Lookout magazine n. 9 ottobre 2013

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l’altra copertina: iran, rouhani e la bomba

anno I - n. 9 ottobre 2013

Francesco dove vai? Dopo quasi cinquecento anni un gesuita diventa Papa. Farà la rivoluzione? SPECIALE PAPA BERGOGLIO


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sommario

geopolitica 8 Il mistero Bergoglio 14 In principio fu

speciale papa Francesco

la cultura 16 I nemici del Papa

8

18 Una felice osmosi 20 La banca di Dio 22 Il pontificato

della verità 25 Francesco

e l’Anima Latina

rubriche

sicurezza

28 l’araba Fenice Politica al femminile? Non c’è spazio in Libano

32 Tutte le fatiche

40 a dire il vero... Sicuri che Israele voglia la fine della guerra?

del presidente 36 Gli amici americani

54 do you spread? Che aspettiamo a tassare la finanza?

economia 42 Porte aperte al mercato 46 Minor East

50 Biocarburiamo?

48 Nord e Sud Corea,

52 Roma nun fa’

dove eravamo rimasti?

56 dura lex Crimini contro l’ambiente

la stupida! inoltre 6 mappamondo

46

58 un libro al mese 58 così dicono

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L’editoriale

Le due rivoluzioni

I

n questo numero troverete per la prima volta una doppia copertina: la prima dedicata a Papa Francesco e la seconda al presidente iraniano Hassan Rouhani. Cos’hanno in comune questi due personaggi? Sono ambedue capi di Stato e mentre il primo è la massima autorità della cristianità, il secondo è diretta espressione ed emanazione dei vertici del clero sciita. Ma, quel che è più importante, sono entrambi impegnati in missioni che non è azzardato definire rivoluzionarie. Papa Bergoglio non è l’attivatore della rivoluzione in Vaticano. Questa l’ha avviata Papa Benedetto XVI, quando con una mossa unica nella storia della Chiesa ha rinunciato al Soglio Pontificio offrendo le sue dimissioni “a far data dalle ore 20 del prossimo 28 febbraio”. Ratzinger, di fronte alla difficoltà o all’impossibilità di riformare una Chiesa attraversata da scandali e da tensioni interne, ha “rimesso il mandato” e subito dopo il collegio dei cardinali ha deciso di affidare le redini del regno a un gesuita. In questo numero ci chiediamo cosa vuol dire tutto questo e come il nuovo papato influirà sui destini della Chiesa di Roma. Ed eccoci alla seconda copertina. Quella dedicata ad Hassan Rouhani, un uomo pio, religioso e moderato che ha vinto le elezioni sconfiggendo l’ala più integralista e avventurista della Repubblica degli Ayatollah. Ahmadinejad stava per realizzare il sogno suicida di un “Iran contro il resto del mondo”. Rouhani ha ottenuto la maggioranza dei consensi con un programma inaspettatamente moderato e pragmatico. Per dare sostanza al suo programma, si è recato negli Stati Uniti e all’Assemblea dell’ONU e nel corso degli incontri con i massimi responsabili della politica estera americana, primo fra tutti John Kerry, ha affermato due cose sostanziali che in prospettiva potrebbero cambiare a breve e medio termine la storia del Medio Oriente. La prima è che l’Olocausto c’è stato ed è stato un evento mostruosamente criminale. La seconda è che sul nucleare iraniano si può discutere senza paura. La sintesi di tutto questo è che due religiosi stanno rivoluzionando il proprio mondo e forse il resto del mondo. Ci sembrava giusto parlarne.

mario mori


inbox il direttore editoriale risponde

Rouhani, l’Olocausto e il nucleare La condanna del Papa al traffico di armi Papa Francesco ha pienamente ragione. Per quanto riguarda l’uso delle armi chimiche in Siria, secondo me lo hanno fatto i ribelli sperando nell’intervento delle forze occidentali. Andrea Terranova Papa Francesco è un gesuita. Come può vedere nell’articolo che gli abbiamo dedicato, è anche un uomo concreto. Il suo intervento a gamba tesa sul tema della guerra in Siria dimostra che è un fine politico, pragmatico e astuto. Nel maelstrom siriano tutto è possibile: sulle armi chimiche gli ispettori dell’ONU ne hanno accertato l’uso ma non sono stati in grado di indicare i colpevoli. Stati Uniti e Russia, basandosi sulle rispettive fonti di intelligence, danno rispettivamente la colpa ai lealisti e ai ribelli. Difficile dire chi ha ragione. Un fatto è certo: l’uso aperto di armi chimiche da parte del regime avrebbe comportato il suicidio, non solo politico, degli Assad. Ma anche un altro fatto è certo. Fin dall’inizio delle primavere arabe la disinformazione ha giocato un ruolo importante nel suscitare emozioni in Occidente e conseguenti reazioni politiche e militari. Non dimentichiamo il ruolo che ebbe Al Jazeera nel far crescere, spesso diffondendo immagini fasulle, l’“indignazione” contro Gheddafi.

Al contrario di Ahmadinejad e dei suoi predecessori, finalmente un presidente iraniano ha condannato l’Olocausto. Le parole di Rouhani possono rappresentare un punto d’inizio per avviare nuove relazioni diplomatiche anche sul nucleare? Piero Ottavini Rouhani non soltanto è un moderato ma con il suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha fatto dei passi avanti significativi per uscire dalla situazione “Iran contro tutti”. È probabile che anche nel campo del nucleare il governo, pur non rinunciando ai progetti di utilizzazione di energia atomica in campo civile, metta da parte i programmi di sviluppo militare avviati da Ahmadinejad.

Gli altri combattono, Israele si allarga Se Israele è riuscito a espandere i propri confini in questi anni è perché possiede armi migliori e puntato su alleanze più solide. Gabriele Amalfitano Israele è un Paese di otto milioni di abitanti, circondato da centinaia di milioni di nemici. Se non avesse adeguato le sue capacità militari a questa minaccia, sarebbe già scomparso dalla carta geografica. Tuttavia non può continuare all’infinito a basare la sua difesa esclusivamente sulle sue forze armate e sui suoi alleati, anche perché questi ultimi, USA in testa, non sembrano più disposti a sostenerlo acriticamente. Per vivere come un Paese normale, Israele dovrà comunque trovare una soluzione politica ai suoi rapporti con i palestinesi e con il resto del mondo arabo.

Anno I - Numero 9 - ottobre 2013

DIRETTORE RESPONSABILE Luciano Tirinnanzi @luciotirinnanzi redazione@lookoutnews.it

EDITORE G-Risk - CEO Giuseppe De Donno Via Tagliamento, 25 00198 Roma Tel. +39 06 8549343 - Fax +39 06 85344635 segreteria_grisk@grisk.it - www.grisk.it

REDAZIONE Rocco Bellantone Dario Scittarelli Cristiana Era Marta Pranzetti

DIRETTORE SCIENTIFICO Mario Mori

ART DIRECTION Francesco Verduci

DIRETTORE EDITORIALE Alfredo Mantici direttore@lookoutnews.it

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mappamondo argentina il tight oil sfida lo shale gas C’è anche il giacimento argentino di Vaca Muerta tra le 23 riserve della tipologia di petrolio non convenzionale “tight oil” che presto potrebbero fare concorrenza ai giacimenti per l’estrazione di shale gas di Stati Uniti e Canada. Secondo il centro studi americano IHS, in totale questi siti sarebbero in grado di produrre 175 miliardi di barili di greggio annui rispetto ai 40 oggi estratti in Nordamerica.

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italia berlusconi provoca la crisi del governo Il 28 settembre Silvio Berlusconi ha ordinato ai suoi ministri di dimettersi, innescando di fatto la crisi del governo delle larghe intese, guidato dal premier Enrico Letta. La mossa dell’ex presidente del Consiglio non è stata accolta positivamente da molte delle figure chiave del centrodestra, che hanno annunciato l’intenzione di non prendere parte alla rinascita del partito Forza Italia.

Kenya al shabaab colpisce a nairobi Il 21 settembre un manipolo di miliziani jihadisti legati al gruppo qaedista somalo di Al Shabaab ha compiuto una strage all’interno del centro commerciale Westgate di Nairobi. Dopo giorni di assedio, le forze di sicurezza kenyote sono riuscite a riprendere il controllo della struttura. Il bilancio è di 67 morti, 39 dispersi e 9 sospettati arrestati.


germania angela merkel “pigliatutto” La Cancelliera è stata confermata per un terzo mandato. Alle politiche del 22 settembre la sua coalizione formata da CDUCSU ha conquistato il 41,5% delle preferenze, mentre il partito socialdemocratico (SPD) dello sfidante Peer Steinbrück ha ottenuto il 25,7%. Entrano nel Bundestag anche il partito dei Verdi e la sinistra della Linke. Fuori dal parlamento i liberali e gli anti-europeisti.

gibuti droni, un’altra grana per obama L’aeronautica americana dovrà trasferire molti dei suoi droni MQ-9 Reaper dalla base di Camp Lemmonier in un’altra pista d’atterraggio in fase di allestimento. La richiesta è arrivata direttamente dal governo di Gibuti, preoccupato che i continui decolli dei velivoli senza pilota possano interferire con il traffico civile dell’aeroporto internazionale della capitale.

australia il liberal abbott è il nuovo premier Il liberal Tony Abbott ha trionfato alle elezioni per il rinnovo del parlamento australiano battendo nettamente il premier uscente Kevin Rudd. I conservatori si sono aggiudicati 88 seggi contro i 57 ottenuti dai laburisti. Tra i punti chiave del suo programma il taglio di 4,5 miliardi di dollari agli aiuti esteri, la cancellazione dell’eco-tassa per i gruppi minerari e metodi più duri per fermare gli sbarchi dei migranti asiatici.

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geopolitica

Santa Sede Lo Stato della Città del Vaticano è sorto con il Trattato Lateranense, firmato l’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, che ne ha sancito la personalità di Ente sovrano di diritto pubblico internazionale, costituito per assicurare alla Santa Sede, nella sua qualità di suprema istituzione

Città del Vaticano Profilo del nuovo Pontefice

I Gesuiti nella Chiesa di Roma Le opinioni degli addetti ai lavori

Italia Parla l’ambasciatore presso la Santa Sede Il sentimento degli italiani per il Papa

Brasile Lo storico viaggio papale

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speciale papa Francesco

Vaticano |

Il mistero di Alfredo Mantici

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ronto? Signora Rosalba buongiorno, sono Papa Francesco”. La signora Tomassoni di Pesaro, mamma di un giovane imprenditore ucciso nel giugno scorso, stentava a credere che non si trattasse di uno scherzo. Al telefono c’era il Papa. Lo stesso Papa che ha telefonato a un ragazzo di Pinerolo affetto da distrofia muscolare, a una donna argentina vittima di uno stupro, alla commessa di una libreria di via della Conciliazione a Roma. Le telefonate del Papa sono diventate un caso giornalistico. Quello che ha fatto il Pontefice è, rispetto a tutti i suoi predecessori, qualcosa di eccezionale, ma diventa meno eccezionale se ci fermiamo a riflettere sul fatto che il Papa è un gesuita al 100%.

Bergoglio

Il gesuita argentino che parla al cuore delle persone e rompe i tabù millenari di Santa Romana Chiesa, con il suo originale papato dimostra di avere tutte le caratteristiche per rivoluzionare il mondo cattolico. Nel frattempo, è già entrato nella storia, fermando una guerra

Papa Francesco e i suoi “compagni” (così si autodefiniscono i gesuiti) da 473 anni rappresentano il nucleo più anticonformista e rivolto al sociale di tutta la Chiesa Cattolica Romana: un’avanguardia di cultura, di integrazione e di apertura al dialogo anche al di fuori dei confini della Chiesa, che non ha eguali rispetto a tutti gli altri ordini religiosi. Nel mezzo millennio della loro esistenza, i gesuiti sono stati guardati con sospetto, spesso tenuti ai margini del potere ecclesiale o, addirittura, perseguitati (come nel Sei-settecento LOOKOUT n. 9 ottobre 2013

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geopolitica

durante la guerra dei Guaranì che li vide reagire militarmente ai tentativi spagnoli di oppressione degli indios del Paraguay) o esiliati (nel 1773, su richiesta dei “cattolicissimi” re di Portogallo, Spagna, Francia e Napoli, la Compagnia venne sciolta dal Papa Clemente XIV e verrà riammessa nel corpo della Chiesa nel 1814). I gesuiti sono stati sempre una presenza scomoda nell’universo cattolico. Hanno investito nella cultura, nella scienza e nel sociale come elementi pratici di apostolato semplice e accessibile. Al secondo processo contro

Galileo Galilei nel 1621, si schierarono a difesa dello scienziato pisano, accusato di eresia per il suo saggio sul Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Il gesuita Melchior Inchofer, un grande matematico, tentò di salvarlo dagli strali del Santo Uffizio dichiarando che tutte le accuse contro di lui erano “inconsistenti”. Padre Matteo Ricci da Macerata, inviato alla fine del Cinquecento in Cina per compiere apostolato, trascorse vent’anni a studiare la lingua, percorse tutto il difficilissimo cursus studiorum che consentiva l’accesso al mandarinato e divenne consigliere dell’Imperatore. Oggi è sepolto a Pechino in uno dei

papa Francesco Il Cardinale Jorge Mario Bergoglio (76 anni) è stato eletto capo della Chiesa Cattolica Romana il 13 marzo 2013. È figlio di un ferroviere immigrato italiano. Ancora adolescente, perde un polmone a causa di problemi respiratori. Parla correntemente spagnolo, italiano e tedesco. 1936 Nasce il 17 dicembre a Buenos Aires, in Argentina 1969 Viene ordinato Gesuita 1973-79 Superiore provinciale dei gesuiti argentini 1992 Vescovo di Auca e ausiliare di Buenos Aires 1998 Nominato Arcivescovo di Buenos Aires 2001 Consacrato Cardinale da Papa Giovanni Paolo II 2005 È tra i papabili al Conclave che eleggerà Benedetto XVI 2013 Primo gesuita nella storia ad essere eletto pontefice

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speciale papa Francesco

recinti imperiali con il nome di Li Madou Xitai. Nonostante i loro successi in campo teologico, scientifico, filosofico ed educativo, per quasi cinquecento anni i gesuiti sono stati tenuti accuratamente lontani dalle leve del potere della Chiesa di Roma. Perché? Perché sono intellettualmente onesti e sufficientemente spregiudicati da mettere in crisi, se vogliono, qualunque centro di potere, laico o religioso, non con la violenza ma con l’esempio e con il ragionamento. Guardiamo come si è comportato Papa Francesco di fronte alla possibilità di un attacco armato americano e francese contro la Siria. Invece di fare appello al pacifismo di maniera che spesso caratterizza gli appelli “contro la violenza”, il Papa ha contribuito in modo fondamentale a fermare l’escalation militare con una semplice e dura accusa di carattere politico: “le guerre fanno comodo soltanto ai mercanti di cannoni”. Che sia un uomo fuori dal comune lo dimostra il fatto che al termine dell’angelus che chiudeva una veglia di digiuno per la pace, ha augurato “buon appetito” ai 250mila fedeli presenti in Piazza San Pietro. Insomma, chi è Bergoglio? Un eccentrico buontempone? Un uomo semplice che si diverte a fare impazzire la sua scorta? Niente di tutto questo. Papa Francesco è soltanto un lucidissimo “cervello gesuita”. Se visitiamo il bellissimo sito web della Compagnia (www.gesuiti.it), troviamo nelle numerose schede chiare e sintetiche

Il gesuita mandarino

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adre Matteo Ricci è il primo occidentale che riesce ad accedere ai circoli più esclusivi del decision making imperiale cinese. Nato a Macerata il 6 ottobre 1552, dopo gli studi compiuti nel Collegio Romano dei gesuiti, nel 1582 viene inviato a Macao, a quel tempo colonia portoghese, unica potenziale porta di accesso dei cattolici al continente asiatico. Per quasi vent’anni studia la lingua cinese, in attesa che le autorità imperiali gli diano il permesso di raggiungere Pechino. Le sue conoscenze scientifiche nel campo delle scienze matematiche e astronomiche, insieme alla sua incredibile capacità di dialogo e di integrazione con la società cinese, suscitano la curiosità delle personalità più influenti della casa imperiale.

