L’AMORE DI GISELLA ATTO PRIMO La porta aperta. Una stanza piena di cianfrusaglie, arnesi da contadino, galline che beccano indisturbate. SCENA PRIMA Al levarsi della tenda Pipo e Ninì litigano da un bel pezzo come fanno da tempo antico. Betta, con aria annoiata ed i capelli ancora avvolti nei colorati bigodini, stenta ad accorrere e si rassetta la cuffia. PIP. (Porta il berretto di sbieco, magro, bassino, occhi cerulei e accesi come la passione che lo infervora nella giovinezza piena. Ninì ha il volto emaciato e i capelli ritti come spighe mature. Giovane anch’egli non si lascia intimidire e affronta la vita con determinazione.) Rieccoci d’accapo! Ogni giorno la stessa storia, non ti sei ancora stancato? NIN. (Profondamente turbato) Smettila di tormentarmi ogni santo momento. Lo vuoi capire che non sono stato io? Cos’altro debbo fare per convincerti? PIP. (Come per levare la piccola falce che teneva sempre pronta, per incutere paura) Ch’io possa crepare adesso se non sei stato tu! NIN. (Quasi a cantilena) Abbassa le mani, chi ti ha insegnato a fare codeste improvvisate? Non sono cose per te queste. Non ne hai la stoffa! Sei di un’altra tempra tu, ben più elevata e onesta! PIP. (Col suo berretto grigio, da uomo adulto nonostante la sua giovane età, i calzoni corti e larghi sorretti da bizzarre bretelle nere, forse ereditate da un suo avito, non ancora sperimentato alla vita ma abbastanza scaltro da sapersi divincolare nelle situazioni estreme.) Non credere che io non sia capace di fare una mala azione! BET. (Che finora era rimasta a sentire, vedendo degenerare la lite finalmente accorse.) Fermatevi, per l’amor di dio, fermatevi! Che strazio siete! Ma quando la finirete una buona volta? SCENA SECONDA Detti e Giosuele GIO. (Mezzo deficiente e cieco dall’occhio destro. Non che ci fosse nato ma la cattiva sorte lo accecò con un colpo solo e repentino) Io ho visto tutto! (comincia quasi divertito, proferisce le parole lentamente e con lunghe cadenze da far rabbrividire) però obbedirò alla volontà di chi mi offrirà di più. A voi gentile Pippo? (e gli tende una mano) o a voi Ninì bello come la luna quando nuvole la velano? (gli tende l’altra.)
NIN e PIP. (Cessano di litigare e si guardano stupiti, con aria canzonatoria) Ma che vai dicendo razza di imbecille! Cos’hai visto? Chi? GIO. (Si rivolge a Pippo) A voi contare le pecore di Ninì. (Poi a Ninì) Se t’inganno ti pagherò io! PIP. Se Giosuele non dice il falso me la pagherai. NIN. (Fra sé) (Ahimè, costui dice il vero! Devo escogitare un sotterfugio altrimenti non ne uscirò vivo.) Giosuele, a buon rendere. (Si dilegua come un felino) A presto amici, la storia non finisce qua! GIO. (Inebetito) Ma a me, i soldi, chi me li dà? (Si gratta il capo con un dito.) SCENA TERZA Gisella, Geppina la governante GIS. (Figlia del signorotto del paese, mesta e rosea nel volto come beato papavero, vestita di bianco come candido giglio, occhi neri come i capelli, folti e belli come chiome mosse dal vento. Tutti ardevano d’amore per lei e lei li rifuggiva come lucertole il freddo.) Avete visto mio padre? GEP. Dev’essere nel suo ufficio; chiuso, sigillato, come sempre. Ha solo in testa calcoli, entrate, spese, numeri a vanvera. Crede di essere un padreterno e che il denaro gli dia l’immortalità. GIS. Badate a come parlate! Dite il vero ma è mio padre e non mi piace contraddirlo. Ma dov’è? Devo parlare con lui. GEP. Perdete il vostro tempo. Non vi darà ascolto. GIS. Questa volta dovrà Geppina. Avete forse tanta fiducia in voi stessa da creder di poter mutare il suo modo di pensare? Quale novità vi spinge a tale convinzione? GIS. Nessuna, che io sappia. GEP. Forse è quest’aria fresca di mattina che porta queste buone nuove. GIS. Corro; non ho intenzione di perdere altro tempo. (Esce) SCENA QUARTA Gisella e Gustavo (padre affettuoso, premuroso ma severo ed austero negli affari e nella vita.) GIS. Padre, dove siete? GUS. Vieni pure, sono qua gioia mia; lo sai che con questi conti non mi ci raccapezzo. Troppi calcoli mi si avventano nella mente; sono già in alto mare. GIS. Non vi crucciate! Ci sono ben poche cose nella vita che possono destare in noi tristezza, il denaro lo escludo per primo, anche voi dovete farlo. GUS. Tesoro mio, un giorno capirai tante cose che ora ti sembrano vane. Se non
avessimo a che fare con codeste monete ah che disgrazia, che disgrazia, figlia mia! GIS. Padre, non è di danaro che voglio parlare. GUS. Cosa pensi di me figlia cara? Quale strano mistero ti plasma creando chissà quale visione? Spesso mi tormenta questa domanda, mi affligge il pensiero che tu abbia poca stima di me. GIS. Cos’è questa tristezza padre? Non vi ho mai visto così amareggiato, siete ammalato forse? GUS. Si Gisellina mia, nell’anima. GIS. Non potete, non dovete parlare con siffatta uggia. Consolatevi, vi vogliamo tutti un gran bene, ed io più di tutti. Anzi, ho tanto a cuore il vostro buon’umore che mi sento in debito con voi, per avervi trascurato e non aver saputo cogliere i vostri moti dell’animo bui e sofferenti. GUS. E’ quel bell’Antonio che vi allontana da me? GIS. Non dite male di lui! Sapete quanto lo amo. GUS. Che parolone! GIS. Sì, è proprio così! GUS. Lo ami più del tuo caro padre? GUS. Quanto voi, senza distinzione di sorta. Lo amo quanto la mia cara madre e quanto voi che anche ora vi dimostrate così premuroso! GUS. Lui vi ricambia, vi vuole davvero tanto bene quanto dice? GIS. L’avete visto da voi! GUS. Bene, se lo amate, come dite voi, perché indugiate? Fatemelo conoscere. GIS. Lo vorrei se… se lui non avesse paura di presentarsi davanti ai vostri occhi. GUS. E cosa avrà fatto mai per provare cotanta uggia! GIS. Nulla!... (Squittisce con premura). E’ solo la sua condizione, ecco. GUS. E figlia mia! Voi piano piano mi volete ammorbidire la pillola. GIS. Voglio solo essere sincera con voi. GUS. Credete che questo mi faccia sentire meglio? Conosco già la vostra purezza d’animo, ma questo non dà sollievo al mio sospetto, vagheggio cosa avete in mente di dirmi. GIS. Voglio essere felice. E’ una colpa questa? GUS. No figlia mia, certo che no. Basta però che non sia un pretesto per nascondermi qualcosa! GIS. Quant’è immenso il vostro dubitare! GUG. Ed ho ragione? GIS. Vi sbagliate, enormemente. GUG. Attendo allora piccola mia, qual è il problema? GIS. I suoi natali, mio caro padre, sono di umile schiatta. GUG. Ed il suo sentire? GIS. Non capisco padre. GUG. Il suo animo quale indole lo riveste? GIS. La migliore che io abbia mai conosciuto.
