Transeuropa magazine ITA

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­D e m o c r a c y ­ e q u a l i t y ­ c u l t u r e ­ b e y o n D ­ t h e ­ n a t i o n G R AT I S , n . 1 , D I C E M B R E 2 0 1 0 - w w w. E U R O A LT E R . C O M

PP. 4 - 5 migrazione: miraggio euroPeo

PP. 6 - 7 libertà di informazione in euroPa

Le politiche migratorie europee devono garantire i diritti umani fondamentali e la dignità dell’uomo che l’Unione Europea dice di sostenere.

Il pluralismo dei media e l’indipendenza dell’informazione è sotto attacco in molti paesi europei. Una risposta unitaria è necessaria.

AusterItà e AlternAtIve europee

I

l falso principio secondo cui “non c’è alternativa” è resuscitato, utilizzato ancora una volta dai capi di stato europei per motivare drastici tagli alla spesa pubblica e per giustificare di aver riversato sui lavoratori i costi della crisi bancaria. Ma tutto ciò è una farsa, considerato che i principi economici “ortodossi” che vengono invocati non sono altro che quelli che in prima istanza hanno portato alla crisi; ed è una farsa perché alternative ce ne sono, basta solo cercarle nel posto giusto. Considerata nel suo insieme, l’Unione Europea si trova in una situazione finanziaria decisamente migliore rispetto alle principali economie globali come Stati Uniti d’America o Giappone, con livelli di deficit e debito pubblico meno elevati. Eppure, per evitare gli attacchi della speculazione, solo l’Europa ha dovuto attuare misure di austerità estese a tutto il continente, misure che causeranno un aumento della disoccupazione, un abbassamento delle protezioni sociali e un prolungamento della stagnazione economica. La visione macroeconomica europea, incarnata nella poco fortunata Agenda di Lisbona ora l’Agenda 2020 - attribuisce grande importanza all’obiettivo di trasformare l’Europa nella più competitiva economia della conoscenza del mondo. Ciò nonostante, in tutti gli stati membri si stanno tagliando fondi all’istruzione e all’università, oppure si stanno riversando i costi direttamente sugli studenti

attraverso una finanziarizzazione dell’istruzione tramite prestiti. Questo paradosso ha una semplice spiegazione. Gli stati europei si ritrovano in balia delle istituzioni finanziarie e delle agenzie di rating, pronte a speculare sulla loro debolezza per ottenere un profitto a breve termine. Allo stesso tempo, sono gli stessi stati a guardare solo ai loro interessi di breve termine, manovrando in modo competitivo gli uni contro gli altri, come se non fossero consapevoli del fatto che in fondo sono tutti sulla stessa barca. In un mercato comune, ogni stato membro dipende dall’altro, e le scelte politiche di un paese condizionano le possibilità degli altri. Le misure di austerità sono giustificate senza menzionare l’ingente quantità di prestiti concessi al sistema bancario, che ha aggravato il problema dei deficit; si sceglie invece di incolpare il sistema di welfare e gli investimenti pubblici, anche quelli più produttivi e necessari per uscire dalla crisi. I leader europei si sono mostrati incapaci di riaffermare l’Unione Europea sulle basi della democrazia, dell’uguaglianza e della solidarietà contro il brutale egoismo dei mercati internazionali. Inoltre, la sinistra europea sta diventando, in modo sconfortante, sempre più insulare e interessata esclusivamente a difendere quanto può essere salvato dei modelli di welfare costruiti all’interno degli stati-nazione, piuttosto che a proporre alternative radicali a livello transnazionale. Livello dove, in questo momento, le deci-

sioni politiche vengono prese a favore delle istituzioni finanziarie, dell’alta finanza e degli azionisti, invece che a favore dei cittadini. Eppure in un’Europa maggiormente unificata sarebbero possibili delle vere alternative politiche: una Banca Centrale Europea che potesse assumere debito potrebbe intervenire con degli acquisti di obbligazioni, riducendo la dipendenza degli stati europei dagli investitori internazionali, invece di dover pagare le banche private per farlo. Ancora meglio, l’emissione di debito pubblico europei - i famosi Eurobonds, garantiti da tutti gli stati dell’UE, - potrebbero mobilitare una grande quantità di capitali a basso prezzo ai fini di un progetto di investimento su scala europea incentrato su infrastrutture, energie rinnovabili, istruzione e ricerca. Si potrebbe introdurre a livello continentale una tassa sulle transazioni finanziarie e una tassa sul carbonio, in modo da spostare l’onere sui settori che in prima istanza hanno causato la crisi. Partendo da questo punto, potrebbero essere proposte delle trasformazioni molto più radicali dell’attuale sistema del capitalismo globale. Oggi come mai nel passato, l’Europa sta pagando un prezzo enorme a causa della sua incapacità di agire come un’entità politica unita. Sta pagando un prezzo economico tangibile, ma soprattutto il prezzo intangibile di dover rinunciare alla possibilità di creare un modello economico più sostenibile, giusto e democratico. Continua a pagina 2

F

questA rIvIstA Transeuropa Magazine è la prima rivista europea veramente transnazionale, pubblicata in italiano, inglese e francese e distribuita gratuitamente in diversi paesi europei. Il magazine è accompagnato da un Festival, Transeuropa Festival, che avrà luogo simultaneamente in otto città europee nel prossimo mese di maggio. Il magazine è gestito da un comitato di redazione puramente trans-europeo, responsabile per la produzione dei contenuti della rivista nonché per l’organizzazione di eventi e attività locali in tutta Europa.

La rivista è pubblicata da European Alternatives, un’organizzazione della società civile dedita ad esplorare il potenziale per la creazione di una politica e una cultura transnazionali. Siamo convinti che le sfide della partecipazione democratica, dell’eguaglianza sociale e dell’innovazione culturale non possano essere risolte al livello degli stati-nazione. L’organizzazione si differenzia per essere allo stesso tempo un raccoglitore di nuove idee e proposte ed un attore politico-culturale con staff, attività e un nucleo di attivisti puramente transnazionale.

Ashley Hunt “A World Map: In which we see ...” (2005 - in corso) La mostra Another Country – Eine Andere Welt, curata da Övül Durmuşoğlu alla Galleria Ifa di Berlino, è la prima di una serie sul tema della contaminazione culturale; un programma che intende esplorare sia i ruoli e le influenze delle culture straniere, sia le forme di ibridazione culturale che si svolgono in Europa. Attraverso le opere di artisti provenienti dal Medio Oriente, dalla Turchia e dalle Americhe, il multiculturalismo della società contemporanea è ricercato attraverso un approccio che tenta di abbandonare la questione della separazione, e quindi della produzione, di identità culturali. L’arte contemporanea è concepita come un potenziale strumento di critica per l’emergere di una eterotopia foucaultiana, dove, nelle parole del curatore, “la realtà non è nient’altro che l’intreccio di diverse interpretazioni” e dove “la differenza non separa, bensì libera”. Attraverso pratiche collaborative, l’artista Ashley Hunt ha realizzato una mappa globale rappresentante i flussi e le nuove frontiere della globalizzazione. Matilde Cassani traccia e investiga gli spazi religiosi dei migranti non cristiani. Dubravka Sekulić guarda all’Eurofestival come strategia per affrontare la questione dell’identità europea e il ruolo degli stati nazione, mentre Köken Ergun documenta un matrimonio turco a Berlino come un rituale che va oltre la connotazione identitaria e verso l’emergere di un’attività sociale comune.

euroalter.it


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IntervIstA A pAWeł leszkoWIcz Curatore di Ars Homo Erotica Museo nazionale di Varsavia 11 giugno – 5 settembre 2010 Tradotto da Erika Addessi Può parlarci dell’origine di Ars Homo Erotica? Cosa l’ha spinta a curare una mostra tanto ambiziosa sull’arte omosessuale? La mostra è stata commissionata dal nuovo direttore del Museo Nazionale di Varsavia, Piotr Piotrowsky, un prominente storico dell’arte polacco che possiede una prospettiva sociale e politica sull’arte e che ha lottato per questa mostra. La mostra è stata il primo passo verso la reinvenzione del Museo Nazionale e la sua trasformazione in un soggetto attivo di dibattiti culturali, politici e democratici nel paese. Era mia intenzione creare una mostra che fosse immersa nella tradizione della cultura trattando allo stesso tempo l’attuale politica dei diritti delle minoranze sessuali in Europa centrale e orientale. Come è stata ricevuta la mostra in Polonia? È un miracolo che una mostra di questo tipo sia stata esposta al Museo Nazionale in Polonia. La mostra ha anche coinciso con l’Euro Pride che quest’anno è stato organizzato a Varsavia. Certo, non è stato facile portarla avanti. Quando nell’autunno del 2009 il Museo ha annunciato il programma di esibire una mostra sull’arte e l’omosessualità, politici e intellettuali conservatori hanno protestato ferocemente. Ma il direttore del museo è andato avanti. Le conseguenze positive di quei primi dibattiti sono state la forte attenzione dei media e la stimolazione di relazioni pubbliche, l’esito negativo la resistenza degli sponsor nell’appoggiare il progetto. Quando la mostra è stata aperta come programmato, è stata ricevuta pacificamente, senza proteste o attacchi. Nei primi tre mesi quarantamila persone hanno visitato “Ars Homo Erotica”. Il museo non ha mai ricevuto tanta attenzione internazionale e tanti articoli nei media internazionali in tutta la sua storia. La prima domanda era sempre: com’è possibile che una mostra sull’omosessualità si trovi nel museo principale della Polonia? Va contro ogni stereotipo del paese. E questo è l’impatto più grande della mostra e della funzione di trasformazione non solo dell’arte ma anche di un istituto d’arte. Vorrei finire con un appello. Se è stato possibile rivoluzionare il Museo nazionale a Varsavia, è possibile fare lo stesso in altri musei dell’Europa centrale e orientale. Basta pensare a tutte le opere d’arte e gli artisti che devono essere riportati alla luce, fuori dagli archivi dei musei e dai tabù della storia dell’arte. Anastasia Mikhno, Analysis of Beauty, fotografia, 2008

