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digital Cover Artist Eugenio Tibaldi Interview

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Speciale I NUOVI LUOGHI DELLA CULTURA Parte 2 Parliamo di... START UP Planitars MyTemplArt Red points

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ESPOARTE DIGITAL #87 ½ Espoarte Digital è un progetto editoriale di Espoarte in edizione esclusivamente digitale, tutto da sfogliare e da leggere, con i migliori contenuti pubblicati sul sito www.espoarte.net e molti altri realizzati ad hoc.

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Cover Eugenio Tibaldi. Red Verona, veduta della mostra, Studio la Città, Verona. Courtesy: Studio la Città, Verona. Foto: Michele Alberto Sereni e Beatrice Barbuino.

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ESPOARTE Registrazione del Tribunale di Savona n. 517 del 15 febbraio 2001 Espoarte è un periodico di arte e cultura contemporanea edito dall’Associazione Culturale Arteam. © Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, di testi pubblicati senza l’autorizzazione scritta della Direzione e dell’Editore. Corrispondenza, comunicati, cartelle stampa, cataloghi e quanto utile alla redazione per la pubblicazione di articoli vanno inviati all’indirizzo di redazione. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista. Tutti i materiali inviati, compresi manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non verranno restituiti.

Editore Ass. Cult. Arteam Direttore Editoriale Livia Savorelli Publisher Diego Santamaria Direttore Web Matteo Galbiati Segreteria di Redazione Francesca Di Giorgio Direttore Responsabile Silvia Campese Redazione via Traversa dei Ceramisti 8/b 17012 Albissola Marina (SV) Tel. +39 019 4004123 redazione@espoarte.net Art Director Elena Borneto Redazione grafica – Traffico pubblicità villaggiodellacomunicazione® traffico@villcom.net Pubblicità Direttore Commerciale Diego Santamaria Tel. 019 4500659 iphone 347 7782782 diego.santamaria@espoarte.net

5 COVER ARTIST Eugenio Tibaldi: la relatività dell’identità Intervista di Matteo Galbiati

10 INTERVISTE Tra inganno e realtà: le diverse rappresentazioni del frammento Intervista a Vincenzo Rusciano di Matteo Galbiati Pablo Atchugarry: una scultura che regge e insegue la luce Intervista di Matteo Galbiati Il reale è il mistero Intervista a Chiara Fumai di Corinna Conci

22 SPAZI Mapping Contemporary Art Space. Nuovo spazio per il contemporaneo a Rovereto Intervista a Davide Filippi di Gabriele Salvaterra

25 I NUOVI LUOGHI DELLA CULTURA. parte 2 Favara Farm Cultural Park e Italian Stories: luoghi fisici e immaginari per disegnare nuove geografie. Interviste a Florinda Saieva, Eleonora Odorizzi e Andrea Miserocchi di Valeria Barbera

33 start up L’Italia giovane, carina e... occupata! Francesca Bonan per Planitars, Gianni Pasquetto e Deianira Amico per MyTemplArt e Sveva Antonini per Red Points raccontano la loro esperienza. Di Francesca Di Giorgio

40 MOSTRE A Milano e Monza tre mostre accolgono il pubblico di Expo con la grande arte italiana di Matteo Galbiati Bentornato Medardo Rosso di Cristina Casero Dawn Kasper: l’autenticità come costruzione del tempo di Corinna Conci La leggerezza del piombo. Umberto Mariani da Jerome Zodo Contemporary di Kevin McManus

Ufficio Abbonamenti abbonamenti@espoarte.net Hanno collaborato a questo numero: Valeria Barbera Cristina Casero Corinna Conci Francesca Di Giorgio Matteo Galbiati Kevin McManus Gabriele Salvaterra

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Eugenio Tibaldi: la relatività dell’identità VERONA | Studio La Città | 21 febbraio – 30 aprile 2015 Intervista a EUGENIO TIBALDI di Matteo Galbiati

In occasione della sua mostra personale Red Verona presso la galleria Studio La Città nell’omonimo capoluogo veneto – in contemporanea si tiene anche la mostra Herbert Hamak. Point alpha – abbiamo incontrato l’artista Eugenio Tibaldi (1977) che si è generosamente offerto per questa intervista in cui approfondisce i contenuti dell’esposizione e della sua recente ricerca: Cosa hai scelto di presentare per la tua prima personale a Verona allo Studio La Città? Questa mostra mi ha offerto la possibilità di parlare di argomenti su cui rifletto da tempo e che ritengo importanti per il momento storico che stiamo vivendo. Tutta la mostra ruota intorno al concetto d’identità e territorio e si sviluppa in tre gruppi di lavori che indagano questo tema in cui la città di Verona si presta come scenografia inconsapevole di tensioni umane. Sono convinto che l’identità non esista come condizione reale, è più un discorso di percezione nel sentirsi parte di un flusso che non ha confini né barriere. Verona è famosa nel mondo per la tragedia di Romeo e Giulietta, ma se pensiamo che Shakespeare non l’ha mai visitata e che tutti i monumenti legati al dramma cinquecentesco sono di fatto un falso storico realizzato in epoca fascista, ci rendiamo conto quanto sia relativo il concetto di realtà e di territorio. L’intera città ha modificato la sua identità, la sua geografia ed anche la sua storia grazie ad uno straniero che nulla conosceva di essa.

invaso buona parte dell’Europa, una crisi che è stata trasversale, economica, ma anche culturale. Tutto ha inizio nel ‘91, anno in cui, al porto di Bari, attracca VLORA, la nave con 20000 fra albanesi e rumeni in fuga dai loro paesi attratti dal sogno italiano visto nelle televisioni private. Nello stesso periodo si diffondevano i CD, salutando definitivamente l’idea di una presenza fisica e di un rispetto per la musica. La musica si espande nello spazio ed accompagna Verona landscape, una serie di edifici del centro e della periferia veronese collegati fra loro da un ragionamento concettuale legato alle loro funzioni e alla loro identità. Scavati e ridisegnati con la pittura bianca, diventano una sorta di scenografia abbandonata e crudele in cui si ambienta la storia che racconto nella canzone.

Su che contenuti vertono questi tre interventi che costituiscono l’espressione più recente del tuo lavoro? Ce li puoi raccontare e riassumere? Come spesso accade la mia analisi comincia con lo studio satellitare dell’area e con la realizzazione, in questo caso, di tre geografie economiche, che si pongono come filtro prima dell’ingresso, nella parte più intima della mostra dove il primo approccio è a livello sonoro. Per questa ricerca ho deciso di scrivere una canzone e di farla incidere su un vinile, una nuova tragedia ambientata negli Anni Novanta, momento in cui, a mio avviso, ha inizio la crisi che oggi ha

Infine due installazioni: la prima è una colonna di quasi 6 metri in altezza di pandori – percepita fin dall’inizio col suo profumo di burro e vaniglia che invade tutto l’ambiente – che si pone come gioco fra vero e falso. Il pandoro è il dolce più importante di Verona e una colonna portante dell’economia e della cultura veronese, ma è anche citazione di Brancusi, connazionale del protagonista della mia storia. La seconda installazione è un insieme di mappe dedicate alle altre 24 città che nel mondo si chiamano Verona, ma che non sono state fondate da exveneti, quanto da persone impressionate e influenzate dal mito di Romeo e Giulietta. Verona Landscape è un’opera imponente (oltre 30 metri) come si presenta e sviluppa nel suo porsi in bilico tra realtà e irrealtà?

Eugenio Tibaldi. Red Verona, veduta della mostra, Studio la Città, Verona. Courtesy: Studio la Città, Verona. Foto: Michele Alberto Sereni e Beatrice Barbuino.

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Vero e falso sono da sempre una mia ossessione, sono convinto che tutti noi, gli esseri umani in generale, decidiamo cosa vogliamo vedere e come vederlo, ridefiniamo la realtà in base alla nostra capacità di percezione. Così attraverso la pittura scavo, da un collage di scatti fotografici, le mie architetture, modificando ed inventando, collegando aree distanti fra loro fisicamente ma vicine per destino, isolando porte e finestre o svuotando del volume interi edifici. La lunghezza dell’intera linea dei Landscape è legata al racconto narrato nella musica ed alla sua durata come una sorta di pellicola cinematografica incollata alla parete. In Untitled 01 hai operato, invece, come un compositore scrivendo una musica che hai fatto interpretare da un cantante lirico veronese che canta in lingua rumena accompagnato da una pianista moldava… In realtà questa è stata la prima opera che ho realizzato per questa mostra, ho scritto la storia e questa canzone prima di iniziare la mia ricerca su Verona. A parte una gita in età scolastica, non conoscevo proprio la città scaligera per cui mi sono posto nella condizione di ambientare a Verona i temi di cui volevo parlare seguendo il percorso di Shakespeare. Un po’ come ripetere, in modo matematico, una formula. Poi ho contattato il conservatorio di Verona che mi ha segnalato Tommaso Rossato, cantante

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lirico che a sua volta ha coinvolto nel progetto Natalia Psetina, la pianista. Insieme hanno interpretato e riadattato il testo in lingua rumena sulle musiche della Lucia di Lammermoor di Doninzetti (raro caso di musica lirica scritta per più lingue). Prima di quest’esperienza la mia conoscenza della musica lirica era praticamente nulla per cui è stato, anche per me, fonte di crescita e di apprendimento e di avvicinamento alla cultura veronese. Il lavoro di Maps è, nuovamente, un omaggio a Verona: hai “simulato” con materiali il suo celebre marmo rosso per marcare i profili dei confini geografici di tutte quelle città che nel mondo sono omonime del capoluogo veneto. Un modo per abbattere i confini geografici e superarli? Come si supera l’identità locale/personale? Mentre svolgevo le mie ricerche su Verona ho scoperto che esistono ben 27 luoghi nel mondo che portano il nome Verona. Li ho cercati ed ho trovato 24 città fondate tutte dopo il 1936 – data di uscita del film Romeo and Juliet negli Stati Uniti – e quindi inspirate dal mito shakespeareano. Questo dettaglio è fondamentale in quanto se partiamo dall’assunto storico che Shakespeare non è mai stato a Verona tutto il complesso di valori diventa solo qualcosa di percettivo, una sorta di appartenenza emotiva e il luogo fisico passa in secondo piano. Da

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Eugenio Tibaldi. Red Verona, veduta della mostra, Studio la Città, Verona. A fianco: ritratto di Eugenio Tibaldi. Courtesy: Studio la Città, Verona. Foto: Michele Alberto Sereni e Beatrice Barbuino.


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qui ho tracciato, attraverso l’uso del satellite, le mappe di ogni singola città e le ho riproposte su materiali che imitano il tipico marmo veronese. Tutti i materiali che ho utilizzato li ho recuperati a Verona chiedendo ai rivenditori di mattonelle, o di linoleum, carta adesiva o libri antichi prodotti che fossero imitazioni del marmo rosso. Mentre lavoravo a questa installazione ho pensato al titolo… Red Verona, che ha un suono vagamente politico. Abbiamo visto come in queste opere il “paesaggio” della città di Verona sia elevata a modello. Come si sposta l’attenzione dal particolare, dalla situazione circostanziata, all’universale? Verona si presta a diventare scenografia di problematiche internazionali. Oggi trattare l’identità significa anche parlare di tutte quelle cose orrende che si compiono in nome della difesa identitaria: i problemi sociali, politici, di integrazione e di decadimento culturale che ho riscontrato in Verona sono uguali a molte altre città del Nord Italia e più in generale dell’Europa e del mondo Occidentale. Posizionarle in un luogo specifico si presenta come un trucco di scena, la necessità di montare una quinta su cui far girare i temi trattati. Uno dei temi centrali del tuo lavoro è proprio il legame con gli elementi della contem-

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poraneità con le sue problematiche, tensioni, situazioni. Questi vengono “sintetizzati” nelle tue opere con le tracce rilevate dalla storia, dalla letteratura… Come si dichiara questo connubio? Ogni progetto, ogni occasione di ricerca rappresenta per me la possibilità di crescere culturalmente ed anche stilisticamente, questa crescita è spesso determinata dall’apertura dei miei progetti a forme collaborative che mi spingono a documentarmi e a sforzarmi in direzioni apparentemente distanti dall’arte contemporanea, ma che, quando trovano il punto di unione, creano qualcosa di unico ed allargano il livello comunicativo dell’opera stessa. Ogni singolo materiale presente nella mie mostre ha un significato ed una motivazione, non appoggiarsi ad uno schema già conosciuto mi mantiene vigile ed aperto al nuovo. In questo caso la forma dei lavori a parete è stata determinata dalla dimensione dei fogli di stampa prodotti da Fedrigoni a Verona, i Pandori che compongono l’installazione sono stati realizzati per me da Paluani, che mi ha anche fornito l’essenza per non far perdere il profumo dopo pochi giorni e così via. Dover ogni volta rimettersi in gioco, con materiali mentali e fisici, è il lato che amo di più del mio lavoro. La mia Verona e un collage dei racconti che mi hanno fatto le persone che ho incontrato ed i materiali con cui mi sono dovuto confrontare.

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Quanto conta la “teatralizzazione” delle immagini che proponi allo sguardo dello spettatore? Non so cosa intendi esattamente per teatralizzazione… Io penso che sia importantissimo realizzare un’ “opera d’arte”, alla fine l’opera deve andare oltre alle mie tensioni personali o ad un normale archivio. Deve superarmi e raccogliere altre sensibilità. In fin dei conti io non faccio il giornalista e neppure lo scienziato per cui, per quanto le mie ricerche possano essere precise e le mie formule corrette, non sono tenuto a dire sempre la verità o a scoprire qualcosa di nuovo, ma a fare qualcosa che ambisce ad essere arte. Come ha risposto – e come risponde solitamente – ai tuoi interventi il pubblico? Che reazioni registri? Ogni volta sono molto teso, temo sempre che non vengano colte le motivazioni profonde che spingono la mia ricerca, ed invece, spesso, il pubblico mi sorprende scavalcando agilmente l’arido ostacolo della polemica e spostando su un livello di dialogo intimo, quasi sempre a tre, fra ciò che loro colgono, ciò che io racconto e ciò che il lavoro emana. Questo credo sia anche dovuto al fatto che, in molti casi, presento i progetti dei luoghi di cui parlo nei luoghi stessi, in una sorta di prova del fuoco, una riflessione in grado di restituire un’immagine che nel quotidiano diventa difficile vedere.


