Architecture thesis. I vuoti nella città storica. (The empty spaces in the old town).

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Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegnria-Architettura Corso di laurea magistrale in Architettura lm-4 A.A. 2013-2014

I vuoti nella città storica. Il progetto del palazzo Atzeni-Vacca nel quartiere di Castello a Cagliari

Tesi di laurea di Alessio Vacca e Fabio Floris Relatori Prof. Giovanni Battista Cocco, Prof.ssa. Caterina Giannattasio



Ringraziamenti

Ringraziamo anzitutto il prof. G. Battista Cocco e la prof.ssa. Caterina Giannattasio, relatori della tesi, per la dedizione con cui hanno supportato il nostro lavoro, con suggerimenti critiche ed osservazioni che hanno permesso di migliorarci e crescere sotto il profilo professionale.



I vuoti nella città storica. Il progetto del palazzo Atzeni-Vacca nel quartiere di Castello a Cagliari Introduzione

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Parte prima Castello: Formazione e Trasformazione La nascita della città Piazzaforte Il dominio Aragonese Il periodo Piemontese Cagliari tra Ottocento e Novecento

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Parte seconda La città contemporanea. I piani per Cagliari Dismissione della Piazzaforte: verso una città Moderna Il piano regolatore di Gaetano Cima Il piano Costa del 1890 Il concorso del 1929 Cagliari sotto assedio: I bombardamenti del 1943 Il piano di ricostruzione del 1947 Il piano Mandolesi del 1965 Il piano quadro per il recupero del centro storico Il piano urbanistico comunale del 2003 Il piano particolareggiato per il centro storico

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Parte terza Il tessuto urbano del Castello Morfologia dell’edilizia abitativa Le tipologie edilizie Trasformazioni delle architetture: dall’Antico al Moderno

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Parte Quarta Progettare in centro storico : dicotomia antico-nuovo Il centro storico. Un sistema complesso Dall’ antico al nuovo: la conoscenza come strumento di progetto Il ruolo dei residenti nel progetto di recupero Esempi progettuali

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Parte quinta Analisi di progetto Analisi cartografica. Le trasformazioni del tessuto Analisi dei servizi Analisi demografica I vuoti urbani Area di intervento I vincoli normativi sull’area Analisi della mobilità Analisi flussi turistici Analisi dell’offerta ricettiva del quartiere Ipotesi di un Ostello. Un punto di partenza per la riqualificazione Ostello: due esempi significativi

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Parte sesta Progetto Concept Obiettivo Il progetto Piante Fotoinserimenti Render interni

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Introduzione Il nostro lavoro di tesi propone un progetto per il quartiere di Castello a Cagliari, dove ipotizziamo la realizzazione di un ostello tra via Lamarmora e via Cannelles, in un vuoto urbano causa dei bombardamenti del 1943. Il lavoro prende le mosse da una ricerca sulle origini storiche del quartiere, la quale ha permesso di acquisire delle nozioni fondamentali per poter intervenire progettualmente. Infatti l’ipotesi progettuale è il frutto di una lettura interpretativa del contesto, individuando i caratteri e le criticità del quartiere sono state fatte delle scelte che possano rappresentare un punto di partenza per la riqualificazione dello stesso. Durante la prima fase ci siamo occupati della raccolta dei dati storici, che hanno permesso di realizzare una ricostruzione sia cartografica che descrittiva del tessuto urbano, dalla quale è possibile cogliere facilmente le trasformazioni morfologiche che hanno interessato il quartiere. Possiamo sicuramente affermare che, nonostante la fondazione risalga al 1217, l’impianto urbanistico non ha subito grosse modifiche mantenendo di per se il tracciato originale. Edificato nel tredicesimo secolo ad opera dei pisani, il quartiere rappresentava da un punto di vista morfologico quanto di più adatto alla realizzazione di una piazzaforte, che fu caratterizzata per secoli da una centralità unica dovuta alla presenza delle varie sedi amministrative. Tale peculiarità si è persa nel passaggio tra “800 e “900 e ad essa ha seguito un progressivo abbandono della città alta. Nei primi del novecento le sedi comunali si spostano dagli edifici di Piazza Palazzo alla nuova sede di via Roma, e per la prima volta i rappresentanti della grande nobiltà di Cagliari cedono il passo alla nuova borghesia commerciale e liberale. Cade così un baluardo, non solo simbolicamente, e sfuma una cultura che per secoli aveva mantenuto stretto il potere dentro le mura fortificate. Cagliari inizia a sentire il bisogno di guardare al di là delle proprie mura, con l’avvento del novecento viene sopraffatta dal presagio di una crescita apparentemente inarrestabile che la porteranno a guardare ben oltre i propri confini storici, creando una città sparsa e disordinata, il cui unico scopo pare essere la speculazione edilizia. Questa crescita smisurata, tipica delle città del novecento, porta ad un quasi totale abbandono dell’edificato storico il quale non è sicuramente in grado di competere, sul piano della qualità abitativa, con le nuove costruzioni. Il centro storico, quindi anche il Castello, viene abbandonato ad un destino tutt’altro che felice, e anche i marginali interventi proposti nei diversi piani non vengono attuati, lasciandolo in balia di interventi individuali che alcune volte hanno trasformato inesorabilmente i connotati dell’edificato. In linea di massima, se da un lato non sono stati eseguiti grossi interventi indirizzati alla sua conservazione, si può affermare che l’impianto urbanistico del Castello si è conservato sino ai giorni nostri nella sua forma 8


originaria, salvo alcune marginali modifiche. L’idea di fondo del progetto, seppure ben sappiamo che un singolo intervento non possa stravolgere le cose, è quella di indirizzare il quartiere verso nuove funzioni, sfruttando le peculiarità storico ambientali . La scelta di realizzare un ostello - fra l’altro in città ne è presente solamente un altro - nella nostra visione d’insieme potrebbe contribuire a sviluppare un sistema attrattivo al momento carente. Inoltre l’ostello dispone di servizi che vanno oltre il semplice pernottamento. Sono presenti degli ambienti comuni resi caratteristici dalla presenza di spazi espositivi dove possono essere messe in esposizione le produzioni degli artigiani locali. La sala lettura/espositiva realizzata all’ultimo piano inoltre presenta delle aree tematiche dedicate ai quattro quartieri storici della città: Castello, Marina, Stampace, Villanova. Si è cercato così di dare una nota storica – artistica che possa in qualche modo coinvolgere i visitatori a conoscere meglio sia il Castello che il resto della Cagliari antica. La tesi è suddivisa in sei parti: nella prima parta viene brevemente riassunta la storia del quartiere, il racconto parte dalle origini della nascita per arrivare a descrivere le trasformazioni subite sino ai giorni nostri; la seconda parte prende in rassegna i piani di intervento che hanno interessato Cagliari ed quindi anche il Castello; nella terza parte si è voluto analizzare il tessuto urbano per mettere in evidenza quali eventi e modifiche ne avessero cambiato i connotati; la quarte parte riguarda invece un approfondimento sugli interventi in centro storico, dove alcuni esempi progettuali spiegano le modalità con cui sarebbe bene intervenire in centro storico; la quinta parte si occupa dell’analisi sull’area di intervento, dove vengono messe in evidenza alcune risorse ed criticità del contesto; infine la sesta parte riguarda la parte progettuale dove sono presenti le tavole tecniche della struttura che si vuole realizzare.

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Parte I Castello : Formazione e Trasformazione


La nascita della città Piazzaforte La fondazione della Piazzaforte risale al XIII secolo, convenzionalmente al 1217. Grazie ai pisani in pochi mesi Cagliari, città su di un colle, ha il suo primo Castello, edificato sopra Bagnariam1. Dai documenti si evince che in quell’anno la Giudicessa Benedetta giurò fedeltà a Pisa e donò quendam collem cum suis pertinentiis2, ovvero il Castellum Castri de Kallari. Ella si vide costretta a donare il colle in seguito alle svariate promesse, lusinghe e minacce condotte da Lamberto Visconti, il quale temeva fortemente l’alleanza della Giudicessa con il papato e Genova. In breve tempo il Castellum Castri divenne una minutissima fortezza pisana e costituiva una minaccia non solo per il giudicato ma per l’intera isola. Conseguentemente la Giudicessa venne spogliata di tutti i suoi poteri giudicali e fu relegata nella villa di Sant’Igia; nel mentre spadroneggiavano i propri poteri nel giudicato, Lamberto e Ubaldo Visconti3. Il possesso del Castello permetteva ai pisani di dominare il giudicato, infatti anche da un punto di vista morfologico il Castello rappresentava una roccaforte difficile da espugnare. Seppur durante i secoli numerose opere militari e civili ne hanno modificato la conformazione, esse tuttavia sono state ricostruite sempre sulla stessa base muraria premettendoci ancora oggi di poter facilmente individuare l’impianto pisano, rimasto immutato nella sua struttura e nella sua forma viaria. Il Castello nasce come città nuova, fondata secondo piani urbanistici e geometrici rispondenti ai canoni ed ai modelli tecnici diffusi nel primo duecento in tutta Europa4, epoca fatta di rifondazioni e costruzione di migliaia di città nuove. La cessione di un casalino nel 1217,…casalinum unum positum in Castro novo montis de Castro super Bagnariam edificato5, presso la piazza principale indica che il progetto di tracciamento e la lottizzazione erano ormai completi e che la struttura si sarebbe definita negli anni successivi. Il Castello di Cagliari sorge su un promontorio con una struttura curvilinea geometricamente controllata dalle strade principali e una pianificazione ordinata dei lotti e dell’edilizia prospettante. L’allineamento ed il controllo dell’impianto urbano è regolato dalla presenza di tre torri colossali poste per il controllo delle tre porte del Castello: quella del Leone sul quadrante sud, quella dell’Elefante, quella dell’Aquila. Le tre torri sono dedicate a tre animali simbolici il che conferma un atteggiamento di grande attenzione nel legare le partes urbis ai simboli di forza e di potenza più ricorrenti nella storia della città6. L’andamento curvilineo della strade del Castello rappresenta il fatto che alla base della fondazione ci fosse un chiaro principio ordinatore, osservando la carta possiamo notare come la sinuosa Ruga Mercatorum (attuale via Lamarmora) colleghi la torre del Leone (posta a sud) con quella di San Pancrazio (posta a nord). Le altre strade del Castello, sul tratto centrale, risultano perfettamente parallele alla Ruga Mecatorum, seguendo un rigoroso ordine urbanistico. La Ruga Mercatorum rappresentava l’asse centrale della città sede delle 12