Pubblica il primo dizionario portoghese-cinese. Un suo amico cinese ha scritto di lui: “Affabile e amichevole, è un uomo singolare perché vive nel celibato. Non briga per avere cariche... coltiva la virtù di nascosto”. Riesce a superare tutto il difficilissimo sistema di esami che consentivano l’accesso al rango di mandarino imperiale e, forte di questo incredibile successo, suscita l’interesse e l’attenzione dell’imperatore Wanli. È il 1601, e da quel momento Padre Matteo Ricci, che i cinesi chiamano ormai Li Madou Xilai, non soltanto diventa consulente dell’imperatore ma ottiene il permesso di fondare una chiesa sostenuta a spese dell’erario. Quando muore, nel 1610 la comunità cristiana in Cina conta 500 convertiti, tra i quali alcuni parenti dell’imperatore ed esponenti di primo piano dell’aristocrazia e delle classi più elevate del Regno di Mezzo. La salma di Matteo Ricci, sepolto per decreto imperiale con il rango di mandarino, si trova a Pechino nei pressi del Tempio delle Cinque Pagode. Secondo una classifica stilata dalla rivista americana Life, Matteo Ricci è una delle cento personalità mondiali più importanti del secondo millennio.

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geopolitica

Il dizionario Il Papa emerito Benedetto XVI, ritirandosi a vita privata - un fatto inedito che anticipava i futuri sconvolgimenti nella Chiesa - ha eletto quale residenza di clausura l’ex monastero Mater Ecclesiae. A soli duecento passi di distanza si erge Santa Marta, il palazzo apostolico dove - altro fatto inedito - ha scelto di vivere invece Papa Francesco. Una scelta motivata con semplici parole: “Io ho necessità di vivere fra la gente”.

tutti i fondamenti teoretici che sono alla base del comportamento quotidiano del Papa gesuita. Il Papa rifiuta di andare a vivere nei lussuosi appartamenti pontifici? Ecco cosa dicono i gesuiti: “Noi ci immergiamo nel cuore del mondo, le nostre case sono spesso situate nel cuore delle città piuttosto che in campagna o in luoghi isolati, sono residenze piuttosto che conventi o monasteri. Anche il nostro modo di vestire è inusuale... a seconda delle circostanze valutiamo come è più appropriato presentarsi alla gente. La nostra missione nasce dall’ascolto

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attento e discreto del contesto in cui viviamo”. Il Papa saluta la piazza dicendo “buonasera”? Fa filtrare attraverso la voce di un suo collaboratore che il celibato dei preti non è un dogma? Ecco la teoria ufficiale della Compagnia: “La nostra concezione del mondo è decisamente ottimistica: tutto può essere trasformato in occasione favorevole per aprirsi alla grazia, anche le contraddizioni e gli errori… andare a fondo nelle questioni non significa trovare una risposta a tutto, significa dialogare pazientemente con le domande

che in ogni epoca abitano nel cuore dell’uomo…”. Sono strani i gesuiti. Nel 1660 un gesuita laureato in Fisica ha inventato la distillazione delle vinacce, quindi l’acquavite e i suoi derivati. Nel 1683 i gesuiti hanno piantato le prime vigne in California, producendo il pregiato Novitiate Jesuit Wine Black Muscat. Sul loro sito, lo sfondo della sezione storica è rappresentato da un affresco greco antico che raffigura atleti nudi in gara, mentre la sezione dedicata al fondatore della Compagnia, Sant’Ignazio, ha come sfondo l’immagine


speciale papa Francesco

dell’atleta nero Jessie Owens ai blocchetti di partenza della gara dei 100 metri piani alle Olimpiadi di Berlino. Sono strani i gesuiti. Se scorriamo gli indici della loro rivista mensile La Civilità Cattolica (edita nel 1850, la prima rivista pubblicata in Italia in assoluto) troviamo trattati, tutti nello stesso stile semplice, chiaro e sintetico, gli argomenti più strani e disparati: dall’arte contemporanea alle recensioni cinematografiche, dalla politica cinese alle ultime scoperte della fisica, dalla storia alla politica alla letteratura alla medicina. Una rivista “religiosa”, piena di argomenti laici, con una peculiarità: per una norma interna mai violata, sulla rivista possono scrivere soltanto padri gesuiti. È la dimostrazione di come per comprendere il mondo e tentare di migliorarlo, la Compagnia imponga ai suoi religiosi standard culturali, scientifici e accademici decisamente straordinari. È proprio alla “sua” rivista che il Papa ha concesso un’intervista, per alcuni versi straordinaria, nella quale non ha esitato ad affrontare temi spinosi come l’aborto e il divorzio in termini decisamente “rivoluzionari”. Un ordine che individua nella cultura uno strumento di apostolato non poteva

non dedicare le sue energie all’istruzione non soltanto primaria e secondaria, ma anche universitaria e accademica. Nelle università, nei licei e nelle scuole rette dai gesuiti, i padri sono coinvolti nell’insegnamento di tutte le materie, a tutti i livelli. Non si limitano all’insegnamento della religione o della teologia, ma operano a tutto campo. Tutti i comportamenti, le parole e le riflessioni scritte del nuovo Pontefice sono coerenti con le regole della Compagnia e con i suoi quasi cinquecento anni di storia. Bergoglio è un gesuita a tutto tondo, e se non interverranno imponderabili fattori esterni e paralizzanti reazioni conservatrici della Curia Romana, “rivoluzionerà” dalle fondamenta la Chiesa di Roma così come l’abbiamo finora conosciuta. Intanto, negli ultimi mesi le donazioni alla Caritas in America Latina sono cresciute del 30% e, secondo un sondaggio Demopolis commissionato da La Repubblica, Papa Francesco ha il sostegno del 97% dei cattolici (e fin qui niente di strano), ma anche del 67% di non cattolici e di non credenti. Dopo sei mesi di “lavoro”, non è poco.

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geopolitica

In principio fu la cultura di A. Mantici

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l fondatore della Compagnia di Gesù, Ignazio Lopez di Loyola, nasce nel 1491 nel Paese Basco da una famiglia aristocratica della regione. Dopo anni di studi privati, umanistici e scientifici, stabilì, come afferma egli stesso nella sua autobiografia, “che doveva dedicare tempo allo studio come mezzo che poteva aiutarlo a lavorare con le anime”. Ciò getta le fondamenta della regola che sarà alla base della sua Compagnia. Proprio questa impostazione lo mette del mirino dell’Inquisizione spagnola e dei domenicani e gli costa, nel 1527, un mese di prigione e una dura ammonizione da parte degli inquisitori. Raggruppa intorno a sé compagni che vogliono una chiesa aperta al mondo e a una predicazione di mediazione e di comprensione degli altri. Nel 1540 Paolo III con la Bolla Regimini Militantis Ecclesiae offre

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alla Compagnia il riconoscimento ufficiale della Chiesa di Roma. I gesuiti si mostrano fin dall’inizio refrattari al mainstream del pensiero cattolico ortodosso. Nel 1551 partecipano al Concilio di Trento, che deve contrastare l’eresia di Martin Lutero, ma evitano di partecipare ai chiassosi comizi contro l’eretico tedesco, in quanto Ignazio li ha mandati a svolgere opera di mediazione e non solo di rottura. Sbarcati in Sud America, nel 1554 costruiscono un borgo da cui nascerà la più grande città dell’America Latina, San Paolo del Brasile. Il loro modo di condurre l’apostolato, far crescere la cultura dei popoli latini senza violare le loro tradizioni, li porta in urto con i circoli oscurantisti cattolici che dominano le corti di Spagna e del Portogallo. Chi ha visto il film Mission ricorderà la loro attività in Paraguay

alla fine del Seicento a difesa degli indios Guaranì, una difesa che li portò a costituire un esercito di 12.500 armati. Vennero sconfitti ed espulsi dal subcontinente, ma oggi Uruguay e Paraguay, dove operarono, sono gli unici Paesi del Sud America nei quali lo spagnolo e il portoghese non hanno fatto sparire dalla vita quotidiana la lingua e la cultura di un tempo. Nello stesso tempo, la Compagnia avvia una disputa teologica con i giansenisti, secondo i quali l’uomo è inevitabilmente destinato a fare il male a causa del peccato originale. Anche la buona volontà e le buone opere secondo i giansenisti, molto ascoltati nelle corti cattoliche di tutta Europa, non sarebbero altro che il frutto del male che l’uomo porta in sé. I gesuiti si oppongono a questa teologia del pessimismo sostenendo che l’uomo ha tutte le possibilità di fare il bene, è libero


speciale papa Francesco

La storia dei Gesuiti: un esempio del connubio tra principi della fede, apertura al sociale e il rispetto e lo studio delle scienze umane di scegliere e che con la cultura e la comprensione del mondo si può contribuire al miglioramento dei destini dell’umanità. I gesuiti avevano già difeso ostinatamente Galileo Galilei nel suo processo al Santo Uffizio. Lo scontro teologico col Giansenismo porta all’espulsione dei gesuiti da Portogallo, Spagna, Francia, Regno di Napoli e da tutte le colonie del Sud e Centro America. Su pressione dei Borboni, Clemente XIV con la Bolla Per la pace della Chiesa, il 21 luglio del 1773 decreta la soppressione della Compagnia di Gesù. Per cinquant’anni i gesuiti sono esuli in patria e molti di loro si rifugiano nel Regno di Russia e in quello di Prussia, che si rifiutano di accettarne l’ostracismo. Passeranno cinquant’anni fino a quando Papa Pio VII, nell’agosto del 1814, dispone la ricostituzione della Compagnia e ridà legittimità di azione ai 600 gesuiti che, nonostante l’epurazione, sono

rimasti fedeli alla regola di Ignazio. Nel 1850 viene fondata la prima rivista italiana, nella nostra lingua e non in latino per favorirne una più ampia divulgazione, La Civiltà Cattolica, un mensile che ha il compito di entrare nel dibattito culturale contemporaneo dialogando ad alto livello con le componenti amiche ed anche con quelle nemiche, come i massoni e i liberali. Per comprenderne lo spirito, basta andare sul sito gesuiti.it, che al quesito “scienza o fede?” risponde: “Scienza e fede sono espressioni dell’umano nella sua forma più alta. La scienza non è solo la raccolta di dati sperimentali… è narrazione di tentativi riusciti o falliti che stimolano la mente a interpretare i fenomeni. La fede non è una raccolta di dogmi tramandati in modo asettico da una generazione all’altra,

è piuttosto narrazione continua dell’umanità… Entrambe raccontano il mistero dell’uomo”. Oggi la Compagnia di Gesù è una vera e propria superpotenza mondiale della cultura e della scienza. Nel mondo i gesuiti hanno costruito una rete di 274 centri di insegnamento (scuole primarie e secondarie, istituti tecnici, università, scuole di teologia) che diffondo cultura a livelli di eccellenza. L’università gesuita di Georgetown, a Washington, fondata nel 1789, è una delle più antiche e prestigiose degli Stati Uniti. I gesuiti sono una presenza scomoda e allo stesso tempo stimolante nella storia della Chiesa e questo contribuisce a spiegare perché mai fino all’ultimo conclave i cardinali hanno affidato le chiavi del regno a un membro della Compagnia.

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geopolitica

Non tutti dentro e fuori il Vaticano stanno reagendo positivamente allo stile innovatore di Bergoglio. Ignazio Ingrao, vaticanista di Panorama e autore del libro “Il Concilio segreto”, indica gli ostacoli al processo in atto di riforma della Chiesa di Roma di Rocco Bellantone

I nemici del Papa

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emplice, diretto, moderno, innovatore, ma soprattutto determinato nel portare a compimento la missione di cambiare in meglio la Chiesa di Roma. In questi primi mesi di pontificato Papa Francesco sta facendo parlare per sé i fatti, dimostrando anche attraverso scelte “scomode” che il Vaticano può diventare davvero la casa di tutti. A sei mesi dal suo insediamento, Papa Francesco si sta rivelando un rivoluzionario o un ristrutturatore della Chiesa di Roma? Certamente è un Papa scelto per portare avanti una riforma profonda della Chiesa, partendo anzitutto dalla riorganizzazione della Curia e da una maggiore collegialità e partecipazione nelle decisioni che contano. Questa riforma, d’altronde, si è resa necessaria per dare risposte a una serie di questioni diventate sempre più importanti negli ultimi anni: il ruolo dei

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sacerdoti, la famiglia e il divorzio, la donna e le suore, i gay. Senza dimenticare il riordinamento delle finanze vaticane e la ripresa di autorevolezza e incisività della Chiesa Cattolica in seno alla comunità internazionale. Negli ultimi anni l’immagine della diplomazia della Santa Sede nel mondo si era un po’ appannata. A Bergoglio è stato chiesto di ridarle lo smalto di un tempo, e lui lo sta facendo: è successo con la sua visita a Rio de Janeiro e durante la veglia per la pace in Siria. Tra le sue tappe future nel 2014 e nel 2015 potrebbero esserci Gerusalemme, il Medio Oriente, l’Asia e gli Stati Uniti.


speciale papa Francesco

Quali sono le reazioni oltre le mura vaticane? Un Papa che si propone con una leadership così forte a livello internazionale, chiaramente può diventare un problema. Immaginiamo che Bergoglio, una volta risolti i problemi interni della Chiesa, nel 2015 si presenti alla comunità internazionale per chiedere ad esempio la riduzione del debito dei Paesi poveri o in via di sviluppo. Oppure pensiamo al modo in cui è intervenuto di sua iniziativa sulla questione siriana, entrando nel merito dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. Azioni come queste possono sconvolgere gli equilibri internazionali, e quindi procurare a Bergoglio dei nemici.