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Rispetto alle tecniche che usi quali sono i mezzi che preferisci? Come li pensi rispetto ai singoli progetti? Hai un linguaggio che senti privilegiato? Nasco pittore e la pittura è sicuramente un elemento che mi porto dietro in quasi tutte le mie ricerche anche se in forme molto diverse. In questi anni ho elaborato un metodo di pittura che è più simile al procedimento scultoreo, parto da scatti fotografici molto bui, quasi sempre scatto intorno alle 6 del mattino per avere una luce bassa e pochissima presenza umana, e poi con il bianco con un lavoro di velature scavo le mie immagini inventando impalcature architetture collegando aree distanti far loro e isolando le mie geografie economiche. Accanto a questa tecnica, che spesso mi aiuta a sistemare anche i pensieri nella fase iniziale del progetto, ne uso molte altre. È il luogo stesso che mi indica i materiali e le tecniche su cui lavorare, nel caso di Verona la realizzazione di un dramma in 4 atti e di un disco di musica lirica in tiratura di 100 pezzi è stato come scoprire un mondo completamente nuovo.

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duzione contemporanea e capire dove siamo e dove stiamo andando. So che a volte mi capita di incontrare, dall’altra parte del mondo, artisti che hanno le stesse mie tensioni, questo mi fa sentire parte di qualcosa. Sono fortemente grato a chi, per ogni progetto, si adopera perché venga realizzato a partire dall’istituzione o dalla galleria che finanzia la ricerca, fino agli operai che pazientemente mi seguono nelle realizzazioni più complesse.

Studio La Città Lungadige Galtarossa 21, Verona Orari: da martedì a sabato 9.00-13.00 e 15.00-19.00 Info: +39 045 597549 info@studiolacitta.it www.studiolacitta.it

Quali saranno i prossimi capitoli della tua ricerca? A cosa stai lavorando? In questi giorni si avvia un progetto a cui tengo molto e che completa un’ulteriore tappa della macro ricerca su Napoli che porto avanti dal 2000. Sarà un’esperienza complessa e per me totalmente nuova. Poi ho un nuovo progetto all’estero di cui non ti anticipo nulla per ora… Magari la prossima volta! Eugenio Tibaldi. Red Verona a cura di Adele Cappelli in contemporanea

In definitiva cosa ci racconti della contemporaneità? Come la vive la tua espressione artistica? Non lo so, io so che faccio questo lavoro perché mi fa sentire adeguato, non riesco a spaziare con lo sguardo nel vastissimo mondo della pro-

Herbert Hamak. Point alpha a cura di Marco Meneguzzo

Eugenio Tibaldi, Verona Maps 01, 2015, 24 pezzi (dettaglio), materiali vari, installazione ambientale. Courtesy: Studio la Città, Verona. Foto: Michele Alberto Sereni e Beatrice Barbuino.

21 febbraio – 30 aprile 2015 Inaugurazione 21 febbraio 2015 ore 11.30

Nella pagina a fianco: Eugenio Tibaldi. Red Verona, veduta della mostra, Studio la Città, Verona. Courtesy: Studio la Città, Verona. Foto: Michele Alberto Sereni

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intervista

Tra inganno e realtà le diverse rappresentazioni del frammento LISSONE (MB) | Museo d’Arte Contemporanea | 7 marzo – 19 aprile 2015 Intervista a VINCENZO RUSCIANO di Matteo Galbiati

In attesa di poter ammirare la sua mostra presso la Project Room del Museo d’Arte Contemporanea di Lissone (MB) abbiamo posto all’artista Vincenzo Rusciano (1973) alcune domande sull’orientamento e l’indirizzo del suo sguardo e sui contenuti di quest’ultima fase del suo, articolato e coerente, percorso di ricerca. Ecco i contenuti del nostro dialogo con il giovane scultore napoletano: Come nasce il progetto che presenti al Museo di Lissone? In cosa consistono gli Echi dal bianco? Il progetto nasce da una riflessione che sto portando avanti da diverso tempo sul significato di abbandono, assenza e incuria delle macerie dell’antico; riflessione partita in occasione della mia mostra personale alla Chiesa

di Sant’Aniello a Caponapoli, nello scorso autunno, per la quale il confronto col “puzzle” di tracce architettoniche e decorative, di resti di mura greche e rimaneggiamenti settecenteschi, fu una costante. Le sculture che presento a Lissone simulano infatti frammenti di statue e bassorilievi archeologici uniti idealmente con utensili e strumenti del mio lavoro – quello di scultore e anche di restauratore – e assemblati in modo da formare un tutt’uno con le casse da imballaggio che proteggono le opere stesse. Echi dal bianco, invece, rievoca un luogo dove si rinvengono blocchi di marmo, materia prima della statuaria antica, oltre che le bianche risonanze della pietra.

ti? Le due opere s’intitolano Passaggi, che universo di senso vuole racchiudere questo titolo? Le opere dal titolo Passaggi sono composte da un caos di sovra-strutture che richiamano quelle che, molte volte, vengono applicate all’opera d’arte prima e durante l’intervento di un restauro e che rappresentano il momento in cui l’elemento da recuperare viene del tutto celato. È per me la fase più misteriosa che, da una parte, sembra nascondere la bellezza, ma che, in realtà, racconta di quei “passaggi” tra fasi intermedie che creano un rapporto molto peculiare con l’opera da restaurare prima dell’intervento vero e proprio.

Nella Project Room del Museo sono presenti due opere, quali sono i loro contenu-

La tua scelta si lega ad un’espressione che ha lunghe radici nel tempo e nella storia delle arti figurative: la scultura. Come la rilegge la tua poetica? Il frammento è, da sempre, l’oggetto della mia indagine artistica: le “anime” in stoppa e ferro sono state i segni intorno ai quali si sono sviluppati i miei primissimi lavori alla fine degli anni Novanta. In opere degli anni più recenti invece, come Broken, il frammento sintetizza le declinazioni di ira, di rabbia, atte a contraddire l’idea che quella giostra possa reggere la parvenza armoniosa e perpetua del suo corso. Esplosioni estetiche quantomai necessarie per risvegliare mente, interesse, sensibilità. E anche nelle mie ultimissime opere, come già detto, ho lavorato sul concetto di frammento, ma per restituire, idealmente, unità a quella distruzione irrimediabile provocata dall’incuria.

Vincenzo Rusciano, Passaggio #1, 2014, jesmonite, legno, ferro, vernice, grafite, cm 210x45x45. Foto: Danilo Donzelli A fianco: Vincenzo Rusciano, Passaggio #2, 2014, jesmonite, legno, ferro, lattice, vernice, grafite, cm 215x48x50. Foto: Danilo Donzelli 10


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Qui lavori su uno sfalsamento della percezione, quasi ad “istigare” una confusione tra quanto parrebbe provenire come reperto da un lontano passato e quanto invece resta frutto di un’elaborazione “costruita” nel contemporaneo… Come si muove il nostro sguardo in queste due direzioni? Secondo te, allora, in che rapporto si pongono tradizione e innovazione? I materiali che utilizzo per le mie sculture sono quelli “duri” dell’oggi, del fare e dell’operare: resina, acciaio, legno; eterocliti residui di vita e di lavoro quotidiani, saldamente ancorati al mio sentire e al contesto. Questi materiali riescono a creare un tessuto che vive di contraddizioni e mira ad un ideale disorientamento storico-este-

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tico dove la “memoria” viene travasata dentro una dimensione del presente, sospesa tra passato e futuro, tra realtà e finzione. Hai condotto una ricerca sul “rifacimento” dall’antico i cui modelli, però, si arricchiscono di diversi altri elementi ad accentuare una sovrapposizione di diversi livelli di lettura. Quali sono gli strumenti con cui lo spettatore può penetrare nel profondo dei tuoi lavori? In riferimento al tuo lavoro si è parlato di disorientamento delle categorie storico-estetiche e spazio-temporali, come scongiuri l’ambiguità di un possibile fraintendimento in chi guarda? La consapevolezza che gli equilibri carichi di

tensione non rendono affatto facili gli approdi a visioni compiute o univoche. Quali saranno i prossimi tuoi impegni? Sto progettando nuovi lavori per la mia prossima mostra personale alla Galleria Annarumma di Napoli. Vincenzo Rusciano. Echi dal bianco a cura di Alberto Zanchetta 7 marzo – 19 aprile 2015 Inaugurazione 7 marzo 2015 ore 18.00 Project Room Museo d’Arte Contemporanea Viale Padania 6, Lissone (MB) Orari: mercoledì e venerdì 10.00-13.00; giovedì 16.00-23.00; sabato e domenica 10.0012.00 e 15.00-19.00 Info: +39 039 7397368; +39 039 2145174 museo@comune.lissone.mb.it www.museolissone.it

Vincenzo Rusciano, Broken, 2011, tecnica mista, cm 240x270x140 12


fino al 12.04.2015 alessandra ariatti / chantal joffe ritratto di donne

17.05 – 18.10.2015 enrico “la caduta” david

17.05 – 27.09.2015 esko männikkö time flies. a highlight

4.10.2015 – 28.02.2016 corin sworn vincitrice del max mara art prize for women in collaborazione con whitechapel gallery

collezione permanente arte internazionale 1950–oggi giovedì–domenica prenotazioni tel. +39 0522 382484 info@collezionemaramotti.org www.collezionemaramotti.org via fratelli cervi 66 – reggio emilia


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intervista

Pablo Atchugarry Una scultura che regge e insegue la luce MILANO | Costantini Art Gallery | 5 febbraio – 14 marzo 2015 Intervista a PABLO ATCHUGARRY di Matteo Galbiati

Alla Costantini Art Gallery di Milano abbiamo ammirato, nella mostra intitolata Il divenire della forma, una serie di diverse opere che illustrano il percorso e il suadente linguaggio della forma scultorea di Pablo Atchugarry (1954). Del maestro uruguaiano sono esposte una serie di sculture di piccolo e medio formato che, senza perdere la naturale affermazione di una materia che si alleggerisce e pare dissolversi nello spazio, nulla tolgono alla forza e allo slancio maestoso delle opere monumentali. La pietra – ma anche il metallo e, in taluni casi, persino il legno – nelle mani di Atchugarry si allunga, dilata, estende, si impasta, riempiendosi di fessure e interstizi, che alleggeriscono l’impianto della solidità di una bellezza statuaria che si ammorbidisce, attraverso uno slancio vivo proteso dall’ambiente verso la luce. In occasione della mostra milanese abbiamo incontrato l’artista per un breve scambio di battute: Come è nata la sua vocazione alla scultura? È nata quando ho avuto la necessità di uscire

dalle due dimensioni per scoprire e indagare, così, lo spazio. Lei è originario dell’Uruguay, quando e perché è arrivato in Italia? Cosa l’ha spinta nel nostro Paese? Cosa vi ha trovato? Sono arrivato in Italia nel 1977, allora avevo soltanto 23 anni, l’incontro con questo meraviglioso Paese mi ha fatto rimanere e sono “cresciuto” in mezzo al suo immenso patrimonio artistico e culturale. La sua scultura si fonda su materiali assolutamente consueti per questo linguaggio, come il marmo e la pietra, perché questa scelta “tradizionale”? Veramente non so dire se sono stato io a scegliere il marmo o il marmo abbia scelto me. La verità è che non saprei vivere senza. Molti pensano che la contemporaneità coincida con innovazione e sperimentazione, cosa si sente di dire da “scultore del marmo”? Come si può innovare ricorrendo a mezzi più “convenzionali”?

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Pablo Atchugarry. Il divenire della forma, veduta della mostra, Costantini Art Gallery, Milano. Nella pagina a fianco: Pablo Atchugarry al lavoro


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L’innovazione sta nella vita stessa, quindi viviamo e cerchiamo di farlo in armonia con la natura.

questa bagna tutta la superficie fino a toccare l’energia interiore. In questo modo si scopre la vita che è nella scultura.

Su quali principi fonda la sua poetica e la sua espressione scultorea? Il mio lavoro nasce dalla ricerca, dalla conoscenza della materia e di quello che non conosciamo (lo spirito), perciò le mie sculture cercano di avvicinarsi al cielo portandovi le interrogazioni che ci poniamo in questo nostro cammino.

A fronte di molta arte “aleatoria” e “momentanea”, destinata a sparire, la sua afferma una solida intenzione a rimanere monumento (nel senso letterale del termine di ciò che rimane nel tempo)… Quanto conta questo aspetto in opere che sembrano trasgredire, con la loro leggerezza e il loro slancio, questo principio? Il tempo che ci tocca vivere è breve e, in questi atti d’esistenza, l’artista cerca di immortalarli lasciandovi il suo messaggio. Cerco di far durare il più a lungo possibile il mio messaggio.