più importanti attività, dove i Castellani, i Mercanti del Porto di Cagliari, e le altre istituzioni private collocheranno le loro basi. Le strade longitudinali erano collegate trasversalmente da dei vicoli dette traverse, le quali scandiscono con regolarità gli isolati. La linea sinuosa delle strade in curva, non rappresenta una linea storta, ma bensì un segno rispondente a criteri estetici di raffinatezza tipici delle città medievali7, dietro ai quali oltre ai motivi estetici ci sono anche vantaggi militari. Le tre principali rugae, Ruga Comunalis, Ruga Mercatorum e Ruga Marinaroirum, costituiscono precisi riferimenti per l’individuazione di terreni e di edifici del Castello, determinano l’impianto generale del Castellum Castri, il quale si articola esclusivamente in direzione longitudinale. L’insieme risulta unitario e senza polarità interne e nemmeno la Platea Comunalis si sottrae alla predominanza delle rugae longitudinali. Il Castello era inoltre cinto da delle mura difensive, la quali condizionano ancora oggi l’importanza fisica del colle, che rappresentano tutt’ora il monumento più rappresentativo della propria forma urbana. Ancora oggi è possibile individuare, solamente per il Castello, il circuito pressoché completo del sistema difensivo che con il suo perimetro di 1350 metri racchiude una superficie di circa 20 ettari. Partendo a sud dalla porta castello seguono il profilo roccioso del lato orientale per congiungersi a quella di San Pancrazio, discendono il margine del fosso di San Guglielmo, il quale separa il colle dal quartiere di Stampace, e continuano sino alla porta dell’Elefante. Le porte sono posizionate nei punti in cui lo scoscendimento del terreno si attenua, ed in posizione tale da rendere agevoli i collegamenti con il porto ed con i quartieri sottostanti. Le opere di fortificazione più antiche risultano erette nel 1217, per mano di Lamberto Visconti che negli stessi anni usurpò il colle alla giudicessa Benedetta. Nel primo quarto del XIV secolo, in seguito al profilarsi della minaccia aragonese, le strutture difensive vennero rafforzate a spesa del comune di Pisa con l’erezione di torri difensive in corrispondenza delle porte, così che il colle divenne un possente baluardo reso inaccessibile dalla natura e dagli accorgimenti militari, è quindi evidente che la tessitura del Castello sembrerebbe dettata da una logica specialistica, di carattere più che altro militare e non insediativo. La cinta muraria rappresentava, oltre che un limite fisico, una differenziazione di appartenenza sociale tra i burgenses del Castello e gli abitanti del resto del giudicato. Infatti sussisteva un trattamento giuridico differente per i sardi e per i pisani, dove risultavano vantaggiati i secondi. Il Castellum Castri divenne il centro polarizzante della nuova città, la scelta di collocarvi le diverse funzioni economiche e politiche ebbe un rilievo notevole in quanto esse determinarono uno spostamento di quello che era l’antico centro della città dalla pianura al colle. La città sino alla metà del duecento era costituita dal Castellum Castri e dall’ area di marina 13


attorno alla via Barcellona la quale inizia ad essere oggetto d’interesse insediativo. Dopo la distruzione di Sant’Igia, stando ad un’antica cronaca sarda, i pisani permisero a una parte della popolazione di quel centro distrutto di andare ad abitare nella villa Stampace. Invece la nascita del quartiere di Villanova viene collocata intorno al 1263. La prima citazione della Villam Novam si ha il 3 aprile del 1288 quando nell’ennesimo trattato di pace tra Pisa e Genova questa riceve con Cagliari ed il suo territorio la Villam Novam, …Castrum castri de Kallaro, villam et burgum ipsius castri… villa de Sauvetrano, villam de Pirri, villam de Cepula, Villam de Stampace, villam novam, salinas et solum salinarum8. Si delinea così una Cagliari quadripartita definita da un centro predominante, il Castellum Castri, e da tre appendici distinte a se stanti. Il piano per la nuova Cagliari fu probabilmente concepito negli anni precedenti il 1254 e comunque posto in attuazione subito dopo il 1258, se già nel 1263 Stampace appare formato e popolato. Il piano prevede la costruzione di due città nuove, ai lati opposti della rocca del Castello. Il modello adottato riprende l’impianto urbanistico delle Terre Nuove toscane, colonie ad impianto regolare con edilizia a schiera su strade rettilinee. Le strade principali delle due ville, dove sorgono la chiesa di San Giovanni e di Sant’Efisio, sono perfettamente parallele ed allineate con l’asse teso tra le due torri dell’Aquila e del Leone, con questo atto confermato come asse ordinatore della fondazione pisana. Simboleggiano l’allineamento monumentale dei quartieri le due croci, poste una sul fianco della chiesa di Sant’Efisio e l’altra sulla quattrocentesca pizza di San Domenico, ai lati opposti del Castello, agli estremi della linea che unisce le due chiese della nuove ville con la cattedrale. L’icona progettuale di riferimento è la città in forma di aquila imperiale, disegnata con la croce nel petto ad ali spiegate, a significare l’armonia tra papato e impero9. Tale simbolo, di estrazione araldica e indice di fede imperiale, venne adoperato nel controllo e nella fondazione di varie città due e trecentesche, e adottato anche in seguito. La teoria sopra esposta, della città quadripartita ha forma di aquila, viene confermata anche dai primi disegni che sono pervenuti sino a noi. Infatti nei disegni di Sigismondo Arquer10, nel celebre lavoro intitolato Sardiniae brevis historia et descriptio, viene chiaramente rappresentata una Cagliari quadripartita, con il significativo ridisegno in rettilineo della via dei Mercanti, asse fondativo di origine pisana. Il Carmona10, riprendendo la stessa immagine, descrive in versi la sua Cagliari, già aquila reale con la testa nel Castello, la coda alla Marina, le ali in Stampace e Villanova.

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1. Disegno di Cagliari nel XVI secolo ad opera di Sigismondo Arquer

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Il dominio Aragonese Solo dopo la conquista Aragonese si configurò la fisionomia caratterizzante la città, con la pace del giugno del 1326 i pisani del Castello di Cagliari furono costretti alla resa e vennero espulsi o costretti a vivere con i sardi nelle zone della città meno strategiche, si chiude così il dominio pisano del Castellum Castri. In seguito alla conquista aragonese la città si riforma per accogliere i nuovi padroni, nell’agosto del 1327 il Castellum Castri è ripopolato dai catalano-aragonesi e il re Giacomo II concesse al Castello il privilegio del Coeterum11. In sostanza anche nella Cagliari, aragonese vengono adottati gli statuti e le norme urbanistiche di Barcellona. Il Castrum Kallari divenne una colonia catalana giuridicamente ed economicamente privilegiata, i sardi, come dei vinti, furono considerati gente extranee nacionis nella propria terra e furono posti in condizione di soggezione giuridica, economica e sociale. Alla colonia pisana del Castello si sostituì una colonia barcellonese, ma con un maggior esclusivismo nei confronti dei sardi, infatti anche durante la dominazione pisana i sardi vennero messi in soggezione, ma con gli aragonesi tale condizione venne istituita. Oltre alle modifiche normative gli aragonesi, effettuano anche alcuni importanti interventi lungo il sistema difensivo. Risalgono all’età spagnola le grande innovazioni tecniche riguardanti la realizzazione del bastione a rivellino, che trova il suo prototipo nel forte di Michelangelo a Civitavecchia opera del Sangallo. Bisogna comunque sottolineare che le fortificazione pisane hanno caratterizzato nei secoli, e tuttora, Castello conferendogli quell’aspetto maestoso che lo distingue dagli altri quartieri. Alla fine del XIV secolo Cagliari doveva presentare un aspetto non di molto differente dalla città pisana, con alcune ampliazioni e rinnovamenti. La cattedrale, seppur mantenendo l’impianto originario, si ampliava con la costruzione di nuove cappelle, nella quali le forme gotico-aragonesi si inserivano sulle architetture pisane. Nella Platea Comunis, il palazzo comunale veniva ampliato, mentre nella Via dei Fabbri prendeva migliori forme il Palazzo Reale. Lungo la Via dei Mercanti e la Via dei Marinai, i catalani che si insediarono, rinnovarono le case che avevano espropriato ai pisani12 sostituendo in facciata ai ballatoi in legno nuove forme architettoniche. Nonostante i numerosi interventi di rinnovamento, la conformazione di Cagliari pre-aragonese non subì sostanziali trasformazioni, tenendo invariate anche le denominazioni delle vie. Differentemente dal tessuto urbano le fortificazioni nel XVI secolo furono interesse di sostanziali rinnovamenti, dovuti in particolar modo all’inefficienza rispetto alle nuove tecniche di guerra. Le semplici cortine non erano più in grado di garantire una difesa adeguata dalle nuove armi da fuoco, e vennero sostituite dalle mura bastionate. Il sistema difensivo subì numerose trasformazioni, ma edilmente mantenne l’aspetto acquisito in epoca pisana, l’unica parte di città che subì una trasformazione netta fu il quartiere degli ebrei. Il 31 marzo 1492, gli ebrei, vennero cacciati 16