Chi proverà a ostacolare il nuovo corso della Chiesa di Roma? Io penso che stia già accadendo. Papa Francesco ha introdotto un linguaggio e uno stile completamente nuovi all’interno del Vaticano, comportamenti propri di un sacerdote che ha vissuto la fede sul territorio, alla periferia del mondo. Il suo è un modo di vivere e di comunicare molto più schietto, che rispetto al passato fa a meno di filtri e mediazioni. I cardinali che lo hanno scelto, lo sosterranno perché vogliono una riforma forte della Chiesa. Ci sono però anche molte altre parti della Curia che invece resisteranno, perché hanno timore di questo cambiamento.

Perché si è dovuti arrivare a uno dei momenti più bui della storia della Chiesa per affidarsi a un gesuita? Le riserve sulla possibilità di avere un giorno un Papa gesuita o americano sono state progressivamente superate dopo la nomina di Wojtyla e Ratzinger, due pontefici non italiani. I gesuiti per tradizione sono sempre stati considerati un “altro potere”, e quindi da molti sono stati visti con preoccupazione. Adesso, però, era arrivato il momento di un cambio di passo per la Chiesa, e i cardinali con coraggio hanno deciso di scegliere una figura che fosse fuori dai giochi di potere, una figura totalmente autonoma alla quale non fosse possibile legare le mani. La nomina di Bergoglio dimostra che nell’ultimo conclave non ha vinto la politica. Negli ultimi anni del pontificato di Wojtyla, come durante tutto il mandato di Ratzinger, la

Curia è stata attraversata da filiere di potere che hanno fatto valere i loro interessi, “lobby” come le ha definite Bergoglio che spesso hanno condizionato e frenato l’azione del Papa. Per Bergoglio non sarà facile far voltare pagina alla Chiesa. Però ha il sostegno dei fedeli, e il fatto che sia un gesuita gli sarà d’aiuto perché gli darà quella conoscenza, quella prudenza e quella capacità di sapersi muovere che si riveleranno fondamentali per andare fino in fondo. Cosa non è stato ancora detto di Papa Francesco? Una riflessione importante riguarderà certamente il passato di Bergoglio. La sua storia personale ha attraversato dei momenti delicati, come gli anni della dittatura in Argentina, ma anche il rapporto contrastato che egli ebbe con Pedro Arrupe, quando questi era alla guida della Compagnia del Gesù. In tal senso, la storia di Bergoglio può essere utile ai gesuiti e alla Chiesa di Roma per fare chiarezza sulla posizione avuta dal Vaticano nel periodo delle grandi dittature militari nell’America Latina, ma anche sui rapporti intrattenuti all’epoca con gli Stati Uniti. Già nel suo viaggio a Rio de Janeiro, Bergoglio si è dimostrato capace di compiere un primo passo verso la verità. La copertina de “Il concilio segreto” (Piemme)

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geopolitica

Italia-Santa Sede |

Una felice osmosi Il rapporto tra Stato e Chiesa e la figura di Bergoglio. L’opinione dell’ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Francesco Maria Greco de Il Grigio

Come cambiano i rapporti tra la Santa Sede e l’Italia dall’insediamento di Papa Bergoglio? Un corretto inquadramento dei rapporti tra Italia e Santa Sede non può prescindere dalla singolarità che - per evidenti ragioni storiche e geografiche contraddistingue le relazioni bilaterali. I due Stati vivono oggi più che mai una felice osmosi, sempre nel rispetto della rispettiva autonomia e indipendenza. Esiste peraltro una linea di continuità nei rapporti tra l’Italia e la Santa Sede, al di là dei cambiamenti di vertice e delle diverse stagioni politiche vissute dai due Stati. La perdurante contiguità territoriale e culturale tra le due sponde del Tevere ha indotto a tratti qualche osservatore a guardare criticamente all’attenzione con cui Santa Sede e Chiesa cattolica italiana hanno spesso seguito il dibattito politico italiano su alcune particolari tematiche. Già durante l’ultima fase del pontificato di Benedetto XVI, tuttavia, si è assistito, da parte del mondo 18

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ecclesiastico, a una progressiva presa di distanza da tale atteggiamento. Del resto, nel corso delle recenti consultazioni politiche cui è stato chiamato il nostro Paese, le gerarchie della Chiesa si sono dimostrate chiaramente non più in grado di influenzare gli orientamenti elettorali dei cittadini italiani, anche di quelli facenti capo a schieramenti politici di più aperta ispirazione cattolica. Tale considerazione, peraltro, vale anche a rovescio: ormai, di fatto, le istituzioni italiane non sono più - e già da qualche tempo - in grado di condizionare le decisioni maturate Oltretevere. L’elezione di Papa Francesco è avvenuta quindi nel solco di un’evoluzione già avviata nelle relazioni bilaterali tra Italia e Santa Sede: tutto lascia intravedere che questa linea non verrà, in tal senso, messa in discussione. Semmai sarà rafforzata.

Questo Papa è più un innovatore o un rivoluzionario? I settori più conservatori della Chiesa gli opporranno resistenza? In qualsiasi Stato o sistema sociale è fisiologico che, a fronte di una spinta verso il cambiamento, alcuni settori o movimenti possano opporre qualche iniziale resistenza e dare segno di non gradire sino in fondo la nuova direzione impressa dai vertici all’azione di governo. Ritengo tuttavia poco verosimile che tali manifestazioni di parziale dissenso possano spingersi fino a una vera e propria contrapposizione frontale nei confronti del nuovo Pontefice. Se non altro per ragioni teologiche e dogmatiche: l’autorità del Papa è e resta infallibile. E comunque, anche al di là di ogni considerazione di dottrina


speciale papa Francesco

dell’esigenza di rinnovamento manifestata dalle Congregazioni generali nel preconclave, che egli si è proposto di recepire. Il legame con gli apparati è quindi molto più forte di quanto forse non appaia e coloro che hanno eletto Papa Francesco rappresentano la maggioranza in seno alle strutture portanti delSanta Sede. Egli decide e agisce forte la Del resto, una delnon solo del sostegno le principali innovadella comunità dei credenti, zioni - e una delle ma anche dell’appoggio prime - varate dal Pontefice, ovdegli apparati ecclesiastici, nuovo vero l’istituzione di che in lui hanno riposto un organismo collemassima fiducia giale di vertice incaricato di consigliare e assistere il Papa nel - che, com’è noto, nel mondo governo della Chiesa universaecclesiastico è tutt’altro che le e nella riforma della Curia ininfluente - Papa Francesco ha romana, è proprio l’espressiodalla sua parte la base sociale, ne più fedele del legame di la comunità di fedeli che sinora Francesco con quegli apparati. ha appoggiato su tutta la linea Papa Francesco ha fatto sua le sue direttrici. l’esigenza di maggior collegialità nella governance, che era Non le sembra che il Papa sia emersa a chiare lettere a margiin sintonia più con la comunità ne del conclave. Egli decide e dei credenti che non con i suoi agisce, quindi, forte non solo del apparati? sostegno della comunità dei creNon mi trovo d’accordo con denti, ma anche dell’appoggio questa affermazione. Esiste sindella gran parte degli apparati tonia anche con una compoecclesiastici, che in lui hanno rinente maggioritaria degli appaposto massima fiducia. rati. Se così non fosse, l’ultimo conclave non avrebbe eletto al Francesco sarà in grado soglio pontificio proprio questo di riformare le “finanze Papa, che viceversa ne è l’espresvaticane”? sione. Il nuovo Pontefice, non a È certamente negli aucaso, ha ripetuto in più occasioni spici di tutti, non ultimo che molte delle riforme che egli della comunità dei creha inteso avviare sono il frutto denti, che il Santo Padre L’ambasciatore Francesco Maria Greco (63 anni)

riesca ad approntare un nuovo assetto e una nuova disciplina al settore delle attività finanziarie dello Stato Città del Vaticano. Per parte nostra, siamo fiduciosi e, senza entrare nel dettaglio dei singoli provvedimenti sinora approvati, i passi già avviati sembrano andare nella direzione giusta. Non vi è dubbio tuttavia che si tratti dell’aspetto più complesso dell’azione di riforma cui il nuovo Papa si è impegnato, sin dalle prime battute del suo pontificato, in linea di continuità con quanto già avviato in tal senso dal Papa emerito, Benedetto XVI. La delicatezza della questione non sfugge ove si considerino le implicazioni ad essa connesse anche al di fuori delle mura leonine, e la risonanza mediatica che ogni intervento in tali settori inevitabilmente produce. Si può affermare che la riforma delle istituzioni finanziarie vaticane rappresenti, se non la più importante, certamente la più difficile e impegnativa sfida per il nuovo Pontefice.

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geopolitica

Vaticano |

La banca di Dio di B. Woods

Lo IOR, la Banca Vaticana, è da troppi anni al centro di scandali legati a presunte azioni volte al riciclaggio di denaro ed evasione fiscale

L’

Istituto per le Opere di Religione (IOR) è stato fondato il 27 giugno 1942 per decreto di Pio XII e ha ereditato le attività della Commissione ad pias causas fondata da Leone XIII, nel 1887. Secondo lo Statuto originario “scopo dell’Istituto è di provvedere alla custodia e

Wojtyla, avvenuta dopo gli scandali della Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona, del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e la rimozione del potentissimo cardinale Paul Marcinkus dalla presidenza dell’Istituto, era intesa a riorientare le attività dello IOR. Ma, come le cronache recenti testimoniano,

“Le mie scelte, anche quelle legate alla normalità della vita, come l’usare una macchina modesta, sono legate a un discernimento spirituale che risponde a un’esigenza che nasce dalle cose, dalla gente, dalla lettura dei segni dei tempi”. papa Francesco a “la civiltà cattolica” all’amministrazione dei beni mobili ed immobili trasferiti o affidati all’Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione o di carità”. Nel 1990, Giovanni Paolo II apportò alcune modifiche allo Statuto rafforzando i poteri del Consiglio di Presidenza, nominato dalla Commissione Cardinalizia, in tema di vigilanza e supervisione delle attività dell’Istituto. La riforma di Papa

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LOOKOUT n. 9 ottobre 2013

l’operazione è sostanzialmente fallita. Infatti, lo IOR - con i suoi 6,3 miliardi di euro in gestione per circa 19 mila clienti (dati 2012) - ha continuato a rappresentare una sorta di shadow bank nel mezzo dell’Eurozona. Va ricordato a tale proposito che, ancora nel dicembre 2012, la Banca d’Italia proibiva allo IOR di “operare sul territorio della Repubblica italiana tramite succursali, ovvero in regime di

Il numero con l’intervista al Papa


speciale papa Francesco

prestazione di servizi senza stabilimento” e che, nel gennaio del 2013, sempre la Banca d’Italia negava alla Deutsche Bank Italia l’operatività dei POS (bancomat e carte di credito) nella Città del Vaticano in quanto “nella Città del Vaticano mancano sia una regolamentazione bancaria sia il riconoscimento europeo di equivalenza antiriciclaggio”. Le recenti indagini (vedasi l’arresto di monsignor Nunzio Carano ex contabile all’APSA, ovvero l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, oggi indagato per i reati di truffa e riciclaggio) e lo scandalo Vatileaks che hanno coinvolto di nuovo lo IOR, hanno infine indotto Papa Francesco dapprima a istituire una Pontificia Commissione Referente, sotto la direzione del cardinale Farina e con lo scopo di far chiarezza sulle attività dell’Istituto; poi a emanare motu proprio una disposizione che proibisce la

distruzione e alterazione di documenti riguardanti le attività dell’Istituto; quindi, nell’agosto scorso, a istituire il Comitato di Sicurezza Finanziaria “con il fine di coordinare le Autorità competenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano”, dopo aver rafforzato i poteri dell’AIF (Autorità di Informazione Finanziaria, nata nel 2011 e presieduta dal cardinale Attilio Nicora) in tema di vigilanza prudenziale e contrasto del riciclaggio (attuazione delle raccomandazioni di Moneyval) sui conti dello IOR. Come interpretare le iniziative sullo IOR di Papa Francesco? Bergoglio intende realizzare una grande riforma della banca vaticana che riconduca le sue iniziative all’interno di quella che sembra essere la cifra del suo pontificato: rendere trasparenti le istituzioni vaticane e soprattutto coerenti con la sua idea di Chiesa.

struttura di governo dello ior Comando della Chiesa

IL VATICANO Papa Francesco I

AUTORITÀ DI INFORMAZIONE FINANZIARIA (AIF) Controllore Finanziario René Brülhart (Direttore)

Entità connesse al Vaticano

Gestione laica della Banca

Cariche ordinarie

Licenziati

COMMISSIONE DEI CARDINALI

IL PRELATO

BOARD DI SOVRINTENDENZA

MANAGEMENT DELLA BANCA VATICANA

Composto da cinque cardinali nominati dal Papa

Trade union tra la Chiesa e la gestione della Banca

Composto da cinque membri che sovrintendono alle operazioni di Banca

Responsabile delle operazioni di Banca

Ernst von Freyberg** (Presidente IOR)

Paolo Cipriani (Direttore)

Jean-Louis Tauran

Carl A. Anderson

Odilo Pedro Scherer

Antonio Maria Marocco

Massimo Tulli (Vice direttore)

Domenico Calcagno

Ronaldo Hermann Schmitz

Telesphore Placidus Toppo

Manuel Soto Serrano

Tarcisio Bertone* (Presidente di Commissione)

Fonte: L’Istituto per le Opere di Religione (02/07/2013)

Mario Salvatore Ricca (Interim)

* Anche Segreterio di Stato della Santa Sede. ** Con l’uscita di Cipriani e Tulli, von Freyberg è direttore ad interim.

