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ARGELIA BRAVO Padiglione Repubblica Bolivariana del Venezuela
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ESPOARTE Registrazione del Tribunale di Savona n. 517 del 15 febbraio 2001 Espoarte è un periodico di arte e cultura contemporanea edito dall’Associazione Culturale Arteam. © Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l’autorizzazione scritta della Direzione e dell’Editore. Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile alla redazione per la pubblicazione di articoli vanno inviati all’indirizzo di redazione. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista. Tutti i materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti.
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8x3 - 8 itinerari a Venezia tra calli e sestieri: GLI EVENTI: Padiglione Mauritius. From One Citizen You Gather an Idea, LEVA LIV + LINDY NSINGO. Dancing makes me joyful, Padiglione Iran. The Great Game / Iranian Highlights, Personal structures - Crossing Borders, Graham Fagen. Scotland+Venice 2015, Plessi in Venice, Plessi liquid life, Roberto Sebastian Matta. Sculture, Miniartextil. Gea, Cy Twombly. Paradise, Mario Merz. Città irreale, Dansaekhwa, Ettore Spalletti, Nuova Oggettività, Jenny Holzer. War Paintings, Qiu Zhijie. So, we’ll go no more a roving, Proportio, My East is Your West, Italia Docet | Laboratorium, Glasstress 2015. Gotika, Sean Scully. Land Sea, Henri Rousseau. Il candore arcaico, Padiglione Grenada. Present Nearness, Padiglione Guatemala. Sweet Death, Becoming Marni
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Padiglione Italia: suoni e immagini di una scomposta perfezione mnestica Intervista a CLAUDIO ROCCHETTI di Corinna Conci
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Grisha Bruskin a Venezia. La collezione di un archeologo Intervista a SILVIA BURINI di Eva Coletto
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Ahmet Güneştekin da Istanbul a Venezia… La “geografia è il destino” Intervista ad Ahmet Güneştekin di Igor Zanti
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Argelia Bravo Corpi disobbedienti per difendere il diritto alla diversità VENEZIA | Padiglione Repubblica Bolivariana del Venezuela | 56. Esposizione Internazionale d’Arte | 9 maggio – 22 novembre 2015
Intervista ad ARGELIA BRAVO di Viviana Siviero
Argelia Bravo (nata nel 1962 a Caracas, Venezuela, dove vive e lavora), insieme all’artista di strada Flix, è la protagonista del Padiglione della Repubblica Bolivariana del Venezuela che, su proposta del curatore Oscar Sotillo, ha utilizzato la parola come punto di partenza per un dialogo comune fra le due poetiche. Argelia Bravo presenta un progetto dal titolo Si nos importa el bledo!!! (Sì che ce ne frega!!!) composto da una serie di foto e video delicati e prepotenti allo stesso tempo, che mostrano uomini dal volto coperto con cespugli di erbacce sul capo, madri incappucciate intente ad allattare: l’iconografia di una guerriglia che emerge in maniera ludica eppure dichiara ugualmente quanto sia serio il gioco messo in piedi dall’artista. Donne che combattono “la lotta della tetta”, strumento non inteso come arma di lussuria ma piuttosto come sorgente che genera e mantiene la vita e quindi il futuro dell’esistenza. Argelia Bravo celebra l’essenza della donna, crea strade che delineano una nuova mappatura del potere dove ciò che non è ufficiale emerge ugualmente e con forza grazie al suo diritto di essere nonostante la propria diversità. Non bastano poche parole, la ricerca è lunga, la poetica complessa e i suoi sottesi profondi come l’oceano. Nel padiglione venezuelano bisogna soffermarsi, non c’è alcuna estetica ruffiana ad attirarci; Argelia
Bravo l’arte la vive e la fa vivere, la intende come strumento per gridare ciò che va assolutamente cambiato, ciò che va inevitabilmente ridisegnato a partire proprio da ciò che non riesce ad incasellarsi nei vecchi modelli, un reticolo ordinato che tanto ci rassicura, ma che provoca dolore a chiunque non si allinei e di sicuro non è di alcun aiuto all’evoluzione sociale. Sei di Caracas, qual è il tuo retroterra culturale: intendo dire, da dove arrivi? Ci racconti il cammino che da giovane donna ti ha reso artista, fino a portarti ad essere protagonista del padiglione Venezuela e quindi voce della tua terra? Sono venezuelana latino americana, ho sviluppato il mio lavoro come artista nel mio Paese; non sono emigrata e non emigrerò. Ho studiato danza, cinema ed arti plastiche. Le preoccupazioni intorno alla problematica di genere sono sempre state al centro della mia ricerca artistica. Inizialmente e fino agli anni ’90, il mio lavoro era incentrato sulla ribellione ai modelli egemonici e sulle rappresentazioni di genere legati alla sessualità; una critica agli stereotipi della femminilità sia dal punto di vista personale sia politico. Allo stesso tempo, ho iniziato ad interessarmi ad una revisione critica dei modelli canonici, cercando di
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proporre la funzione politica del corpo e dell’arte come trasversalizzazione del modello femminista, in cui il corpo veniva inteso come attivatore di processi di cambiamento sociale, in relazione alle diverse forme di esercizio del potere legate alle rappresentazioni del maschile. Poi le cose cominciarono a cambiare, da quando decisi di passare dalla rappresentazione all’azione, iniziando a scrivere articoli e a lavorare insieme a movimenti e collettivi femministi e attiviste e gay. Il 2003 è una data importante, perché segna l’avvio del nuovo progetto di arte sociale che ancora adesso porti avanti, in cui il corpo disobbedisce per esercitare il proprio diritto alla diversità… È la data in cui iniziai a sviluppare il progetto investigativo ed espositivo Arte social por las trochas hecho a palo pata’ y kunfú. Nel 2003 ho iniziato un’esperienza di arte attivista femminista a partire dalla mia vicinanza alla cruda realtà delle donne trans venezuelane, costrette a prostituirsi come conseguenza della discriminazione, prendendo ad esempio in particolare la vita di Yhajaira, una donna trans venezuelana. In questa ricerca mi sono proposta di indagare la nozione del corpo come cartografia del sociale e come territorio di conoscenza politico-poetico a partire da pratiche artistiche collegate a donne trans gender in Venezuela, considerate come corpi disobbedienti nella loro lotta per difendere un’identità antinormativa. Esse, ogni giorno, si confrontano con una realtà che le esilia, rendendole invisibili. Si vedono così obbligate a ridistribuirsi nel reticolo cittadino; per questo ho scelto la parola trochas intesa come serie di scorciatoie della sopravvivenza e ribellione. Per dimostrare come questi corpi anticonformisti sono violentati ed esiliati dal corpo sociale mi sono proposta di ricostruire la storia della vita di Yhajaira a partire dalle sue cicatrici fisiche. Ho conosciuto Yhajaira nel 2004 quando distribuivo preservativi nei quartieri dove le donne trans di Caracas si prostituivano, una delle attività che abbiamo proposto attraverso “Transvenus de Venezuela”, l’organizzazione non governativa che recentemente abbiamo creato con Estrelia Cerezo, donna trans, e Marcia Ochoa. Quando la conobbi mi impressionò l’enorme quantità di cicatrici che aveva sul corpo. Nonostante tutte le
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ragazze avessero cicatrici, quelle di Yhajaira erano molte di più. Questo mi fece presupporre che la cicatrice fosse una variabile costante e quasi un sigillo di identità, come una sorta di impronta digitale. Così hai deciso di trasformare il corpo in una sorta di cartografia del sociale in cui ogni cicatrice era una strada, una “scorciatoia” intesa come luogo per la sopravvivenza dell’eterosessualità… Dato che l’esclusione sociale che affrontano le ragazze trans è associata alla loro identità di genere, iniziai a investigare l’immagine della cicatrice come impronta, macchia nel fisico e nell’identità, come un segnale di trasgressione al modello etero-normativo e come “evidenza” dello stato sociale. Partendo dalla premessa che la società castiga fisicamente la disobbedienza, ricostruii la storia della vita di Yhajaira avvalendomi di diverse discipline quali la criminologia e la consulenza legale. Assunsi questo procedimento come arte evidenza e il mio ruolo diventò quello di artistaperito informale per provare come le impronte sulla pelle della donna rappresentassero l’evidenza della ribellione di un corpo che resiste alla disciplina e, per questo, viene castigato affinché assolva norme sociali di accordo tra sesso e genere. Ho interrogato il corpo di Y. proponendole una creazione collettiva, partendo dal presupposto di Joseph Beuys secondo il quale “ogni uomo è un artista”; ciò aprì l’orizzonte della creatività oltre che il ghetto dell’arte e trasformò Y. in una scultura sociale, creazione collettiva e violenta di carattere punitivo come esercizio di controllo e dominanza. Allo stesso tempo mi appropriai dei procedimenti di conservazione e restauro di opere d’arte ponendoli in relazione con l’idea di malattia/guarigione per discutere principalmente la visione patologica che considera i trans anomalie mostruose e difettose che devono essere corrette, castigate e sanificate. Invitai quindi una restauratrice a realizzare uno studio per la scultura sociale, Yhajaira Marcano Bravo, affinché stabilisse il suo stato di conservazione; in seguito la professionista consegnò un rapporto e Y., come scultura sociale, fu assunta come una rappresentazione del sociale nella misura in cui ogni cicatrice registra, in forma violenta, un frammento della sua vita nella società, inscrivendovi così una serie di ideologie molto chiare. Come artista-perito informale, mi appropriai della dactiloscopia, come disciplina che permette di interpretare le impronte digitali per identificare le persone. Cosi, utilizzando lo stesso inchiostro sulle cicatrici di Y., feci un rilievo su tutto il suo corpo ed organizzai un archivio di cicatrici che ricostruirono la vita di Y. Infine elaborai un modello personale di date che conteneva informazioni per ogni ferita: collocazione spaziale, arma utilizzata, sospetto, vittima, data dell’incidente e descrizione del fatto. Organizzai una spedizione, secondo
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lo stile di Alexander Von Humboldt, per ripercorre i cammini alternativi o le strade clandestine che Y. chiamava “trochas” e che i soggetti ribelli utilizzano come protezione; guidata da Vanessa de Almeida, una ragazza trans che viveva insieme a Y., ripercorremmo tutte le scorciatoie in un giorno. Con noi c’era l’antropologo Rodrigo Navarrete, che realizzò un rilievo archeologico relativo ad ogni tappa. Con l’aiuto di un gps, Navarrete segnò le coordinate geografiche che gli servirono affinché un’equipe di geografi potesse elaborare una mappa delle trochas. Trochas è quindi una parola chiave nella tua ricerca attuale… Secondo il dizionario Real Academia Española (DRAE, 2001), la parola trochas si definisce come
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Argelia Bravo, Virgen de la leche, fotografía sobre papel, cm 108x78, 2010 Nella pagina a fianco: Argelia Bravo, A continuación…, Videoperformance, 4’ 09”, Museo de Arte Contemporáneo de Caracas, 2012
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marciapiede, o camminamento angusto, poco frequentato, che serve come scorciatoia per arrivare in un luogo. In Venezuela si usa trochas per definire strade di transito alternative o non ufficiali, tanto nelle aree rurali come in quelle urbane. In generale, le scorciatoie, essendo strade utilizzate per restare fuori dal controllo della vigilanza, si possono definire come linee curve che si creano in modo non pianificato. Ma una delle loro principali caratteristiche è che non sono segnate sulle mappe. Questi luoghi non sono riconosciuti topograficamente e, per questo, i trans vi si sentono protetti. Pertanto gli individui che vivono all’interno di tali strade non esistono nella legittimità che considera la rappresentazione cartografica come meccanismo di ordine e controllo sociale. La trocha è anche definita come cammino aperto nel sottobosco (DRAE, 2001) mentre per bosco si intende l’erbaccia che cresce nelle coltivazioni agricole e nei giardini, pertanto considerate come piante nocive, moleste, brutte alla vista e tra l’altro inutili o che interferiscono negativamente con le attività produttive e ricreative dell’uomo. Mi interessa collegare la maleza (erbaccia, n.d.r) con la definizione delle trochas perché facendo un’associazione possiamo dedurre che le trochas sono quei cammini illegittimi che, nella loro stessa creazione, sono invisibili all’interno della cartografia e nei quali abbondano le erbacce cioè i trans. Il tuo lavoro è assolutamente femminista: di un femminismo moderno ed intelligente che finalmente non chiede alla donna di diventare una copia dell’uomo ma che la afferma laddove il maschio non la potrà mai e poi mai raggiungere… Arte femminista come guerra di guerriglia. Come dice Barbara Holland Kunz, tanto la terra quanto le donne sono state sfruttate come oggetti di consumo ed arricchimento. Il patriarcato assume entrambi i territori come spazio di dominazione ed utilizzo gratuito. Così sono giunta a proporre
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la mia pratica come una forma di arte di guerriglia, di insurrezione culturale ed insubordinazione creativa. Appropriandomi del metodo di guerra di guerriglia, delle tattiche, delle strategie di comunicazione e delle offensive applicate in questa forma di lotta, nel metaforico e nel ludico applicato al sociale inteso come campo di battaglia. Ciò non coinvolge solo il piano rappresentativo ma suppone il passaggio dalla rappresentazione all’azione. In questa ricerca, le pratiche artistiche, si propongono come dispositivi strategicopolitici per l’azione politica e poetica capace di portare destabilizzazione di sentimenti egemonici nell’ambito artistico e sociale. L’arte come guerra di guerriglia suggerisce anche una posizione femminista delle lotte perché il suo obiettivo non è la presa del potere ma il tentativo di risolvere e produrre figure all’interno dei meccanismi di dominazione. Utilizzi anche il cibo e la gastronomia come elemento identitario. È una ricerca che sto sviluppando da sette anni: la cultura gastronomica è stata, storicamente, uno strumento essenziale della colonizzazione, in seguito al modello occidentale di voracità, l’alimento diventa argomento politico e di conseguenza uno strumento sovversivo per la determinazione della sovranità. Parlare di sovranità alimentare non è un semplice slogan ma una vera e propria azione politica di rottura che contrasta un modello che ha utilizzato un’arma molto efficace come indebolimento della nostra sovranità culturale: la cancellazione della memoria culinaria. Il tuo Paese ti ha scelto come rappresentante per quello che è uno degli appuntamenti più importanti per l’arte contemporanea, la Biennale di Venezia. Il tuo progetto di intitola ¡Sí nos importa el bledo!, (che potrebbe essere tradotto in italiano come “Si che mi importa un fico secco”, n.d.r.) le cui immagini simbo-
