che in occasione della mostra è collocato nello spazio antistante all’ingresso di Eataly: Capsica Red Light, questo il titolo dell’opera, con le sue grandi dimensioni (4,5 metri di altezza) e la sua immagine iconica e tradizionale, pop per la sua naturale cromia, sempre attuale e carica di simbolismi tipicamente italiani, introduce perfettamente al connubio, poi svelato all’interno, fra arte e cibo. Il rapporto di Giuseppe Carta con la natura si traduce in una vera e propria celebrazione, in una ricerca di un realismo più


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perfetto del reale o forse, proprio perché reale, imperfetto: «Nelle mie opere – afferma Carta nella sua intervista realizzata dallo chef Cuttaia – cerco di raccontare la vita nel suo lento trascorrere e in tutto vi è Bellezza, quella bellezza che però non corrisponde a Perfezione perché la realtà non è perfetta, noi non siamo perfetti, la Natura stessa non lo è. La realtà è apparentemente perfetta ma in verità è ricca di mille sfaccettature. Amo dipingere ogni piega, ogni ruga, ogni imperfezione perché il dato reale, su tutti i possibili contesti di confronto, è sempre quello che ti appaga di più». Nato in Sardegna, dove vive e crea le sue opere presso la sua Fondazione sulle colline di Banari, in provincia di Sassari, ha vissuto l’importanza dell’apporto del lavoro rurale e dei suoi frutti nel tessuto economico della sua regione. Anche per questo il suo lavoro non prescinde mai dallo stretto rapporto con la Natura: in veste di contadino, ogni mattina, osserva nei suoi terreni tutte le trasformazioni che sono avvenute durante il giorno. Da questa esperienza quotidiana nasce il titolo della mostra I diari della Terra perché, spiega l’artista, «Le mie opere sono racconti e raccolti. Coltivo e curo personalmente un piccolo orto e un grande giardino con frutteto dai quali traggo esclusivamente i miei soggetti». Con la Natura, l’artista condivide anche i tempi lenti: nell’epoca del foodporn dove il cibo è ritratto con scatti veloci, condiviso e ostentato, lui, per realizzare le sue opere, adopera l’antica tecnica della velatura, e per le sculture la fusione a cera persa, che prevede lunghe fasi di modellatura, lavorazione e patinatura. Completa la mostra un catalogo edito da E20 Progetti con un’intervista a Giuseppe Carta realizzata dallo chef Pino Cuttaia. Giuseppe Carta. Germinazioni. I diari della Terra

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ideazione e organizzazione a cura di Ar.Co.It. Arte contemporanea Italiana in collaborazione con Eataly Eataly Piazza XXV Aprile, Milano 7 – 28 settembre 2016 Orari: tutti i giorni, negli orari di apertura del negozio www.eataly.net www.giuseppecarta.net

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Giuseppe Carta, Capsica Red Light, 2016, resina e bronzo, m 4.5x1.85x0.70 Nella pagina a fianco dal’alto: Giuseppe Carta, Il peperoncino e la cipolla, 2015-2016, olio su tela, cm 17x34 Lo chef Pino Cuttaia durante lo show cooking del 6 settembre 2016, Eataly, Milano


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ARTE

CANCELLARE PER RIVELARE: TRE SEDI A MILANO CELEBRANO LA POESIA DI EMILIO ISGRÒ MILANO | PALAZZO REALE, GALLERIE D’ITALIA E CASA DEL MANZONI | 29 GIUGNO – 25 SETTEMBRE 2016 di MATTEO GALBIATI

Ancor oggi al pubblico “generalista”, magari non conoscitore delle sue opere, appare alquanto disarmante – forse curioso, irriverente e ironico, un giudizio questo che, però, nella sua ingenuità spontanea, coglie nel segno l’essenza stessa della sua intima poesia – il linguaggio di Emilio Isgrò (1937), artista dalla personalità poliedrica e complessa – è anche poeta, scrittore, drammaturgo e regista – che fin dagli Anni Sessanta ha saputo rivelare la sua anima concettuale “inventando” l’atto della cancellazione.