dagli stati d’Aragona con regio decreto, quindi anche dalla Sardegna, e sull’area della sinagoga venne eretta la chiesa di Santa Croce, mentre sull’area occupata dal ghetto giudaico i gesuiti vi edificarono le proprie abitazione. Altre trasformazioni che interessarono il Castello riguardarono ampliamenti o superfetazioni di palazzi già esistenti e per incontrare interventi di un certo rilievo dovremo aspettare il XIX secolo, epoca in cui un nuovo ideale di città moderna investe tutta l’Europa.

2. Vista di Cagliari del 1572 tratta da Calaris, Malta, Rhodus, Famagusta

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Il periodo Piemontese Il 4 agosto del 1720, con atto solenne, Don Gonzales Chacon cedette l’isola all’imperatore Carlo VI, rappresentato nell’occasione dal principe d’Ottajano don Giuseppe dei Medici13, il quale quattro giorni dopo cedette il regno di Sardegna al luogotenente generale dei regi eserciti Luigi Desportes de Coinsin rappresentante di Vittorio Amedeo II di Savoia. Nei trattati di cessione del regno venne posta una clausola fondamentale, la quale consisteva nel fatto che i nuovi regnanti non potevano in alcun modo modificare gli statuti, i privilegi e le consuetudini che gli aragonesi e gli spagnoli avevano concesso al Regnum Sardiniae. Dal 1720 per circa un settantennio, l’isola rimase quasi estranea alla vicende internazionali, ma tuttavia i Savoia ritennero necessario rinsaldare le fortificazioni delle piazzeforti sarde. Quella di Cagliari, già precedentemente potenziata, fu oggetto di perfezionamenti da parte del dominio dei Savoia per opera degli ingegneri militari piemontesi, fra i quali tra i più importanti troviamo Antonio Felice De Vincenti. Per iniziativa del regno piemontese nell’isola si iniziò ad aggiornare la cartografia, che finalmente venne elaborata in base a criteri geometrici. Il Castello venne perfezionato laddove risultava più vulnerabile: nella zona nord-occidentale della Cittadella vennero aggiunte delle fortificazioni, la cosiddetta opera a corno di Buon Cammino, con i bastioni di Emanuele e di San Filippo prospicienti l’anfiteatro romano; lungo il fianco occidentale vennero costruiti i bassi fianchi della porta dei Cappuccini e del Bastione Santa Croce, di fronte alla torre di San Pancrazio venne effettuato un trinceramento e lavori per l’accesso al lato orientale; sul fianco orientale vennero costruiti il bastione di San Carlo con il sovrastante bastione del Mulino a Vento, il bastione del Palazzo con il sovrastante più piccolo bastione del Viceré, il bastione di San Carlo e del Beato Amedeo con i relativi bassi fianchi; per quanto riguarda il lato orientale di Lapola venne costruito il rivellino di porta Gesus. In poco meno di vent’anni la piazzaforte cagliaritana venne dotata di opere che la circondavano completamente, creando una linea continua di bastioni, cortine, muniti di fossi e camminamenti coperti. Coloro i quali risiedevano all’ interno delle mura continuavano a godere di speciali privilegi nei confronti di tutto il territorio sardo e della altre città dell’Isola. Durante il dominio piemontese la figura dell’obriere14 venne declassata ed i consiglieri furono costretti ad ammettere la minore competenza nell’arte del costruire degli obrieri rispetto a quella degli ingegneri. Per tanto venne deciso di affidare agli obrieri l’edilizia minore e le opere che comportavano minore competenze e responsabilità, e venne ritenuta necessaria la presenza degli ingegneri nella direzione delle fabbriche di maggior entità. La situazione edilizia del Castello venne seguita direttamente dal ministro Graneri da Torino, il quale mandò ordini ben precisi alla 18


segreteria di stato. Nel Castello, infatti, vi era una scarsa disponibilità di abitazioni soprattutto a causa della negligenza dei proprietari degli edifici, i quali non curando particolarmente gli edifici fecero in modo che molti di essi cadessero in rovina e si trovassero in condizioni tali da non poter essere abitati. Per ovviare a questo generale degrado, con carta reale del 2 marzo 1769, venne prescritto che gli edifici non riparati o non ricostruiti in un congruo tempo fossero messi all’ incanto ad istanza del regio fisco. Nel 1836 venne emanato il principale provvedimento per l’abolizione del feudalesimo e parallelamente a questo provvedimento vennero emanate diverse norme che portarono una profonda trasformazione nell’ organizzazione della città. La figura dell’obriere venne definitivamente abolita, ed il compito enne affidato al Consiglio degli Edili, il quale si dovette occupare della redazione del Piano Generale di Abbellimento e del Piano Regolatore della Città. La vicenda che sicuramente più di tutte ha caratterizzato il dominio Sabaudo in Sardegna riguarda la rinuncia dell’autonomia del Regnum Sardinae, e con la carta Albertina del 1847 venne ufficializzata tale rinuncia. Questo passaggio storico risulta fondamentale per la storia ormai secolare del Castello, in quanto caddero definitivamente gli antichi privilegi autonomistici e il reggimento a regno separato sulla base degli ordinamenti iberici e dell’antica legislazione indigena. Con l’emanazione dello statuto Albertino il Castello, da simbolo di città privilegiata, si avviò a diventare un monumento e non più il fulcro della vita economica e politica della città. Con l’estensione delle leggi piemontesi al regno di Sardegna, l’isola venne invasa da una grande speranza di un rapido progresso economico e sociale in grado di rompere quell’isolamento che era da tutti indicato come la causa prima e determinante degli oramai secolari problemi. La dominazione piemontese divenne anche tempo di realizzazioni per Cagliari, la quale venne dotata di attrezzature pubbliche al passo del resto d’Europa. In questi anni vennero realizzate diverse opere: nel 1812 l’Ospizio di San Lucifero venne trasformato in orfanotrofio, Cagliari ebbe il suo teatro civico costruito secondo un progetto di Gaetano Cima, venne realizzato il nuovo Spedale Civile sempre sotto la direzione di Gaetano Cima, il quale negli stessi anni stava lavorando all’elaborazione del Piano Regolatore. In città vigeva una rigida regolamentazione urbana, ed intensa fu l’attività del Consiglio degli Edili e del Consiglio dell’Arte.

