Lookout magazine n. 10 novembre 2013

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economia: rousseff e kirchner sull’orlo della crisi

anno I - n. 10 novembre 2013

un amico ti ascolta Gli USA hanno “spiato� tutto il mondo. Il Datagate ha aperto il vaso di Pandora. E adesso che succede?


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sommario

sicurezza 8 Dalla Russia con amore 12 È la stampa, bellezza! 16 Internet

del XXI secolo 18 Piccolo breviario

rubriche

della cyberwar 20 L’NSA spia,

Mosca si difende 22 Chi va

alla “cyberguerra” economia 26 Donne sull’orlo

di una crisi

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36 La (piccola) rivincita

di Morales 30 Quali le criticità

nel modello di sviluppo brasiliano e cosa è lecito attendersi per il futuro prossimo?

38 C’era una volta

la Revolución geopolitica

32 L’ossessione

di Cristina 35 Che fine ha fatto

l’alegria brasiliana?

50

46 Il nuovo samurai

24 a dire il vero... Baia dei Porci, il “disastro perfetto” 40 do you spread? London calling 44 dura lex Radon “senza legge” 54 politicamente scorretto I nuovi orizzonti strategici degli USA 56 l’araba fenice Islam e terrorismo: un’associazione che non (sempre) tiene

50 Prigionieri

dei contractors

inoltre 6 mappamondo 58 un libro al mese 58 così dicono

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L’editoriale

La scoperta dell’acqua calda

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a quando il Guardian ha cominciato a pubblicare i documenti fornitigli dall’ex analista della National Security Agency Edward Snowden sulle attività di spionaggio elettronico su scala mondiale dell’imponente e costosissima agenzia americana, è esploso in Europa sotto il nomignolo di Datagate lo “scandalo degli scandali”. I leader del Vecchio Continente hanno infatti scoperto di essere stati sistematicamente intercettati e spiati non dai loro nemici (Al Qaeda? Assad?) ma nientemeno che dal loro migliore alleato, gli Stati Uniti d’America. Con una ingenuità che rasenta l’irresponsabilità, hanno capito che nel mondo dello spionaggio non esistono alleati o amici ma soltanto concorrenti, che con ogni sistema e con ogni strumento tentano di migliorare il proprio processo decisionale conoscendo in anticipo quello che pensa l’alleato, l’amico, il concorrente o l’avversario di turno. Diciamocelo con franchezza: ma occorreva Snowden per capire che l’amministrazione americana aveva i soldi e i mezzi per conoscere tutti i retroscena del decision making politico europeo? Occorreva scoprire che la Russia al G20 potrebbe aver usato i gadget come cavalli di Troia telematici pronti ad aggredire i computer dei primi ministri “ospiti” per comprendere che Putin ha un disperato bisogno di informazioni di alto livello per continuare il suo gioco sulla scacchiera delle relazioni internazionali? Quello che deve stupire è che i governanti europei, che pure spendono somme ingenti per i propri apparati di sicurezza, siano tanto ingenui da non capire che il “secondo mestiere più antico del mondo” vive e prospera perché finché ci saranno segreti da difendere ci saranno segreti da sottrarre. Forse, invece di piangere sul latte versato, potrebbero riflettere sull’opportunità di adeguare i propri servizi segreti alla portata della minaccia. Per questo motivo abbiamo dedicato gran parte di questo numero allo spionaggio elettronico e alle sue varie articolazioni, senza trascurare tuttavia di continuare il monitoraggio analitico delle aree calde del mondo. Abbiamo scelto il Sud America perché è una delle aree nelle quali il possibile fallimento di politiche populiste ma avventate potrebbe creare le premesse per nuove scosse all’economia mondiale.

mario mori


inbox il direttore editoriale risponde

Nobel all’OPAC: ne avevamo bisogno? Dopo i Nobel a Dario Fò e a Barack Obama, questo titolo non ha per me nessun senso. Possibile che non si riescano a trovare delle candidature più credibili? Massimo Di Santo Mentre sui premi Nobel per la fisica, per la chimica e l’economia c’è sempre poco da discutere, quelli per la pace e per la letteratura prestano il fianco a critiche perché i criteri utilizzati non hanno nulla di scientifico. Chi è in grado di fare il nome dell’ultimo Nobel per la letteratura alzi la mano. È uno scrittore che ha venduto decine e decine di migliaia di copie dei suoi libri come la Rowling, autrice di Harry Potter? È un autore entrato nei manuali di letteratura contemporanea? Niente di tutto questo. Si tratta quasi sempre di autori del terzo mondo, premiati più per il loro impegno politico che per la loro capacità letteraria. Con i Nobel della pace andiamo ancora peggio: due ex terroristi come Menachem Begin e Yasser Arafat sono stati premiati per aver siglato un inutile ed evanescente trattato di pace di cui nessuno ha visto gli effetti. Con Obama e con l’OPAC è stata inaugurata una novità: il Nobel sulla fiducia. Un premio conferito cioè non per ciò che si è fatto ma per ciò che i “saggi di Oslo” pensano che si farà. Nel caso di Obama, hanno premiato un presidente che ha proseguito le avventure militari del suo predecessore con l’aggiunta delle migliaia di esecuzioni a distanza compiute con i droni. In mancanza di un ripensamento, il Nobel per la pace andrebbe semplicemente abolito.

Il caso Zeidan: sequestro o arresto? È molto strano il rapimento del premier libico come anche il suo rilascio lampo. Ciò che è certo è che si tratta di un chiaro avvertimento agli USA in risposta alla cattura di Abu Anas Al Liby. Giuseppe Musumeci In Libia il dentifricio è uscito dal tubetto ed è impossibile rimetterlo dentro. Nel caso di Zeidan, la causa di tutto è nella sconsiderata sprovvedutezza del segretario di stato americano John Kerry, che violando tutte le norme che regolano la plausibile deniability ha candidamente ammesso che del sequestro di Al Liby il governo di Tripoli era stato informato in precedenza. Il rapimento-arresto di Zeidan è un pesante messaggio agli Stati Uniti per invitarli a stare fuori dagli affari libici, il secondo dopo l’uccisione dell’ambasciatore Stevens l’11 settembre del 2012.

Nieto, i clown e i cartelli della droga Il Messico è un Paese in cui esiste oramai il “culto della corruzione”. Finché non si dichiara guerra alla corruzione, boss come Arellano saranno solo una delle tante teste dell’Idra: ne tagli una ma ne spunterà sempre un’altra. Francesco Atzeni Il Messico ha enormi problemi. I cartelli della droga sono diventati un fattore di moltiplicazione del crimine grazie all’enorme capacità di corruzione derivante dagli incassi del traffico di droga. La guerra tra i cartelli e quella dei cartelli contro lo Stato in sei anni è costata 70mila morti, secondo stime prudenti. Il nuovo presidente Enrique Peña Nieto ha cambiato non in modo clamoroso, ma con qualche aggiustamento sostanziale, la situazione. Grazie al contributo del suo consulente colombiano Óscar Naranjo, Nieto in dieci mesi ha invertito la tendenza. Non è la vittoria della guerra, ma è comunque un buon inizio.

Anno I - Numero 10 - novembre 2013

DIRETTORE RESPONSABILE Luciano Tirinnanzi @luciotirinnanzi redazione@lookoutnews.it

EDITORE G-Risk - CEO Giuseppe De Donno Via Tagliamento, 25 00198 Roma Tel. +39 06 8549343 - Fax +39 06 85344635 segreteria_grisk@grisk.it - www.grisk.it

REDAZIONE Rocco Bellantone Dario Scittarelli Cristiana Era Marta Pranzetti

DIRETTORE SCIENTIFICO Mario Mori

ART DIRECTION Francesco Verduci

DIRETTORE EDITORIALE Alfredo Mantici direttore@lookoutnews.it

facebook.com/LookoutNews twitter.com/lookoutnews Registrata presso il Tribunale di Roma n. 13/2013 del 15/01/2013

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mappamondo venezuela scambio di cortesie tra Washington e caracas Il primo ottobre il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato l’espulsione da Caracas di tre diplomatici americani, accusati di aver organizzato il black out che per giorni ha tenuto al buio il Paese. Obama ha risposto, rispedendo in patria tre funzionari venezuelani di stanza a Washington e a Huston.

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tunisia attentato in riva al mare Il 30 ottobre nella rinomata località balneare di Sousse un attentatore suicida si è fatto esplodere su una spiaggia, allarmando le centinaia di turisti che alloggiavano al lussuoso hotel Rihad Palm. Nessun morto, ma la tensione resta alta con il governo guidato dal premier Aly Laarayedh del partito islamista Ennahda, sempre più in bilico.

egitto rush finale per la nuova costituzione Iniziate le ultime negoziazioni per la stesura della bozza finale della nuova Costituzione egiziana. Le modifiche alla Carta dovranno essere presentate entro il 3 dicembre al presidente Adly Mansour, il quale dovrà approvarle e, successivamente, indire un referendum chiedendo al popolo l’approvazione definitiva. Tra gli articoli più “spinosi” (circa 250), quelli che riguardano il ruolo del Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF).


turchia marmaray, il tunnel del bosforo Dopo 153 anni di attesa, il 29 ottobre è stato inaugurato il tunnel Marmaray, realizzato da un consorzio turco-giapponese: 1.387 metri di strutture in cemento posate su una trincea scavata a 62 metri di profondità e poi ricoperte. Marmaray si estende per 76,3 chilometri da Gebze a Halkali, entrerà a pieno regime tra due anni e unirà la sponda europea e quella asiatica di Istanbul in 4 minuti.

palestina disgelo lungo la striscia di gaza Nella notte tra il 29 e il 30 ottobre il governo israeliano ha liberato 26 prigionieri palestinesi. Si tratta del secondo gruppo di detenuti rimessi in libertà a seguito della ripresa dei negoziati di pace tra Israele e Palestina. Il patto prevede la scarcerazione di 104 cittadini palestinesi, finiti dietro le sbarre prima degli accordi di Oslo del 1993.

cina giallo a piazza tiananmen 5 morti e 40 feriti: il bilancio dell’esplosione di un’auto il 28 ottobre a Piazza Tienanmen, Pechino. Tra le vittime, i tre uomini a bordo dell’auto, schiantatasi contro il ponte Jinshui che conduce alla “Città proibita” di Zhongnanhai, dove alloggiano alti funzionari dello Stato e del Partito Comunista Cinese. Tra le piste seguite dalla polizia, una conduce agli Uiguri, minoranza musulmana di origine turca che rivendica l’indipendenza dello Xinjiang dalla Cina.

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sicurezza

Stati Uniti Le armi della disinformazione Media e Datagate: si scandalizzi chi può

Italia Da Telecom alla cyber-sicurezza

Australia Internet a velocità supersonica

Russia Spionaggio: ritorno all’antico

Cina Regina dell’hacking

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sicurezza

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Datagate |

di Luciano Tirinnanzi

Dalla Russia

con amore E se questa fosse una guerra tra spie che si combatte a colpi di disinformazione? Protagonisti, i soliti noti (USA-Russia). Scena del delitto, ancora la vecchia Europa

roviamo a immaginare che dietro al gigantesco scandalo Datagate, che minaccia i rapporti diplomatici, commerciali e quant’altro tra l’America e gli Stati amici del mondo, ci sia qualcosa di più di una spy story dai toni farseschi e dai tratti inquietanti. Facciamo un’ipotesi più intrigante e teorizziamo che dietro a tutto ciò si celi un progetto più grande, e magari pure raffinato, come non lo si vedeva dai sempre più nostalgici anni della Cold War. Ad esempio, che dietro al caso Datagate - lo smascheramento a mezzo stampa dei più inconfessabili segreti dell’intelligence USA, grazie a una fuoriuscita senza controllo d’informazioni in possesso di un ex funzionario infedele - ci sia la regia di una potenza mondiale, diretta concorrente degli Stati Uniti. Molti indizi portano a ritenere che oggi in Europa sia in atto una vera guerra di disinformazione, che oppone chi ha interessi strategici nei confronti dell’Unione Europea: ovvero Usa e Russia, divise tra shale gas e accordi di libero scambio. Ma andiamo con ordine. A ben vedere, la NSA, National Security Agency, era l’agenzia d’intelligence americana più segreta degli Stati Uniti, mentre oggi è involontariamente la più famosa. Sin dalla sua fondazione nel 1952, essa è cresciuta fino a diventare più indaffarata della stessa CIA e viene ormai considerata dal governo di Washington uno strumento essenziale per garantire la homeland security.

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Come noto, le telecomunicazioni sono oggi tanto più reali quanto centrali nella vita di ogni società moderna e sviluppata. In primis negli Stati Uniti, che detengono il primato in questo settore, perché per primi hanno avuto accesso alla tecnologia più avanzata, vale a dire internet. Essendone i creatori, e dunque i più esperti, ne hanno fatta una forma di cultura diffusa e massificata al punto che essa ha permeato lo stile di vita americano, terreno fertile e particolarmente ricettivo tanto alle matematiche applicate quanto ai deliri di onnipotenza. Qualcuno, dalle parti di Washington, anni fa teorizzò le intercettazioni di massa come sistema efficace di tutela e controllo della nazione. Si chiamava J. Edgar Hoover. E, in seguito, qualcun altro - che si chiamava Richard Nixon - lo mise in pratica grazie alla propria posizione privilegiata. Gli andò male, ebbe un perdono presidenziale e si dovette fare da parte. Ma quella teoria fece comunque scuola negli ambienti governativi e fu infine applicata nell’epoca in cui poteva essere sfruttata meglio, quando cioè quella tecnologia aveva ormai raggiunto il suo punto più alto. Oggigiorno questo sistema d’intercettazioni permette di raggiungere (quindi spiare) chiunque e ovunque, per carpirne i più intimi segreti e le abitudini. Volendo, è persino possibile ascoltare in diretta, comodamente seduti su un divano Chesterfield a migliaia di chilometri di distanza, un capo di Stato che confida ai suoi intimi le strategie di governo. È questo il lavoro della NSA: ascoltare e registrare miliardi d’informazioni in ogni momento. Ed essendo le informazioni la moneta più preziosa al mondo, sapere in anticipo cosa pensano i tuoi competitor vale qualsiasi prezzo per uno Stato che ha interessi diffusi in tutto il mondo. E si fa di tutto, compreso intercettare gli amici. Quali amici poi? Uno Stato non ha amici, solo concorrenti. L’unico accordo segreto degli Stati Uniti per non spiarsi reciprocamente, è stato siglato soltanto con altri quattro partner, conosciuti come il “Five Eyes Group”, di cui oltre agli States fanno parte: Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda. L’accordo in origine si chiamava UKUSA,

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fu sottoscritto già nel 1947 e, tra le altre cose, comprendeva anche l’installazione di stazioni di ascolto in ciascuno dei Paesi contraenti, che in seguito si sarebbero chiamate ECHELON. Raggiunto il livello di ampiezza del quale oggi siamo tutti a conoscenza (anche grazie alle rivelazioni di Snowden) non c’è da stupirsi che sia divenuto lo strumento principe dell’intelligence USA per la guerra globale al terrorismo. E neanche dobbiamo stupirci se, avendo a disposizione tali apparecchiature, i policy makers americani siano stati sedotti dalla possibilità a portata di mouse di conoscere in tempo reale cosa si dicono Angela Merkel e i colleghi europei al telefono e cosa si scrivono via mail le alte sfere dei ministeri economici, industriali o militari. Perché, in fondo, è nel loro interesse. Ma torniamo al principio. Come noto, agli inizi di giugno Edward Snowden, la fonte interna all’NSA, fornisce al giornalista britannico Glenn Greenwald i documenti che provano come l’agenzia americana abbia spiato e archiviato milioni di conversazioni telefoniche. Greenwald lavora al quotidiano londinese The Guardian, che pubblica il pezzo e dà il via al gigantesco scandalo. Fin qui è storia nota. Quel che non è noto è che sin dai tempi della Guerra Fredda, The Guardian era sospettato di avere buoni rapporti con ambienti sovietici e di amplificare in Occidente campagne mediatiche (le più clamorose quella contro gli euro-missili alla fine degli anni Settanta e quella per il disarmo negli anni Ottanta) orchestrate dalla direzione A del primo direttorato principale del KGB, il servizio segreto russo di cui faceva parte anche Vladimir Putin. E nei salotti dell’intelligence