GUG. Mi fido di te. Sai che ho avuto sempre ammirazione e rispetto per le tue scelte. Mi stupisce solo il fatto che tu abbia bisogno di sentirti rassicurata dal mio assenso. Dovresti conoscermi, cosa vuoi che me ne importi delle sue origini! GIS. Allora padre mio?... (Gli baciò le mani e corse via.)
SCENA QUINTA Guglielmo, rimasto solo, riflette lungamente su quanto è accaduto. “Non posso che assecondarla!” si ripete col sangue fin sulla fronte. Ma subito nella sua mente sorge l’esatto contrario ed il dubbio l’assale: “E se quell’uomo fosse uno dei soliti furfantelli a caccia di fortuna? Mah, staremo a vedere!”
SCENA SESTA Gisella e Geppina GEP. Allora? GIS. Cosa vuoi sapere? GEP. Tutto! S’è comportato a dovere? GIS. Pare di sì. Mio padre è un angelo, a tuo dispetto. GEP. Miracolo! GIS. Mi vuole troppo bene per non assecondarmi. GEP. Anche se voi sbagliate! GIS. Ma che dite? GEP. Non sapete nulla del vostro caro amore! GIS. Conosco abbastanza da affermare con sicurezza di non essere ingannata. GEP. Ah, bella età la vostra! Spensierata, piena di speranze. Non vedendo non temete il peggio. Il vostro cuore è completamente infatuato. GIS. Ah quant’è incommensurabile l’amore! Mi fa gioire, avere sempre il cuore in allegria. GEP. Non conoscete le pene! GIS. Non me ne dà il motivo tanto è gentile. GEP. E voi siete completamente persa, vi ripeto. GIS. Voi siete assai pungente oggi, non vorrei che le vostre sciagure le riversaste su di me! Ma dite piuttosto, nella vostra giovinezza nessun bel giovinetto ha fatto trepidare il vostro cuore? GEP. Certo che sì e per lungo tempo. Ma… vedete, quelli sì che erano amori; gli uomini si innamoravano perdutamente e ci donavano tutto il loro cuore. GIS. A me pare che anche oggi sia così. GEP. Oggi, niente affatto! Giurano eterno amore ad una donna pensando intanto a
come propiziarsi il cuore di un’altra fanciulla. GIS. Ma Geppina, che cosa mi vorresti far capire? GEP. Non crederete certo alle belle favole! Quelle eran storie d’altri tempi. GIS. Mi sta scoppiando il fegato dalla bile. Non ci posso credere. Vorreste farmi intendere che il mio amore ha nelle sue grazie un’altra dama? Cosa mia tocca sentire! GEP. Ma io, veramente… GIS. E dite, ne avete le prove? GEP. Io non so nulla e non avevo il proponimento di mettervi in capo alcun dubbio. GIS. L’avete fatto di proposito invece, per mettermi la pulce nell’orecchio. Lo sapete che mi create un tarlo che non mi darà pace fino a quando non ne verrò a capo. GEP. E mia cara signora, sapesse quanti rospi ho dovuto ingoiare io! GIS. Ancora, ma cosa sono queste vostre parole? Cosa mi nascondono? Dite e non dite. Così finirete davvero per farmi uscire di senno. GEP. O insomma! Io non ho detto niente! Me ne torno in cucina, c’è da preparare le cena per stasera. GIS. E no! Non ve la cavate fuggendo! GEP. E’ veramente bella questa! E’ colpa mia se la gente non si comporta come dovrebbe? GIS. Ma chi… chi ha sbagliato? In che cosa? Parlate, ve ne scongiuro! GEP. Sì, proprio! Voi sareste capace di cacciarmi di casa se io osassi soltanto accennare ciò che tengo nel cuore da parecchi giorni ormai. GIS. Lo farò davvero se non parlate! GEP. So che vi darò un gran dispiacere; ecco perché finora ho taciuto. Pensavo fosse la cosa migliore. Ma che angoscia per me è stata pensare al torto che vi facevo! E poi i vostri occhi, i vostri grandi occhi luccicanti, mia cara Gisella, erano lo specchio in cui vedevo riflesso il mio dolore. Non c’è niente di più terribile che fingere che tutto vada bene e intanto immaginare il giorno in cui le nuvole bagneranno il buon umore. Celare la verità a una persona cara, ingannarla giorno dopo giorno è un peso che non posso sostenere e voi, proprio voi coi vostri bei discorsi, mi avete dato spunto e coraggio per parlare. GIS. (Siede afflitta socchiudendo gli occhi).Mamma che angoscia! Chissà cosa m’aspetta! Temo di aver sbagliato tutto. GEP. E ancora non vi ho detto niente, padrona mia! GIS. Non ce la faccio più. GEP. Dunque, cercherò di essere sintetica. Dovete sapere che la famigerata donna Carmelina ha sempre avuto un debole per uomini avvenenti e… GIS. Ah povera me! GEP. Aspettate, fatemi palare. Voi non potete nemmeno immaginare! Stavo dicendo? Ah, sì! La bella signora ha avuto premura di prendersi tutte le gioie della vita senza alcuno scrupolo. Senza badare al dolore che causava nelle giovani mogli che, ahimè… pur sapendo, dovevano dividere il proprio uomo con lei e tacere. Di chi non s’invaghiva! Tutte le mogli ne erano terrorizzate. Tutti in paese sapevano ma nessuno osava