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3. Rielaborazione cartografia del Castello anno 1850

4. Rielaborazione cartografia storica del Castello anno 1937

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Cagliari tra Ottocento e Novecento Il nuovo ideale di città moderna dell’ottocento abbraccia due linee guide principali: abbellire e risanare; privilegiando talvolta uno o l’altro aspetto, e frequentemente integrandoli tra di loro. Uno dei principali interventi ottocenteschi di rinnovamento urbano è rappresentato dal piano per Parigi voluto da Napoleone III ed attuato dal barone Haussmann tra 1847 ed il 1870, dove abbattere ricostruire e risanare rappresentavano le linee guida dell’intervento. In questi anni, a Parigi, grazie all’abbattimento delle mura fu possibile realizzare i famosi boulevard, che diedero senso di decoro e modernità alla città, ma che talvolta divennero maschere per nascondere la miseria che si nascondeva dietro queste bellezze architettoniche. L’attività legislativa della corte sabauda investì fin dagli anni trenta dell’ottocento le città della Sardegna in quel clima di rinnovamento normativo, che portò alla realizzazione di nuovi regolamenti edilizi e ad alcune iniziative di pianificazione urbanistica. L’attività pianificatrice che investì Cagliari nell’ottocento si articolò in tre fasi ben distinte: la prima, che ebbe inizio a partire dal 1837, riguardò in sostanza la produzione di piani di abbellimento, regolarizzazioni e rettilineamento; la seconda a partire dai primi anni cinquanta portò alla realizzazione del Piano Regolatore del 1858; la terza, ed ultima fase, a partire dagli anni sessanta in poi si concluse con l’attuazione del secondo Piano Regolatore nel 1890. Il sedici agosto del 1836 venne emanato l’editto “portante la riorganizzazione dei Consigli Civici del regno”, con il quale editto sostanzialmente venne sostituita la funzione dell’obriere, figura che rappresentava il funzionario addetto alla vigilanza delle opere pubbliche. Gli scopi dell’editto riguardavano l’abbellimento, la pulizia e la salubrità della città; inoltre prevedeva la classificazione in contrade e piazze e l’apposizione di numeri civici, che dovevano essere affissi a spese dei proprietari. Si assiste in questi anni a varie proposte di ridisegno di settori urbani e previsioni di ampliamento, particolarmente per il quadrante occidentale della città, dove la connessione della città murata con la Strada Reale e la Ferrovia per Sassari esigeva immediate soluzioni. Nel 1840 con l’approvazione da parte del re Carlo Alberto del “ Regolamento Generale pei Consigli degli Edili istituiti presso ogni Città del Regno di Sardegna” si avrà la prima normativa dalle caratteristiche di un moderno Regolamento Edilizio. Il Regio decreto N° 3467 del 31 dicembre 1866, riguardante la dismissione delle Piazzeforti, non fece che accelerare un processo di dismissione della città murata ormai ben già avviato in precedenza, con suddetto decreto “ cessano di essere soggetti alle servitù militari dipendenti da dette piazze e posti fortificati i terreni adiacenti15” ponendo le basi per un recupero pacifico e collettivo delle aree militari. Castello non subì demolizioni consistenti data la sua elevata difficoltà d’ intervento dovuta alle sue mura, e l’aspetto più importante fu dunque la trasformazione dei bastioni 21


posti a sud in “belvedere” e la liberazione delle torri pisane dalle costruzioni addossate contro le loro strutture16. Uno degli interventi di maggior importanza, il quale suscitò molte polemiche riguardo la sua urgenza, fu quello della sistemazione del Bastione San Remy avvenuto proprio a cavallo dei due secoli tra 1899 e 1902. L’ottocento per Cagliari fu un secolo ricco di avvenimenti sia politici che sociali, in cui le questioni politiche si spostavano insistentemente sul terreno dell’economia e delle scienza sociale. Vennero realizzate attrezzature pubbliche all’avanguardia, di pari passo alle grandi capitali europee. L’intensa attività del Consiglio degli Edili e del Consiglio d’Arte, permise di redare un rigida regolamentazione urbana con una conseguente attività edilizia di adeguamento.

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NOTE 1. Putzolu E., Il problema delle origini del Castellum Castri de Kallari, Archivio Storico Sardo, vol. XXX, Cagliari, 1976, p. 135; 2. Del Panta A., Un architetto la sua città, Cagliari, 1983, p. 53; 3. Voi che re siete in Sardegna ed in Pisa cittadini Carducci G., Faida di Comune, Rime nuove, libro VI; 4. Cadinu M.,Urbanistica medievale in Sardegna, Roma 2001; 5. Putzolu E., op. cit., pp. 52-54; 6-7. Cadinu M., Cagliari. Forma e progetto della città storica, Cagliari, 2009, pp. 50-51; 8. Tola P., Codice diplomatico della Sardegna, Sassari 1984; 9. Arquer S., Sardiniae brevis historia et descriptio, Cosmographia Universalis, Basel 1550, edizione a cura di Thermes C., Cagliari 1987, p. 26-28; 10. Carmona J.F., Santuario...,cit., f. 103, brano inedito; 11. Del Panta A., op. cit., pp. 57-59; 12. Cadinu M., Cagliari. Forma e..., op. cit., pp. 89-90; 13. Del Panta A., op. cit., p. 75; 14. Editto portante la riorganizzazione dei Consigli Civici del Regno, cit., 16 agosto 1936, art. 32° e 6°; 15. Atti del governo n. 3467, Regio decreto circa alcune opere, torri, luoghi che cessano di essere considerati come piazze e posti fortificati, 31 dicembre 1866; 16. Del Panta A., op. cit., p. 14;

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Parte II La cittĂ contemporanea: i piani regolatori


Dismissione della Piazzaforte: verso la città moderna Intorno alla prima metà dell’ottocento le città europee iniziano ad indirizzare i propri piani di intervento verso due imperativi categorici “risanare e abbellire1”. L’esempio emblematico di questa nuova tendenza, come abbiamo già detto, fu il caso di Parigi voluto da Napoleone III ed attuato tra il 1849 e il 1860 dal barone Haussman, prefetto della Senna. Anche Cagliari fu soggetta ad interventi in linea con il resto d’ Europa, con la dismissione da piazzaforte si crearono i presupposti per creare quei viali tipici delle città ottocentesche. Il parziale abbattimento delle mura sancì la definitiva alterazione di secolari equilibri tra le varie parti della città, ed in particolare tra i quattro storici quartieri di Cagliari. Esso produsse lo sfaldamento del rapporto tra il quartiere di Castello, sede degli uffici governativi e delle strutture militari, nonché luogo deputato di residenza delle principali famiglie aristocratiche, e il quartiere di Marina sede delle attività artigiane e di botteghe funzionali allo svolgimento della vita del quartiere nobile. Ciò fece guardare con più attenzione alle parti pianeggianti site in prossimità dei versanti occidentali ed orientali rispetto al colle, come luoghi di possibile espansione della città. Su tali porzioni di territorio infatti si svilupparono gli assetti futuri della città, a cominciare dalla riorganizzazione delle strade di comunicazione, ad esempio il Viale Regina Elena, il Largo Carlo Felice e la via Roma, tra i quartieri più vitali quali Stampace e Villanova, situati dalla parte opposta rispetto al blocco murato dei quartieri di Castello e Marina. La Relazione sulla Viabilità Interna della Città di Cagliari, presentata in consiglio comunale il 1° febbraio 1873, pone come prioritaria la volontà di costruire “una grande via o corso che, mantenendosi a livello, od a piccolissime pendenze del 2 o 3%, attraversi in lungo i rioni più piani e più attivi della città, (cioè Stampace, Marina, Villanova) in modo da essere percorsi facilmente dagli omnibus da un capo all’altro, e dai grossi ruotabili a mano ed a cavalli per uso del commercio interno della Città2”. Praticamente, con tale relazione, viene sancita la fine del quartiere arroccato di Castello quale centro di governo della città e della cosa pubblica. Anche se la relazione non ebbe seguito, in quanto mancante di uno studio serio e calibrato sulle necessità urbane, essa mostra lo spostamento del centro dell’attenzione urbana verso le zone prospicienti il mare. Si può anche dire che una volta scesi da Castello, lo spostamento delle attività di rango non prese direttrici esterne all’area immediatamente sottostante al quartiere alto. I cambiamenti che si posero in atto a Cagliari riguardavano sempre le medesime aree che attraverso una serie di sovrapposizioni di usi venivano destinate di volta in volta a funzioni diverse, con una notevole proliferazione di progetti, in gran parte rimasti sulla carta. Si aggiunga poi che tra il 1855 e il 1867 furono promulgati una serie di provvedimenti legislativi, prima come Regno di Sardegna e poi come Regno d’Italia, contro gli ordini religiosi e le loro proprietà che consentirono 26


il passaggio ai beni demaniali di numerosi immobili siti in zone centrali della città. Tali provvedimenti consentirono a Cagliari al pari di altre città italiane di veder messi a disposizione pregevoli immobili i quali poterono essere utilizzati per soddisfare esigenze strettamente necessarie e non più rimandabili, di spazi da dedicare a caserme, scuole, carceri con il non trascurabile vantaggio del contenimento dei costi. La fine del 1800 rappresenta uno dei momenti più importanti nel processo di espansione del centro urbano di Cagliari , caratterizzato dalla redistribuzione di funzioni urbane nei vari quartieri. Il fervore che accompagna questa fine di secolo è accompagnato da una forte voglia di progettualità, dalla quale si videro nascere numerosi piani , che nonostante non vennero totalmente portati a compimento, fornirono alcune spunti che contribuirono a disegnare la morfologia urbana e ad indirizzare l’assetto futuro3.