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occidentali, il giornale era additato come vero e proprio terminale infiltrato dai sovietici. La direzione A del KGB si occupava della disinformazione e, attraverso giornalisti e giornali occidentali, attivava campagne di manipolazione delle opinioni pubbliche europee e americane. In Italia, per dire, anche Paese Sera era considerato uno di questi canali (in proposito, si veda il dossier Mitrokhin). Il Guardian lo sarebbe stato per l’Inghilterra. Se questi sospetti fossero fondati, allora sarebbe possibile ipotizzare che la redazione del Guardian abbia mantenuto aperto quel canale anche con i successori del KGB, ovvero l’SVR e l’FSB. A questo punto, entriamo nel mondo degli specchi dello spionaggio e del controspionaggio: i russi, venuti direttamente in contatto sia con Greenwald che con Edward Snowden - forse a Ginevra, dove Snowden ha lavorato per il governo USA - avrebbero garantito copertura e protezione in cambio delle preziose informazioni. Quindi, avrebbero avviato una campagna stampa, che è verosimile possa durare ancora nel tempo. Infatti, nonostante il Guardian sia stato costretto dalle autorità britanniche a distruggere gli hard disk dove erano contenuti i file segreti, le notizie continuano ancora a uscire in un’escalation che promette nuovi sviluppi. Le Monde, Der spiegel, New York Times, Pro Publica sono solo alcune delle testate che si sono aggiudicate - non è chiaro attraverso quali canali - i più recenti scoop. E già s’intravede l’inizio di una forma di risposta filo-americana al Datagate: da pochi giorni circola la notizia secondo cui i russi avrebbero spiato a loro volta tutti i leader, europei e non solo, al G20 di San Pietroburgo. Forse, l’inizio di un nuovo capitolo di una guerra tra spie a colpi di disinformazione. Obiettivo? L’Europa e il suo inestimabile mercato. Edward Snowden. Nel tondo, Angela Merkel LOOKOUT n. 10 novembre 2013

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È la stampa, bellezza! Alcune cose da sapere sul Datagate, per orientarsi in mezzo alla moltitudine di pubblicazioni che proliferano dalle rivelazioni di Snowden in poi russia Mosca è diretta concorrente degli Stati Uniti in Europa, perché quel mercato è strategico per gli interessi russi, in particolare per l’energia e le esportazioni. _____ shale gas Preoccupata dalla concorrenza dello shale gas americano e dal patto di libero scambio USA-UE, Mosca sta attuando una politica determinata ad avvicinare a sé l’Europa e contemporaneamente allontanarla dagli Stati Uniti, nel tentativo di minare le basi di quel patto. Perciò coltiva buoni rapporti, soprattutto con Germania e Regno Unito. Di conseguenza, è molto probabile che le stazioni di spionaggio russe in Europa siano particolarmente attive e operanti. _____ the guardian Il caso Datagate è uscito dalle colonne del quotidiano britannico The Guardian. Sin dalla Guerra Fredda il Guardian di Londra era considerato un terminale amico della direzione A del primo direttorato del KGB. La direzione A si occupava della disinformazione. Da allora, è possibile che l’intelligence russa (FSB e SVR) abbia mantenuto aperto il canale. E che, grazie a un accesso privilegiato a informazioni di prima mano, i servizi di Mosca abbiano avuto per primi lo scoop e gestito la successiva campagna stampa.

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gadget spia al g20 Microspie contenute nelle pendrive consegnate ai leader ospiti del G20 di San Pietroburgo? Per “bufala” che sia, come affermato alla stampa da portavoce del presidente Putin, il fango mediatico è assicurato. Per il Cremlino si tratta solo di un maldestro tentativo di distogliere l’attenzione dalla vicenda Datagate. Quel che è certo è che notizie simili fanno gola alla propaganda. _____ der spiegel Già nel caso Wikileaks anche se il contesto è diverso - il britannico The Guardian aveva giocato un ruolo fondamentale nella campagna d’informazione, pubblicando per primo le notizie e gestendo il caso, insieme a Der Spiegel e New York Times. Nel caso del Datagate, lo schema è simile e anche Der Spiegel è in prima linea.

Wikileaks Se nel caso Wikileaks le rivelazioni danneggiavano contemporaneamente più Paesi, stavolta lo scandalo è mirato nei confronti di un solo Paese, gli Stati Uniti, e colpisce nel loro punto più debole e sensibile, l’intelligence. Di conseguenza, è verosimile che questa, e non Wikileaks, sia un’operazione d’intelligence, organizzata dai servizi segreti russi per danneggiare gli USA e perché gli Stati d’Europa si convincano a sganciarsi il più possibile da Washington e a chiedere al


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governo americano di chiudere le stazioni di ascolto europee. In questo modo, gli USA rischiano di perdere fonti e quote di controllo. _____ roma La stazione della NSA a Roma di cui parla Der Spiegel, se considerata come stazione di ascolto, è certamente quella di Cerveteri, dove è presente una sotto-stazione del sistema ECHELON. Secondo il settimanale tedesco, i centri di ascolto sono in totale 19 in Europa. Ma soltanto 4 sono le stazioni conosciute dove è effettivamente presente un terminale riferibile a ECHELON: due nel Regno Unito, una in Germania e quella di Roma Cer veteri, e non corrispondono alle indicazioni del settimanale.

villa taverna La notizia che riferisce di Villa Taverna a Roma, dove opera l’ambasciatore americano in Italia, non è da ritenersi affidabile e, semmai, viene predisposta per ascolti ad hoc in occasione di meeting e cene con alti rappresentati diplomatici e politici. _____ via veneto Anche le altre basi segnalate da Der Spiegel sarebbero locali predisposti per ascolti mirati e ad hoc. Mentre le antenne delle ambasciate americane in Europa possono essere considerate come punti di ascolto costante: ogni volta che a Roma si è dalle parti di Via Veneto (sede dell’ambasciata USA in Italia), si entra nella sfera di azione di un potente programma di intercettazione che copre tutta l’area dell’ambasciata

echelon Da Cerveteri si ascoltavano, ad esempio, le comunicazioni private di Yasser Arafat e le comunicazioni tra funzionari diplomatici e militari durante la guerra dei Balcani. E sempre da qui furono intercettati Abdullah Ocalan e numerosi altri leader del PKK. Così come è stato intercettato l’Imam di Milano, Abu Omar. ECHELON era nato a scopi militari, per intercettare via satellite. Oggi intercetta sia i cavi delle telecomunicazioni sia i satelliti, dunque la copertura è totale.

americana per un raggio di almeno un chilometro e che può agganciare le conversazioni telefoniche in diretta. Una parola giudicata “pericolosa” dal sistema, può comportare un controllo h24 di quella utenza. Da segnalare che nei pressi dell’ambasciata americana a Roma, sono presenti: ministero dell’Agricoltura, dell’Economia e Finanze, della Difesa, delle Infrastrutture e Trasporti, dello Sviluppo Economico, del Lavoro, la Corte Costituzionale e il Palazzo del Quirinale.

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La grande rete sottomarina

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gli scenari possibili la vendita di telecom italia

l’importanza di essere italiana Perché la rete materiale delle telecomunicazioni è strategica per la sicurezza

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oiché gran parte della comunicazione - telefonia e internet - oggi passa dalla rete terrestre e da quella sottomarina (come evidenzia la mappa qui a fianco), il lavoro della NSA è quello di intercettare anche i cavi Telecom che s’irradiano in tutto il Mediterraneo. Da qui il pericolo per la sicurezza di cui hanno parlato i media italiani, in seguito alla notizia della vendita di Telecom Italia: quelle sono le reti da cui l’NSA spia l’Italia e l’intero Medio Oriente, compreso Israele. Oltre al sistema Prism dell’NSA, anche il sistema Tempora del GHCQ britannico è accusato di aver spiato il nostro Paese, ma i due sistemi sfruttano e condividono le stesse infrastrutture e gli stessi canali descritti nello schema. Dunque, non sono da considerare propriamente come due cose distinte. Quella evidenziata nella mappa è dunque una sorta di grande rete centrale di

smistamento dati su scala mondiale, che attraversa e interconnette tutti i cinque continenti. Si può capire perciò l’importanza di non cederne il controllo a Paesi esteri o estranei all’Alleanza Atlantica. Internet, a che punto è il nostro Paese? L’Italia è cablata completamente con grandi dorsali. Mancano ancora i collegamenti verso l’utente finale che sono diffusi solo localmente in spot. Ma, dal punto di vista commerciale, i sistemi stanno installando canali a 100 Gbit/s anche nel nostro Paese. La ricerca arriva a 1.000 Gb/s e anche di più, mentre il funzionamento della nostra rete è legato alla richiesta. Se ci fosse un aumento delle infrastrutture su quello che è chiamato “ultimo miglio”, allora dovrebbe essere adeguata anche la rete nazionale ma al momento è sufficiente quella esistente. Le carenze, invece, sono principalmente a livello locale.

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Italia |

Internet del XXI secolo

Il nostro Paese non sarà il top level delle telecomunicazioni ma le ricerce italiane rappresentano comunque un’avanguardia mondiale. Il caso dell’Università Sant’Anna di Pisa

L’

evoluzione delle abitudini quotidiane, fortemente influenzate dalla disponibilità di nuove tecnologie, trascina inevitabilmente il mondo della ricerca e dello sviluppo industriale in una corsa spasmodica verso l’incremento della banda disponibile che, in sostanza, si traduce direttamente in servizi migliori o addirittura nuovi, riduzione dei costi e aumento della fruizione su scala nazionale ed internazionale. Quello che fino a ieri rappresentava il paradigma del futuro delle comunicazioni oggi è l’attuale: connessi sempre, connessi ovunque. Potremmo aggiungere, per il domani, connessi ad alta definizione. Se pensiamo all’infrastruttura in grado di sostenere tale richiesta, essa deve evolvere partendo dall’accesso (il mio dispositivo portatile a larga banda ad esempio) fino alle dorsali in fibra ottica impiegate per

a cura di Luca Potì

interconnettere centrali ad elevata densità, passando, naturalmente, per tutti i segmenti intermedi. Inoltre, è sempre più richiesta sia la dislocazione di enormi quantità di dati generati (es. foto e filmati caricati su server remoti) sia la capacità di elaborarli a distanza. In questo scenario, intervengono aspetti determinanti nella ricerca e sviluppo delle telecomunicazioni in generale e delle reti ottiche in particolare. L’aspetto fondamentale, naturalmente, è quello tecnologico. La fotonica nella sua evoluzione, se confrontata con l’elettronica, è ancora alle prime armi. L’enorme sfida che la comunità interazionale sta affrontando è quella di ‘copiare’ dall’elettronica digitale la capacità di integrare su un singolo chip funzionalità che attualmente possono essere espletate da componenti discreti ingombranti e con un consumo di potenza non trascurabile. La sfida è tanto più coraggiosa e impegnativa se si

pensa alla scarsa disponibilità economica sia delle aziende operanti in questo settore sia dei Paesi industrializzati, in questo periodo storico di congiuntura economica non positiva. Ma la strada sembra segnata: se fino a pochi anni fa la ricerca si concentrava su aspetti di sistema e di ottimizzazione dei collegamenti (aumentare la distanza, ridurre il numero di ripetitori, etc.), oggi si lavora sulla tecnologia. Il Silicio, già largamente sviluppato e impiegato per i circuiti elettronici, vuole e può essere sfruttato anche in campo ottico. Il secondo aspetto da non trascurare è il consumo di potenza. Sono ormai diventate famose le immagini di INTEL che mostravano come sia possibile cucinare rapidamente un uovo sui processori di ultima generazione. Ridurre l’energia richiesta per le operazioni ha impatto diretto sul costo operativo del sistema e naturalmente un impatto ambientale notevole.

Il dizionario

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l sistema sperimemtato in Australia è stato sviluppato dall’ingegnere Luca Potì, Area Leader di High Capacity Optical Communications dell’Istituto Tecip del Sant’Anna e Responsabile di Area di Ricerca del Cnit, e dai ricercatori Gianluca Meloni, Gianluca Berrettini e Francesco Fresi dell’Istituo TeCIP.

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sicurezza

Anche in questo caso l’impiego di fotoni al posto di elettroni può dare degli enormi benefici. I problemi che ancora nenavigabilità almeno dieci volte a spedizione australiana cessitano maggiori investigaziosuperiori a quelli commerciali composta dai ricercatoni e soluzione idonee all’impiepiù avanzati attualmente in corri dell’Istituto di Tecnogo commerciale risiedono nelso di installazione da Telstra, logie della Comunicazione, le sorgenti ottiche integrate che rappresentano l’avanguardell’Informazione e della Per(LASER) e nella loro compatidia mondiale. Basterà, infatti, cezione della Scuola Superiore bilità con circuiti fotonici in Siun secondo per compiere 200 Sant’Anna di Pisa e del Laboralicio; l’incremento delle prestamilioni di chiamate voip, 15 mitorio Nazionale di Reti Fotonizioni dei dispositivi attivi (banlioni di video chiamate, per scache del Consorzio Nazionale da dei trasmettitori e dei riceviricare 25 dvd multimediali, per Interuniversitario per le Teletori); e l’affidabilità dei processi. garantire 50.000 connessioni comunicazioni (Cnit), in collaCompletano tali aspetti quelADSL a 20Mbit/s e per trasmetborazione con Ericsson e con la lo dell’incremento della banda tere simultaneamente 300mila compagnia telefonica australiana e l’incremento della flessibilità video ad alta definizione. Telstra, rappresenta un’avandelle reti ottiche. L’aspetto di La tecnologia per diffondere guardia mondiale e promette flessibilità delle reti è forte“internet del XXI secolo” si badi rivoluzionare l’infrastruttura mente connesso alle possibilità sa sulle potenzialità della fotodi rete in quattro anni. offerte dal livello fisico così conica integrata, una delle tecnoIl nuovo sistema in fibra ottime alle richieste provenienti logie chiave per sviluppare nuca è stato sperimentato sulla redalle applicazioni impiegate. merosi settori industriali ad alte commerciale del gestore TelPer questo, i protocolli di coto valore aggiunto e che è constra, per comunicare fra Sydney municazioni evolvono contisiderata dall’Unione Europea e Melbourne (1.000 Km): esso nuamente, sfruttando le nuove una delle cinque tecnologie è in grado di decuplicare la veinformazioni che possono acche favoriranno la nascita e l’aflocità di connessione fino a quisire dal livello fisico dopo fermazione delle nuove infra1000Gbit al secondo (1Teral’introduzione della recezione strutture internet. bit/s), raggiungendo livelli di coerente che è in grado di stimare, con una buona approssimazione, parametri fisici del la prima rotta transoceanica collegamento attraversato anche in modo dinamico. QuanDopo vari tentativi a partire dal 1858, nel 1866 il primo cavo transatlantico permanente do l’insieme di questi fattori collegò Europa e Nord America, consentendo ai messaggi telegrafici di attraversare l’oceano. coesiste in un ambiente di riCon 2.200 km di cavi, connetteva New York all’Irlanda attraverso Terranova. cerca stimolante, i risultati arrivano e vengono apprezzati in ambito internazionale. A titolo di esempio di avanguardia italiana nel mondo, valga l’esperienza del Laboratorio Nazionale di Reti Fotoniche del CNIT in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, la multinazionale Ericsson e l’operatore telefonico Telstra conclusa da pochi mesi in Australia.