Cosa raccontano le sue sculture? Cosa suggeriscono allo spettatore? Le mie opere servono come supporto alla luce,

Le sue opere, che siano piccole realizzazioni o interventi su scala monumentale, conservano tutte una tensione diveniente, una spinta germinativa che le smarca dal rigore di un’immobile staticità… Tra pieni e vuoti si animano di vita? Credo che nelle mie opere ci sia una spinta verticale che prova a portare la vita ad una dimensione sconosciuta, forse cerca di ritornare ad un cielo stellato. In generale, quindi, cosa deve dire oggi la scultura? Quali messaggi deve consegnarci? L’opera d’arte deve riflettere il messaggio di vita che è dentro all’anima del suo autore. Ha avuto un riscontro e un successo internazionale che ha toccato quasi ogni continente, quali sogni deve ancora realizzare? Quali progetti sono nelle sue aspirazioni? Vorrei seguire il lungo e silenzioso camino della creatività, accompagnato dall’umiltà e dalla gioia di percorrerlo. Quali impegni l’attendono nell’immediato futuro? Ha altre mostre o altre realizzazioni in preparazione? La prossima mostra sarà a Roma nel Museo dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano con un’esposizione di carattere retrospettivo. Qui le mie opere cercheranno di dialogare con la monumentalità del luogo. Pablo Atchugarry. Il divenire della forma catalogo con testo critico di Luciano Caprile 5 febbraio – 14 marzo 2015 Costantini Art Gallery Via Crema 8, Milano Orari: tutti i giorni 10.30-12.30 e 15.30-19.30; chiuso il lunedì mattina e festivi Info: +39 02 87391434 costantiniartgallery@gmail.com

Pablo Atchugarry, 2014, bronzo, cm 80x32x20 16



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Il reale è il mistero BOLZANO | Museion, Project Room | 31 gennaio – 26 aprile 2015 Intervista a CHIARA FUMAI di Corinna Conci Foto di Gianluca Turatti

Museion, Project Room: un copione trasmesso sotto forma di scrittura medianica compone 9 collages contenenti testi della terrorista Ulrike Meinhof. Un Wall Painting invita alla performance di Chiara Fumai che avviene in 9 repliche, sviluppata come visita guidata alla mostra di Rossella Biscotti. Nel dipinto, la comunione delle streghe. Due donne in abiti del cinquecento porgono un’ostia ad una terza donna, inginocchiata sotto costrizione. Il disegno proviene da un grimorio rinascimentale della collezione dell’artista. La frase di Eldridge Cleaver, ripetuta spesso dalla Meinhof, incornicia la scena: “O fai parte del problema, o fai parte della soluzione. Non esiste una via di mezzo”. Un trattato contro la stregoneria intitola la mostra Der Hexenhammer: in questo contesto la figura della terrorista tedesca è collocata in una

dimensione che mostra il suo spirito persecutorio e salvifico allo stesso tempo. Nelle tue opere presenti al pubblico personalità vicino ai limiti, che nel corso della storia hanno occupato posizioni estreme ideali e sociali. Serge Moscovici sosteneva che le minoranze possono produrre un cambiamento reale nella società, chiamato innovazione. Con il tuo lavoro è come se tu non volessi far dimenticare la potenza di alcune figure del passato riportando nel presente la loro riforma. Con le mie opere strumentalizzo la mia sensibilità, mettendola al servizio di alcune situazioni, di alcuni personaggi. Parlo spesso – metaforicamente – di fantasmi che vengono a visitarmi per ispirare la creazione di opere, perché

è vero che io non conduco ricerche storiche o tematiche. Quello che presento sono figure che emergono puntualmente attraverso i miei interessi. L’opera basata sul manifesto SCUM (Chiara Fumai reads Valerie Solanas, 2013) è stata interpretata spesso in Italia come un attacco isterico contro il genere maschile, ma in realtà è una provocazione contro la misoginia: basta guardarla per capirne l’ironia. Trovo che il manifesto SCUM (1968) sia già una bellissima opera letteraria in sé, anti-warholiana e politically uncorrect. Ho desiderato incarnarlo, trasmettendone la lettura dal tavolo di casa mia, proprio come nella ‘discesa in campo’ di Berlusconi del 1994, perché ritenevo giusto che in quel momento storico S.C.U.M. diventasse un’opera capace di rovesciare alcuni presupposti su

Chiara Fumai, Der Hexenhammer, pittura su muro, Museion Project Room, 2015. Courtesy: l’artista e A Palazzo Gallery, Brescia. Foto: Gianluca Turatti. 18


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cui si fonda la nostra cultura mediatica. Mi è capitato anche di scegliere dei testi della filosofa Carla Lonzi, ma li ho fatti performare ad un personaggio del freak show (Shut Up, Actually Talk, 2012). Ho sentito che a quel tipo di testo mancasse un immaginario visivo altrettanto estremo. Il freak show rappresenta storicamente la performance art di serie B, e proprio per questo ho scelto di presentare quel testo attraverso quel formato in un contesto autorevole come dOCUMENTA(13). Come è avvenuto il tuo incontro con Ulrike Meinhof? L’hai scelta o ti ha scelta lei? Ci sono delle figure che appaiono nella mia mente e rimangono lì, a volte aspettando molto tempo prima di venire ‘canalizzate’. Lavoro da anni sul personaggio di Ulrike Meinhof. Bolzano mi è sembrata la cornice giusta per presentare questo progetto su di lei, Der Hexenhammer, proprio perché è una città con una storia italiana e tedesca. Essere rappresentata da questo museo mi consente di lavorare liberamente sul suo personaggio, senza cadere in equivoci dal taglio moralista. La mostra di Rossella Biscotti, un’artista che seguo e stimo molto, mi è sembrata il contesto più giusto per l’esecuzione della parte performativa. Scardinare le dinamiche spaziali e temporali di una performance è sempre una piacevole attività. Studiando la RAF, ho notato che le loro

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azioni sono sempre state accompagnate da una rappresentazione spettacolare, colossale, ovvero una dimensione visiva molto impegnativa da restituire su un piano prettamente performativo. Partendo da questo presupposto, ho deciso di trattare queste tematiche così difficili, strutturando l’estetica della mia performance sulla medianità e sull’impatto della decostruzione spazio-temporale. Attraverso di te parlano voci di donne corredate di attribuzioni accumulate nei secoli in termini di opinioni, comportamenti e costume. Sei particolarmente interessata a mostrare il punto di vista femminile, c’è un obbiettivo in questa scelta? Con la mia ricerca cerco di valorizzare le diversità. Mi interessa usare l’arte per ridiscutere l’ottica logocentrica, fallocentrica, su cui è basata la più diffusa visione del mondo (occidentale). Come ho spesso dichiarato, attraverso le mie opere io non pretendo di fornire delle risposte allo spettatore. Io mi limito a formulare, estetizzandole, delle domande precise e cerco di farlo muovendomi al di là del bene e del male. Sottraendo le mie opere al punto di vista dominante, è inevitabile che il mio operato risulti fortemente polarizzato e quindi ultra-femminista. Nonostante io appartenga ad una generazione post-post-post femminista, sono onorata di portare ancora questa etichetta: sono stati

questi movimenti a permettermi di diventare un’artista e a farne una professione a tempo pieno, non i grandi filosofi sistematici. È giusto, ogni tanto, mostrare la propria riconoscenza. Ritengo inoltre che ci siano molte differenze tra uomo e donna, così come tra tanti esseri viventi, ma questo valore della diversità non deve essere confuso con un giudizio morale: per me qualsiasi forma di eterogeneità rappresenta un valore, anche sul piano artistico. Quando cito “Un artista maschio è una contraddizione in termini” (Chiara Fumai reads Valerie Solanas, 2013) sto facendo evidentemente una provocazione, piena di autoironia, proprio come Mladen Stilinović nell’opera An artist who cannot speak English is no artist (1994). Inoltre ritengo che le contraddizioni rappresentino anch’esse dei valori in una visione non logocentrica come la mia. A proposito di artisti maschi, nutro una grande ammirazione nei confronti di Vito Acconci. In un’opera presentata lo scorso anno al De Appel di Amsterdam (The Return of the Invisible Woman, 2014) ho presentato una vera e propria fan fiction sull’ultima performance dell’artista nel 1973, ricamandone la crono-storia sulle pagine della Venere in Pelliccia di Sacher Masoch e mescolando questo report alle oscenità contenute romanzo erotico Histoire d’O di Pauline Reage. È un gesto di ammirazione. Trovo giusto che un tributo ad Acconci si manifesti

Chiara Fumai, Der Hexenhammer, pittura su muro, Museion Project Room, 2015. Courtesy: l’artista e A Palazzo Gallery, Brescia. Foto: Gianluca Turatti. 19


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attraverso un’opera sadiana e maniacale. Usi spesso la scrittura automatica nelle tue opere. In Der Hexenhammer l’hai definita “copione”, termine con il quale l’analisi transazionale chiama il piano di vita che decidiamo inconsciamente entro il nostro settimo anno di età. Quanto c’è di Chiara bambina nelle tue opere? Ho passato la mia infanzia in un collegio di gesuiti e so che questo potrebbe spiegare molte cose, visto che ne sono uscita anarchica. Nonostante io faccia parte di un’altra ‘squadra’ spirituale, come dice il mio amico Olof Olsson, al giorno d’oggi non posso fare a meno di riconoscere l’importanza che abbia avuto lo studio approfondito dei Testi Sacri durante l’infanzia,

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per la mia attuale dimestichezza con i simboli e gli archetipi. La mia spiritualità vera e propria si è sviluppata molto più tardi, dopo anni e anni di agnosticismo, con la scoperta del Lucifer di Madame Blavatsky e di tutte le porte che gli studi teosofici mi hanno mostrato. Blavatsky ha introdotto me, e altri artisti prima di me, a una interpretazione metafisica della realtà, attraverso un metodo capace di rispondere a tantissimi interrogativi, anche di natura esistenziale, e che non sono ancora riuscita a sostituire con una visione diversa. Guardando le mie opere, a volte penso a certe abitudini che avevo da bambina, come giocare con le ouija board o disegnare fumetti, ma la pratica dell’arte contemporanea ha principal-

mente per me un carattere iniziatico, ossia di continua rinascita: l’arte mi permette di sviluppare delle nuove consapevolezze rispetto alla vita. Georges Bataille sosteneva che la dimensione del sacro appartiene solo agli estremi, fuori dalle vie di mezzo. L’esperienza di angoscia e estasi rivela l’impossibilità dell’accordo totale tra l’io e il mondo, e l’arte ci fornisce questa conoscenza. Per l’autore il pensiero ha una connotazione estetica nella sperimentazione della sensibilità. L’arte comporta la perdita del mondo reale e l’occultamento dell’artista, che viene guidato in modo impersonale da un demone. Così Lacan, Deleuze, Kafka, Bacon, Schopenhauer andavano da Carmelo Bene. Lui stesso diceva sempre: ” Il discorso non appartiene all’essere parlante, ma esiste. Le cose ci visitano.” Sempre secondo Bataille è solo tramite l’abbandono dei limiti della ragione e dell’io che si oppone agli altri esseri, che si arriva a dare respiro all’esperienza interiore. Quì coesistono insieme il tragico, il comico, l’angoscia in un disordine che risponde a domande psichiche interne. È in questo spazio-tempo che agisce Chiara Fumai, esercitando una resistenza apparente alla struttura che si rivela un moto propulsivo con una finalità: mostrare agli spettatori il contenuto dell’anima del reale, avvolta essa stessa nell’inconscio e quindi nel mistero. Chiara Fumai, Der Hexenhammer, pittura su muro Museion Project Room, 2015. Foto Gianluca Turatti. Courtesy of the artist and A Palazzo Gallery, Brescia Chiara Fumai. Der Hexenhammer a cura di Frida Carazzato 31 gennaio – 26 aprile 2015 Museion, Project Room Via Dante 6, Bolzano Date di svolgimento della performance: giovedì 19 febbraio; 12 e 19 marzo; 9 e 16 aprile alle ore 18.00 Ingresso gratuito. È gradita la prenotazione: visitorservices@museion.it – Tel. 0471.223435 Info: www.museion.it

Chiara Fumai mentre spiega ‘Gli Anarchici non archiviano’ di Rossella Biscotti. Courtesy: le artiste e Fondazione Museion. Foto: Gianluca Turatti 20


Opere di

Carla Accardi Pierpaolo Calzolari Peter Halley Luigi Mainolfi Aldo Mondino Robert Pan Piero Pizzi Cannella Carol Rama Mario Schifano Peter Schuyff Ettore Spalletti Philip Taaffe Marco Tirelli

BEHEMOTH the deep surface a cura di Federico Mazzonelli 12 marzo 11 aprile 2015

Via L. Porro Lambertenghi 6, Milano info@galleriagiovannibonelli.it www.galleriagiovannibonelli.it +39 02 87246945

inaugurazione GiovedĂŹ 12 marzo ore 19.00


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intervista > spazi

Mapping Contemporary Art Space Nuovo spazio per il contemporaneo a Rovereto ROVERETO (TN) | Mapping Contemporary Art Space Intervista a DAVIDE FILIPPI di Gabriele Salvaterra

Lo scorso 30 gennaio a Rovereto (TN) ha aperto Mapping Contemporary Art Space, un nuovo spazio espositivo che si presenta come luogo ibrido a metà strada tra la galleria d’arte e la project zone. In quell’occasione abbiamo raccontato la mostra inaugurale dedicata alle foto di Arianna Arcara. Oggi torniamo a parlare direttamente con Davide Filippi, curatore e responsabile dello spazio, per approfondire quali sono le ragioni e i possibili sviluppi di questo progetto: Parlaci di Mapping Contemporary… Mapping è uno spazio no-profit per l’arte contemporanea che si occupa esclusivamente di progetti di giovani artisti under 35. L’attività espositiva sarà il perno del progetto, con 4-5 mostre all’anno, accompagnate da eventi estemporanei come talk e workshop. Aprire uno spazio espositivo è il sogno di ogni curatore, come sei arrivato a questa decisione? Da un po’ di tempo sentivo la necessità di sviluppare un progetto totalmente mio per poter concretizzare in libertà le idee e le visioni legate all’arte che ho in mente. Avere uno spazio tuo, seppur piccolo, ti permette almeno in parte di

concretizzarle. Chiaramente non è nato tutto da un giorno all’altro, c’è voluto un anno dal pensiero iniziale. Raccontaci la tua storia, sei molto giovane, qual è la tua formazione? Finito l’Istituto d’arte ho portato avanti parallelamente studio e lavoro. Lavoravo presso l’Area Didattica del Mart mentre, contestualmente, studiavo Graphic Design & Multimedia alla LABA di Brescia. Mi mancano pochi esami alla laurea. Ho vissuto sei mesi a Londra dove ho lavorato come assistente curatore alla Union Gallery e come volontario presso l’Estorick Collection. Le ultime esperienze di studio e di lavoro le ho avute a Milano, dove ho prima seguito il corso di Contemporary Art Markets alla NABA e dove successivamente, per 6 mesi, ho fatto uno stage presso la galleria Massimo De Carlo. Pensi che il legame con uno spazio stabile possa essere un vincolo all’attività curatoriale e critica? Tenderai forse a vestire più i panni del gallerista/organizzatore? Cercherò di lavorare su due livelli come responsabile dello spazio, sia per gli aspetti tecnici che, sopratutto, per la programmazione: di-

ciamo un ruolo di direttore artistico. Penso sia fondamentale comunicare al meglio le proprie intenzioni e visioni fin dall’inizio, per questo ci vuole una certa continuità e coerenza con tutto quello che viene proposto, mettendo la qualità prima di tutto. Ci saranno certamente mostre curate da me in prima persona, come la prossima, ma, ad esempio, la prima (Carte De Visite / Arianna Arcara) è stata curata da Roberta Pagani. Curare tutte le mostre personalmente sarebbe troppo autoreferenziale e limitativo nel precludersi progetti interessanti curati da altri. In più è stimolante lavorare con altri curatori ed in generale con altre professionalità del mondo dell’arte, è uno scambio che penso faccia bene. Rovereto è segnato dall’importante presenza del Mart e da alcuni piccoli spazi comunali. Come intendi rapportare l’attività di Mapping rispetto a queste realtà? Qual è la nicchia a cui vuoi rivolgerti? Mapping lavorerà esclusivamente con giovani artisti under 35. È una presa di posizione che ti permette di differenziarti in modo chiaro nel contesto locale. La presenza del Mart è sicuramente positiva, non potrebbe essere altrimenti, è una calamita per tanti professionisti del settore. Per questo possono nascere potenzialmente tante collaborazioni di diverso tipo. Hai dedicato la prima mostra ad Arianna Arcara, vi conoscete da tempo? Come è caduta la scelta inaugurale sul suo progetto? Ci siamo visti per la prima volta il giorno precedente all’inaugurazione, per allestire la mostra. A Milano, una collega amica di infanzia di Arianna mi aveva parlato del lavoro di Cesura, collettivo di fotografi che vede tra i membri fondatori