Cancellare, non (solo) per nascondere, ma anche per creare, per generare nuove immagini, nuove suggestioni e per riportare l’attenzione dello sguardo e della mente su nuove significazioni che superino l’ordinarietà del visibile, questo, in sintesi, costituisce l’anima della ricerca di Isgrò che, pur procedendo con un lavoro artistico di natura assai complessa, ha anche creato opere il cui spirito si offre in misura diretta. Del resto sotto il siparietto nero, la strisciata scura che si mangia tutto lasciata dal suo

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gesto di cancellatura, finiscono libri, romanzi, testi, partiture musicali, codici antichi, carte geografice… Insomma qualsiasi “materiale” appartenente al sapere universale e, per questo quindi, da tutti conosciuti. I nostri occhi incantati ammirano e ricercano gli estremi di qualcosa di noto, ma, privati dell’appiglio della parola scritta – salvo qualche parola abilmente (intenzionalmente, ovvio) sfuggita all’annullamento del maestro – sono costretti a vagare scoprendo quegli altri imput che Isgrò sa mettere in luce.


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Milano celebra il grande artista – che risiede nel capoluogo lombardo da oltre sessant’anni – con una grande mostra (imperdibile!), suddivisa nelle tre diverse sede di Palazzo Reale (con la spettacolare antologica composta da oltre 200 opere), delle Gallerie d’Italia e Casa del Manzoni (con due interventi creati per questa importante occasione), in cui si evidenziano in modo sorprendente le peculiarità uniche del suo linguaggio artistico. Tutti i grandi capolavori riuniti in questa esposizione dislocata hanno modo di far immergere – in misura davvero sorprendente – nella personale pratica pittorica di

Emilio Isgrò, L’occhio di Alessandro Manzoni, 2016, acrilico su tela montata su legno, cm 260x160, Collezione privata Nella pagina a fianco: Emilio Isgrò, Cancellazione del debito pubblico, 2011, libro e tecnica mista su tela montata su legno, cm 280x400, Università Commerciale Luigi Bocconi, Milano

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Isgrò: nelle sale espositive delle tre sedi si ha modo di verificare, senza congetture postulanti, proprio l’universo filosofico del maestro fondato su quel gesto che, alternativo al fare generale del mondo che cerca sempre la rivelazione, l’affermazione, la messa in evidenza, si fonda sull’annullamento. Il segno scuro e denso che cancella, in realtà aiuta a ribadire la vitalità e l’audacia di un atto creativo che diventa fondante nell’ambigua contraddittorietà della sua essenza, al contempo distruttiva e creativa. Parole e immagini non spariscono mai sotto le mani di Isgrò, ma si innervano di umori inespressi che infondono un altro spirito vitale al loro


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essere. Isgrò in ogni suo intervento – e in questo progetto ce ne sono di grandiosi esempi – sa essere abile regista nel dare equilibrio al triangolo artista-opera-spettaore, ricorrendo ad una teatralità che esplicita la trasmissione di quel senso che trapela dai suoi capolavori. Senza nemmeno la necessità di seguire un percorso cronologico, i lavori esposti nella monumentale mostra di Palazzo Reale (le altre due sedi completano il progetto con opere mirate) si susseguono con ritmi diversi, i cui tempi spezzati restituiscono valore alla forza mai sopita della cancellatura nel corso degli anni e nei processi evolutivi della sua ricerca. Ogni opera resta sempre viva, mai fuori dalla sua epoca, ma nemmeno ne resta imprigionata; in questo senso i nuclei tematici scelti non muovono lo spettatore a ricostruire un itinerario artistico sviluppatosi nei vari decenni, ma vogliono – riuscendoci benissimo – ha stimolare quelle “altre” interpretazioni e relazioni di cui il silenzioso apparire delle immagini di Emilio Isgrò amplifica il senso. Sempre pulsando silenziose sotto una cancellatura che non smette mai di rappresentare qualcosa di inedito.