La spedizione in Australia

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Piccolo breviario della cyberwar di Mario Avantini*

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l progresso tecnologico a cui stiamo assistendo in questi ultimi decenni ha permesso l’attuazione di tattiche di attacco informatico sempre più pericolose e difficili da contrastare. Perciò spesso siamo costretti a fare i conti con virus spietati, programmati per neutralizzare tanto il computer domestico, quanto intere reti infrastrutturali complesse, adibi-

te alla gestione di servizi pubblici di primaria rilevanza, come ad esempio la fornitura di elettricità in una cittadina. Il caso più eclatante risale al 2010 con la scoperta del noto virus, battezzato col nome “Stuxnet”, ideato da Stati Uniti e Israele per danneggiare gli impianti nucleari iraniani di Natanz, presumibilmente adibiti all’arricchimento dell’uranio. La risposta dell’Iran è

consistita in un massiccio rafforzamento delle difese informatiche, volte a scongiurare ulteriori danni alle infrastrutture strategiche nazionali. Ciò non ha impedito l’uccisione di Majtaba Ahmadi, Comandante della sezione Cyber War dell’Intelligence iraniana. Puntando l’indice contro il Mossad, il Comando Cyber War delle Guardie Rivoluzionarie iraniane ha ammesso di aver accusato un duro colpo nei confronti del sistema di Cyber War. Per Israele, l’esponente militare era considerato uno dei massimi esperti di sistemi di difesa e hackeraggio nonché il responsabile di innumerevoli attacchi informatici ad aziende israeliane, europee e americane.

In Italia, con la legge 133/2012 e il DPCM 24 gennaio 2013, sono state sancite le direttive per la protezione cibernetica e la sicurezza nazionale italiana. Ciò ha rappresentato un primo importantissimo atto volto alla riorganizzazione e razionalizzazione dell’architettura istituzionale, integrando le strutture e le competenze disponibili. È stato quindi istituito il Nucleo per la sicurezza cibernetica presso l’ufficio del Consigliere Militare, composto da rappresentanti dell’Intelligence (DIS, AISE e AISI), dal Ministero dell’Interno, degli Affari Esteri, della Difesa, dello Sviluppo Economico, dell’Economia, della Protezione Civile e dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Compito della struttura è la prevenzione, l’allertamento e l’approntamento in caso di situazioni di crisi, nonché svolgere le opportune azioni di risposta e ripristino rispetto a queste situazioni, nel caso attivando anche il Tavolo Interministeriale di crisi cibernetica (NISP). 18

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sicurezza

Per inquadrare opportunamente e in un contesto ampio gli aspetti maggiori dei crimini informatici, occorre innanzitutto individuare gli attori partecipanti. Essi possono essere raggruppati in tre categorie: gli insider, gli hacker (o meglio cracker), e gli hacktivist. Alla prima categoria appartengono i dipendenti di una società i quali - agendo in solitario, mossi da sentimenti come il rancore o la vendetta - recano danni ai sistemi informatici aziendali,

sabotandone il funzionamento. Alla seconda categoria appartengono i pirati informatici per eccellenza: individui esperti nell’arte dell’intrusione di sistemi informatici, che agiscono per carpire informazioni protette e riservate, al fine di distruggere, ingannare e arricchirsi. Alla terza categoria appartengono invece soggetti dediti all’“attivismo”, nell’equivalente trasposizione informatica: le manifestazioni di piazza e i cortei li effettuano tramite “netstrike” - forme di protesta collettive attuate in internet, il comune

volantinaggio in invio massivo di email, i graffiti in operazioni di “defacciamento web” - ossia nell’alterazione di pagine internet. Queste categorie di soggetti possono intraprendere un’escalation di atti illeciti fino ad arrivare a diventare veri Cyber Warriors: partendo dal semplice cyber crime (furto di dati, di codici e perfino di identità), passando per atti di cyber terrorismo (comunicazioni segrete, di propaganda e proselitismo, finanziamenti illeciti), transitando poi a operazioni di cyber spionaggio e giungendo a compiere veri e propri atti di cyber war (per conto di stati sovrani), compromettendo i servizi e le infrastrutture critiche. Queste ultime rappresentano un target ideale per i cosiddetti “guerrieri cibernetici”, in quanto l’obiettivo indicato da uno Stato potrebbe consistere nell’interruzione o nel danneggiamento di una determinata infrastruttura, da cui dipende la normale vita civile. In conseguenza di ciò, si complicherebbe la mobilitazione militare, la cui funzionalità è vincolata alla medesima infrastruttura bersagliata, con la possibilità di mettere in ginocchio un intero Paese. A quest’ultima tipologia appartiene l’episodio del 1982, in cui un programma software sottratto a un’azienda canadese da spie sovietiche, causò l’esplosione di un condotto del gas in Siberia. Il codice,

opportunamente modificato da esperti agenti CIA, includeva una bomba logica, con cui alterare la velocità delle pompe e causarne l’esplosione. Più di recente, nell’aprile del 2007 l’Estonia è stata vittima di massicci attacchi informatici provenienti dalla Russia, con obiettivo primario ministeri, banche e media. Nel 2009 un network di persone denominato GhostNet, avvalendosi di computer situati principalmente in Cina, è stato in grado di intercettare documenti classificati, appartenenti a organizzazioni governative e private di ben 103 nazioni. Più recentemente, il 26 gennaio 2012, un gruppo di hacker ha attaccato ripetutamente i siti web della borsa di Tel Aviv, della compagnia aerea El Al e di tre banche israeliane. L’offensiva informatica è arrivata dopo l’annuncio dato da un giovane hacker saudita di 19 anni, identificato nel web dal nickname (pseudonimo) “OxOmar”. Nelle settimane precedenti all’offensiva, Hamas aveva invitato attivisti e simpatizzanti a intensificare gli attacchi contro i siti israeliani. “La penetrazione dei siti israeliani apre una nuova frontiera nella resistenza elettronica e nella guerra contro l’occupazione israeliana” aveva detto il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhuri. _________________________ *Presidenza del Consiglio dei Ministri Ufficio del Consigliere Militare del Presidente Segreteria per la Sicurezza Cibernetica

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sicurezza

Russia |

L’NSA spia, Mosca si difende di Federico Sesler

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iviamo in un’epoca in cui la segretezza informativa è diventata una peculiarità alquanto difficile da preservare e garantire. A conferma di ciò, valgano le recenti questioni sorte in merito alle modalità con cui l’NSA, l’Agenzia preposta alla Sicurezza Nazionale statunitense, ha condotto (e continua a condurre) alcune operazioni di raccolta delle informazioni in tutto il globo. Sappiamo per certo ormai che gli stessi apparecchi telefonici portatili, a meno che non siano stati adottati opportuni accorgimenti preventivi, sono in grado di fornire automaticamente innumerevoli dati riservati afferenti alla sfera della nostra privacy: come la posizione geografica, le nostre fotografie, le annotazioni e perfino la rubrica telefonica. A fronte di una così incauta esposizione, nel web ciascuno di noi può facilmente diventare il potenziale control-

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Com’è possibile difendersi dal Grande Fratello americano? Basta seguire l’esempio del servizio segreto russo e tornare all’uso di sistemi analogici lore e il possibile controllato: cacciatore e preda. Proprio il web, in definitiva, è lo strumento più utilizzato e al contempo più pericoloso per la condivisione e l’elaborazione di informazioni. In un simile contesto, la consapevolezza di tali vulnerabilità parrebbe aver indotto l’FSO Federal Guard Service, l’ente russo preposto alla salvaguardia del Presidente e dei Triumph propri fiduciaAdler Twen 180 ri - a risolvere il problema tornando a utilizzare una versione aggiornata delle obsolete macchine da scrivere. Il modello Triumph Adler Twen 180, in particolare, sarebbe quello da sempre preferito dall’intelligence russa che, a detta di Olympia, la casa produttrice

tedesca, ne avrebbe ordinati 20 esemplari. Al fine di proteggere la riservatezza dei documenti più rilevanti, oltre alla scrittura su carta, i servizi segreti russi avrebbero anche stabilito il rigoroso divieto di divulgazione o di archiviazione per via telematica. Questa tattica, stando a quanto dichiarato dalle autorità, è ampiamente diffusa e offrirebbe maggiori garanzie di riservatezza. Tra i requisiti tecnici richiesti, i tasti di queste particolari macchine da scrivere dovrebbero essere provvisti di caratteri alfabetici in cirillico e in inglese; inoltre, le scriventi dovrebbero essere provviste di apposite


Chi presiede la direzione dei servizi segreti russi?

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maniglie che ne facilitano il trasporto. Infine, le agenzie di Intelligence avrebbero fatto richiesta anche di circa 800 cartucce d’inchiostro, per tre differenti modelli di macchine da scrivere. Il tutto per una spesa decisamente contenuta, equivalente a poco meno di dodicimila euro. Niente male. Oltre agli accorgimenti appena esposti, è bene ricordare che sin dai primi anni Sessanta, i servizi d’intelligence russi continuano ad avvalersi anche di linee telefoniche protette, specificatamente realizzate per gestire in sicurezza tutte le comunicazioni tra i vari dipartimenti governativi.

gor Dmitrievich Sergun, in russo Игорь Дмитриевич Сергун, è nato il 28 marzo 1957. È Maggiore Generale appartenente alle forze armate della Federazione Russa, nelle quali si è arruolato nel 1973. Ha frequentato la Moscow Suvorov Military School, la Moscow Supreme Soviet Higher Military Command School, la Military Academy of the Soviet Army e la Military Academy of the General Staff. Transitato nell’intelligence militare dal 1984, ha prestato servizio nel Main Intelligence Directorate ricoprendo diversi ruoli. È in grado di parlare numerose lingue ed è stato insignito di molteplici medaglie al merito per aver operato: durante la Guerra Fredda; nella prima guerra cecena (1991-1996); nella guerra del Kosovo (1996-1999); e nella seconda guerra cecena (19992006). Dal 26 dicembre 2011 è a capo del Main Intelligence Directorate del GRU (Glavnoye Razvedyvatel’noye Upravleniye, la più importante e oscura agenzia d’intelligence della Federazione Russa, tanto da non avere un portavoce o un sito internet

di riferimento), appartenente allo Stato Maggiore delle forze armate russe. Precedentemente alla carica attuale, Igor Sergun ha operato in qualità di attaché militare in Albania (1998), partecipando ad alcune esercitazioni militari Russia-NATO, nell’ambito del programma PfP (Partnership for Peace) ed è stato altresì Vice Capo di Stato Maggiore del GRU prima dell’attuale carica. Secondo le autorità, il decreto di nomina sarebbe stato firmato dall’allora Capo di Stato, Dimitri Medvedev. Sergun ha sostituito Alexander Shlyakhturov che, secondo il Ministero della Difesa, sarebbe recesso dalla carica per il raggiungimento del limite di età (64 anni) imposto nel servizio militare.

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sicurezza

Cina |

Chi va alla “cyberguerra”

di Stefano Mele*

L

e cronache recenti - soprattutto dalla comparsa sulla scena di Edward Snowden in poi hanno ormai largamente evidenziato come lo spionaggio, a maggior ragione quello elettronico, rappresenti una minaccia di primaria importanza. La digitalizzazione delle informazioni, anche di quelle riservate, il loro conseguente accentramento e la scarsa percezione dei pericoli derivanti dall’utilizzo delle tecnologie

informatiche hanno fatto sì che lo spionaggio elettronico costituisca - da dieci anni a questa parte - una delle principali minacce alla sicurezza nazionale e alla competitività dei sistemi Paese. Dal punto di vista difensivo, pertanto, tutti i governi - ognuno al meglio delle risorse a propria disposizione - hanno predisposto nel tempo gli opportuni accorgimenti normativi, organizzativi, tecnici e di policy per far fronte a questo così incalzante. Dal 2007, tuttavia, un’ulteriore tendenza ha preso sempre più spazio e maggiore consistenza nell’agenda politico-organizzativa dei governi e delle forze armate, ovvero la possibilità di sfruttare

il cyber-spazio anche per vere e proprie operazioni militari. Il famigerato malware Stuxnet - capace nel 2010 di danneggiare fisicamente alcuni impianti di arricchimento dell’uranio iraniani sfruttando i sistemi informatici posti al loro governo - è certamente il “caso di scuola” più rilevante e maggiormente esplicativo. Ciò nonostante, dei 196 Stati generalmente riconosciuti sovrani a livello internazionale soltanto 28 hanno formalizzato e reso pubblico allo stato attuale un documento strategico nazionale in materia di cyber-security (le cosiddette cyber-strategy). Ben 10 di essi hanno apertamente già previsto e dichiarato tra i propri pilastri strategici la possibilità di sfruttare il cyber-spazio per operazioni militari, o meglio per atti di cyberwarfare. Tre in Europa, ovvero Francia, Germania e Paesi Bassi, e sette a livello internazionale, ovvero Stati Uniti, Russia,

Shanghai, un palazzo dell’Information Security Industry Base

Cyber intelligence cinese

A

d un’attenta analisi della struttura governativa e dei compiti della cyber-intelligence cinese, si possono rintracciare numerosi apparati deputati alle operazioni di intelligence. L’organizzazione risulta particolarmente decentralizzata e le operazioni di cyber-intelligence vengono normalmente svolte da gruppi misti composti da personale militare, civile e “semi-civile”, mentre i cosiddetti gruppi di “hacker patriottici” vengono spesso utilizzati come meri “proxy”.

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Un elemento particolarmente rilevante, inoltre, è rappresentato dalla scarsissima collaborazione tra le agenzie di intelligence cinesi, tanto da portare il Ministero della Sicurezza di Stato (Guojia Anquan Bu) a sviluppare proprie capacità di cyber-intelligence, concentrandosi però solo sulla sottrazione di specifiche tipologie di informazioni (soprattutto politiche, economiche, NGO e gruppi di opposizione all’estero). In linea generale, comunque, almeno per quanto è dato sapere da fonti pubbliche, le strutture maggiormente rilevanti in ambito civile sono il Ministero della Sicurezza di Stato - deputato, come si detto,


sicurezza

Corea del Sud, Giappone, Australia, Norvegia e Colombia. A questo elenco, devono essere aggiunte anche le posture strategiche di Cina e Israele, spiccatamente protese verso il compimento di attività “aggressive” attraverso il cyberspazio, ma i cui documenti strategici non sono tuttora pubblici. Non può e non deve stupire, allora, come la maggior parte dei suddetti Stati rappresentino anche i principali attori sullo scacchiere della Rete, sia ovviamente per operazioni di cyber-intelligence e spionaggio elettronico, che per atti di cyberwarfare. Infatti, oltre a quelli più ovvi, come Stati Uniti, Cina, Israele e Russia, che non fanno assolutamente mistero di queste capacità e che anzi hanno già dato vita a vere e proprie unità militari specifiche, non appare avventato affiancare anche Stati come la Francia, citata nel 2013 (insieme a Cina e Israele) all’interno del primo “Natio-

nal Intelligence Estimate on Cyber ziato nel loro testo “Unrestricted Espionage” del governo americaWarfare” come la dipendenza no, o come la Corea del Sud, imdalle tecnologie informatiche pegnata però esclusivamente nel della Difesa americana rappreproprio quadrante geopolitico alsentava - e rappresenta tutt’oggi l’interno dello storico conflitto - una debolezza da sfruttare per con la Corea del Nord. Così coottenere un vantaggio asimmeme, infine, sarà anche utitrico. Vantaggio oggigiorno le seguire gli sviluppi sensibilmente diminuito, ma del Giappone, tecomunque presente e anzi estenuto conto della so alla quasi totalità degli Stati prossimità geooccidentali. strategica di Quanto finora analizzato pone questo Stato alin gran rilievo il ruolo che il cyla Cina e del suo ber-spazio e le tecnologie hanno discendente ime continueranno sempre più ad pegno nel controavere in futuro, sia in un’ottica bilanciare la credifensiva che offensiva. Pianificascente forza militare di re precise strategie nazionali è Pechino. quindi il primo, imprescindibile, Le attività particolarmente “agpasso per garantire efficacemengressive” della Cina, tuttavia, pate la sicurezza dei cittadini e la iono allo stato attuale quelle destitutela degli interessi nazionali. nate a suscitare le maggiori pre_________________________ occupazioni e a farlo in un nu*Coordinatore Osservatorio “InfoWarfare mero sempre crescente di Stati, e Tecnologie emergenti” dell’Istituto Italiano di Studi Strategici “Niccolò Machiavelli” soprattutto in un’ottica di economic warfare. Del resto, già nel 1998 i Cola struttura di comando lonnelli Liang Qiao e Wang Xiangsui avevano evidenProtection of State Security Zhou Yongkang

Politbureau CCP

Dept. of international relations Wang Jiarui

General Secretary Hu Jintao

Central military commission President Hu Jintao

Leading group for state security Pr Hu Jintao WPr Wen Jiabao Zhiu Yongkang

State Council Prime minister Wen Jibao

Dept. of united front work Du Qinglin

tanto al controspionaggio e alla counterintelligence, quanto all’intelligence estera ed interna - e il Ministero di Pubblica Sicurezza (Gong An Bu), che si occupa di polizia nazionale e intelligence interna. Laddove, sul piano militare, occorre porre in evidenza per gli incarichi svolti il Secondo Dipartimento del PLA General Staff Department (2PLA), con compiti di intelligence estera, Imagery Intelligence (IMINT) e ricognizione tattica, ed il Terzo Dipartimento del PLA General Staff Department (3PLA), la cosiddetta “Online Blue Army”, a cui è demandata la Signals Intelligence (SIGINT) e la maggior parte delle operazioni di cyber-intelligence dal punto di vista tecnico.