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proprio Arianna, che tra tutti era quella che mi aveva colpito di più. Ho poi avuto l’occasione di vedere il suo lavoro a Torino, nell’ultima edizione di Artissima, successivamente le ho scritto, le ho parlato dello spazio e una mail dopo l’altra è nata la mostra. Penso che il suo lavoro sia fantastico, volevo partire fin da subito con qualcosa di alta qualità, quella che Mapping cercherà di tenere mostra dopo mostra. Si tratta di un inizio programmatico? Continuerai a dare spazio a fotografia e a progetti artistici partecipati? Che piega prenderà la programmazione? A livello di linguaggi non ci saranno limitazioni, si darà spazio alla fotografia come all’installazione, alla pittura, al video ecc… Riguardo la programmazione sarà legata a progetti ben precisi, come appunto quello che troviamo nell’attuale mostra, più che a singole opere dello stesso artista non collegate per forza tra loro. Penso possa essere la soluzione vincente per uno spazio del genere, che non è né una galleria né una sala di un museo dove esistono altre dinamiche di esposizione. Idealmente è una project room. Domanda di rito: progetti futuri, qualche anticipazione sulle prossime mostre? Tanti, ma bisognerà per forza di cose selezionare e concentrarsi solo su alcuni di essi, per

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mantenere alta la qualità penso sia l’unica strada. La prossima mostra sarà curata da me, inaugurerà a metà aprile circa, preferisco non anticipare l’artista, ma ti posso dire che il tutto ruoterà intorno ad un progetto pensato esclusivamente per lo spazio. C’è molto da lavorare perché verrà esposto tutto il processo, e di conseguenza tutto il materiale che porta alla creazione dell’opera, senza esporre l’opera. È un progetto davvero stimolante che sta prendendo forma proprio in questi giorni nei Balcani, lungo il corso del Danubio, che vedrà poi la sua conclusione visiva qui.

Mostra in corso: Arianna Arcara. Carte de visite a cura di Roberta Pagani un progetto di Nopx 30 gennaio – 21 marzo 2015 Mapping Contemporary Art Space Via della terra 46, Rovereto (TN) Orari: mercoledì, giovedì, venerdì, sabato 15.00-19.00

Arianna Arcara. Carte de visite, veduta dell’allestimento, Mapping Contemporary Art Space, Rovereto (TN)

Info: mapping.contemporaryartspace@gmail.com

Nella pagina a fianco: Ritratto di Davide Filippi e veduta di Mapping Contemporary Art Space

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i nuovi luoghi della cultura 2 e t r a p Favara Farm Cultural Park e Italian Stories: luoghi fisici e immaginari per disegnare nuove geografie di VALERIA BARBERA Continua il viaggio alla scoperta dei luoghi dove si creano e si sperimentano le “nuove forme” della cultura oggi. Favara Farm Cultural Park in Sicilia e il portale Italian Stories: un luogo fisico e uno virtuale dove l’individuo e l’esperienza sono al centro e diventano i principali attori di un cambiamento culturale. Dalle interviste agli ideatori di questi progetti emergono nuovi paradigmi e nuove possibilità per una cultura sostenibile e un turismo basato sull’esperienza e sulla trasmissione di conoscenze. LEGGI LA PARTE 1 DELLO SPECIALE SU ESPOARTE DIGITAL 86 1/2 http://bit.ly/espodigital86mezzo


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i nuovi luoghi della cultura

FAVARA FARM CULTURAL PARK Intervista a FLORINDA SAIEVA

Quali sono le parole chiave con cui descriveresti FAVARA FARM CULTURAL PARK? Condivisione, sperimentazione, crescita e conoscenza. Come è nato questo progetto? Il progetto in realtà nasce come un progetto familiare. Io e mio marito Andrea avevamo fatto numerose esperienze all’estero e avevamo una casa a Parigi dove andavamo almeno per quindici giorni ogni mese. Siamo appassionati d’arte contemporanea e architettura e Parigi stava vivendo un momento storico molto importante e di grande fermento e per questo motivo avevamo scelto quella città. Poi quando nostra figlia, Carla, la più grande, doveva iniziare a frequentare la scuola ci siamo chiesti dove avremmo voluto mettere le nostre radici. Inizialmente mio marito aveva pensato di rimanere in Francia, anche se per il suo lavoro sarebbe dovuto tornare sempre in Italia. Io, invece, non avrei voluto far crescere mia figlia lontana dal padre, per cui abbiamo scelto infine di tornare

in Sicilia, esattamente a Favara dove vive la mia famiglia. Io, infatti, sono originaria di Favara, un paese piccolo in cui però non c’era molto e noi non volevamo togliere alle nostre figlie la possibilità di fare tutte quelle esperienze che noi reputiamo importanti. Abbiamo così deciso di continuare a mantenere i contatti con tutto quello che avevamo sperimentato fino a quel momento per poter offrire alle nostre figlie, ma anche alla comunità, la possibilità di conoscere persone, incontrare artisti, architetti… insomma tutte quelle esperienze che aiutano a crescere. Quindi, per certi versi, abbiamo provato a portare a Favara quello che fino a quel momento noi avevamo cercato fuori dalla Sicilia. E in parte ci siamo riusciti. Come si è sviluppato Favara Farm Cultural Park in questi anni? Abbiamo iniziato a fare le prime acquisizioni

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Florinda Saieva e Andrea Bartoli con una delle loro figlie


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nel 2008 ed era nostra intenzione, come avevamo pianificato da manuale, aprire nel 2012. Purtroppo però nel 2010 nel crollo di una palazzina nel centro storico di Favara sono morte due bambine; sono così arrivati avvisi di garanzia a quasi la totalità dell’amministrazione pubblica e non solo. Gli amministratori hanno così iniziato a radere al suolo il centro storico; là dove c’era un minimo dubbio sulla stabilità, abbattevano case. Abbiamo quindi deciso di anticipare i tempi: nel marzo 2010 hanno avuto inizio i lavori di ristrutturazione dei due immobili più piccoli, anche per dare un segnale alla città che qualcosa stava accadendo e che il cambiamento era possibile. Quindi abbiamo aperto nel giugno 2010 con un piccolo spazio galleria, un piccolo shop. Poi da quel primo nucleo gli spazi poi pian piano si sono ampliati e il processo è stato affiancato da una programmazione culturale costante. Che è stata la nostra più grande forza. Attualmente chi lavora a Favara Farm Cultural Park? All’inizio eravamo solo io, mio marito Andrea e un collaboratore. Ora, anche se continuiamo a seguire noi la maggior parte delle iniziative, il progetto conta un gran numero di volontari: si è formata attorno a noi una comunità di persone che ci danno una grande mano anche nella progettazione.

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Poiché il sostegno economico del progetto è fondamentalmente il nostro, di fatto le decisioni finali vengono prese da noi, ma sono tante le persone che ci aiutano in modo prezioso anche nell’ideazione. E poi siamo anche riusciti ad intrecciare delle relazioni con le Università e le Accademie e con vari istituti che si occupano di cultura, arricchendo la nostra proposta culturale. Quali sono state – e quali sono ancora oggi – le principali criticità incontrate durante questo processo? Immagino si tratti di un impegno importante anche economicamente… L’impegno economico è importante, ma a dispetto di quanto si possa pensare l’investimento non è stato poi così enorme, soprattutto considerandone i risultati. Nel nostro caso, abbiamo fatto un investimento molto grande – si aggira intorno ai 500.000 euro – ma non si tratta di una cifra impossibile per un’amministrazione pubblica o anche per dei professionisti. Equivale, ad esempio, all’investimento per una seconda casa al mare, investimento che noi, ad esempio, non abbiamo fatto. Si tratta di una questione di prospettive: noi abbiamo deciso di investire nella crescita e nel futuro delle nostre figlie in un modo diverso. Per me però la difficoltà maggiore rimane il rapporto ambiguo con la cittadinanza: gli abitanti

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di Favara, infatti, pur riconoscendo il valore di quello che è stato fatto ed essendone anche orgogliosi, al tempo stesso però vivono con distacco questo posto; forse perché lo vedono ancora come una novità o forse perché lo sentono troppo diverso da loro. C’è ancora questa difficoltà, manca in loro un senso di appartenenza verso questo luogo, pur riconoscendone l’importanza e avendoci investito: ad esempio la piazza di Favara, che prima era deserta, ora brulica di locali e molti spazi in centro storico ora sono in affitto o in ristrutturazione. Questa estraneità per me però continua ad essere una criticità e un dispiacere, un aspetto che necessita ancora di tanto lavoro. Favara Farm Cultural Park ha conferito al territorio una notevole visibilità, anche a livello internazionale: questo interesse si è tradotto in un fenomeno anche dal punto di vista turistico? Come il processo di innovazione culturale ha coinvolto e modificato la vita della comunità? Fino a 5 anni fa a Favara c’erano circa 9 posti letto in un albergo, ora si sono moltiplicati, tanti i nuovi affittacamere, tante le nuove attività commerciali: ristoranti, pub, bar si sono quadruplicati. Ora arrivano tantissimi turisti. Considera che siamo stati inseriti sulla guida Lonely Planet, dove abbiamo una recensione meravigliosa, quasi immeritata…


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Significativo, al di là dei turisti che visitano la città, è il fatto che ora per l’hinterland Favara è diventata un luogo di ritrovo, un luogo dove accade qualcosa. La cosa più importante per me è infatti questa inversione di tendenza nella mentalità del cittadino che prima doveva sempre andare altrove e non credeva nella possibilità che qualcosa potesse muoversi anche nella sua città. Ci capita spesso infatti che i genitori di Favara ci ringrazino perché i propri figli non sono più costretti ad andare altrove il sabato sera, ma possono uscire a piedi. Ancora oggi a Favara non c’è un cinema, ma fino a quattro anni fa non c’era nemmeno un bar dove poter prendere, non so, un aperitivo la sera… Quali sono i vostri progetti per il futuro? Si allargherà la rete di Favara Farm Cultural Park? In realtà da poco stiamo promuovendo, grazie

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alla disponibilità del gruppo dei deputati siciliani del Movimento 5 Stelle, il progetto Boom Polmoni Urbani che abbiamo scritto con loro e al quale essi destineranno le somme che risparmiano dalla riduzione dei loro stipendi. Si tratta di un’iniziativa incentrata sulla rigenerazione urbana in cui il luogo diventa un elemento fondamentale per il cambiamento. Io non credo molto nei modelli preconfezionati da “esportare” in altri luoghi; però certamente questa esperienza ci ha insegnato che il luogo ha un ruolo fondamentale nel processo. Negli anni precedenti, abbiamo organizzato eventi culturali e mostre, però è sempre il luogo che diventa un vero e proprio punto di riferimento per le attività intorno a te, per chi ti segue e ha voglia di interagire con te. Abbiamo aperto Favara Farm Cultural Park a tutti quelli che avevano voglia di sperimentare, di confrontare, di crescere… Fondamentali sono anche i servizi

per la sostenibilità degli stessi spazi perché gli eventi culturali difficilmente riescono a sostenersi da soli. Secondo me quindi è importante avere un luogo, ma una programmazione costante e fornire dei buoni servizi lo sono altrettanto. Servizi come ad esempio? Dal punto di vista degli introiti, il bar sicuramente. Poi stiamo iniziando a lavorare con le scuole organizzando dei piccoli laboratori per bambini. Si tratta sempre di piccole cifre ma è pur sempre qualcosa. Ci piacerebbe inoltre iniziare a fornire delle consulenze, anche perché in molti ce lo stanno chiedendo. Probabilmente faremo un’esperienza su Catania l’anno prossimo e se andrà come previsto, ufficializzeremo il tutto prima dell’estate: un nuovo progetto dove porteremo la nostra esperienza: più che un modello, una buona pratica, insomma. Florinda Saieva è fondatrice, assieme al marito Andrea Bartoli, di Favara Farm Cultural Park in Sicilia. Florinda si definisce “l’anima pratica” del progetto, si occupa della sua gestione quotidiana, delle attività e dei conseguenti problemi. Col sorriso assicura però che ogni tanto riesce a “scaricarne” alcuni anche al marito che del progetto è “l’anima artistica”. www.farm-culturalpark.com

In queste pagine: Vedute del FAVARA FARM CULTURAL PARK. Foto: Giuseppe Guarneri 28


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Italian Stories Intervista a ELEONORA ODORIZZI e ANDREA MISEROCCHI

Quali sono le parole chiave con cui descrivereste Italian Stories? Relazione, bellezza, story living, esperienza. Come nasce e che cosa è il progetto Italian Stories? Italian Stories nasce dal desiderio di narrare attraverso grammatiche nuove e coinvolgenti il vero tesoro dell’Italia. Si sente spesso ripetere che cibo, turismo, moda e design sono le nostre vere risorse naturali, ma poi trovare il modo di veicolare, tutelare e accrescere questo tesoro non è così facile. Noi ci stiamo provando, il nostro progetto mira ad accrescere il valore della progettualità presente negli artigiani e connetterlo a una certa tipologia di viaggiatori, quelli che cercano esperienze autentiche e personalizzate, con gli artigiani italiani. Il funzionamento della piattaforma è molto semplice. Il viaggiatore, o chi semplicemente vuole conoscere le realtà artigianali che proponiamo, potrà prenotare l’esperienza partendo dalla scelta del territorio o dalla tipologia di produzione, entrando direttamente in contatto con gli artigiani e il loro mondo. Dall’altra parte, gli artigiani, i designer o i produttori potranno inserire autonomamente la propria proposta, di visita, laboratorio o approfondimento, o ricevere richieste di esperienze su misura.