ribellarsi. Persino il parroco, di tanto in tanto, non si rifiutava di aprire le porte della canonica. Il destino volle regalarle una bimba che ella amò più d’ogni altra cosa al mondo. L’ha cresciuta senza padre, senza nessuno che le regalasse un sorriso e si legò a lei profondamente. “Senza di lei non potrei vivere”, le sentivamo dire sovente. Ma il caso volle che la serenità conquistata con così dura fatica le venisse deturpata ingiustamente. “E’ davvero strana la vita! Quando la luna pare illuminare un cammino tortuoso ecco che la mala ombra incombe ad oscurarne le buone speranze”. Si ripeteva pensando a quanto la fortuna avesse scagliato contro di lei tutte le sue ire. Presto se ne andò, ma prima si fece promettere dalla sorella che non avrebbe lasciato sola la sua piccola. Il caso volle che la sorella si trasferisse qui da noi, non possedendo nulla nella terra di provenienza. Ahimè! Pure essa era della medesima indole di donna Carmelinda e non poté non portare lo scompiglio nel nostro piccolo paese. Alla nipotina non faceva mancare nulla e anche gli uomini potevano dirsi soddisfatti. Tra le donne ci fu di nuovo il parapiglia. Tutte si riunivano nelle dimore delle malcapitate e meditavano sempre nuove soluzioni contro questa svergognata. Fu questo nuovo vento che scosse le ali anche del vostro benamato. GIS. Bene! Ora ditemi il nome di essa, il luogo... certo, dove abita. Non ho intenzione di piagnucolare o di ordire trame infruttuose. Ciò che desidero è semplicemente recuperare ciò che mi spetta. Fosse anche l’ultima cosa che farò. GEP. Non potete immaginare il sollievo che mi date. Temevo il peggio. Se sapeste quante notti non sono riuscita a prendere sonno! Il solo pensiero che il dolore vi avrebbe devastata, non foss’altro per avervi taciuto un segreto che non potevo più trattenere e che non mi dava pace. GIS. Se tu avessi continuato a tenermi all’oscuro credo che non ti avrei mai perdonata. GEP. Pure questo era nei miei timori. GIS. Non ti avrei più considerata l’amica cara che hai sempre dimostrato di essere. Forse sarebbe stato meglio se mi avessi inferto una pugnalata alle spalle. GEP. Ma ora via, voglio aiutarvi! Datemi disposizioni e saprò servirvi. GIS. Prima d’ogni cosa aiutatemi a cercare Felice. Devo chiarire innanzitutto con lui. Mi sembra la cosa più sensata da fare. Muoviamoci, allora! (Geppina parte)
FINE ATTO PRIMO
ATTO SECONDO SCENA PRIMA Geppina e folla.
GEP. (Per le vie in cerca di Felice) Buon’uomo, avete visto il nostro caro don Felice? Ho premura di trovarlo ma… non riesco… UN UOMO. (Si volta mentre toglie le erbacce con una zappa su di uno stretto sentiero) Donne Geppina sarei lieto di servirvi ma, come ben vedete, questo podere è troppo misero e ben distante dal paese ad essere attraversato da gente come lui! Noi siamo povera gente; il mondo non passa di qua e, se succede, nessuna si ferma mai. GEP. Non siete carino sapete? Anch’io sono degli stessi vostri natali e non mi lamento! UN UOMO. Se cerchi costui, la sorte non dev’essere stata tanto tiranna con voi! GEP. Ma che ne sapete! (Si rivolge ad un passante) Di grazia, sapreste dirmi dove posso trovare il signor Felice? Voi non siete un cialtrone come codesto uomo? (Lo indica) Sicuramente saprete darmi una mano voi! PASSANTE. Vorrei, con tutto il cuore ma non conosco il vostro signor Felice, né mi sovviene a quale signorìa appartenga. GEP. Ma come, voi non siete mastro don Oreste, il ciabattaio, figlio del nostro dilettissimo don Simonpietro? PAS. Sì, per servirvi! GEP. E che avete perso la memoria? PAS. Precisamente una nebbia ha precipitato la mia povera mente nell’oblio da quando un aneurisma mi ha assalito a tradimento. GEP. Ah! Ora capisco. Sono dolente. (Intanto io non ho nessun conforto per risolvere il mio problema) (Tra sé) PAS. Chiedete alla Bettina, è lì che ciancia accanto a quella santa di donna Elena. E’ nata e vissuta sempre qui, non è mai uscita dal paesello. Non conosce altro all’infuori del nostro mondo, neanche immagina cosa ci possa essere al di là del confine. GEP. (A trovarne uno giusto stamattina!) (Tra sé) Vi ringrazio; corro, prima che donna Elena vada via.