Office of State Security Office research and studies Li Jun

Secretary for Security Zhou Yongkang Office of research State Council Wei Ligun

Central office for security and bodyguards Cao Qing

Ministry of State Security GUOANBU Geng Huichang

Ministry of Public Security GONGANBU Meng Jianzhu

Ministry of Commerce MOFCOM Shangwubu Chen Deming

General Staff of PLA Main department Gen. Chen Xiaogong

Department 2 (ER BU) HUMINT Gen. Li Xuewen

Department 3 (SAN BU) SIGINT Gen. Wu Guohua

Department 4 (SI BU) ELINT Gen. Dai Qingmin

Military security Gen. Zhang Hui

PLA Political department Gendir Li Jinai

Department 5 Foreign realtions (LIANLUOBU) Gen. Liang Hongchang

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a dire il vero... l’analisi di approfondimento

Baia dei Porci, il “disastro perfetto”

A

ll’alba del 17 aprile 1961, su una spiaggia cubana chiamata “la Baia dei Porci” prese avvio una delle più sconsiderate operazioni d’intelligence della storia del Novecento. In realtà, fu un’operazione militare e non d’intelligence. Ma, essendo stata organizzata dalla CIA, la dobbiamo (forse sbagliando) considerare tale. Dopo tre giorni, grazie a una catena di errori - che visti a posteriori rasentano la follia - si realizzò, infatti, il “disastro perfetto”, che ancora condiziona i difficilissimi rapporti tra la Cuba di Fidel Castro e gli Stati Uniti, e che fu basato prima di tutto su quella che dovrebbe essere la materia prima di qualsiasi operazione di intelligence: informazioni attendibili e analisi accurate. Dopo che l’1 gennaio 1959 la rivoluzione castrista ha vinto, costringendo alla fuga il dittatore Batista, la svolta a sinistra di Fidel Castro - con la nazionalizzazione delle terre e di tutte le attività produttive - convince l’amministrazione Eisenhower che Cuba è un avamposto sovietico a poche miglia marine dalle coste americane. Basandosi sulle informazioni fornite dalle migliaia di profughi cubani fuggiti in Florida una comunità che sin da subito sarà ampiamente infiltrata dal24

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Il Grigio

le spie dei servizi segreti cubani - il presidente Eisenhower, al termine del suo secondo mandato, nel novembre del 1959 decide di autorizzare la CIA a pianificare operazioni clandestine per abbattere il regime castrista. Inizia uno stillicidio quasi quotidiano con bombardamenti isolati da parte di aerei senza contrassegni, con il sabotaggio delle colture di tabacco e canne da zucchero (anche con lancio di agenti inquinanti), e con attentati contro caserme e sedi del partito castrista. Il 18 febbraio 1960 il primo episodio imbarazzante: un aereo senza contrassegni viene abbattuto dalla contraerea cubana. Il cadavere del pilota è quello di un cittadino americano, Robert Elliott Frost. Per nulla intimorito da questo setback, il 17 marzo 1960 Dwight D. Eisenhower sigla la sua autorizzazione a un piano predisposto dalla CIA dal titolo “Programma di azioni clandestine contro il regime di Castro”. Tra l’altro, il progetto prevede di “addestrare una forza paramilitare da inviare a Cuba per scatenare insieme alle forze anticastriste interne una rivolta armata contro il regime di Castro”. Con uno sforzo logistico senza precedenti (il cui mandato sarebbe dovuto essere in teoria quello di raccogliere informazioni segrete), viene messo in piedi un campo di addestramento in Guatemala, dove a ritmo serrato vengono preparati a combattere oltre 1.500 militanti anticastristi. La base segreta di addestramento in Guatemala si trasforma presto in un “segreto di pulcinella”, tanto che nel gennaio del 1961 un articolo del New York Times ne parla diffusamente. Inoltre, i continui spostamenti dei miliziani tra il Guatemala e Cuba tengono costantemente aggiornato il servizio segreto cubano sull’andamento dell’operazione. A novembre, John Fitzgerald Kennedy vince le elezioni presidenziali e, pochi giorni dopo, bussano alla sua porta Allen Dulles, direttore della CIA, e Richard Bissell, vicedirettore operativo


Un soldato cubano mostra un B26 americano abbattuto

dell’agenzia. Il giovane neo-presidente, affiancato dal fratello Bobby, ascolta i dettagli del piano autorizzato dal suo predecessore e, fidandosi dell’opinione di Bissell - il quale sostiene che quello di Castro è un regime precario e che basterà una spallata per farlo travolgere da una rivolta popolare - dà il suo ok all’avvio della preparazione per uno sbarco a Cuba di una piccola “armada”. Il piano prevede l’utilizzo di sedici vecchi bombardieri della seconda guerra mondiale B26 che, nelle intenzioni degli strateghi della CIA, avrebbero dovuto: distruggere le forze aree cubane, far sbarcare 1.400 uomini sulla spiaggia della Baia dei Porci e avere così la meglio su un esercito di 200mila soldati cubani, tutti veterani dell’esercito di guerriglia che solo un anno e mezzo prima avevano sbaragliato le forze di Batista. Mettendo da parte tutte le obiezioni dei suoi consiglieri politici, Kennedy avvia il “disastro perfetto”. All’alba del 17 aprile 1961, sei navi malandate sbarcano la Brigata 2056 sulle spiagge di Cuba. Prima sorpresa: quelli che agli occhi degli analisti della CIA erano apparsi come banchi di alghe, si rivelano una barriera corallina che ferma i mezzi da sbarco a 80 metri dalla battigia, costringendo i miliziani a trasportare sotto il fuoco nemico armi e rifornimenti verso la spiaggia. Seconda sorpresa: Castro, informato dettagliatamente di tutto il piano, ha schierato i carri armati sulle tre alzaie che da sole consentono l’uscita dalla spiaggia, e che gli permettono così di colpire i miliziani al momento dello sbarco. Terza sorpresa: oltre alle tre alzaie tenute dai castristi, non c’è modo di uscire dalla spiaggia poiché questa si affaccia su una palude invalicabile. Così, i cinque malandati bastimenti della forza d’invasione sono presi di mira dall’aviazione cubana, e due di essi, la Huston e la Rio Escondido, colano a picco. Vengono abbattuti anche nove B26. In un ultimo tentativo disperato di dare sostegno agli anticastristi, Kennedy autorizza uno stormo di aerei ad appoggiare e scortare i B26 durante un bombardamento. Ma la CIA non comunica all’aviazione americana che tra le coste del Nicaragua, base di partenza degli aerei, e Cuba c’è un’ora di differenza di fuso orario. I jet planano sul posto con un’ora di anticipo, non trovano nessuno e tornano indietro, mentre i B26, al loro arrivo, vengono bersagliati senza pietà dai cubani.

In questo “disastro perfetto”, si sono mescolate le informazioni sbagliate della CIA, l’inesperienza del giovane neo-presidente Kennedy e la sicurezza di Dulles e Bissell di essere in grado di forzare la mano di JFK e costringerlo a far intervenire le forze armate americane solo di fronte alla prospettiva di una pesante sconfitta. Coraggiosamente, Kennedy ha resistito, poi ha licenziato Dulles e Bissell, e accettato l’umiliazione - due anni dopo di scambiare i 1.200 prigionieri presi da Castro con una fornitura di centinaia di trattori. Ma il fiasco della CIA ha comunque fatto in modo che i rapporti tra Cuba e Stati Uniti restassero critici fino a oggi e la tragedia della Baia dei Porci non è servita alla CIA a trarre tesoro dalla lezione, visto quello che poi è successo in Vietnam, in Iraq, in Libia e, per fare un esempio ancor più recente, in Siria, dove un altro “disastro perfetto” targato Langley stava per mettere Al Qaeda sul trono di Damasco. Tutti i fallimenti più clamorosi del gigante dello spionaggio americano sono avvenuti sempre per gli stessi (apparentemente inemendabili) errori: troppo affidamento sulla tecnologia (le foto aeree non descrivono i sentimenti della popolazione); scarse informazioni sul campo; insufficiente analisi del contesto sociale in cui si va a operare; una filosofia operativa basata su un approccio quasi esclusivamente “muscolare” (a Cuba i B26, e oggi i droni in tutto il mondo). Insomma, un’intelligence più rude che intelligente.

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economia

Santa Sede Lo Stato della Città del Vaticano è sorto con il Trattato Lateranense, firmato l’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, che ne ha sancito la personalità di Ente sovrano di diritto pubblico internazionale, costituito per assicurare alla Santa Sede, nella Radiografia sua qualità di suprema istituzione

Brasile

di un Paese

Un mondiale “senza entusiasmo”

Argentina La fine del kirchnerismo

Bolivia La vendetta di Evo Morales

Regno Unito Fuori o dentro l’Europa?

Le “donne forti” di Brasile e Argentina, Dilma Rousseff e Cristina Kirchner

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economia

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Brasile-Argentina |

di B. Woods

Donne sull’orlo

e imponenti manifestazioni di piazza avvenute nella scorsa estate in Brasile hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone e decine di città (San Paolo, Rio de Janeiro, Salvador de Baia, Belem, Porto Alegre, etc.). La protesta, che

di una crisi

Ai Paesi più rappresentativi del Sudamerica, in perenne bilico tra progresso e sottosviluppo, non è bastato il “tocco femminile”. Così, Brasile e Argentina si ritrovano a dover reimpostare il futuro

ha avuto un’eco mondiale - essendo dilagata in concomitanza con gli incontri di calcio della Confederation Cup - è stata originata dalla violenta critica all’esplosione dei costi per l’organizzazione dei due eventi sportivi planetari: la Coppa del Mondo di Calcio (2014) e le Olimpiadi (2016), che porteranno di nuovo il Brasile sulla ribalta mondiale. L’accusa dei dimostranti al governo della presidente Dilma Rousseff è di aver sperperato una quantità impressionante di denaro pubblico, anche attraverso l’onnipresente ed enorme corruzione, nella costruzione di nuovi stadi e infrastrutture sportive, mentre i servizi pubblici del Paese (infrastrutture e mezzi di trasporto, istruzione e sanità) precipitavano in un preoccupante stato di degrado, anticipazione di un imminente collasso. È la fine di un sogno se una grandissima parte del Paese, che nell’immaginario collettivo è la terra del pallone, rifiuta persino l’organizzazione della Coppa del Mondo di Calcio? Cos’è accaduto a questa terra, che ancora qualche LOOKOUT n. 10 novembre 2013

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economia

Le economie dei BRICS

anno fa veniva indicata, insieme a un pugno di altri Paesi (Russia, India, Cina e Sud Africa BRICS), come uno dei campioni di un nuovo modello di sviluppo? Negli anni Settanta del secolo scorso, il Brasile era conosciuto tra gli addetti ai lavori come “BelIndia”, cioè l’insieme di un piccolo Paese simile al Belgio, fatto di ricchi a cui venivano forniti servizi efficienti, e un grandissimo Paese simile all’India, pieno di poveri che vivevano senza nulla. Oggi, il Brasile non è più “Bel-India”, ma comunque continua ad avere una concentrazione del reddito tra le più ineguali del mondo. Sao Paulo, lavori per l’Arena de Sao Paulo Stadium

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In Brasile, l’Indice di Gini (che misura la concentrazione del reddito in un Paese da 0, dove tutti hanno lo stesso reddito, a 100, dove qualcuno ha tutto), è di 51,9. Per intenderci, negli USA l’Indice di Gini è al 45%, mentre in Italia al 31,9%. Il Brasile ha sperimentato una forte crescita negli anni Sessanta, con un modello di sviluppo industriale guidato più dalla domanda interna che dalle esportazioni. Gli shock petroliferi degli anni Settanta hanno determinato una crescita dell’indebitamento estero e del debito pubblico, che sono poi culminati in una profonda crisi finanziaria ed economica caratterizzata da: alti tassi d’inflazione, stagnazione ed elevata disoccupazione (stagflazione). Negli anni Novanta, dopo i programmi di austerità imposti dal FMI, il Brasile ha intrapreso il Piano Real (nuova moneta al posto del cruzeiro) con il quale ha domato l’inflazione a due cifre e gettato le basi per il nuovo sviluppo. Il FMI ha individuato nella stabilità degli schemi macroeconomici (responsabilità fiscale, controllo dell’inflazione e tasso di cambio flessibile) i fattori che hanno favorito la robusta crescita economica. Con le presidenze Lula, la crescita del Brasile è divenuta dirompente, spinta dalla crescente domanda estera (in particolare dalla Cina) per i suoi beni e materie prime, che sono cresciuti in quota sul totale delle esportazioni dal 15% (2000) al 30% (2008). Dal 2002 al 2008 il PIL del Brasile è cresciuto in media del 4% annuo, con un’inflazione media del 7%, un rapporto debito pubblico/PIL intorno al 55%, esportazioni intorno al 15% del PIL e un tasso di disoccupazione intorno all’8%.


economia

Il dizionario Si è tenuta il 21 ottobre a Rio de Janeiro l’asta per l’assegnazione dei lotti per l’esplorazione del grande giacimento di petrolio off shore Libra. Ad aggiudicarsi la commessa, che avrà una durata di 35 anni, è stato l’unico consorzio ad aver presentato un’offerta guidato da Petrobras. Situato nel bacino di Santos, il giacimento possiede una riserva totale di 8-12 miliardi di barili di greggio e nell’arco di un decennio potrebbe arrivare a produrre 1,4 milioni di barili al giorno. L’asta ha provocato scioperi e manifestazioni di protesta in tutto il Paese. Questo imponente sviluppo economico si è tradotto: nella crescita di circa tre volte del reddito mensile (446 dollari), che ha accresciuto le dimensioni di una nuova classe media (bassa), che ormai comprende circa metà dei 200 milioni di brasiliani; ha portato alla riduzione al 10% della popolazione che vive sotto della soglia di povertà (2 dollari al giorno) e alla riduzione del tasso di mortalità infantile fino al 14,4 per mille. In generale, si è determinata una migliore qualità della vita grazie all’accesso a beni di consumo e servizi superiori (case in muratura, automobili, viaggi aerei, istruzione, sanità, etc.). Infine, la deforestazione dell’Amazzonia, in cui si stima viva metà della biodiversità del pianeta, è stata avviata su tassi decrescenti che hanno portato il disboscamento da 27.400 Km2 (2003) a 4.700 Km2 (2012), a conferma dell’impegno volontario del Brasile a ridurre il tasso di consumo di territorio pluviale all’80% di quello realizzato nel 1990. Tuttavia, la crisi del 2009 ha duramente colpito l’economia brasiliana

(-0,3% PIL) per la riduzione sia dei prezzi dei prodotti primari, sia della domanda globale. Dalla seconda metà del 2011, è in corso una lenta ripresa che ha prodotto una timida crescita del PIL (+0,9% nel 2012). I consumi sia privati che pubblici hanno continuato a crescere, ma si è registrata una flessione (-9%) degli investimenti lordi. In una condizione di operatività dell’industria vicina alla capacità potenziale e di un basso tasso di disoccupazione (5,6%), si sono verificate strozzature nei mercati dei beni, una ripresa delle tensioni inflazionistiche soprattutto per i beni di consumo (+6%) e nel prezzo delle abitazioni, cresciuto fino al 30% annuo nelle aree metropolitane di Rio de Janeiro e Sao Paulo. Inoltre, si è registrato un peggioramento del deficit della bilancia delle partite correnti (-54,2 miliardi di dollari nel 2012). Le previsioni per il 2013 indicano una crescita attesa del PIL intorno al 2%, mentre vengono confermate le tendenze descritte e un deficit commerciale di 80 miliardi di dollari.