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lo sono certamente la Vergine del Latte e la videoinstallazione dal titolo A continuación… Ci racconti qual è fra tutti il tuo personale futuro del mondo? Il “bledo” è un nome con cui i conquistatori di riferivano all’amaranto pianta originaria dell’America, chiamata caraca dagli indio che abitavano nella valle di Caracas e che ha dato il nome alla nostra capitale. Questa frase rappresenta una risposta alla domanda che titola la mostra (Te doy mi palabra, Ti do la mia parola, n.d.r.); i conquistatori spagnoli usavano dire “Me importa el bledo” (non me ne importa un fico secco n.d.r.) in riferimento alla cultura degli indios d’America. Il consumo e la coltivazione di questa pianta fu proibito nel periodo della colonizzazione spagnola: fu perseguitata e fu emanato perfino un decreto a riguardo, con conseguente esecuzione per i trasgressori. L’amaranto è stato esiliato dalla tavola latino americana senza considerare il suo incredibile valore alimentare però la pianta è molto vigorosa e resistente ai trattamenti agro-tossici usati nella coltivazione transgenica e perciò è riuscita a vincere la battaglia contro Monsanto, una delle principali multinazionali responsabili della desertificazione e contaminazione del pianeta. Paradossalmente nonostante tutte le intenzione di cancellarla, la Nasa, l’ha sintetizzò in segreto e la convertì in una pastiglia per ossigenare gli astronauti durante i voli spaziali. Per questo la frase Si ah no importa el bledo diviene un attacco culturale di fronte alla frase colonizzatrice, un grido di guerra contro il modello occidentale dello sviluppo del progresso che rischia di sterminare il pianeta. Il sapore è in grado di conservare la memoria storica di un paese, ma la cultura occidentale converte i cibi da nutrimento a mercanzia. Le multinazionali come Monsanto, Cargill o DuPont sono il nuovo volto della vecchia colonizzazione. L’utilizzo dei passamontagna come leitmotiv rappresenta una rivalutazione di alcuni stereotipi, per indagare la visione egemonica e la lotta per la sovranità territoriale e fisica delle culture del terzo mondo. Donne, femmine, vergini del quotidiano che possiedono l’arma più deflagrante al mondo quella della creazione e dell’auto-sostentamento…? Le Vergini della Tetta e del cucchiaio sostengono e sostentano l’arma più mortifera che esista, contro l’indolente voracità del capitale patriarcale: la sovranità e l’armonia di saperi, territori e corpi fisici e culturali. In Venezuela la parola cucchiaio ha un doppio significato. È lo strumento per sostenere l’alimento ma anche, popolarmente, è il nome della vagina. Questa Vergine del cucchiaio incappucciata, ci offre una lezione su come combattere le multinazionali. Nella video-installazione, con semplice solennità, tre donne incappucciate cullano i loro bambini, canticchiando l’inno nazionale della Repubblica Bolivariana del Venezuela. E con la loro inimitabile
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segreta ricetta annientano la Nestlé. Il Venezuela è l’unico Paese che culla i suoi bebè con l’inno nazionale. La cosa più importante è che secondo la tradizione orale e alcuni studi sulla materia, il testo del nostro inno nacque come un canto patriottico conosciuto con il nome di Gloria al popolo bandito nato durante il fragore del periodo pre-indipendentista dei giorni che seguirono al successo della vittoria del 19 aprile del 1810. In Venezuela, dove le idee e i movimenti separatisti contro la colonia spagnola erano in piena auge, si dice che la canzone patriottica fu adattata alla melodia di una canzone che cantavano le tate e le madri venezuelane che la intonavano popolarmente per ninnare i loro figli. È una memoria locale e, allo stesso tempo, tremendamente universale. Un gesto arcaico e al contempo sovversivo che diviene esercizio di sovranità in questi tempi di globalizzazione. Quando ci siamo incontrate mi stavi raccontando di Segundo comunicado del Comando Marìa Monitos: Sì nos importa el bledo! Ci hanno interrotto ma ero molto interessata… qui si nota un forte messa in discussione degli stereotipi, con un sottinteso umoristico… È un tributo ai miei genitori guerriglieri, Douglas Bravo e Argelia Melet, che militano ancora nell’utopia. Non è un collettivo, né un’organizzazione o un partito politico, ma è una finzione, un’utopia di un gran movimento planetario che affonderà questo vecchio e macabro modello di consumo predatorio e sfruttamento e distruggerà le multinazionali e gli altri nemici: Monsanto, Wall Street, McDonald’s, Sotheby’s e Christie’s. È uno spazio che permette di articolare – grazie alla complicità di amicizie – strategie di creazione ed azione capaci di risvegliare una coscienza negli abitanti del pianeta per riqualificare la dignità dell’ambiente. È un sentiero creativo per far politica giocando molto seriamente. È la concettualizzazione di un’idea che si rende collettiva, si condivide e si materializza nella nuova coscienza planetaria. È un movimento clandestino di comandanti di una strada guerrigliera che affermano, attraverso comunicati e azioni sparsi per tutta la rete sociale, il loro grido di guerra: La Yuka! (che è un frutto, n.d.r.). È un gruppo molto pericoloso, armato di cucchiai che, cantando la canzone María Moñitos me convidó a comer plátano con arroz (María Moñitos mi ha invitato a mangiare platano con riso, e il platano è un frutto simile alla banana, n.d.r) farà uscire dai nostri territori i grandi assassini dell’ambiente: Monsanto, McDonald’s e Nestlé, etc.
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collettivo che riattivi forme estetiche simboliche più libertarie. Il peggior nemico del cambiamento sono individualismo ed egoismo e l’arte attivista non è una moda solo se esercitata dall’etica, dalla solidarietà e dalla conoscenza delle forze politiche passate. Questo è ciò che è sgorgato dalla rabbia della mia ricerca artistica di donna latinoamericana e terzomondista. La coscienza di questo luogo ha motivato l’insubordinazione ad un modello androcentrico ed eurocentrico attraverso l’empatia che mi ha portato ad assumere la solidarietà come fonte di esercizio politico contro esperienze di rabbia provocate dalle ingiustizie sociali, principale responsabile del progetto originato nel personale con l’esperienza con le donne trans. Pensi che gli uomini (maschi) capiranno questo lavoro? Credo che oggi stia emergendo una nuova generazione di uomini femministi che stanno attuando un cambio di attitudine di fronte al modello patriarcale del quale essi stessi sono vittime. In Venezuela per esempio sono nati movimenti attivisti di nuova mascolinità, che portano le bandiere di un nuovo modello di paternità, che criticano il modello mascolino che non deve essere per forza paradigma del potere. Un altro fenomeno che sta capitando in Venezuela è la nascita di movimenti ecologisti che si identificano con la lotta femminista e di diversità sessuale. Questo sembra denotare il raggiungimento di una maturità ed autocoscienza del momento storico che pare modificare le coscienze in favore di azioni concrete da attuare di fronte al panorama catastrofico del cambio climatico. 56. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia Argelia Bravo, Félix Molina (Flix). Te doy mi
Quali sono le conclusioni che trai come artista contemporanea ed attivista? Credo che tutti noi, che costituiamo parte del campo dell’arte, necessitiamo di umiltà perché le nostre pratiche artistiche si esercitino nel compromesso nella solidarietà con i processi sociali affinché si giunga ad un impatto nell’immaginario
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palabra (I give you my word) Curatore: Oscar Sotillo Meneses Curatore Aggiunto: Morella Jurado commissario Oscar Sotillo Meneses commissario aggiunto Reinaldo Landaeta Díaz Padiglione Repubblica Bolivariana del Venezuela Giardini di Castello, Venezia 9 maggio – 22 novembre 2015 Orari: 10.00 – 18.00 e 10.00 – 20.00 (sede Arsenale – venerdì e sabato fino al 26 settembre) Chiuso il lunedì (escluso lunedì 11 maggio, lunedì 1 giugno e lunedì 16 novembre 2015) Info: +39 041 5218711 aav@labiennale.org www.labiennale.org
Argelia Bravo, ¡Dó là van hóa! Primer comunicado del Frente de Liberación Cultural María Moñitos (traducción del vietnamita: ¡Esto sí es cultura!) Videoperformance de 2’ 13”, 2008-2010, tres fotogramas Nella pagina a fianco: Argelia Bravo, Segundo comunicado del Comando María Moñitos: ¡Sí nos importa el bledo! Videoperformance, 13’ 36”, 2012, dos fotogramas
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Itinerario #1
Cannaregio
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A. Palazzo Flangini B. Calle San Giovanni 1074/B 10
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Padiglione Mauritius. From One Citizen You Gather an Idea Prima partecipazione in Biennale per la Repubblica delle Mauritius. L’isola, che ha raggiunto l’indipendenza solo nel 1968 e ha un trascorso da colonia olandese, francese e britannica, per il suo Padiglione Nazionale in Biennale punta sul dialogo internazionale: tra artisti mauriziani ed europei. From One Citizen You Gather an Idea, il titolo del progetto, a cura di Alfredo Cramerotti e Olga Jürgenson, prende spunto da un diario di viaggio di Mark Twain che sintetizza il pensiero dell’autore sulle Mauritius: la bellezza dell’isola non come valore assoluto ma in relazione a chi ne parla. Da qui un dialogo su canoni estetici e piani di valutazione differenti affidati agli artisti che si confrontano con il melting pot socio culturale del Paese. [Francesca Di Giorgio]
Vedute del Padiglione Mauritius. From One Citizen You Gather an Idea, La Biennale di Venezia, 2015. In alto: Krishna Luchoomun; in basso: Sultana Haukim
Padiglione Mauritius. From One Citizen You Gather an Idea 56. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia Commissario: pARTage Curatori: Alfredo Cramerotti e Olga Jürgenson
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Artisti: Sultana Haukim, Nirmal Hurry, Alix Le Juge, Olga Jürgenson, Helge Leiberg, Krishna Luchoomun, Neermala Luckeenarain, Bik Van Der Pol, Laure Prouvost, Vitaly Pushnitsky, Römer + Römer, Kavinash Thomoo, Tania Antoshina, Djuneid Dulloo 9 maggio – 22 novembre 2015 Palazzo Flangini (Piano Nobile) Cannaregio 252, Campo S. Geremia – 30121 Venezia Info: www.mauritiusbiennalevenice.wordpress.com
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LEVA LIV + LINDY NSINGO. Dancing makes me joyful Lena Liv (1952), artista visiva di origine russa, ma che vive in Toscana da anni, e Lindy Nsingo (1987), coreografa e performer. Due artiste diverse per generazione, cultura e destino si trovano insieme in un progetto parallelo alla 56. Biennale d’Arte di Venezia. Da quest’incontro è nato un dialogo e una collaborazione che ha portato Lindy Nsingo a lavorare in Italia e a presentare a Palazzo Flangini a Venezia nei giorni clou dell’arte internazionale Dancing makes me joyful: un ciclo inedito di opere di Lena Liv incontra la “solo performance” di Lindy Nsingo. Perché – come racconta Liv – la sua danza è protesa a quel senso universale di verità che io credo sia la vera ragione dell’arte». [Francesca Di Giorgio]
LEVA LIV + LINDY NSINGO. Dancing makes me joyful Evento parallelo 8 maggio – 15 agosto 2015 Palazzo Flangini Cannaregio 252, Venezia Info: www.dancingmakesmejoyful.com
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Lena Liv, But all joy wants eternity wants deep, wants deep eternity, 2014-15, images on glass, cm 282x234x27, detail In basso: Lena Liv, Dancing makes me joyful, 2015, veduta della mostra a Palazzo Flangini. Foto: Antonio Cozza
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Padiglione Iran. The Great Game / Iranian Highlights Per la prima volta la partecipazione nazionale dell’Iran alla Biennale si apre ad altri Paesi (India, Pakistan, Afghanistan, Iraq, Azerbaijan e Kurdistan). Un quadro culturale che restituisce un’immagine complessa, un “Grande Gioco” (il The Great Game l’ossatura centrale del Padiglione, insieme ad Iranian Highlights, una sezione più piccola ma altrettanto interessante...) per sfatare un “grande equivoco”, frutto di tutti gli stereotipi legati alla società e alle forme artistiche medio-orientali che risiedono spesso solo negli occhi di chi guarda e a cui gli artisti reagiscono e che rielaborano nella loro ricerca. Nonostante le tendenze artistiche siano variegate, e a volte in contrasto, è possibile individuare temi comuni che hanno poi non molto a che fare con i “segnali” del successo commerciale dell’arte mediorientale. [Francesca Di Giorgio] Padiglione Iran. The Great Game / Iranian Highlights 56. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia Curatori: Marco Meneguzzo, Mazdak Faiznia