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Emilio Isgrò a cura di Marco Bazzini promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, Intesa Sanpaolo, Centro Nazionale Studi Manzoniani e casa editrice Electa progetto di Archivio Emilio Isgrò catalogo Electa

Casa del Manzoni via Gerolamo Morone 1, Milano Orari: martedì, mercoledì, giovedì e venerdì 10.00-18.00; sabato 14.00-18.00; chiuso lunedì e domenica; inizio visite ogni 20 minuti, ultimo ingresso 17.20

29 giugno – 25 settembre 2016

Info: +39 02 88445181 Visite guidate e didattica Ad Artem +39 02 6597728 info@adartem.it

Palazzo Reale piazza Duomo 12, Milano Orari: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura Gallerie d’Italia piazza della Scala 6, Milano Orari: Caveau Gallerie d’Italia, sabato e domenica 10.30-12.30 e 16.30-18.30; martedì, mercoledì, giovedì e venerdì 16.3018.30; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura; una visita guidata ogni mezz’ora, preferibile la prenotazione 800.167619

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Ingresso gratuito

www.palazzorealemilano.it www.gallerieditalia.com www.casadelmanzoni.it www.emilioisgro.info

Emilio Isgrò, Particolare di Elvis Presley ingrandito 1900 volte, 1974, tecnica mista su legno, cm 67x97, Collezione privata


Dettaglio Galleria degli Uffizi. Firenze, 2011

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18 OTTOBRE 2016 - 14 GENNAIO 2017 Info arte@cubounipol.it

MARCO LANZA FUTURO REMOTO IMMAGINI DAI DEPOSITI DEI MUSEI ITALIANI a cura di Luca Farulli Progetto in collaborazione con il Museo di Storia Naturale, Università degli Studi di Firenze

Ingresso libero SPAZIO ARTE CUBO Centro Unipol BOlogna Piazza Vieira de Mello, 3 (BO) - Tel 051.507.6060 - www.cubounipol.it


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CON PINELLI E STACCIOLI L’ARTE CONTEMPORANEA (RI)ABITA A VILLA PISANI BONETTI BAGNOLO DI LONIGO (VI) | VILLA PISANI BONETTI | 24 GIUGNO – 6 NOVEMBRE 2016 di MATTEO GALBIATI

Gli ingredienti sono noti, il risultato sempre una sorprendente meraviglia e un piacevole incanto che rinnova nel tempo il desiderio di vedere come, di volta in volta, tutto cambia rispettando sempre il pensiero di fondo. Abbiamo una villa del Palladio (già da sola sufficiente!) e artisti contemporanei, il cui rigore di ricerca si mette a dialogo con l’antica dimora non soverchiando con brusche imposizioni, ma lasciando che l’arte attuale generi un ritmo preciso con le frequenze che dal passato trasmigrano al presente. Questi sono i presupposti fondanti di Arte Contemporanea a Villa Pisani, progetto che mai, nelle sette edizioni (compresa l’attuale), ha lasciato lo sguardo scontento e inappagato. La passione dei proprietari Manuela Bedeschi e Carlo Bonetti – che non ci stancheremo mai di definirli mecenati nell’accezione più nobile del termine – ci ha regalato un luogo magico dove le nature, le tensioni, i linguaggi, le storie, le identità e le morfologie dell’arte hanno modo di calibrarsi in una miscela davvero unica, frutto non solo di una regia critico-curatoriale consolidata in questa peculiare esperienza (Francesca Pola e Luca Massimo Barbero), ma anche dalla sapienza misurata degli artisti che – tutti – hanno saputo “entrare” nella villa mettendosi in contatto con essa, non prendendola mai come banale sfondo per le loro opere, ma concedendole veri e propri interventi specifici. Fino a novembre (oltre alle opere acquisite dai proprietari in precedenza) si potranno ammirare i progetti realizzati da due grandi maestri, chiamati per questa edizione, del calibro di Mauro Staccioli (1937) e Pino Pinelli (1938), i cui segni cromatici (di tutti e due), concreti e spessi, si legano agli ambienti di una dimora che viene vissuta e abitata e non è un semplice, asettico, spazio espositivo. Questa dimensione di quotidianità del vivere l’arte – testimonianza e prova del sapore mecenatistico dell’operazione – induce ne-

gli artisti stimoli senza stravolgere il loro linguaggio e la propria identità artistica, l’idea e la suggestione di interpretare il luogo come mai in altra circostanza: il gioiello giovanile palladiano diventa un complesso macchi-