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economia

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l primo problema brasiliano è l’eccessivo valore del Real rispetto alle altre valute (da 3,5 Real per un dollaro nel 2003 a 2 Real per un dollaro nel 2013) che, unito con un livello di tassazione al 36% del PIL (le tasse sui salari sono al 58%), rendono il prezzo dei beni e servizi almeno del 50% superiore a quello di altri Paesi. La produttività totale dei fattori di produzione, cioè al netto del lavoro e del capitale fisico, si è ridotta di oltre il 5% nell’ultimo decennio, mentre in altri Paesi come India e Cina è cresciuta sensibilmente. L’industria dell’auto, nonostante gli abbondanti sussidi, l’introduzione di dazi e il contingentamento delle importazioni, si trascina in uno stato di conclamata inefficienza produttiva. Lo stato delle infrastrutture è estremamente precario e di dimensioni inadeguate a favorire lo sviluppo economico e sociale del Paese. Il valore delle infrastrutture brasiliane è pari al 16% del PIL, contro il 58% dell’India, il 76% della Cina e ben l’87% del Sud Africa. Il Brasile ha 21 km di

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Quali le criticità nel modello di sviluppo brasiliano e cosa è lecito attendersi per il futuro prossimo? strade ogni mille abitanti, di cui solo 1 km in asfalto, 3 km di ferrovie ogni 1.000 km2 e 84 aeroporti ogni milione di km2 (fonte: McKinsey Global Institute, 2013). L’agricoltura, dopo la profonda trasformazione delle tecniche di coltivazione avviata dal 1973 dalla statale Embrapa (Empresa Brasileira de Pesquisa Agropecuária), ha registrato negli ultimi venti anni una crescita della produttività dei fattori del 4,6% annuo, una crescita del 38% dell’area coltivata e un

aumento del 300% dei raccolti. Infine, nel 2013 si è verificata l’ennesima riduzione della produzione di petrolio e gas naturale (2.47 milioni di barili di petrolio e di gas naturale equivalente al giorno nel mese di luglio) per il declino produttivo dei vecchi campi di estrazione. Da questo seppur sommario esame, emergono chiaramente le priorità su cui potrebbe concentrarsi l’azione della presidente Rousseff, realizzata attraverso una politica monetaria e fiscale espansiva: il basso indebitamento pubblico (65%) e un deficit a 3% consentono a un Paese con un PIL di circa 2.500 miliardi di dollari ampie possibilità di manovra per svalutare il Real, contenere l’inflazione, ridurre il tasso d’interesse e avviare così un imponente piano di investimenti pubblici, capace di richiamare gli investitori esteri per modernizzare il Paese e rilanciare l’economia e lo sviluppo sociale.


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economia

La sconfitta alle elezioni di medio termine del 27 ottobre, potrebbe sancire il tramonto del kirchnerismo. Il favorito per le presidenziali del 2015 è il “peronista dissidente” Sergio Massa di Rocco Bellantone

Nella foto, Malena e Sergio Massa festeggiano il risultato elettorale

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Argentina |

L’ossessione di Cristina

l 27 ottobre 2013 potrebbe essere ricordato dagli argentini come il giorno del tramonto del kirchnerismo. È in questa data che si è consumata, infatti, la sconfitta più cocente per il Frente para la Victoria della presidente Cristina Kirchner, schiantatosi alle elezioni di medio termine contro l’avanzata di Sergio Massa, il volto nuovo della scena politica nazionale. Dopo aver ben figurato alle primarie dell’11 agosto, il suo partito, la formazione di centrodestra Frente Renovador, si è confermato alle legislative per il rinnovo della metà dei seggi della camera dei deputati (127) e di un terzo di quelli del senato (24), imponendosi nell’influente

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provincia di Buenos Aires, dove risiede il 40% dell’elettorato nazionale. Qui Massa ha staccato di oltre dieci punti il candidato kirchnerista Martin Insaurralede (42% contro 30%), lanciando di fatto la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2015. Con questi numeri il Frente para la Victoria, pur rimanendo il primo partito del Paese e mantenendo la maggioranza in entrambe le camere del parlamento, adesso non può più


economia

contare sui seggi necessari per modificare la Costituzione e permettere alla Kirchner di correre per un terzo mandato. Il che significherebbe quasi certamente l’addio alla presidenza del Paese, considerato che tra i papabili successori della presidente non c’è un nome che goda della sua popolarità, né convince appieno la prospettiva di puntare su Daniel Sciolti, ex vice di Nestor Kirchner e attuale governatore della provincia di Buenos Aires. Ad approfittare della debacle del Frente para la Victoria, su cui ha pesato sensibilmente l’assenza della Kirchner in campagna elettorale (a causa di un delicato intervento chirurgico per il drenaggio di un ematoma), potrebbero essere anche altri outsider. Tra questi, ci sono il sindaco di Buenos Aires Mauricio Macri, leader di Propuesta Republicana, Julio Cobos, mister preferenze del distretto di Mendoza, Hermes Binner della ricca Santa Fe e il governatore di Cordoba José Manuel de la Sota. Sono tutti molto forti a livello locale, ma non hanno alle spalle strutture organizzative capaci di garantirgli voti su tutto il territorio nazionale. Aspetto su cui sta invece lavorando

In ogni caso, è lui il candidato faormai da diversi anni Sergio vorito. Ma alle elezioni mancano Massa. Avvocato di 41 anni, sinancora due anni, e le inaspettate daco di Tigre, appartiene alla vittorie del recente passato (Rigenerazione cresciuta dopo la cardo Alfonsin nel 1983, Carlos dittatura militare, motivo per Menem nel 1989 e Nestor Kircui si presenta come un politico chner nel 2003) dimostrano che lontano dalle vecchie categorie in Argentina i pronostici non argentine. Piace soprattutto alla sempre vengono rispettati. classe media per il suo pragmatismo e per le proposte avanzate per combattere la corruzione e per rianimare l’economia anche attraverso una parziale Senato (24 seggi rinnovati) apertura alla privatizzaSocial-democratici** zione di alcune compaDissidenti 19 Partito di governo Peronisti*** gnie controllate dallo e alleati* 7 40 Stato. Dopo essere stato capo di gabinetto della Centro-destra Kirchner tra il 2008 e il 3 2009, nel 2010 ha fondaTotale to il“gruppo degli 8”, Altri 3 72 seggi formato da attivisti antikirchneristi, da cui è naCamera dei Deputati (127 seggi rinnovati) to successivamente il Social-democratici Frente Renovador. Dissidenti 61 Partito di governo La stampa argentina lo Peronisti e alleati definisce un “peronista 31 132 dissidente”, altri invece Centro-destra lo hanno già ribattezzato 18 l’“ossessione dei kirchneristi”, perché con il suo Totale Altri 15 ingresso alla Casa Rosa257 seggi da l’establishment al go* Include il Fronte per la Vittoria e alleati. ** Include Unione dei Radicali, verno perderebbe il poSocialisti e alleati. ***Include Fronte per il Rinnovamento e alleati, tere e i privilegi acquisiti Unione per la Libertà e Lavoro, e Unione per Cordoba nell’ultimo decennio. Source: Ministero degli Interni - Argentina

Risultati elettorali

Il dizionario Alla stampa internazionale non serviva la recente battuta d’arresto elettorale del Frente para la Victoria (FPV) della presidente argentina Cristina Kirchner, per parlare di “fine di un’era”, quella del kirchnerismo, appunto. Sotto la “rosalita”, l’Argentina ha visto peggiorare crisi economica, criminalità e corruzione. Così, il kirchnerismo sarà ricordato come una fase politica altalenante d’ispirazione peronista, iniziata nel 2003 con la presidenza di Néstor Kirchner (foto), marito di Cristina, e terminata probabilmente nel 2015.

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economia

Brasile |

Che fine ha fatto l’alegria brasiliana?

di Hugo

A sei mesi dai Mondiali di Calcio del 2014, il Brasile è un Paese senza più fiducia in se stesso. Le colpe di questa crisi non sono però tutte di Dilma Rousseff

L

o abbiamo detto nelle pagine precedenti: non è un buon momento per il presidente brasiliano Dilma Rousseff. Il Paese che sulla carta sarebbe dovuto diventare la quinta potenza mondiale, oggi si ritrova ad affrontare una nuova crisi economica a pochi mesi dal triennio più atteso, quello in cui avrà gli occhi del mondo puntati addosso con i Mondiali di Calcio del 2014 e i Giochi Olimpici del 2016. Quando nel 2011 il Brasile è diventato la sesta potenza mondiale, con un PIL nazionale pari a 2.52 miliardi di dollari superando il Regno Unito, in molti ritenevano che la concomitanza dei Mondiali di Calcio e dei Giochi Olimpici gli avrebbe permesso di scalare un’altra posizione con una certa rapidità. E invece è successo l’esatto contrario. Nel 2012, l’economia è cresciuta solo dello 0,9%, facendo retrocedere il Paese al settimo posto (PIL a 2.42 miliardi di dollari), e nel primo trimestre del 2013 l’incremento è sceso ancora allo 0,6%, registrando un ribasso di 2,5 punti rispetto alle previsioni che davano una crescita del 3,5%. Il Real, la moneta nazionale, è stato deprezzato fino al 17% rispetto al dollaro.

Le cause di questa crisi hanno radici molto più profonde di quanto si possa credere. Già ai tempi del governo Lula (al potere dal 2003 al 2011), il sostanziale aumento della spesa pubblica aveva creato una prima voragine nelle casse dello Stato. Le uscite sono state destinate all’assistenza pubblica e all’aumento degli stipendi. Se invece si fosse investito in infrastrutture, si sarebbero generati lavoro e stabilità non solo per il presente ma anche per il futuro. Allo stato attuale il clima dell’indice di fiducia di consumatori e imprenditori è ripiombato ai livelli del 2008-2009, il biennio dell’apice della crisi economica mondiale, e tutto ciò sta accadendo nonostante il Brasile continui comunque a crescere. Secondo molti analisti politici brasiliani, questo diffuso sentimento di sfiducia, sfociato nelle violente proteste di questa estate, è legato direttamente al malcontento nei confronti della classe politica e dirigente del Paese. Recentemente la Rousseff ha provato a tranquillizzare i mercati assicurando che l’inflazione, il vero tallone d’Achille di un’economia emergente come quella del Brasile, “è sotto controllo”. L’agenzia Standard&Poor’s però sembra non fidarsi affatto,

prevedendo invece per il Paese tempi cupi. Al momento il Brasile mantiene il rating sovrano a lungo termine “BBB”, il che significa che possiede le capacità e le risorse per raggiungere quei compromessi finanziari necessari per risollevarsi. I prossimi mesi saranno dunque decisivi per capire quale sorte gli toccherà. Una cosa è certa: in tempi di recessione, per dare una “scossa” a questa situazione alla Rousseff non basterà l’apporto emozionale della nazionale carioca.

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economia

Bolivia | di Hugo

La (piccola) rivincita di Morales

Il presidente boliviano si vendica per il coinvolgimento nel caso Snowden ordinando l’espulsione dal Paese dell’agenzia USAID, che per decenni ha finanziato progetti di sviluppo in Bolivia

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lla fine Evo Morales è stato di parola. La notte tra il 2 e 3 luglio, all’aeroporto di Vienna dove era stato costretto ad atterrare perché sospettato di coprire la spia Edward Snowden, il presidente boliviano aveva attaccato duramente la Casa Bianca parlando di un “atto di prepotenza imperialista” che prima o poi sarebbe stato vendicato. All’inizio di ottobre Morales ha mantenuto la promessa, decretando ufficialmente la fine del rapporto decennale tra il governo boliviano e l’ente americano USAID (United States Agency for International Development), dal 1961 in prima linea in Bolivia in progetti per la costruzione di ponti, strade e scuole, per incentivare la produzione e l’esportazione di due dei prodotti principali del Paese, caffè e quinoa (cereale) e, più di recente, per migliorare i servizi sanitari e per la salvaguardia dell’ecosistema del lago Titicaca, al confine con il Perù. Le prime frizioni risalgono a qualche mese fa, quando il comune di La Paz, governato dal partito di opposizione Movimiento Sin Miedo (MSM), ha avviato l’espropriazione degli immobili dell’agenzia (che valgono due milioni di dollari), situati nel quartiere di Obrajes, in una zona residenziale del sud della città. La presa di posizione è stata appoggiata da Morales, che il primo maggio, per la festa dei lavoratori, ha annunciato l’espulsione di USAID dal territorio boliviano: “Gli Stati Uniti continuano a cospirare contro di noi - ha affermato -. È arrivata l’ora che se ne vadano. L’USAID non manipolerà mai più le nostre imprese”. Morales è convinto che degli 80 milioni di

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dollari di finanziamento stanziati in totale dagli Stati Uniti, circa il 70-80% sia andato a finire nelle casse di società nordamericane, arricchendo i contratti di consulenza di ex agenti americani della CIA e della DEA (Drug Enforcement Administration), infiltrati nelle società boliviane. Morales, d’altronde, non è nuovo a questi colpi ad effetto, in linea con il sentimento antiimperialista e di difesa della sovranità nazionale che contraddistingue la politica comunitaria dei Paesi dell’ALBA (Alleanza bolivariana per le Americhe). E in questa sfida ravvicinata tra le “due Americhe”, Morales non sta facendo altro che rispolverare il suo passato quando negli anni Ottanta, da leader del movimento Cocalero nella regione centrale di Chapare, si oppose al tentativo americano di fermare la coltivazione della pianta di coca da parte delle comunità indigene. Da quando poi è diventato presidente nel 2006, ha continuato su questa strada facendo quadrato con Venezuela, Cuba e Iran per un fronte comune contro gli States, e ora rincara la dose espellendo l’USAID. Il tutto ha contribuito a far crescere il consenso nei suoi confronti in questi anni. Resta da capire quanto la Bolivia potrà reggere questo isolamento.



economia

America Latina | Dalle ideologie al business: storia minima dei movimenti rivoluzionari dell’America Latina

C’era una volta la Revolución di Dario Scittarelli

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inquant’anni fa era la Guerra Fredda, i governi fantoccio e l’impero yankee. Allora l’America Latina era attraversata da una moltitudine di movimenti insurrezionalisti di matrice marxista che - nella loro lotta contro lo sfruttamento delle risorse agricole e minerarie da parte delle multinazionali tentavano di contrastare l’avanzata dell’imperialismo americano. C’era Che Guevara. C’era la guerriglia e c’erano masse di diseredati che chiedevano una più equa distribuzione della terra e della ricchezza. Oggi quelle masse (e le multinazionali) ci sono ancora. Ma, finita l’era delle guerre per procura tra USA e URSS, adesso si arrangiano come possono e coltivano coca. E così, quei movimenti rivoluzionari sono stati sostituiti dai cartelli della droga e da bande criminali, il cui obiettivo non è più quello di sovvertire l’ordine sociale, ma di fare guerra allo Stato per arricchirsi con il narcotraffico.