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geopolitica

I

n un primo momento Papa Francesco ha fatto conoscere la sua storia, la sua naturalezza, la sua immediatezza, la sua spontaneità, la sua informalità. Poi, però, è passato a una seconda fase, concretizzando la sua volontà di riformare realmente la Chiesa, andando a incidere soprattutto sulla ristrutturazione della Curia e inaugurando un nuovo corso per le relazioni diplomatiche internazionali del Vaticano”. Il giornalista e saggista Gianluigi Nuzzi, autore di due famosi libri-inchiesta che hanno scosso la Chiesa di Roma (Vaticano S.p.A. e Sua Santità, entrambi editi da Chiarelettere, ndr), inquadra così i primi sei mesi di pontificato di Papa Bergoglio. Quale messaggio ha voluto mandare il Papa con i cambi decisi ai vertici del Vaticano? Papa Francesco sta portando avanti quell’opera di trasparenza della Curia in cui Ratzinger non era riuscito a incidere. Papa Bergoglio scavalca la Curia, facendo entrare la Chiesa di tutti nei sacri palazzi. Il Papa non alloggia negli appartamenti pontifici, vive insieme agli altri preti, comunica direttamente con i fedeli, abbraccia tutti e con tutti intende condividere la sua missione. Cosa cambierà con la nomina a segretario di stato vaticano di monsignor Pietro Parolin? Nella mappatura vaticana oggi l’Italia assume un’importanza non più centrale. Il Vaticano ha un nuovo segretario di stato che non è un seminarista salesiano come Bertone, ma viene dal mondo diplomatico e, dunque, ha una visione più generale

Il pontificato della verità

Per Gianluigi Nuzzi, autore del libro scandalo “Sua Santità”, voltare pagina per la Chiesa di Roma significa destrutturare i poteri forti che per anni hanno dominato gli equilibri all’interno della Curia. della Chiesa, compresa quella relegata nella povertà, ai margini del mondo. Con questo cambio, la segreteria di stato del Vaticano sarà funzionale alle volontà del Papa, mentre prima era un potere dominante all’interno della Curia. Tra gli avvicendamenti più importanti vi sono stati quelli ai piani alti dello IOR e dell’APSA (l’ente che amministra il patrimonio della Santa Sede, ndr). Qual è l’obiettivo del Papa? Questi cambi ai vertici stanno portando a una destrutturazione di un potere che aveva nelle leve finanziarie ed economiche del Vaticano una delle sue espressioni più forti. Chi sino a ieri ha tenuto i cordoni della borsa, ha infatti potuto controllare a cascata tutti gli altri rami della Chiesa, dalle relazioni interne a quelle internazionali. Adesso stanno venendo fuori gli effetti di un’assenza di controllo perpetrata per troppo tempo, e che quindi potrebbe riservare altre spiacevoli sorprese. La volontà di Bergoglio è di eliminare qualsiasi dubbio sul passato del Vaticano, ma per

farlo è necessario rendere trasparente il suo presente e il suo futuro. Il Papa ha appoggi sufficienti per riuscire a portare a termine questa missione? Io credo di sì. Ha un grandissimo seguito, quindi può farcela. Il suo sarà il pontificato della verità? Ho molta fiducia sulla vicenda Orlandi. Forse con Papa Francesco potremo arrivare alla verità su quanto è accaduto.

Il libro scandalo del giornalista (Chiarelettere) 22

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di Rocco Bellantone


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Brasile | di Hugo

Francesco e l’Anima Latina

Nel suo viaggio in Brasile, Bergoglio non si è risparmiato, cercando un confronto diretto non solo con i fedeli ma anche con chi ha in mano le sorti del Sud America

O

sser vatori ed esperti vaticanisti di tutto il mondo hanno concordato sul grande successo ottenuto da Papa Francesco nel suo viaggio in Brasile, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Dopo cinque mesi dalla sua elezione al Soglio di Pietro, il pontefice argentino è già all’apice della sua popolarità, grazie alla spontaneità con cui si avvicina ai fedeli, alla semplicità, all’umiltà e all’austerità del suo modo di essere, ai messaggi lanciati a sostegno dei più deboli, ma anche per la sua determinazione nel voler fare pulizia all’interno della Chiesa di Roma. I giorni trascorsi in Brasile hanno permesso al Papa di incontrare i capi di Stato di Brasile, Argentina, Bolivia e Suriname. Il presidente boliviano Evo Morales, tradizionalmente critico nei confronti della Chiesa cattolica, è apparso visibilmente compiaciuto della visita del Papa. Ma la trasformazione più drastica è stata certamente quella della sua collega argentina, Cristina Kirchner. Tutti in Argentina non dimenticano i rapporti tesi che per anni hanno

separato la famiglia Kirchner da Bergoglio, definito in più occasioni il “leader spirituale dell’opposizione”, per la sua presunta connivenza con le passate dittature militari. Al momento del vis a vis con Papa Francesco, la Kirchner si è però riscoperta vicina al pontefice e al Vaticano, tradendo agli occhi di molti un tentativo disperato di recuperare consensi in vista delle prossime elezioni. Queste reazioni testimoniano il ruolo sempre più determinante che Papa Francesco si sta ritagliando nella scena politica internazionale. Il suo viaggio in Brasile è avvenuto in un momento in cui l’America Latina attraversa una complicata crisi di identità, orfana dopo la morte di Chavez e il passo indietro di Lula, di una voce unificatrice capace di dare forza e speranza soprattutto ai suoi milioni di poveri. È innegabile che Papa Francesco punterà a incidere sul futuro del Sud America, come dimostra la sua recente presa di posizione contro le politiche

economiche neoliberali promosse dal Fondo Monetario Internazionale, alla base dell’aumento della disuguaglianza sociale in Brasile ed Ecuador, e l’intervento a sostegno del dialogo nel Venezuela del dopo Chavez. Papa Francesco si è però spinto oltre, toccando volutamente alcune delle principali problematiche vissute dal popolo sudamericano. Si è espresso contro la liberalizzazione del consumo delle droghe, aprendo un dibattito che coinvolge direttamente la violenta lotta al narcotraffico, ma anche i consumi record di crack nel cattolicissimo Brasile e l’apertura del presidente uruguayo Josè Mujica alla legalizzazione della marijuana. Ma ha parlato anche dei gay, chiedendo che non vengano emarginati ma integrati nella società, e del rapporto tra le donne e il sacerdozio. Insomma, un Papa schietto, sincero e determinato: quello di cui ha realmente bisogno l’America Latina per sperare concretamente in un futuro migliore.

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outlooK a cura di lorien consulting

Il Papa che gli italiani sentono vicino

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ace, solidarietà, speranza. Sono queste le tre parole di Papa Francesco che sono maggiormente rimaste impresse nella mente degli italiani. Intersecata a questi concetti, viene innanzitutto alla mente degli italiani una speciale vicinanza alla gente comune, tanto agli ammalati (25%) quanto alla folla che lo circonda costantemente in un abbraccio, che lui è solito ricambiare (17%); viene poi alla

mente un modo di concepire la Chiesa simile al Santo da cui ha scelto di prendere il nome, una Chiesa più semplice e più povera (17%), una Chiesa chiamata a invocare a voce unanime la pace nel mondo(14%). Per questi e altri motivi, Papa Francesco raccoglie un globale consenso: il 99% della popolazione italiana adulta ne dà infatti un giudizio positivo; di questo, il 78% è “molto positivo”. Nel dettaglio, coloro che maggiormente ne danno un

Negli ultimi mesi Papa Francesco ha tenuto comportamenti inediti. Tra i fatti che si ricorda, quali l’hanno colpita maggiormente?

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giudizio “molto positivo” sono i cosiddetti cattolici praticanti assidui (il 9% della popolazione adulta), ovvero persone attive in parrocchia, che vanno a messa quasi tutti i giorni e seguono le indicazioni del Papa; seguono i cattolici praticanti canonici (coloro che frequentano la messa domenicale e sono attivi in parrocchia o nel volontariato), che corrispondono al 36% della popolazione adulta, ovvero 5 punti percentuali in più rispetto alle nostre rilevazioni svolte nel 2012; poi i cattolici non praticanti disinteressati (35%), ovvero credenti non praticanti senza posizioni nette nei confronti della Chiesa. Anche i cattolici non praticanti più critici si ritrovano volentieri nelle posizioni di Papa Francesco, tanto che il 75% di essi ne dà un giudizio “molto positivo”. Ed è forse anche grazie a lui che questo gruppo di cattolici non praticanti nel corso dell’ultimo anno si è quasi dimezzato, passando dal 15% all’8%. Persino quasi la metà di chi si professa ateo o credente in altre fedi, infine, ha comunque di Francesco un parere “molto positivo” (45%). L’opinione positiva nei confronti di Bergoglio in questa maniera così trasversale è dimostrata anche dal fatto che tutti gli attribuiscono spontaneamente parole con un’accezione di favore: Papa Francesco è “buono”, “umile”, “bravo”. È il “Papa di tutti”, è il Papa che più di altri non ha freni nel predicare la pace e nel condannare


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Qual è il suo giudizio complessivo su Papa Francesco?

Qualunque sia il Credo e la tipologia di fede degli italiani, rimane dunque forte la sensazione di un papa ecumenico e modernizzatore che, però, incontrerà e si scontrerà con alcune resistenze da parte della Chiesa (40%). Allo stesso tempo, però, riuscirà a riavvicinare nuovi fedeli e nuovi credenti

precedentemente allontanatisi dalla Chiesa (sempre per il 40% dei rispondenti), oltre a creare un riavvicinamento verso le altre chiese cristiane e non (35%), andando anche oltre le conclusioni del Concilio Vaticano II (34%), verso una modernizzazione profonda e strutturale della Chiesa (32%). Istituto: Lorien Consulting - Public Affairs - Criteri seguiti per la formazione del campione: sondaggio realizzato su un campione rappresentativo della popolazione maggiorenne italiana di 1.000 cittadini - Metodo di raccolta delle informazioni: interviste CATI ad un campione rappresentativo per sesso, età e area di residenza - Numero delle persone interpellate ed universo di riferimento: campione di 1.000 cittadini strutturati per sesso ed età - Data in cui è stato realizzato il sondaggio: 14-15settembre2013 - Metodo di elaborazione: SPSS - Intervallo di confidenza 95%

(senza mezzi termini) la guerra. Tra le parole citate spontaneamente, qualcuno parla di un Papa riformista e innovativo, nei modi e nelle azioni. Papa Francesco, con questo suo nuovo modo di agire, comunicare e ascoltare, sta riuscendo a far vacillare anche i più critici nei confronti della Chiesa e del papato: il 61% del totale campione dichiara infatti di star cambiando positivamente la propria opinione nei confronti della Chiesa in seguito alle sue scelte e affermazioni. Coloro che maggiormente hanno percepito un cambiamento dentro sé sono i cattolici praticanti canonici (71%), ma anche tra i cattolici non praticanti più critici vi è un 56% che sta cambiando modo di sentire le cose. Ancor più forte è la fiducia nella capacità del Papa di produrre un cambiamento profondo all’interno della Chiesa: così per ben l’84% della popolazione adulta. Convinti i praticanti assidui (95%) e i praticanti canonici (96%), ma convinta anche la maggior parte di cattolici non praticanti, sia i più freddi/disinteressati (81%) che i più critici (75%).

Con le dichiarazioni di Papa Francesco è cambiato positivamente il suo personale sentimento nei confronti della Chiesa cattolica e del papato?

Quanta fiducia ripone nella capacità del Papa di produrre un cambiamento profondo all’interno della chiesa?

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l’araba Fenice donne, società e i tanti volti dell’islam

Politica al femminile? Non c’è spazio in Libano Confessionalismo e mancata partecipazione politica: quando i nei per le donne libanesi non sono solo quelli estetici di Marta Pranzetti

N

el settembre del 2012 Joumana Haddad, icona libanese dell’attivismo di genere e scrittrice nota per la sua libertà espressiva e per la sua avversione nei confronti della religione e del culto del “machismo”, in una lettera aperta rivolta direttamente a Papa Benedetto XVI, criticava aspramente l’istituzione e l’operato della chiesa (non solo in Libano, dove il confessionalismo distrugge la società, ma anche nel mondo). A distanza di un anno, nonostante il new look che il papato si è dato con il nuovo Pontefice, poco o niente è cambiato nel Paese dei Cedri. La necessità di imprimere una svolta drastica alla situazione politica e societaria in Libano - che la stessa Haddad reputava imperativa in un’intervista dello scorso febbraio, nella quale accennava anche a una probabile sua candidatura alle

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prossime legislative - torna ad essere evidente a seguito dell’ennesima protesta al femminile che ha invaso le strade di Beirut lo scorso 20 settembre. Oggetto delle rivendicazioni questa volta era la modifica dello status legale della donna libanese che, stando alla legislazione vigente, non può trasmettere la propria nazionalità al marito (se straniero) e ai figli. La stampa locale aveva reso pubblico, giorni prima dello scatenarsi delle proteste, un decreto presidenziale che naturalizzava un centinaio di personalità straniere e concedeva loro la cittadinanza. Una notizia che ha riaperto il vaso di Pandora delle disuguaglianze di genere che la politica libanese ancora fa fatica a debellare. Il collettivo in rosa sceso in piazza ha aspramente criticato il decreto n. 10214 (approvato a marzo, quando era ancora in piedi il governo Mikati, e pubblicato a mesi di distanza) perché fonte di profonda umiliazione per tutta la popolazione femminile libanese. A prescindere dall’appartenenza religiosa che qui riveste un’importanza fondamentale nell’organizzazione della vita pubblica e politica. Nonostante le ferventi rivendicazioni, lo stato attuale delle condizioni legali e dei diritti civili della donna in Libano sembra duro a modificarsi. Basti pensare che nell’ultimo Parlamento eletto la rappresentanza femminile ha raggiunto un mero 3, 12%, corrispondente a sole 4 deputate


su un totale di 128 seggi. Per un Paese in cui le donne hanno ottenuto il diritto di voto nel 1953, la partecipazione femminile alla Camera resta deprecabile, andando inevitabilmente a incidere sulla capacità fattiva dell’Assemblea stessa di operare cambiamenti in seno all’intera società libanese. Le cose non vanno meglio al governo dove, dopo il governo

quote rosa ancor meno di primo piano. Sebbene la stampa nazionale parli in questi giorni di un’imminente formazione del prossimo esecutivo (per il quale le prospettive sembrano favorire una composizione politica che risponda alla formula dei “tre 8” ovvero 8 ministeri per la coalizione del 14 Marzo, 8 per la formazione dell’8 Marzo e 8 ministeri per i centristi - incluso primo ministro e suo entourage) nulla si evince in merito alla possibile partecipazione femminile. A febbraio scorso, quando le legislative erano state indette per giugno del 2013, la società civile

Hariri (2009-2011) che aveva riservato due ministeri alle uniche due donne nominate nel gabinetto, l’ultimo governo Mikati (2011-2013) non ha neppure avuto un membro femminile in sede di Consiglio. Attualmente, lo stallo politico-istituzionale venutosi a creare dopo lo scioglimento del governo Mikati (sostituito ad aprile da Tammam Salam con l’incarico di formare un nuovo esecutivo) e inasprito dalla crisi siriana e dalla mancata intesa tra i partiti sulla scena politica nazionale, rendono la questione delle

libanese si era messa in azione per far sì che le candidate donna arrivassero forti del sostegno mediatico alla competizione elettorale. Women in front, un’ONG fondata nel 2012 da due attiviste libanesi, proprio a febbraio aveva smosso le acque con l’intento di sostenere la candidatura di 64 donne alle legislative e cambiare la visione della donna che vige nella società patriarcale libanese, incastrata tra i due estremi di “bambola rifatta” e “donna sottomessa” vittima di abusi e violenze. Ma la campagna mediatica che la ONG intendeva promuovere si è poi eclissata insieme alle legislative stesse che, dal giugno 2013 sono state posticipate al novembre 2014 per via del disaccordo tra i partiti sulla legge elettorale e per l’impatto che la guerra civile siriana ha avuto sul Paese dei Cedri.