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1. Pianta di Cagliari del 1885

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Il piano regolatore di Gaetano Cima Una figura di spicco che influenzò profondamente l’urbanistica e l’architettura realizzata nella città è quella di Gaetano Cima (1805-1878), primo architetto cagliaritano e sardo che studiò a Torino e a Roma4. Egli ebbe il merito non solo di operare in qualità di progettista a Cagliari ed in molti altri luoghi dell’isola, ma anche di creare una scuola di architettura e di formare molti allievi attraverso il suo ruolo di professore di architettura e disegno all’Università della città, incarico svolto tra il 1840 e il 1876. L’opera più importante del Cima fu senza dubbio l’ospedale civile S. Giovanni di Dio, progettato nel 1841 e realizzato negli anni Cinquanta dell’Ottocento, nelle vicinanze della valle di Palabanda. L’inconfondibile pianta a ventaglio, improntata su moderni criteri razionali e l’imponente facciata con colonnato dorico, ancorché improntata al purismo del gusto neoclassico del Cima, ne fanno ancora adesso una delle principali strutture sanitarie dell’isola ed un punto di riferimento urbano, inoltre rappresentò l’edificio che segnò l’apertura della città oltre i confini imposti dalle mura difensive che all’epoca della costruzione ancora ne osteggiavano lo sviluppo. Suo fu anche il progetto del Teatro Civico (1836) in Castello ricavato da profondi cambiamenti del Palazzo Zapata, a partire dalla cappella, e addossato sul Palazzo Boyl (palazzo di proprietà di Carlo Boyl, militare e architetto cui si deve anche il progetto della Porta Cristina che ancora oggi consente l’acceso alla Piazza Arsenale e da qui all’intero quartiere di Castello). Il teatro aveva 84 palchetti suddivisi in quattro ordini più il loggione per un totale di mille posti. Fino a poco tempo fa erano ben visibili a distanza di oltre sessant’anni i segni dei bombardamenti alleati del 1943 che lo sventrarono. L’opera che lo impegnò maggiormente sia per la sua dimensione che per la complessità del fu la redazione del Piano Regolatore, firmato il 9 ottobre del 1958, porta la firma di Gaetano Cima “architetto in primo di città5”, per la prima volta nella storia di Cagliari i problemi della città vengono affrontati in maniera coordinata con la redazione di un disegno generale. Il Piano rappresenta uno strumento di controllo improntato su criteri di ordine e regolarità geometrica, col fine di intervenire sugli aspetti della città considerati spontanei o irrazionali, o comunque non rispondenti ai criteri che si volevano perseguire. In particolar modo viene focalizzata l’attenzione sulla città piazzaforte, interessandosi principalmente dei due quartieri ancora muniti di fortificazioni, Marina e Castello. Bisogna infatti ricordare che Cagliari al momento dell’approvazione del Piano era ancora una piazzaforte e rimarrà soggetta alle leggi militari sino fino al decreto del 30 dicembre 1866. Il Piano non prevedeva la demolizione delle mura difensive, ma la demolizione di quasi tutte le porte ad eccezione di quelle del Castello, inoltre propone una serie di raccordi fra i quartieri. Una delle opere più importanti che prevedeva era la regolarizzazione della via dei Ge29


novesi, anche se in realtà tale ammodernamento venne già previsto dal Consiglio Comunale nel 1855, si prevedeva l’allargamento della via a 5 metri per tutto il suo tracciato, obbligando i proprietari di edifici e terreni ad arretrare dal fronte strada. L’articolo 2 del decreto chiarisce che “la linea di rettificazione, allargamento e regolazione delle strade e piazze tracciate nei due piani sono obbligatorie per tutti indistintamente i proprietari di terreni e fabbricati ad esso confrontanti; e dovranno essere dai medesimi rigorosamente osservate nel caso di nuove costruzioni, o riedificazione o riforma delle proprie case, sotto pena di demolizione in caso di contravvenzione6”. I criteri di decoro e bellezza posti alla base del Piano sono evidentissimi quando si guardi la sistemazione delle principali spazi urbani di Castello. Facendo in breve una descrizione degli interventi dobbiamo sicuramente ricordare la Piazza Carlo Alberto, dove si prevedeva il raddoppio della scala d’accesso alla piazza del Municipio con un taglio netto agli edifici prospettanti sul lato settentrionale. La Piazza Indipendenza veniva regolarizzata geometricamente al pari della Piazza Arsenale, mentre il Bastione veniva raccordato con una scala a tenaglia con il quartiere di Villanova, una delle poche opere del Piano che verrà completata seppur molti anni dopo. Prevedeva inoltre l’isolamento della torre dell’Elefante e la sistemazione a rondò della zona di Porta Cristina, con l’apertura di una seconda porta verso l’Arsenale simmetrica all’altra. L’intento del Piano è esplicitato nell’art. 6 “ Le nuove li30

1- Vista storica dello Spedale Civile

2- Il teatro civico stato attuale


nee tracciate nei piani regolatori serviranno di norma tanto per l’abbellimento e la regolarizzazione della piazza Carlo Alberto e di quella attorno alla Torre dell’Elefante e della Piazza San Pancrazio colla nuova apertura sulla spianata esterna , quanto per l’abbellimento e le rettificazioni in giro del Castello7”. Il Piano Regolatore del Cima divenne operativo il 18 aprile del 1861 con regio decreto del re Emanuele II, nonostante ciò gli interventi che furono portati a termine furono ben pochi a causa di problemi pratici e burocratici incontrati nella fase attuativa. I documenti d’archivio rivelano le numerose difficoltà incontrate dal Comune con i proprietari degli immobili per giungere a soluzioni accettabili. Nel Corriere di Sardegna dell’11 dicembre 1867 si leggeva: “vediamo qua un fabbricato che sporge dalla linea comune e pare un casotto da burattini, là un altro che ne rientra, e quel che peggio pare che ai loro fianchi non si pensi neppure di fabbricare “. Il cronista conclude ironicamente, suggerendo al Comune di “sbattezzare il suo piano regolatore chiamandolo, invece, piano disorganizzatore8”. Riflettendo su questo articolo, sembrerebbe che avesse ragione il giornalista, infatti ancora oggi la via dei Genovesi è caratterizzata da un continuo alternarsi di aperture e restringimenti che rivelano la parziale riuscita del Piano. Dalle carte da noi elaborate, dove in rosso sono indicate le opere previste ma non realizzate, in verde le opere realizzate ed in fine in giallo le opere parzialmente realizzate, è evidente come il rettilineamenti della via dei Genovesi risulti incompleto. Uno dei pochi interventi portato a termine fu quello dello sfondamento delle mura nella barriera della via dei Genovesi, per mettere in comunicazione il Castello con il nuovo Spedale Civile, ma anche questo intervento arrivò con diversi anni di ritardo rispetto al Piano, infatti venne portato a compimento negli anni tra 1905-06. Nonostante le difficoltà di attuazione il Piano venne considerato valido anche nei decenni seguenti, confermando così le grandi capacità del Cima, tant’è che il Piano Costa approvato dal Consiglio nel 1890 non faceva altro che riprendere le direttive del Piano Cima e a riportarle per intero per il quartiere di Castello. Nel Piano è evidente l’intendimento principale del Cima di mettere in relazione i diversi quartieri di Cagliari, cercando di rompere gli equilibri secolari urbani per far convergere gli interessi urbanistici nella pianura e verso la laguna e il mare, e così aprire la città verso l’esterno. Nonostante le opere portate a termine furono poche, e spesso con molti anni di ritardo rispetto al piano, le Carte Cima rappresentano un lavoro unico e di una modernità straordinaria, con delle scelte che verranno riprese in seguito da diversi urbanisti.

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3. Carta storica dello Spedale civile

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Rielaborazione grafica del piano Cima

Isolati Riedificazioni Mura Demolizioni

Irrealizzate Realizzate Parzialmente

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Il Piano Costa del 1890 Nel 1865 la Giunta chiede all’ufficio di studiare il Piano Regolatore del settore orientale della città, di Villanova, con lo scopo di prevedere l’ampliamneto della via lungo la riva del mare9. In seguito a questa decisione venne ripreso in mano il precedente piano di Gaetano Cima, presentandosi così l’opportunità di portare a termine il lavoro incompiuto dall’architetto ormai dimessosi da “Architetto in Primo di Città”. Le fasi di recupero e sviluppo del Piano per le parti nuove di città si protraggono notevolmente e solo nel 1880 si giunge ad una delibera che avvia la procedura del nuovo Piano, finalmente il 21 febbraio 1889 a Cagliari viene approvato, con voto finale di plauso all’ opera dell’Ing. Costa. Il piano di Giuseppe Costa, ingegnere capo del Comune di Cagliari, era il primo che guardava alla città nel suo complesso, non solo ai quattro quartieri storici, anche se il sobborgo di S. Avendrace non venne incluso poiché considerato non appartenente all’urbano. Rivolgeva le sue attenzioni più che al ridisegno delle parti antiche, del resto ormai consolidate nei secoli, alla definizione delle zone esterne ai quartieri storici ed in particolare al disegno delle future strade e alla possibilità del loro prolungamento su ambo i versanti della città10: da una parte il viale Trieste e dall’altra la via Sonnino e la via San Benedetto. Inoltre tentava di proporre un disegno a quella che si avviava a diventare periferia della città. In effetti si delineavano due differenti polarità urbane: sul versante occidentale di Viale Trieste e Viale S.Avendrace parallelo al tracciato delle ferrovie reali e alla laguna di Santa Gilla, si andava formando un nucleo di piccole e medie industrie, mentre sul versante orientale verso la circonvallazione andavano localizzandosi alcuni servizi urbani. La circonvallazione, ovvero la futura via Sonnino che costituiva il limite della città, già prima dell’assegnazione del suo definitivo tracciato aveva iniziato ad ospitare una serie di importanti servizi. Il macello o mattatoio costruito nel 1846 e progettato da Domenico Barabino; il gasogeno del 1868, l’officina elettrica ed anche le ferrovie secondarie della Sardegna. A questi si aggiunsero poi negli anni Venti e Trenta del 1900 il palazzo dell’Archivio di Stato (1927), la caserma dei vigili del fuoco (19221929), il palazzo della Legione dei Carabinieri (1933), il Parco delle Rimembranze (1926-1935). Anche a Cagliari come per altre città italiane e europee, il processo di inurbamento e la necessità di dare alloggio alle classi sociali più disagiate poneva come priorità la costruzione di case economiche popolari. Il dibattito sulle case economiche e popolari durava già da alcuni lustri. Tuttavia il Piano redatto dall’Ing. Costa, il quale sostanzialmente riprendeva quasi per intero le linee guida già riportate nel piano Cima, appare da subito un’ opera dal basso profilo tecnico. Impostato secondo procedure ormai non più conformi alle nuove norme, egli si limitò ad eseguire una scarna stesura grafica dei programmi di espansione e trasformazione della città suscitando 34