SCENA SECONDA Geppina e don Felice DON. (Corre verso Geppina, allarmato) Signora Geppina, ho saputo, mi hanno detto. Mi state cercando? E’ successo qualcosa alla vostra padrona? Ho un gran bello spavento nell’anima. GEP. Calmatevi don Felice mio! State sereno, la mia signora è in buona salute. (Fra poco vedrete come vi preoccuperete veramente!) (Tra sé) Anzi mi ha mandato per cercarvi, vi vuole parlare. DON. Quale urgenza! Non ho parole. (Diventa dubbioso). Non sapete forse voi donde deriva tanta premura? GEP. No, per servirvi! Non mi è stato riferito nulla. DON. Va bene, informatela che non mi farò attendere. Intanto, andate andate! (Si
salutano e partono)
SCENA TERZA Gisella e Geppina GEP. (Entra Geppina urlando) Signora, dove siete? Sono io Geppina, sono tornata. GIS. (Entrando in scena di corsa) Geppina, cara! Sei già di ritorno? Eccomi, sono qua! Quale buona nuova mi porti? GEP. Se solo foste stata lì con me poco fa! Cos’hanno visto i miei occhi! Sono corsa subito a raccontarvi. Le mie gambe non hanno sfiorato il suolo. GIS. E allora? GEP. Signora mia com’è rimasto di pietra! Persino le labbra hanno cominciato a tremargli e la voce!... Se l’aveste sentita! Quasi non la riconoscevo. A stento è riuscito a dire che sarebbe venuto presto da voi. GIS. Così viene presto! Viene subito! GEP. Dai, vi aiuto a prepararvi. GIS. Sì, te ne prego! Son in un tale disordine! GEP. Non scoraggiatevi! Faremo in un baleno. Tutto si risolverà, vedrete!
SCENA QUARTA Gustavo (padre di Gisella) solo, accanto al caminetto GUS. (Sdraiato su un canapè, guarda con occhi spenti lo sfavillio della fiamma e riflette perplesso) Questa adorata figlia mi dà seri motivi per stare in pensiero. Fino a ieri mi ripeteva che ama quello screanzato da morire, che non ha mai provato un sentimento così speciale, come lo definisce lei. In verità non l’avevo mai vista così contenta e sicura di sé. Qualcosa potrà pur voler dire! Tutta intenta a vivere le piccole quotidianità con entusiasmo ed il mio cuore che si empiva di gioia. Non ho mai condiviso l’amore per quell’uomo; la sua fama di fannullone e non so cos’altro, non è certo confortante per un padre! Non ho mai osato dire alla mia Gisella quello che penso, con onestà e con le giuste parole che non la potessero ferire. In questo, lo confesso, sono stato un vigliacco. Ma come avrei potuto sopportare di vedere la luce nei suoi occhi spegnersi come stelle ai primi albori? Non avrei potuto sostenere un tale dolore e su questo sono sicuro. Così, stamattina, con mia grande sorpresa, il fulmine a ciel sereno. Non ci potevo credere. Avevo udito proprio bene. La mia Gisella parlava con Geppina, quasi sottovoce, mentre le proferiva: “Se tutto ciò che dici è vero, se costui è davvero un briccone, allora saprò come comportarmi.”
Davvero inconsueto. Cosa può voler dire?Tutto e niente. Può essere che la verità, quella che da sempre conosco, sia riuscita a scuoterla? Sono assalito dalla curiosità. E il bello è che non so neanche quale sia la cosa migliore per lei. Proprio non saprei. Ma voglio accertarmi di persona. Vedrò cosa ha da dirmi di nuovo, sempre che Gisella avrà la volontà di parlare con me. Tante volte mi ha negato i suoi pensieri, le sue ansie. Come se un muro si fosse innalzato fra di noi e avesse precluso ogni dialogo. Avrei voluto essere un buon amico per lei, come colui al quale sorge spontaneo confidare le proprie pene o farlo partecipe dei sentimenti, delle delusioni più profonde. Spesse volte tutto ciò mi è stato negato. Io ero come un nemico a cui nascondere ogni piccolo moto dell’animo. Mille volte ho voluto di impedire questo distacco, cercando di conquistare la sua fiducia ma evidentemente non ho fatto abbastanza se non sono riuscito a conquistare la sua stima, la considerazione che mi spetta. D’altronde, cosa potevo fare io, povero uomo, da solo! Sua madre ci ha lasciati soli e indifesi in egual misura; lei piccina ed io straziato dal dolore. E’ stata una sofferenza improvvisa, inaspettata; nessuno di noi era preparato ad affrontare la vita da soli e in cotanto strazio. Gisella nella sua innocenza non ha avuto la gioia ed il conforto di una madre premurosa ed io l’immenso amore che sino alla fine aveva saputo darmi. Quanto dolore dovetti affrontare! Non riuscivo a placare la sua sofferenza nei primi tempi. Ricordo ancora quanta fatica faceva quando guardava la sua foto e quante lacrime davanti alla sua tomba! Si rifiutava di pensarla lontana da lei. E poi l’ho cresciuta con tante difficoltà e incalcolabili sacrifici, l’amore di una madre è un dono difficilmente sostituibile. Ed ora, a distanza di tanto tempo, non viviamo una condizione migliore. Lei avrebbe saputo cosa fare in questa circostanza con Gisella, avrebbe saputo trovare le parole adatte per aiutarla e starle vicino nella maniera più appropriata. Così il destino ha negato questa fortuna ad entrambi: a me di gioire in ogni istante della mia vita del suo sorriso e a lei di avere una spalla cara su cui appoggiarsi quando le forze le sarebbero venute meno. Mi avrebbe alleviato da tante cure e a lei avrebbe regalato la certezza di un sorriso lieto e sicuro. Povero me! Ma ora basta, non voglio tormentarmi ulteriormente. Se a malapena provo a calarmi nei ricordi e a lasciarmi andare tra i mari della tristezza allora una grossa fitta al cuore mi strazia e quasi mi toglie il fiato. Il dolore diventa insopportabile, mi estranea e comincio a vagare nel nulla, completamente fuori dal mondo. Ma voglio conoscere gli ultimi risvolti della mia Gisella. Se non ne vengo a capo davvero mi sembra di impazzire. (Esce)
