domenica 4 agosto 2013 Pagine di cronache, culture e riflessione politica
L’arte di costruire la città Lecce, la chiesa di Santa Croce
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I segreti della sagrestia Una firma, una scala e il campanile Fabio A. GRASSO
L
a chiesa di Santa Croce a Lecce è considerata, sotto molti punti di vista, una sorta di simbolo della città salentina, punto di riferimento fondamentale per la locale storia dell'architettura rinascimentale e barocca. Il Reale Monastero dei Celestini e la sua chiesa sotto il titolo della Santa Croce (inizialmente dedicati all'Annunziata e san Leonardo) erano fin dalla loro fondazione (per volontà di Gualtieri di Brienne) fra i più importanti della città e dell'intero territorio. Giulio Cesare Infantino nel 1634 pubblicò un libro dal titolo “Lecce Sacra” (Lecce sacra, Giulio Gesare Infantino, a cura di M. De Marco, Gallipoli 1988, pagg. 219-235) dove nel ricordare la storia dell'attuale monastero riporta anche il nome di chi la chiesa progettò ovvero quel Gabriele Riccardo (notizie dal 1524 al 1572) artista raffinato e celebrato già dai suoi contemporanei autore delle figure del presepe lapideo che è nel Duomo di Lecce nonché delle autografe e datate (1524) colonne ancora oggi in un'altra cattedrale, quella di Otranto, dove un tempo erano parte del ciborio posto all'interno della cappella dei Santi Martiri (quella precedente l'attuale). A questo dato storico se ne aggiunge un altro: nel 1646, all'inizio cioè di quel periodo fertile e intenso di eventi, artisti e interventi edilizi che avrebbe portato alla nascita del volto barocco per cui Lecce è nota, sotto l'abate Don Matteo Napoletano, lo scultore leccese Cesare Penna (1607 - 1652 circa) forse riprogettò, di certo scolpì la parte superiore della già singolare facciata principale della chiesa di Santa Croce. Il nome di Cesare Penna compare a lettere capitali nella trabeazione che è al di sopra della nicchia con la statua lapidea di San Pietro Celestino (fondatore dell'Ordine religioso cui appartengono chiesa e convento leccesi). Questo quadro storico, sintetico nella misura in cui aiuta a focalizzare l'attenzione su alcuni aspetti e soggetti della costruzione della chiesa di Santa Croce, si completa
Le incisioni del millesimo 1542 e il “Die primo mai”
con quanto ricordato da Bernardino Braccio (Cronache di Lecce, a cura di A. Laporta, Lecce 1991, pag. 17) ovvero che “...si diede principio alla nuova fabbrica del Real Monastero...” nel 1549 e l'architetto fu Gabriele Riccardo; G. C. Infantino, in particolare, riferisce di un riassunto del documento trecentesco della fondazione del primitivo convento celestino in un atto notarile del 25 febbraio 1549 (il documento non è reperibile) all'epoca della rifondazione della nuova chiesa, l'attuale. Benedetto Vetere (“Civitas” e “Urbs” in Storia di Lecce dai Bizantini agli Aragonesi, Bari 1993, pagg. 194195) segnala la trascrizione cinquecentesca (31 dicembre 1548) del documento (1352) di fondazione e in più, tra le altre cose, che nel 1353 l'allora Vescovo di Lecce Roberto concedeva ai frati celestini la chiesa di Santa Croce vicina alla chiesa di quel convento di nuova fondazione. La storia del convento ce-
lestino si intreccia in modo singolare con quella del castello di Lecce. La primitiva chiesa, infatti, era in prossimità del castello e quando fu deciso di ricostruire la fortezza, si rese necessario l'abbattimento del convento (il citato B. Braccio ricorda che fu lo stesso imperatore ad ordinarne la distruzione).Questi, i fatti, le date, gli artisti, almeno i principali. La ricerca L'Arcidiocesi di Lecce, come noto, è da tempo impegnata nella valorizzazione delle opere d'arte sacra; ciò passa anche attraverso un doveroso studio storico (ricerca e disegno) tanto più necessario quando ci si confronta con un edificio importante storicamente come la chiesa di Santa Croce oggetto proprio in questo periodo, tra le altre cose, di un intervento di restauro a cura della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Lecce. Piuttosto che elencare le domande storico-architettoni-