per altro le perplessità del prefetto, che insieme al sindaco richiese maggiori dettagli del Piano. Nonostante il Piano fosse già stato deliberato e approvato, l’8 novembre del 1890 il prefetto richiedeva al sindaco un piano di spese per motivare tutte le opere espresse graficamente dal piano. Il 18 giugno del 1891 il sindaco invia i documenti richiesti, ma il prefetto ancora una volta è costretto ad una risposta alquanto ferma: “i documenti comunicatimi intorno al piano regolatore di questa città, non possono, nell’attuale lor forma, considerarsi come progetto di massima a norma della legge 25 giugno 1865 N° 2359(...)”mancando le prescrizioni sulla natura ed i tempi delle opere, “(...) oltre alla mancanza della relazione alla quale non potrebbe supplire il verbale di seduta del Consiglio Comunale (...)”mancano istruzioni oltre “(...) la semplice indicazione dell’area da occuparsi (...) ad esempio: l’asportazione di parte della chiesa di Santa Lucia o la demoloizione di una cunetta delle mura del terrapieno importano certamente alcune opere di riadattamento che l’Amm.ne Comunale deve indicare con sufficiente dettaglio11 (...)”. Finalmente il 25 settembre 1891 il Prefetto, dopo avere ricevuto i materiali tanto attesi, prepara la trasmissione degli elaborati del Piano al Ministero dei Lavori Pubblici. Con l’adozione di nuovi regolamenti edilizi e di polizia si conclude una fase di piani urbanistici. Inizia così a delinearsi l’apertura della città a nuovi settori di espansione, la trasformazione del sistema difensivo in viali pubblici, e l’intrapresa di nuove operazioni immobiliari e industriali ponevano le basi per l’avvento di una città moderna.

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Il Concorso del 1929 La forma urbana che si consolida a partire dal 1885 conferma le intenzioni di un disegno di sviluppo che apre il territorio della città verso le nuove frontiere dello spazio regionale. Si caratterizzano, a partire da questo periodo, destinazioni d’uso che rappresentano, ante litteram, le costanti insediative alle quali ancora oggi si ispirano gli scenari di assetto e di sviluppo della città contemporanea: la zona industriale e le abitazioni popolari nel settore ovest, le zone residenziali della città nuova ad est, la zona commerciale, direzionale e dei servizi sul percorso del fronte mare da Viale Trieste a Viale Bonaria e sulle innervature dei tracciati della Marina. I segni di queste intenzioni sono chiari e manifesti nella proposizione di un progetto di accrescimento che, attestandosi sulle tradizionali direttrici viarie verso ovest - Corso Vittorio Emanuele e Viale Sant’Avendrace - e a sud - lungo Viale Diaz, Viale Bonaria - diventa l’ordito infrastrutturale della città nuova12. In seguito l’interesse insediativo venne indirizzato verso la parte orientale della città (Via Bacaredda, Piazza Galilei, Piazza San Benedetto). Il consolidamento di funzioni urbane plurali in questa zona risultò particolarmente significativo non soltanto perché diede l’avvio al più consistente sviluppo edilizio residenziale della città ma perché si affermarono le condizioni che avrebbero determinato la successiva saldatura della città con i centri minori della prima corona dell’area urbana. Le impedenze allo sviluppo radiocentrico compatto risultarono unicamente di tipo morfologico. La fine del secolo rappresentò per la comunità locale un momento di grande fervore culturale che, sostenuto da un significativo sviluppo dell’economia, consentì di creare attraverso la proposizione di progetti alla scala urbana le condizioni portanti del nuovo assetto urbanistico della città. Il fervore di rinnovamento, testimoniato dalla realizzazione negli anni precedenti di significative opere pubbliche come l’ospedale ed il mercato, prosegue con ulteriori iniziative. Nel 1877 venne bandito un concorso nazionale per il progetto del nuovo palazzo comunale, nel 1893 si inaugurò la Tramvia del Campidano (quella del Poetto incomincerà a funzionare nel 1913) e nel 1896 si completarono le reti tecnologiche di distribuzione dell’energia elettrica e del gas e gli impianti del sistema idrico fognario. La fine dell’Ottocento segna dunque il periodo di completamento della costruzione della città nuova13. I nuovi processi in atto nella società fanno assumere alla città, che correla il processo di espansione del centro urbano alla redistribuzione di funzioni centrali nei quartieri periferici ed è in grado di garantire la qualità urbana coerentemente al nuovo rango acquisito, una forte connotazione borghese. Negli anni successivi, anche a seguito dei processi di inurbamento in atto, risultò necessario indirizzare l’organizzazione dello spazio urbano e disciplinare le crescenti istanze di espan36


sione residenziale. Con una lungimirante e condivisa decisione politica la municipalità riconobbe la necessità di dotare la città di uno strumento urbanistico regolatore. Il concorso del 1929 venne impostato sulla base di precisi intendimenti contenuti nel bando: la riorganizzazione del porto, la sistemazione del terminale delle Ferrovie dello Stato, lo spostamento dell’officina del gas e del mattatoio, l’individuazione di aree destinate a servizi pubblici, la caratterizzazione degli interventi residenziali. La nuova idea di città che viene preconizzata nel bando esalta i caratteri ambientali del contesto. Nei parchi urbani e nel verde di sistema si intravede un’occasione per fornire qualità allo sviluppo insediativo e in tal senso si individuano gli ambiti spaziali che dovranno essere oggetto delle proposte urbanistiche progettuali. In particolare i suggerimenti per la creazione di spazi verdi individuano come principali punti di forza la sistemazione a parco urbano del Monte Urpinu e dell’Orto Botanico, la riqualificazione del colle di Tuvixeddu, la realizzazione di una passeggiata a mare sul colle di Bonaria, l’allestimento dei percorsi nel verde del Terrapieno prospiciente Villanova e di Buoncammino in uscita dal Castello verso la Piazza d’Armi. Risultò vincitore il progetto denominato ‘7 P.R14. La giuria presentò la sua relazione nel 1931 mettendo in evidenza la validità della proposta di piano. Tra i punti di forza si segnalava il riordino della trama degli isolati esistenti che venivano integrati con servizi e funzioni non residenziali. Il disegno di assetto indirizzava, confermandola, l’espansione residenziale secondo le due direttrici di sud ovest (via Roma -viale Bonaria - viale Diaz - lungomare Poetto) e sud nord (Via Sonnino - Via Dante) organizzando lo spazio con zone attrezzate di verde pubblico a supporto degli episodi insediativi. Le zone destinate a verde urbano risultavano circa un terzo dell’area totale del territorio urbanizzato, in quantità superiore a quanto prescritto dall’attuale normativa urbanistica. I Giardini Pubblici, che nascevano in una zona di rilevante pregio paesaggistico sul sedìme del giardino della Polveriera acquisito dalla municipalità nel 1840, costituirono il primo intervento realizzato con un forte valore simbolico. In tutte le proposte elaborate in occasione del concorso del 1931 si può intravedere un tentativo di inserire l’aspetto estetico generale nel dispositivo complessivo del progetto di piano, come peraltro era prescritto nel testo del Bando di Concorso. La giuria, composta da autorevoli rappresentanti del mondo della cultura locale, che si erano formati fuori dalla Sardegna, ebbe una notevole influenza nel suggerire l’insieme dei contenuti che il piano urbanistico avrebbe dovuto possedere. Il riferimento al pensiero di Camillo Sitte15, ben noto ai componenti della giuria, caratterizzò l’approccio al tema della città storica intesa, nella univocità del contesto urbano, come parte vitale a cui viene riconosciuto un ruolo propulsivo nei confronti 37


del piano di ampliamento. Questo aspetto risulta con chiarezza nel bando in cui si chiedeva che il progetto comprendesse, unitamente al progetto regolatore per l’ampliamento della città, il piano per la sistemazione del centro antico esistente e delle frazioni amministrative. Per ciò che riguarda gli aspetti percettivi - estetico visivi - ed ambientali - beni storico artistici - veniva richiesta la definizione di un sistema di vincoli a tutela del patrimonio culturale nazionale. Le soluzioni avanzate dai vari gruppi, si conformarono alle tendenze culturali del tempo proponendo “la conservazione delle caratteristiche storiche artistiche ed ambientali della città con particolare riguardo alle visuali panoramiche e lo sventramento o riadattamento delle zone vecchie della città laddove ragioni igieniche o di traffico lo impongano16”. Se la prima affermazione appare anticipatrice di comportamenti propizi alla conservazione dei valori della comunità locale, la seconda è fuorviante perché induce azioni che tendono a sostituire i tessuti per dare spazio al “nuovo” adducendo la tesi inquietante della necessità di una corretta gestione delle problematiche di igiene urbana.