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Organizzazione: FFF Faiznia Family Foundation – Tehran Museum of Contemporary Art Artisti: Iranian Highlights Samira Alikhanzadeh, Mahmoud Bakhshi Moakhar, Jamshid Bayrami, Mohamed Ehsai The Great Game Iran, India, Pakistan, Afghanistan, Iraq, Repubbliche Centroasiatiche, Regioni Curd: arte, artisti e culture dal cuore del mondo. Lida Abdul, Bani Abidi, Adel Abidin, Amin Aghaei, Ghodratollah Agheli, Shahriar Ahmadi, Parastoo Ahovan, Farhad Ahrarnia, Furat al Jamil, Rashad Alakbarov, Nazgol Ansarinia, Reza Aramesh, Alireza Astaneh, Sonia Balassanian, Mahmoud Bakhshi Moakhar, Wafaa Bilal, Mehdi Farhadian, Shadi Ghadirian, Shilpa Gupta, Ghasem Hajizadeh, Shamsia Hassani, Sahand Hesamiyan, Sitara Ibrahimova, Pouran Jinchi, Amar Kanwar, Babak Kazemi, Riyas Komu, Farideh Lashai, Farokh Mahdavi, Mehrdad Mohebali, Ahmad Morshedloo, Huma Mulji, Azad Nanakeli, Jamal Penjweny, Imran Qureshi, Sara Rahbar, Rashid Rana, Atefeh Samaei, T.V. Santhosh, Monir Shahroudy Farmanfarmaian, Wahid Sharif, Walid Siti, Mohsen Taasha Wahidi, Mitra Tabrizian, Parviz Tanavoli, Newsha Tavakolian, Sadegh Tirafkan, Hema Upadhyay, Saira Wasim 7 maggio - 22 novembre 2015 Cannaregio, Calle San Giovanni, 1074b, Venezia Info: http://faizniafoundation.com/
T.V. Santhosh, Effigies of Turbulent Yesterdays, 2011-2013 fibreglass, steel and LED, screens, cm 223.5x256.5x101.5 (approx) Edition of 2 + 1 AP. Courtesy: The Guild, Mumbai
Huma Mulji, Arabian Delight, 2008 rexine suitcase, taxidermy camel, metal rods, cotton wool and fabric, cm 105x144x155. Courtesy: Saatchi Gallery, London 13
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Itinerario #2
Cannaregio
A B C
A. Palazzo Mora B. Palazzo Fontana C. Ca’ d’Oro 14
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Personal structures Crossing Borders In Palazzo Mora (la seconda sede di questa mostra si trova a Palazzo Bembo) ammiriamo il grande progetto di Personal structures - Crossing Borders dell’European Cultural Centre exhibition, ipertrofica (in positivo) e densa esposizione che mette in dialogo codici espressivi differenti e alterna la presenza di grandi artisti di fama internazionale a giovani emergenti o sconosciuti al grande pubblico. La filosofia della mostra è quella di offrire ai suoi visitatori installazioni site-specific o opere provenienti dalle collezioni degli artisti che sottolineino il carattere specifico del percorso offerto. Attenzione viene riservata anche ad un confronto tra ricerche europee ed extra-europee. [Matteo Galbiati]
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Personal structures - Crossing Borders European Cultural Centre exhibition organizzazione Valeria Romagnini, Rachele de Stefano, Lucia Pedana, Karlyn De Jongh, Sarah Gold, Carol Rolla, Rene Rietmeyer and Anthony Bond 9 maggio – 22 novembre 2015 Palazzo Mora Cannaregio 3659, Strada Nuova, Venezia (altra sede: Palazzo Bembo, Riva del Carbon 4793-4785, Rialto) Orari: tutti i giorni 10.00-18.00, chiuso il martedì Info: www.europeanculturalcentre.eu www.globalartaffairs.org www.personalstructures.org www.palazzobembo.org www.palazzomora.org
Daniele Galliano, Constellations, 2014, olio su tela, cm 50x70 15
Glen Clarke, Boy bomb, 2008 banconote da un dollaro americano, filo rosso, gomma piuma, cm 152x100x30
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Graham Fagen. Scotland+Venice 2015 Palazzo Fontana, per la prima volta si apre all’arte visiva ospitando l’evento collaterale Scotland+Venice 2015 incentrato sul lavoro dello scozzese Graham Fagen (1966), che a Venezia presenta un gruppo inedito di nuovi lavori. Tra disegni, sculture e un’installazione audio-video, il suo immaginario rimanda a contenuti riferiti all’identità nazionale scozzese e, passando per tecniche differenti, agisce su temi radicati nella memoria individuale come l’ambiente naturale, il viaggio, le tradizioni popolari. Le sue opere guidano lo spettatore a diventare regista unico e ultimo referente del loro senso e contenuto. Nuovi significati e presenze che, in tal modo, arricchiscono ed ampliano i confini degli immaginari delle sue opere. [Matteo Galbiati] Graham Fagen. Scotland+Venice 2015 56. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia Evento collaterale 9 maggio – 22 novembre 2015 Palazzo Fontana Cannaregio 3829, Via Strada Nuova, Calle Fontana, Venezia Orari: da martedì a sabato 10.00-18.00 Ingresso libero Info: www.scotlandandvenice.com
Dall’alto: Graham Fagen, Guerra/giardino, 2015 neon e acrilico, cm 164x55x8 Graham Fagen, Rope Tree, 2015 bronzo, cm 450x400x400 16
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Fabrizio Plessi, Liquid Life installazione a Ca’ d’Oro (particolare)
Plessi in Venice Plessi liquid life. Il flusso della memoria 1000 progetti La Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro ospita una parte (l’altra è all’Arsenale) della grande personale di Fabrizio Plessi (1940). Tema centrale della mostra è l’acqua, soggetto che rientra nella ricerca dell’artista fin dal 1968. Qui si ammira un’imponente videoinstallazione i cui monitor lasciano scorre un flusso incessante di acqua elettronica. Accanto al monumentale video ammiriamo alcune migliaia di carte, con i disegni e gli schizzi dello stesso Plessi che rimandano a tutti i progetti, le idee e le proposte che l’artista ha inseguito e realizzato negli anni inerenti questo elemento primordiale. Acqua e video nell’artista trovano un punto di convergenza: fluidi e instabili, mobili e variabili, danno una parallela suggestione, metafora dell’inarrestabile correre del pensiero e dell’intuizione dell’uomo. [Matteo Galbiati]
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Plessi in Venice Plessi liquid life. Il flusso della memoria 1000 progetti a cura di Marco Tonelli organizzata da Polo Museale del Veneto in collaborazione con Fondazione Alberto Peruzzo col patrocinio di Consiglio Regionale Veneto, Venice to Expo 2015, Expo 2015, Padiglione Italia Expo 2015 6 maggio – 22 novembre 2015 Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro Cannaregio 3932, Venezia (altra sede: Plessi. Liquid life, Tesa 94 di San Cristoforo, Arsenale) Orari: lunedì 8.15–14.00, da martedì a domenica 8.15–19.15 (la biglietteria chiude 30 minuti prima) Ingresso intero €10.00; ridotto €7.00 Info: www.cadoro.org www.fondazionealbertoperuzzo.it
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Itinerario #3
santa croce
A B
A. Palazzo Soranzo Cappello B. Museo di Palazzo Mocenigo C. Ca’ Pesaro 18
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Roberto Sebastian Matta. Sculture Nel giardino di Palazzo Soranzo Cappello s’incontrano, riunite in un conturbante progetto di mostra, le figure totemiche di Roberto Sebastian Matta (1901-2002). Qui troviamo una serie di sculture che riportano lo sguardo a visioni che, da uno stretto rapporto con la presente realtà che raccontano, si connettono al contempo con le radici di una storia antica. Queste presenze scavano nel profondo della nostra immaginazione e ci presentano idoli di mitologie primitive, divinità che affiorano alla memoria da un trascorso la cui forza ancor oggi forgia i nostri pensieri. Queste forme ristabiliscono, ai nostri occhi, un legame con un passato lontano che, intimamente, ancora ci appartiene, ci determina e condiziona. [Matteo Galbiati] Roberto Sebastian Matta. Sculture 56. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia Evento Collaterale
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commissario Franco Calarota a cura di Flaminio Gualdoni comitato scientifico Antonella Ranaldi, Claudia Salaris, Roberta Perazzini, Alessia Calarota, Giuseppe Rallo collaboratori Francesca Monti, Mario Schiassi con il supporto di Sopraintendenza BAP Veneto Orientale – MiBACT e Galleria d’Arte Maggiore organizzazione Fondazione Echaurren Salaris e Galleria d’Arte Maggiore di Bologna 9 maggio – 15 ottobre 2015 Giardino di Palazzo Soranzo Cappello Venezia Orari: 10.00-18.00, chiuso il lunedì Ingresso libero Info: www.maggioregam.com/56Biennale_Matta
Roberto Sebastian Matta. Sculture, Giardino di Palazzo Soranzo Cappello, Venezia A sinistra: Roberto Sebastian Matta, Sea Wake, 1991 bronzo, 151x26x18 cm Courtesy: Galleria d’Arte Maggiore G.A.M., Bologna
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Miniartextil. Gea Non poteva non essere ospitata a Palazzo Mocenigo, sede del Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume, la mostra Miniartextil Gea che porta nel museo veneziano la testimonianza dell’arte tessile la quale, variamente interpretata da artisti contemporanei provenienti da 46 nazioni, in quest’occasione si propone proprio attraverso una riflessione sulla Terra. Con un corollario di tecniche, espedienti e ritrovati, che sovvertono e interpretano materiali differenti, 54 “minitessili” esposti leggono e raccontano questo intrigante tema. Intrecci e tramature portano attenzione su ricerche ed esperienze non così diffuse nella conoscenza del pubblico, le quali, grazie a Miniartextil, manifestazione unica nel suo genere in Europa, stanno acquisendo un notevole riscontro e ammirazione sempre più crescenti. La mostra coinvolge altre due realtà veneziane come il Museo del Vetro di Murano e il Museo del Merletto di Burano. [Matteo Galbiati] Miniartextil. Gea XXIV Mostra Internazionale d’Arte Tessile Contemporanea dedicata a Maria Lai Evento parallelo a cura di Luciano Caramel organizzata da Associazione Arte&Arte (Como) coordinamento Chiara Squarcina progetto espositivo Mimmo Todaro 5 giugno – 30 agosto 2015 Palazzo Mocenigo Santa Croce 1992, Venezia Orari: dal 1 novembre al 31 marzo ore 10.0016.00 (biglietteria ore 10.00-15.30); dal 1 aprile al 31 ottobre ore 10.00-17.00 (biglietteria ore 10.00-16.30); chiuso il lunedì, 25 dicembre, 1 gennaio e 1 maggio Ingresso intero €8.00; ridotto €5.50 Info: +39 041 721798 mocenigo@fmcvenezia.it www.mocenigo.visitmuve.it
Dall’alto: Susanna Fiori, Pia Madre, stoffe cucite Uta Arnhardt, Shield, frammenti di foglie di palma, filo, legno 20
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Cy Twombly. Paradise Quasi in aperto dialogo con le opere della collezione di Ca’ Pesaro possiamo ammirare una raccolta, selezionata con cura, di affascinanti e suggestivi capolavori dell’artista Cy Twombly (1928-2001) che, in Paradise, viene letto in tutta la sua elegante ed intelligente sensibilità. La voce del suo astrattismo si traduce in un linguaggio che in lui diventa individuale e personalissimo, sempre aperto ad accogliere le suggestioni e le commistioni con altre esperienze artistiche e mai vincolato entro un rigore algido, freddo e programmatico. Nel grafismo di Cy Twombly l’arte sconfina con la letteratura, con la scrittura, la filosofia… ad ampliare l’orizzonte culturale di un pensiero che sa legare espressività immediate e spontanee con gli spunti di una riflessione interiore profondamente meditata. [Matteo Galbiati] Cy Twombly. Paradise Evento parallelo a cura di Julie Sylvester e Philip Larratt-Smith
coordinamento scientifico Gabriella Belli progetto di allestimento Daniela Ferretti in collaborazione con Cy Twombly Foundation con il supporto di Gagosian Gallery 6 maggio – 13 settembre Galleria Nazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro Santa Croce 2076, Venezia Orari: 10.00-18.00, chiuso il lunedì Ingresso intero €10.00, ridotto €7.50 Info: 848082000 www.capesaro.visitmuve.it
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Per tutte le immagini: Cy Twombly. Paradise, allestimento Ca’ Pesaro © Cy Twombly Foundation. Foto: Andrea Sarti/CAST1466
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Itinerario #4
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A. Gallerie dell’Accademia B. Palazzo Contarini Polignac C. Palazzo Cini 22
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Mario Merz. Città irreale Dopo la retrospettiva al Castello di Rivoli, alla GAM di Torino e alla Fondazione Merz che nel 2005 omaggiava Mario Merz (1925-2003), allora da poco scomparso, questa mostra alle Gallerie dell’Accademia è il primo progetto a lui dedicato da un’istituzione italiana dopo la sua morte. Negli spazi del piano terra del museo veneziano, il pubblico, attraverso la relazione viva e diretta con opere di grandi dimensioni, ha modo di confrontarsi con il senso e il concetto di spazio che permea, in varie declinazioni, tutta la ricerca dell’artista. Partendo da quelle degli Anni ’60 per arrivare a quelle degli ultimi anni, le opere di questo straordinario protagonista dell’Arte Povera non mancano nemmeno di tessere collegamenti e parallelismi con i capolavori di arte antica conservati nelle collezioni delle Gallerie veneziane. [Matteo Galbiati]
Per tutte le immagini: Mario Merz. Città irreale, veduta della mostra, Gallerie dell’Accademia, Venezia. Courtesy: Fondazione Mario Merz
Mario Merz. Città irreale Evento parallelo a cura di Bartolomeo Pietromarchi con il patrocinio di Expo Milano 2015, Padiglione Italia Expo Milano 2015 in collaborazione con Fondazione Merz organizzazione Mondo Mostre
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8 maggio – 20 settembre 2015 Gallerie dell’Accademia Dorsoduro, Campo della Carità 1050, Venezia Orari: lunedì ore 8.15‐14.00 ; da martedì a domenica ore 8.15‐19.15 ; chiusura della biglietteria ore 18.30 Ingresso (mostra + museo) intero €15.00; ridotto €12.00 Infoline e prevendita: +39 041 5200345 www.gallerieaccademia.org Info: www.fondazionemerz.org www.mondomostre.it
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Dansaekhwa Palazzo Contarini-Polignac ospita una mostra d’importanza storica che, in questo evento collaterale, porta all’attenzione del pubblico della biennale veneziana il movimento coereano Dansaekhwa. Spesso accostato alle tendenze minimaliste e concettuali dell’arte occidentale, la “scuola del bianco”, come letteralmente si usa tradurre la parola coreana, annovera una serie di artisti che, pur accomunati da un principio originario comune e condiviso, individuano specifici temperamenti e filosofie uniche e individuali. Il tono del segno minimo, radicale e raffinato, si riverbera in opere in cui l’inconfondibile matrice orientale riesce a richiamare e connettersi con altre coeve tendenze internazionali. I lavori esposti, che spaziano da opere storiche accanto a realizzazioni recenti, lasciano immergere in un’atmosfera di silenziosa tensione che, nel poco, tocca l’animo del molto. [Matteo Galbiati] Dansaekhwa 56. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia Evento collaterale a cura di Yongwoo Lee organizzato da Fondation Boghossian, Bru-
xelles; Kukje Gallery; Tina Kim Gallery Artisti: Chung Chang-Sup, Chung SangHwa, Ha Chong-Hyun, Kim Whanki, Kwon Young-Woo, Lee Ufan, Park Seo-Bo 8 maggio – 15 agosto 2015 Palazzo Contarini-Polignac Dorsoduro 874, Venezia Orari: tutti i giorni 10.00-18.00, chiuso il lunedì Info: www.venice-dansaekhwa.com