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Persino FARC, ELN e Sendero Luminoso - le sole tre formazioni degne di nota rimaste in vita dagli anni Sessanta e che ancora oggi portano avanti la lotta armata - ormai si finanziano con attività criminali come rapimenti e la produzione e il commercio di stupefacenti. L’unica eccezione sembra sia rappresentata, in Messico, dall’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN). Pur non potendo vantare mezzo secolo di storia alle sue spalle, il gruppo s’ispira a quegli stessi principi

di equità sociale che caratterizzano i vecchi movimenti insurrezionalisti dell’America Latina, riuscendo a non cadere nella trappola del narcotraffico. Gli zapatisti irrompono sulla scena politica messicana il 1° gennaio 1994 (lo stesso giorno in cui entra in vigore il NAFTA, North American Free Trade Agreement, tra Stati Uniti, Canada e Messico), conquistando alcune cittadine nel Chiapas. Dopo sette anni di scontri con le forze governative, nel 2011, il subcomandante Marcos,


economia

FARC & ELN Le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia e l’Ejército de Liberación Nacional sono entrambi operativi in Colombia dal 1964, nonostante la massiccia repressione delle forze armate abbia drasticamente ridotto le loro unità, che sono oggi stimate rispettivamente in circa 8.000 e 3.000 uomini. Le due formazioni sono considerate organizzazioni terroristiche da Stati Uniti e Unione Europea. Si calcola che siano oltre 200mila le vittime di cinquant’anni di guerriglia tra i due gruppi e le forze governative.

Sendero Luminoso

carismatico leader FARC, ELN e dell’EZLN, esce per la prima volta Sendero Luminoso dalla clandestinità ormai si finanziano per guidare i suoi con la produzione in una marcia pae il traffico di droga cifica di oltre tremila chilometri dal sud del Paese verso Città Da sinistra del Messico. Il risultato è l’ap- in senso orario: il subcomandante provazione della Ley Indigena Marcos (Messico); che, garantendo agli indios mag- guerriglieri giori autonomie e diritti, di fatto Tupac Amaru riconosce un ruolo politico agli (Yurimaguas, Perù); soccorritori zapatisti. Nel 2005 il movimen- salvadoregni to ha dichiarato l’abbandono sotto attacco della lotta armata. Che l’EZLN del FMLN riesca dunque a rappresentare (El Salvador) un buon esempio di coerenza nel suo tentativo di mutare lo status quo?

Fondato nel 1969 in Perù, il gruppo - di ispirazione maoista è annoverato tra le organizzazioni terroristiche da USA ed EU. Dopo avere intrapreso la lotta armata nel 1980, Sendero Luminoso estende il suo raggio d’azione dalle zone andine al resto del Paese: tristemente noto è l’attentato di Miraflores del 1992, che provocò 25 morti e oltre 200 feriti. Pochi mesi più tardi, con l’arresto del suo fondatore, Abimael Guzman, la formazione ha subito una pesante battuta d’arresto. La successiva cattura di un altro dei suoi leader, Florindo Flores, avvenuta nel 2012, ha ulteriormente ridimensionato il gruppo, che oggi annovera tra le sue fila soltanto 500 militanti (erano 10mila negli anni Novanta). Sono circa 70mila le vittime del conflitto che dal 1980 al 2000 ha contrapposto Sendero Luminoso alle forze armate peruviane.

Quando la rivoluzione ha “vinto” Qualche volta i movimenti rivoluzionari sono riusciti nel loro intento. Come in Nicaragua, dove il Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN) riuscì nel 1979 a rovesciare il regime di Somoza. In altri casi, come in Uruguay e in Salvador, i Tupamaros e il Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (FMLN) sono riusciti a trasformarsi in partiti politici, vincendo le elezioni presidenziali nei rispettivi Paesi nel 2009, con José Mujica e Mauricio Funes.

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do you spread? voci dal mercato globale

London calling B. Woods

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el recente documento della Camera dei Comuni (1 luglio 2013) dall’inequivocabile titolo Abbandonare l’Unione Europea, a uso dei deputati di Sua Maestà la Regina Elisabetta II, viene stimato l’impatto dell’uscita del Regno Unito (UK) dall’Unione Europea (UE). Lo spartiacque sull’argomento è rappresentato dal 23 gennaio 2013, quando in occasione di un discorso tenuto al quartier generale di Bloomberg a Londra - noto come il Bloomberg speech - il Primo Ministro David Cameron ha esplicitamente e ufficialmente considerato l’eventualità di un’uscita dall’Unione Europea e l’attrazione dell’andare da soli. Il processo, previsto dai Trattati, potrebbe essere consensuale o meno e le conseguenze economiche e politiche dell’abbandono della UE dipendono dai termini della separazione. È bene quindi partire dall’esame di ciò che allo stato il Regno Unito ricava dalla sua membership.

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Il valore dei benefici netti che il Regno Unito ricava dall’essere membro della UE è incerto, ma le stime più attendibili indicano un saldo positivo compreso tra il 2% e il 6% del PIL. La UE presa come insieme è il più importante partner commerciale dell’UK, assorbendo il 46% delle sue esportazioni (224 miliardi di sterline) e assicurando il 51% delle importazioni (265 miliardi di sterline). Il livello delle esportazioni nella UE, pur inferiore al picco del 2006 (54%), è comunque superiore a quello di prima dell’allargamento (1995) e il deficit commerciale UK è pari a 41 miliardi di sterline (2012). Tuttavia, negli anni recenti il deficit nei beni è stato sempre più bilanciato dalla crescita del surplus sui servizi, particolarmente quelli finanziari, che ha raggiunto i 13 miliardi di sterline. Come è ben visibile nella tabella il surplus è diventato positivo dopo l’allargamento del 1995 e molto positivo, dopo l’introduzione dell’euro. Il contributo netto UK alla UE è di circa 10 miliardi e questa spesa verrebbe meno. Nel caso di un’uscita senza accordo, il Regno Unito sperimenterebbe l’introduzione di dazi e barriere commerciali che penalizzerebbero in varia misura (dal 4,1% al 12,8%) proprio quei prodotti che costituiscono il core delle esportazioni inglesi, determinerebbero spostamento della produzione di autoveicoli nei territori di vendita della UE, provocherebbero la riallocazione dell’industria aeronautica, in particolare componentistica; infine i consumatori UK sperimenterebbero un generale aumento dei prezzi dei beni importati.


Il Regno Unito ha il secondo stock di investimenti esteri diretti del mondo, dopo gli Stati Uniti, per circa 770 miliardi di sterline (2011), di cui ben il 48% proviene da paesi della UE. È pensabile che una quota significativa d questo flusso di capitali venga meno per l’istituzione di vincoli alla circolazione di capitali, etc. Infine, c’è un aspetto che neanche il rapporto menziona e che invece riveste una rilevanza primaria. Oggi l’UK rappresenta la prima piazza d’affari mondiale per le negoziazioni in euro, pur non essendo il paese parte dell’Eurozona. L’uscita dalla UE determinerebbe l’immediato ridimensionamento della City come centro di accesso ai mercati europei e di negoziazione di titoli e derivati denominati in euro, a vantaggio di una borsa continentale come quella di Parigi. Da un paese come il Regno Unito che ha usato politiche monetarie espansive e svalutazioni della sterlina contro l’euro per contenere gli effetti della crisi, che ha sistematicamente sabotato i piani europei per una regolamentazione dei mercati finanziari (a cominciare dall’introduzione della Tobin Tax sulle transazioni finanziarie) che si è ferocemente opposto al fondo salva stati, che è contrario all’armonizzazione dei sistemi bancari forse non è lecito attendersi di meglio che una denuncia dei trattati comunitari. Forse è giunto il momento di cambiare strategia e di chiedere che i vantaggi, stimati in diversi punti di PIL, connessi alle negoziazioni in euro siano allocate alla Francia, Paese a cui ci unisce non solo la storia, ma soprattutto il sinistro futuro determinato dalla dottrina dell’Austerità Espansiva.

Nel caso di un’uscita senza accordo, Londra sperimenterebbe l’introduzione di dazi e barriere commerciali che penalizzerebbero in varia misura proprio quei prodotti che costituiscono il cuore delle esportazioni inglesi

UK Services trade balance with EU (changing composition) £bn real tems (2012 prices) 20 15 10 5 0 -5 -10 1973

1978

1983

1988

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1998

2003

2008

Source: ONS Balance of Payments statistics (Pink Book), Various edns; UK Economic Accounts Q4-2012

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outlook a cura di lorien consulting

Riscaldamento globale e cambiamenti climatici

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ra i problemi che preoccupano gli italiani, il tema dell’inquinamento e della tutela dell’ambiente occupa le prime posizioni, dopo il tema dell’occupazione (che preoccupa i cittadini in maniera pressoché unanime). Ad esso si aggiunge un 8% di italiani che sottolineano soprattutto il tema dei cambiamenti climatici, una questione che è senza dubbio molto sentita e legata a filo doppio con il tema del riscaldamento globale causato dalle attività inquinanti dell’uomo. Se da un lato la comunità scientifica è sempre più schierata

su questa posizione e si è spesa molto nella dimostrazione dei nessi causa-effetto che intercorrono tra aumento delle emissioni e cambiamenti del clima, dall’altro lato questa posizione viene ormai assunta dalla stragrande maggioranza della popolazione (89%) e solo il 7% si dichiara ancora scettico. Ancora più forte, soprattutto in questo momento di crisi economica, è il segnale che proviene sulle priorità di investimento: quasi l’83% ritiene prioritari gli investimenti per la lotta al riscaldamento globale (25,7% di “molto prioritario”), mentre addirittura il 77,5% è disposto a maggiori tagli da parte del governo

per poter destinare risorse al tema (il 22% è “molto d’accordo”). Tuttavia, quando si vanno ad affrontare le politiche da implementare per la necessaria riduzione concreta delle emissioni, la questione si fa più complessa: i settori ritenuti prioritari sui quali intervenire sono legati al trasporto motorizzato privato e al trasporto merci su gomma (rispettivamente 45% e 40%, che aumentano fino al 47% e 43% tra coloro che ritengono prioritario intervenire). Segue la riconversione della produzione di energia elettrica. È peculiare il fatto che i settori sui quali viene ritenuto meno prioritario intervenire, ovvero

In quali settori ritiene prioritario intervenire per contrastare i cambiamenti climatici?

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www.lorienconsulting.it

la riduzione del traffico aereo e le attività estrattive, rappresentino invece le cause della parte più grossa delle emissioni di gas serra. Quindi, se da un certo punto di vista il tema è particolarmente sentito e ritenuto anche prioritario da molti, da un altro punto di vista si osserva che il livello di conoscenza sul tema è piuttosto basso. Basti pensare che solo il 2% della popolazione sa defi-

nire in maniera anche solo generica cos’è l’impronta di carbonio ovvero la misura della quantità di CO2 emessa da un individuo (comprensiva dei suoi consumi), da un’organizzazione oppure da un prodotto (nella sua produzione e distribuzione). Ancor meno persone invece conoscono, anche solo per sentito dire, il sistema di scambio dei crediti di carbonio, che negli ultimi anni sta alimentando un

mercato internazionale estremamente dinamico. In sintesi, i cittadini italiani sono ormai estremamente consapevoli dell’importanza del problema e si dichiarano anche disposti ad affrontarne i costi economici (d’altro canto i costi futuri potrebbero essere ben peggiori), ma ancora rimangono perlopiù estranei al dibattito nazionale e internazionale sul tema, e al suo nuovo vocabolario.

Priorità d’intervento e disponibilità a sacrifici

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Istituto: Lorien Consulting s.r.l. - Criteri seguiti per la formazione del campione: campione rappresentativo per sesso ed età della popolazione italiana maggiorenne Metodo di raccolta delle informazioni: indagine telefonica (CATI, Computer Assisted Telephone Interview) - Numero delle persone interpellate ed universo di riferimento: 1.000 cittadini italiani maggiorenni - Data in cui è stato realizzato il sondaggio: 12 - 13 ottobre 2013 - Metodo di elaborazione: SPSS

Una parte della comunità scientifica sostiene che i cambiamenti climatici sono legati al riscaldamento globale causato dalle attività inquinanti dell’uomo. Quanto è d’accordo con questa posizione?


dura lex sotto la lente del diritto

Radon “senza legge” Draconian

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econdo una direttiva europea il Radon, gas radioattivo che s’infiltra nelle abitazioni attraverso le crepe e le fessure del sottosuolo, andrebbe monitorato. E invece ci son voluti circa tre lustri prima che la comunità scientifica e gli organismi di vigilanza acquisissero consapevolezza della necessità di affrontare il problema col massimo rigore. L’interesse crescente per la qualità dell’aria negli ambienti confinati ha quindi indotto il legislatore - con l’emanazione del D.Lgs. n. 241/2000 a recepire la Direttiva 96/29/Euratom del 13.05.96 in materia di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi da sorgenti naturali di radiazioni, perseguendo l’obiettivo finale di ridurne la portata entro un livello che può essere considerato “accettabile”. Il provvedimento, nel fissare in 500 Bequerel per metro cubo la soglia limite di esposizione al Radon, incentra l’attenzione sui luoghi di lavoro sotterranei - nei quali è obbligatorio

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effettuare la misurazione annua - e quelli localizzati in aree particolarmente esposte ad alte concentrazioni di Radon, ove la misurazione è resa obbligatoria indipendentemente dal fatto che essi siano interrati o meno. Il monitoraggio resta, dunque, la prima arma di prevenzione e protezione dei lavoratori - ed eventualmente del pubblico - dalle radiazioni ionizzanti. Gli esercenti delle aree esposte devono provvedere, a seconda dei casi, alla misurazione di Radon e/o a valutazioni di esposizione nei luoghi di lavoro, in cooperazione con gli Uffici Provinciali del Lavoro, le Aziende Sanitarie Locali, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’APAT e l’ISPESL, ed avvalendosi di organismi riconosciuti ai sensi dell’art. 107, comma 3, del D.Lgs. 230/95 o, nelle more dei riconoscimenti, di organismi idoneamente attrezzati. In caso di superamento dei livelli di azione, gli esercenti, oltre a darne comunicazione alla ASL competente per territorio, all’ARPA e alla DPL, devono adottare, avvalendosi dell’esperto qualificato, azioni di rimedio entro tempi definiti. I primi adempimenti riguardano pur sempre l’obbligo di effettuare la misurazione delle concentrazioni di Radon medie in un anno. Il problema è che per procedere correttamente occorre seguire determinate linee guida. A tal proposito, il D.Lgs. 241/2000 aveva previsto l’attivazione, nell’ambito della Commissione tecnica per la sicurezza nucleare e la protezione sanitaria all’epoca istituita presso l’ANPA, di un’apposita Sezione speciale per le esposizioni a sorgenti naturali di radiazioni, cui era stato assegnato il compito di elaborare linee-guida sulle metodologie e sulle tecniche più appropriate per le misurazioni del Radon e formulare criteri che orientassero le valutazioni delle relative esposizioni.