che nate dalla lettura della vasta bibliografia sull'argomento sembra molto più efficace e diretto dire che tutte gravitavano attorno ad un ambiente in particolare della chiesa: l'attuale sagrestia. In questo caso si è proceduto eseguendo personalmente un seppure parziale rilievo architettonico ma anche usando e verificando tre rilievi metrici del convento e della chiesa di cui uno della Provincia di Lecce (datato 1989), gli altri due pubblicati in: Santa Croce a Lecce / Storia e Restauri, a cura di A. Cassiano e V. Cazzato, Galatina 1997, pagg. 251, 258, 264-265, 278-280; Barocco leccese, M.M. Elia, Milano 1996, pagg. 34-35. Va detto inoltre che le osservazioni contenute in questo scritto e la ricerca, più in generale, sono state possibili grazie alla collaborazione del Prefetto di Lecce, Dott.ssa Giuliana Perrotta e del Presidente della Provincia di Lecce, Dott. Antonio Gabellone. La data, le date,
le incisioni All'interno dell'attuale sagrestia è una scala (larghezza nel tratto iniziale di circa cm. 117; tratti successivi circa cm. 88) costituita da più rampe rettilinee e pianerottoli; essa, oggi interrotta, conduceva ad un piano superiore attualmente in uso della locale Prefettura. Sulle pareti laterali della scala si rileva tutta una serie di incisioni (al momento solo parzialmente indagate da chi scrive) fra cui segnalo: cerchi concentrici realizzati con compasso di cui si vede ancora la traccia della punta, il disegno di un campanile forse a matita, profili umani, uno stemma gentilizio, navi dalla forma a mezzaluna e, soprattutto, date e firme. In alcuni casi è leggibile molto bene l'anno: 1624, 1638, 1640, 1656, etc., in altri ancora la data (più o meno completa) si accompagna con la firma (spesso di un frate). Nella parte alta della scala, poco prima della porta che immette ad uno dei due organi moderni della chiesa, sono due incisioni: in una si legge– (firma) 1565- nell'altra - “A di frebaro 1567”-. Fra le date esistenti alcune sembrano più importanti delle altre alla luce di quanto detto a proposito della nascita di questa chiesa. La data ufficiale di fondazione è, come detto e come riportato dai citati B. Braccio e G. C. Infantino, il 1549; a questa data si è attenuta fino ad ora la storiografia. Sul muro sinistro della scala (primo tratto subito dopo la porta di accesso) si trova inciso più volte il millesimo -1542 - ; in un caso, quello più evidente, perché il meglio inciso e leggibile, subito sotto il -1542- e probabilmente ad esso collegabile, è l'iscrizione “Die primo mai” ovvero “primo di Maggio”; sempre -1542- appare poco al di sopra, inciso (con minore profondità) con le cifre 5 e 4 scritte al contrario; poi ancora più piccolo 1547-. Rispetto alla questione della datazione della chiesa se solo queste date fossero ulteriormente verificate obbligherebbero ad anticipare la costruzione di Santa Croce di almeno 7 anni facendola risalire quindi almeno al 1542. Continua nella pagina successiva
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Le pareti della scala accessibile dall'attuale sagrestia di Santa Croce sono piene di incisioni di diverso genere. Fra tutte una sembra molto significativa quella che riporta: “Io mastro Cesare Penna 1631”
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Fonti e fonti Avere trovato il millesimo -1542- pone evidentemente un problema anche rispetto a tutte le fonti usate fino ad ora per la ricostruzione della storia della chiesa di Santa Croce e con essa di quella del castello. E' altrettanto evidente che in questo caso non si ha l'obiettivo di ricostruire la storia della fortezza leccese (di fatto qui interessa, più in generale, porre delle domande, ricostruire scenari possibili e, più in particolare, capire invece, l'epoca di costruzione del bastione di Santa Croce perché quello più intimamente legato alla costruzione della nuova chiesa celestina con lo stesso titolo). Se da un lato la cautela porta a considerare quel