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la controcopertina C’è un’altra grande teocrazia nel mondo, protagonista di una “rivoluzione dall’alto”. Una nazione in grado di modificare gli equilibri internazionali e capace di influenzare in positivo i destini del Medio Oriente. Anche al vertice di questa nazione siede un uomo di fede, un riformatore che porta in dote un atteggiamento nuovo, un capo di Stato che apre al dialogo e promuove la pace. Per questo abbiamo scelto di dedicargli la contro copertina. Si chiama hassan rouhani, è il presidente della Repubblica Islamica dell’Iran.


anno I - n. 9 ottobre 2013

rouhani dove vai? Dopo quasi trent’anni un presidente iraniano apre agli USA. Farà la rivoluzione?


sicurezza

Iran Rouhani e la rivoluzione possibile

Sud America Come cambieranno i rapporti tra Iran e il subcontinente americano

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sicurezza

In attesa che i presidenti di Iran e Stati Uniti s’incontrino personalmente (ma già si sono telefonati), all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sono andate in scena le prove generali per la pace in Medio Oriente

Iran |

di Luciano Tirinnanzi

Tutte le fatiche

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on la crisi in Siria da un lato e il braccio di ferro sul programma nucleare iraniano dall’altro, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, parlando all’ONU, ha offerto un’immagine degli Stati Uniti di superpotenza “riluttante” e in balia degli eventi, che non dev’essere piaciuta molto ai cittadini di New York, dove si svolgeva la riunione, e all’intera America. “Il concetto di Impero americano potrebbe essere un utile strumento di propaganda, ma non è questa la politica attuale degli Stati Uniti” ha affermato il sempre più criptico presidente USA. Che fine ha fatto l’American dream? Si chiedono ora i commentatori dei media statunitensi. Perché, dalle parole del comandante in capo, non si afferra neanche lontanamente quale sia la nuova strategia degli Stati Uniti nel mondo. Un fatto che, per un popolo orgoglioso e sempre più bisognoso di regole da rispettare com’è quello americano, è piuttosto sconvolgente.

del presidente Con l’avvicendarsi degli appuntamenti internazionali e dei tavoli diplomatici per la pace, l’Amministrazione Obama sembra non riuscire più a esprimere chiaramente il pensiero dominante nella società americana - tantomeno quello della stanza Ovale - e lo stesso Barack appare sempre più sfuggente e pensieroso.

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sicurezza

Le parole di Hassan Rouhani

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a realizzazione di una forma di democrazia coerente con la religione e il trasferimento pacifico del potere esecutivo dimostrano che l’Iran è l’àncora di stabilità in un oceano di instabilità regionale. Quanto al programma nucleare iraniano - e se è per questo, di tutti gli altri Paesi - esso deve perseguire esclusivamente scopi pacifici. Dichiaro qui, apertamente e senza ambiguità che, nonostante le posizioni degli altri, questo è stato e sarà sempre l’obiettivo della Repubblica islamica dell’Iran. Le armi nucleari e le altre armi di distruzione di massa non trovano posto nelle politiche di sicurezza dell’Iran e nella nostra dottrina di difesa, e contraddicono le nostre convinzioni religiose ed etiche fondamentali. I nostri interessi nazionali rendono imperativo sgombrare il campo da ogni ragionevole preoccupazione sul programma nucleare pacifico dell’Iran.

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Che il due volte presidente abbia perso un bel po’ dello smalto della prima presidenza lo si era capito da tempo, ma offrire un’immagine così appannata degli States proprio quando la minaccia si fa più seria, non è affare da poco. Scavalcati in diplomazia dalla Russia di Putin, in economia dalla Cina di Xi Jinping e in aggressività addirittura dalla Francia di Hollande, gli Stati Uniti hanno dovuto ingoiare l’ennesimo boccone amaro: quello di una rivitalizzata Repubblica Islamica che - inaspettatamente - gioca bene le sue carte e, pur aprendo al dialogo dopo decenni di gelidi rapporti bilaterali, resta ferma sulle proprie posizioni e sbatte in faccia all’Occidente i suoi errori e parla piuttosto dei diritti per il suo Paese. Le aperture di cui è stato capace l’Iran - dalle elezioni democratiche di cui Hassan Rouhani è diretta emanazione fino al ritrovato senso di speranza, razionalità e moderazione che appartengono al “grande popolo dell’Iran” - concorrono così a spingere il mondo verso una pace condivisa e duratura. Mentre a Obama non resta altro che passare a ratificare decisioni altrui. Infatti, non serve più ripetere alle Nazioni Unite che le questioni delle armi nucleari e del conflitto arabo-israeliano possono essere la base per “una pace più ampia”. Questo lo sanno tutti. E vale a poco ribadire la linea secondo la quale nella risoluzione ONU sulla Siria deve comparire il Chapter VII (quello secondo cui l’intervento è conseguenza del mancato rispetto della risoluzione stessa).


sicurezza

Siamo già andati ben oltre e il presidente Rouhani - che alla CNN parla di pace e condanna i massacri nazisti e l’Olocausto - ne può approfittare. Ad esempio, citando uno dietro l’altro i peggiori esempi di politiche aggressive internazionali degli ultimi tempi, delle quali gli Stati Uniti (e Israele) sono in un modo o in un altro corresponsabili: “In nessuna parte del mondo la violenza è stata così mortale e distruttiva come in Nord Africa e Asia occidentale - ha arringato il presidente iraniano alla platea ONU - L’intervento militare in Afghanistan, la guerra di Saddam Hussein contro l’Iran, l’occupazione del Kuwait, gli interventi militari contro l’Iraq, la brutale repressione del popolo palestinese, l’assassinio di persone comuni e di personaggi politici in Iran, e gli attentati terroristici in Paesi come l’Iraq, l’Afghanistan e il Libano”. Ma, come diceva Oscar Wilde, “bisogna sempre perdonare i propri nemici, niente li infastidisce di più”. Così, il presidente iraniano ha ora la possibilità di scippare figurativamente il Nobel per la Pace proprio al presidente Barack Obama, togliendogli anche lo scettro di homo novus con cui era stato salutato all’alba della sua prima storica elezione. E, visto che la storia guarda sempre avanti, forse oggi il centro del mondo non è più in America ma in Medio Oriente.

Le parole di Barack Obama

C

olgo l’occasione per delineare quella che sarà la politica degli Stati Uniti verso il Medio Oriente e Nord Africa durante il resto della mia presidenza. Gli Stati Uniti d’America sono pronti a usare tutti gli elementi in nostro potere, tra cui la forza militare, per proteggere gli interessi fondamentali nella regione. Affronteremo le aggressioni esterne contro i nostri alleati e partner, come abbiamo fatto nella guerra del Golfo. Garantiremo il libero flusso di energia dalla regione al mondo. Smantelleremo le reti terroristiche che minacciano la nostra gente. E, infine, non tollereremo lo sviluppo o l’uso di armi di distruzione di massa.

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sicurezza

Iran-Sud America |

Gli amici americani Analisi del rapporto speciale tra l’Iran e i Paesi del Sud America, con l’uscita di scena dei presidenti Mahmoud Ahmadinejad e Hugo Chavez

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e dichiarazioni delle ultime settimane del presidente Hassan Rouhani hanno indotto molti tra giornalisti e analisti a sbilanciarsi su un futuro più moderato per Teheran. Forte di una guida politica “nuova”, benedetta dall’Ayatollah Khamenei, la politica estera iraniana potrebbe adesso farsi più calibrata, stabilizzando la posizione del Paese nel Medio Oriente e raddrizzando, al contempo, i suoi rapporti con l’Occidente. Sembra passato un secolo da quando, solo pochi mesi fa, al potere in Iran c’era l’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad, l’unico laico, insieme ad Abol Hassan Banu Sadr, ad aver ricoperto la carica di presidente della Repubblica Islamica. Fuori dai giochi di potere interni all’oligarchia religiosa, salita in cattedra dopo la guerra contro l’Iraq, Ahmadinejad ha governato per dieci anni iniettando nel Paese uno spirito antiamericano e antigiudaico ispirato alla rivoluzione khomeinista, che gli ha permesso di rafforzare alleanze strategiche in Medio Oriente (con i libanesi di Hezbollah, con i palestinesi di Hamas e con il regime sciita del presidente siriano Bashar Assad), confinando però l’Iran ai margini dello scacchiere internazionale. Il sospetto potenziamento del programma nucleare e i passi avanti fatti nel settore dell’arricchimento

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LOOKOUT n. 9 ottobre 2013

dell’uranio hanno infatti posto il Paese in cima alla black list dell’IAEA (International Atomic Energy Agency), inasprendo i rapporti storicamente già tesi con la Casa Bianca. L’isolamento, reso ancor più duro dagli embarghi su commercio e import-export energetici, non hanno però impedito al governo di Teheran di continuare a rappresentare in questi anni un elemento chiave nella regione, con cui è necessario dialogare per tenere in piedi i precari equilibri su cui poggia il Medio Oriente. E il caso siriano ne è una dimostrazione. il rapporto con l’america latina Di ben altra considerazione Ahmadinejad ha goduto in Sud America. Durante il suo doppio mandato, l’Iran ha aumentato la presenza in America Latina, intensificando i rapporti diplomatici con il Venezuela del defunto Hugo Chavez, ma anche con la Bolivia, l’Ecuador, il Nicaragua e Cuba. Con Caracas, in particolare, sono state avviate le trattative per istituire una Banca per lo Sviluppo condivisa finanziata con i soldi iraniani e, per tale motivo, osteggiata dagli Stati Uniti che hanno intravisto nell’operazione il tentativo da parte di Teheran di sostenere


gli scenari possibili prospettive del nuovo governo

cosa può succedere

conseguenze politiche dirette

L’Iran continua la sua corsa nucleare nella regione minacciando Israele

Israele attacca l’Iran con l’appoggio USA

Con il nuovo governo l’Iran si annuncia pronto per sedersi a negoziare circa le attività atomiche

Si svolgono importanti incontri tra l’Iran e la comunità internazionale

L’Iran continua le negoziazioni per prendere tempo in modo da completare il proprio programma nucleare militare

Un intervento unilaterale da parte di Israele come extrema ratio

L’influenza iraniana cresce a livello mondiale

Gestione delle minacce: appoggio al terrorismo, ricatto nucleare, offerta energetica

Gli USA rinunciano alla politica di scontro e di isolamento dell’Iran, in favore del dialogo

Inizia la piena integrazione nella comunità internazionale, a condizione di mantenere gli impegni pattuiti

L’Iran lavora per far fallire la cosiddetta Primavera araba

I fallimenti in Iraq, Afghanistan, Egitto e Libia, la carneficina siriana e il progressivo smembramento di interi Paesi in aree tribali (come Libano e Giordania) ridisegnano un panorama geopolitico del Medio Oriente più complicato

L’asse Israele contro parte del mondo arabo e Iran, passa in secondo piano

Il conflitto si sposta nell’ambito islamico e nella lotta tra i gruppi tribali e religiosi. A capo delle due fazioni, da una parte l’Arabia Saudita e l’universo sunnita; dall’altro l’Iran sciita, che appoggia Assad col sostegno di Mosca. Washington rifiuta l’impegno nucleare degli Ayatollah e l’influenza russa.

L’influenza USA in Medio Oriente diminuisce

alta

probabilità che accada

La Siria smantella il proprio arsenale chimico: è un successo schiacciante della Russia. Teheran vince indirettamente

media

bassa

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sicurezza

scenari in america latina L’Iran adotta una posizione meno politicizzata in America Latina

L’Iran mantiene il grado attuale di influenza in America Latina

L’Iran accresce la sua influenza in America Latina

L’Iran prescinde dall’America Latina nella sua politica estera

alta media bassa

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economicamente piani militari potenzialmente pericolosi per la Casa Bianca. Il vero obiettivo dell’Iran in questi anni è stata piuttosto la ricerca di consenso in America Latina, da sfruttare a suo favore nelle numerose dispute internazionali che lo vedono coinvolto. Vanno interpretati in quest’ottica i progetti per la costruzione di moschee, centri culturali, ospedali ed emittenti televisive a Caracas e dintorni, oltre ai circa mille giovani sudamericani recentemente invitati a Teheran per conoscere la religione e la cultura dell’Iran. Il partner privilegiato per gli affari resta comunque il Brasile, il nono su scala mondiale per l’Iran. Negli anni del governo dell’ex presidente Luiz Inácio da Silva (dal 2003 al 2010), le relazioni tra le due nazioni si sono intensificate. Nonostante sia cambiato qualcosa con l’insediamento di Dilma Rousseff entrata più di una volta in frizione con Ahmadinejad - i rapporti tra i due Paesi sono rimasti ottimi, come dimostra l’invito della delegazione brasiliana a Teheran il giorno dell’investitura del nuovo presidente Hassan Rouhani. Se per gli USA l’ingresso sempre più marcato dell’Iran in America Latina rappresenta una minaccia per la sua sicurezza, la pensano diversamente i Paesi dell’ALBA (Alleanza bolivariana per le Americhe), di cui fanno parte: Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua, Ecuador,

Repubblica Dominicana, Antigua e Barbuda e Saint Vincent e Grenadine, che vedono invece in Teheran un alleato strategico. Per questi Stati contare sull’Iran potrebbe infatti avere un valore strategico rilevante. Anzitutto perché Teheran è un Paese membro dell’ONU allineato a Russia e Cina, e in questa posizione potrebbe eventualmente opporsi a proposte di sanzioni economiche contro l’ALBA avanzate da USA, UE o Giappone in sede di Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al Consiglio di Sicurezza o al Consiglio per i Diritti Umani. Inoltre, l’Iran è membro dell’OPEP (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) e dunque potrebbe rivelarsi fondamentale per l’arrivo di partnership e nuovi investimenti, contenendo così al contempo l’influenza di un potente competitor come l’Arabia Saudita, tradizionale alleato degli Stati occidentali. Tradotto, per l’ALBA


sicurezza

rapporto iran - sud america la possibilità che l’iran adotti una posizione meno politicizzata con l’america latina diviene più probabile

C’è stato un cambiamento nel governo iraniano. Nonostante il potere reale sia in mano all’Ayatollah Ali Khamenei, il cambiamento del governo sembra salutare. Il principale alleato iraniano in America Latina è venuto a mancare.

ciò significherebbe nuovi contratti, sviluppo industriale, innovazione tecnologica, fondi per la costruzione di impianti per l’esplorazione dei giacimenti e per la raffinazione di petrolio e gas, con ricadute positive in termini economici e sociali. Senza dimenticare, infine, gli aggiornamenti che Teheran potrebbe garantire in tema di intelligence e potenziamento dei programmi nucleari. Rouhani gode dell’appoggio dei riformisti e in molti credono che la sua esperienza passata da titolare dei negoziati sul nucleare, legata a una profonda conoscenza dell’Occidente, gli permetterà di mantenere la promessa di migliorare i rapporti tra l’Iran e il resto del mondo. Come noto, non dipenderà unicamente da lui. Se l’Iran si dimostrerà pronto a un cambio di passo, sarà solo perché lo avrà voluto l’Ayatollah Khamenei, del quale Rouhani è diretta espressione.