Quali sono le fasi principali attraverso le quali si costruisce un progetto di tale complessità? Cercare di dare una chiave imprenditoriale ad un progetto di selezione e curatela è la sfida più ardua, soprattutto se a farlo è una realtà privata. Ma adesso che siamo partiti ci sembra che parecchi timori fossero infondati. Meglio così. L’idea di progetto si è concretizzata a partire da un lavoro di gruppo molto coinvolgente, che in questi mesi ha legato l’Italia da nord a sud, raccogliendo lungo la strada collaborazioni impreviste e meravigliose, dimostrazioni d’interesse e quasi di affetto, nuovi incontri e affinità elettive. Noi siamo persone profondamente curiose e per primi ci piace scoprire l’Italia attraverso il punto di vista dell’artigianato, e ci piace perderci a scoprire segreti che nemmeno chi abita un luogo conosce. Dal momento che siamo progettisti e amiamo il digitale, abbiamo cominciato a immaginare

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Dall’alto: Osvaldo, pittore di Tarocchi. Foto: Denise Liguori Team Italian Stories. Courtesy: Centrale Fies / Klunk22


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come sarebbe stato possibile valorizzare l’artigianato di qualità attraverso lo storytelling, e allo stesso tempo concedere a turisti ed appassionati la possibilità di fare delle vere e proprie esperienze, il tutto in una logica di promozione di nuove forme di turismo consapevole, in grado di sostenere la filiera produttiva locale. Dove andrà sarà una bella scoperta, a noi piacciono le strade che non si sa dove vanno a finire. Italian Stories propone una chiave di lettura per conoscere il nostro Paese in un modo più autentico, lontano da stereotipi e itinerari pre-confezionati; un turismo che conferisce all’esperienza e all’individuo un ruolo centrale e critico. Come avete individuato questo tipo di esigenza? Il portale, infatti, sembra mettere a fuoco una domanda emergente in questo periodo anche se non ancora ben definita... La domanda esiste eccome... Soprattutto dall’estero, poi, le persone sono molto curiose e interessate. Italian Stories dà la possibilità, non solo di visitare queste rare bellezze, ma soprattutto di parlare con gli artigiani e prendere parte al loro processo creativo, tramite il loro racconto e i loro workshop, a prescindere dal prodotto finito; si tratta di vivere l’esperienza della conoscenza, relazionandosi direttamente con gli artigiani. Abbiamo scoper-

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to mille storie che mai avremmo immaginato, angoli di città che tutti hanno sotto gli occhi ma non vedono, spazi destinati da secoli alla produzione, reti di relazioni tra artigiani che tengono vivi sistemi di collaborazione antichissimi... Gli appassionati del craft inoltre sono in forte aumento in molti paesi, soprattutto nel mondo anglosassone e nel Nord Europa. Noi abbiamo poi la fortuna di poter sovrapporre a questo fenomeno di riscoperta il marchio Made in Italy, che non è poco. Inoltre c’è anche un filone d’interesse che deriva dal desiderio di riscoprire le origini da parte degli emigrati italiani di seconda o terza generazione, così come anche una funzione educativa della produzione manuale, di cui oggi anche in Italia si torna a discutere: come sia indispensabile l’inserimento all’interno del percorso formativo scolastico. L’interesse dunque pare essere veramente a 360 gradi. Da quando siamo on-line, riceviamo quotidianamente richieste sia da parte di artigiani che chiedono di entrare in piattaforma, sia da realtà pubbliche e privati, italiani e non, che ci chiedono informazioni, possibilità di contatto e che prenotano le esperienze dagli artigiani selezionati. Questo ci fa molto piacere ovviamente, e ci fa capire che i tempi sono maturi per certi linguaggi. Italian Stories è attivo da un tempo relativamente breve ma è già ricco di tante preziose

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Marisa l’impiraressa, Venezia. Foto: E. Leveghi


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storie di artigiani che aprono i loro laboratori a visitatori e pubblico... Quali sono state le reazioni dei professionisti, come hanno accolto questo progetto? Molti artigiani in una fase iniziale hanno avuto difficoltà a comprendere che a noi interessa spostare il focus dal valore materiale a quello immateriale della loro attività e far capire loro che da questo cambiamento possono trarre anche benefici economici. Rileggersi con paradigmi nuovi non è semplice, soprattutto se fino ad oggi hai focalizzato il tuo mestiere esclusivamente sulla produzione e non sulla tua esperienza. Una volta fatto questo scatto mentale però poi tutto diventa semplice, molti artigiani si vedono con occhi nuovi e questo aumenta la loro consapevolezza e li inorgoglisce. Per gli artigiani più giovani, invece, questo processo è molto più semplice e istintivo. Si evince dal vostro portale un’attenzione curatoriale alle realtà artigianali a cui date spazio... Quali sono i principali criteri cui vi ispirate per inserire gli artigiani su Italian Stories? Gli artigiani e i loro prodotti, così come il processo creativo, sono selezionati sulla base di un criterio curatoriale che si ispira ad alcuni principi; non tutti i principi devono necessariamente essere compresenti, ma tutte le Italian Stories saranno caratterizzate da alcuni di que-

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sti valori: • unicità – il prodotto deve avere caratteristiche di unicità e inimitabilità • qualità – il prodotto deve avere innegabili qualità di realizzazione • bellezza – il prodotto deve avere pregio estetico, a giudizio dei curatori • storia – l’artigiano deve avere una storia interessante di legame con il mondo della produzione • territorio – il prodotto deve essere espressione identitaria di un territorio • contemporaneità – il prodotto reinterpreta la tradizione attraverso la chiave di lettura del design contemporaneo Ovviamente, la qualità fondamentale che ricerchiamo negli artigiani è la capacità relazionale... Eleonora Odorizzi e Andrea Miserocchi, progettisti e ideatori della piattaforma, hanno dato una nuova voce alle proprie competenze in ambito di turismo e di comunicazione. Eleonora si occupa della curatela del progetto e della comunicazione, mentre Andrea segue l’aspetto finanziario e di sviluppo del progetto. Il team di lavoro comprende la fotografa Claudia Corrent, che ha dato la linea visiva, il comparto di sviluppatori e designer della piattaforma Pippo Marino, Mitia Mambella e Annalisa Lever, il marketing con Enrico Presicci, la comunica-

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zione online con Elena Chesta, lo sviluppo del business con Marco Scacchi. Su tutta Italia è poi presente una rete capillare di story finder, che connettono i diversi luoghi e artigiani del paese con il quartiere generale di Italian Stories, all’interno di Centrale di Fies, con cui è attivo un co-working. www.italianstories.it

Rossano il fonditore. Foto: Claudia Corrent


Il Bel Paese

L’Italia dal Risorgimento alla Grande Guerra dai Macchiaioli ai Futuristi

22 febbraio - 14 giugno 2015

Sponsor ufficiale

Museo d’Arte della città via di Roma 13 tel. 0544 482477 mar.ra.it

Comune di Ravenna Assessorato alla Cultura


Start Up L’Italia giovane, carina e... occupata! di Francesca Di Giorgio Start Up per definizione la fase iniziale per l’avvio di una nuova impresa. Noi ne abbiamo scelte tre che, non a caso, sono state lanciate all’inizio dell’anno in contemporanea alla settimana dell’arte bolognese, sono legate all’arte contemporanea sotto vari profili e, non ultimo, possono contare, al loro interno, su una componente di ingegno femminile che fa piacere riscontrare in giovani imprese innovative. Francesca Bonan per Planitars, Gianni Pasquetto e Deianira Amico per MyTemplArt e Sveva Antonini per Red Points raccontano la loro esperienza...


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start up

Planitars. Un occhio all’arte e uno al mercato #startup | PLANITARS. The planet of italian talents Intervista a Francesca Bonan

Tempi duri per il mercato? Forse… Le giornate di ArteFiera Bologna e SetUp Art Fair a Bologna sono state un’ottima occasione per rifletterci su... All’Autostazione di Bologna (sede di SetUp Art Fair) il talk per il lancio di Planitars, piattaforma di e-commerce d’arte contemporanea, “una nuova start up italiana di giovani per i giovani”. L’idea nasce da Federica Bonan, classe 1982, con in mano una laurea in Economia e gestione delle arti e delle attività culturali presso Ca’ Foscari a Venezia, un corso in Finance and the Art Market al Sotheby’s Institute of Art di Londra e alle spalle esperienze in galleria. Dal suo rientro in Italia: «un anno di progetti e ricerche, 10 mesi di lavoro, 3 mesi di selezione, 3 donne super super speciali, giorni, serate, notti e weekend, un’immensa carica di passione, ambizione, determinazione, sogni e ora tanta emozione… per l’arte, per gli artisti…». Un posto per Planitars all’interno del sistema dell’arte italiano? Sono tempi duri per il mercato interno italiano, forse, ma questi sono gli anni in cui la domanda e l’offerta di arte contemporanea stanno crescendo in paesi in cui prima non vi era un sistema vivace di gallerie, musei e case d’asta, come l’America Latina, l’India, il Sudafrica, gli Emirati Arabi, l’Ucraina, Singapore… Noi possiamo vantare sia una storia che nessun altro Paese ci eguaglia sia un sistema istituzionale e di mercato che continua a vibrare, dobbiamo solo ricordarcelo. Planitars si inserisce all’interno di questo sistema che è forte, dialoga con esso e ne prende atto nella selezione degli artisti che vogliono vendere online le loro opere d’arte. Planitars è il nuovo pianeta per l’arte emergente italiana online e il nuovo pianeta per un target di utenti che troverà un mercato dell’arte contemporanea più trasparente e accessibile. Da Londra all’Italia. Hai varato il progetto dopo un periodo all’estero. Ci racconti questa esperienza e qual è stata la spinta per una nuova avventura in Italia? Sono partita per Londra come si partiva un tempo per l’America in cerca di realizzare i propri sogni. Ricordo ancora quanto ho lavorato per potermi pagare il corso e il soggiorno a

Londra e continuavo a chiedermi “Ma ne varrà la pena? Qualsiasi cosa accadrà, almeno avrò fatto un’esperienza”, ed eccomi qui. Londra è la capitale, non solo europea, dell’art business e della finanza. A differenza dei corsi di arte contemporanea dove la maggior parte a seguire erano studenti universitari, al corso di Finance & Art Market eravamo un gruppo che rappresentava veramente tutto il mondo: Italia, Corea, India, Ucraina, Brasile, Svizzera, Russia, Singapore, Cina, Usa … da un background misto proveniente dal mondo della finanza, delle banche, dell’art advisory… persone con cui sono rimasta in contatto e vedo che abbiamo quasi tutti intrapreso vie interessanti in salita. L’obiettivo principale del corso, il cui principale docente ed esaminatore era Anders Petterson, fondatore di ArtTactic, era quello di arrivare a calcolare il valore economico e finanziario di un’opera d’arte sulla base dell’analisi del mercato dell’opera, dell’artista e del suo curriculum. Durante il corso abbiamo approfondito e incontrato i maggiori players dell’art business, da art funds, wealth managements, case d’asta, art lending, art online; sempre accompagnati da lezioni sulle ultime tendenze dell’arte contemporanea e visite in loco a musei, gallerie, fiere.

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Laurina Paperina Planitars. The italian palnet of italian artists


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Tornerei immediatamente a rifare tutto! Planitars è nata proprio grazie a quest’esperienza che mi ha permesso di valutare le potenzialità di un business online e di voler apprezzare e valorizzare ancora di più quello che rappresentiamo noi italiani nel mondo dell’arte, anche di fronte ai big players di Londra e New York. Planitars non è la prima piattaforma 2.0 per e-commerce d’arte contemporanea… No assolutamente. Però è la prima piattaforma italiana che presenta solo artisti italiani accuratamente selezionati senza chiedere una fee di iscrizione, non è una galleria online con un unico stile curatoriale, ma vuole offrire un’ampia scelta di opere e di artisti differenti tra loro, seppur mantenendo un alto livello di qualità. Ed è una startup creata da giovani per i giovani, non è creata da un grosso gruppo che chiama dall’alto il big name degli art curator. E spero che questo sia un plus o almeno venga apprezzato, certamente fatichiamo il doppio, triplo… e se anche il governo ci ha appena tolto le agevolazioni fiscali per le nuove iniziative produttive, lasciandoci iniziare il nuovo anno con la tassazione di qualsiasi altra impresa avviata da tempo, andiamo avanti!

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Mi leggi nel pensiero! Certo, sto già intraprendendo una partnership con una compagnia che gestisce esperienze di shopping su misura per vip clients stranieri innamorati dell’Italia. E mi piacerebbe valutare partnership con aziende del design artigianale made in Italy, vediamo se sarà possibile. Prossimo step? Aumentare innanzi tutto la visibilità all’estero tramite delle campagne mirate e fidelizzare gli artisti di Planitars. E ovviamente cercare nuovi soci investitori che credano nel progetto per farlo crescere. Info: www.planitars.com

Quali sono le sue caratteristiche? Planitars presenta le opere e gli artisti in una homepage di orientamento e uno shop online, le opere sono inserite in collezioni curate da me o dai guest curators, vi sono tutte le opzioni di condivisione nei social e possibilità di commentare le opere. Tutti i contenuti sono in italiano e in inglese per il momento, e sono fornite tutte le informazioni possibili per poter valutare l’artista e l’opera. Un blog presenta contenuti utili a comprendere il mercato dell’arte e prossimamente ad approfondire la conoscenza degli artisti. Un servizio free di advisory service è disponibile per chi ha un budget superiore a duemila euro. Il calcolo delle spedizioni è attivo per tutti i paesi del mondo, possiamo arrivare ovunque. I benefit per un artista che entra nel circuito Planitars? E, soprattutto, come si entra nel vostro progetto? Si entra completando il proprio profilo e caricando alcune opere per una valutazione iniziale, quindi se selezionati le condizioni sono: nessuna fee di iscrizione e 30% netto di commissione di vendita a Planitars in caso di vendita. Tutte le condizioni sono pubblicate nel footer del sito e una chiara e completa Guida alla vendita accompagna l’artista dalla compilazione sino alla fatturazione. Avete in mente di stabilire partnership e collaborazioni con realtà trasversali all’arte?