Per tutte le immagini: Dansaekhwa, veduta dell’installazione, 2015. Foto: Fabrice Seixas. Image Provided by Kukje Gallery
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Ettore Spalletti La mostra di Ettore Spalletti (1940) saluta l’apertura del secondo piano della casa-museo di Vittorio Cini che, recentemente restaurato, aggiunge uno spazio destinato ad ospitare mostre temporanee. Nell’omonimo palazzo, quindi, l’intenso e meditativo, quasi ascetico, colore dell’artista abruzzese si distribuisce nelle cinque nuove sale attraverso una serie di lavori che sottolineano la dimensione intima della casa. Opere di repertorio, accanto a lavori inediti e realizzati ad hoc, catturano le variazioni della luce, interpretando quella peculiare sensibilità che Spalletti lascia decantare negli istanti della percezione. Il suo colore, che si sposta e
anima tra la bidimensione pittorica e la voglia di corporea tridimensionalità riscontrabile nelle sculture e nelle installazioni, si rinnova con la purezza di pigmenti che avvolgono e incontrano materiali assai diversi che vanno dalle pietre alla carta per arrivare al metallo. [Matteo Galbiati] Ettore Spalletti Evento parallelo promossa dalla Fondazione Giorgio Cini in collaborazione con ASLC Progetti per l’arte – Verona 25 aprile – 23 agosto 2015 Palazzo Cini Dorsoduro 864, Venezia Orari: dal 25 aprile 2015 tutti i giorni ore 11.00-19.00 (ultimo ingresso 18.15); chiuso il martedì Ingresso intero €10.00; ridotti €8.00 e €5.00; biglietto Guggenheim €7.00; visite guidate €100.00 (massimo 20 persone) Info: +39 041 2710217 palazzocini@cini.it www.palazzocini.it Visite guidate: +30 041 2201215 segreteria@civitatrevenezie.it
Da sinistra: Ettore Spalletti, Leggio, ombra, rosa, 2011 impasto di colore su alabastro, legno laccato, foglia oro, velluto 3 elementi, alabastro cm 5x30x30, scrittoio cm 74x52x58, sedia cm 70x50x50. Foto: Matteo De Fina Ettore Spalletti, I colori si innamorano, 2015 impasto di colore su tavola, 2 elementi, cm 120x120x4 cm cad. Foto: Matteo De Fina
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Itinerario #5
san marco
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A. Museo Correr B. Caffè Florian 26
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Nuova Oggettività Centoquaranta opere tra dipinti, fotografie, disegni e incisioni di quarantatre artisti, molte delle quali poco conosciute sia in Italia che negli Stati Uniti, dove la mostra si trasferirà – al LACMA di Los Angeles – nell’autunno di quest’anno. Una “nuova oggettività” per vedere, allo specchio, una nuova Germania reduce dalle ferite del primo conflitto mondiale. In poco più di un decennio (gli anni della Repubblica di Weimar) ci si prepara all’avvento di Hitler con alle spalle un paesaggio industriale stravolto, la piaga della disoccupazione dilagante e l’emergere nell’arte di un nuovo realismo che colpisce lo sguardo con un “taglio fotografico”. Accanto a figure di primo piano come Dix, Grosz e Schad, nomi meno noti,
tra cui Finsler, Schrimpf, Grossberg e Biermann. [Francesca Di Giorgio]
Nuova Oggettività Arte in Germania al tempo della Repubblica di Weimar 1919-1933 Evento parallelo a cura di Stephanie Barron LACMA, organizzata dal Los Angeles County Museum of Art in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia e con 24 ORE Cultura Gruppo 24 ORE con i contributi della Art Mentor Foundation di Lucerna, Robert Gore Rifkind Foundation, Philippa Calnan, Suzanne Deal Booth, Margo Leavin e Wendy Stark 1 maggio - 30 agosto 2015 Museo Correr - Secondo Piano Piazza San Marco, Venezia Info: www.nuovaoggettivitacorrer.it www.visitmuve.it
Otto Dix (1891-1969), Ritratto dell’avvocato Hugo Simons, 1925 olio e tempera su tavola, cm 100,3x70,3 Montreal Museum of Fine Arts © Otto Dix, by SIAE 2015 – The Montreal Museum of Fine Arts 27
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Jenny Holzer. War Paintings All’interno del ricco percorso delle collezioni del centralissimo Museo Correr si innestano una serie di dipinti, quasi aliene presenze, dell’artista americana Jenny Holzer (1950), il cui contenuto, da lei trascritto in pittura e serigrafia, rimanda a documenti riservati del governo USA i quali, secretati e censurati prima della pubblica diffusione, sono inerenti la guerra al terrorismo internazionale mossa dopo gli eventi dell’11 settembre 2001. Queste opere vogliono spingere ad un’intensa disamina su temi di forte attualità, cui il pubblico non può né deve restare insensibile. La pittura concettuale di Holzer obbliga e spinge il visitatore non solo ad osservare l’opera, ma anche a leggerla, animando un desiderio di sincera verità. [Matteo Galbiati] Jenny Holzer. War Paintings 56. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia Evento collaterale a cura di Thomas Kellein direzione scientifica Gabriella Belli prodotta con il supporto di The Written Art Foundation, Francoforte sul Meno 7 maggio – 22 novembre 2015 Sala delle Quattro Porte Museo Correr Piazza San Marco 52, Venezia Orari: 10.00-19.00 (biglietteria 10.00-18.00) Ingresso intero €18.00; ridotto €11.00 Info: 848082000 info@fmcvenezia.it www.correr.visitmuve.it
Dall’alto: Jenny Holzer, Phase IV Operations pewter, 2007 olio su lino, 200.7 x 259.7 cm Text: U.S. government document © 2007 Jenny Holzer, member Artists Rights Society (ARS), NY Jenny Holzer, In (JIHAD) time, 2014 olio su lino, 147.3x111.8 cm Text: U.S. government document © 2014 Jenny Holzer, member Artists Rights Society (ARS), NY
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alla circolarità della storia, fino al bestiario di Palazzo Franchetti che traduce nel vetro miti e leggende appartenenti a diverse civiltà, in un teatro di luci e di ombre. [Chiara Serri] Qiu Zhijie. So, we’ll go no more a roving A cura di Stefano Stipitivich Caffè Florian Piazza San Marco, Venezia 7 maggio – 31 agosto 2015 www.caffeflorian.com
Qiu Zhijie: arte totale
Dall’alto: Qiu Zhijie, installazione opera So, we’ll go no more a roving, 2015, Caffè Florian, Venezia. Foto: Zhu Handong Qiu Zhijie, So, we’ll go no more a roving, 2015, Caffè Florian, Venezia. Foto: Marc de Tollenaere
Per Qiu Zhijie, artista cinese classe 1969, fare arte significa affrontare i problemi della vita e della società. Dopo la mostra italiana alla Fondazione Querini Stampalia (2013), torna a Venezia con tre diversi progetti, accomunati da un dialogo intimo con i luoghi e le culture. Storie stratificate che si articolano nello spazio e nel tempo: dalle superfici specchianti del Caffè Florian, sulle quali corrono frasi di frequentatori illustri come Byron ed Hemingway, all’invito di Okwui Enwezor alle Corderie dell’Arsenale con un’opera d’arte totale – pittura, fotografia, video, installazione, performance – dedicata
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All The World’s Futures a cura di Okwui Enwezor Corderie dell’Arsenale, Venezia 9 maggio - 22 novembre 2015 www.labiennale.org Glasstress 2015 Gotika a cura di Dimitri Ozerkov e Adriano Berengo Palazzo Franchetti / Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti Campo S. Stefano 2847, Venezia Fondazione Berengo / Spazio espositivo in Campiello della Pescheria Murano, Venezia 9 maggio - 22 novembre 2015 www.glasstress.org
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Itinerario #6
san marco
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A. Palazzo Fortuny B. Palazzo Benzon C. Palazzo Barbarigo Minotto 30
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Proportio Si aggiunge un altro importante capitolo al ciclo di mostre organizzate nella casa-museo dello studioso e pittore spagnolo Mariano Fortuny. Proportio, arriva, in ordine di tempo, dopo Artempo (2007), In-finitum (2009), TRA (2011) e Tàpies. Lo Sguardo dell’artista. Proporzione, ordine, rigore, potrebbero sembrare concetti scontati e sottintesi, e a volte respingenti, per un approccio “caldo” ad una mostra che conta più di 100 artisti che hanno vissuto e vivono epoche diversissime tra loro. Non è così. Se è vero che nel “dialogo contemporaneo attorno alla conoscenza perduta delle proporzioni e della geometria sacra” (questo in sintesi l’obiettivo del progetto) qualcosa sfugge, mettiamo il nostro “filtro” che permette di vedere artisti, scienziati architetti e filosofi come artefici di un’”armonia” che interroga l’universo. [Francesca Di Giorgio] Proportio Evento parallelo A cura di Axel Vervoordt e Daniela Ferretti Artisti: Marina Abramovic, Carla Accardi, Josef Albers, Carl Andre, Rodolfo Aricò, Ida Bar-
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barigo, Massimo Bartolini, Domenico Bianchi, Cristiano Bianchin, Alberto Biasi, Bae Bien-U, Alighiero Boetti, Otto Boll, Agostino Bonalumi, Michael Borremans, Sandro Botticelli, Lucia Bru, Markus Brunetti, Jean-Marie Bytebier, Pierpaolo Calzolari, Francesco Candeloro, Antonio Canova, Vincenzo Castella, Eduardo Chillida, Chang-Sup Chung, Niccolò Codazzi, Viviano Codazzi, Gianni Colombo, Dadamaino, Hanne Darboven, Berlinde De Bruyckere, Raoul De Keyser, Riccardo De Marchi, Marta Dell’Angelo, Gabriele Devecchi, Maurizio Donzelli, Jan Dries, Arthur Duff, Luciano Fabro, Philippe Favier, Giorgia Fiorio, Henri Foucault, Anne-Karin Furunes, Alberto Giacometti, Ando Gilardi, Fernanda Gomes, Antony Gormley, Kees Goudzwaard, Gotthard Graubner, Aldo Grazzi, Franco Guerzoni, Chong Hyun Ha, Erwin Heerich, Samantha Holmes, Sadaharu Horio, Akiko Horio, Ryoji Ikeda, Norio Imai, Robert Indiana, Ann Veronica Janssens, Francesco Jodice, Ilya et Emilia Kabakov, Anish Kapoor, Ellsworth Kelly, William Kentridge, Anselm Kiefer, Kimsooja, Harry Kivijärvi, Susan Kleinberg, Wolfgang Laib, Edoardo Landi, Le Corbusier, Sol Lewitt, Richard Long, Nino Longobardi, Heinz Mack, Brice Marden, Agnes Martin, Christian Megert, Richard Meier, Fausto Melotti, Marisa Merz, Mario Merz, Amedeo Modigliani, Giorgio Morandi, François Morellet, Shuji Mukai, Rei Naito, Yuko Nasaka, Shirin Neshat, Louise Nevelson, Ben Nicholson, Renato Nicolodi,
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Mario Nigro, Gioberto Noro, Hans Op de Beeck, Marie Orensanz, Mimmo Paladino, Pablo Palazuelo, Izhar Patkin, Masaomi Raku, Kurt Ralske, Robert Ryman, Lucio Saffaro, Fred Sandback, Giuseppe Santomaso, Tomás Saraceno, MariaTeresa Sartori, Stéphane Sautour, Nobuo Sekine, Conrad Shawcross, Yasuhiro Shimakawa, Kazuo Shiraga, Gabriel Sierra, David Simpson, Bosco Sodi, Ettore Spalletti, Dominique Stroobant, Takis, Antoni Tàpies, Marco Tirelli, Gunther Uecker, Camiel Van Breedam, Koen Van den Broek, Dom Hans Van der Laan, Koen Vanmechelen, Grazia Varisco, Victor Vasarely, Jef Verheyen, Nanda Vigo, Bill Viola, Rachel Whiteread, Maaria Wirkkala, Hyong-Keun Yun, Gianfranco Zappettini, Raphaël Zarka. Organizzata da Fondazione Axel e May Vervoordt e la Fondazione Musei Civici di Venezia 9 maggio - 22 novembre 2015 Palazzo Fortuny San Marco 3780 - San Beneto, 30124, Venezia Info: fortuny.visitmuve.it www.proportiovenice.com Antony Gormley, Grill, 2014 Mezzanine, Palazzo Fortuny. © Jean-Pierre Gabriel
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sa, all’insegna di una riunificazione che guarda con fiducia ad un futuro di reciproche, possibili, collaborazioni tra i rispettivi popoli. [Matteo Galbiati]
My East is Your West Gli artisti Shilpa Gupta e Rashid Rana riuniscono sotto uno stesso tetto due nazioni storicamente in aperto contrasto come le loro – l’India e il Pakistan – che, per la prima volta nella storia della Biennale, vengono presentate insieme in un unico spazio espositivo e all’interno dello stesso progetto. Con My East is your West, titolo omonimo di un’opera di Gupta, si evidenzia come con il linguaggio universale dell’arte si riescano ad oltrepassare i confini politici e ideologici a dimostrazione di quanto sia ben differente la reale geografia culturale. Pensando a concetti come la posizione, il tempo, la dislocazione, la divisione e l’identità, personale e collettiva, i nuovi lavori, le installazioni site-specific, i video e le performance di Gupta e Rana mettono in luce lo straordinario potenziale di questa piattaforma comune e condivi-
My East is Your West 56. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia Evento collaterale a cura di Feroze Gujral, direttore Gujral Foundation consulente alla curatela e curatore programmi pubblici Natasha Ginwala fondazione partner in Italia Martina Mazzotta, Fondazione Antonio Mazzotta Artisti: Shilpa Gupta (Mumbai) e Rashid Rana (Lahore) 6 maggio – 1 ottobre 2015 Palazzo Benzon Calle Benzon, San Marco, Venezia Orari: da martedì a domenica ore 10.00-18.00 Info: www.gujralfoundation.org
Dall’alto: Shilpa Gupta, Untitled, 2014-15 Foto: Mark Blower Rashid Rana, War within II, 2013-14 Foto: Mark Blower 32
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Palazzo Barbarigo Minotto Fondamenta Duodo o Barbarigo, San Marco 2504, Venezia
ITALIA DOCET | Laboratorium
Info: www.laboratorium-venice2015.org www.i-amfoundation.org
16 imponenti tele realizzate appositamente da altrettanti artisti internazionali, ognuna delle quale interpreta un frammento della famosa opera rinascimentale la Scuola di Atene di Raffaello Sanzio, il cui cartone è conservato presso la Pinacoteca ambrosiana. Un progetto intelligente e corale, in cui ognuno degli artisti – coadiuvati da Federico Guida – ha potuto allontanarsi dal proprio riferimento dimostrando la propria cifra stilistica e le proprie doti interpretative. L’intento finale sembra aver centrato l’obiettivo: «parlare al presente del futuro», come è stato affermato dall’ideatore Leonardo Rotatori, presidente dell’Italian Art Motherboard Foundation. Tutto questo è Italia Docet | Laboratorium, che non poteva che nascere dal cuore della città che più delle altre è stata il simbolo della cultura d’impresa novecentesca, Milano. L’opera di Raffaello rappresenta un dialogo fra i più celebri filosofi e matematici dell’epoca dei lumi, che viene attualizzato nel contemporaneo sostituendo i volti con i ritratti della moderna imprenditoria, che si è fatta avanti per trovare posto nell’opera degli artisti. La mostra – una delle proposte italiane più interessanti dell’ultima Biennale di Venezia, di cui è evento collaterale – diviene così monumento che incita più che celebrare mostrando il volto di coloro che non piangono sulla crisi ma cercano gli strumenti per superarla; per questo l’esposizione, dopo aver fatto bella mostra di sé alla kermesse più importante del mondo, diverrà itinerante spostandosi non solo attraverso gli spazi d’arte ma anche in sedi, per così dire, “civili”. [Viviana Siviero] Italia Docet | Laboratorium Artists, Participants, Testimonials and Activated Spectators a cura di Leonardo Rotatori Artisti: Revati Sharma Singh, Chidi Kwubiri, Edosa Ogiugo, Kolade Oshinowo, Sam Ovraiti, Agostino Arrivabene, Vanni Cuoghi, Pierpaolo Curti, Ilaria Del Monte, Fulvio Di Piazza, Fabrizio Dusi, Tamara Ferioli, Federico Guida, Alessandro Papetti, Simone Pellegrini, Dany Vescovi, Roberto Coda Zabetta 9 maggio - 2 agosto 2015 11 settembre - 31 ottobre 2015