millesimo alla stregua di un indizio è anche vero che le fonti considerate dalla storiografia non consentono di fissare l'anno di inizio della costruzione di chiesa e castello al di là di ogni ragionevole dubbio. Nel Notiziario o Parte d'Istoria di Lecce di Bernardino Braccio leccese (in Cronache di Lecce, op. cit., pag.16) la vicenda ricostruttiva più recente del castello comincia nel 1532 ed è così ricordata: “...In questo anno venne in Lecce il generale Larione Spagnolo e gli piacque assai, per lo che due cittadini lo persuasero che la dovesse far forte alla moderna e perciò comandò che il Castello si faccia fortissimo e di nuovo; perciò s'incominciò la detta fabbrica con molta sollecitudine coll'idea di farsi il più forte castello d'Italia con due torrioni ed il doppio più grande...”. Si ricordi poi anche una nota relazione, datata 14 marzo 1536, e redatta da Juan Sarmientos (in Lecce / e il suo Castello, op. cit., pagg. 41, 60) che lascia intendere (per il castello) a questa data una situazione costruttiva in itinere. Lo stesso B. Braccio ricorda, inoltre, riferito al 1537, l'ordine imperiale di ricostruzione del castello. Nella storia della fortezza leccese gli studiosi considerano un punto cruciale quanto contenuto nel privilegio (a firma dell'imperatore Carlo V) della Castellania di Lecce ad Alvaro di Bravamonte (trascritto in Apologia Paradossica della città di Lecce, Iacopo Antonio Ferrari, Lecce 1728, pagg. 778-779); la storia del nuovo attuale castello verrebbe fatta iniziare proprio a partire da questo documento, datato 1 aprile 1539, accettando inoltre come presupposto, sempre su questa base documentaria, che si sia abbattuto completamente il vecchio castello prima di realizzare il nuovo. Nel privilegio, infatti, si scrive di una costruzione “a fundamentis” ma in realtà nel nuovo castello molte parti del vecchio furono mantenute e trasformate. Questa di-
La firma di Cesare Penna incisa sul muro riproposta sopra in negativo
scontinuità fra documento e realtà dei fatti consente di non escludere per via teorica a priori che gli interventi progettati e realizzati dal 1532 in poi siano stati di fatto ripensati e forse addirittura proseguiti dopo il 1 Aprile 1539 (anche solo come disegno). Indizio in tal senso potrebbe essere quanto è nel noto rendiconto del 1544-45 (Lecce / e il suo Castello, Vittorio Zacchino, Lecce 1993, pagg. 55-57) dove si fa riferimento ad uno “spuntone vecchio” da identificarsi, plausibilmente, con uno dei due esterni (il primo detto di San Martino, l'altro San Giacomo) rivolti un tempo verso la campagna. Non è nota la fonte delle informazioni di B. Braccio ma potrebbe essere un “contemporaneo” ai fatti narrati (Cronache di Lecce, op. cit., pag. xi); G. C. Infantino, al contrario, e ciò lo renderebbe più attendibile (non si può escludere, però, che questi abbia attinto informazioni dallo stesso B. Braccio), dichiara di avere consultato l'archivio del monastero; egli riporta infatti: “...Il tutto appare _ dal medesimo Instromento originale che si conserva nell'_Archivio di detto Monastero, (a) il quale Instromento poi _ originale per esser dell'antichità roso, e consumato; fu _ nel tempo della fondatione della nuova Chiesa, e Mona _ stero a 25 Febraro 1549 reassunto....”; e poi ancora “...Nell'anno finalmente 1549. Volendosi fortificare il _ Castello di Lecce in tempo dell'invitissimo Imperador _ Carlo V fu necessario spianare, e cedere il detto loro _ Monastero, e Chiesa....”. Un aspetto appare, al momento, più limpido degli altri: il 1539 sembrerebbe essere, per la nuova chiesa di Santa Croce prima ancora che per il castello, il più probabile punto di inizio della sua storia ricostruttiva. Fonti e ipotesi Il 1549 anno indicato da B. Braccio e G.C. Infantino, potrebbe essere relativo (e questa è una prima ipotesi) anche solo alla costruzione di quella parte del castello occupata dal vecchio convento e dalla chiesa