L’insediamento della Sezione speciale avrebbe dovuto avvenire entro sei mesi dalla pubblicazione del D. Lgs. 241/2000 (febbraio 2001) e le linee guida dovevano essere elaborate entro un anno (febbraio 2002). Tali parametri e criteri avrebbero dovuto guidare la mappatura, ossia la perimetrazione delle Radon-prone areas affidata alle regioni, e fornire significative indicazioni sulle conseguenti bonifiche. Invece, a distanza di dieci anni, questa sezione speciale, con i suoi super tecnici, non si è ancora insediata, né probabilmente vedrà mai la luce visto che la Commissione Nucleare (di cui era considerata una specie di sottocommissione) è stata soppressa. Con la conseguenza che l’assenza di linee guida lascia nell’incertezza gli esercenti delle attività interessate: senza mappatura, niente bonifiche. Prima o poi l’autorità giudiziaria sarà chiamata a pronunciarsi sull’efficacia scriminate della condotta doverosa omessa, al fine di accertare la responsabilità penale (e civile) per i danni derivanti dall’esposizione a sostanze radioattive. Dovrà ricostruire il nesso eziologico, vagliare l’attitudine della condotta prescritta ad evitare o ridurre il rischio dell’evento lesivo: allora non si potrà chiudere il pozzo quando è annegato l’agnello. D’altro canto le leggi regionali, nei casi di concentrazione alta e conclamata, consentono ai servizi di prevenzione e protezione dei Comuni di presentare progetti per intervenire, anche nelle more dell’approvazione del piano regionale di perimetrazione delle aree a rischio. Senza contare che sugli enti comunali gravano due obblighi: in quanto proprietari dei fabbricati utilizzati sia a fini amministrativi che scolastici, sono obbligati a osservare le prescrizioni della normativa a tutela del lavoratore; nella veste di autorità

sanitaria locale, poi, il Sindaco è obbligato a tutelare la salute della popolazione facendo ricorso, in prima battuta, al potere (dovere) di ordinanza. Resta una considerazione amara: sul fronte della qualità dell’aria indoor, camminiamo sopra un filo di seta. La mappatura del rischio Radon in Italia ha ancora molta strada da fare prima che si arrivi a una coerente e fedele rappresentazione della realtà ambientale. Con la speranza che l’impegno normativo - che l’Italia si è formalmente assunta dinanzi all’Europa - di arginare i pericoli della radioattività naturale, non si riveli, tanto per cambiare, un altro vaso delle Danaidi.

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Giappone The rising sun Vicini a confronto

Iraq Contractors fuori controllo La presenza di Al Qaeda

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N

Giappone |

Il nuovo

samurai di Cristiana Era

Se negli ultimi mesi l’espansione cinese in Asia non è stata inarrestabile il merito è della politica aggressiva di Shinzo Abe, che punta a pareggiare i conti non solo sul piano economico ma anche su quello militare

egli ultimi tempi l’Asia è stata protagonista di una serie di cambiamenti che andranno a incidere su più settori nevralgici: accordi regionali per la creazione di un’area di libero scambio, sviluppo degli standard di sicurezza, patti bilaterali per lo sfruttamento delle risorse naturali, nuove alleanze geostrategiche. Oltre a Cina, Russia e India, anche altri Paesi stanno ridefinendo le proprie strategie sia sul piano interno che su quello internazionale. In passato, a ricoprire il ruolo di potenza emergente è stato il Giappone, forte del sostegno politico e militare degli Stati Uniti che gli hanno consentito di diventare un’economia industrializzata avanzata. Poi sono arrivate la recessione e l’instabilità politica, fino alla ripresa impressa dal primo ministro Shinzo Abe, che dal momento del suo insediamento lo scorso dicembre ha dato inizio a una politica economica e diplomatica aggressive, non prive di una certa dose di nazionalismo. Il dinamismo di Abe ha attirato l’attenzione della comunità internazionale sugli sviluppi di “Abeconomics”, la politica di chiaro stampo keynesiano del premier, un po’ rischiosa e all’insegna dell’espansione monetaria, della spesa pubblica e delle agevolazioni fiscali. Ma la visione politica di Abe va anche oltre l’aspetto economico: c’è da ridefinire un ruolo di potenza che nell’ultimo decennio ha perso il suo appeal in uno scenario, quello asiatico, che sta cambiando rapidamente.

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Il punto su Apec e Asean

Il premier ha capito che mai come adesso è importante ripensare strategie e urante il meeting dell’APEC, ospitato a Bali a settembre, alleanze strettamente conil premier Abe ha indicato nelle “tre frecce” della sua ponesse alle politiche energetilitica economica (politica monetaria, politica fiscale e che nazionali, notoriamente strategia di crescita) il motore della ripresa giapponese. L’obiettiun tasto dolente per il Paese vo è innovare quei settori industriali strategici dove Tokyo può didel Sol Levante. ventare a breve termine il leader asiatico, promuovendo la coopeLa sicurezza energetica raprazione con i Paesi emergenti e fornendo loro il know how in setpresenta infatti una delle tori chiave come il welfare e il nucleare. Al summit ASEAN, svoltosi priorità del governo. A poco a ottobre nel Brunei, il primo ministro ha invece rimarcato la vopiù di due anni e mezzo dal lontà di svolgere “un ruolo attivo nel contribuire alla pace e alla maremoto che ha danneggiastabilità regionale”. Ma i veri “colpi” Abe li ha messi a segno a marto i reattori delle centrali di gine di questi stessi vertici, nel corso degli incontri privati con i Fukushima, il problema della rappresentanti di India, Thailandia e Filippine e durante le visite efperdita e dello sversamento fettuate nell’ultimo anno in Russia, Malesia, Singapore, Filippine, nell’Oceano Pacifico di mateMyanmar, Indonesia e Vietnam. Infine, Abe è volato sul Bosforo per riale radioattivo è ancora ben l’inaugurazione del tunnel turco e per la firma di nuovi accordi. lontano dall’essere risolto. Abe ha assicurato che entro un anno l’emergenza verrà definitivamente archiviata. di realizzazione dei droni, copie quasi perfette di Il tempo stringe in vista dei Giochi Olimpici del quelli americani, progettati dai cinesi grazie a una 2020, che il Giappone è riuscito ad aggiudicarsi e che sapiente operazione di cyber-spionaggio. Di contro, anche il governo nipponico ha ansi terranno a soli 200 chilometri da Fukushima. Tra gli obiettivi di Abe, vi sarebbe anche il ritor- nunciato di voler acquistare alcuni UAV dagli Stati Uniti, in modo da evitare sortite improvvise di no al nucleare a pieno regime poiché il Paese Beijing. Tokyo sta inoltre ipotizzando la deve fare fronte a un ingente consumo formazione di un corpo di marines, energetico e, al momento, non semfondamentale per una potenza che bra in grado di affidarsi a fonti altervuole assumere un ruolo più attivo native. Il piano B del primo miniper tutelare la propria sicurezza. stro consiste nel tentativo di entraA queste mosse, Abe ha affiancare nel “Grande Gioco” energetico to un’intensa attività diplomatica dell’Asia. Abe non ha mancato di per rafforzare una serie di rapporti recarsi a Mosca per allacciare rapbilaterali che possano permettergli porti di cooperazione economica di contenere l’espansione della Cina. con Putin, parlando della fornitura In tal senso, il premier ha puntato sodi gas e petrolio. Ricchi giacimenti soprattutto sulla voglia di rivalsa di Filippine no stati infatti scoperti anche nel Mar dele Vietnam e sulla valorizzazione dei legami interla Cina Orientale, al largo delle isole Senkaku/Diaoyu rivendicate da Pechino, su cui il regionali all’interno di APEC (Asia-Pacific EconoGiappone non ha assolutamente intenzione di mic Cooperation) e ASEAN (Association of Southemollare la presa. La questione resta calda, anche ast Asian Nations), ma anche nell’ambito del TPP se difficilmente gli Stati Uniti, da sempre garanti (Trans-Pacific Partnership), fortemente voluto dadella difesa del Giappone, saranno disposti a gli USA. È presto per dire se il rinato nazionalismo giapun’azione di forza nei confronti della Cina. L’America sa bene, però, che in gioco c’è la neces- ponese porterà a un bilanciamento degli equilisità di creare in Asia un contrappeso non solo eco- bri tra Cina e Giappone in Asia. Molto dipenderà nomico ma anche militare a Pechino. A preoccu- dalla ripresa economica innescata da “Abenomics”, pare il Pentagono sono la recente costruzione ammesso che si tratti di una crescita di lungo periodella prima portaerei cinese e l’avvio del programma do e non di un fenomeno di breve durata.

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gli scenari possibili eserciti a confronto

I vicini di casa nel Pacifico COREA DEL SUD

GIAPPONE

CINA

COREA DEL NORD

Il governo sta tentando di sostituire la flotta obsoleta con aerei da combattimento di alto livello per monitorare la Corea del Nord e mantenere un livello accettabile di confronto con i vicini Giappone e Cina, che stanno acquistando e sviluppando moderni caccia stealth.

Le Forze di Autodifesa del Giappone (SDF) sono le più moderne forze armate asiatiche in termini di equipaggiamento. Le priorità del Sol Levante comprendono il controllo e la protezione delle isole nel sud-ovest del Paese, mentre proseguono le dispute con la Cina.

L’Esercito di Liberazione Popolare ha deciso di modernizzare la propria flotta, includendo sottomarini e unità navali da scorta, aerei da combattimento più capaci e veicoli corazzati avanzati.

Pyongyang mantiene il quarto più grande esercito terrestre del mondo. Tuttavia, l’equipaggiamento è molto povero, e la formazione, il morale e la prontezza operativa dei soldati sono altamente discutibili.

PERSONALE MILITARE ATTIVO

ESERCITO Main battle tanks APC Artillery Air defence (SAM)

AERONAUTICA Combat aircraft

MARINA Surface combatants (total) Aircraft carriers Cruisers Destroyers Frigates Submarines (tactical) Patrol & coastal combatants Source: Military Balance 2013 K.Pong, G. Cabrera, 24/09/2013

655,000

247,450

2,285,000

1,190,000

522,000

151,350

1,600,000

1,020,000

2,414 2,790 11,038 1,286

777 817 1,776 700

7,430+ 2,900 12,367+ 302

3,500+ 2,500+ 21,000 3,400

65,000

47,100

330,000

110,000

569

552

1,903

603

68,000

45,500

255,000

60,000

48 2 6 12 23 114

47 2* 2 30 13 18 6

77 1 ** 14 62 61 211+

3 0 3 72 383

*Helicopter carriers ** In active service but not currently combat operational Research: David Cutler

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L’

Iraq |

dalla nostra corrispondente a Baghdad Laura Silvia Battaglia

Prigionieri dei

contractors Dall’invasione americana in poi, il vero business dell’Iraq non è più il petrolio ma la sicurezza

aeroporto di Bassora, nel sud dell’Iraq, ha soltanto un negozio duty free. Insieme ai magneti “I love Iraq” con lo sceicco stilizzato, il negozio offre un’ampia gamma di articoli d’abbigliamento per contractors, dalle giacche multitasche agli scarponi rinforzati. Gli avventori dell’aeroporto sono solo uomini. Attualmente, circa il 90% degli occidentali che si recano in Iraq per lavoro sono contractors. La presenza massiccia delle PMSC (Policy Management Systems Corporations) sul territorio, vale a dire le compagnie militari private di sicurezza, è uno dei prezzi che la popolazione irachena sta pagando per la ricostruzione del Paese. Un’operazione di state building mai registrata prima, in atto dal 2003 e che costa agli americani 65 miliardi di dollari l’anno. Già nel 2004, il Times di Londra scriveva: “In Iraq, il business del dopoguerra non è il petrolio. È la sicurezza”. Tra il 2004 e il 2006, infatti, il numero di contractors è aumentato di mese in mese, fino a raggiungere un numero pari a quello delle truppe USA dispiegate in Iraq nel 2010. Solo nel 2007, dei 180mila contractors che lavoravano in Iraq, 30mila erano guardie di sicurezza private. La metà di questi aveva lavorato per il governo americano, tra cui i mercenari di Black Water Worldwide, Triple Canopy e DynCorp, che avevano provveduto alla sicurezza del dipartimento di stato americano.

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Il dizionario “City of the Future” è il mega progetto residenziale per la capitale irachena, promosso e sponsorizzato dagli Emirati Arabi Uniti. Il complesso della nuova Baghdad si estende su una superficie di 58 milioni di metri quadri e arriverà a ospitare fino a 150.000 persone. Previsti 30.000 appartamenti, 5 centri commerciali, 18 scuole e 12 asili, edifici commerciali, un ospedale, una stazione di polizia, una moschea e un centro benessere. Costo totale: attorno ai 4,5 miliardi di dollari. L’opera mastodontica dovrebbe essere realizzata entro sette anni. La ong internazionale Novact lavora da anni su questo tema insieme all’italiana “Un ponte per”. Nel report 2012 The privatization of Warfare, violence and private and military security companies, elenca e rivela le violazioni di diritti umani da parte delle compagnie di sicurezza private in Iraq. Violazioni gravissime e quasi mai denunciate. “La strage del 16 settembre 2007 a Nisour Square, a Baghdad, in cui diciasette civili vennero uccisi e ventiquattro feriti durante una sparatoria dai mercenari della Blackwater - spiega Felipe Daza, attivista catalano della Novact - è soltanto la punta di un iceberg sommerso”. BlackWater, che è stata coinvolta tra il 2005 e il 2007 in almeno altri 195 incidenti per l’uso di “tattiche di combattimento aggressive” in varie città dell’Iraq, è solo la più famosa. Gli iracheni, con humor nero, la chiamano Dishwater (lavapiatti), in “omaggio” alla sua attività di “pulizia”. Ma le compagnie Titan/L-3 e Caci non sono da meno: hanno ottenuto

l’appalto dei servizi di sicurezza nel carcere di Abu Ghraib, a Baghdad, dove oltre 250 persone sono state torturate. La ragione del ricorso alle PMSC da parte del governo iracheno, di aziende private e ambasciate, è chiara: i mercenari sfuggono alla giustizia. Mentre i soldati occidentali coinvolti in crimini come esecuzioni sommarie, torture, sparatorie, vengono portati davanti a una corte - seppure poi vengano generalmente assolti - i mercenari no. Non vi sono modalità chiare affinché le vittime o le loro famiglie possano denunciare i crimini, fare appello al governo iracheno, ottenere indennizzi. Questo spiega il perché del loro impiego soprattutto per gli interrogatori dei prigionieri nelle carceri. Se trapelano notizie di torture, non sarà responsabilità politica del governo e gli agenti non verranno comunque consegnati alla corte militare. Se un contractor muore, non riceve gli onori militari e non compare nell’elenco dei soldati morti in guerra che tanto pesa sulle spalle dei politici in campagna elettorale. I mercenari sono flessibili: se ne servono cinquanta entro due giorni per un’operazione urgente, li si ordina e l’agenzia li spedisce sul campo, già formati ed equipaggiati. Nella peggiore tradizione delle privatizzazioni, come il report di Novact dimostra non solo per l’Iraq, gli Stati Uniti finiscono per prediligere questi soldati a “noleggio” ai soldati regolari. Recentemente, USA e Regno Unito hanno preso le distanze dal governo iracheno per l’uso massiccio delle PMSC (anche

Il tributo di sangue in Iraq dal 2003

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se Novact ha dimostrato che l’Inghilterra ne ha fatto uso per sgomberare le proteste dei Riots a Londra). La presenza dei contractors ha più volte creato problemi anche al personale diplomatico, quando se ne è servito per rinforzare la sicurezza fuori dalla Green Zone di Baghdad. Le PMSC sono efficaci ma hanno dei difetti: i contractors reperiti tra i poliziotti di Lima e i soldati ex-Gurkha (Nepal) non comprendono l’ambiente sociale in cui operano e non parlano nemmeno l’inglese. Questo è causa di abusi nei confronti dei locali. Patrick Cockburn dell’Independent testimonia quanto accaduto a un docente della al-Nahrain University, una situazione che tutti i “baghdadi” conoscono. Nel traffico, l’auto del professore Khalid al-Judi si è avvicinata eccessivamente al convoglio e un contractor ha sparato. Il professore è stato ferito all’addome, il suo autista è morto. Dalla parte degli imprenditori, però, l’uso delle compagnie di sicurezza private si rende necessario. Ammar M. Alkhafaji è il direttore dell’Al Mansour Mall, il primo grande centro commerciale di tutto l’Iraq del Sud. Il Mall si trova ad Al Mansour, il quartiere della media borghesia di Baghdad, lo stesso dove nel 2007 la Blackwater commise la più nota violazione dei diritti umani delle PMSC. “La fattibilità di impiantare una struttura come questa nella capitale, così a rischio di attacchi bomba, era bassa. Ma questa è la nostra sfida. Davanti al Mall ci sono un paio di check point e non abbiamo realizzato il parcheggio per minimizzare il pericolo”. Mister Alkhafajj per proteggere il suo centro commerciale non ha badato a spese: si è rivolto a delle società private. “Abbiamo guardie in borghese sparse per ogni piano dell’edificio e agenti di sicurezza a rinforzo

Al Qaeda in Iraq

delle entrate”. I costi si aggirano nell’ordine di centinaia di migliaia di dollari l’anno. Il caso del Mall di al-Mansour è l’aspetto positivo dell’uso delle compagnie di sicurezza private in Iraq, ma gli episodi raccolti da Novact parlano chiaro: l’impatto dei comportamenti delle PMSC sulla violazione dei diritti umani è altissimo. Come se non bastasse, è stata appena pubblicata la ricerca realizzata da quattro università americane e canadesi insieme al ministero della Salute iracheno, in cui si rende noto che le morti di civili iracheni per cause di guerra, dirette e indirette, sono 461mila. Nel 2013 non ancora concluso è stato raggiunto lo stesso tasso di mortalità per episodi di guerra rilevato nel 2008: 5mila persone.