SCENA QUINTA Geppina, Gisella e Gustavo
Gisella sul canapè, desolata, si abbandona al suo tormento. GEP. Padroncina, non vi crucciate! Non tarderà a venire il nostro caro signore. GIS. Oh, su questo… non ne dubito! Se ha qualcosa da nascondere non tarderà a giustificarsi. Ma ciò che mi procura maggiore sgomento è come riuscirò a trattenermi. Una nuova realtà dovrò affrontare. Tutto si spalancherà o si chiuderà davanti ai miei occhi. Posso sperare in un futuro? Quali giorni mi attenderanno? Quanto altro dolore si aggiungerà a questo presente? GEP. Ma suvvia! Padroncina mia, non abbiate di questi pensieri! Tutto si risolverà. Cosa volete che sia? Quando sarà qui voi non resisterete, crollerete ai suoi piedi e, se anche avesse commesso qualche errore, voi lo perdonerete semplicemente perché non gli sapete resistere, perché lo amate. (Si ode la voce del padre dare disposizioni ad un suo servo) GUS. (Al servo) Sbrigatevi, non fatevi attendere per la cena, come avete fatto l’altra sera! (Vede Geppina che gli va incontro). E’ in camera mia figlia? Vorrei parlarle. GEP. No! No, no… poco fa è andata di là, a fare non so cosa… Questa benedetta ragazza! Ha sempre tanti grilli per il capo! GUS. Ma come, se l’ho sentita fino a poco fa blaterare con voi? GEP. (Imbarazzata) Eh, ma voi che dite? Certo, vi potrà essere parso...! Avete di sicuro udito male. GUS. (Inarcando gli occhi, mostra d’aver intuito qualcosa e insiste) Fatemi passare, voglio vedere con i miei occhi. Voi non la raccontate giusta. Scusatemi… (e lievemente la scosta per un braccio.) GEP. Ma no! Non potete! Statemi a sentire! GUS. Andate a fare pulizie piuttosto! Non mi infastidite! (Geppina torna indietro e cerca di avvisare la sua padroncina. Fa per aprire la porta quando esce Gisella, all’improvviso.) GIS. Padre, cos’è stato? GUS. Figlia mia, come stai? GIS. Bene! GUS. E allora cosa sono tutti questi misteri? Quella stupida mi ha fatto prendere un bello spavento. GEP. Ma io…! GIS. Non volevo vedere nessuno, ma voi padre, vi sapevo fuori, dai nostri fattori! GUS. Volevo andare ma un cruccio che non riesco ad allontanare dalla mente mi ha condotto lì da te. Voglio vederci chiaro mia piccola Gisella. GIS. Su cosa? GUS. Sulla vita che conduci, su quell’uomo che affermi di voler bene. GIS. Non ho niente da dirvi, padre mio! Ma perché siete così turbato? GUS. Dovresti dirmelo tu, figliola mia. (Entra Geppina offuscata in volto e cerca lo sguardo di Gisella).
GEP. (Quasi sottovoce) Il signor Ninì chiede di parlare con voi padrona. GIS e GUS. (Assieme) Chi?
FINE SCENA QUINTA
ATTO TERZO SCENA PRIMA Detti e Ninì NIN. (Entra canterellando a bassa voce) Tra… llà… llà…llà… GIS. (Stralunata, incredula, lo guarda e non osa parlare.) Voi!... GEP. (Le viene incontro). Signor Ninì, qual buon vento vi ha spinto fin qui? NIN. (Smette di cantare e si avvicina a Gisella incantato; le bacia la mano). Quale bellezza! Mi abbagliate con più luce dell’arcobaleno! (Poi si dirige verso Geppina, fa un inchino e dice). Nessun vento ma il sole raggiante. GUS. (Risentito per non aver ricevuto alcun saluto) Chi è stato il vostro maestro il buon e caro Felice! (Gran silenzio: Geppina e Gisella si guardano sbigottite) NIN. Io sono venuto qui a riferire soltanto due parole in santa pace. Il vostro sarcasmo di certo non mi aiuta. GIS. (Rossa in volto e quasi senza fiato) E per conto di chi, se non vi spiace? NIN. Ma di lui! E di chi altri? Proprio di don Felice! (Tutti saltano dalla sedia; Gisella sta per svenire e Guglielmo impreca esasperato. Ninì si contorce tutto nel volto come inebetito, non capiva quel delirio. Geppina corre a chiamare altri servi e Guglielmo prova a rinvenire la figlia.) GUS. Figlia mia! risollevati, su! (Intanto torna Geppina con unguenti e altri servi) (Esce Ninì defilato). GEP. Signora padrona, quale sventura in questa casa! (Le passa sotto il naso del batuffolo imbevuto con dell’aceto e continua a piagnucolare (Proprio a noi doveva capitare questo guaio! Ma chi ce l’ha mandato questo Ninì oggi? E quel don Felice poi…! ). GUS. Ah, lo dicevo io che c’entrava quel birbone! GIS. (Apre gli occhi e tenta di sollevarsi). Ah padre mio! GUS. Non ti muovere, stai calma piccola mia! GIS. Non volevo creare questo scompiglio, credetemi padre mio! GUS. Pensate a rimettervi, lo sistemerò io quel vigliacco, qualunque cosa abbia fatto. GIS. Non è niente, non vi crucciate. Non è colpa di nessuno. Il signor Felice non c’entra nulla. GEP. Povero!
GUS. Ora non è il momento di discutere. Rimettetevi prima, poi sistemeremo la faccenda.