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Cagliari sotto assedio: i bombardamenti del 1943 Il 7 febbraio 1943 l’aviazione statunitense diede avvio ad una massiccia offensiva sugli aeroporti sardi per contrastare gli attacchi delle forze aeree italo-tedesche ai porti di Algeri, Orano, Philippeville e Bona che costituivano i principali centri logistici degli Alleati nel Nord Africa francese. Per tre mesi gli obiettivi prioritari dell’USAAF furono i campi di volo di Elmas, Villacidro, Decimomannu e Monserrato, unitamente al porto di Cagliari, ma dopo la grande incursione sul Capoluogo, effettuata il 13 maggio, gli attacchi aerei vennero estesi a tutto il territorio dell’Isola17. Con lo scopo di indebolire il fronte interno, i bombardamenti non risparmiarono i centri abitati, neppure quelli minori. Per la sua posizione strategica fu Cagliari a subire i danni più gravi ed a patire il maggior numero di vittime. Il 13 maggio furono lanciate su Cagliari ben 451 tonnellate di esplosivo che accrebbero le devastazioni dell’area urbana e del porto prodotte dalle precedenti incursioni. Quando con l’Armistizio dell’8 settembre 1943 i bombardamenti aerei sulla Sardegna ebbero termine, la zona centrale di Cagliari era ridotta ad un desolante ammasso di rovine. Dei 4500 fabbricati, che prima della guerra costituivano il patrimonio edilizio della città, 720 erano rasi al suolo, 540 gravemente danneggiati e 2300 privi di infissi a causa degli spostamenti d’aria. Oltre agli edifici residenziali, le bombe avevano colpito anche le sedi delle istituzioni, i bastioni spagnoli, l’Ospedale Civile, il Teatro Civico e molte chiese, di cui S. Caterina, S. Domenico, S. Agostino e quella della Madonna del Carmine erano andate distrutte. Quanto al porto, era quasi inagibile per le gravi condizioni in cui versavano le scogliere di posa di moli e banchine e la distruzione tanto delle strutture di servizio che delle attrezzature fisse. Cagliari, come mostrano le foto del tempo, era una larva di città pressoché disabitata e invivibile, anche per mancanza di acqua potabile e di elettricità, la cui popolazione, in larga parte malamente alloggiata nei paesi dell’interno, contava non meno di quarantamila senzatetto.

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I bombardamenti del 1943 a Castello

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1. Teatro civico 2. Edifici Piazza Arsenale 3. Bastione San Remy 4. Chiesa di San Giuseppe 5. Palazzo Villamarina 6. Edifici di Via Martini

7. Edifici Via cannelles 8. Palazzo Atzeni-Vacca 9. Palazzo Carroz 10. Palazzo Falqui-Pes 11. Palazzo Aymerich 12. Palazzi Cadello-Asquer

13. Case in Via Stretta 14. Case in Via Stretta 15. Case in Via Corte d’ Appello e Via Santa Croce 16. Ex Caserma San Carlo 17. Spina (edificio demolito nel 1937) 18. Palazzo San Placido (demolito nel 1972)

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4. Le distruzioni del 1943 in Piazza Carlo Alberto


Il piano di ricostruzione del 1947 Lo stesso piano del 1931, approvato nel 1938 e nel 1941 e mai applicato, costituì il documento di base per l’elaborazione del cosiddetto piano di ricostruzione. Predisposto nel 1944 ed approvato nel 194718 esso segna il ritorno alla vita normale dopo il duro periodo bellico. Infatti con nota 5 febbraio 1943 il Ministero dei Lavori Pubblici restituiva l’elaborato al Comune perché venisse rivisto alla luce di quanto prescritto dalla nuova legge nazionale urbanistica 17 agosto 1942, n° 1150 attualmente in vigore in Italia. Con una successiva nota datata 14 marzo 1944, n° 2515 lo stesso Ministero esprimeva l’opportunità di una valutazione preventiva del piano rispetto alle esigenze createsi a causa dei danneggiamenti procurati dagli eventi bellici. Fu fatto il censimento degli edifici distrutti e danneggiati: risultarono 862 distrutti, 574 gravemente danneggiati, 1073 lievemente danneggiati. Dunque 2509 edifici subirono danni pesanti dai bombardamenti. Il numero totale di edifici della Cagliari dell’epoca ammontava a circa 7000; se ne deduce che percentualmente quasi il 36% del patrimonio abitativo consolidato fu compromesso. Si stimarono inoltre provvisoriamente mancanti 4000 alloggi19. Approfittando delle distruzioni operate dai bombardamenti questa sembrava l’occasione giusta per migliorare le condizioni igieniche e sanitarie dell’abitato, per Castello venne previsto l’allargamento di via Martini e della piazza Palazzo, mentre sui vuoti creati dalle distruzioni si prevedeva di aprire nuove strade o impedire la ricostruzione al fine di salvaguardare il risanamento igienico. Il piano dovette essere adeguato alla nuova legge 1150, ma nella pratica il piano di ricostruzione postbellico prevedeva delle semplificazioni delle procedure che rendevano più elastiche le possibilità di costruzione e ricostruzione in relazione al particolare periodo di emergenza che si viveva. Le maggiori trasformazioni urbane che si possono imputare al piano di ricostruzione sono per quanto riguarda il centro urbano, l’apertura della via S. Salvatore da Horta che collega la via Torino con il viale Regina Margherita; il prolungamento della via Mameli oltre la via Sassari e la via Angioy, sino al Largo Carlo Felice; l’apertura e l’allargamento della via Santa Margherita e della via San Giorgio. Fu mantenuta la previsione, poi inattuata, di una galleria di collegamento est-ovest sotto il colle di Castello tra la via San Giorgio (la fossa di San Guglielmo, dove è stata costruita la clinica Aresu) e la via Ozieri. Il piano venne in realtà bloccato dalla sua tardiva adozione, le quali consentirono attraverso diverse deroghe una riedificazione disordinata e cubature ben superiori alle precedenti. Castello restò sostanzialmente immune a questi interventi , ma il suo aspetto restò definitivamente cristallizzato sino all’adozione del piano Mandolesi del 1965.

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5. Planimetria dei danni dei bombardamenti del 1943

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Il piano Mandolesi del 1965 Adottato dal Consiglio Comunale nel luglio del 1962 il P.R.G. concluse il lungo iter amministrativo nel 1965 con l’approvazione del Presidente della Giunta Regionale Sarda. Lo strumento urbanistico si trovò a dover fare i conti con realtà territoriali ed urbane complesse condizionate dai processi economici e sociali in atto che inducevano scenari insediativi fortemente dinamici. Significativi processi di inurbamento20 avevano inoltre determinato la saldatura della città con le sue frazioni ed i comuni contermini che si attestavano a nord est attorno alla zona umida di Molentargius. Nella città la concentrazione di attività di servizio ed uffici (pubblica amministrazione di livello provinciale e regionale, sanità, istruzione superiore, Università) oltre alla diffusione delle attività commerciali della “città emporio” richiamava elevati flussi di traffico (oltre 150.000 autoveicoli privati in ingresso al giorno). La presenza sempre più elevata di city users, aumentando i già rilevanti problemi alla circolazione privata e dei mezzi pubblici di trasporto, imponeva di provvedere a scelte forti in grado di risolvere i problemi della mobilità e di disciplinare i fenomeni di saturazione dello spazio urbano conseguenti all’aumento inarrestabile della popolazione che all’inizio degli anni sessanta superava i 200.000 abitanti. Queste situazioni, oltremodo enfatizzate da fenomeni di concentrazione di popolazione ed attività attorno al capoluogo che indicavano la formazione di un sistema urbano compatto con caratteri di città metropolitana, rappresentavano le principali condizioni di criticità da risolvere con il progetto del Piano Regolatore. Per la soluzione di questi problemi, con forte capacità decisionale e lungimiranza, il piano individuò il sistema degli assi urbani e la viabilità territoriale di circonvallazione che rendevano possibile la localizzazione strategica delle attrezzature di valenza urbana e regionale (gli ospedali, la nuova cittadella universitaria, lo stadio e i centri direzionali) ed interconnettevano la città con la zona industriale, il porto canale e l’aeroporto. La necessità di risolvere i problemi di mobilità presenti e futuri, non soltanto all’interno della città ma anche a livello della conurbazione, la distribuzione delle zone di espansione residenziale e l’ipotesi localizzativa del nuovo porto industriale nella laguna di S. Gilla costituirono quindi lo scenario sul quale mediare decisioni e scelte di piano21. Non sempre però, nell’assunzione delle soluzioni localizzative più rilevanti, emerse la consapevolezza di dover suggerire soluzioni in grado di garantire la salvaguardia delle risorse ambientali e del paesaggio naturale che caratterizzavano con la loro presenza i luoghi e la forma dell’insediamento. Sono in tal senso indicativi tre casi di piano di rilevante impatto: il porto canale, il quartiere di S. Elia sul lungomare, la zona umida di Molentargius. Nel primo caso la fattibilità dell’opera venne affrontata, in termini di scelta strategica di natura sociale ed economica. Sul progetto del nuovo porto industriale di Cagliari si fondava infatti il futuro dell’Area di Sviluppo Industriale più importante della Sardegna 44