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Vanni Cuoghi, Librato Blue, 2015, acrilico, pastello e biacca su carta montata su tavola, cm 190x210
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Itinerario #7
san marco
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A. Palazzo Cavalli-Franchetti B. Palazzo Falier C. Palazzo Ducale 34
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Glasstress 2015. Gotika Al motto di “Glassblowing is hot... Glasstress is cool” per il settimo anno torna il progetto Glasstress che, nella città del vetro, mette alla prova le caratteristiche di un medium tradizionale e i maestri vetrai della Fornace Berengo di Murano con la sperimentazione di artisti contemporanei internazionali. Gotika è il tema di questa edizione: un centinaio di opere d’arte medioevale in vetro e altri oggetti dell’epoca, appartenenti alle collezioni dell’Ermitage e ai Musei Riserva Statale di Pavlovsk e di Peterhoff dialogano, all’interno del “gotico” Palazzo Franchetti, con opere create dagli artisti pensando al “gotico” come stile, linguaggio comune, che si rinnova e trova interessanti parallelismi e similitudini tra il Medioevo e il nostro tempo. [Francesca Di Giorgio] Glasstress 2015. Gotika 56. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia Evento collaterale a cura di Dimitri Ozerkov e Adriano Berengo
Glasstress 2015. Gotika, veduta dell’installazione, Sala di Palazzo Franchetti. Foto: Francesco Allegretto
Artisti: Adel Abidin, Alicja Kwade, Aslan Gaisumov, Ayman Baalbaki, Bart Dorsa, Benoit Sokal (Syberia Saga), Bernar Venet, Diana Al-Hadid, Elmar Trenkwalder, Erdag Aksel, Ernst Billgren, Erwin Wurm, Hans Op de Beeck, Hila Amram, Ilya & Emilia
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Kabakov, Ivan Plusch, Iyvone Khoo, Jake & Dinos Chapman, Jaume Plensa, Joana Vasconcelos, Johan Creten, Kaneuji Teppei, Kate MccGwire, Koen Vanmechelen, Kris Lemsalu, Leonardo Cimolin, Liu Jianhua, Lucy Orta, Maria Grazia Rosin, Mariyo Yagi, Mat Collishaw, Michael Joo, Mimmo Paladino, Olafur Eliasson, Olga Treivas, Oliver Clegg, Pascale Marthine Tayou, Penny Byrne, Petah Coyne, Qiu Zhijie, Recycle Group, Song Dong, Studio Drift, Tanatos Banionis, Thomas Lerooy, Tomáš Libertíny, Tony Cragg, Wael Shawky, Wim Delvoye, Yaşam Şaşmazer, Yin Xiuzhen, Yuichi Higashionna, Zhang Huan Evento promosso e organizzato da: Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo (Russia), Berengo Studio e Fondazione Berengo Sedi: Palazzo Franchetti / Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Campo Santo Stefano, 2847 Fondazione Berengo / Spazio espositivo in Campiello della Pescheria, Murano 9 maggio - 22 novembre 2015 Info: www.glasstress.org www.hermitagemuseum.org www.berengo.com
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Sean Scully. Land Sea Il decano dell’arte astratta Sean Scully (Dublino, 1945), settantanni celebrati proprio quest’estate con una monografia edita da Hatje Cantz (Bricklayer of the Soul), è a Palazzo Falier, con una mostra di lavori recenti tra inediti e opere realizzate ad hoc. Colore, luce e brillantezza creano un contatto immediato con la città di Venezia. Lo stesso Scully racconta che Landline, la serie composta da opere di grandi dimensioni, dove larghe fasce orizzontali di colore blu, grigio e verde si sovrappongono come a creare il movimento dell’acqua, sono realizzate concentrandosi sui ricordi di viaggio che lo portano spesso dal suo studio a sud di Monaco di Baviera fino a Venezia. [Francesca Di Giorgio] Sean Scully. Land Sea 56. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia Evento collaterale
a cura di Danilo Eccher supporter Fondazione Volume! 9 maggio - 22 novembre 2015 Palazzo Falier Grand Canal, San Marco 2909 Calle Vitturi & Falier 30124, Venezia Info: www.seanscullyvenice.com
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Per tutte le immagini: Sean Scully. Land Sea, 2015, veduta dell’installazione a Palazzo Falier, Venezia
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www.espoarte.net Vedute della mostra Herri Rosseau. Il candore arcaico, Palazzo Ducale, Venezia. Foto: Fabrizio Stipari / 24OreCultura
Mostra prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE 6 marzo – 6 settembre 2015
Henri Rousseau: il candore arcaico della pittura Dopo le esposizioni alla National Gallery di Washington, al Grand Palais di Parigi e alla Fondazione Beyeler di Basilea, anche l’Italia celebra Henri Rousseau (Laval, 1844 – Parigi, 1910) con una grande mostra al Palazzo Ducale di Venezia. Tutti i capolavori dell’artista – da La Guerra (1894 circa) a L’incantatrice di serpenti (1907) – in un percorso tematico che, tra opere autografe, lavori di amici (tra i tanti, Picasso, Kandinsky, Delaunay) e di maestri storicizzati, si pone l’obiettivo di togliere definitivamente al Doganiere l’etichetta di pittore naïf, ricollocandolo all’interno della cultura figurativa fin de siècle, in stretto rapporto con le Avanguardie. Una stagione creativa breve ma intensa, 1885 – 1910, documentata da giungle oniriche, ritratti, nature morte e paesaggi bucolici. [Chiara Serri]
Appartamento del Doge Palazzo Ducale San Marco 1, Venezia Orari: da domenica a giovedì 9.00-19.00; venerdì e sabato 9.00-20.00 (la biglietteria chiude un’ora prima). Venerdì 19 giugno 2015 chiusura anticipata alle 17.30. Ingresso intero €13.00; ridotto €11.00 Info: +39 041 0988169 www.mostrarousseau.it www.palazzoducale.visitmuve.it www.visitmuve.it www.ticket.it/rousseau
Henri Rousseau. Il candore arcaico Commissari: Gabriella Belli e Guy Cogeval A cura di Laurence des Cars e Claire Bernardi Con la collaborazione di Elisabetta Barisoni 6 marzo – 6 settembre 2015 Con la collaborazione di Musée d’Orsay e Musée de l’Orangerie (Parigi) Con il patrocinio di Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna
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Itinerario #8
dorsoduro
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A. Officina delle Zattere B. Abbazia di San Gregorio 38
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Padiglione Grenada. Present Nearness Tra i cinque Paesi presenti per la prima volta in Biennale, insieme a Mauritius, Mongolia, Repubblica del Mozambico e Repubblica delle Seychelles, Grenada è il secondo più piccolo stato indipendente del continente americano, nel mar dei Caraibi sudorientale. Present Nearness (“vicinanza presente”), il titolo-tema scelto per il Padiglione, si relaziona in
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maniera stretta con il “sistema” di filtri suggerito da Okwui Enwezor curatore della 56. Biennale di Venezia. Il “mondo disordinato” a cui si riferiscono i sette artisti invitati (di cui tre italiani) può essere un omaggio alle vittime cadute a causa del terrorismo nel lavoro di Susan Mains (co-curatrice del Padiglione), una riflessione critica sul futuro dei bambini (il Topolino gigante al centro della Sala Tiziano di Giuseppe Linardi), un riferimento diretto ad uno dei maggiori prodotti agricoli del Grenada: il cacao nell’installazione di video e dipinti di Asher Mains “Cocoa Farmers Portrait”, a cui si ricollega anche la pacata scena da caffè dipinta da Carmine Ciccarini. [Francesca Di Giorgio]
Padiglione Grenada. Present Nearness 56. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia Commissario: Ministero della Cultura di Grenada Curatori: Susan Mains, Francesco Elisei Artisti: Oliver Benoit, Asher Main, Maria McClafferty, Carmine Ciccarini, Giuseppe Linardi, Francesco Bosso, Susan Mains 9 maggio - 22 novembre 2015 Officina delle Zattere, Sala Tiziano - Opera don Orione Artigianelli Fondamenta delle Zattere ai Gesuati, Dorsoduro, Venezia Info:+39 041 5234348 info@arteeventi.com www.officinadellezattere.it http://grenadavenice.org/
Vedute del Padiglione Grenada 2015, Present Nearness, Officina delle Zattere
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Padiglione Guatemala. Sweet Death Dopo una lunga assenza, l’ultima comparsa in Biennale è del 1954, torna il Guatemala a Venezia, con un suo Padiglione Nazionale e con un indirizzo curatoriale voluto da Daniele Radini Tedeschi. Rispetto al tema principale di All the World’s Futures di Enwezor l’idea di una Sweet Death (“dolce morte”) questo il tema della mostra, desta una certa curiosità come augurio per “l’ultimo futuro del mondo”. Filo conduttore è, non a caso, “l’ultima dimora” dei guatemaltechi, il cimitero di Chichicastenago, che esorcizza la morte con uno “scenario” tra lapidi coloratissime. L’allestimento della mostra rispecchia questa visione teatrale e cinematografica dagli immediati rimandi a “Morte a Venezia” del film di Visconti (tratto da libro di Mann). Come scrive il curatore: «Venezia così diviene la scenografia perfetta per questo paesaggio dell’anima, commistione tra gusto Rococò, carnevalesco e festoso, fuso assieme ad un senso di melodramma solenne. L’inseguimento di una Bellezza, evocata tramite immagini contraddittorie e spesso vistose, è come il belletto, un palliativo grottesco e visibile, incapace di nascondere la morte». [Francesca Di Giorgio] Padiglione Guatemala. Sweet Death 56. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia Commissario: Daniele Radini Tedeschi
Curatori: Carlo Marraffa, Stefania Pieralice, Elsie Wunderlich. Curatori aggiunti: Luciano Carini, Simone Pieralice
Padiglione Guatemala, Sweet Death, Sala Smeraldo, installazione ambientale di autori vari, 2015
Artisti: Sabrina Bertolelli, Mariadolores Castellanos, Max Leiva, Pier Domenico Magri, Adriana Montalto, Elmar Rojas (Elmar René Rojas Azurdia), Paolo Schmidlin, Mónica Serra, Elsie Wunderlich, Collettivo La Grande Bouffe 9 maggio – 22 novembre 2015 Officina delle Zattere Fondamenta Nani, Dorsoduro 947, Venezia Info: +39 328 05 80 403 (segreteria organizzativa) / +39 041 5234348 info@arteeventi.com www.officinadellezattere.it biennaleguatemala@gmail.com www.biennaleguatemala.com
Padiglione Guatemala, Sweet Death, Sala Ossidiana, installazione ambientale di autori vari, 2015 40
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Becoming Marni e le sculture organiche di Véio Becoming Marni è l’evento sviluppato in occasione del 20° anniversario di Marni che occupa, fino al 22 novembre, i suggestivi spazi dell’Abbazia di San Gregorio a Venezia, solitamente chiusi al pubblico. Ospite d’onore è l’artista brasiliano autodidatta Véio, con un’installazione site-specific che si compone di cento sculture in legno, distribuite nel chiostro e all’interno dei locali dell’Abbazia a disegnare un paesaggio ideale di forme organiche. L’azienda Marni, da sempre interessata alla qualità pura e al fascino vitale della Outsider Art, ha trovato nell’opera di Véio – per far sì che il progetto dialogasse con il tema della 56. Biennale Arte, Tutti i futuri del mondo – una comunanza di linguaggio. Così le caratteristiche principali del brand – l’uso audace del colore, la contaminazione dei materiali e la giustapposizione giocosa di motivi – trasformano il linguaggio e spostano i punti di riferimento per scoprire mutevoli possibilità. Nel caso dell’evento veneziano, l’artista rappresenta un mondo ideale, uno scenario che potrebbe appartenere al futuro. Con Becoming Marni, l’identità prismatica Marni si esprime attraverso l’incontro e il dialogo con una forma unica di creatività. Pur radicalmente distanti per provenienza geografica e cultura di appartenenza, Marni e Véio condividono infatti approccio e linguaggio. Entrambi esplorano il potere della trasformazione e ricercano la presenza assertiva della forma pura. Le sculture sono così installate in diversi gruppi, in interni ed esterni, e la loro presenza segnata da un percorso tattile del colore delle acque di Venezia, tracciato sul pavimento, la cui superficie irregolare e a tratti traslucida vuole creare continuità tra l’esterno e l’interno. [Livia Savorelli] Becoming Marni mostra in collaborazione con l’artista brasiliano Véio in occasione del 20. anniversario di Marni 9 maggio - 22 novembre 2015 Abbazia di San Gregorio Dorsoduro 172, Venezia Info: www.marni.com/experience/it/event/becoming-marni/
Becoming Marni, veduta della mostra, Abbazia di San Gregorio, 2015
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Padiglione Italia: suoni e immagini di una scomposta perfezione mnestica VENEZIA | Padiglione Italia | 56. Esposizione Internazionale d’Arte | 9 maggio – 22 novembre 2015 Intervista a CLAUDIO ROCCHETTI di Corinna Conci
La memoria è una vera e propria attività di ricostruzione: i ricordi sono pezzi che cambiano forma piuttosto che registrazioni oggettive dei vissuti. La traduzione di dati sensoriali diventa una rappresentazione interna che si deposita in un fascicolo personale prezioso, una matrice che ci permette di pensare e agire. Questa complicata capacità è in continua corrispondenza con le emozioni che permettono la costruzione della coscienza di noi stessi, fondamentale per la nostra identità. Senza memoria non siamo niente. 56. Biennale di Venezia, Padiglione Italia: l’installazione multischermo dell’artista italoamericano Aldo Tambellini si presenta insieme alle musiche di Claudio Rocchetti, in collaborazione con Andrea Belfi. L’estetica dell’opera fa ripensare ad una continua rielaborazione di contenuti, il metodo con il quale vengono codificati i materiali acustici e visivi/spaziali nella nostra “Memoria di Lavoro” (Baddeley, 1986). Durante la vita i nostri ricordi vengono modificati in modo personale, si aggiungono particolari vividi e ritagli non considerati importanti si eliminano: rimangono frammenti che la nostra mente cerca di far coincidere seguendo una coerenza nascosta.