SCENA SECONDA Detti GIS. (Come se si fosse destata dopo uno strano sogno) Ma perché tutto questo? E dov’è Ninì, voglio parlare con lui? GUS. Quello sciocco! GEP. Già! Lo abbiamo dimenticato. GUG. E’ scappato con la coda fra le gambe quello sgangherato. GIS. Ma come, senza dirci nulla? E ora come farò a conoscere il pensiero di don Felice? GUS. Solo a lui sapete badare, vero? Persino in un momento come questo! GEP. Perdonatemi signora, me lo sono lasciato sfuggire. Ero troppo preoccupata per il vostro stato. GIS. Oh mio dio! GEP. Rimedierò padrona, state tranquilla! Correrò subito; so dove trovarlo e mi farò svelare il volere di don Felice. GIS. Si mia cara, ve ne prego. GUS. Andate, andate, cercatelo pure! Tanto, peggio di così! (Geppina esce)
SCENA TERZA Ninì e don Felice DON. (Sollecito e premuroso) Mio fido Ninì, quale affanno! Che cosa vi è accaduto? Nin. (Col fiato alla gola) Voi non potete immaginare! Nessuna parola potrebbe significarvi quello che ho veduto. DON. Raccontatemi, ve ne prego! NIN. Prima debbo sedere e trovare la forza. DON. Voi, mio caro Ninì, trattenete il mio cuore in una tale ambascia! NIN. Non so bene neanche io esprimervi con parole chiare ciò che ho veduto. C’è stato un tale parapiglia che temo di non sapermi spiegare nel modo migliore. DON. Come non sai dirmi? E che razza di scempiaggine è questa? Hai parlato con la signorina Gisella o no? NIN. Sì, ma…! DON. Ma cosa? NIN. Eh, che volete che vi dica!
DON. (Sgomento e con la bocca aperta per l’incredulità) Ma questa è davvero bella! NIN. Ancora non sapete nulla! DON. Ma se non parli? NIN. C’era il signor padre. Non vi dico quant’era inalberato! Sembrava un burbero, pronto ad attaccar briga. DON. E poi? NIN. Lei, la serva, che non sapeva come tenerlo a bada e con un occhio di sbieco guardava la sua padrona perché si preoccupava del suo stato d’animo. Sembrava al centro di un baratro dal quale non riusciva più a scostarsi senza rischiare di precipitare. DON. E lei, Gisella, che faceva? NIN. E’ venuta meno. DON. Cosa? NON. Proprio così, non appena ho accennato d’essere stato mandato dalla signoria vostra c’è stato un gran subbuglio. La signorina Gisella è cascata come pera cotta, il padre a imprecare e la serva a correre ai ripari. Io non ci ho capito nulla e di soppiatto me ne son fuggito via per non rischiare il peggio. DON. (Con estrema meraviglia) Sono rimasto senza parole. NIN. Che vi avevo detto? DON. E che vuol dire? NIN. Ora è compito vostro.
SCENA QUARTA Gisella nella sua stanza e Gustavo GIS. (Disperata, con le mani si copre il viso) Padre mio, non posso che darvi ragione. GUS. Vorrei aver sbagliato. GIS. Ed io avervi ascoltato. GUS. (Cerca di scoprirle il volto e di rincuorarla) Figlia mia, non disperare! Non tutto è perduto. Non hai certezze e poi…, cosa che mi pare tu abbia trascurato, è alle sue parole che devi credere. Lo hai forse visto? GIS. (Sorgendo col capo, come se una luce nuova l’avesse sospinta e stringendole le mani il padre le avesse indicato la via buona per giungere fin dove portano le stelle) Certo che no! Lui, lui mi saprà dire, allevierà questo mio tormento. Oh padre mio, cosa farei senza di voi! GUS. Su, coraggio! Non fermarti mai di fronte all’ostacolo. Cercalo e trasformalo in una morbida Via Lattea. Nulla sarà per te impossibile ma ogni difficoltà ti arricchirà di una forza nuova. Vai ora, prima che si spenga la fiamma che accende i tuoi occhi. Non indugiare! Trovalo e mostra di chi sei figlia. GIS. (Ilare) Vi adoro padre mio. Come sempre, siete la mia ancora. (Lo abbraccia e
corre via).
FINE ATTO TERZO
INIZIO ATTO QUARTO SCENA PRIMA Ninì, don Felice, Geppina e Gisella DON. (Fa per uscire dalla stanza ma la voce di Geppina lo fa destare. Rimane immobile, leva il capo verso il cielo e tende le orecchie come per sincerarsi d’aver udito bene) Ninì, ho udito bene? NIN. Eh… GEP. Signor Felice! DON. E’ proprio lei, vai. Ninì, vai ad aprire! Presto! NIN. (Si precipita verso la porta, saltellando come un grillo). DON. (Si siede sul canapè, trova una postura che esprime indifferenza e accende una sigaretta. Intanto entra Geppina). GEP. Oh don Felice, è una gran fortuna per me avervi trovato in casa. Tale è l’ambascia della mia padrona che non avrei osato tornare a casa senza portarle buone nuove. DON. (Ninì entra e siede senza fiatare) Perché tanto affanno, mia cara Geppina? GEP. Ma come, non sapete? DON. Cosa? (A Ninì) C’è qualcosa forse che dovrei sapere? NIN. (Fa per rispondere ma don Felice lo blocca). Ma io… don, come al solito mi nascondete le cose più importanti. Andate, andate pure! Avremo tempo per discutere ben bene… GEP. Non ci capisco più nulla! DON. Venite, avvicinatevi e vedremo di intenderci meglio. GEP. Signore mio, qui veramente si rischia tanto. La salute della mia padrona, la pace nella sua casa, io il lavoro ed il rispetto della mia adorata padrona. Voi siete in dovere di risollevarci tutti da questo fardello. DON. Mamma mia, ma voi mi fate spaventare! Ditemi pure cosa vi occorre. E la mia Gisella che cos’ha a che fare con tutto questo? GEP. Signore mio, voi avete messo il suo cuore in una brutta ambascia. DON. (Accigliando gli occhi, si poggia una mano sul petto). Io, e cosa ho fatto mai? GEP. Via, non fate il finto tonto! DON. (Sta per incalzare ma si ferma e leva una mano per aria) Ma questa è la sua voce! (Fa per precipitarsi nell’altra stanza quando viene arrestato dall’improvvisa visione di Gisella) Voi qui?