AusterItà e AlternAtIve europee Continua dalla prima pagina Un modello che possa diventare un nuovo paradigma per un mondo che ha disperatamente bisogno di nuove idee. Il problema è che manca la volontà politica ad intervenire, e se i politici non sono disposti a prendere l’iniziativa, allora devono farlo i cittadini. Le nostre sfere pubbliche nazionali sono occupate in effimere lotte intestine mentre cercano di trovare riparo dalle tempeste globali: i mezzi di comunicazione nazionali stanno diventando sempre più insulari proprio adesso che è assolutamente palese che problemi come il cambiamento climatico, lo spostamento del potere globale verso Est, la crisi internazionale e le dispute commerciali stanno diventando urgenti e decisivi per il nostro futuro. In questo contesto, i cittadini europei devono trovare dei mezzi alternativi per spostare il centro dell’attenzione politica sulla dimensione transnazionale. Solo così si potrà affermare un vero controllo democratico sulla direzione delle nostre società. Tutto questo potrebbe sembrare irrealizzabile,

ma diventerà possibile non appena i cittadini stessi inizieranno ad agire per costruire una nuova società oltre i loro stati-nazione, anche se dovesse essere nel più modesto dei modi. L’Europa è un laboratorio per questo tipo di sperimentazione, e questa rivista, insieme al progetto che rappresenta, è un tentativo di contribuire a un tipo di società simile. Questa è una rivista dedicata alla politica e alla cultura transnazionale e ai principi di democrazia, uguaglianza e cultura oltre lo stato-nazione. È distribuita in tutta Europa, ed è gestita da una rete transnazionale di singoli attivisti. Oltre a fare proposte e raccomandazioni politiche, questa rivista considera l’espressione e l’esplorazione creativa come un prerequisito necessario per poter reimmaginare le nostre comunità politiche. Quest’azione creativa non è una mera diversione da affari più seri, bensì la base della possibilità di trovare dei modi di vivere insieme che siano più giusti, sostenibili e democratici rispetto a quelli che conosciamo attualmente. Traduzione di Laura Bellanti

Blue noses, kissing policemen


Dicembre­2010

ségolène pruvot

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Incrementare la possibilità per le donne di scambiare parte del tempo libero con i padri sarebbe l’unico modo per non penalizzare le donne sul mercato del lavoro e nella vita privata Tradotto da Erika Addessi

AlessAndro vAlerA

Il Parlamento europeo ha votato per l’estensione del congedo di maternità in Europa da 14 a 20 settimane, con una rimunerazione del 100% dello stipendio. Il testo è presentato dai suoi sostenitori come un miglioramento per le donne e come vantaggioso per la società nel suo insieme. Coloro che lo criticano, tuttavia, segnalano i costi di queste nuove misure. Il testo non entrerà in vigore finchè non verrà accettato da una maggioranza dei due terzi degli stati membri dell’UE, e i contenuti saranno aperti a trattative. La legislazione sulla maternità, sulla nascita e sulla famiglia ha un forte impatto sulla possibilità di evoluzione dei ruoli di genere, ed è una questione su cui i cittadini europei dovrebbero prendere posizione. Il congedo attuale minimo è di 14 settimane, stabilito da direttive europee precedenti, con livelli di remunerazione variabili. In Europa la durata media del congedo di maternità è tra 16 e 25

con una commissione restia a turbare gli stati membri, sta ai cittadini europei organizzarsi per esigere che le unioni gay siano riconosciute in ogni paese. La questione dei diritti LGBT si è trasformata velocemente da problema di attivismo marginale, a tema politico

l’estensIone del congedo pro / contro IntervIste con due deputAtI europeI dI MAternItà A 20 cHe HAnno puntI dI vIstA contrAddIttorI sul testo settIMAne MIglIorerà l’uguAglIAnzA dI genere? settimane, retribuito ad una percentuale che varia dal 70 al 100% dello stipendo originario. I paesi dell’Europa centrale e dell’Est detengono il record per la durata del congedo di maternità. In Bulgaria dura 410 giorni, retribuito al 90% dello stipendio. In Irlanda e in Italia, 26 settimane. Anche i tipi di risarcimento sono considerevolmente diversi. In Gran Bretagna il congedo di maternità può durare 26 o 52 settimane, ma il risarcimento diminuisce drasticamente dopo la sesta settimana. Un congedo di maternità duraturo non riflette necessariamente un grado più alto di uguaglianza di genere in un paese. In Svezia ad esempio, società sempre presentata come una delle più evolute dal punto di vista dell’uguaglianza di genere, il congedo dura soltanto 14 settimane, ma uomini e donne possono scambiarsi il congedo di maternità! Le reazioni dei governi nazionali al voto del Parlamento europeo sono state per la maggior parte contrarie. L’elemento più controverso è la percentuale di risarcimento obbligatoria del 100%. Il giorno del voto. nadine Morano, ministro francese per la famiglia, ha calcolato il costo in 1,3 miliardi di euro. In Germania, il ministro del lavoro, Dieter Hundt, ha calcolato un onere aggiuntivo di 1,7 miliardi di euro. In Gran Bretagna il clamore è stato ancora più forte visto che la notizia è arrivata contemporaneamente all’annuncio di un duro piano di austerità. È quindi improbabile che i ministri adottino il testo nella sua forma corrente. È piu probabile che propongano revisioni, con una percentuale di risarcimento non obbligatoria e una durata minima ridotta, e che richiedano un secondo voto. Edite Estrela, relatrice del testo, ha denunciato i semplici calcoli presentati dagli oppositori del testo, affermando: “La maternità non può essere considerata un peso sui sistemi di sicurezza sociale; è un investimento sul nostro futuro.” Ha aggiunto che un aumento dell’1%

nella percentuale di attività delle donne coprirebbe ogni costo aggiuntivo. Questi dibattiti insistono sui vantaggi del testo per la società nel suo insieme, ma la questione dei vantaggi per le donne e l’uguaglianza di genere resta complessa. I problemi principali sollevati in questo ambito sono quelli dell’interpretazione che un testo come questo da alla maternità e del suo impatto sui ruoli di genere. Fin quando il congedo di maternità continuerà ad avere un impatto sulle opportunità di lavoro, su stipendi e addirittura su pensioni future, incoraggiare un congedo più duraturo può benissimo non essere la soluzione migliore per le donne. Se prendere congedo dopo una nascita viene permesso soltanto alle madri, saranno sempre le donne a subire gli effetti di lunghi periodi fuori dal mercato del lavoro; visto che di conseguenza passeranno più tempo con i bambini, anche il loro ruolo di genitore primario potrebbe uscirne rinforzato. Incrementare la possibilità per le donne di scambiare parte del congedo con i padri sarebbe l’unico modo per non penalizzare le donne sul mercato del lavoro e nella vita privata. La proposta del Parlamento di istituire un congedo di paternità di due settimane, retribuito al 100% dello stipendio originario è quindi la parte più interessante del testo. È un nuovo possibile ambito per la legislazione europea su un equilibrio lavoro-vita positivo ma, cosa piu importante, questo suggerimento getta le basi, anche se in maniera discreta, per un’evoluzione a più lungo termine in questo ambito. Finora gli incentivi hanno avuto poco effetto sulle legislazioni nazionali. Se il congedo di paternità, obbligatorio e ben remunerato verrà messo in vigore o meno, dipenderà quindi da quanto lotteranno cittadini e attivisti favorevoli ad una maggiore eguaglianza di genere a livello europeo.