Il progetto antiamericano di Hugo Chávez, di grande aiuto per i dirigenti iraniani, ha permesso di arrivare a Daniel Ortega, a Evo Morales e a Rafael Correa. Sebbene si siano mantenute le relazioni bilaterali e commerciali, senza Chávez e con la debolezza di Nicolas Maduro, viene meno una gran parte dell’intesa politica. la possibilità che la cultura iraniana inFluenzi parte degli aspetti culturali in america latina

La rivoluzione in Iran non solo ha cercato di “islamizzare” il sistema politico e il suo funzionamento, ma ha islamizzato in grande misura anche il sistema economico. Questo vuoto lo occupano cooperative e fondazioni benefiche e religiose, che si sono convertite in potenti gruppi economici e che sono capaci di riprodurre i propri modelli organizzativi in altri Paesi. la possibilità che l’iran prescinda dall’america latina in politica estera

L’Iran è interessato all’appoggio che i Paesi latinoamericani danno alla sua politica per rompere l’isolazionismo. Nel 2006 Venezuela e Cuba sono stati due dei tre Paesi che hanno votato a favore del programma nucleare iraniano all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica delle Nazioni Unite. È probabile che utilizzi questi Paesi per evadere le sanzioni. La presenza delle banche iraniane o “bi-nazionali” in Venezuela servono per evadere le sanzioni internazionali contro l’Iran e sostenere il finanziamento del programma nucleare iraniano.

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a dire il vero... l’analisi di approFondimento

Sicuri che Israele voglia la fine della guerra? Complotti, retroscena, piste segrete, le “verità sull’America”, le lobby. Chi segue sui giornali di tutto il mondo le cronache delle vicende politiche, si imbatte con allarmante frequenza in “teorie del complotto” costruite su misura con un solo obiettivo: la disinformazione

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ualche settimana fa tutti abbiamo trattenuto il respiro, quando le accuse contro Assad per il presunto uso di gas hanno portato gli Stati Uniti sull’orlo di un intervento militare, una spedizione punitiva in un conflitto sanguinoso dove la demarcazione tra buoni e cattivi è molto sfuggente. Gli “studiosi dei segreti” della politica USA hanno diffuso la notizia, ripresa da retroscenisti in tutto il mondo, che la decisione di Obama sulla Siria sarebbe stata frutto delle pressioni della potente lobby ebraica legata agli interessi di Israele. In altri termini, per fare un piacere a Israele, Obama avrebbe iniziato l’ennesima avventura militare americana dagli scopi incerti quanto ambigui. La prova dell’influenza della lobby ebraico-israeliana avrebbe, secondo alcuni, addirittura una personificazione precisa: Teresa Heinz, moglie (ebrea,

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naturalmente) del segretario di Stato americano John Kerry. Ecco spiegato: Obama attacca perché spinto da Kerry, a sua volta sollecitato da una moglie che obbedisce agli interessi della lobby. Tenendo conto che la signora Teresa è anche vedova del defunto imperatore del ketchup, non si capisce perché non sia stata tirata in ballo anche la “lobby dei pomodori”. In realtà, ragionando forse con un pizzico di cinismo ma con i piedi per terra, a Israele conviene veramente che il conflitto siriano abbia una rapida e pacifica soluzione? Alcuni elementi fanno pensare il contrario. In questo momento, il senatore repubblicano Paul Rand si fa promotore negli Stati Uniti di una campagna volta a varare un “piano Marshall” finanziato da privati a favore del governo egiziano (sì, quello golpista). Ispiratore di questa campagna - non in segreto ma con pubbliche dichiarazioni - è il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Dando sfoggio di notevole pragmatismo, il premier sta tentando di garantire ai generali egiziani soldi e aiuti sufficienti a portare l’Egitto fuori dalla crisi economica nella quale l’ha precipitato un anno di governo della Fratellanza. Ebbene, il senatore Rand è stato uno dei più tenaci oppositori al Congresso di Washington nei confronti di una possibile avventura militare

Il Grigio

La foto dello storico incontro tra i due ministri degli esteri USA e IRAN, John Kerry e Mohammad Javad Zarif, per discutere del nucleare (26 settembre 2013)


americana in Siria. Se Rand è apertamente in contatto con Netanyahu e contrario all’attacco contro Assad, è lecito presumere che ne abbia parlato con il collega israeliano. Israele, infatti, al di là di qualche dichiarazione di facciata, non ha fatto alcuna mossa per spingere gli States verso un conflitto. Ma quali sono oggi gli schieramenti in campo in Siria? Il regime e le sue forze armate, da sessant’anni nemici giurati dello Stato di Israele. I suoi alleati Hezbollah e gli iraniani, che sostengono Damasco con uomini e armi e che sognano di far sparire dalla regione “l’entità sionista”. Gli insorti sunniti e affiliati di Al Qaeda. Gli jihadisti animati da un odio antiebraico irriducibile. Tutte queste forze che si combattono in Siria hanno una sola caratteristica comune: essere nemici di Israele.

Israele deve la sua capacità di sopravvivere non soltanto alla sua forza militare, ma anche alla capacità di ragionare con freddezza in uno scacchiere nel quale si trova circondato da milioni di nemici. Siamo sicuri, quindi, che Gerusalemme abbia spinto, e spinga tuttora, per un attacco su Damasco che eliminerebbe soltanto parte dei suoi nemici siriani e iraniani, per favorire poi una fazione ancor più ostile? Al contrario, sembra lecito supporre che - come confermano fonti dell’intelligence israeliana citate da Timothy Garton Ash su Repubblica (“che si dissanguino tra di loro”) - Israele abbia oggi tutto l’interesse affinché il conflitto siriano segua il suo destino, che vede impegnati in una lotta mortale i suoi più acerrimi avversari. Ogni giorno che passa in Siria, per ogni ribelle, per ogni Hezbollah, per ogni pasdaran, per ogni soldato lealista che cade sul campo, c’è un nemico in meno col quale Israele si trova a dover fare i conti.

John Kerry con l’ambasciatrice americana presso le Nazioni Unite, il “falco” Samantha Power

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economia

Santa Sede Lo Stato della Città del Vaticano è sorto con il Trattato Lateranense, firmato l’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, che ne ha sancito la personalità di Ente sovrano di diritto pubblico internazionale, costituito per assicurare alla Santa Sede, nella Prospettive sua qualità di suprema istituzione

Vietnam economiche

Laos e Cambogia La scommessa di Mekong

Coree Da Kaesong in poi

Stati Uniti d’America Energie rinnovabili e biocarburanti

Italia Risolvere l’inquinamento 42

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economia

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Vietnam |

di Cristiana Era

Porte aperte

a guadagnato il suo posto nei libri di storia contemporanea con una guerra durata trent’anni su un territorio spaccato in due, dove le superpotenze si sono confrontate in una delle cosiddette “guerre per procura” di quegli anni,

al mercato Dimenticate “Apocalypse Now” e la cinematografia di guerra hollywoodiana: oggi i vietnamiti si dicono pronti a scalare l’economia regionale e oltre

effetto collaterale della Guerra Fredda. Oggi il Vietnam è un Paese diverso, riunificato e riappacificato - nel 1975 quando il comunismo ha preso il sopravvento - e con il nuovo ruolo di Paese emergente, corteggiato dai nemici del passato che vogliono diventare gli amici del presente. L’apertura all’economia di mercato, avvenuta alla fine degli anni ’80 - in seguito al ripensamento sulla fallimentare economia pianificata tipica dei regimi comunisti - ha progressivamente portato il Paese verso una crescita sostenuta e, pur rimanendo all’interno della medesima cornice politica, alla formazione di una classe media e a una maggiore presenza sul mercato internazionale, culminata con l’adesione all’Organizzazione Mondiale per il Commercio nel 2007. Il Vietnam moderno è una nazione ancora in transizione, che sta percorrendo una strada a suo tempo già intrapresa dalla Cina. Quello di Hanoi rimane sì un governo comunista e l’economia risente ancora fortemente dei controlli di stato (per non parlare della corruzione), ma la LOOKOUT n. 9 ottobre 2013

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economia

Esportazioni di caffè vietnamita VIETNAMESE COFFEE EXPORTS Million 60-kg bags

VIETNAMESE COFFEE OUTPUT Million 60-kg bags

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Arabica Robusta

Il Vietnam è il secondo più grande produttore di caffè al mondo dopo il Brasile. Si prevede che l’incremento dell’esportazione di questo prodotto inneschi un processo positivo sui prezzi interni e conosca un ulteriore rilancio a livello internazionale.

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Robusta beans Daklak (Vietnam coffee price)

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Note: Vietnam’s exports and output by crop year (October to September). 2012/13 and 2013/14 data are estimates. Sources: USDA Foreign Agricultural Service; Thomson Reuters.

nuova politica estera e i cambiamenti geopolitici in Asia hanno aumentato il ruolo strategico di una media potenza in fieri nell’area, vis-à-vis la Cina, e con la quale i rapporti rimangono distanti e improntati alla diffidenza. L’impresa privata è riuscita a ritagliarsi uno spazio nei mercati esteri: così, nel giro di soli 8 anni, dal 2008 al 2010, lo scambio con gli Stati Uniti si è sestuplicato, arrivando a 18,6 miliardi di dollari, un dato sorprendente considerando che si tratta di Paesi ex-nemici. L’emergere della Cina come gigante asiatico, che non ha certo i piedi di argilla ma che in compenso ha un appetito di risorse proporzionale alla sua crescita economica, ha costretto Washington

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LIFFE Robusta coffee

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a riformulare la propria policy sul continente. Da questo punto di vista il Vietnam, pur non essendo una superpotenza, ha sempre opposto una strenua resistenza alle mire e all’influenza di Beijing e, di fatto, è diventato sia un utile contrappeso nell’area sia un valido alleato per gli Stati Uniti, al momento. Hanoi sta attuando una politica di modernizzazione, soprattutto nel settore industriale, che ha trasformato il Vietnam in uno dei Paesi emergenti dell’Asia con crescita stabile, solo ultimamente frenata da misure di stabilizzazione e di riduzione dell’inflazione (che toccava ormai il 12%). Se le restrizioni al credito e la riduzione degli investimenti pubblici hanno in parte frenato l’andamento


economia

economico, in compenso l’indice dei prezzi è sceso al 9% nel 2012 con una previsione di ulteriore calo per l’anno in corso. Infine, una lunga serie di accordi commerciali - che toccano anche settori strategici come la difesa nazionale e la sicurezza - con i Paesi dell’area quali Nuova Zelanda e Singapore, confermano l’ambizione della dirigenza vietnamita di imporsi sulla scena internazionale come elemento attivo nelle dinamiche regionali. A dispetto delle luci sulla performance economica e il cauto riconoscimento da parte della classe dirigente del fatto che occorra apportare dei cambiamenti al sistema, restano ancora molte ombre. Il tentativo di dare nuova legittimità al regime aprendo al commento pubblico sulla riforma costituzionale, ha provocato un’ondata di critiche al sistema, con relative richieste di una più ampia partecipazione popolare, e ha colto di sorpresa la leadership, che è subito corsa ai ripari ordinando l’arresto di numerosi blogger e attivisti. Come dire: l’iniziativa privata è lecita, ma il dissenso non è tollerato. Proprio come la Cina di Tienanmen.

Segnali di distensione

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he il clima sia cambiato lo dimostra la visita ufficiale del Presidente Truong Tan Sang negli Stati Uniti, ricevuto da Barack Obama alla Casa Bianca lo scorso 25 luglio: l’incontro tra i due leader, il secondo dopo la normalizzazione delle relazioni diplomatiche avvenuta nel 1995, si è svolto in un’atmosfera di totale distensione, nonostante rimanga pendente la questione

delle sistematiche violazioni dei diritti umani. Una questione che per realpolitik gli Stati Uniti hanno momentaneamente accantonato, ripresentandola invece sul tavolo dei rapporti con la Cambogia, anch’esso Paese ex nemico dei tempi della Guerra Fredda ma non altrettanto utile per la rete di relazioni che Washington sta mettendo in piedi in Asia con il Trans-Pacific Agreement.