GIS. Per servirvi, mio caro Felice! DON. Ma che dite! Voi servire me? Entrate, venite mia dolce Gisella. GEP. (Si precipita verso Gisella e le stringe le mani) Mia signora, siete così debole! Con chi siete venuta? GIS. I miei piedi mi sostengono e sono fedeli! Non temere per me mia cara amica! DON. (Arrossisce e abbassa gli occhi) Ma sedete Gisella. Sarete stanca. GIS. Molto, grazie. (Fa per trascinare accanto a sé anche Geppina ma essa desiste). GEP. No, mia signora, no. E’ meglio che vada. Ho ancora tante faccende da sbrigare che m’obbligano ad allontanarmi. Chiamatemi al vostro ritorno, correrò immediatamente. GIS. (Fece per trattenerla ma Geppina le carezzò le mani e fuggì via) Vi prego! GIS. Vi saluto ambedue e che la fortuna sia clemente con voi!
SCENA SECONDA Don Felice e Gisella (Soli, entrambi provano come un freddo irruente che spiazza il loro animo. Era come se una bufera improvvisa avesse preso consistenza fino a renderli fragili e tremebondi. I loro occhi, seppure osassero sfiorarsi, trasparivano nel profondo un senso di dolore che li paralizza. Così, ma non parlano. E ciò non faceva che dare convincimento ai dubbi che piano piano s’erano accresciuti nel suo cuore. Una nebbia cupa, quasi attonita Gisella leggeva negli occhi di don Felice, che solo una condotta non giusta può creare, inconfondibilmente. Gisella però non regge a lungo quel silenzio così devastante e trova il coraggio per troncare quello strazio). GIS. Avevo premura di vedervi don Felice. Sono contenta d’essere venuta. DON. Anch’io, tantissimo. GIS. Vi trovo in buona salute, me ne compiaccio. DON. Siete gentile. (Di nuovo silenzio. Dopo breve pausa, in pieno imbarazzo, don Felice riprende) Mi spiace se ho creato scompiglio nella vostra vita, non era mio intendimento… GIS. Non è stata colpa vostra. DON. Mi dicono che siete svenuta! GIS. Nulla nulla! Hanno esagerato. DON. Perché vi ostinate? GIS. Voi, voi! Oh! DON. Cos’è che vi turba? Parlate, ve ne scongiuro! Voi tenete il mio cuore in un tale stato! GIS. E non pensate al mio? DON. Soprattutto! GIS. Allora perché lo avete fatto? DON. Cosa?
GIS. Oh, osate negare! DON. Non capisco. GIS. Il vostro comportamento non fa che scavare nelle mie ferite con un coltello incandescente. Stento a credere che sia reale la crudeltà che state elargendo così spontaneamente. Non mi sembrate più voi. I miei occhi vedono un altro uomo che inganna tanto spudoratamente. DON. Mai! Non potrei mai dire il falso! GIS. L’avete fatto ora. (Prende lo scialle sul tavolino e fa per andar via) DON. (L’afferra per un braccio) No! Non andate via! GIS. Nulla mi trattiene più qua. DON. Ve lo impone l’amore che ho per voi. GIS. (Quasi tra sé) O per l’altra! DON. (Porta le sue labbra sulle spalle di Gisella e sussurra con profondo dolore) Vi amo, più d’ogni stella che giace nei vostri occhi. Non potrei vivere senza il vostro respiro. Vi amo infinitamente, con l’amore più dolce e più nobile si possa trovare nell’animo umano. Anche il sole impallidirebbe di fronte alla vostra bellezza ed il vento cesserebbe di soffiare estasiato dalla luce del vostro volto. Non potete lasciarmi solo, non potete… no! GIS. (In lacrime) Mi avete fatto male. DON. Ho sbagliato, è vero. Ma quale uomo può affermare di avere condotto sempre una vita retta e decorosa? Non mi discolpo, niente può giustificare la mia condotta ma il male che vi ho arrecato è solo frutto di un minuto sbagliato, non è venuto dal cuore. L’amore che ho per voi è l’unica verità che posso urlare con certezza, è la luce tra un mare di tenebre. Si spegne la mia vita se mi abbandonate. (La avvolge tra le sue braccia e lui continua a piangere) GIS. (Gisella lentamente si gira e con mestizia gli dice) Voi mi avete uccisa, non potevate arrecarmi oltraggio maggiore. Lei ha sfiorato le vostre labbra (E gliele lambisce con una mano), ha carezzato il vostro volto, si è irradiata coi vostri occhi. DON. Ma non ha avvicinato il mio cuore. E’ vostro. Prendetemi come fosse il primo giorno, come fossi un tenero uccello caduto tra gli abissi e rimasto senza ali. Ed è così che sono ormai io: un uomo senza anima privato della donna che ama, di tutto il suo bene. Abbiate pietà di un uomo precipitato e perso nella misera più arida. Vogliate darmi speranza! GIS. (Lo carezza in volto e sussurra) Non vi abbandonerò. DON. (Esulta di gioia e la bacia estasiato) Mia piccola Gisella, avete salvato un uomo.
SCENA TERZA Detti e Ninì (Entra Ninì come una furia)
Nin. Signore, mio signore! Dove siete? Ho un’ambascia! Mamma mia! (Gisella si allontana da don Felice; entrambi sembrano sbigottiti, impauriti.) DON. Son qui, entrate! NIN. Oh, se sapeste! (Vede Gisella e si arresta turbato) GIS. Sono d’impaccio vero? DON. Ma che dite? La mia casa è vostra, come la mia anima. (A Ninì ammiccando con gli occhi come per sgridarlo severamente). Cosa volete così affannato? Non vedete che la mia Gisella ha onorato la mia casa con la sua inaspettata e amorevolissima visita? Non importunate un momento sì delizioso della nostra vita? NIN. (Col corpo proteso in avanti, le mani sollevate per aria) Ma… ma è piuttosto… DON. Suvvia! Tornate più tardi. E prima di entrare badate di non disturbare! Nin. (Puntando un dito per aria) Solo una piccola… DON. (Lo interrompe bruscamente) Obbedite! E portate rispetto alla mai adorata Gisella! NIN. (Fa un inchino a Gisella e perplesso esce dalla stanza. Non fa in tempo a varcare la soglia quando un urlo lo fa sobbalzare) Oh mamma santissima! (Parte)
SCENA QUARTA Detti e Malia GIS e DON. Che sarà stato? (Don Felice fa per andare a vedere quando rispunta Ninì) Nin. E’ qui? DON. Chi? GIS. (Impallidisce e dice mestamente). E’ finita don Felice! DON. Che dite? (Gisella fa per andar via ma don Felice l’afferra per un braccio) Aspettate aspettate, ve ne prego! Ora più che mai non dovete andar via. (Entra Malia, alta e fiera come una tigre nella foresta. Indossa un vestito lungo e nero. I capelli corvini le scendono sulle spalle bianche e paion mossi da brezze leggere. Li guarda entrambi con disprezzo, poi con aria tronfia e sprezzante, dice loro) MAL. Ah, siete qui signorina! DON. (Come un ebete) Che ci fate voi qui? GIS. (Profondamente afflitta) Vi lascio soli, è la cosa più giusta in questo momento. DON. No, vi sbagliate. Voi siete in dovere di rimanere (e a Malia) Parlate pure, senza alcun timore. Il mio animo ed il vostro Malia è limpido come uno specchio d’acqua. Il passato non può scalfire la sincerità che ci conforta. MAL. Niente affatto! Voi sognate mio caro don Felice! Pensavate di liberarvi di me così, come fosse rapido passaggio di uccelli in viaggio? DON. Ma voi che dite? (Nel frattempo fa sedere Gisella) MAL. Avete sentito bene, non fate il cretino!