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Francesco Votano Planitars. The italian palnet of italian artists


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MyTemplArt. Archivio a portata di mano… #startup | MyTemplArt The Cloud Art Platform Intervista a Gianni Pasquetto e Deianira Amico

Continua il nostro agile “dossier” nel mondo delle startup lanciate in contemporanea alla settimana dell’arte bolognese. Dopo Planitars incontriamo Gianni Pasquetto e Deianira Amico rispettivamente project manager ed editor in chief di MyTemplArt, piattaforma di catalogazione multimediale del patrimonio artistico pubblico e privato in preview all’ultima edizione di ArteFiera con uno spazio dedicato. Catalogazione e archiviazione, e conseguente tutela, in Italia, sono concetti radicati nella storia dell’arte che si sono dovuti confrontare (ed aggiornare) con una quantità di beni culturali immensa. MyTemplArt oltre ad essere uno strumento innovativo di tutela a disposizione di archivi d’artista, fondazioni, musei, collezionisti e artisti contribuisce a rinnovare il dibattito culturale attorno a queste importanti tematiche… Non diamo nulla per scontato e partiamo dalle basi. MyTemplArt cataloga ogni genere d’opera d’arte sulla base di tecnologia Cloud computing. Che cosa significa? Gianni Pasquetto: Il “cloud” – la “nuvola” – è lo spazio più idoneo a gestire volumi immensi

di dati dislocati in tutto il mondo, supportando un’architettura informatica strutturata grazie alla capacità di allocare informazioni in modo bilanciato e distribuito, garantendo velocità e immediatezza nell’utilizzo delle informazioni. La tecnologia cloud computing consente di avere sempre con sé le informazioni immesse nel sistema perché è supportata da qualsiasi dispositivo. Da quali figure professionali è composto il vostro staff? Chi fa cosa? G. P.: Ho messo in piedi il progetto MyTemplArt con la sicurezza di un’esperienza di oltre 30 anni nel settore informatico applicato alla gestione dei processi. Ho selezionato un team con diverse competenze in ambito informatico, storico-artistico, gestionale e di comunicazione. Tra i nostri primi partner, con la volontà di estendere le partecipazioni a diverse università ed accademie, abbiamo instaurato una collaborazione con Laba, Libera Accademia di Belle Arti di Brescia. Per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico ci siamo rivolti ad un’azienda di sviluppo e innovazione di grandi dimensioni

Il team di MyTemplArt

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che ha sede in territorio veneto ma attiva su progetti di scala internazionale. Ci avvaliamo anche del supporto di due studi legali; Deianira Amico svolge fin dall’inizio il ruolo di consulente e responsabile editoriale dello staff di giornalisti (del magazine MyTemplArt, ndr), attivi sia in territorio italiano sia estero, le cui esperienze e competenze spaziano in vari ambiti. Ilaria Carvani è responsabile ufficio stampa e pubbliche relazioni, Nicola Berto dell’area sviluppo commerciale, Valentina e Stefania Pasquetto delle operazioni finanziarie e di coordinamento. Ci raccontate i passi fatti prima del lancio ufficiale ad ArteFiera? Deianira Amico: Le attività che hanno preceduto la partecipazione ad ArteFiera si sono svolte nella direzione di un confronto con diversi interlocutori del mondo dell’arte, sia in ambito pubblico-istituzionale che privato, per mappare le diverse esigenze di catalogazione e fare di MyTemplArt un progetto dinamico ed in continua evoluzione. I contenuti editoriali testimoniano un percorso di indagine culturale e di


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messa a sistema di esigenze e criticità quando si parla di catalogazione e di autenticazione nel mondo dell’arte. Siamo arrivati alla convinzione che la catalogazione possa diventare un metodo di lavoro, a diversi livelli di compilazione scientifica. I profili a cui ci rivolgiamo sono diversi, ma nella piattaforma lo spazio di ognuno è ben definito e la privacy dell’informazione tutelata. A chi vi rivolgete e quali sono i servizi che avete messo a punto? D. A.: Il progetto è nato con un grande focus sul Novecento e sull’arte contemporanea, per cui proporremo nei prossimi mesi strumenti innovativi di tutela. Ci rivolgiamo sia alle realtà che hanno come primo obiettivo la conservazione e la tutela (archivi d’artista, fondazioni, musei) che ai collezionisti ed agli artisti, i quali spesso sono consapevoli di dover essere sempre di più abili archivisti e manager di se stessi. Ci tengo a sottolineare che MyTemplArt non è un market place ma una piattaforma di catalogazione che può essere utilizzata come gestionale o strumento per l’organizzazione di mostre, ad esempio anche dalle gallerie, interlocutori necessari quando ci rivolgiamo all’arte contemporanea. Nell’ambito dell’arte storicizzata abbiamo una particolare sensibilità verso gli Archivi d’artista del XX secolo, i cui ruoli devono assumere una nuova centralità nel rapporto sia con il Pubblico che con i collezionisti, le gallerie e le case d’asta. G. P.: Garantiamo servizi che spaziano dalla realizzazione di infrastrutture ad hoc alla consulenza e formazione per l’utilizzo dello strumento, ai progetti di inventariazione di importanti collezioni che comprendono il recupero di dati già catalogati, con normalizzazione degli stessi. Attraverso un team di storici dell’arte garantiamo inoltre servizi di ricerca storico-critica, curatela di processi di gestione degli archivi e strategie di valorizzazione secondo le esigenze dei clienti. In materia di archiviazione quali sono, oggi, le necessità più “urgenti”? D. A.: È vero che la cultura della tutela e della catalogazione ha in Italia una storia antica e prestigiosa. Vero anche che le campagne di catalogazione dei beni culturali sono strumenti di tutela essenziali; gli investimenti in questa direzione non dovrebbero avere carattere di “urgenza” ma di costanza, nell’ottica di una politica che investa innanzitutto sulla cultura della preservazione della memoria storica. Esiste poi, a mio avviso, un’emergenza meno

inflazionata che ha a che vedere con il tema della catalogazione in rapporto alla contemporaneità ed all’esigenza di sostenibilità e di tutele crescenti nell’ambito privato. L’Archivio d’artista, ad esempio, ha anche l’esigenza di tutelare l’opera dell’artista dai falsi; fondazioni e musei conservano patrimoni ingenti di opere la cui catalogazione, valorizzazione e tracciabilità è un’esigenza primaria. Gli artisti contemporanei espongono la propria produzione usando diversi social network, ma quanti di questi conserva un archivio ordinato e strutturato che permetta anche la condivisione delle informazioni? Mi sembra evidente che nel futuro un ruolo di primo piano sarà sempre più quello delle tecnologie innovative legate alla tutela e valorizzazione del patrimonio. Ad oggi, il mondo dell’arte sia privato che pubblico potrebbe condividere invece un’amara riflessione su quante risorse, energie e denaro siano stati investiti in un’informatizzazione spesso inefficace, che non tiene conto di una catalogazione sostenibile, funzionale e durevole nel tempo. Archiviare porta con sé riflessioni che hanno dato, soprattutto negli ultimi decenni, esiti interessanti all’interno della ricerca di molti artisti contemporanei… D. A.: Gli ultimi due decenni hanno visto un rinnovato interesse per il documento e l’archivio d’arte. Ci sono artisti che ne fanno ricorso non solo adoperandoli come soggetto delle proprie opere, ma anche sul piano teorico, interpretandoli come sistema di relazioni, contenuti e forma. Un interesse che si è manifestato, pensando solo al ‘900, nella poetica delle avanguardie storiche, in particolare tra le due guerre, quando gli artisti anticipano il pericolo di una possibile perdita di memoria con progetti “enciclopedici”. In questa contingenza storica esiste un pericolo di perdita di identità sociale, conseguenza anche del cambiamento degli assetti geopolitici e della globalizzazione. La

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mostra Too early, too late attualmente in corso alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, a cura di Marco Scotini, tratta diverse criticità in questo senso. MyTemplArt è anche un magazine… Su quali tematiche si concentra? D. A.: I contenuti editoriali di MyTemplArt hanno un focus sul tema della catalogazione e certificazione delle opere d’arte, declinato attraverso news, interviste e contributi critici rigorosi. Spesso esploriamo fondi di archivi poco conosciuti, ci relazioniamo con collezionisti, archivi d’artista, fondazioni, musei, enti pubblici e privati. Andiamo dove non c’è l’evento. Un filone di ricerca è anche quello legato alla conservazione dell’arte contemporanea, oltre all’indagine sui temi dell’archivio e della memoria nella ricerca artistica contemporanea. Quali sono i prossimi obiettivi? G. P. : Il prossimo obiettivo di MyTemplArt è una time-line di nuovi rilasci del sistema, mirati a target specifici della filiera del mondo dell’arte. È già stata definita inoltre una strategia in merito alla divulgazione della piattaforma sul territorio nazionale e internazionale. Di particolare ambizione è il progetto accademico che prevede di portare MyTemplArt come workshop didattico legato alle tematiche di archiviazione, catalogazione e gestione dell’archivio all’interno delle università. MyTemplArt www.mytemplart.com info@mytemplart.com Info: Artechne Srl Via Verona 7, Povegliano Veronese (VR) +39 0452426793 info@artechne.com www.artechne.com


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RED POINTS Italia. La tutela che arriva dal web #startup | Red Points Intervista a SVEVA ANTONINI

Prima di diventare responsabile del dipartimento legale di Red Points l’avvocato Sveva Antonini ha maturato una certa esperienza in materia di tutela della proprietà intellettuale. Da sempre appassionata di musica e diritto, terminata l’università e l’esame di Stato di avvocato ha deciso di specializzarsi in diritto d’autore e nel 2003 ha costituito a Bologna, insieme alla collega avv. Lavinia Savini, lo studio legale Idealex volto alla tutela e promozione delle arti, attività a cui ha dedicato dieci anni della sua vita. Dopo il lancio nel marzo 2014 e il talk all’ultima edizione di ArteFiera abbiamo chiesto proprio all’avv. Antonini di raccontarci la nascita di Red

Points una nuova startup un software capace di stanare pirateria e illeciti nel web che arriva in Italia dopo un felice periodo di incubazione in Spagna… Dalla Spagna all’Italia. Come ha conosciuto il progetto e cosa l’ha convinta ad esportarlo? Da anni collaboravo con uno Studio Legale di Barcellona, La Asesoria Juridica de las Artes specializzato in diritto d’autore e costituito dall’avv. Jose Coll Rodriguez che, nel 2008, anticipando i tempi, ha avuto la brillante idea di unire legge e tecnologia e creare il software Red Points, oggi alla sua settima versione.

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La omonima società spagnola, vincitrice del premio Start Up 2014 in Spagna e di svariati premi nazionali e regionali, ha avuto una netta crescita nell’ultimo anno passando da 7 dipendenti a 24, grazie anche ad un grosso finanziamento ottenuto nel 2014 volto ad implementare il software e all’internazionalizzazione dell’azienda. Ecco dunque che quando il collega Jose Coll Rodriguez mi ha proposto di aprire la sede in Italia, non ho indugiato nemmeno un secondo, anche l’Italia ha bisogno di un servizio come quello offerto da Red Points che consente con costi accessibili a tutti di ottenere una rapida tutela del proprio patrimonio digitale nel web.


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I passi per mettere in piedi la vostra startup? Con Gabriele Gallassi, mio unico socio, insieme ovviamente alla società spagnola, abbiamo costituito Red Points Italia nel marzo del 2014. Prima della costituzione, abbiamo seguito una full immersion in Spagna per apprendere il funzionamento del software e le dinamiche commerciali. Ci siamo così divisi i ruoli, io più concentrata sulla parte legale e Gabriele in quella commerciale. Dopo oltre un anno di lavoro per comprendere come muoversi nel mercato e chi soffre di più in Italia gli attacchi della pirateria e contraffazione on line (musica, cinema, videogaming, moda e settore agroalimentare), nel marzo 2014 abbiamo dato vita alla sede italiana. Com’è strutturato il vostro staff? Come dicevo, io mi occupo maggiormente del settore legale, verificando che il cliente che chiede protezione nel web sia effettivamente titolare di tutti i diritti di utilizzazione economica del bene che vuole tutelare e supervisionando l’attività del software. Gabriele Gallassi è invece concentrato nella ricerca e rapporto diretto con i clienti. Poi, da qualche mese, sono entrati nello staff: Gabriele Baronio per il settore informatico e digitale, Flora Pinotti Sano avvocato italo brasiliano con specializzazione in proprietà intellettuale e Daniela Munteanu, giovane esperta di comunicazione nel web. Infine grazie alla selezione del bando StartUpMeetsMangers, da dicembre siamo affiancati da un bravissimo manager che ci sta aiutando nella gestione dell’azienda. Quando si è accorta che la legge, in termini “classici”, non veniva incontro alle richieste dei suoi clienti? Negli ultimi anni ho visto moltiplicarsi le richieste da parte dei miei clienti, artisti e imprese attive nell’ambito culturale, di una tutela dei propri contenuti nel web spesso diffusi nella rete senza un loro controllo e soprattutto senza una loro autorizzazione. La soluzione è dunque iniziare una causa dinnanzi alle autorità competenti, attività che però richiede tempo e costi onerosi. Il web è tuttavia rapido e i danni per i clienti immediati; sempre più mi rendevo conto della necessità di una soluzione con le medesime caratteristiche. Purtroppo sono noti i tempi della giustizia in