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Pino Pinelli, (da sinistra a destra) Pittura GR.B., 1995, tecnica mista, cm 160×100; Pittura N.B., 1994, tecnica mista, cm 236×103; Pittura B., 2008, tecnica mista, cm 160×120, veduta parziale dell’esposizione, Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo 2016. Courtesy: Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art. Foto: Bruno Bani, Milano


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nario in cui tutte le componenti, vecchie e nuove, concertano il loro meccanismo per far deflagrare la magnificenza di una bellezza, mai assoluta, mai isolata, e sempre viva e rinnovata, stagione dopo stagione. Ritroviamo il segno minimo e “primitivo” di Staccioli nel giardino, nel perimetro esterno, dove la sua opera si appoggia ad un vecchio muro di recinzione. Questa porzione concreta di una sfera (forse frammento di un’ideale scultura di maggiore proporzione o suo “resto”), con proporzioni che rimandano a quelle rinascimentali del piano architettonico del Palladio, si accentua come aliena presenza, eppure, il principio atavico della sua entità, la fa sentire appartenente al luogo, forse prima ancora che il celebre architetto vi intervenisse nel XVI secolo. Precaria, leggera, sospesa, ma forte e salda nell’ambiente, testimonia la sensibilità di Staccioli di “scrivere” con la scultura impronte che si pongono in logica dialettica tra la bellezza della natura e l’artificio dell’architettura umana. La scultura pare letteralmente essere germogliata in questo spazio, perché qui ha avuto le giuste coordinate, i giusti innesti che la rendono parte di un processo conoscitivo che genera idee e pensieri sempre nuovi. Pinelli ha pensato le sue Pitture per l’enorme salone centrale, dove hanno modo di raccogliere il medesimo spirito di Palladio che ha posto, nella creazione di questo spazio, un dialogo tra i due poli opposti della razionalità e dell’espressività architettonica: qui il mae-

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stro catanese abbandona i suoi colori forti, tipici della sua poesia pittorica, e, lasciati per l’occasione il rosso, il blu, il giallo, favorisce la presenza, quasi discreta ed antica, di toni derivati dal bianco, dal grigio e dal nero. Queste tavole concrete paiono danzare nell’ambiente, cogliendo intonazioni e accenti cromatici campionati in situ, sono opere che coreografano il colore segnando l’ambiente in cui si inseriscono e modificandolo con la sobrietà di un’energia potente e squillante, per quanto accorta e rispettosa. Il gesto pittorico di Pinelli si vivifica ulteriormente, traendo un beneficio dal contesto antico che conferisce alla sua opera un accento ancor più dinamico e guizzante; i corpi solidi di colore, macro-estensioni di gesti che non si fanno da tempo bastare la superficie della tela, escono nello spazio-tempo del presente e accadono come esternazione di una concretezza del pensiero e, senza mai invadere il campo della plastica scultorea, sanno infondere alla pittura una nuova regola, una nuova grammatica. Un linguaggio di cui Pinelli ha saputo esplorare, detenere e tradurre ogni più piccolo segreto. Ancora una volta dobbiamo ricordare bene che, come chiosa Manuela Bedeschi, a Villa Pisani il visitatore non è mai solo spettatore, ma resta sempre, in primo luogo, un ospite. Un ospite che, come l’arte, gli artisti, la famiglia e i loro conoscenti, abita la casa del Palladio e, deponendo le contingenze della propria quotidianità, sa riscoprire o accedere ex-novo (in questo le opere degli artisti con-