Elisabeth Morin Chartier Sylvie Guillaume Alleanza dei Liberali e dei Democratici Partito Popolare Europeo Guillaume ha votato a favore del testo Chartier ha votato contro il testo Perchè è a favore di questo testo? Incarna ciò che ci aspettiamo dall’Europa: la costruzione di norme sociali comuni. Prova che l’Europa tiene alla salute di uomini e donne. I miglioramenti sono basati su dati prodotti dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che dimostrano che il tempo necessario perchè una donna si rimetta dopo un parto e perchè si fondino legami familiari duraturi è maggiore rispetto alla durata del congedo di maternità vigente. Come risponde al dibattito sull’eccessivo costo di questa misura? Un sondaggio del 2006 sull’estensione del congedo di maternità in Francia ha dimostrato che, nella pratica, la maggioranza delle donne avevano esteso il congedo di maternità usando due settimane di permesso di malattia o addirittura congedo non retribuito. Solo il 12% delle donne avevano smesso di lavorare per solo 16 settimane. Questo dimostra che le donne hanno per la maggior parte bisogno di un congedo più duraturo; prova anche che i costi di un congedo più duraturo esistono già, ma sono distribuiti in maniera diversa fra imprese, governi e famiglie.

Perchè si è opposta a questo testo? Questo testo sembra irresponsabile. La domanda principale è: chi paga? Le spese aggiuntive sono di 1,3 milardi l’anno, finanziati in gran parte dall’industria che sta già soffrendo a causa della crisi. La seconda domanda è: è vantaggioso per le donne? La risposta è no. L’ho visto nell’ambito dell’osservatorio per l’uguaglianza francese: la riluttanza delle compagnie ad assumere donne giovani aumenterà. Cosa suggerisce? Molte donne non possono permettersi di prendere 20 settimane di congedo. Ciò di cui hanno bisogno sono più asili nido e piu elasticità nei turni lavorativi. Sistemi elastici dovrebbero essere instaurati e applicati ad ogni livello. Combattere per le pari opportunità di reclutamento e pari retribuzione dopo la nascita del primo genito sono le priorità assolute.

european Alternatives sta lavorando a una serie di consultazioni e azioni pan-europee su eguaglianza di genere e diritti gay. per saperne di più: www.euroalter.it

per un’unIone (cIvIle) europeA ampiamente dibattuto e corrente. In solo nove anni, a partire dal 2001, quando i Paesi Bassi per primi garantirono alle coppie gay il diritto di sposarsi e di adottare un figlio, l’Europa ha vissuto una rapida espansione della regolamentazione delle unioni gay in gran parte del continente. Al momento la maggior parte dei paesi europei (17 su 27) premettono la celebrazioni di unioni permanenti a coppie dello stesso sesso, sotto forma di matrimoni veri e propri, unioni civili o regolamentazione di convivenza. Data l’interconnessione economica dei paesi UE, sono in aumento le coppie omosessuali che si trovano nella necessità di trasferirsi in un altro paese europeo dove la loro unione non è riconosciuta. nel 2009 la presidenza svedese del Consiglio Europeo ha cercato di promuovere il riconoscimento di tutte le forme di matrimonio e di unione civile in ogni paese dell’Unione. Tuttavia, ciò che poi fu denominato il programma di Stoccolma fu emendato in modo da non includere questo elemento ‘controverso’. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea recita infatti chiaramente

che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. Questo articolo è stato scritto probabilmente per scongiurare il pericolo di futuri tentativi di approvare le unioni tra persone dello stesso sesso in tutta Europa. Esistono, tuttavia, le premesse per chiedere – se non un pieno riconoscimento delle unioni gay in ognuno dei paesi dell’UE – almeno un riconoscimento in tutta Europa di quelle unioni sanzionate in quegli stati membri che le permettono. Ci sono almeno quattro articoli della Carta dei Diritti Fondamentalidell’UnioneEuropea che la fragmentazione attuale dei diritti gay in Europa mette a repentaglio: Articolo 9: ogni persona ha il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare. Articolo 15: ogni cittadino dell’Unione ha la libertà di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro. Articolo 24.3: Il minore ha diritto ad intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario

al suo interesse Articolo 33: la famiglia ha diritto a protezione legale, economica e sociale. Al momento le vite di molte coppie e dei loro bambini non vengono rispettate, dato che non si possono spostare in un altro Paese dell’UE con la sicurezza di vedere ancora riconosciuta la loro famiglia. Molti lavoratori europei, anche se godono tecnicamente della libertà di movimento sul territorio europeo, non possono di fatto scegliere un lavoro in un altro paese nel quale il loro partner o i loro figli non verrebbero riconosciuti per legge. E per quanto riguarda i figli cresciuti da genitori omosessuali, spesso possono essere solo registrati come figli di uno solo dei genitori. Questo ha spesso significato, per l’altro genitore, non avere riconosciuti diritti giuridici sui propri figli. Ottenere il riconoscimento delle unioni omosessuali in tutti gli stati membri gioverebbe forse solo a poche migliaia di europei in un’Unione Europea di 500 milioni di persone. Tuttavia, la storia dell’Unione Europea insegna che l’integrazione in una determinata

area politica porta inevitabilmente a ulteriore integrazione. Così è accaduto in Canada, dove la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso ha creato un pasticcio costituzionale, dato che le coppie sposate, tornate nelle loro provincie d’origine, chiedevano che la loro unione venisse riconosciuta. La Corte Suprema non ha avuto altra opzione che dichiarare i matrimoni gay legali in tutto il Canada. nel momento in cui tutte la unioni e i matrimoni verranno riconosciuti in tutta l’Unione, continueranno ad esserci coppie britanniche che scelgono di sposarsi in Toscana, ma a queste si aggiungeranno coppie italiane e polacche che si sposeranno ad Amsterdam o Madrid. Con una Commissione restia a turbare gli stati membri, sta ai cittadini europei organizzarsi per esigere che le unioni gay siano riconosciute in ogni paese. Creando una rete transnazionale forte e ben organizzata, potremo lasciare ai paesi istituzionalmente omofobi poche opzioni se non quella di riconoscere la famiglia in qualsiasi forma in cui questa si manifesti in Europa.


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AlInA Müller

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l’idoneità della libia come partner della politica di immigrazione dell’unione europea è stata ampiamente discussa dalle organizzazioni internazionali e dai gruppi di diritti umani. Tradotto da Laura Bellanti Un nuovo accordo di cooperazione firmato dall’Unione Europea ad ottobre ha attribuito alla Libia, paese criticato a livello internazionale a causa del trattamento che riserva a migranti e richiedenti asilo, un ruolo prominente nelle decisioni dell’UE in materia di immigrazione nell’area mediterranea. Secondo l’accordo,

lIBIA – unIone europeA un Accordo perIcoloso l’UE, nel periodo compreso tra il 2011 e il 2013, stanzierà sessanta milioni di euro per collaborare con la Libia nella gestione dei flussi migratori che interessano quell’area. La Libia è uno dei principali paesi di transito per migranti e richiedenti asilo provenienti dall’Africa subsahariana. I migranti che provengono dalla Somalia, dall’Eritrea, dal Darfur e dall’Africa Occidentale, alcuni dei quali fuggono da conflitti, per raggiungere la Libia viaggiano per settimane intere, attraversando il deserto a bordo di camion e autocarri. Dopo l’arrivo, la maggior parte di loro deve trascorrere vari mesi nei sovraffollati centri di detenzione libici prima di riuscire, con l’aiuto dei contrabbandieri, a raggiungere le coste libiche e da lì cercare di attraversare il Mediterraneo. L’idoneità della Libia come partner nell’ambito della politica di immigrazione e asilo dell’Unione Europea è stata ampiamente discussa dalle organizzazioni internazionali e dai gruppi di diritti umani. La Libia non è un paese firmatario della Convenzione del 1951 sulla protezione dei rifugiati e non possiede un sistema nazionale di asilo. A questo riguardo, la cooperazione tra l’Italia e la Libia nel gestire i flussi migratori diretti verso le coste meridionali dell’Italia è risultata particolarmente problematica. Il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione” firmato dall’Italia e dalla Libia nel 2009 si è aggiunto all’accordo del 2007 sul pattugliamento congiunto. Come previsto dal trattato, l’Italia e la Libia effettuano insieme le operazioni di controllo dei confini marittimi e terrestri. I migranti diretti verso le coste meridionali dell’Italia che sono intercettati in mare vengono ricondotti nel territorio libico. La maggior parte dei migranti respinti dalle navi italiane e libiche viene arrestata dalle autorità libiche immediatamente dopo l’arrivo in Libia, e