L’opera “Study of International Shapes and Outward Manifestation” (2015) materializza plichi di fogli mnestici, svelando come appunti apparentemente selezionati a random generano forme visive e sonore fluide, connesse, perfette come quelle che costituiscono i vissuti individuali. Come è avvenuto l’incontro con una personalità artistica del calibro di Tambellini? Il contatto con Aldo Tambellini è avvenuto grazie ad Atelier Impopulaire (http://atelierimpopulaire.tumblr.com). Con loro ho già lavorato in passato, per esempio a Roma per Codalunga di Nico Vascellari abbiamo presentato un lavoro chiamato There is someone inside this cell. I would rather not talk about it incentrato su un testo di Blanchot. Lavorano e sono in contatto con Tambellini da diversi anni e quando è arrivato il momento di pensare al lavoro per la Biennale l’idea era quella di connettere il lavoro di Aldo con artisti che fossero accostabili alla sua ricerca ma di un’altra generazione.
Claudio Rocchetti
Come si è svolta la vostra collaborazione e come ti sei trovato ad interagire con il suo materiale?
Aldo Tambellini, Study of Internal Shapes and Outward Manifestations, 2015, installazione multischermo, HD, colore, son., 10’. Partitura sonora Belfi, Rocchetti, Ambrosio 1.1-7
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In effetti se devo pensare ad una versione visuale del mio lavoro la connessione con Tambellini è immediata. Lo stesso vale per Andrea Belfi, abbiamo già collaborato e suonato insieme in passato e, seppur con sostanziali differenze, credo che la nostra ricerca abbia delle solide basi comuni: stratificazione, confronto analogico/digitale e acusmatico/strumentale. Abbiamo usato come base di partenza alcuni suoni fornitici da Aldo e alcuni frammenti audio presi dai suoi lavori degli anni ’60. In seguito abbiamo aggiunto parti percussive e di synth, lavorando molto sulla spazialità e su una sorta di narrativa interna al pezzo. Mi sembra di capire che la costruzione della parte acustica dell’opera sia avvenuta in un processo di azione e retroazione: i suoni di archivio dell’artista sono stati input di base ai quali tu e Belfi avete risposto con composizioni ad hoc. Ci vuoi raccontare qualcosa in più rispetto a questo processo creativo? Esatto, è stato un dialogo a distanza, sia spaziale che temporale. Con suoni d’archivio che dialogavano con improvvisazioni live o con il nuovo lavoro in studio. Incorporare le nuove sonorità è stato un processo naturale, Aldo a modo suo è stato un avanguardista anche a livello audio. Alcune “colonne sonore” dei suoi video sono assolutamente in linea con le sperimentazioni sue contemporanee, che sono uno
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dei punti di riferimento sia miei che di Andrea Belfi. Esistono tre differenti versioni del pezzo, abbiamo scelto la versione con meno riferimenti diretti ai suoni originali. Hai dichiarato prima che senti le opere di Tambellini come la “versione visuale del tuo lavoro”. Potresti raccontarci qualcosa in più di questa rara sinergia? Credo si tratti di una sedimentazione. Le immagini si depositano e accumulano una sull’altra come i suoni si affiancano e sommano. L’aspetto che ci accomuna di più probabilmente è il sapore analogico di base dei lavori ed una certa “semplicità” di mezzi. Entrambi catturiamo porzioni di memoria e le lasciamo sedimentare una sull’altra creando nuove narrazioni.
Codice Italia a cura di Vincenzo Trione 9 maggio – 22 novembre 2015 Padiglione Italia 56. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia Arsenale, Tese delle Vergini, Venezia Info: www.codiceitalia2015.com
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Aldo Tambellini, Study of Internal Shapes and Outward Manifestations, 2015, installazione multischermo, HD, colore, son., 10’. Partitura sonora Belfi, Rocchetti, Ambrosio 1.1-7
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Francesco Bosso Oltre la “bellezza” e il “disordine” VENEZIA | Padiglione Grenada | 56. Esposizione Internazionale d’Arte | 9 maggio – 22 novembre 2015 Intervista a FRANCESCO BOSSO di Francesca Di Giorgio
Sulla “vena” dei grandi della fotografia americana come Edward e Brett Weston, Francesco Bosso (Barletta, 1959), che ha lavorato negli Stati Uniti con John Sexton e Alan Ross – assistenti di Ansel Adams – interpreta il paesaggio e la natura primitiva mediata da un bianco e nero “profondo”, nei valori tonali e nei contrasti, e “pulito” nei bianchi, preferendo i grandi formati e sperimentando processi di sviluppo e stampa tradizionali. La tecnica racconta molto della dimensione “minimal” e silenziosa dei luoghi che Bosso fotografa soprattutto nelle serie più recenti, dopo
un passato trascorso in Africa e in Cina con un “taglio” da reportage etnico ed antropologico. A Venezia, Arrays (Hawaii, 2015), presentata per il Padiglione Nazionale di Grenada – il secondo più piccolo stato indipendente del continente americano, nel mar dei Caraibi sudorientale, alla sua prima partecipazione in Biennale – sintetizza la direzione della sua ultima ricerca su cui, sempre a Venezia, negli spazi del Centro Culturale Candiani, si è concentrata anche la monografica The beauty between order and disorder a cura di Walter Guadagnini, una mostra (conclusa a fine giugno) che spazia tra l’evolu-
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zione più recente degli scatti di Bosso in oltre 60 lavori… La scelta del bianco e nero in fotografia permette di comprendere una “filosofia” e un modo di vedere il mondo… Puoi raccontarci il tuo? L’espressività del bianco e nero coincide con la visione minimalista del mio approccio all’immagine. Ho studiato a lungo le tecniche della fotografia in bianco e nero in quell’humus straordinario del South West americano dove sono stato contaminato dall’interesse nel medium
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fotografico attraverso le visioni di grandi maestri e grandi fotografi. L’esclusione del colore per me non è una limitazione, ma un modo per concentrare su pochi elementi e in estrema sintesi il concetto visuale che si pone alla mia attenzione, una distillazione dell’immagine. Cosa comunica invece la scelta dei luoghi che ami fotografare? Nelle mie intenzioni un’atmosfera, capace di immergere l’osservatore in una dimensione fuori dallo spazio/tempo e consentire, anche solo per un attimo, di emozionarsi. Walter Guadagnini, sul tuo lavoro scrive di una “espressione che ragiona in modo pittorico”. Si può parlare di un confronto diretto con la pittura di paesaggio e la “corrente” romantica con un filtro contemporaneo? Come ti relazioni a questi importanti riferimenti? Direi che l’influenza “classica” dell’Arte in genere ha contribuito a delineare il mio stile. Senza le futili parodie e stravaganze della fotografia d’Avanguardia, la mia ricerca espressiva va verso la definizione di un Paesaggio contemporaneo che esula dalla visualità frontale stereotipata andando oltre i codici riconosciuti della Bellezza o del Disordine. L’approccio pittorico è un eccellente riferimento legato anche al mio modus operandi, perché esattamente come un pittore lavoro sull’opera per giorni o anche settimane fino a che non è compiuta! Ci parli dell’opera che hai scelto per la tua partecipazione al Padiglione Grenada alla
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56. Biennale di Venezia? Quali riflessioni mette in luce rispetto al tema di Present Nearness (del Padiglione Nazionale) e della mostra All the World’s Futures, pensato per questa edizione della Biennale dal curatore Okwui Enwezor? Si tratta di un’opera particolare realizzata appositamente per la Biennale di Venezia, di dimensioni importanti per un’opera analogica. È un trittico che scompone e ricompone il paesaggio di una meravigliosa scogliera delle isole Hawaii, che esprime in pieno il “Disordine”, uno dei temi della Biennale, come concetto esistente di default nella Natura e che in assenza di disturbo (spesso da parte dell’uomo) essa stessa riporta all’Ordine in un ciclo infinito.
Officina delle Zattere, Sala Tiziano - Opera don Orione Artigianelli Fondamenta delle Zattere ai Gesuati, Dorsoduro, Venezia 9 maggio – 22 novembre 2015 Orari: martedì/domenica 10.00 – 18.00 Info: +39 041 5234348 info@arteeventi.com www.officinadellezattere.it www.grenadavenice.org
Progetti in cantiere? Il mio lavoro è un continuo work in progress, dove viaggiano in parallelo diversi progetti contemporaneamente, in questo momento in particolare sono concentrato sulla conclusione della serie AFTER DARK, che sarà esposta nella mostra che inaugurerà a Torino il 24 settembre prossimo negli spazi della Galleria Photo & Co. 56. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia Padiglione Grenada. Present Nearness Commissario: Ministero della Cultura di Grenada Curatori: Susan Mains, Francesco Elisei Opere di: Oliver Benoit, Asher Main, Maria McClafferty, Carmine Ciccarini, Giuseppe Linardi, Francesco Bosso, Susan Mains
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Francesco Bosso, Arrays, Hawaii 2015 Nella pagina a fianco: Francesco Bosso, APOCALYPTIC, Iceland 2013
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Lina Selander Scavi storico-sistemici in Biennale VENEZIA | Padiglione Svezia | 56. Esposizione Internazionale d’Arte | 9 maggio – 22 novembre 2015 di SIMONE REBORA
Se nel percorso centrale di questa Biennale 2015 avevamo avuto modo di constatare (oltre agli immancabili accenti politici) un ritorno di fiamma del medium video-sonoro, l’opera di Lina Selander vi si conforma non solo sul piano dei contenuti, ma anche per la sua peculiare cifra stilistica. Scelta per rappresentare la Svezia all’interno dell’ampio Padiglione nazionale, che si colloca in diretta linea di prosecuzione lungo la prospettiva delle Corderie, Selander propone una selezione di opere realizzate a partire dal 2011, con una sola proposta di nuova concezione. Una scelta oculata, che conferma l’intrinseca coerenza di un percorso di ricerca tanto attento allo scavo documentario, quanto pronto ad assumere tendenze spiccatamente militanti. E se la storia politicizzata è un po’ la croce e delizia per l’arte di questi ultimi anni (e l’operazione di Enwezor ne è stata la prova del nove), quel che distingue l’approccio di Selander è l’originale “prospettiva sistemica” assunta. Non occorrerà scomodare un René Thom, per scoprire come la grande storia del secolo scorso si configuri come un’alternanza di mega-sistemi posti sempre sul margine del collasso. E l’occulto demiurgo di queste dinamiche è indagato a fondo proprio nel nuovo lavoro portato a Venezia: The Offspring Resembles the Parent. Selander si perita di farci notare, al proposito, come il concetto stesso di memoria (e quindi di “storia”) sia etimologicamente legato a quello di “denaro”. Tout se tient, insomma, in una ricerca artistica che scava però alla ricerca di quelle piccole fratture che determinano i crolli più prodigiosi, dal disastro di Chernobyl alle estinzioni delle specie. L’allestimento del Padiglione, curato da Lena Essling con architetture disegnate dallo Studio Nav, s’impegna a non esaurire l’esperienza del visitatore nel solo reparto video. E la componente installativa, anzi, diviene quasi preponderante, non solo nella complessa stratificazione di un’opera come Lenin’s Lamp Glows in the Peasant’s Hut, ma anche nella generale organizzazione degli spazi espositivi. Quelle ampie tende che separano ma non isolano le sezioni, permettendo una fruizione aperta, diffusa e piuttosto “rumorosa” dell’insieme, paiono quasi un’implicita risposta a certe soluzioni claustrali che alquanto infelicemente si profilano più avanti, quando, prossimi al termine della nostra visita
in Biennale, ci prepariamo a varcare le soglie dell’ennesima collettiva al Padiglione Italia.