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economia

Laos e Cambogia | di Dario Scittarelli

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on la disfatta di Dien Bien Phu del 1954 - e il relativo sfaldamento dell’Indocina francese - Vietnam, Laos e Cambogia virano verso il comunismo. Insieme a Cuba, Cina e Vietnam, il Laos è oggi uno dei quattro Paesi al mondo che ancora conserva intatte, nel nome e nei fatti, le caratteristiche di Repubblica Popolare Democratica. Qui il Partito Rivoluzionario del Popolo è al potere dal 1975, e le prime (non libere) elezioni risalgono al 1989. Sfiancato da un ipertrofico sistema statalista, il Laos è diventato uno dei fanalini di coda del Sud Est 46

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Minor East asiatico. La crisi finanziaria che ha colpito i mercati orientali nel 1997 - decimando il valore del kip, la valuta nazionale - ha poi dato una pesante battuta d’arresto al Paese, che proprio sul finire degli anni Ottanta aveva cominciato a riprendersi sulla scia del riformismo di Gorbacev della vicina Unione Sovietica. Per avere un’idea dell’arretratezza strutturale del Laos, si pensi che circa il 75% della sua forza lavoro (ovvero quasi 3 su 4 milioni di persone, per una popolazione complessiva di poco più di 6 milioni e mezzo di abitanti) è dedita a un’agricoltura di sussistenza, e che solo il

5% delle terre sono coltivabili. Persino i proventi illegali derivanti dalla produzione di oppio nel celebre Triangolo d’Oro, al confine settentrionale con Myanmar e Thailandia, sono ormai trascurabili, dal momento che oltre il 90% dell’eroina in circolazione proviene oggi dall’Afghanistan. La Cambogia non sta molto meglio, anche se dopo il tentativo di realizzazione dell’utopia rurale di Pol Pot e dei suoi Khmer Rossi (1975-79), e l’occupazione vietnamita (1979-89), la nazione ha abbandonato il comunismo, presentando oggi incoraggianti segnali di crescita. Lo scaltro Hun Sen - premier,


economia

Entrambi i Paesi puntano tutto sul fiume Mekong: 17 nuove dighe per produrre energia idroelettrica e rilanciare le rispettive economie ininterrottamente, dal colpo di stato del 1997 e confermato anche alle parlamentari del luglio 2013 - sta facendo di tutto per attirare gli investimenti stranieri, persino l’espropriazione forzata delle terre per darle alle multinazionali straniere. Ma, al di là delle discutibili operazioni di svendita, resta il fatto che ben 5 dei 15 milioni di cambogiani sopravvivono con meno di un dollaro al giorno con un’agricoltura di mera sussistenza (si noti che la forza lavoro della Cambogia è stimata in 8 milioni di persone). Per risollevare le proprie sorti, i due Paesi hanno entrambi puntato sul fiume Mekong e

sulla produzione di energia idroelettrica. Si tratta certamente di progetti a lungo termine, i quali garantirebbero tuttavia un upgrade sostanziale alle loro economie. In Laos sono quattro le dighe già in funzione, la più recente delle quali, Nam Theun 2, conclusa nel 2010, genera elettricità che viene venduta sul mercato thailandese. In un arco temporale di venticinque anni si stima che la Nam Theun frutterà circa 2 miliardi di dollari al governo laotiano, che ha, pertanto, dato il via a ben nove progetti analoghi. Di questi, uno sta già prendendo forma: la diga di Xayaburi, dal costo di 3,5 miliardi di

dollari, anch’essa destinata a produrre energia per la Thailandia. Molto simili i numeri della Cambogia: cinque dighe operative e otto in cantiere, due della quali già in costruzione da parte di società cinesi. Adesso bisogna solo vedere se il Laos, a monte, e la Cambogia, a valle, riusciranno a trovare un accordo per uno sfruttamento congiunto delle acque del fiume. E se i due Paesi saranno in grado di realizzare questi progetti senza stravolgere il prezioso ecosistema del Mekong. Del resto, il pesce è la principale e quasi unica fonte di sostentamento proteica per la vastissima popolazione rurale indocinese.

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economia

Coree | di Manuel Godano

Nord e Sud Corea, dove eravamo rimasti?

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opo cinque mesi di chiusura, all’alba del 16 settembre sono stati riaperti i cancelli del polo industriale di Kaesong. Ottocento tra dirigenti e tecnici sudcoreani sono tornati a lavoro insieme a 53.000 operai nordcoreani nelle 123 fabbriche di proprietà di imprenditori della Corea del Sud. Riaccendere le macchine del polo industriale condiviso non è stato però affatto semplice. Dopo un mese di assoluto silenzio, le parti hanno provato a parlarsi. Il 10 giugno, nel villaggio di Panmunjom, al confine tra i due Paesi, dopo diciassette ore di trattative sembrava essere stato raggiunto un accordo per tenere un incontro interministeriale. Missione fallita due giorni dopo,

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formalmente per questioni di protocollo, sostanzialmente per l’ostruzionismo opposto a una ripresa del dialogo da parte della Corea del Nord. Messo all’angolo dalle sanzioni economiche imposte dalla comunità internazionale, abbandonato persino da un protettore storico come la Cina, per tutta l’estate Kim Jong-un ha sparigliato le poche carte a sua disposizione, alternando segnali distensivi a messaggi di propaganda fanatica nazionalista. Nell’ordine, ha provato a bluffare proponendo dei colloqui direttamente agli Stati Uniti, ha smosso le acque del Mar Giallo posizionando le sue navi nei pressi della linea di confine con la Corea del Sud, ha tentato una improbabile traversata del Pacifico inviando un cargo pieno

d’armi ai compagni cubani, e ha rinviato a data da destinarsi la ripresa delgi incontri delle famiglie separate dalla guerra delle coree. Ma, soprattutto, ha continuato a tenere alta la tensione lungo il 38° parallelo attivando un reattore per la produzione di plutonio presso l’impianto nucleare di Yongbyon ed effettuando, poi, un sospetto test missilistico dalla stazione di lancio di Sohae. Alla fine, però, si è dovuto arrendere di fronte allo stato comatoso dell’economia nordcoreana, che da adesso potrà tornare a respirare grazie alle entrate sicure di Kaesong, capace di garantire in media entrate da 2 miliardi di dollari l’anno. La propaganda, per qualche mese, può aspettare. La schizofrenia del regime, invece, no.



economia

Stati Uniti d’America |

Biocarburiamo?

È un problema di meridiani o l’Europa ha un’innata vocazione a rendere complicato ciò che è semplice? L’esempio dei biocarburanti

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quotidiani statunitensi riportano il boom degli scambi, con la conseguente esplosione dei prezzi, dei cosiddetti Crediti sull’Etanolo a Wall Street. In pochi mesi di contrattazioni sul più importante mercato borsistico del mondo, il prezzo dei Crediti sull’Etanolo è passato dai 7 centesimi di dollaro dello scorso gennaio agli attuali 60 centesimi di dollaro, dopo aver raggiunto il massimo di 1,43 dollari in luglio. Nel 2005, quindi ben prima della rivoluzione dello shale gas e del petrolio non convenzionale, il governo federale degli USA - allo scopo di ridurre sì le emissioni di CO2 ma anche la dipendenza energetica dai Paesi del Golfo e rivitalizzare l’agricoltura in profonda crisi, con il Renewable Fuel Standard Program dell’Ente di Protezione Ambientale (EPA) - nell’ambito dell’Energy Policy Act (EPAct) - ha introdotto l’obbligo di miscelare benzina di origine fossile con bioetanolo.

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di B. Woods

In sintesi, tutti i rivenditori di carburanti devono acquistare e/o produrre biocarburanti, cioè carburanti prodotti da fonti rinnovabili, per una quantità richiesta in 13,8 miliardi di galloni per quest’anno (10% della benzina offerta) ma che dovrebbe raggiungere i 36 miliardi di galloni nel 2022. In alternativa, sono obbligati ad acquistare quantità corrispondenti di crediti. Dopo le titubanze legate all’incertezza della durata ed effettività della norma, quest’anno a Wall Street è esploso il mercato dei crediti sull’etanolo che, essendo un mercato opaco, poco regolamentato e potenzialmente


economia

molto lucrativo, non ha coinvolto gli operatori marginali ma i big dei mercati finanziari come JP Morgan, Morgan Stanley e altre grandi banche d’affari. Queste non operano solo come intermediari ma spesso agiscono in proprio attraverso partecipate come Heidmar Holdings, of Norwalk, Conn. (JP Morgan) e TransMontaigne (Morgan Stanley), quindi associando ancora una volta l’attività di gestione del risparmio con quella rischiosa nel mercato dei commodity. In Europa, la direttiva 2009/28/CE, nota come direttiva 20-20-20, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, dispone che entro il 2020, la produzione di CO2 sia ridotta del 20%, che sia migliorata del 20% l’efficienza energetica e che il 20% dei consumi finali lordi di energia sia costituito da energia prodotta da fonti rinnovabili (per l’Italia è stata negoziata una specifica quota che corrisponde al 17%). La direttiva dispone inoltre che, sempre entro il 2020, il 10% del carburante utilizzato dal sistema dei trasporti provenga da fonti rinnovabili. Se oggi l’Italia ha raggiunto l’obiettivo del 26,4% di elettricità rinnovabile utilizzata - fatto che induce il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) a ritenere che il Paese arriverà al 2020 con un consumo di energia da rinnovabili del 17%, come fissato dalla Direttiva 20-2020 - le notizie per ciò che riguarda l’immissione in rete di biocarburanti sono di tutt’altra natura. Dopo un lungo rimpallo di competenze tra il ministero

delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MiPAAF) e il ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), il Decreto Legge n. 83 del 22 giugno 2012, convertito con modificazioni dalla Legge n. 134 del 7 agosto 2012, ha trasferito le competenze operative e gestionali per l’obbligo di immissione in consumo di biocarburanti al MiSE, il quale le esercita anche avvalendosi del GSE. Fissata la quota minima di biocarburanti da immettere in consumo nel territorio nazionale (5% nel 2014), il GSE determina gli adempimenti dei Soggetti Obbligati (i fornitori di benzina e gasolio) ed emette i Certificati di Immissione al Consumo (CIC) sulla base delle comunicazioni relative all’anno precedente. Un CIC attesta l’immissione in consumo di un quantitativo di biocarburanti pari a 10 Gigacalorie. Il numero dei CIC rilasciato è tuttavia differenziato a seconda della tipologia di biocarburante immesso, essendo previsti CIC10, CIC8, CIC5. I CIC sono negoziabili fra i soggetti obbligati in base ad accordi bilaterali fra le parti. In caso di mancato raggiungimento dell’obbligo d’immissione in consumo della quota minima di biocarburanti sostenibili, sono previste sanzioni am-

ministrative pecuniarie che vanno da un minimo di 600 euro per ogni certificato mancante nel primo 25% del quantitativo di obbligo riconducibile a ciascun soggetto obbligato, ai 900 euro per ciascun CIC rientrante nel quarto 25% del quantitativo di obbligo. Mentre negli USA il mercato fa fiorire la produzione di biocarburanti e le negoziazioni sul mercato borsistico creano l’opportunità di guadagni negli scambi, in Europa meccanismi oscuri e regole cavillose frenano ogni forma di sviluppo economico, ambientale e sociale, rendendo gli obiettivi del 2020 difficilmente raggiungibili, se non a costi elevati sostenuti (come al solito) dai cittadini dell’Unione Europea.

Prezzo del carburante negli Stati Uniti

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economia

Italia |

Roma nun fa’ la stupida!

Zone a traffico limitato o interventi strutturali? Quali le soluzioni possibili per non lasciare “affogare” le città moderne, afflitte da smog e altri pericoli invisibili come il gas Radon?

L

a ripresa delle attività produttive e la riapertura delle scuole dopo le vacanze estive hanno riacceso le polemiche sulla chiusura dei centri urbani delle città al trasporto privato (vedi la capitale) mentre a Venezia si discute se interdire il Canal Grande alle navi da crociera (sic!).

Novanta del secolo scorso?), l’incompetenza nel gestire i fenomeni di urbanizzazione e infine il sempre tollerato abusivismo edilizio: tutte queste cose messe insieme hanno consegnato al terzo millennio uno scenario sconfortante delle città e campagne italiane. Nelle città si soffoca per il cemento della speculazione,

con il risultato di un paesaggio assolutamente più armonioso e coerente. Non è questo il luogo per un’analisi storica del problema. Quello che interessa è piuttosto capire se i provvedimenti che agitano le giornate d’inizio autunno dei decisori politici, siano frutto di analisi fondate o viceversa il prodotto

L’Italia secondo Science of Total Environment Roma, la capitale italiana, è l’unica città italiana considerata nello studio Science of Total Environment. I dati desunti dalle rilevazioni sono allarmanti: la città eterna presenta livelli di ozono da record negativo (32,3% di giorni con un livello di ozono superiore a 100 µg/m3) e soprattutto 38,5 µg/m3 medi di PM10 (contro 20 µg/m3 medi raccomandati dall’OMS) e ben 20,9 µg/m3 medi di PM2,5 (livello raccomandato dall’OMS 10 µg/m3 medi), i più alti tra le capitali dell’Europa Occidentale.

L’assenza di una decente politica urbanistica - basti citare il fallimento delle centralità a Roma - il rifiuto di ogni norma di progettazione biocompatibile, l’incapacità di articolare un qualsiasi piano integrato dei trasporti (ricordate la roboante e fallita cura del ferro degli anni

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mentre nelle campagne si devasta nel nome delle velleità che vogliono ogni proprietario simile a un piccolo principe rinascimentale che, accanto alla casa, costruisce il capannone industriale: in Baviera, per esempio, da una parte ci sono le abitazioni e solo dall’altra le industrie,

di improvvisati (e perciò stesso insostenibili) sussulti di dirigismo. La prima considerazione è che non si capisce se i provvedimenti di limitazione del traffico cittadino originino da questioni urbanistiche o di salute pubblica: questo difetto di comunicazione riduce già il consenso alle


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iniziative adottate. La percezione che gli individui hanno del rischio, infatti, è diretta conseguenza dell’attenta valutazione (assessment) e comunicazione del rischio stesso. Su questo punto sembra che ci sia molto lavoro da fare. Se, come si ritiene, la chiusura di nuove aree dei centri storici (l’Italia, con 114 ZTL, ha il numero maggior di zone a traffico limitato dell’Unione Europea) è originata da problemi di salute pubblica indotti dall’inquinamento atmosferico, allora occorre partire da attente analisi della qualità dell’aria (indoor e outdoor) e da studi epidemiologici per decidere sia la natura dei provvedimenti da adottare sia come comunicare le decisioni ai cittadini. All’inizio dell’estate Science of Total Environment, nell’ambito del progetto Aphekom, ha pubblicato i risultati di una ricerca condotta sulla qualità dell’aria in 25 città europee e sugli effetti

delle esposizioni alle polveri sottili (PM10 e PM2,5) e all’ozono (O3). Dall’esame emerge che tutte le città monitorate presentano elevati livelli di ozono e concentrazioni di polveri sottili superiori a quelli raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Per l’Italia, l’allarme è a Roma. Se gli effetti delle esposizioni a livelli così elevati d’inquinanti sono stimati con un certo grado di incertezza ancorché noti (patologie respiratorie e cardio-vascolari), le cause sono viceversa certe e riconducono all’inquinamento da mezzi di trasporto: in particolare, per ciò che riguarda le polveri sottili, sotto accusa è l’alimentazione a diesel. Sarà un caso allora che a Roma, come del resto in tutta Italia, metà del parco auto circolante è diesel? Senza contare l’incidenza dell’invasione di autobus, spesso obsoleti e anch’essi a diesel. L’Italia, come ben sappiamo, è un territorio a elevata sismicità e questo si traduce in una presenza media di radon di 70 Bq/m3. Il radon è un gas nobile radioattivo della famiglia dell’uranio 238 che risalendo dalle

spaccature nel terreno, penetra in cantine, seminterrati e pianoterra, qualora non protetti da intercapedini adeguatamente ventilate. Il radon è incolore, inodore e non ha effetti dannosi immediati ma, nel nostro Paese, è stato riconosciuto come la seconda causa di morte per tumore polmonare dopo il fumo di sigaretta. Alcune recenti indagini, condotte in regioni con una presenza di radon superiore alla media nazionale, hanno evidenziato la presenza in scuole e impianti produttivi, di solito localizzati a piano terra, concentrazioni di radon così elevate da rendere necessarie evacuazioni e bonifiche immediate. Riassumendo, l’inquinamento outdoor e indoor ha raggiunto livelli così elevati da rendere i provvedimenti necessari per salvaguardare la salute pubblica, ormai improrogabili. Tuttavia, solo un attento assessment dei rischi può permettere una loro efficiente gestione e consentire di passare da interventi estemporanei e non risolutivi, a provvedimenti semplici, efficaci e accettati dall’opinione pubblica.