primitiva di Santa Croce (quella del 1353 che probabilmente diede il nome al bastione omonimo, il destro entrando nel castello dalla porta verso la città) peraltro quest'ultima non interamente abbattuta perché G.C. Infantino scrive “...della quale (questa prima chiesa di Santa Croce, n.d.r.) fino _ ad hoggi se ne veggono le vestigia dentro il Castello _ medesimo...”. Certo è che fa riflettere (soprattutto per quello che non dice) una relazione del Vicerè Don Pedro da Toledo datata 1541 (Lecce / e il suo Castello, op. cit., pagg. 60) dove si descrive un ben munito castello di Lecce non facendo riferimento alcuno alla necessità di lavori di fortificazione o a una sua inadeguatezza difensiva. E fa riflettere anche un altro documento, quello del 10 settembre 1545 (in Lecce / e il suo Castello, op. cit., pagg. 61, 136 nota 10) in cui si riportano le spese sostenute per il munizionamento “...del regio castello di leccie lo anno tertio...”. Ciò potrebbe essere un ulteriore elemento indicativo del fatto che al 1542 il sistema difensivo esterno (costituito da cortine e bastioni o spuntoni come sono chiamati nel documento del 1544-45) fosse quantomeno già iniziato e a un buon punto di realizzazione. Tutti i tasselli di questo puzzle storico - costruttivo si monterebbero ancora meglio in un sistema plausibile se, all'epoca della citata relazione di Don Pedro da Toledo, la fortezza fosse stata già costruita (a meno di rifiniture) nella sua parte primaria (bastioni e cortine), ovvero proprio quella parte su cui si potrebbe essere concentrata l'attenzione del Vicerè. A ben vedere tale seconda ipotesi soddisferebbe anche quanto è nell'ordine imperiale del 1539 ovvero quello di una ricostruzione ex novo del castello. In questo contesto, quindi, la data del 1549, potrebbe essere relativa al solo sbancamento dell'area (occupata dal vecchio convento celestino) in prossimità del bastione di Santa Croce. Nulla al momento impedisce poi di pensare, in quanto il vecchio convento doveva perentoriamente essere abbattuto, che
già dopo l'ordine imperiale del 1539 i monaci celestini abbiano cominciato a costruire il nuovo convento lasciando il vecchio in piedi più o meno parzialmente fino al 1549; quella del 25 febbraio 1549 (ricordata da G. C. Infantino), pertanto, potrebbe essere stata la presa di possesso del nuovo complesso conventuale costruito a questa data, in realtà, solo in parte visto che sulla facciata principale della chiesa compare la data -1582-. Questa seconda ipotesi sarebbe compatibile con quel -1542- trovato inciso nella scala della attuale sagrestia di Santa Croce. Ad arricchire questa vicenda si aggiunge un altro evento storico: quello della cacciata degli Ebrei dal Regno di Napoli. L'espulsione cominciata nel 1510 ebbe una accelerazione nel 1540-41 quando avvenne il loro definitivo allontanamento dalla Puglia e da tutto il Regno di Napoli. La nuova chiesa di Santa Croce sorge con buona approssimazione proprio nell'area un tempo occupata dalla giudecca. Le note fonti storiche qui citate non mi pare (a meno di qualche discrepanza relativa agli anni e ai nomi dei personaggi) siano in contraddizione tra di loro, probabilmente ognuna di esse racconta una parte di verità. Mancano in ogni caso ulteriori dati che possano in senso stretto confermare, smentire o precisare meglio quanto affermato da B. Braccio e G. C. Infantino a proposito della costruzione della chiesa di Santa Croce in particolare. Attualmente sono in corso degli studi sul castello leccese, come comunicatomi dall'arch. Luigi Oliva, motivo per cui non c'è che da attenderne la conclusione al fine di avere risposte, conferme e smentite alle domande e ipotesi nate attorno a queste vicende architettoniche. La firma Come accennato le pareti della scala accessibile dall'attuale sagrestia sono piene di incisioni di diverso genere. Fra tutte una sembra molto significativa ovvero quella che riporta: “Io mastro Cesare Penna 1631”. Cesare Penna, uno dei maggiori scultori del Barocco leccese, nel 1646 scolpì la parte superiore della facciata proprio di Santa Croce e nel 1637 realizzò pure l'altare della Santa Croce nella parete di fondo del transetto destro della stessa chiesa. Entrambe queste opere recano inciso il nome dello scultore ma a caratteri capitali. Quello trovato nella scala sarebbe uno dei pochi se non addirittura l'unico autografo oggi conosciuto di questo celebre artista. Continua nella pagina successiva