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politicamente scorretto quello che gli altri non dicono

I nuovi orizzonti strategici degli USA di Tersite

Paul Wolfowitz

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o già scritto della scomodità per gli USA dei suoi più stretti alleati in Medio Oriente, accentuatasi dopo il forzato stop al pianificato intervento in Siria. Lo scollamento USA con gli interessi e le strategie di Israele e Arabia Saudita è dovuto alla intervenuta differenza di orizzonti strategici. Dato che quello dei due Paesi mediorientali è limitato alla regione, mentre quello degli USA è globale, finché le strategie USA in Medio Oriente sono corrisposte a quelle globali, l’omogeneità di intenti è stata il segno dell’alleanza. Benché all’inizio del 2012 l’amministrazione Obama avesse segnato una svolta, con la New Global Military Strategy, rispetto alla strategia precedente, questa riguardava sostanzialmente la progressiva riduzione di impegno nella NATO, cioè un maggiore sforzo degli alleati europei e la definizione del Pacifico quale area di maggiore proiezione. La prima per questioni di budget e impiego delle forze, la seconda per l’evidenza

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dello spostamento in Asia della crescita mondiale e, in questa, della Cina come competitor politicoeconomico. Rimanevano invece invariati interessi e linee guida per l’area del Medio Oriente e del Centro Asia, già definiti nel Greater Middle East Project dell’era Bush, a sua volta derivato dal Project for a New American Century, elaborato dal think thank neo-con sotto la guida di primari esponenti dell’amministrazione repubblicana: da Wolfowitz a Cheney a Condoleeza Rice. Il Greater Middle East Project, dietro dichiarati intenti di emancipazione democratica dei Paesi arabi - mettendo in uno stesso calderone grandi diversità di popoli e grandi diversità religiose -, non poteva che manifestarsi come un progetto di destabilizzazione. Quelle grandi diversità, e rivalità etnico-religiose, avrebbero portato a una balcanizzazione dei Paesi del Medio Oriente (vedi Iraq), con il fine di accorparlo agli interessi USA e, contestualmente, indebolire i competitor strategici Russia e Cina presenti nell’area. Una balcanizzazione congeniale sia a Israele per ridurre drasticamente le minacce ai propri confini e alla propria espansione in territori arabi -, sia all’Arabia Saudita - per eliminare gli alleati dell’Iran e poi attaccarlo, in quanto pericoloso e ostile competitor sia nella leadership religiosa, e politica, che in quella petrolifera. L’errore di valutazione americano sulla Russia, unito al difetto di parallasse che ingrandiva quale pericolo la sola Cina, ha portato alla modifica non delle necessità strategiche ma delle possibilità. La non letta volontà della Russia di uscire causa lo sconquasso post-sovietico - dalla propria ventennale acquiescenza nei confronti degli USA, per ricoprire un ruolo adeguato di tutela


dei propri interessi strategici - necessariamente ostacolati dall’America -, ha costretto questi ultimi a rivisitare la propria agenda. Anche perché la novità della presa di posizione della Russia, postasi a polo d’attrazione europeo, aveva dileguato gli alleati USA del Vecchio Continente, lasciandoli nella precaria condizione di non poter più agire per delega del “mondo libero” (una volta era la Cristianità). Quindi, necessariamente, tolto quel velo, come potenza imperiale che agisce non di diritto ma d’arbitrio. Bloccato il piano destabilizzante del Medio Oriente che contava sull’arrendevolezza russa, dovranno trarre il massimo vantaggio dalle mutate condizioni, lasciando proprio alla Russia l’onere (cui si è peraltro autoproposta per proteggere la Siria) di fornire garanzie - da attacchi a interessi USA - e di stabilità nella regione. Mentre nel frattempo potrà proseguire nelle attività destabilizzanti coperte e, soprattutto, dedicarsi all’enorme incombenza di fronteggiare la Cina nel Pacifico. La strategia USA, che sia coperta o manifesta, non è mutata da quella elaborata dal ministro della Difesa Wolfowitz a metà degli anni Novanta nel Defense Planning Guidance for the 1994–99, meglio conosciuto come Dottrina Wolfowitz. “Il nostro primo obiettivo è quello di prevenire il riemergere di un nuovo rivale, sia sul

territorio dell’ex Unione Sovietica o altrove, che rappresenti una minaccia di grandezza pari a quella posta prima dall’Unione Sovietica. Questa è una considerazione dominante alla base della nuova strategia di difesa regionale e richiede che ci sforziamo di evitare che qualsiasi potenza ostile possa dominare una regione le cui risorse potrebbero, sotto un controllo consolidato, essere sufficienti a generare una potenza globale. Gli Stati Uniti devono mostrare la leadership necessaria per stabilire e proteggere un nuovo ordine che mantenga la promessa di convincere i potenziali competitor che non hanno bisogno di aspirare a un ruolo più grande, o perseguire un atteggiamento più aggressivo per proteggere i loro legittimi interessi. Nelle aree non militari, dobbiamo tenere conto in misura sufficiente degli interessi delle nazioni industriali avanzate, per scoraggiarle dallo sfidare la nostra leadership o che cerchino di rovesciare l’ordine politico ed economico stabilito. Dobbiamo mantenere il meccanismo per dissuadere i potenziali concorrenti anche

dall’aspirare a un ruolo regionale o globale”. All’emergere di una nuova potenza - da Atene in poi nelle Guerre del Peloponneso - nella maggior parte dei casi si è arrivati alla guerra. Per l’espansione della nuova potenza, o per il contrasto a essa sul nascere delle precedenti. Wolfowotz dice infatti che negli interessi degli USA le nuove forze non devono mai assurgere a potenze - finanche aspirare, anzi - ma accettare gli USA come unica potenza. Prima il disegno prevedeva spese in costante espansione, dovendo preoccuparsi di tutelare gli interessi delle lobby delle armi, della ricostruzione e del petrolio, che avevano fabbricato a tavolino un’apposita presidenza. Con l’anelito di far coincidere nell’espansione militare la crescita dei propri profitti assieme a quella dell’American Century. Con lo scoppio nel 2008 del bluff finanziario, con i fondamentali dell’economia prossimi allo stremo, e il bilancio federale oltre la bancarotta, vanno necessariamente adeguati i modi e le aree privilegiate di affermazione della leadership USA.

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l’araba fenice donne, società e i tanti volti dell’islam

Islam e terrorismo: un’associazione che non (sempre) tiene Il caso delle "Vedove Nere" nel terrorismo ceceno di Marta Pranzetti

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rima l’attentato di Boston dello scorso aprile perpetrato dai due fratelli ceceni. Poi le minacce avanzate questa estate su internet da Doku Umarov, leader dell’“Emirato del Caucaso” - milizia islamica nata dopo le due guerre di Cecenia - che rivendica le terre sulle quali si disputeranno i Giochi olimpici di Sochi del prossimo febbraio. Infine l’attentato del 21 ottobre a Volgograd nel quale un’attentatrice daghestana si è fatta esplodere in un autobus causando diverse vittime. Così torna protagonista il terrorismo di matrice islamica della regione caucasica. E con esso riaffiora il dramma delle shahidki (plurale di shahidka, termine che lega il suffisso femminile russo alla parola araba shahid, “martire”) ovvero le donne cecene che hanno compiuto attacchi suicidi in nome del Jihad islamico e meglio note alla stampa come “vedove nere”.

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Dalle prime due giovanissime “vedove” - Khava Barayeva e Luiza Magomadova, che nel 2000 si fecero esplodere presso check-point russi - ad oggi, la lista si è estesa, includendo fino a oltre 45 donne kamikaze, tra cecene e daghestane, che hanno preso parte alla violenta lotta per l’indipendenza dalla Russia delle ex Repubbliche sovietiche. Rese note a tutto il mondo dopo il tragico sequestro del teatro Dubrovka di Mosca del 2002 e per la partecipazione alla strage di Beslan del 2004, le “vedove nere” sono tornate agli onori della cronaca nel marzo 2010, quando due di esse si sono fatte esplodere nella metropolitana di Mosca, uccidendo 40 passeggeri. Donne dalla personalità forte e controversa che la tragedia di aver perso mariti, figli e parenti nella prima guerra russo-cecena (1994-1996) ha spinto a reagire come lupi rabbiosi - le shahidki rappresentano uno dei pochi esempi di donne attive nel Jihad islamico, benché non siano le sole e nemmeno le prime. Il triste primato va, infatti, al Partito Nazionalista Socialista Siriano (SSNP), che nel 1985 impiegò la diciassettenne Sana’a Mehaydali contro un chek-point militare israeliano in Libano. Altri esempi riguardano la Palestina, l’Iraq e molto limitatamente l’Afghanistan. Ma, in tutti i casi, Al Qaeda è sempre stata restia ad ammettere le donne nel combattimento attivo. La tradizione islamica, infatti, consente loro


di partecipare al Jihad indirettamente: fornendo sostegno ai combattenti, istruendo i più giovani all’importanza del Jihad e ottenendo fondi di sostentamento per la Causa. Come si spiega allora l’utilizzo sistematico di terroriste da parte degli ambienti militanti ceceni? L’aspetto della traumatizzazione delle donne, che è sicuramente rilevante nel plasmare la psicologia di un’attentatrice, non è però sufficiente. Come non lo è

stenza al femminile: tatticamente, le donne possono raggiungere gli obiettivi destando meno sospetti, e strategicamente le operazioni di martirio al femminile riscuotono maggiore risonanza mediatica, raddoppiando così l’impatto psicologico sugli obiettivi indiretti degli attacchi. In numerosi casi - è importante sottolinearlo - molte delle kamikaze sono state fatte esplodere tramite controlli remoti innescati da chi le mandava al suicidio. Segno evidente che il mito delle “vedove nere” come nuova generazione di feroci musulmane, da solo non regge. Un importante hadith (racconto) incluso in una delle maggiori raccolte di detti e usanze del profeta, narra che Maometto, rispondendo ad Aisha

certamente l’appartenenza all’ideologia salafita. Infatti, non tutti i gruppi terroristici che hanno impiegato o impiegano la tattica dell’attacco suicida sono di matrice islamica (si pensi al PKK turco, al LTTE attivo nello Sri Lanka e agli stessi gruppi secolari attivi in Palestina, come le Brigate dei Martiri di al-Aqsa e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina). Molti esperti concordano nel ritenere che le ragioni tattiche e strategiche abbiano prevalso nell’organizzare questo tipo di resi-

sulla questione della partecipazione delle donne al Jihad, disse: “Il miglior Jihad per esse è il pellegrinaggio” [Sahih Bukhari, libro 52, hadith 43]. Questa, più che una giustificazione teologica dietro le violente azioni perpetrate dalle shahidki cecene, evidenzia il dramma psicologico individuale. In una società patriarcale come quella cecena, una donna che abbia perso marito e figli, e magari sia stata anche violentata (lo stupro durante le guerre russo-cecene fu sistematico, secondo quanto denunciano organizzazioni quali Human Rights Watch e Amnesty International) ha una vita distrutta e senza futuro. In questa cornice, andare a morire non è davvero una dimostrazione di devozione a Dio.

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un libro al mese a cura di @roccobellantone

Una verità delicata di John Le Carré Mondadori 2013 pp. 307 20,00 euro

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n tempi di cyber spionaggio, di intrighi e acrobazie diplomatiche, il consiglio per tenersi alla larga dalla disinformazione è di andare sul sicuro affidandosi a chi scene come quelle a cui stiamo assistendo non solo le romanza da anni ma le ha anche vissute in prima linea. Parliamo di John Le Carré, per anni al servizio del British Foreign Service, autore del bestseller La spia che venne dal freddo. A fine agosto è uscito per Mondadori il suo ultimo libro intitolato Una verità delicata. La storia rimanda a una complessa operazione antiterrorismo effettuata a Gibilterra dai servizi segreti britannici: nome in codice “Wildfire”. L’obiettivo è catturare e sequestrare un potente trafficante d’armi islamico, e per farlo il Regno Unito affida il compito a un ambizioso ministro degli Esteri del Regno e a un misterioso contractor. Tutto fila liscio fin quando il protagonista Toby Bell, segretario personale del ministro, avverte la puzza di complotto e prova a fermare il piano. Trasferito d’urgenza all’estero, si ritroverà a fare i conti con il caso tre anni più tardi e dovrà scegliere tra la ricerca della verità (con annessi scomodi retroscena) e il dovere di obbedire a Sua Maestà. Qualsiasi riferimento alle passate magagne di Tony Blair non è affatto casuale.

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LOOKOUT n. 10 novembre 2013

così dicono

La vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire george orWell (1903-1950)

S

e attribuissimo queste parole al giornalista, saggista, scrittore, favolista e attivista britannico Eric Arthur Blair, non si comprenderebbe appieno il ruolo che egli ha svolto nella letteratura moderna né sapremmo dell’influenza che i suoi scritti continuano ad avere. Se invece le attribuissimo all’inventore di un concetto come “Grande Fratello”, allora tutti capiremmo di chi stiamo parlando: George Orwell. Nato in India nel 1903 da famiglia borghese di origini scozzesi e padre anglo-indiano, Blair visse già dall’anno seguente in Inghilterra, con la madre e le sorelle. Qui, grazie agli sforzi del padre funzionario britannico e membro dell’Opium Department indiano poté studiare le arti dell’aristocrazia inglese e sperimentò la polizia imperiale indiana in Birmania. Conosciuto quel mondo e maturato un disprezzo per il codice di condotta morale dell’Inghilterra imperiale, Blair sviluppò presto una critica e un’avversione feroci a quel sistema, che lo porteranno negli anni Quaranta a maturare le sue più note opere: La fattoria degli Animali (1943) e 1984 (1948). Da qui, la decisione di scegliere uno pseudonimo, come per liberarsi di un peso. Oggi, lo chiameremmo nickname.



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