Il radon è incolore, inodore e non ha effetti dannosi immediati ma, nel nostro Paese, è stato riconosciuto come la seconda causa di morte per tumore polmonare dopo il fumo di sigaretta

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do you spread? voci dal mercato globale

Che aspettiamo a tassare la finanza?

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ià prima dell’esplosione della bolla dei mutui sub-prime e della Grande Recessione molti economisti americani s’interrogavano sul perché un’economia in crescita come quella statunitense, che macinava profitti e faceva esplodere le quotazioni nei mercati azionari, creasse così pochi posti di lavoro. La risposta era essenzialmente questa: gli eccessivi costi di produzione per unità di prodotto spingono le imprese a delocalizzare e quindi le ricadute occupazionali dell’espansione economica sono modeste. I costi di produzione sono il risultato di più fattori: costo del lavoro, costo dell’energia, costo della burocrazia (dove per burocrazia s’intendono anche le norme che consentono la tutela dell’ambiente e dei lavoratori) costo dei trasporti, peso della rendita, etc. Quindi se si fosse liberalizzato, deregolamentato, ridotto il costo del lavoro e il costo dell’energia, le imprese sarebbero tornate ad assumere in patria.

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B. Woods

Cos’è successo negli ultimi anni? Molte imprese statunitensi (General Electric, Apple, General Motors, Ford, Caterpillar) hanno percorso a ritroso il viaggio che le aveva portate al di là del Pacifico, spinte dalla crisi valutaria indiana e dall’esplosione del costo del lavoro in Cina (i salari medi nella manifattura sono cresciuti del 69% tra il 2005 e il 2010, e ci si attende che crescano a un tasso del 17% annuo nei prossimi anni). Così facendo, hanno originato il fenomeno, sostenuto anche da un movimento spontaneo, della “rilocalizzazione”. Nel frattempo c’è stata la rivoluzione dello shale gas e del petrolio non convenzionale, che ha dato agli Stati Uniti: l’autosufficienza energetica; una notevole riduzione del costo dell’energia; la completa deregolamentazione dei mercati finanziari e delle commodity; un eccesso di offerta di lavoro senza precedenti; la progettazione di imponenti opere di ammodernamento delle infrastrutture di rete (strade, porti, telecomunicazioni, etc.). Nonostante ciò, nel periodo 2009-2013 sono stati creati solo 70mila nuovi posti di lavoro (fonte: U.S. Bureau of Labour Statistics). Nel periodo 2009-2013, la Federal Reserve americana ha immesso nel sistema economico statunitense, attraverso l’acquisto di titoli pubblici, una quantità impressionante di moneta, passando dai 30 miliardi di dollari mensili del 2009 agli 85 miliardi di dollari al mese nel 2013 - nello stesso periodo il Regno Unito ha acquistato circa 400 miliardi di sterline di titoli pubblici, mentre in Giappone Shinzo Abe parla di 1.400 miliardi


Siamo a un bivio: rassegnarci a un mondo di pochi ricchissimi e una moltitudine di poveri o applicare strumenti potenzialmente molto efficaci come la tassazione sulle transazioni finanziarie

di dollari in due anni - ma tutto questo denaro, che pure ha consentito all’indice Standard & Poor’s 500 di recuperare il 98% rispetto al livello in cui era piombato dopo il fallimento della Lehman Brothers, non è servito a far decollare l’occupazione. Quindi la politica del denaro facile (quantitative easing) e dei bassi tassi d’interesse (0-0,25%, che nel 2008 era al 5%) è servita a sostenere ancora una volta l’economia di carta, cioè quella finanza altamente speculativa che ha determinato poi l’esplosione della grande bolla sui mutui immobiliari, e non l’economia reale. Negli ultimi cinque anni, non solo si è registrata la crescita dei titoli derivati (a dicembre 2012 il loro valore nozionale era di oltre 632mila miliardi di dollari a fronte di un PIL mondiale di 72mila miliardi di dollari, rispetto al 2007 quando il valore era 595mila miliardi di dollari e il PIL mondiale 55mila miliardi di dollari) ma si è registrata l’esplosione del mercato delle obbligazioni aziendali, anche di quelle ad alto rischio, i cui tassi d’interesse sono precipitati ai minimi storici. Siamo di fronte a una nuova bolla speculativa? Perché l’occupazione non cresce? Forse perché nessuna attività imprenditoriale reale può assicurare profitti medi di oltre il 100% in cinque anni. O forse perché nessun investimento reale rischioso per definizione può competere con la speculazione finanziaria senza costo (siamo al “too big to fail”). O ancora perché forse è più facile fare profitti comprimendo i salari (il costo orario del lavoro nella manifattura negli States è cresciuto meno del 5% nel periodo 2007-2010) piuttosto che aumentando il fatturato? Non sarà che è arrivato il momento di regolamentare i mercati finanziari e mettere delle serie tasse sulle transazioni finanziarie? O dovremmo invece rassegnarci a un mondo di pochi ricchissimi e moltitudini di poveri? Nel periodo 20082012, negli USA il reddito dell’1% della popolazione più ricca è cresciuto di oltre il 30%, mentre quello del restante 99% è rimasto fermo. Ma questa condizione del genere umano non l’abbiamo già vissuta nel medioevo? LOOKOUT n. 9 ottobre 2013

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dura lex sotto la lente del diritto

Crimini contro l’ambiente Protocolli cautelari per la prevenzione dei reati ambientali. Draconian

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a tutela della salubrità dell’aria, dovuta all’eccessivo livello di concentrazione di sostanze influenti sulla qualità dell’ambiente, è ormai questione nota e di stringente attualità per il grave rischio cui espone la salute dei cittadini. Ci voleva una direttiva comunitaria per imporre al legislatore una modifica al decreto legislativo 231/01 in tema di reati ambientali perpetrabili nell’ambito dell’attività imprenditoriale di tipo societario. In verità, non si può negare che l’introduzione della responsabilità degli enti abbia assunto carattere di forte innovazione nel nostro ordinamento giuridico. E non senza ragione. Del resto è pacifico che siano prevalentemente gli enti economici, quelli per intenderci che svolgono attività industriale, i soggetti attivi nel cui interesse vengono colposamente o dolosamente compiute le aggressioni all’ambiente. Diventa allora un passo obbligato quello

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di collegare ai reati ambientali la responsabilità diretta dell’ente collettivo, quale proficuo rimedio alla scarsa deterrenza generalp-reventiva di tali fattispecie delittuose. Invero, la direttiva 2008/99/CE, mediante il principio della corporate liability, ha vincolato gli Stati membri a prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in capo alle persone giuridiche nelle ipotesi di realizzazione, agevolazione o istigazione - a loro vantaggio e da parte di qualsiasi soggetto che agisca individualmente o in quanto parte di un organo dell’ente - di fattispecie delittuose in materia ambientale. E, a completamento dell’iter legislativo, il provvedimento di recepimento della direttiva 2008/99/CE ha introdotto nel D.Lgs. n.231/01 l’art. 25 undecies. Tuttavia, riconosciuto alla disciplina frutto del recepimento della direttiva comunitaria lo spazio che merita, sbaglieremmo a puntarci sopra una posta eccessiva. Come spesso accade, l’apparente intervento riformatore del legislatore non ha sortito come effetto quel riordino della materia che ci si aspettava. Il D.Lgs. del 2011, infatti, ha escluso reati di nuovo conio limitandosi a inserire, nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa, illeciti già introdotti in materia di acque, rifiuti e atmosfera, e misure già previste a tutela dell’ozono atmosferico e dell’ambiente. Quanto basta a ribadire che le novità normative, sempre più spesso, vanno ricercate nel messaggio più che nei contenuti: la previsione di sanzioni penali nei confronti delle aggressioni ambientali dovute alle inefficienze organizzative e gestionali delle aziende, diviene indice di una riprovazione sociale di natura qualitativamente diversa rispetto alle sanzioni amministrative o ai meccanismi risarcitori di


diritto civile. In definitiva, l’obiettivo da perseguire rimane pur sempre ragguardevole, trattandosi di favorire il progressivo radicamento di una cultura aziendale della legalità. Ma il punto è un altro: il recente provvedimento normativo costringerà le imprese a riflettere sulla prodromica necessità di progettare le modalità di gestione del rischio-reato in materia ambientale. Se è vero, infatti, che l’adozione del modello organizzativo è facoltativa per l’ente, un discorso diverso lo meritano gli organi sociali gravati dall’obbligo di una corretta amministrazione. Qualcuno ha autorevolmente osservato che gli amministratori non devono essere esperti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della gestione e dell’amministrazione dell’impresa. Tuttavia non possono esimersi dall’obbligo di ispirare le proprie scelte a un adeguato rischio calcolato, e non ad una irresponsabile e negligente improvvisazione. L’adozione di regole comportamentali che orientino verso la prevenzione ragionevole del rischio-reato in materia ambientale consente di rendere non rimproverabile all’ente - salvo il limite nell’elusione fraudolenta - la realizzazione dell’illecito penale consumato da un soggetto formalmente deputato a incarnare la politica d’impresa. Questo è il passaggio di maggior interesse: la predisposizione dei modelli organizzativi e la funzione esimente degli stessi. Per intenderci, la colpevolezza dell’ente deriva dalla violazione di un dovere tipizzato dalla legge: l’adozione di specifici ed effettivi modelli di comportamento. In sostanza il rimprovero che si potrà oggettivamente muovere all’azienda, nel caso in cui un soggetto interno alla stessa commetta un reato ambientale tra quelli indicati all’art. 25-undecies del D.Lgs. n.231/01, consisterà nella mancata adozione o nel carente funzionamento dei modelli di organizzazione, gestione e controllo. Nel qual caso, peraltro, non si lascerebbe alcun margine di discrezionalità al giudice

che si trovasse a decidere sulla responsabilità amministrativa dell’ente. La Corte di Cassazione, infatti, ha sottolineato come la mancata adozione dei modelli organizzativi in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi reato commesso nell’interesse o a vantaggio della società e posizione apicale del reo - integri quella soglia di rimproverabilità oltre la quale l’omissione configura senz’altro la fattispecie sanzionatoria. Bisogna dunque prendere atto che, pur in assenza della progettata riforma della disciplina penale dell’ambiente, le aziende sono comunque tenute a predisporre protocolli cautelari in linea con le migliori evidenze scientifiche disponibili e con gli indici qualitativi mutuati dalla giurisprudenza. E forse è proprio da qui che conviene ripartire.

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un libro al mese a cura di @roccobellantone

Expo 58 di Jonathan Coe Feltrinelli 2013 pp. 288 17,00 euro

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ruxelles, 1958, Guerra Fredda. Per distendere gli animi tra il blocco Usa-Nato e i Paesi del blocco sovietico, la comunità internazionale organizza nella capitale belga l’Exposition universelle et internationale. Ufficialmente, la manifestazione serve per favorire “una genuina unione dell’umanità”. Di fatto, l’Atomium, l’imponente costruzione a forma di cristallo di ferro realizzata per ospitare l’esposizione, si trasforma ben presto in un covo di spie. Protagonista di questa strana spy comedy, dal titolo Expo 58, non è l’intramontabile 007 inglese James Bond, ma Thomas Foley, giovane copywriter incaricato di sovrintendere alla gestione del club Britannia nel padiglione inglese. Ignaro di quanto gli sta accadendo attorno, Foley si ritrova incastrato in un mega intrigo internazionale, costretto a schivare una catena esilarante di colpi di scena, equivoci e fraintendimenti, tra improbabili agenti segreti e affascinanti hostess belghe. Al resto ci pensa l’autore Jonathan Coe, maestro della narrativa inglese, che offre in questo suo ultimo romanzo un ritratto nostalgico degli anni Cinquanta: quando il mondo si era dichiarato guerra già da tempo, ma poteva ancora aggrapparsi a una missione ideologica di cui oggi ignoriamo totalmente l’esistenza.

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così dicono

Quelli che hanno servito la causa della rivoluzione, hanno arato il mare

simón bolívar (1783-1830)

U

n nome lungo come la sua rivoluzione: Simón José Antonio de la Santísima Trinidad Bolívar y Palacios de Aguirre, Ponte-Andrade y Blanco, è meglio conosciuto come Simón Bolívar. Nato a Caracas il 24 luglio 1783, resterà noto nei libri di storia e nelle targhe commemorative di tutto il mondo latino come “libertador”. Politico, generale e rivoluzionario, in Europa conobbe le due figure che segneranno la sua storia: Maria Teresa, che sarà sua moglie per troppo breve tempo (sposata nel 1802 morirà l’anno dopo, lasciando in lui la convinzione di dover dedicare la vita solo alla politica), e Napoleone Bonaparte, che sarà per lui fonte d’ispirazione prima e di accesa critica dopo. Insieme a Jose de San Martin, Bolivar è la figura chiave della liberazione del Sud America dalla dominazione spagnola. Oltre a scrivere il suo Manifesto - dove teorizzò una federazione di grandi Stati repubblicani del subcontinente americano - farà in tempo a riscattare anche Ecuador e Panama, oltre a liberare e divenire poi presidente delle repubbliche di Bolivia, Colombia, Perù e del suo amato Venezuela.



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