MIrAggIo europeo di Lorenzo di Pietro Un camion in panne, in pieno Sahara. Anche così, a volte, può terminare il viaggio e la vita dei migranti diretti in Libia, con il sogno dell’Europa. Mezzi che trasportano persone insieme a ogni tipo di merce: materassi, tuberi, bestiame, alcool di contrabbando e droga. E con i migranti c’è anche chi va in Libia solo per un lavoro stagionale, senza lo scopo di attraversare il Mediterraneo. Così un ragazzo del Mali, di mestiere astrologo, che affronta il viaggio con gli altri per leggere la mano dei libici, gente ricca per gli standard africani e che, per questo genere di credenze, spende molti soldi. Ha con se una vecchia macchina fotografica con cui ha immortalato l’incredibile viaggio, che attraverso il deserto, per mano dei trafficanti, lo conduce in Libia. Sua è la foto del camion. Conosco l’astrologo in uno dei tanti villaggi del deserto, ha poco più di trent’anni e indossa una maglia del Milan. Destino bizzarro, è

trattenuta per vari mesi in attesa di essere rimpatriata. Molti gruppi di diritti umani e di migranti respinti sono stati testimoni di numerosi casi di abuso e maltrattamento all’interno dei centri di detenzione [vedi l’intervista in questa pagina]. I termini del trattato di cooperazione tra Italia e Libia e le sue implicazioni hanno causato pesanti critiche all’Italia per aver violato il diritto di asilo regolato da leggi nazionali ed europee e per aver esposto i migranti a trattamenti disumani e al rischio di tortura all’interno dei centri di detenzione libici. Anche l’Agenzia dell’OnU per i Rifugiati, UnHCR, ha incontrato molte difficoltà nel collaborare con le autorità libiche. Spesso l’agenzia ha avuto problemi ad accedere ai centri di detenzione per dare assistenza ai ricercanti asilo e ai rifugiati e, nel giugno di quest’anno, ha ricevuto l’ordine da parte del governo libico di chiudere le proprie sedi e lasciare il paese. La motivazione ufficiale fornita dal governo libico ricorda che la Libia non è firmataria della Convenzione di Ginevra, ragione per cui non riconosce nella sua capitale la sede dell’agenzia OnU. Alla luce di questi esempi ben documentati, il recente accordo tra l’UE e la Libia mette in discussione non solo la fattibilità della cooperazione, ma anche l’impegno da parte dell’UE a onorare le responsabilità assunte a livello internazionale in merito alla protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo. È innegabile che l’UE debba impiegare delle risorse nella ricerca di una strategia efficiente che permetta di rispondere al continuo flusso di migranti e richiedenti asilo all’interno dell’area Mediterranea in una maniera più coordinata dell’attuale. Ma è molto difficile vedere nella nuova cooperazione con la Libia un passo nella direzione giusta.

coMe un uoMo sullA terrA IntervIstA con dAgMAWI yMer di Flore Murard-Yovanovitch Dagmawi Ymer studiava Giurisprudenza ad Addis Abeba, in Etiopia. Ha dovuto emigrare per motivi politici. Dopo mesi di sopraffazioni, violenze e detenzioni nelle carceri libici, è finalmente approdato a Lampedusa in Italia. Per denunciare l’incarcerazione illegale di altri migranti africani, testimoniare e fare memoria , Dagmawi è diventato documentarista. Come un uomo sulla terra è il primo film ad avere svelato quello che accade in Libia ai migranti sub-sahariani candidati al viaggio verso l’Europa: torture, deportazioni e detenzioni illegali “finanziate” dall’Europa sulla sua frontiera “esternalizzata”. Risultato: un film sull’orlo dell’indicibile. Prima di approdare in Italia hai fatto l’esperienza della detenzione illegale nei campi in Libia. Io per fortuna sono arrivato vivo! Ma tanti compagni di viaggio, no. Una volta passato clandestinamente dall’Etiopia in Libia, sono stato arrestato dalla polizia libica e spostato da campo a campo in pieno deserto. Vieni stipato come un animale in containers di ferro sotto il sole bollente, per giorni, senza acqua. Alcuni muoiono di sete, altri cadono e vengono persino abbandonati nel deserto. Sfruttare l’emigrazione clandestina è un vero “business” tra passeurs, polizia, e militari corrotti che rivendono esseri umani come merci. Ma questo non è niente in confronto a quello che abbiamo vissuto nei campi.

Non è più possibile “imbarcarsi”e tentare il viaggio verso l’Europa? Si, certo, ma dal “decreto-sicurezza” italiano del 2009 e con la politica sistematica dei respingimenti è molto rischioso. Rischi, ed è il caso per numerosi migranti subsahariani, di essere riconsegnato nelle mani dei tuoi “burattini”, polizia o militari del paese d’origine. Tornare al punto di partenza: essere destinato ai maltrattamenti e alle violenze da cui fuggivi. Cosa pensi dell’accordo UE–Libia? Esternalizzando le sue frontiere, l’UE fa finta di avere ancora un diritto all’asilo. Questo accordo non ha nessun vincolo di protezione per i rifugiati. L’Europa si preoccupa per la loro sorte? Che l’Europa violi le convenzioni sui diritti umani che lei stessa per decenni ha promosso, svela la sua assoluta ipocrisia. Era meglio “abolire” il diritto all’asilo piuttosto che, delegandolo a paesi terzi come la Libia, svuotarlo di sostanza. Sarebbe stato più onesto e “civile” .

Perché secondo te i cittadini europei non vogliono “vedere” il problema? Amici italiani agiscono convinti che non possano rischiare di avere un giorno nipoti che ci chiederanno “al momento dei respingimenti, nonno, dove eri?”, come succedeva ai vostri nonni a riguardo del passato nazifascista. Ora gli europei sono ciechi. L’UE deve riflettere sul perché queste persone scelgono di “imbarcarsi” al costo della propria vita. Deve capire le complesse cause economiche e politiche delle migrazioni che proprio Quali sono le condizione nelle carcere per via della loro estrema complessità, non si può pensare di “bloccare” come libiche dove sei stato detenuto? Terribili. Disumane. A Kufrah eravamo si chiuderebbe un rubinetto. stipati a venti in una cella, con un unico bagno in mezzo. Vieni picchiato Per informazioni sul documentario: ripetutamente dalle guardie. Ma sono http://comeunuomosullaterra.blogspot.com le donne a soffrire di più: vengono ripetutamente stuprate e se vogliono abortire non lo possono nemmeno fare. non è raro che alcune sposino o si facciano “comprare” da sconosciuti pur di uscire da quest’inferno.


Dicembre­2010

dApHne BüellesBAcH

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le condizioni degli immigrati nei paesi nordafricani con cui la commissione europea sta trattando accordi di riammissione sono inaccettabili e irrispettose degli stessi diritti che l’europa sostiene di osservare. Tradotto da Erika Addessi “Secondo gli accordi di riammissione, nessuno può essere rimpatriato se ciò comporta il rischio che la persona in questione possa essere soggetta a persecuzione, tortura, o pene inumane o degradanti. Se ciò dovesse accadere, non sarebbe una conseguenza dell’accordo di riammissione, ma di una decisione illegale presa dallo stato membro interessato, che dovrebbe essere soggetta a controlli giurisdizionali da parte dei tribunali nazionali.”

nessuno sArà rIMpAtrIAto? Gentile Signora Malmström, Commissario europeo agli Affari interni, queste sono state le sue parole in un recente dibattito parlamentare. Dove si trovava la Commissione europea negli ultimi anni quando l’Italia ha rimpatriato con la forza in Libia le barche degli immigrati? La cooperazione con il regime libico è uno dei capitoli più orrendi della politica migratoria. Da anni l’UE e gli stati membri stanno pregando Muammar Al-Gaddafi perché blocchi le vie di fuga per l’Europa. Le istituzioni dell’UE fingono di non vedere quando l’Italia infrange le convenzioni internazionali e rinvia a forza le barche in Libia, paese che non riconosce il diritto all’asilo politico. Alcune organizzazioni della difesa dei diritti umani hanno già invitato la Commissione Europea (CE), sotto l’ex commissario Jaques Barrot, a mettere fine a queste pratiche illegali. La CE non ha fatto niente a proposito, e al contrario è ora pronta a concludere un accordo di riammissione con la Libia, cosa che sta seriamente minando la sua credibilità sulla questione dei diritti umani. La maggior parte dei migranti “riammessi” in Libia viene spedita in campi di detenzione dove tortura, sfruttamento e stupro sono incidenze comuni. L’Europeizzazione del regime di confine L’Europa ha per lungo tempo considerato illegale la collaborazione con la Libia, ritenuta una “nazione disonesta”, e fino al 2004 aveva imposto sanzioni economiche e un embargo sulle armi. Misure di deportazione erano state adottate autonomamente dal regime libico senza pressioni dagli attori esterni europei. negli ultimi anni, tuttavia, la situazione è cambiata. L’UE investe nella gestione dei confini in Libia, nel rafforzamento delle capacità delle guardie di confine e nei “programmi di rimpatrio volontario”.