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tribuiscono ad un vero e proprio miracolo percettivo, valido per quel connubio assolutamente peculiare che qui si genera) nuove e sempre uniche sfere di conoscenza. Pino Pinelli, Mauro Staccioli. Arte Contemporanea a Villa Pisani mostra a cura di Francesca Pola progetto coordinato da Luca Massimo Barbero organizzazione Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art in collaborazione con A arte Invernizzi di Milano due cataloghi monografici bilingue editi da Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art 24 giugno – 6 novembre 2016 Villa Pisani Bonetti via Risaie 1, Bagnolo di Lonigo (VI) Orari: da lunedì a venerdì 10.00-12.00 e 15.00-17.00; sabato 10.00-12.00; la prima domenica di ogni mese 10.00-12.00; tutti i giorni su appuntamento Info: +39 0444 831104 villapisani.mostre@alice.it www.villapisani.net Mauro Staccioli, Scultura intervento. Villa Pisani Bonetti ‘16, 2016, acciaio corten, cm 300x900x77, Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo 2016. Courtesy: Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art. Foto: Bruno Bani, Milano


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“CHE IL VERO POSSA CONFUTARE IL FALSO”. LA COLLEZIONE FASOL A SIENA SIENA | PALAZZO PUBBLICO, SANTA MARIA DELLA SCALA, ACCADEMIA DEI FISIOCRATICI | 25 GIUGNO – 16 OTTOBRE 2016 di FRANCESCA DE FILIPPI

“Veris quod possit vincere falsa” (Che il vero possa confutare il falso), frase latina tratta dal De Rerum Natura di Lucrezio e motto dell’Accademia dei Fisiocratici, una delle tre suggestive location di Siena scelte per l’allestimento, è anche il titolo della mostra a cura di Luigi Fassi e Alberto Salvadori, che espone circa cinquanta opere provenienti dalla collezione AGIVERONA di Giorgio Fasol, collezionista umile ed illuminato che da più di quarant’anni, attraverso la passione unita alla conoscenza e al continuo aggiornamento sul sistema dell’arte, scova giovani artisti alle loro prime esposizioni che nel giro di pochi anni si affermano a livello

internazionale piazzandosi ai primi posti per ricerca e importanza. L’Associazione AGIVERONA, infatti, nata nel 1989 per volontà di Giorgio e Anna Fasol, promuove da sempre le ultime tendenze dell’arte contemporanea non solo nell’ambito estetico e della ricerca artistica, ma anche per quando riguarda la critica, la curatela e la progettualità in genere. In poche parole AGIVERONA sostiene i giovani attivi nel settore, dotati di grande coraggio e professionalità, esattamente come nel caso dei galleristi e fondatori dell’Associazione Fuori Campo, Esther Biancotti e Jacopo Figura, che dal 2012, anno di apertura dell’attività,

lavorano tenacemente per creare una connessione tra il tessuto socio culturale della città di Siena e della Toscana in genere e le ultime tendenze della contemporaneità. Infatti in simultanea con Che il vero possa confutare il falso i due galleristi sono attivi anche su un progetto di scambio interculturale con il Belgio “ITINERA”, un progetto che vuole ripercorrere gli scambi artistici e culturali che i pellegrinaggi della via Francigena consentirono tra il Belpaese e il resto d’Europa, in particolare tra la Toscana e il Belgio, in quelle che furono le contaminazioni visive e culturali che influenzarono la pittura fiamminga. Un modello “teletraspor-

Veduta della mostra, Santa Maria della Scala, Siena. Courtesy: AGIVERONA Collection. Foto: Michele Alberto Sereni 48