senale – venerdì e sabato fino al 26 settembre) Chiuso il lunedì (escluso lunedì 11 maggio, lunedì 1 giugno e lunedì 16 novembre 2015)
Lina Selander. Excavation of the Image – Imprint, shadow, spectre, thought Commissario: Ann-Sofi Noring Curatore: Lena Essling
Info: +39 041 5218711 aav@labiennale.org www.labiennale.org
Padiglione Svezia Arsenale, Venezia 9 maggio – 22 novembre 2015
Installation view, the Swedish Pavilion: Lina Selander, Excavation of the Image - Imprint, shadow, spectre, thought. Commissioned by Moderna Museet, Lina Selander, 2015
Orari: 10.00 – 18.00 e 10.00 – 20.00 (sede Ar-
In basso: Lina Selander, Lenin’s Lamp Glows in the Peasant’s Hut, 2011
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Jaume Plensa “Together”: sculture poetiche in Laguna VENEZIA | Abbazia di san Giorgio Maggiore | 9 maggio – 22 novembre 2015 di FRANCESCA CAPUTO
Entrando nella Basilica di San Giorgio Maggiore – sull’omonima isola, nelle acque del Bacino di San Marco a Venezia – due grandi installazioni sono in dialogo tra loro e con l’ambiente denso di storia che temporaneamente abitano. Luogo di culto, per quattrocento anni, della comunità monastica benedettina. È l’artista catalano Jaume Plensa, tra i maggiori scultori contemporanei, il protagonista di Together, evento collaterale della 56. Biennale di Venezia, a cura di Clare Lilley. Le due sculture, Mist e Together, si inseriscono nello spazio delicatamente. Entrambe di acciaio inossidabile, attraverso l’uso della luce che riflettono e rifrangono, accompagnano la profondità dell’architettura progettata da Andrea Palladio. Nella navata centrale, un enorme volto a tutto tondo di maglia metallica è adagiato al suolo. La scultura, monumentale e allo stesso tempo leggera, emana una presenza serena, esprime la visione dell’artista di un’umanità universale. Dove razza e nazionalità sono sostituite da un bisogno comune di sogni, speranze e spiritualità. Per questo volto femminile, si è infatti ispirato a Nuria, figlia di un amico cinese di
Barcellona. Nell’Officina dell’Arte Spirituale, adiacente alla chiesa palladiana, la mostra prosegue con una serie di disegni e un gruppo di cinque ritratti femminili in alabastro. I volti eccessivamente ovali, allungati, sembrano non tener conto delle proporzioni. In realtà sono metafora della donna in una fase complessa, di passaggio: l’adolescenza. Sotto la cupola, con l’altare maggiore come fondale, è sospesa una mano colta nell’atto di compiere un gesto. La sagoma è formata da caratteri di nove alfabeti diversi, saldati tra loro in un complesso ricamo – dalla forte valenza simbolica – con cui unisce culture, tradizioni, popoli, evocando un mondo senza barriere. Sono codici carichi di memoria, giacché associando le lettere si formano le parole che, a loro volta, costruiscono le idee e il pensiero. Con Together, Jaume Plensa, infrange le diversità, annulla le distanze, le separazioni. Un viaggio poetico entro le potenzialità, nell’esperienza del sé e nel rapporto con gli altri. Jaume Plensa. Together Evento collaterale della 56. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia
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9 maggio – 22 novembre 2015 Basilica di San Giorgio Maggiore e Manica Lunga Isola di San Giorgio Maggiore – acque del Bacino San Marco, Venezia Info: www.jaumeplensa.com/venice2015/
In alto: Jaume Plensa, Mist, 2014, stainless steel, cm 525x531x425. Foto: Jonty Wilde A fianco: Jaume Plensa, Together, 2014, stainless steel, cm 147x120x425. Foto: Jonty Wilde
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The Bridges of Graffiti L’arte dei graffiti si riconnette al sistema dell’arte VENEZIA | Arterminal – Terminal S. Basilio | 9 maggio – 22 novembre 2015 Intervista a GIORGIO DE MITRI di Chiara Canali
L’arte di strada è oggi forse una moda, un trend, ma al tempo stesso sta raccogliendo sempre più consensi pubblici e interessi privati, per il suo essere un’“arte democratica”, dalla piena libertà espressiva. A livello internazionale l’Urban Art sta conquistando i musei e gallerie e sta diventando un fenomeno sempre più importante per il mercato dell’arte, tanto che alcune case d’asta come Artcurial e Bonhams hanno dedicato intere sessioni alla Street Art. In linea con questa tendenza, ma con un intento sicuramente più storico e storiografico, una mostra collaterale alla Biennale di Venezia, indaga la cultura dei graffiti e riunisce dieci artisti (Boris Tellegen, Doze Green, Eron, Futura, Mode2, SKKI ©, Jayone, Todd James, Teach, Zero-T) all’interno dell’Arteterminal, area espositiva di 3500 mq recentemente riqualificata. Assieme alla mostra, ampio spazio è de-
dicato all’area BookShelves con una esposizione di libri e fanzine sulla storia dei graffiti. Quando hai presentato il progetto di mostra di The Bridges of Graffiti in Laguna hai citato il concetto di storia dell’artista Braco Dimitrijevic, che deriva dalla coesistenza di valori differenti, dal confronto delle verità possibili e dal dialogo con la vita di tutti i giorni. Tra l’altro sempre Dimitrijevic afferma “Louvre is my studio, Street my museum”. Il tentativo è insomma quello di una storicizzazione e contestualizzazione della cultura del graffiti writing, ma sulla base di quali criteri storici e critici? I criteri identificati per la ricognizione che ha preceduto la mostra sono da ricercarsi nello stato confusionale nel quale versa la critica contemporanea. Negli ultimi dieci anni ci si è
In queste pagine: The Bridges of Graffiti, Arterminal - Terminal, Venezia. Foto: Andrea Bastoni 48
accaniti nel cercare di definire gli artisti in base alla superficie con la quale si confrontavano. Da qui la confusione tra graffitismo, street art e muralismo. Se si va a ricercare nella storia del graffitismo, i primi cenni che si rintracciano sono quelli immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Due decenni dopo, in mezzo a un proliferare di scritte sui muri, cominciano ad affiorare firme d’arte che vanno ben al di là della semplice scritta. È Norman Mailer in un articolo apparso su Esquire nel 1974 a paragonare gli artisti che dipingevano sui muri e sulle carrozze della metropolitana di New York ad artisti quali Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Botticelli, Michelangelo, Leonardo e Raffaello. Contemporaneamente in Italia esce un libro, Graffiti a New York, di un giovane ricercatore, Andrea Nelli, che racconta delle stesse impressioni che Mailer, auto-defi-
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nendosi Aesthetic Investigator, aveva descritto grazie alle immagini di Jon Naar. Durante il decennio successivo, dal ’74 all’84, questa forma d’arte nata oltreoceano varca i confini europei per iniziare a contaminare il lavoro di tanti artisti in vari paesi: Olanda, Inghilterra, Francia e Italia. È dell’84 una delle mostre più significative, Arte di Frontiera, qui a Bologna. Da allora sono passati trent’anni e in questi trent’anni abbiamo assistito a una crescita esponenziale di artisti che hanno fatto della strada il proprio laboratorio e che grazie al loro immenso talento hanno saputo suscitare l’interesse di collezionisti, gallerie e musei. Semplicemente, credo occorresse ancora una volta fare chiarezza sulle radici del lavoro di questi artisti. Su quali parametri si è basata la selezione degli artisti e con quali modalità operative sono intervenuti nello spazio dell’Arterminal a Venezia? Per The Bridges of Graffiti abbiamo scelto di lavorare con artisti che avessero un comune denominatore: l’esperienza maturata sul campo, che fossero muri o treni. In più abbiamo effettuato una selezione ulteriore: non ci siamo accontentati di selezionare artisti che sapessero “scrivere” – da qui il termine writing, che molti vorrebbero sostituire alla definizione di graffiti – ma che nel loro percorso avessero maturato uno stile figurativo. L’idea era quella di cercare di far capire che all’approccio illustrativo che adesso va per la maggiore nei festival di urban art e street art si voleva contrapporre una forma d’arte nata sì dalla strada, sì artigianale, ma che poco ha a che vedere con i canoni illustrativi della street art e del muralismo. Esiste un meccanismo simile a quello della bottega artigianale che vede tutti questi artisti apprendere tecniche estremamente particolari, dove la bomboletta spray la fa da regina, ma anche mezzi quali il pennello e il rullo vengono utilizzati in maniera efficace. Parlando di etichette, avete citato termini quali il writing e il “graffitismo”, che in Italia è incorso in un processo di fraintendimento in quanto, a differenza di quanto accade oltre Oceano, allude a fenomeni incontrollati di deturpazione. Non avete invece parlato del movimento della Street Art, che è oggi la naturale e più attuale evoluzione del fenomeno. Non ritieni che alcuni dei lavori e delle produzioni più recenti di questi artisti possono essere a rigore circoscritte e individuate come “Street Art” e non più come “Graffiti” in quanto non si realizzano più con l’intento di imporre un nome o un linguaggio sui muri, bensì vogliono contestualizzarsi site-specific nello spazio e comunicare attraverso mezzi e strumenti più eterogenei? Ripeto, se parliamo di graffitismo parliamo in
generale di un fenomeno che è illegale. Il writer opera in una situazione di pericolo, dove ciò che sta tentando di esprimere non cambia rispetto a quanto potrebbe fare su un muro che gli è stato dato da un’autorità, mentre cambia la modalità di esecuzione del lavoro. Su un muro o su una serranda o in una stazione, il writer scrive, disegna o dipinge pena i lavori sociali o una grossa multa. Lo fa perché sente un’urgenza, l’urgenza di esprimersi, di riaffermare la propria identità all’interno di un sistema che è in grado di coglierne e leggerne il codice. Quando si parla di street art o di muralismo si parla di una forma d’arte diversa; magari gli autori possono essere simili, anche gli stessi – un caso eclatante è quello di Os Gêmeos che di notte costellano San Paolo di messaggi politici e sociali e di giorno affrescano le pareti di musei o case di ricchi collezionisti. Stessa cosa vale per Teach, forse l’esempio più chiaro di illegalità, che qui a Venezia ha fatto un lavoro site specific meraviglioso ma che di notte deve scappare dalla polizia. Nessuno di loro ha particolari problemi nel sentirsi definire writer, street artisti o quant’altro; sinceramente trovo il tentativo di definire il loro lavoro abbastanza superato. Da qui la provocazione di barrare la parola Graffiti nel titolo della mostra.
Assolutamente no. Un artista per me è un artista, che abbia studiato all’accademia o che abbia rischiato la vita nel Bronx, ciò non cambia il valore del suo lavoro. Un’opera d’arte è un’opera d’arte. Poi possiamo disquisire finché vogliamo sui concetti di contemporary art, street art, graffitismo, writing… quando mi trovo di fronte a un’opera o a una serie di opere come quelle esposte all’Arterminal io mi emoziono. E dietro al lavoro di ogni singolo artista riconosco un percorso che nulla toglie all’emozione stessa. The Bridges of Graffiti Evento Collaterale 56. Esposizione Internazionale d’Arte. la Biennale di Venezia progetto a cura di Fondazione de Mitri e Mode2 con la consulenza di Andrea Caputo e DeeMo prodotto da Carlo Pagliani e Claudia Mahler e Sartoria Comunicazione organizzato da Associazione Inossidabile con il patrocinio di Autorità Portuale di Venezia allestimento prodotto da Venezia Terminal Passeggeri Artisti: Boris Tellegen, Doze Green, Eron, Futura, Mode2, SKKI ©, Jayone, Todd James, Teach, Zero-T 9 maggio – 22 novembre 2015
La mostra è un tentativo di inquadrare storicamente un fenomeno artistico libero, spontaneo e con difficoltà imbrigliato in mostre e progetti istituzionali proprio per la sua natura indipendente a autonoma. Tuttavia qui sono raccolte opere artistiche (tele, sculture, installazioni) catalogabili all’interno di un sistema dell’arte e del mercato di tipo tradizionale. Qui si rischia di incorrere nei soliti dibattiti tra arte di strada e arte ufficiale. Non si tratta di una contraddizione nei termini?
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Arterminal – Terminal S. Basilio Fondamenta Zattere Ponte di Legno, Venezia Orari: da lunedì a domenica 10.10-20.20 Ingresso intero €10.00; ridotto studenti, under 26, possessori del biglietto della 56. Esposizione Internazionale d’Arte. la Biennale di Venezia €8.00; gratuito fino a 10 anni Info: www.thebridgesofgraffiti.com
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Grisha Bruskin a Venezia La collezione di un archeologo VENEZIA | ex Chiesa di Santa Caterina | 7 maggio – 22 novembre 2015 Intervista a SILVIA BURINI di Eva Coletto
Marinai mutilati, un atleta acefalo, soldati dagli elmi ormai consunti riemergono dalle sabbie del tempo. Come fossero reperti dei tempi più remoti, le sculture realizzate dall’artista russo Grisha Bruskin (Mosca, 1945) animano la mostra La collezione di un archeologo a cura di Silvia Burini e Giuseppe Barbieri. A fare da cornice all’installazione, Evento Collaterale della 56. Biennale d’Arte di Venezia, è la suggestiva ex Chiesa di Santa Caterina che fino al 22 novembre sarà palcoscenico del progetto espositivo divenendo una sorta di area archeologica, per un tuffo nel mondo antico.