Le deportazioni dalla Libia sono in costante aumento: dal 2003 la Libia espelle circa 50,000 persone all’anno dal suo territorio. Ciò può essere certamente collegato alle pressioni dall’Europa, che sono state esercitate principalmente dall’Italia ma ora in misura crescente anche da Bruxelles. La Libia è stata quindi inclusa, come conseguenza della pressione europea-italiana, in un regime di migrazione regionale e transcontinentale. L’effetto di questo sviluppo è duplice: innanzitutto si sta svolgendo una “delocalizzazione”, cioè uno spostamento spaziale dei confini e del controllo dei confini sul territorio di altri paesi. Inoltre, può essere osservato un processo di esternalizzazione, un parziale trasferimento ad altri paesi di responsabilità e “gestione” dei flussi migratori. L’UE sta investendo pesantemente in un sistema di controllo al confine meridionale della Libia con il Chad perché la Libia possa intensificare le sue capacità di controllo dei confini, fermando i flussi migratori più lontani dall’Europa. Al Marocco, un’altro paese tradizionalmente di transito, sono stati promessi investimenti di 60 milioni di euro affinché apporti miglioramenti alla polizia di confine e ai meccanismi di controllo. Possiamo osservare gli stessi processi della Libia: un forte elemento di rafforzamento delle capacità nella cooperazione di controllo di confine ed un’ulteriore delocalizzazione dei controlli dei confini dell’UE nel territorio marocchino. Di fatto, il Marocco è diventato un paese di immigrazione: migliaia di immigrati dell’Africa Subsahariana sono bloccati nelle coste del nord senza poter andare in nessun luogo. La polizia marocchina li sta sottoponendo alle fatiche di Sisifo: ogni immigrato che risiede irregolarmente nel paese e che viene preso dalla polizia viene deportato in una terra di nessuno fra il Marocco e L’Algeria e ognuno di essi deve tornare indietro a piedi

al calar della notte fino alla città più vicina in Marocco. La situazione umanitaria fuori dai muri dell’UE Parlando ad un rappresentante di Medici Senza Frontiere a Oujda, una città vicina al confine algerino nel nord del Marocco, l’immagine che emerge della situazione umanitaria degli immigrati in transito è devastante. “Le donne soffrono particolarmente, oltre alla sofferenza per il disorientamento, la disperazione e la fame, un’alta percentuale viene abusata sessualmente.” Quest’anno Medici Senza Frontiere ha condotto uno studio sulla violenza nel nord del Marocco nei confronti delle donne immigrate dell’Africa subsahariana: delle donne intervistate, il 29% hanno detto che sono state violentate nel loro paese d’origine, il 45% durante il viaggio, e il 59% nella terra di nessuno fra il Marocco e l’Algeria. Un terzo di queste donne sono rimaste di conseguenza incinta. nella terra di nessuno il controllo risiede con la mafia dei trafficanti di persone e spacciatori di droga. La polizia marocchina consce perfettamente la situazione in queste zone senza legge, ma la situazione sembra essere usata come un deterrente contro gli immigrati. Delegati del Comitato europeo per la Prevenzione della tortura (CPT) hanno visitato la Libia a luglio 2009 e hanno confermato le preoccupazioni presentate dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani sulla situazione in Libia. nel resoconto, pubblicato ad aprile del 2010, si afferma che il CPT “ha bisogno che le autorità italiane riconsiderino immediatamente la pratica corrente di intercettare gli immigrati in mare, affinché venga assicurato che tutti coloro sotto la giurisdizione italiana – compresi coloro intercettati in mare al di fuori delle acque nazionali italiane da guardacoste controllati da italiani – ricevano le cure mediche

e umanitarie necessarie che richiedono le loro condizioni e che abbiano accesso effettivo al rispetto per il principio di non-respingimento”. Rivelatore invece, è il fatto che neanche un singolo stato membro dell’UE ha manifestato apertamente critiche nei confronti dell’Italia. È questo che noi cittadini europei vogliamo? “Se vogliamo che le politiche di immigrazione e asilo politico siano credibili per i cittadini europei, queste devono essere basate sul principio che coloro che non hanno diritto legale a restare nel territorio vengano rimpatriati. Qui entrano in gioco gli accordi di riammissione. Questi facilitano il rinvio di persone che si trovano illegalmente nel paese d’origine o di transito.” (Cecilia Malmström) È questo che vogliamo? I cittadini europei vogliono che queste persone vengano rimpatriate in paesi dove i loro diritti vengono violati e dove li aspettano trattamenti inaccettabili e inumani? Potremmo piuttosto suggerire che l’UE prima si impegni nel garantire l’accesso del diritto di richiesta d’asilo? Commissaria Malmström, ci lasci citare le sue parole: “lo strumento di asilo dell’UE richiede che gli stati membri valutino ogni domanda di asilo singolarmente, garantendo che il candidato rimanga nel territorio finché le autorità non abbiano preso una decisione sulla domanda, e in seguito devono provvedere un rimedio effettivo davanti ad un tribunale” (ibidem). È pregata di essere realista signora Malmström – ogni giorno i diritti umani fondamentali vengono affogati da qualche parte nel Mediterraneo.

proprio il padrone di quel team a trasformare il viaggio in un incubo. Dopo gli accordi del 2009 tra Italia e Libia, infatti, i migranti vengono oggi arrestati e imprigionati in pieno deserto, in strutture infernali costruite con il contributo italiano. Luoghi di cui i sopravvissuti - i “respinti”, incontrati nel loro viaggio a ritroso - parlano, raccontando di uomini torturati per diletto e di donne stuprate. Si vive in due metri quadrati, accatastati a centinaia in stanzoni sovraffollati dove l’aria è irrespirabile e le condizioni igieniche sono disastrose. E dopo la prigionia, per il viaggio di ritorno, vengono riconsegnati agli stessi trafficanti, che a volte li scaricano nel deserto. L’autore della foto ne ha esperienza, e racconta della crudeltà dei trafficanti e dei libici, che, «sono razzisti». Preso dall’ansia di essere scambiato per un ficcanaso, prima della frontiera libica decide di liberarsi della pellicola, affidandola alle mie mani. La foto fa oggi parte della mostra fotografica “Miraggio Europa”. L’autore ha incontrato i migranti lungo la rotta trans-sashariana, nei ghetti in cui sono ospitati in attesa del viaggio. Per contattare l’autore: www.lorenzodipietro.it


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un’InIzIAtIvA europeA per Il plurAlIsMo dell’InforMAzIone? sI può fAre! dI gIovAnnI MeloglI (AllIAnce InternAtIonAl de JournAlIsts) e lorenzo MArsIlI (europeAn AlternAtIves) Ecco ciò che hanno detto in coro i deputati intervenuti alla riunione dell’Intergruppo Media del Parlamento Europeo mercoledì 10 novembre 2010. Certamente in modo più pacato rispetto al tono da invasato di Gene wilder nel celeberrimo Frankenstein Junior ma la convinzione sembrava la stessa. Il tema dibattuto è una delle spine nel fianco dell’Unione Europea da sedici anni a questa parte, cioè da quando un magnate dei media è diventato per la prima volta capo di governo in un paese membro dell’Unione. Da questo momento in poi gli appelli alle Istituzioni Europee per garantire l’indipendenza e il pluralismo dei media sono stati innumerevoli e, sfortunatamente, l’Italia non è stata l’unica imputata. Su questa pagina presentiamo anche i casi di Regno Unito, Bulgheria, e Ungheria, ma molti altri potrebbero essere aggiunti. Ad esempio la Romania, classificata dall’ultimo report sulla libertà d’informazione nel mondo di Freedom House come “parzialmente libera”. O la Francia, dove

due comici sono stati recentemente licenziati da Radio France International dopo aver offeso il presidente Sarkozy, e dove una nuova legge permette al presidente di nominare il direttore di France Television. E la lista può essere allungata. La Commissione Europea, in qualità di custode dei trattati, si è sempre nascosta dietro la pavida formula : l’Unione non è competente in materia, e anche in occasione della riunione dell’Intergruppo Media il ritornello non è cambiato. Adam watson Brown direttore della Task Force Media della Commissione si è detto dispiaciuto, frustrato ma impotente. Krzysztof Kuik, capo unità del settore media dell’antitrust, si è lanciato in un intervento in burocratese stretto il cui succo era : nessun trattamento speciale per i media, per noi sono come produttori di automobili, con buona pace per il loro ruolo cruciale nello sviluppo sociale e culturale di un paese. A rincuorare un pò gli animi ci ha pensato la Professoressa Peggy Valcke, che ha presentato un sofisticato stru-