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nella penultima rampa della prima scala esistono una finestra murata e quella che doveva forse essere inizialmente una porta poi trasformata in finestra. Queste finestra e porta, non segnalate nei rilievi metrici considerati, si affacciavano proprio verso il vano della stessa sagrestia lasciando supporre su quel lato un esterno. Verrebbe, quindi, da ipotizzare, sulla base di quando fino ad ora rilevato, di essere in presenza di un campanile cominciato a costruire e mai portato a termine per non note ragioni. Sulle pareti della stessa scala si sono rilevate incisioni raffiguranti probabilmente la stella di David; troppo poco, però, per dire che la scala fosse parte di un edificio preesistente alla stessa chiesa.
Il campanile.... Nel pur vasta bibliografia sulla chiesa di Santa Croce un aspetto sembrerebbe non essere stato affrontato in modo esaustivo, forse, addirittura mai: quello del campanile. Gabriele Riccardo (o altro architetto nel Cinquecento), progettista della chiesa come ricordato da G. C. Infantino, pensò e disegnò anche il campanile? Fu realizzato? Dove era collocato? A dire il vero neanche una ricerca iconografica aiuta a questo proposito visto che le immagini storiche relative più o meno direttamente alla chiesa celestina non segnalano in modo certo l'esistenza di una torre campanaria. Si deve ovviamente escludere l'ipotesi che non esistesse una struttura destinata a tale funzione. L'attuale campanile, posto immediatamente a ridosso del lato destro della facciata principale è opera più recente (ASLe, Provincia di Terra d'Otranto, Parte II, Classe I, aa. 1858-61, Busta 3, Fasc. 6; cm. 54x38,7; disegno su carta, china nera, matita, in rosso e giallo gli interventi edilizi). Fra gli ambienti del complesso conventuale, uno sembra più interessante degli altri a questo proposito: l'attuale sagrestia. Posta sul lato destro della chiesa nell'angolo esterno formato dal coro e dalla cappella attualmente dedicata alla S.ma Trinità, la sagrestia è accessibile: (1) dal coro della chiesa, attraverso l'altare su cui sono tre stemmi: due della famiglia Adorno (nei pennacchi), un terzo centrale (posto sulla trabeazione) con le insegne Loffredo – Spinelli (probabilmente riferibile a Francesco Loffredo) e Adorno; (2) da un corridoio semianulare che gira esternamente attorno alla metà destra dell'abside; (3) da un altro corridoio, infine, che costeggia la parete esterna del transetto destro e conduce agli attuali uffici parrocchiali. In questa analisi sono stati usati e verificati tre diversi rilievi metrici pubblicati nel corso di questi anni ottenendo risultati fra loro non eccessivamente difformi se non per ragioni grafiche; ciò ha consentito di utilizzarli là dove non è stato possibile eseguirne di nuovi. L'asse longitudinale della chiesa si discosta di pochi gradi dalla direzione Est – Ovest; lungo questa direzione la sagrestia attuale, di forma rettangolare, ha una dimensione pari a circa cm. 445; lungo l'altra (Nord – Sud) cm. 568 circa. Il primo dato che emerge dall'indagine (metrica e storica) è che le condizioni di accesso all'attuale sagrestia sono cambiate nel corso del tempo. La porta attuale, quella nell'ex altare degli Adorno – Loffredo, come noto, non esisteva. Il primo ingresso (con una scala non più esistente) coinciderebbe con il vano di porta (2) che si apre verso il corridoio semianualare; l'altro accesso avveniva dalla chiesa e probabilmente attraverso una porta (oggi murata) collocata immediatamente a sinistra dell'altare Adorno – Loffredo. L'aspetto interessante è che quest'ultima porta (larghezza cm. 105 circa) ha la sua simmetrica (rispetto all'asse longitudinale della chiesa) sul lato opposto del coro. La