Italia e non tutti tra l’altro possono permettersi di sostenere i costi di una causa e di un legale e così rinunciano a lottare contro la diffusione gratuita delle loro opere dell’ingegno nella rete. Red Points offre una soluzione: il nostro omonimo software che agisce sotto una costante supervisione di avvocati specializzati nella materia della proprietà intellettuale e di informatici, monitora il web alla ricerca dei contenuti di proprietà del cliente immessi nella rete senza la sua autorizzazione e li elimina conformemente alla normativa nazionale e internazionale in tema di proprietà intellettuale. Da chi ricevete le maggiori richieste di tutela? Le prime richieste sono state volte a proteggere dalla contraffazione di noti marchi nel web, mobile application copiate e distribuite gratuitamente (quando invece il cliente le vende a più di 10 euro l’una), identità rubate nei Social Network di squadre di calcio e artisti (eliminando profili falsi e faked fan page) ed infine tanti privati con necessità di tutelare la propria immagine e/o la reputazione nel web. Cosa si intende per “diritto all’oblio”? Il diritto all’oblio è il diritto di essere dimenticato nella rete, ovvero di non comparire nei risultati Google per notizie che lo riguardano qualora queste gli arrechino danno e sia trascorso un lasso di tempo dalla pubblicazione della notizia da non rendere più giustificate le finalità del diritto di cronaca. Così la Corte di Giustizia Eu-

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ropea nel caso Google Spain ha riconosciuto il diritto all’oblio della persona alla luce della direttiva Comunitaria in materia di dati personali. Monitorare è l’imperativo di Red Points… Cos’è il fingerprinting? Il nostro software utilizza anche il fingerprinting per identificare i contenuti nel web. Si tratta di una tecnica di identificazione di contenuti audio e video che consente di riconoscere come uguali due file anche con caratteristiche tecniche o di encoding molto differenti. È la base della nota applicazione Shazam, ad esempio. Dopo ArteFiera quali saranno i prossimi step per diffondere il progetto? Dopo ArteFiera, i settori di nostro interesse saranno l’agroalimentare per combattere la contraffazione dei prodotti italiani nel web, la moda e la musica. Stiamo preparando conferenze volte da un lato a sensibilizzare gli utenti del web e dall’altro a spiegare la nostra soluzione alla dilagante pirateria e contraffazione nella rete. Il prossimo territorio eletto, anche grazie ad un bando vinto da Red Points Spagna, saranno gli Stati Uniti. RED POINTS Italia Via Castiglione 43, Bologna +39 051 250 515 info@redpoints.it www.redpoints.com


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arte

A Milano e Monza tre mostre accolgono il pubblico di Expo con la grande arte italiana MILANO | Palazzo Reale | 15 marzo – 28 giugno 2015 MILANO | Palazzo Reale | 15 aprile – 19 luglio 2015 MONZA | Villa Reale | 23 aprile – 6 settembre 2015 di Matteo Galbiati

Una parata di capolavori, di straordinaria importanza, significato e valore, sarà quella che accoglierà il pubblico italiano e internazionale della tanto attesa Esposizione Universale in procinto di aprire i battenti a Milano: tre mostre, distribuite nelle sedi di rappresentanza

di Palazzo Reale (Milano) e della Villa Reale (Monza), offriranno per Expo 2015 un saggio della bellezza e della cultura che l’Italia ha saputo affermare nei secoli. Queste mostre, visti i notevoli contenuti posti alla base dei progetti espositivi che si originano

– come si usava fare un tempo – da proposte scientifiche e di analisi e studio dei temi oggetto d’indagine, saranno destinate ad un certo e sicuro successo proprio per la qualità insita nelle scelte attuate. A Palazzo Reale la proposta parte il prossimo 15 marzo con Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. Milano al centro dell’Europa con un’esposizione in cui si guarda al ruolo, centrale e determinante, del capoluogo lombardo nella storia europea quando era all’apice della sua potenza. Si continua poi con l’attesissima Leonardo 1452-1519, la grande mostra dedicata a Leonardo da Vinci, che, figura davvero mitica, resta espressione e immagine del genio universale. Nella Reggia di Monza, recentemente recuperata al pubblico e sede di rappresentanza per Expo 2015, Italia. Fascino e mito. Dal Cinquecento al Contemporaneo propone il viaggio in Italia attraverso le opere di artisti – italiani ma soprattutto Europei – che vedevano nel nostro paese la meta prediletta del Grand Tour formativo. Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. Milano al centro dell’Europa Ispirata programmaticamente, anche se ampiamente rivista criticamente, all’omonima mostra che, frutto di una lunga stagione di riscoperte e di studi specialistici, fu allestita nel 1958 con cinquecento opere, sempre nella cornice di Palazzo Reale che allora era da poco recuperato dai danni della guerra, l’esposizione, che fa da capofila alle iniziative istituzionali in vista di Expo, guarda a quanto la città di Milano, in una particolare stagione della sua storia tra XIV e XVI secolo, fosse uno dei maggiori e più significativi centri europei. Durante la signoria dei Visconti prima e degli Sforza poi, Milano ha affermato, infatti, un ruolo decisivo nelle vicende europee e la sua posizione, divenuta davvero fondamentale, ha portato la cultura artistica lombarda a farsi sinonimo di qualità eccelsa e fucina di straordinari ed apprezzati talenti. Internazionalmente aperti, Milano e il suo terri-

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Leonardo da Vinci, La Scapiliata, olio su tavola, cm 24.7x21x 1.1 Parma, Galleria Nazionale di Parma Nella pagina a fianco: Bonino da Campione, Prudenza, marmo, cm 67.7x19.1x15.2, National Gallery of Art, Washington, Samuel H. Kress Collection

torio vivevano la loro età dell’oro che in questa mostra si riassume attraverso al visione di circa duecentocinquanta opere che, selezionate attentamente, documentano la ricca varietà espressiva degli artisti e artigiani di area lombarda e delle loro capacità inventive e della perizia tecnica esclusiva. In cinque macro sezioni e seguendo un ordine cronologico, si documentano gli eventi e la densità della produzione artistica che, infatti, non si limita alla pittura o alla scultura, ma si rivolge anche all’oreficeria, alla miniatura, all’arte del vetro che hanno affermato il nome di Milano come eccellenza riconosciuta e apprezzata. Esposti sono i nomi dei maggiori artisti del periodo come Bonino da Campione, Giusto de’ Menabuoi, Giovannino de’ Grassi, gli Zavattari, Vincenzo Foppa, Antonio Boltraffio e Bernardo Zenale per citarne alcuni, fino ad arrivare alla presenza in città di Bramante, Leonardo e Bramantino. Una mostra eterogenea per presenze che, pensata con cura e attenzione, porta attenzione – come anche le altre due che presenteremo a seguire – su quelle straordinarie tipicità esclusive che hanno l’Italia – e in questo caso Milano – un caso unico al mondo. Leonardo 1452-1519 Questa mostra aprirà in prossimità di Expo 2015 e, senza toni enfatici o esagerazioni, sarà la più grande esposizione dedicata a Leonardo mai ideata e prodotta in Italia. Il genio vinciano, dopo la monografica del 1939 allora ospitata alla Triennale, torna a Milano con una lettura che ne vuole analizzare – senza miti, ovvie retoriche o facili celebrazioni – gli aspetti della sua poliedrica e trasversale personalità creativa. Curata da due dei maggiori studiosi leonardeschi, vere e proprie autorità in questo ambito, come Pietro C. Marani e Maria Teresa Fiorio, questo progetto guarda alla sua figura tanto come artista quanto come pensatore, letterato e, naturalmente, scienziato sviluppandone l’analisi attraverso una suddivisione tematica che, in dodici sezioni (Il Disegno come

fondamento, Natura e scienza della Pittura, Il Paragone delle Arti, Il Paragone con gli Antichi, Anatomia, fisiognomica e moti dell’animo, Invenzione e Meccanica, Il Sogno, Realtà e Utopia, L’unità del sapere, De coelo et mundo: immagini del divino, La diffusione e la fortuna: dai leonardeschi al Trattato della Pittura, Il Mito), si mostrano gli esempi di quel suo unico modo di pensare che, mostrando un’unitarietà del sapere, aveva fatto disciplina del costante intreccio, sovrapposizione e contaminazione di arti e scienze. Questa mostra, pensata per un pubblico ampio e vasto, presenta opere di Leonardo e di altri artisti che lo hanno preceduto e seguito in un confronto peculiare ed esaustivo oltre, come si diceva, a guardare la sua interdisciplinarietà fuori dal tempo che l’ha seguito in tutto l’arco della sua vita dall’Italia alla Francia dove si spegne nel 1519. La mostra – resa possibile dallo sforzo e dall’impegno di Palazzo Reale e Skira che l’hanno prodotta – vanta prestiti importantissimi, concessi dai maggiori musei del mondo che hanno sottoscritto l’importanza della lettura leonardesca attuata in questa occasione,

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ed è frutto dell’approfondito lavoro iniziato fin dal 2009 dal comitato scientifico internazionale formatosi per l’occasione. Non mancheranno poi degli approfondimenti collaterali specifici che, oltre a Palazzo Reale, coinvolgeranno anche Milano e la Lombardia con mostre parallele come, ad esempio, alla Biblioteca Trivulziana al Castello Sforzesco di Milano, alla Sala delle Asse del Castello, alla Pinacoteca Ambrosiana. Peculiare anche il catalogo che, contrariamente al solito, non vuole essere solo un repertorio di immagini di opere e il resoconto di una mostra, ma un approfondimento puntuale e aggiornato sugli studi dedicati a Leonardo da Vinci al quale hanno dato contribuiti prestigiosi e rinomati studiosi. Italia. Fascino e mito. Dal Cinquecento al Contemporaneo Nella cornice della neoclassica Villa Reale di Monza, capolavoro piermariniano recentemente restituito al pubblico nel suo fascino originario e base operativa con finalità culturali e di alta rappresentanza istituzionale per le manifesta-


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zioni connesse a Expo 2015, viene offerta una mostra dedicata proprio al pubblico che viaggia, che si sposta per osservare ed ammirare la bellezza di culture lontane. In perfetta sintonia con quanto rappresenta un’Esposizione Universale – che attira e accoglie per le peculiarità legate alle singole nazioni – questo progetto rivendica il ruolo determinante che la cultura italiana ha avuto per generazioni intere di europei – non solo – quando, tra la fine del XIV secolo fino ad almeno gli inizi del XX, i luoghi e l’arte della nostra penisola sono state la meta ambita, quasi obbligata nel percorso formativo, del tradizionale Grand Tour. Monumenti, opere d’arte, splendore del paesaggio mediterraneo, dolcezza del clima, feste e cerimonie religiose e folkloristiche, carattere solare delle popolazioni, ricca varietà di tradizioni popolari furono gli ingredienti fondamentali per celebrare la grandiosità e la singolarità della bellezza italiana. Ecco quindi come, per Expo 2015, si proponga un ampio e intenso riassunto di quel periodo particolare in cui l’Italia era considerata come

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“maestra delle arti” attraverso le testimonianze che, nel corso dei secoli, artisti e pensatori hanno registrato e realizzato, stimolati da quanto vedevano durante il viaggio italiano. Anche in questo caso con prestiti importanti da istituzioni italiane e straniere, le opere esemplari raccolte, con capolavori di pittura, scultura e fotografia, restituiranno la suggestione e la fascinazione che il nostro Paese ha esercitato – e che speriamo torni ancor di più ad esercitare diventando una risorsa produttiva che oggi mal sfruttiamo – sulle menti e le ispirazioni dei più importanti artisti stranieri. Citando Cranach, Van Dyck, Rubens, Reynolds, Ingres incontriamo solo alcune delle personalità che hanno innalzato a modello l’arte italiana dall’antico fino al contemporaneo dove, in una specifica sezione possiamo ammirare, tra gli altri, opere di Rodin, Picasso, Dalì, Warhol, Klein, Kiefer e Abramović. Le 120 opere che compongono il progetto per la reggia monzese provengono da una settantina di prestatori – circa trenta quelli stranieri e quaranta italiani – che si distribuiscono tra Ita-

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Jacques Sablet, Elegia romana, 1791, olio su tela, cm 62x74, Brest, Musée des Beaux-Arts Nella pagina a fianco: Leonardo da Vinci, Belle Ferronière, olio su tavola di noce, cm 63x45, Paris, Louvre, Département des Peintures © 2014. The Trustees of the British Museum c/o Scala, Firenze


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lia, Europa e America. Tesa tra progettualità scientifica e spettacolarità nel coinvolgimento emotivo, questa mostra vuole anche cercare di portare attenzione, con il suo ricco e rigoroso contributo, sul rispetto e la valorizzazione del nostro patrimonio artistico e paesaggistico. Ci si chiede solo se, di fronte alla rievocazione di tale straordinaria presentazione di bellezza, lo spettatore non venga sopraffatto dalla “sindrome di Stendhal”.

(Harvard University, Cambridge), Paolo Galluzzi (Istituto e Museo Galileo Galilei, Firenze), Martin Kemp (Oxford University, Oxford), Rodolfo Maffeis (Università di Firenze e Kunsthistorisches Institut, Firenze), Furio Rinaldi (Università Tor Vergata, Roma e Metropolitan Museum, New York), Richard Schofield (Università IUAV, Venezia), Marco Versiero (Università l’Orientale, Napoli, e Istituto di Studi Filosofici, Napoli), Edoardo Villata (Università Cattolica di Milano)

a cura della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici e della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Milano prodotta da Consorzio Villa Reale e Parco di Monza, Skira Editore, Cultura Domani in collaborazione con Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo con il sostegno di Regione Lombardia

Le mostre saranno il miglior biglietto da visita, vero e proprio fiore all’occhiello, dell’offerta con cui Milano e l’Italia si presentano sulla platea internazionale, quando, durante Expo, la città e il paese saranno sotto lo sguardo del mondo intero. Con la speranza che ancora si possa ricominciare a pensare in grande, ci si presenta guardando a quelle radici di cultura e bellezza che sono stati il tratto distintivo della nostra storia.