mento di monitoraggio per calcolare International de Journalists sono rispettino il diritto a un’informazione il livello di pluralismo dei media in convinti che l’informazione e la libera e indipendente, monitorando un paese. Il paradosso sta nel fatto democrazia siano termini collegati, attivamente i livelli di pluralismo che lo stumentò è pronto dal 2009 in quanto una comunità politica dei media nei diversi paesi europei, ma la Commissione, che l’ha pagato, giusta e responsabile non può esistere segnalando e isolando potenziali ora non sembra intenzionata ad usarlo, senza garantire la qualità, pluralità, minacce prima che sia troppo tardi. o meglio, utilizzando le parole di e rappresentatività dei media. In ag- I tentennamenti della Commissione Adam watson Brown : « sta riflettendo giunta, la mancanza di un pronun- europea a riguardo saranno sconfitti sul da farsi ». ciamento europeo sul peggioramento solo da una significativa mobiliA questo punto le prese di posizione della libertà di stampa negli stati tazione popolare dei cittadini europei decise dei deputati presenti, in par- membri rappresenta una minaccia e delle organizzazioni che lavorano ticolar modo di Jean-Marie Cavada, diretta al diritto alla libertà di espres- nel campo dell’informazione. nei presidente dell’Inprossimi mesi tergruppo, e Jorgo lavoreremo alla european Alternatives a una Iniziativa europea per la costruzione di Chatzimarkakis, vice-presidente, una iniziativa libertà e il pluralismo dell’informazione che hanno rilevato per il pluralisl’incoerenza della mo dell’inforCommissione e mazione genper saperne di più, euroalter.com/media l’importanza del uinamente monitor per il plutransnazionale, ralismo come prerequisito a un ruolo sione in tutta l’Unione europea, capace di spingere le istituzioni euattivo della Commissione nella difesa mette a rischio i progressi compiuti ropee a rispettare il proprio ruolo di uno dei diritti sanciti nella Carta negli stati ex-sovietici entrati nel- come garanti della democrazia e dei diritti fondamentali dell’Unione l’UE, e limita l’autorità di ogni con- dei diritti fondamentali in Europa, Europa: Articolo 11 – « La libertà danna europea della censura nel anche e soprattutto quando questi dei media e il loro pluralismo sono resto del mondo. non vengono rispettati a livello rispettati ». L’Unione europea può e deve nazionale. European Alternatives e Alliance richiedere che tutti gli stati membri

regno unIto Intervista con Granville Williams, rappresentante della Campaign for Press and Broadcasting Freedom, che si sta battendo contro il tentativo di Rupert Murdoch di prendere il controllo del canale d’informazione privato BskyB. Tradotto da Erika Addessi Perchè il tentativo di Murdoch di acquisire BskyB rappresenta una minaccia per la libertà di stampa e il pluralismo in Gran Bretagna? Il pluralismo dei media richiede una vasta gamma di giornalisti e giornali concepiti al fine di attrarre una varietà di gusti, interessi e punti di vista. La news Corporation di Murdoch già possiede più media nel Regno Unito di quanto le sia permesso di possedere negli USA e in Australia (gli altri due mercati principali dove il gruppo globale gode di una forte presenza). Se news Corp dovesse acquisire il rimanente 60.9% di BskyB, da azionista di minoranza passerebbe a piena proprietà e acquisirebbe importanti vantaggi finanziari che gli permetterebbero di destabilizzare altri gruppi di media del Regno Unito. BskyB copre già un ruolo dominante nei servizi della TV a pagamento (l’80% delle entrate della TV a pagamento). L’8 novembre 2010 ha annunciato di aver raggiunto dieci milioni di abbonati. Inoltre, i prodotti attualmente offerti separatamente da BskyB e news International, il gruppo editoriale di Murdoch che possiede The Times, Sunday Times, The Sun e The news of the world, potrebbero venire raggruppati, scontati o offerti gratuitamente. Per altri gruppi media senza le entrate e le risorse globali che ha a disposizione news Corp sarebbe estremamente difficile competere e le quote di mercato dei titoli di news International aumenterebbero. Infine, il problema di vitale importanza della libertà di stampa. L’acquisizione pianificata di BskyB ha coinciso con le rinnovate segnalazioni di pirateria telefonica da parte dei giornalisti di news of the world nei confronti di politici, calciatori e celebrità. Ciò ha

portato alla luce un aspetto sgradevole della stampa scandalistica, ma l’aspetto più inquietante risiede nel fatto che i politici hanno avuto paura di rispondere alle domande a causa del rischio che i giornalisti di news International potessero cominciare a frugare nelle loro vite private. Cosa possono fare i cittadini circa la situazione che riguarda la libertà di stampa e pluralismo in Gran Bretagna? Uno degli aspetti più impressionanti del problema BskyB è il ruolo importante che ha giocato la mobilizzazione dell’opinione pubblica. Quando news Corporation ha annunciato il suo piano di prendere il controllo di BskyB nel giugno del 2010 ci sono state poche reazioni. Ma gli articoli di will Hutton, Henry Porter e Lord Putnam sono apparsi nel giornale The Observer mettendo in guardia i lettori su alcune delle pericolose implicazioni che comporterebbe una presa di controllo incontestata. Hutton ha avvisato di una ‘Berlusconizzazione’ della Gran Bretagna. Il gruppo di riforma dei media, la Campagna per la Libertà di Stampa e Broadcasting, si è unita a 38 degrees, una rete attivista online, e all’Unione nazionale dei Giornalisti, al fine di organizzare una petizione che esiga che il segretario di Stato Vince Cable dia inizio ad un test di interesse pubblico che coinvolga i cittadini nel giudicare i progetti di Murdoch. Decine di migliaia di persone hanno firmato. nessuno pensava che sarebbe accaduto – ma è successo. E adesso individui, gruppi della società civile e diversi sindacati di giornalisti stanno appoggiando il caso. La lezione chiave è che abbiamo bisogno di una forte e vigile coalizione che dia importanza alla proprietà dei media, agli standard giornalistici e alla difesa del servizio pubblico di telecomunicazioni a livello britannico ed europeo. Sembra che la libertà di stampa e il pluralismo dell’informazione si trovino sotto grande minaccia in tutta Europa al momento. Come spiega questo fatto, e cosa dovrebbe essere

fatto a livello europeo? Manuel Castells parla dell’emergere di ‘info-capitalisti’ che costruiscono reti di business che si autoalimentano, traendo forza politica grazie alla proprietà della produzione di informazione e conoscenza. Ciò viene fatto attraverso l’espansione di potenti imperi crossmedia, esemplificati da Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi. Tentativi di sollevare problemi che hanno a che fare con la proprietà dei media a livello europeo sono stati respinti con accanimento negli anni dai grandi gruppi di media come Bertelsmann e news Corporation. Gruppi di pressione come il Consiglio degli Editori europei e l’Associazione della Televisione Commerciale, sono stati creati per concentrare gli interessi dei grandi editori di testate giornalistiche e dei gruppi di televisione commerciale, garantendo che i loro interessi prevalessero. Anche gruppi di media globali con sede negli USA mantengono una presenza attiva a Bruxelles con lo stesso intento. La risposta della Commissione, quando problemi come la minaccia al pluralismo e alla democrazia dei media costituita da Berlusconi in Italia viene sollevata nel Parlamento europeo, è che questa è materia per i governi nazionali. Però diversi fattori (cambiamenti tecnologici, deregolamentazione, globalizzazione) stanno spingendo i gruppi media a fondersi e ingrandirsi e il problema diventerà sempre più grande, di scala almeno continentale. C’è anche un impatto diretto sulla varietà e la qualità del giornalismo, con imperativi commerciali che non tengono conto di preoccupazioni giornalistiche. Dobbiamo mobilitare ed incanalare le preoccupazioni pubbliche in una campagna determinata a sollevare il problema della concentrazione dei media e del pluralismo a livello europeo.

ItAlIA Libertà di informazione e precarietà del lavoro Di Graziella Durante Tradotto da Olga Vukovic L’Italia è la sola democrazia occidentale in cui il primo ministro esercita un controllo diretto su tre reti televisive private e indiretto su tre reti pubbliche, oltre a risultare proprietario di diversi giornali, riviste, stazioni radio, la più grande casa editrice del paese e la più importante agenzia pubblicitaria. Ma se il caso dell’anomalia italiana rispetto alla libertà di informazione è percepita e ricondotta dal resto d’Europa solamente al conflitto di interessi dell’attuale presidente del Consiglio, questa si tratta di una demagogia pericolosa, oltre che di una palese semplificazione di un fenomeno molto più complesso. Dietro l’impero mediatico di Berlusconi si nasconde una situazione che non ha niente di anomalo rispetto agli altri paesi europei, ma che riflette, invece, la tendenza generale di una selvaggia precarizzazione di chi fa informazione all’interno di una progressiva proletarizzazione del lavoro intellettule. Li chiamano ‘gli invisibili’ ma sono l’esercito dei 40 mila free lance, stagisti, operatori dell’informazione radio-televisiva, dei quotidiani e del web ‘assoldati’ con compensi vergognosi, senza tutela e senza diritti, ricattati e sfruttati, da cui dovrebbe dipendere il coraggio di un’informazione libera. È la manodopera a basso costo della grande “fabbrica dell’informazione italiana”. Senza alcun peso di contrattazione, ignorati dai sindacati ed esclusi da ogni tutela di categoria. Le loro biografie compongono un allarmante affresco della

perpetua rimozione dei principi costituzionali che dovrebbero garantire, sempre e in primo luogo, il rispetto del lavoro e il decoro minimo di ogni professione. La metamorfosi che sta cambiando il volto della professione giornalistica è irreversibile. non si tratta, come del resto per il lavoro in generale nell’epoca del capitalismo cognitivo, di una semplice anticamera prima del pieno accesso a contratti a tempo determinato, ma di una stabile e duratura precarietà. Le loro storie restano spesso nell’ombra ma i “dati della vergogna” emergono da una recente indagine condotta dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (CnODG). Le retribuzioni offerte dalle principali testate nazionali e locali vanno da 0,50 euro lordi a riga de Il Sole 24 Ore ai 2,50 per 855 caratteri de Il Resto del Carlino, ai 21 de Il Mattino. I Tempi di pagamento vanno da un minimo di 60 ad un massimo di 180 giorni. É implicito che non è previsto alcun rimborso spese per spostamenti, telefonate e tutto quanto è indispensabile per produrre articoli, inchieste, servizi e interviste. Si osserva una tendenza generale a cessare ogni tipo di pagamento dopo il ventesimo articolo redatto. Quando il compenso è mensile non supera mai i 1000 euro lordi. L’Ansa nazionale paga 5 euro per ogni lancio, indipendentemente da lunghezza, argomento e tempo necessari, mentre radio Easy news offre 600 euro lordi mensili per cinque giorni lavorativi settimanali, con turni che cominciano alle sei del mattino, sabato e festivi compresi. Sono solo alcune delle cifre su cui vale la pena riflettere e che vi proporremo, in maniera più precisa, nel prossimo numero.