Bruskin ritiene che l’umanità in generale attribuisca all’antichità caratteristiche positive di autenticità e verità – ha affermato Silvia Burini – la domanda che si è posto l’artista è: possiamo considerare il marxismo la nostra antichità? Un progetto nato dalla riflessione di Bruskin sulla società contemporanea sovietica: dopo il grande crollo dell’URSS del 1991, l’artista ha realizzato delle statue che ha poi distrutto, fuso nel bronzo e, salvato in piccola parte; le ha poi sotterrate accanto a una necropoli etrusca in Toscana. A tre anni di distanza, Bruskin ha dato il via al recupero tramite una vera e pro-
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pria campagna di scavo che ha permesso di riportare alla luce le sculture. Reperti archeologici, come è, per l’artista, ciò che rimane della società sovietica, i resti della sua ideologia, di un’idea che non esiste più. Nessuno si immaginava – continua Silvia Burini – che l’Unione Sovietica si sarebbe disgregata in modo così improvviso e rapido; Bruskin ritiene che sia stato un trauma, per la Russia e per tutto il mondo in generale. Distante dall’atteggiamento ottimista che accompagna il ritrovamento di antichi reperti, La
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collezione di un archeologo è il frutto della sfiducia dell’artista nella realtà contemporanea. Archeologia della memoria e archeologia delle idee convivono nell’installazione: idee che per Bruskin sono diventate nel tempo utopistiche, relegate in angoli della memoria come meri ritrovamenti archeologici. Quello che vediamo – come sostiene Burini – sono le rovine di un’ideologia che l’archeologia del futuro vedrà tra migliaia di anni e dalle quali dovrà ricostruire proprio quell’idea, il marxismo che ha inciso così profondamente nella storia del xx e del XXI secolo. Poco distante da Cannaregio, la Fondazione Querini Stampalia apre i suoi spazi per una seconda mostra dedicata all’artista russo: è Alefbet: Alfabeto della memoria. Sempre sotto la curatela di Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, l’esposizione questa volta documenta, attraverso arazzi, gouaches e dipinti, la memoria della millenaria tradizione ebraica. Grisha Bruskin. La collezione di un archeologo a cura di Silvia Burini e Giuseppe Barbieri Evento collaterale della 56. Esposizione internazionale d’arte, la Biennale di Venezia 7 maggio – 22 novembre 2015 Ex Chiesa Santa Caterina Fondamenta Santa Caterina, Cannaregio 4941/4942, Venezia Orari: 10.00 – 18.00 (chiuso il martedì) Info: www.labiennale.org
Dall’alto: Grisha Bruskin, La collezione di un archeologo, “Doctor” e “Marshal”, 2004-2009 Nella pagina a fianco: Grisha Bruskin, La collezione di un archeologo, dettaglio installazione video 51
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eventi paralleli
Ahmet Güneştekin da Istanbul a Venezia… La “geografia è il destino”
VENEZIA | Santa Maria della Pietà | fino al 22 novembre 2015 Intervista ad Ahmet Güneştekin di Igor Zanti
La chiesa di Santa Maria della Pietà, a Venezia, in occasione della Biennale, ospita la complessa e cerebrale installazione Million Stone, realizzata da Ahmet Güneştekin, artista di origine turca (classe 1966), con il supporto dell’americana Marlborough Gallery. Abbiamo incontrato l’artista per farci raccontare qualcosa di più sulla nascita di questa mostra che poggia su riferimenti concettuali radicati nella cultura turca. Il Milion, la pietra miliare eretta a Costantinopoli nel quarto secolo, emblematico luogo di partenza per la misurazione delle distanze di tutte le strade che conducevano alle città dell’Impero Bizantino e al contempo simbolo del potere maschile per l’intrinseco rimando culturale al fallo. La leggenda di Lilith, la dea sumera della fertilità e dell’agricoltura, che fu in seguito demonizzata e divenne nota come la prima donna a ribellarsi alla dominazione maschile. La storia e il potere delle relazioni di Istanbul, un tempo ritenuta il centro del mondo; una città dai molti nomi, crocevia di diverse culture e religioni, dove ogni nuovo potere e forza politica cambiava il nome e il tessuto culturale precedente in base alla propria identità… Cosa ci racconta dell’installazione Million Stone?
Aprono la mostra tre opere dedicate alla reciproca contaminazione tra le tre religioni monoteistiche. Queste opere ci conducono verso la Pietra miliare posta al centro del cortile della Pietà. Il suo simbolismo fallico è semanticamente messo in dubbio dalle tele che raccontano la storia di Lilith, personaggio mitologico che si oppose alla superiorità del maschio. A conclusione del percorso troviamo una grande scultura di lettere che formano la parola Kostantiniyye. All’interno di ogni lettera, in rilievo, sono scritti i nomi che ha assunto Istanbul fin dalla sua fondazione, tali nomi sono decorati con gli stessi simboli religiosi presenti all’inizio della mostra, creando una sorta di percorso circolare. Lei è un artista autodidatta, come si è formato? Sono stato molto influenzato dalla tradizione della narrazione orale nella formazione del mio immaginario personale. Le figure mitologiche nei miei dipinti sono frutto di suggestioni nate dalla mia immaginazione. Se l’astrazione narrativa significa convertire alcuni miti in un linguaggio visivo, le mie opere non hanno alcun legame con questo processo. Invece di produrre un’astrazione narrativa sto producendo immagini che richiamano la storia. Il mio punto di partenza rimane, comunque, la narrazione
Un ritratto di Ahmet Güneştekin. Foto: Cemal Emden In alto: Ahmet Güneştekin, Million Stone, 2015
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orale. Sono, infatti, molto interessato alle tecniche di narrazione. Uno dei maestri di queste tecniche è lo scrittore turco Yasar Kemal, di origine curda, convinto sostenitore della pace e dei diritti umani, che ha esercitato un enorme influenza sulla mia vita e sulla mia arte. La sua ricerca sul folklore dell’Anatolia, ha, infatti, avuto un grande impatto sulla mia ricerca intellettuale ed artistica, come dimostra la mia installazione per la chiesa della Pietà.
una sull’altra lungo la storia. La mia installazione, in modo simile, esplora i modi per rivelare le diverse stratificazioni culturali della città che attualmente sono difficilmente percepibili.
Qual è il suo rapporto con l’arte e l’artigianato tradizionale? I miti greci, anatolici, mesopotamici sono la base concettuale del mio lavoro. In seno a questa ricerca si pone la mia Pietra miliare. Già le opere che avevo creato in precedenza possono essere concepite in relazione a questa mia indagine. In tutti i miei lavori, i personaggi, i simboli e le storie che derivano da antiche leggende si mescolano a storie immaginarie che affrontano le principali tematiche dell’umanità. Per esempio, il motivo geometrico, che si trova in diverse mie opere, rappresenta il sole, la fonte di tutta l’energia nel nostro universo ed è un elemento ricorrente nella mia arte. Cerco di concepire la tradizione non come qualcosa che si è fermato e congelato, ma piuttosto come qualcosa la cui conoscenza ci permetta, nella quotidianità, di comprendere i valori umani universali.
La Pietà Santa Maria della Pietà – Castello, Venezia
Ahmet Güneştekin. Million Stone a cura di Matthew Drutt prodotta da Marlborough Gallery 6 maggio – 22 novembre 2015
Orari: martedì – domenica 10.00 – 18.00 ingresso libero Info: www.marlboroughgallery.com markpeetvisser.com www.ahmetgunestekin.com
Nella mostra ci sono molti lavori relativi ad Istanbul. Qual è il suo rapporto con la città? La mia prima esperienza nella città, fin dalla mia infanzia, mi riporta alla tradizione della filosofia medievale islamica ed in particolare a Ibn-I Khaldun che diceva che la “geografia è il destino”. Le persone portano, attraverso i luoghi in cui si muovono, il loro passato e la loro “geografia”. La città per me è uno spazio in cui le sue stratificazioni culturali si sovrappongono
In questa pagina: Veduta dell’installazione della mostra Ahmet Güneştekin “Million Stone”, Venezia, 2015. Foto: Cemal Emden
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Calder e Vedova Luci e ombre nella terra degli uomini VENEZIA | Fondazione Emilio e Annabianca Vedova | 6 maggio – 18 ottobre 2015 di MILENA BECCI
Terre des Hommes è il titolo del libro di Antoine de Saint-Exupéry a cui si ispirava l’Expo del 1967 di Montrèal (Canada), ponendo l’attenzione sulle attività umane nella società moderna. La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, in occasione di Expo 2015, ha voluto riproporre i progetti dello stesso Vedova e dell’americano Alexander Calder realizzati per l’Esposizione universale di quell’anno. Il Magazzino del Sale e lo Spazio Vedova, ex studio dell’artista, sono i due luoghi che accolgono rispettivamente l’operato dell’artista informale veneziano e dello scultore di arte cinetica statunitense, ospitando un binomio che prende forma unito nella partecipazione a quell’Expo organizzato in concomitanza con il centenario della proclamazione della Federazione del Canada, e riproposto nel 2015, distribuito nelle due aree. Sotto l’alto soffitto del Magazzino del Sale, un video accoglie all’ingresso della mostra i visitatori che si siedono e ascoltano le parole del maestro dell’informale italiano, ripreso nel suo studio a sottolineare quegli impulsi profondi dell’animo umano che portano a creare, e a raccontare del suo incontro con le fornaci Venini di Murano per la realizzazione delle lastrine del suo progetto per l’Expo 1967. Vedova era stato chiamato a Montrèal per raccordare i tre corpi del Padiglione Italia e, a
questo fine, aveva realizzato il suo Percorso/ Plurimo/Luce: una “forma rotante” in alluminio laminato sulla quale venivano proiettate “diapovetri” realizzate dall’artista in collaborazione coi maestri vetrai. Un’esplosione di luci e proiezioni, riproposta a Venezia con i pezzi originali e corredata dalla ricostruzione del progetto, dai carteggi, dai disegni e dalle fotografie sotto teca. La meraviglia si amplifica all’ultimo stadio della mostra dedicata a Vedova, in cui le braccia meccaniche della macchina ideata da Renzo Piano ci presentano e installano nello spazio alcune tele di Vedova degli anni ’80 e parte del ciclo De America del 1976, interamente bianco e nero e di forte impatto. Sicuramente meno imponente e d’effetto l’allestimento della sezione dedicata a Calder, ospitata nell’ex studio veneziano di Vedova, accanto al Magazzino: modelli, film e fotografie raccontano l’opera commissionata all’artista statunitense per l’Expo 1967, Trois disques (Man), una scultura d’acciaio alta 22 metri che era stata posta all’ingresso dell’Esposizione universale. In mostra, accompagnano la testimonianza del progetto alcune sculture cinetiche di Calder che proiettano ombre ricordando, per contrasto, le luci di Vedova che il pubblico si lascia alle spalle nello spazio del Magazzino del Sale.
Frammenti Expo ’67. Alexander Calder e Emilio Vedova 6 maggio – 18 ottobre 2015 Magazzino del Sale Spazio Vedova Zattere – Dorsoduro, Venezia Info: +39 041 5226626 info@fondazionevedova.org fondazionevedova.org
Vedute allestimento della mostra Frammenti Expo ’67. Alexander Calder e Emilio Vedova 54
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FLAGS Una resa alla Serra dei Giardini VENEZIA | Serra dei Giardini | 7 maggio – 2 agosto 2015 di MILENA BECCI
Sul ponte sventola bandiera bianca, recita il testo della canzone di Franco Battiato scritto in quest’epoca di pazzi con un evidente riferimento alla poesia di Arnaldo Fusinato sul Risorgimento e sull’insurrezione di Venezia del 1848, “Ode a Venezia”, che annuncia non gesta eroiche ma una resa incondizionata alle brutture del tempo. La Resa, appunto, opera del 2002 di Fabio Mauri, è l’installazione sita all’esterno della Serra dei Giardini dalla quale parte tutto il percorso espositivo della mostra FLAGS a Venezia, pensato attraverso video, installazioni e performance. Una bandiera bianca su una struttura di tubi innocenti, mossa dalla brezza marina, si erge sul tappeto d’erba antistante la Serra e dà avvio ad un viaggio tra esterni ed interni del luogo in cui si susseguono diverse bandiere simboliche, esempi della ricerca contemporanea di sette artisti quali Ivan Barlafante, David Rickard, Rä di Martino, Alessandro Sambini, Elisa Strinna, Fabrizio Cotognini e Ruben Montini, che si confrontano e si accostano al concetto della resa di Fabio Mauri, attraverso le più svariate forme, producendo versioni alternative a quelle imposte dalla società, dalla storia e dalla politica, solo per citarne alcune. Il punto quindi è andare oltre ad una posizione rassicurante, arrendersi e mollare canoni e sicurezze costruite, ma non per questo stabili, per stupire lo spettatore che entra in mostra. Affascinante e perfettamente inserita nel luogo, l’installazione di Ivan Barlafante, Il Bosco, è costituita da una serie di tronchi di misure diverse ricoperti alla sommità da acciaio a specchio che riflette, così come le vetrate della Serra, la natura che viene ricreata attraverso l’opera e avvicina il cielo alla terra, l’ultraterreno al terreno. All’interno, dopo i tronchi, un masso: Parola, altro lavoro di Barlafante; è una grande pietra dentro la quale si trova un sistema che legge la temperatura e la traduce in onda sonica, non percepibile all’orecchio e visibile tramite il movimento dei woofer. Vicino a Parola, David Rickard porta all’interno della splendida e trasparente architettura veneziana un po’ di aria inglese: British Airspace è costituita da due bombole che rilasciano gradualmente aria inglese, nel tentativo di ricostruire un nuovo spazio aereo britannico all’interno della Serra, considerando la fisicità dell’elemento e sfuggendo a concetti di confine prestabiliti. Questi solo alcuni degli esempi di un metodo e di un pensiero che mira ad andare oltre, a mettere il piede su territori sconosciuti, affrontando artisticamente, e quindi anche concretamente, una scelta d’azione che non ha intenti di controllo, bensì di superamento di costruzioni ideologiche già architettate. FLAGS. IVAN BARLAFANTE, FABRIZIO COTOGNINI, RÄ DI MARTINO, RUBEN MONTINI, DAVID RICKARD, ALESSANDRO SAMBINI, ELISA STRINNA e La Resa di FABIO MAURI a cura di Elena Forin – LaRete Art Projects Mostra promossa da Studio Fabio Mauri, Associazione per l’Arte L’Esperimento del Mondo Ospitata da Microclima, il programma culturale della Serra 7 maggio – 2 agosto 2015 Serra dei Giardini, Venezia Orari: tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00 Info: www.larete-artprojects.net
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Fabio Mauri, La Resa. Foto: Yuma Martellanz
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