seconda porta pure murata, caratterizzata (come l'altra simmetrica) da un arco di scarico costituito da più conci ben sagomati (al fine di alleggerire la sottostante architrave pure in pietra leccese ) immetteva in una stanza (posta alle spalle dell'altare di san Francesco di Paola) oggi accessibile dal chiostro e soppalcata. Le due porte murate nel coro sono immediatamente a ridosso dei pilastri dell'arco di trionfo. L'ipotesi che quelle citate siano state delle porte potrebbe essere ulteriormente confermata dal fatto che ognuna di esse, all'interno della chiesa, è affiancata da quelle che sembrerebbero essere state delle acquasantiere. Tra le altre cose, nella sa-
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Particolare di una delle finestre dell'abside di Santa Croce
grestia attuale, in corrispondenza della porta murata, esiste un vano strombato che attraversa in quel punto tutto lo spessore del muro. Un primo interessante indizio relativo al fatto che si possa essere in presenza di una “torre campanaria” proviene dallo spessore dei muri perimetrali di questa “sagrestia”: lo si è potuto misurare direttamente in corrispondenza dell'altare degli Adorno – Loffredo (cm. 236 circa) e del vano di porta (2) (cm. 330 circa); per gli altri due lati (valutati indirettamente attraverso i tre rilievi metrici detti) lo spessore si manterrebbe pari a circa cm. 330. Tali considerevoli dimensioni sono confrontabili con quelle delle mura urbiche oppure, e meglio ancora, con quelle del campanile della cattedrale leccese (costruito fra il 1661 ed il 1682 con una tecnologia edilizia peraltro non dissimile da quella che i mastri costruttori avevano adottato circa un secolo prima anche nella costruzione di Santa Croce). Un secondo indizio è venuto dall'indagine del muro che si affaccia sul piccolo cortile oggi di pertinenza della Prefettura di Lecce. La parte inferiore verso questo cortile è caratterizzata da un ampio basamento con grandi cornici modanate sul quale è un secondo piano dove sono visibili i resti di una grande finestra centinata “inquadrata” oggi da una sola semicolonna. Alla parte cinquecentesca si è aggiunta superiormente una superfetazione edilizia realizzata in tempi recenti. Il basamento cui si accennava ha una lunghezza di lato di cm. 800 circa. Se si considerassero gli effettivi spessori murari sarebbe facile ipotizzare che questa struttura a muri spessi, come detto, avrebbe un lato esterno confrontabile con quello del campanile della cattedrale leccese che è pari a cm. 930 (il lato verso Piazza Duomo). Sulla base di questi dati sembra quindi probabile che l'attuale sagrestia di Santa Croce era di fatto il vano inferiore del campanile che, date le dimensioni murarie rilevate alla base, avrebbe potuto raggiungere dimensioni confrontabili con i m. 73 del campanile della locale cattedrale. Un ulteriore elemento di riflessione a proposito della nascita di questa che pos-
siamo plausibilmente pensare come “torre campanaria” viene dallo studio della muratura. Il muro perimetrale del “campanile” verso l'adiacente cortile si unisce a quello dell'abside della chiesa sovrapponendosi alla fascia modanata sinistra delle due finestre (l'una inferiore e l'altra superiore) a ridosso dell'angolo. Nei tratti meglio leggibili (in molte parti la tinteggiatura impedisce una analisi di dettaglio) della linea di contatto dei due muri si è osservato che in corrispondenza della finestra angolare inferiore i due muri si affiancano ma non si intersecano (come sarebbe più naturale se fossero stati costruiti contemporaneamente) cosa che, invece, accade in prossimità della finestra sempre angolare del secondo ordine. Si potrebbe essere in presenza, quindi, di una aggiunta o i meglio di una modifica in corso d'opera. ...e una scala davvero geniale Coerente con l'ipotesi del “campanile” sarebbe un altro elemento: la scala accessibile dall'attuale sagrestia dove si è ritrovato l'autografo di Cesare Penna. Durante l'indagine diretta è emersa un'altra scala (anche questa