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regno unIto

ungHerIA ItAlIA BulgArIA

BulgArIA ungHerIA Un ritorno a un passato tutt’altro che democratico Il parlamento ungherese ha recentemente eletto il presidente e i membri del Consiglio dei media, un potente organismo composto da cinque membri con il compito di supervisionare la nuova Agenzia nazionale per le Telecomunicazioni e i Media (nMHH), il nuovo ente di concessione che regolamenterà sia il broadcasting pubblico che quello privato. Tutte le nomine sono state portate avanti da Fidesz, il partito di centro-destra che attualmente controlla due terzi del parlamento. Annamaria Szalai, il nuovo presidente del Consiglio dei media, ha il posto assicurato per i prossimi nove anni, ossia oltre due legislature parlamentari. A giugno Dunja Mijatovic, la rappresentante OSCE per la libertà dei media ha lanciato un appello al governo ungherese affinché sospendesse la riforma dell’assetto dei media sostenendo che “l’adozione di questa legge potrebbe portare alla subordinazione dell’informazione a decisioni politiche” Tuttavia, in un altro voto, il parlamento ha eletto sei su un totale di otto membri della Fondazione del servizio pubblico. La fondazione supervisionerà i media di servizio pubblico dell’Ungheria e ne amministrerà le risorse. La metà dei

membri eletti sono stati nominati dal partito Fidesz e l’altra metà da ciascuno dei tre partiti dell’opposizione. I due membri rimanenti, compreso il presidente, saranno delegati dal Consiglio dei media (controllato da Fidesz). Un altro elemento controverso dell’insieme delle riforme dei media costringerà i giornalisti a identificare le loro fonti per articoli che riguardino la sicurezza nazionale. Anthony Mills, responsabile libertà di stampa dell’IPI (International Press Insitute) ha dichiarato: “Un pilastro essenziale del giornalismo investigativo è la riservatezza delle fonti. Quest’ultima mossa del parlamento ungherese rappresenta un altro punto negativo nel tracollo della libertà di stampa in Ungheria”. Ivan Lipovecz, membro del consiglio IPI, ha aggiunto: “La legge va contro le più basilari norme democratiche, e soggetta il servizio pubblico al governo.” Godendo di una maggioranza dei due terzi del parlamento dell’Ungheria, il partito di centro-destra Fidesz sembra abusare del suo potere per stringere il controllo sull’informazione. negli ultimi mesi diversi membri del partito sono stati nominati a posizione chiave nel sistema dell’informazione del paese. L’Ungheria rappresenta tristemente un altro passo verso la “berlusconizzazione” dei mass media dell’Europa dell’Est.

Transizione incompleta verso la democrazia, interferenza della criminalità organizzata Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, la Bulgaria ha introdotto elementi chiavi di pluralismo politico e ha instaurato istituzioni democratiche. Le trasformazioni dopo l’epoca comunista hanno cambiato profondamente la situazione dei media nel paese. La liberalizzazione del mercato e la competizione libera hanno rapidamente raggiunto la sfera dei media. Tuttavia, negli ultimi anni, diverse critiche sono state sollevate contro le limitazioni del pluralismo dei media e la libertà di parola. La Bulagaria è, insieme alla Romania e all’Italia, uno dei tre stati membri dell’UE che sono classificati come “parzialmente liberi” da Freedom House, principalmente perché “i giornalisti del paese continuano a dover affrontare pressioni e intimidazioni finalizzate alla protezione di interessi economici, politici e criminali con i responsabili che spesso operano con impunità, portando ad una forma di auto-censura fra giornalisti”. Molti giornalisti subiscono anche aggressioni fisiche: qualche mese fa, Georgy Stoev, un cronista con competenza in crimine organizzato, è stato ucciso con colpi d’arma da fuoco a Sofia. Inoltre a settembre l’Agenzia di Stato per la Sicurezza

nazionale ha intercettato le telefonate di diversi legislatori, fatto che ha spinto i giornalisti all’auto-censura. Secondo Reporters Sans Frontières, la Bulgaria è di fatto il paese piu repressivo d’Europa verso i giornalisti in un epoca in cui la situazione della libertà di stampa in tutta l’UE sta deteriorando. “Invece di migliorare la situazione, i politici in Bulgaria, indipendentemente dalla loro appartenenza partitica, vogliono controllare i media. Continuano a considerare la stampa come un organo dello stato e del governo. Dopo l’adesione della Bulgaria all’Unione Europea, ci si aspettava che il paese sollevasse i suoi standard a questo riguardo in linea con gli altri stati membri, ma non è mai successo”, ha affermato il presidente di RSF del Belgio, Olivier Basille. Un altro problema importante del paese è rappresentato dalle informazioni sugli investimenti privati, che fanno sollevare molte domande sui proprietari effettivi dei media. “Sembra che queste informazioni siano disponibili ufficialmente, ma è anche vero che molte persone vengono dall’economia grigia o nera e possono influenzare i media attraverso il mercato della pubblicità. Questo mercato è molto limitato e la porzione detenuta da mani private è molto spesso connessa al crimine organizzato” ha concluso Basille.


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frAncesco MArtone

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rischi ambientali e pochezza della politica A fine novembre, durante la stampa di questo numero, la sedicesima Conferenza delle parti (COP16) della Convenzione OnU sui mutamenti climatici si riunirà a Cancun con l’arduo compito di riannodare le fila di un dialogo interrotto a Copenhagen e mai effettivamente ripreso. nessun osservatore o governo è pronto a scommettere in un risultato di alto profilo a Cancun, facendo intendere che l’unica possibilità à quella di adottare una serie di misure concrete di azione. La speranza è quella di giungere poi ad un accordo legalmente vincolante sulla riduzione delle emissioni e su impegni di spesa per aiutare i paesi in via di sviluppo ed emergenti alla COP17 di Durban. Cancun si profila così come un ulteriore rinvio verso il 2012, fine del primo periodo di attuazione del protocollo di Kyoto, scadenza cruciale per verificare la tenuta dello strumento e la serietà della comunità internazionale. Questo è il principale terreno di scontro, con Stati Uniti ed altri alleati che esigono un sistema di riduzioni di emissioni non vin-

verso cAncun colante, sottoposto a verifiche periodiche, e importanti riduzioni delle emissioni per Cina ed altri paesi in rapida industrializzazione. Cina e G77 non accettano questo gioco al ribasso, richiamando alle responsabilità storiche dei paesi industrializzati e chiedendo fondi, trasferimento di tecnologie e sostegno a programmi di adattamento e mitigazione. Altro oggetto del contendere è sul monitoraggio, rendicontazione e verifica dell’uso dei fondi nei paesi destinatari, visto dai paesi del G77 come un’inaccettabile imposizione da parte di paesi che non si prendono i loro impegni né accettano un meccanismo simile di verifica. Il resto del mondo sta a guardare, e l’Europa non è in grado di rompere questo stallo. nel gioco di forza, che vede il negoziato diventare luogo di ridefinizione dei vincenti e perdenti della nuova governance globale, restano fuori i paesi poveri, quelli più impattati e vulnerabili, che rischiano la stessa sopravvivenza. Per tutti pochi denari: dei 100 miliardi di dollari annunciati a Copenhagen finora se ne sono visti ben pochi, spesso riciclati dai fondi di cooperazione. Il gruppo di lavoro OnU sugli strumenti di finanziamento per le azioni climatiche ha invece proposto i mercati di carbonio come fonte principale e la Banca mondiale come gestore primario dei fondi. Come dire, dare al piromane l’incarico di spegnere l’incendio, e creare le premesse per altri danni provocati dalla possibile esplosione della bolla speculativa che si formerebbe con l’espansione incontrollata dei subprime di carbonio. Anche quel pezzo