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tato” al presente con una collaborazione tra un’artista belga e le magistrature del Palio di Siena che verrà presto presentato insieme al catalogo. Insomma l’arte contemporanea sbarca a Siena con diverse sfaccettature, dagli allestimenti della collezione Fasol ai progetti “in itinere”, che hanno tutte in comune la forte motivazione di base di creare una rete solida di collaborazioni che consolidi la “tradizione” alla luce della contemporaneità, in uno scambio lucido e consapevole di quelle che sono i punti di contatto o di contrasto con il passato, ma con l’unico obiettivo di sensibilizzare all’arte giovane. Il percorso della mostra Che il vero possa confutare il falso consta, come già detto, di tre importanti location della Città di Siena, a partire dal Palazzo Pubblico, in cui sono presenti l’istallazione sonora From the beginning di Susan Philipsz, un’opera di Mario Garcia Torres e Serenata Iris di Christian Manuel Zanon. Si passa poi a Santa Maria della Scala, edificio posto di fronte al Duomo e che fino a circa trent’anni fa era la sede dell’ospedale cittadino, che si presenta in tutto il suo fascino con le grandi sale affrescate e le volte a costoloni tipicamente medievali, in cui si è scelto un allestimento assolutamente non invasivo che si plasma con la location valorizzandone non solo lo spazio ma anche la magica e surreale atmosfera che lo contraddistingue. Sono presenti le opere di, tra gli altri, Tino Sehgal, Judith Hopf Palmenbaum, Jonathan Monk, Rodrigo Hernández, Giulio Paolini Platea, Haris Epaminonda, Helene Dowling Breaker, Andreas Slominski, Massimo Bartolini, Georges Adeagbo, Adrian Paci, Steve Roden, Cyprien Gaillard, Michael Sailstorfer & Jürgen Heinert, Anri Sala, Berlinde De Bruyckere, Jonathan Seliger ed Eugenia Vanni. Percorrendo le stradine medioevali, tra salite e discese, si arriva infine all’Accademia dei Fisiocratici, ultima ma non per importanza, sede della mostra. Infatti l’intero percorso espositivo nella città è stato scelto e dipanato seguendo il motto che ne fa il titolo, per cui tutto il vero in grado di spazzar via il falso è stato simbolicamente esplicitato attraverso i ruoli “Istituzionali delle location”, e cioè il “potere politico e della cosa pubblica” del Palazzo Pubblico, la cura del corpo e dello spitiro in Santa Maria della Scala, ed infine la conoscenza e la scienza con l’Accademia dei Fisiocratici. In quest’ultima, infatti, che è centro di ricerca ma anche museo di storia naturale, è stato scelto un allestimento quasi come fosse un divertissment, ma anche un rimando corale all’esposizione permanente di fossili, specie animali, minerali e quant’altro. Una sorta di

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“caccia al tesoro” in cui bisogna guardare con attenzione e riuscire a svelare le opere che si amalgamo con il tutto. Sono qui presenti Luca Trevisani, Paolo Inverni, Richard Tuttle, Davide Mancini Zanchi, Francesco Carone con Luca Bertolo, Paolo Parisi, Luca Pancrazzi, Mario Neri e Maria Morganti, su una piccola tela su cui ognuno è intervenuto, Nico Vascellari, Adel Abdessemed, Rashid Johnson, Luigi Ghirri, Nabuko Tsuchiya, Ivan Moudov, Franco Vaccari e Mark Dion. Una mostra da non perdere. Che il Vero possa confutare il falso a cura di Luigi Fassi e Alberto Salvadori Progetto: ITINERA ideato e diretto da Associazione FuoriCampo con l’Associazione Culturing. In collaborazione con Comune di Siena, Associazione Amplificatore Culturale

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Palazo Pubblico Piazza del Campo Santa Maria della Scala Piazza Duomo Accademia dei Fisiocratici Piazzetta Silvio Gigli 2, Siena 25 giugno – 16 ottobre 2016 Info: itinera.office@gmail.com http://agiverona.org/ Dall’alto: Veduta della mostra, Santa Maria della Scala, Siena. Courtesy: AGIVERONA Collection. Foto: Michele Alberto Sereni Nico Vacellari, Bastard of Disguise, 2006, scultura, gesso, metallo, legno. Veduta Accademia dei Fisiocritici, Siena. Courtesy: AGIVERONA Collection, Galleria Monitor, Roma. Foto: Michele Alberto Sereni


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