interrotta) che non compare nei tre rilievi qui presi in esame e realizzati da altri studiosi. Questa seconda scala è, per dimensioni, simile alla prima e con questa sembrerebbe formare una doppia scala tale cioè da consentire a due persone di salire e scendere senza incontrasi (come le rampe del più celebre pozzo di san Patrizio a Orvieto – costruito su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane nel periodo 1527-37 oppure, nel secolo scorso, come alcune scale usate da Adalberto Libera nel palazzo dei Congressi a Roma). Questa soluzione funzionalmente efficace, sarebbe tornata particolarmente utile anche (o forse, a maggior ragione) in un campanile e soprattutto durante la fase della sua costruzione. Le due scale erano accessibili da due porte distinte disposte agli angoli dello stesso lato della sagrestia attuale; di queste due porte ne è rimasta solo una, l'altra sarebbe stata distrutta (unitamente almeno ai primi tre gradini della seconda scala) quando fu aperto il corridoio che collega sagrestia e uffici parrocchiali attuali. Segnalo, infine, che
Le finestre dell'abside Nel piccolo cortile della Prefettura di Lecce oltre che, come detto, i probabili resti del campanile della chiesa di Santa Croce è visibile anche una parte, circa la metà, dell'abside e, di quest'ultimo, in particolare, alcuni dei suoi finestroni: due al piano inferiore e i due corrispondenti superiori. I due (inferiore e superiore) posti là dove l'abside diviene tangente con l'edificio della Prefettura sono murati integralmente; i due contigui alle mura del “campanile” completamente svuotati. Analizzando i resti e soprattutto le tracce di muratura scalpellata presenti nei due finestroni non murati (nonché i punti di giuntura e ciò che si intuisce sotto la tinteggiatura delle murature) è possibile, seppure al momento solo qualitativamente (per ragioni di sicurezza si è rinviato il rilievo diretto di questa parte), ricostruire quale era il loro aspetto originario. I finestroni del primo ordine avevano una schermatura lapidea costituita nella parte bassa da una trifora con due colonnette centrali e due semicolonnette laterali (tutte dal fusto liscio) addossate ai muri del finestrone; tali colonnette sono sormontate e collegate tra loro da archetti fra i quali, a colmare lo spazio mistilineo di ogni pennacchio, è un motivo decorativo costituito da un fiore che “sostiene” una sporgenza del parapetto superiore. Fra l'abaco e l'echino del capitello di colonne e semicolonne, sulle diagonali degli angoli, sporgono delle foglie che si piegano all'esterno su se stesse abbracciando l'echino. Alla prima trifora, sormontata da un parapetto, se ne soprappone una seconda simile seguita a sua volta in altezza da un altro parapetto. Questo doppio ordine di trifore arriva sino all'imposta dell'arco con cui si chiude ogni finestrone. I parapetti, i cui risalti (come fossero basse paraste) sono posti in asse con le colonnette, sono delimitati sopra e sotto da una cornice modanata e spezzata in corrispondenza dei risalti; le specchiature, corrispondenti ai vuoti fra le colonnette, avrebbero avuto una decorazione a cerchi. La parte centinata delle finestre a pian terreno, all'interno, aveva una caratteristica decorazione costituita da archi di cerchio appiattiti che si proiettano (alcune parti sono ancora visibili) verso l'interno dell'intradosso della finestra stessa; questo tipo di decorazione è simile a quella presente sul timpano triangolare che sormonta l'altare Adorno-Loffredo già qui ricordato. Al secondo piano vi erano delle bifore simili a quelle presenti in numerose architetture rinascimentali: la parte centinata aveva due archi poggianti su una colonnetta centrale e due semicolonnette laterali sporgenti dai muri perimetrali del vano finestra; al di sopra dei due archetti, al centro, un cerchio tangente ai due archetti sottostanti ed alla centina della finestra (questo schema sembrerebbe ripetersi anche nella parte più interna della stessa finestra). Fabio A. GRASSO fabiograssofg@libero.it
Fine