di negoziato che pareva destinato a buon fine relativo alle foreste ed alla riduzione delle emissioni da deforestazione, pare bloccato. Gli USA sono determinati a sostenere un esito complessivo a Cancun, fatto di una serie di decisioni della Conferenza delle Parti: o si arriva a decisioni “equilibrate” su adattamento finanze, mitigazione , foreste, trasferimento di tecnologie, o niente. Così il processo rischia di implodere. Alla luce di tutto ciò, sbaglia chi vuole vedere in Cancun 2010 l’occasione per ripetere l’esito di Cancun 2003 quando l’Organizzazione Mondiale del Commercio cadde in una crisi dalla quale stenta tuttora a riprendersi. Allora era legittimo porre freno all’espansione di un’istituzione dedicata esclusivamente alla liberalizzazione degli scambi commerciali, qua a Cancun rischia di giocarsi il futuro del multilateralismo e dell’OnU. L’ha fatto capire bene il capo delegazione USA quando indicato a possibilità di concludere accordi plurilaterali e partenariati al di fuori delle nazioni Unite. Con buona pace dei paesi poveri, quelli insulari, e quelli quali la Bolivia che continuano a chiedere a gran voce il riconoscimento del debito ecologico e dei diritti della Madre Terra. Chi andrà a Cancun si troverà così di fronte ad una stretta via: chiedere l’impossibile ma il dovuto, con il rischio di far collassare il sistema multilaterale, o accontentarsi del possibile, con il rischio di rinviare a data da destinarsi l’irrevocabile obbligo di ridurre le emissioni e disintossicarsi dalla dipendenza da combustibili fossili.

una interpretazione sistema del cambiamento climatico di kelvy Bird di the valueWeb Questa rivista ha ricevuto cofinanziamento dal programma “Active Citizenship”

Editorial Board Transeuropa Network transeuropanetwork.com Informazioni e distribuzione Dominique Tuohy d.tuothy@euroalter.com Art Direction & Design Giovanni Binel ed Emanuele Ragnisco mekkanografici.com

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Il punto di vista della società civile

Il punto di vista delle istituzioni

Intervista di séverine lenglet

Intervista di federico guerrieri

Durante il vertice di Cancun avranno luogo, in ogni parte del mondo, anche proteste da parte della società civile, allo scopo di incoraggiare azioni concrete in materia di cambiamento climatico. David Heller lavora con Friends of the Earth Europe, dove coordina le attività riguardanti la Giustizia Climatica ed energetica. Durante le ultime settimane, ha dato il suo contributo nell’organizzazione dell’Assemblea Europea per la Giustizia Climatica. Che cos’è l’Assemblea Europea per la Giustizia Climatica? L’Assemblea Europea per la Giustizia Climatica è un evento della durata di quattro giorni che si svolge dal 26 al 29 novembre a Bruxelles. È stata programmata in modo da coincidere con l’inizio della Conferenza OnU sul clima di Cancun. Il nostro evento includerà discussioni, dibattiti, azioni, eventi culturali e sociali, nonché occasioni per prendere contatti. Il messaggio principale che vogliamo trasmettere è che la crisi climatica si sta ripercuotendo su coloro in Europa – e in tutto il mondo – che hanno fatto il meno possibile per causare il problema. Dobbiamo prendere in considerazione gli impatti sociali dei rimedi alla crisi, assicurandoci di non ricorrere a falsi rimedi che rischiano di aggravare i problemi. Come giudica la Conferenza ONU sul Clima “COP-16”? noi non siamo contrari al vertice di Cancun, siamo solo convinti che la direzione delle negoziazioni internazionali debba cambiare. Al momento esiste il rischio effettivo che i paesi ricchi, le imprese multinazionali e le istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale, si servano della Conferenza OnU per spartire e privatizzare ciò che rimane della nostra atmosfera, e imporre i loro falsi rimedi come l’agrocarburante, l’energia

nucleare, i GM, la compensazione di carbonio e l’inclusione delle foreste nei mercati del carbonio. Quali sono i problemi che si devono affrontare in Europa in materia di giustiza climatica e sociale? È già possibile verificare l’impatto del cambiamento climatico in Europa, dallo scioglimento dei ghiacciai che danneggia il turismo nelle Alpi, alle ripercussioni sui diritti dei contadini di tutto il continente. Anche gli impatti sociali sono enormi – ad esempio i costi di riscaldamento e raffreddamento stanno aumentando – e colpiscono maggiormente i più poveri. Inoltre l’Europa rischia di perdere la grande opportunità di investire su forme di impiego sostenibile che le permetterebbero di tenersi lontana da un’economia pericolosa e inquinante basata sul carburante fossile. Qual è la sua opinione sul carbon offsetting? Teoricamente il carbon offsetting avrebbe dovuto permettere ai paesi sviluppati di soddisfare in parte i loro target finanziando la realizzazione nei paesi in via di sviluppo di progetti di riduzione del gas serra. Da allora la compensazione ha rapidamente acquisito importanza. Tuttavia la compensazione considera un’azione positiva nei paesi in via di sviluppo come parte dei tagli promessi nei paesi sviluppati, mentre è chiaro che l’azione è necessaria sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. La compensazione non assicura né uno sviluppo sostenibile positivo né un adeguato trasferimento finanziario ai paesi in via di sviluppo, e sta causando ulteriori ritardi alle trasformazioni economiche nei paesi sviluppati, sempre più urgentemente necessarie. Per maggiori informazioni: http://climateassembly.wordpress.com

Intervista con Timo Makela, Direttore degli Affari Internazionali presso il DG Ambiente della Commissione Europea Traduzione di Laura Bellanti. Come giudica l’esito del Vertice di Copenaghen sul cambiamento climatico? L’UE non solo ha assunto un ruolo importante al Vertice di Copenaghen, ma è stata anche uno dei suoi motori trainanti. Essa infatti è stata l’unica tra le principali aree economiche mondiali ad aver presentato un piano di azione ben definito e vincolante finalizzato alla mitigazione del cambiamento climatico. L’UE ha sin dall’inizio assicurato che avrebbe ridotto le proprie emissioni del 20% entro il 2020. A Copenaghen le altre nazioni, sia sviluppate che in via di sviluppo, non si sono dimostrate ancora pronte a seguire l’esempio dell’UE. Di conseguenza, i risultati hanno deluso le aspettative e l’esito finale è stato stabilito da altri. In che modo giudica le conferenze e le riunioni preparatorie che si sono svolte in attesa del summit di Cancun? Il Vertice sul Clima di Cancun sarà la prossima fase delle trattative sul cambiamento climatico. Ci si aspetta un progresso per quanto riguarda il finanziamento delle azioni di mitigazione e adattamento del clima, la riduzione delle emissioni, la desertificazione e la degradazione delle foreste, e il sistema di monitoraggio e controllo del livello delle emissioni. In ogni caso sarà difficile concordare obiettivi di riduzione che siano giuridicamente vincolanti. È molto probabile che dovremo aspettare ancora un altro anno. L’UE è pronta a sostenere le nazioni in via di sviluppo nel loro tentativo di attuare un’industrializzazione più pulita? L’UE è il principale erogatore di contributi per lo sviluppo a livello globale. Circa la metà degli

aiuti complessivi proviene dall’UE. Inoltre, la maggior parte di questi aiuti è finalizzata a sostenere i paesi in via di sviluppo nell’ambito della salvaguardia dell’ambiente e, allo stesso tempo, nello sviluppo economico e nella creazione di posti di lavoro. L’UE sta già investendo oltre un miliardo di euro all'anno in piani di azione globali per la biodiversità ed entro i prossimi tre anni saranno stanziati circa sette miliardi di euro aggiuntivi. Una tassa sul carbonio è preferibile ai mercati delle emissioni? Gli strumenti economici sono essenziali per favorire lo sviluppo di un’economia a bassa emissione di carbonio. Per ottenere questo obiettivo, sia i mercati delle emissioni, sia gli ordinamenti tributari devono fare la propria parte. L’UE ha optato per i mercati delle emissioni, ritenendoli il mezzo più efficace. In ogni caso il sistema della tassazione, sia a livello nazionale che a livello europeo, va ad integrare tutto questo. Riforme della fiscalità ambientale si stanno applicando in Europa e le tasse sul carbonio, per esempio nel settore delle automobili e della produzione di energia, stanno diventando sempre più frequenti. Qual'è il suo punto di vista sul carbon offsetting e sul meccanismo di sviluppo pulito? I meccanismi di sviluppo pulito offrono la possibilità di unire i propositi di sviluppo ai nostri obiettivi riguardanti il clima. nei paesi in via di sviluppo, essi hanno portato a investimenti ulteriori in energia rinnovabile e in tecnologie moderne di produzione. Finché riducono effettivamente le emissioni e incrementano gli investimenti nella produzione di energia rinnovabile, rappresentano uno strumento utile. Ovviamente questo non è abbastanza, e l’attuazione di piani, politiche e misure regionali e nazionali potrebbe rilevarsi di gran lunga più importante.


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