DON. Giuro che non mi par vero, Questa è pazzia! Dite la verità, state scherzando non è vero? MAL. Non avrei camminato tanto, per fare quattro risate a casa vostra. GIS. Mi sento male, sto per svenire! DON. Non adesso mia cara Gisella, non è il momento di lasciarsi andare. MAL. Oh poverina! Tenetele la mano, vedrete che così si sentirà meglio! DON. Finiamola con questa burla! Andate per la vostra strada, questa non è la giusta. (Fa cenno a Ninì) Accompagnala tu, presto! NIN. (Fa per avvicinarsi ma essa corre verso Gisella) Mio signore! DON. Corri Ninì, vai a chiamare suo padre, il signor Guglielmo, voglio che sappia. NIN. Corri! (Parte)
SCENA QUINTA Detti e don Guglielmo DON. Non vi agitate mia dolce Gisella. Presto sistemeremo ogni cosa. GIS. Fatemi andar via, ve ne prego. Ponete fine a questo mio supplizio se è vero che mi amate come dite! Non ho mai sofferto in tal guisa. DON. Piccola mia, sarete ripagata di tutto questo. Ne ricaverete felicità eterna. MAL. Oh poverina, tenetevela cara la vostra cocca! Non vedete che bocciolo, non la stropicciate! DON. Ridete, ridete pure. Ma per poco ancora. MAL. Non mi fate paura. DON. Vedremo dove poggerete la vostra arroganza! (Entra Ninì seguito da don Guglielmo) NIN. Mio signore, eccolo! E’ corso subito appena gli ho parlato. GUG. Ho saputo tutto da Ninì. Vediamo di sbrigare al più presto la faccenda, comincio a stancarmi. Don. Sarete presto accontentato. GUG. (Alla figlia) Gisella mia, che colore in volto! Presto vi porterò a casa. Finirà per tutti quest’incubo. DON. Come ho già detto a Gisella paco fa, è vero ho sbagliato e la sto pagando cara. Il dolore trabocca dagli occhi della mia Gisella sono come due spade nel mio cuore. Signor Guglielmo vi chiedo perdono per quanta angoscia ho arrecato a voi e all’adorata Gisella. Ma a tutto c’è rimedio se l’amore è abbastanza tenace da valicare le cime più elevate. Noi due non ci separeremo mai. Io amo vostra figlia più di me stesso e non posso vivere il resto dei miei giorni senza la gioia della sua presenza acanto a me. Quello che c’è stato tra me e Malia è durato abbastanza poco da non essere considerato nient’altro che un inciampo involontario, un salto nel vuoto, una curiosità breve. L’amore che provo per vostra figlia, invece, è quanto di più puro e di splendido
abbia veduto il mare immenso e questo cielo turchino. Lei è il mio sole, l’acqua limpida che scorre scricchiolando, come le stelle accolte dalla luminosa luna, è il mio mondo completo. Ora questa Malia vorrebbe il rimborso per il tempo perduto. Non è vero forse Malia? MAL. Non voglio più vivere come una foglia che il vento spazza da una zolla all’altra. Voglio una vita che poggi su una roccia solida, che mi faccia sdraiare al sole senza temere l’ombra delle nuvole. Voi dovete fare il modo che Ninì mi possa sposare. (Tutti sobbalzano) DON. Chi? MAL. Avete sentito bene. Proprio lui, Ninì; è lui che voglio sposare. DON. Ma… Ninì, che dice? NIN. Sì mio signore. Non mai avuto il coraggio di parlarvene. E’ la verità. DON. E che c’entro io? MAL. Abbiamo bisogno, voi capite bene di cosa, senza il quale non possiam far nulla. DON. Mai! Non cederò mai a questo ricatto! MAL. Ah no! GUG. Niente paura. Non azzannatevi! Tutto si risolverà. MAL. E come? GUG. Abbiate pazienza. La vostra sistemazione sarà per sempre. NIN. Cosa intendete? GUG. Su al nord ho diversi terreni incolti. Ve ne affido una parte. Curateli e sparite! DON. E’ troppo, davvero. Non lo meritano. GUG. Nessuno obietti. Oramai ho deciso. NIN e MAL. E chi fiata! DON. Gisella, venite cara, tutto finalmente è risolto. GIS. Non tutto. DON. Come? GIS. E se lei tornasse da voi? DON. Amo voi. Ve lo dichiaro e lo urlo adesso e questo sarà per sempre. Non c’è altro. MAL. (Ridendo) E chi ci torna? Il mio bel Ninì è il vero oro che ho! (Ridono tutti) GIS. Oh padre, grazie! GUG. E con questo si faccia punto. DON. Abbracciatemi mia dolce Gisella. (S’abbracciano e tutti si commuovono). (Fine)