15 aprile – 19 luglio 2015

Secondo piano nobile Villa Reale Viale Brianza 1, Monza

Palazzo Reale Piazza Duomo 12, Milano Italia. Fascino e mito. Dal Cinquecento al Contemporaneo

Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. Milano al centro dell’Europa a cura di Mauro Natale e Serena Romano prodotta da Palazzo Reale e Skira Editore promossa da Assessorato alla Cultura del Comune di Milano 15 marzo – 28 giugno 2015 e Leonardo 1452-1519 a cura di Pietro C. Marani e Maria Teresa Fiorio progetto ideato e prodotto da Palazzo Reale e Skira Editore promossa da Comune di Milano comitato scientifico composto da Cristina Acidini (Soprintendente al Polo Museale di Firenze), Carmen C. Bambach (Metropolitan Museum, New York), David Alan Brown (National Gallery of Art, Washington), Franco Buzzi (Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana, Milano), Roberto Paolo Ciardi (Accademia Nazionale dei Lincei, Roma), Martin Clayton (Royal Library, Windsor Castle), Marzia Faietti (Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze), Antonio Paolucci (Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma), Nicholas Penny (National Gallery, Londra), Vincent Pomarède (Departément des peintures, Musée du Louvre, Paris) saggi critici in catalogo Carmen C. Bambach (Metropolitan Museum, New York), Juliana Barone (University of London), Andrea Bernardoni (Istituto e Museo Galileo Galilei, Firenze), Roberto Paolo Ciardi (Accademia Nazionale dei Lincei, Roma), Martin Clayton (Royal Library, Windsor), Frank Fehrenbach

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23 aprile – 6 settembre 2015

Info: www.comune.milano.it/palazzoreale www.reggiadimonza.it www.villarealedimonza.it


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Bentornato Medardo Rosso MILANO | Galleria d’Arte Moderna | Fino al 31 maggio 2015 di Cristina Casero

Dopo più di trent’anni Milano dedica una bella mostra allo scultore Medardo Rosso (18581928), uno tra i più brillanti protagonisti della scena artistica italiana di fine Ottocento, sia per gli esiti di grande qualità del suo lavoro, sia per il respiro internazionale della sua ricerca. Torinese di nascita, ma milanese di adozione, Rosso si forma nel capoluogo lombardo non certo seguendo pedissequamente gli insegnamenti che venivano impartiti all’Accademia di Brera, bensì frequentando le frange più vive della cultura meneghina, in un momento tanto importante e significativo per Milano quali furono gli anni ottanta dell’Ottocento. Giovane scultore, egli esordisce interessandosi subito alle innovative istanze realiste che sono tanto vive a quell’epoca, ma già declinando il linguaggio verista con piglio personale nell’affrontare temi ancora poco diffusi pur nella loro apparente semplicità. Nel 1889, quando già ha acquisito modi espressivi originali e personali, Rosso si trasferisce a Parigi, dove resterà fino al 1914, e nella capitale francese vedono la luce alcuni dei suoi capolavori, sculture che fanno di Rosso uno dei maestri assoluti dell’epoca. Tutta la complessità della sua ricerca, che si rivela soprattutto sul piano concettuale, ma che si sente, intensa, in ogni singola opera, è messa in mostra alla Galleria d’Arte Moderna. La rassegna è incentrata intorno al cospicuo numero di sculture di proprietà del museo milanese, recentemente riallestito, ma si arricchisce in virtù della presenza delle opere provenienti dal Museo Rosso di Barzio e di alcuni capolavori prestati da importanti collezioni pubbliche italiane e straniere, tra i quali spicca la celebre, unica, Madame X di Ca’ Pesaro. Se ad accoglierci in apertura della mostra troviamo alcuni dei più vivaci lavori giovanili di Rosso, intensi per spirito ed espressività (il Birichino, il Sagrestano, la Ruffiana e la Portinaia), il cuore dell’esposizione è costituito dalle opere dell’età più matura, come lo splendido ritratto di Henry Rouart che, presentato in tre esemplari uno in gesso, uno in cera e uno in bronzo, è uno splendido saggio di quanto Rosso intendeva per scultura: una forma nello spazio, in forte dialettica con la luce e con l’atmosfera circostante. Sulla stessa, innovativa, linea di ricerca sono anche le dinamiche figure del

Bookmaker e de L’uomo che legge o i ritratti quali la Rieuse, la Bambina ridente, il Bambino ebreo, il Bambino malato, o il misterioso Ecce puer, tutte bellissime opere che possiamo ammirare esposte nei locali della Galleria d’Arte Moderna. Possiamo quindi gustare una mostra ricca, ma ben articolata e ben allestita, che ha anche il pregio di dare il giusto spazio alla produzione fotografica, ormai ritenuta parte integrante della ricerca dell’artista, che qui viene proposta in un dialogo serrato con le opere plastiche. Medardo Rosso. La luce e la materia a cura di Paola Zatti in collaborazione con il Museo Rosso di Barzio

Fino al 31 maggio 2015 Galleria d’Arte Moderna Via Palestro 16, Milano Orari: da martedì a domenica 9.30-19.30; lunedì 14.30-19.30; giovedì 9.30-22.30 Ingresso intero €12.00; ridotto €10.00; biglietto cumulativo mostra e collezione permanente intero €14.00; ridotto €11.00 Info: +39 02 54914 www.mostramedardorosso.it www.ticket.it/medardorosso

Medardo Rosso, Henri Rouart, 1890, bronzo, cm 93x71x50, Winterthur, Museo © Schweizerisches Institut für Kunstwissenschaft, Zurigo. Foto: Jean-Pierre Kuhn

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Dawn Kasper: l’autenticità come costruzione del tempo BOLZANO | ADN collection | 30 gennaio - 1 marzo 2015 di Corinna Conci Foto Performance di Silvia Rotelli e Gianluca Turatti

Un lettore 33 giri. Un lettore 45 giri. Amplificatori. Microfoni puntati sugli amplificatori, sui dischi che girano, davanti a un registratore portatile in play. Un registratore ambientale in rec. Mixer. Tantissimi cavi. Un Laptop. Due casse. Musicassette. Ninnoli e piccole campane tubolari. Una zona di preghiera, altarino fornito di molti tipi di incenso e pietre dure; vicino disposti un bracciale ed una collana. La bruciatura della resina apre la performance. Dawn si spoglia come fosse sola con se stessa, in modo autentico. Sfila gli abiti quotidiani che piega scrupolosamente, poi indossa un’uniforme chiara. Leggerissima inizia a percorrere ripetutamente il perimetro della stanza, incontrando 5 stazioni composte da vari oggetti. Ogni zona è legata

al tema del tempo in modo differente e rappresenta un elemento: terra, fuoco, aria, acqua ed etere. La piattaforma del fuoco è costituita dall’insieme delle strumentazioni audio. L’intenzione è quella di considerare l’aspetto più creativo dell’analisi del tempo tramite una stratificazione di livelli mnemonici. I ricordi vengono suscitati dalla sovrapposizione di diversi audio appartenenti a momenti differenti della vita dell’artista. Un disco classico di Chopin, registrazioni di suoni delle balene negli oceani, un brano di musica sperimentale suonato da Dawn e dal suo gruppo circa 15 anni fa, si integrano con l’audio live del qui ed ora della performance. L’artista suona dei fischietti che sistema a terra

Dawn Kasper . & sun & or THE SHAPE OF TIME. Foto: Silvia Rotelli 46

in fila ordinata, colori diversi. Spinge, alza, tira e scuote un tavolo usandolo come uno strumento con il quale fare musica, stabilire un rapporto, alzarsi nell’aria. La stazione dell’acqua è attivata invece dalla performer Katherine McArthy, gallerista da David Lewis a New York e amica di Dawn Kasper. Questo ruolo offre una visione più fluida del tempo ed è ricoperto da figure differenti ogni volta che la performance ha luogo. Una valigetta e un comò contengono oggetti/ricordi che appartengono ai nonni di Dawn: fotografie di amici, vestiti, corsi di letteratura per corrispondenza, disegni e telegrammi inviati dal nonno alla famiglia durante la II Guerra Mondiale vengono tirati fuori dai contenitori ed indos-


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sati, guardati, ri-vissuti. Un tosaerba appartenuto al padre dell’artista occupa un’altra stazione della sala, rappresentando l’elemento terra. Sulla parte di guida della macchina è fissata una telecamera, che è la stessa con la quale Dawn all’età di 15 anni girò il filmato nel quartiere della sua cittadina natale in Virginia. Questi oggetti vengono portati nel presente ed entrano in contatto con la performer che gestisce il suo vissuto attraverso il tempo del fermo immagine e dell’avvio. Dopo alcuni istanti dedicati ad attivare una piattaforma, l’artista con i capelli sempre sul filo delle ciglia, riprende il suo cammino. Dalla dolce compulsione di questi gesti diventa percettibile un tipo di ordine dettato da un disordine solo apparente. Durante tutta la performance si muove nel flusso artistico anche un’altra figura, che coinvolge il pubblico avvicinando una persona alla volta: Silvia Di Giorgio Conservator e Registrar di ADN Collection, racconta a bassa voce il significato delle parole che compongono l’altra parte dell’installazione. La famosa lettera di Sol LeWitt indirizzata ad Eva Hesse ha ispirato 50 quadri, ognuno contenente uno dei consigli che l’artista scrisse a proposito di ciò che non bisogna fare prima di una performance. I caratteri sono ricalcati più volte fino a produrre quella sfumatura dell’inchiostro che risulta dal calore della mano passata ripetutamente sulla superficie. L’artista pratica così un gesto catartico, di preparazione, ripassando in modo puntiglioso le parole con la penna e forse con la mente. L’attività cerimoniale con la quale è stata attivata l’installazione “& sun & or THE SHAPE OF TIME” si ritrova in tutti i pezzi che compongono questo lavoro. Il titolo è ispirato a due diversi elementi: una poesia di Edward E. Cummings, “& sun &”, tratta dalla raccolta 73 Poems; e “The shape of time”, il titolo del secondo capitolo del saggio scientifico di Stephen Hawking “The Universe in a Nutshell” che tratta della forma del tempo così come sviluppata nella teoria della relatività di Einstein, e di come questa si sposi con la moderna teoria quantistica. Da questo capitolo è tratto il vinile attaccato alla grande finestra nello spazio della performance. L’immagine è una rappresentazione grafica della dimensione fisica del tempo come descritta dalle moderne equazioni: uno strato su cui si adagia il nostro universo, la nostra dimensione. Il titolo del libro di Hawking in italiano è tradotto “L’universo in un guscio di noce”. Penso alle parole di Gibran Khalil Gibran, che sostengono che «Il dolore è il rompersi del guscio che racchiude la nostra intelligenza». L’intelligenza come un universo adagiato sul tempo. Così,

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l’opera di Dawn Kasper è composta da stratificazioni di ricordi, nei quali si mineralizza un corpo generazionale che naviga nel tempo. Dawn Kasper . & sun & or THE SHAPE OF TIME L’installazione è visitabile negli spazi di ADN collection fino al 1 marzo 2015. Per le modalità di visita si rimanda alla pagina del sito dedicata. ADN collection Via Rafenstein 19, Bolzano Info: www.adncollection.it info@adncollection.it T. +39 0471 971 626

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Dawn Kasper . & sun & or THE SHAPE OF TIME. Foto: Gianluca Turatti


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La leggerezza del piombo. Umberto Mariani da Jerome Zodo Contemporary MILANO | Jerome Zodo Contemporary | 6 febbraio – 27 marzo 2015 di KEVIN McMANUS

Il visitatore distratto potrebbe pensare ad un colossale errore: “Piombi”? Come si possono definire “piombi” queste superfici leggiadre, agili, dinamiche, impregnate di un colore che, nella sua compattezza, sembra rivendicare tanto i simbolismi di un secolo fa quanto la profondità ottica della pittura degli anni Sessanta-Settanta? Questa la prima impressione suscitata dai lavori di Umberto Mariani (1936) esposti nella galleria di Jerome Zodo, con la curatela di Francesco Tedeschi. Quadri, ricoperti di una superficie corrugata fatta di convergenze, fratture e concentrazioni di materia; all’apparenza una riflessione ulteriore, e visivamente potente, sul tema fin troppo fortunato della shaped canvas tardo-modernista. Si tratta invece di superfici in piombo, la cui natura scultorea, pertanto, non è da intendersi in senso paradossale, ma in senso proprio: non si tratta insomma di prove di pittura che “escono” dai confini del medium per assumere lo status materiale della scultura, ma piuttosto di prove scultoree che si organizzano formalmente entro la logica della pittura, seguendo le regole della cornice e mettendone alla prova la tenuta espressiva. Farebbe comodo accomunare questa ricerca di Mariani (che copre un arco di quarant’anni) ai numerosi “giochini” percettivi di tanta arte che si vede oggi nelle fiere: ossia ad una specie di recupero baroccheggiante dell’illusione ottica superficiale – legni che sembrano metalli, metalli che sembrano marmi, marmi che sembrano tele e così via. Ma se questi ultimi esempi tendono per lo più a risolversi nel puro e semplice smascheramento del virtuosismo tecnico e nella relativa, compiaciuta, constatazione dell’abilità dell’artista (ma anche dello spettatore che ha capito il trucco), la tensione formale dei Piombi di Mariani proietta invece il senso della ricerca su aspetti ben più rilevanti. In Mariani, artista di una generazione quanto mai critica rispetto allo status stesso del fare arte, l’ambiguità del medium è il sintomo di una questione etica. Un’etica tutta modernista, per la quale fare pittura e fare scultura sono due attività dotate di storia e di peso culturale, che vanno pertanto comunicate con la massima serietà; criticare e riconfigurare i limiti della cornice (tanto con le superfici a rilievo quanto con la

simbologia delle lettere dell’alfabeto, o di forme archetipiche come quella della tenda-sipario, vera e propria cornice nella cornice), mettere a tema la distinzione tra pittura e scultura (si tratta di una questione di materiali, di tecnica, o piuttosto di modi di guardare?), sono tutte attività che, come avveniva appunto in una logica modernista, prendono avvio dal problema fondamentale posto dal paradigma e dalla questione della sua fondatezza teorica. Di fronte a questo problema, le alternative che Mariani si pone sono due: attivare e rivitalizzare il paradigma esplorandone limiti e possibilità inedite, oppure superare il paradigma criticandolo nel merito, nel suo funzionamento specifico. Non è nemmeno contemplata la scelta, sempre più frequente oggi, di far finta che il paradigma non sia mai esistito. La mostra rende giustizia, sia quantitativamente sia qualitativamente, all’urgenza di questa ricerca, radicata nella storia dell’arte del ‘900, ma quanto mai attuale. I temi del lavoro di Mariani sono trattati in un catalogo che verrà presentato per l’occasione.

Jerome Zodo Contemporary Via Lambro 7, Milano Orari: da lunedì a venerdì 10.00-19.00 Ingresso libero Info: +39 02 20241935 info@jerome-zodo.com www.jerome-zodo.com

Umberto Mariani. Piombi a cura di Francesco Tedeschi 6 febbraio – 27 marzo 2015

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Umberto Mariani. Piombi, veduta della mostra, Jerome Zodo Contemporary, Milano



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