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La diffusione sul territorio non è un fenomeno nuovo tanto nei suoi caratteri originari che nelle sue implicazioni più recenti. Il territorio italiano è sempre stato, pressoché totalmente, antropizzato. Se la presenza sul territorio è sempre stata diffusa, è sempre stata al contempo forte la distinzione tra la città, luogo del commercio e delle professioni, e la campagna, il luogo del lavoro della terra. Il venir meno, nel corso dei secoli, delle esigenze di difesa, lo sviluppo industriale e la conseguente urbanizzazione, nonché lo svilippo delle infrastrutture, ha messo in crisi questo modello antitetico. Il nuovo fenomeno dispersivo ha preso forma diversa nelle diverse aree (l’hinterland milanese, la pianura padanoveneta, il salento), ma ciò che accomuna tutte le esperienze è la perdita di una delimitazione spaziale della città e il trapasso nello spazio quadridimensionale, con la dissoluzione di un confine valido erga omnes. La Bassa ferrarese ha vissuto questo processo in modo meno traumatico che altri territori: la visione zenitale ci permette ancora di distinguere la forma dei centri abitati storici, dei successivi sviluppi lungo assi di espansione e per zone omogenee, nuove parti di città giustapposte ai nuclei originari. La città di Ferrara grazie a fortunate circostanze storiche ha conservato il suo circuito murario, la vecchia campagna è puntellata da abbazie e delizie, e verso il mare sono chiaramente riconoscibili le ultime terre strappate alle acque in questa lotta millenaria contro la loro invadenza straripante. Tuttavia, e pur senza un’infrastruttura di trasporto pubblico non così sviluppata cui sopperisce però la mobilità privata, l’uso che si fa dello spazio è ormai un uso metropolitano, “organizzato sul rapporto tra più polarità e senza un unico centro principale”, “legando tra loro, in modi anche inediti, le diverse parti”. [1]
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La tradizionale concezione del rapporto tra città e campagna come poli contrapposti deve essere rimesso in discussione nel momento in cui quest’ultima passa dall’essere un “fuori” ad essere un “dentro”, che “analogamente a molti altri luoghi urbani, è un territorio continuamente attraversato per raggiungere i luoghi del lavoro, del consumo, dell’istruzione, della ricreazione. La campagna urbana fa oggi parte del vissuto quotidiano anche di chi non ha con essa rapporti diretti di lavoro o di residenza.” Nel contempo, la campagna sta provando ad adattarsi ad un mondo in cui la rilevanza del settore agricolo sta scemando in particolar modo nei paesi più sviluppati, vivendo al suo interno trasformazioni funzionali interessanti non solo dal punto di vista quantitativo, ma soprattutto per la casualità con la quale compaiono nel paesaggio rurale. Trovare una logica in questa casualità sembra l’ovvio compito del pianificatore. La tesi vuole indagare l’impatto del concetto alternativo di “spazio aperto come spazio pubblico” nella pianificazione delle aree agricole in contesti territoriali “metropolitani” (policentrici, interconnessi). Invece di optare per una strategia “difensiva” riguardo la relazione tra città e campagna, se ne sceglierà una “offensiva” che, al di fuori di logiche di pura tutela e salvaguardia, non decida tra urbano O rurale ma cerchi di coniugare urbano E rurale in modo da stringere le qualità della città e della campagna in una nuova alleanza, che permetta all’agricoltura e alla natura di trovare un ruolo culturale, sociale, economico contemporaneo.
[1] BARBIERI Pepe, Metropoli piccole Roma, Meltemi editore, 2003, p.8