e a questa iniziativa fu affidata la ripresa economica dell’area vasta di Cagliari particolarmente segnata da pesanti fenomeni di inurbamento conseguenti ai processi di trasformazione dell’economia e della società negli anni a ridosso della ricostruzione del dopoguerra. Nel secondo si proponeva una soluzione di rilevante peso insediativo per attenuare la tensione abitativa con consistenti interventi di edilizia pubblica. In entrambi i casi per la definizione dei progetti e la loro realizzazione non venne presa in nessuna considerazione la compatibilità degli interventi con il contesto ambientale in cui si collocavano. In merito alla zona umida di Molentargius solo il caso ha consentito di non modificarne gli assetti nonostante la previsione di destinazioni d’uso incongrue che ipotizzavano la possibilità di realizzare interventi di “bonifica” che, se realizzate, avrebbero indotto irreversibili trasformazioni del compendio naturale e del paesaggio.

6. Piano regolatore generale dell’ Ing. Mandolesi (1965)

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7. Zonizzazione del piano Mandolesi (in giallo le nuove zone di espansione)

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Il piano quadro per il recupero del centro storico Il Piano Quadro è stato adottato dal Consiglio Comunale nel febbraio del 199922. Approvato dalla Regione Sardegna nell’agosto del 2000 costituisce parte integrante del Piano Urbanistico Comunale (P.U.C.). Il piano, studiato per indurre nella città storica condizioni favorevoli al recupero e riuso del patrimonio edilizio ed alla riappropriazione degli spazi di relazione, definisce le condizioni e i presupposti strategici e normativi necessari per promuovere e gestire le azioni pubbliche e supportare gli interventi privati per il recupero del patrimonio edilizio esistente. L’approccio metodologico individua nella definizione di compatibilità degli usi e trasformazioni il riferimento etico, culturale e operativo della sostenibilità degli interventi. La conoscenza del contesto e la definizione dei “valori e dei caratteri da conservare” costituisce in tal modo il riferimento cui riferire la verifica di coerenza della proposizione degli interventi di recupero e riuso. L’analisi diacronica dei tessuti insediativi e delle espressioni architettoniche e tipologiche ha consentito di porre in evidenza le relazioni che ancora intercorrono tra le tipo morfologie edilizie ed il contesto inteso come sfondo delle azioni e manifestazione dello spazio sociale e abitativo modellato dalle tecniche costruttive del passato e dai materiali locali da costruzione. Gli obiettivi, enunciati tenendo conto delle specificità e dei differenti ruoli dei quattro quartieri storici, possono riassumersi nei seguenti punti: permanenza della residenza attuale in condizioni di una migliore qualità della vita ed incremento programmato secondo la valutazione delle soglie di ammissibilità e dei gradi di trasformabilità dello spazio urbano consolidato; acquisizione e recupero ad uso strategico e polivalente degli edifici pubblici in dismissione; interazione con l’amministrazione universitaria per favorire la residenzialità degli studenti e la localizzazione delle infrastrutture didattiche e di servizio; miglioramento diffuso della qualità ambientale e dell’accessibilità ai luoghi della memoria (arredo urbano, percorsi verdi, percorsi meccanizzati, parcheggi); radicamento dei flussi turistici residenziali in sinergia con il recupero del fronte mare; coordinamento delle iniziative di marketing urbano (centri commerciali naturali, progetti di comunicazione) finalizzato alla fruibilità delle cospicue risorse culturali e ambientali e di servizio presenti. In concreto l’approccio metodologico affida alla conoscenza di contesto il compito di riconoscere i “valori” cui riferire i gradi di compatibilità delle istanze progettuali. Il riconoscimento e la conservazione della specificità del tessuto insediativo, con particolare attenzione alle condizioni di trasformabilità suggerite dalla conoscenza delle differenti tipo morfologie edilizie e delle espressioni nel tempo dei vari linguaggi architettonici, costituiscono il riferimento della normativa d’attuazione. 47


Nel caso di situazioni di particolare complessità o di valenza strategica, come i più importanti vuoti urbani e gli edifici complessi prevalentemente di proprietà pubblica in dismissione (ospedali, caserme, scuole carceri) è necessario operare attraverso piani di recupero proposti dalle istituzioni pubbliche o dai privati portatori di interessi. La verifica di compatibilità degli interventi privati e la sostenibilità di quelli pubblici viene affidata al Laboratorio Comunale per il Recupero del Centro Storico che, riferendosi al sistema dei valori e delle regole definite dal piano, dovrà svolgere con continuità funzioni di supporto per la progettazione e la valutazione. Per la gestione della conoscenza e la promozione degli interventi di recupero e riuso è stato predisposto un sistema informativo dedicato ed un GIS, interfacciabile con le banche dati e gli altri sistemi informativi della pubblica amministrazione, indispensabile non soltanto per le procedure di gestione dei servizi comunali ma anche idoneo a supportare processi di verifica della coerenza degli interventi (anche nell’interfaccia con il Piano Paesaggistico Regionale) e monitorare i loro esiti sotto il profilo economico e sociale.

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8. Tavola di sintesi del piano quadro

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Il piano urbanistico comunale del 2003 Il Piano Urbanistico Comunale (PUC), approvato definitivamente nel Dicembre 2003, è stato redatto in adeguamento al Piano Territoriale Paesistico - PTP e in attuazione della Legge Urbanistica Regionale n.45/198923. La Giunta Regionale aveva infatti individuato come criterio metodologico e operativo l’adeguamento del nuovo piano urbanistico comunale al Piano Paesistico (studiato in conformità alla Legge 431/1985) con l’intento dichiarato di promuovere una nuova generazione di strumenti urbanistici comunali “con valenza paesistica”. A tal fine l’adeguamento dei piani rendeva necessario costruire, con elevata qualità scientifica e tecnologica, la conoscenza del contesto per definire valori paesistico-ambientali e storico culturali cui riferire il progetto urbanistico e sui quali fondare durevoli e condivise prospettive di sviluppo delle comunità d’ambito. In riferimento all’impianto metodologico il Piano Urbanistico Comunale di Cagliari si riferisce in tal senso alla “natura della nuova pianificazione con valenza paesistica” dando particolare rilievo agli interventi di riqualificazione, proponendo quindi concretamente il problema della qualità urbana. Tra gli assunti metodologici afferma inoltre la propria funzione di promozione e coordinamento delle trasformazioni secondo la sequenza: piano direttore-dispositivi normativi-sistema di progetti. Per le varie parti della città sono pertanto individuati programmi di intervento predeterminati sui quali far convergere interessi pubblici e risorse finanziarie dell’imprenditoria privata che dovrebbero essere valutati con specifiche procedure. Il piano si propone come “quadro di unione e di coordinamento del sistema di progetti” che operativamente fa ricorso a procedure valutative di coerenza e sostenibilità (economica e ambientale) in grado di verificare i limiti di negoziabilità degli interventi. I criteri enunciati nella stesura del PUC confermano inoltre l’interesse a interconnettere ed interpretare i processi in atto nella conurbazione in modo da cogliere il senso dei processi insediativi che interagiscono con la città e conseguentemente individuare le modalità di gestione delle problematiche territoriali di “area vasta”. La definizione di macroregioni-geografiche, che costituiscono l’ordito delle relazioni uomo - territorio nell’area metropolitana, e la successiva classificazione alla scala urbana delle differenti articolazioni del sistema insediativo (la città compatta, la città lineare, la città diffusa, la città dispersa, la città industriale) sono orientate ad individuare programmi operativi mirati alla “ricomposizione” della forma della città a partire dalle parti storiche. Il punto di partenza nello studio dello strumento urbanistico è rappresentato dalla costruzione della conoscenza di sfondo cui riferire le azioni progettuali. Le procedure di rappresentazione della città e del territorio, basate sull’articolazione per sistemi morfologici definiti reciprocamente come unità di analisi e di pro50


getto, mettono in evidenza la molteplicità delle problematiche progettuali che daranno in seguito attuazione al disegno di piano. Gli indirizzi programmatici posti alla base del documento di indirizzo evidenziano la necessità di limitare la crescita residenziale facendo ricorso alla riqualificazione diffusa del patrimonio esistente dando pertanto priorità al progetto per la città pubblica (il cui peso rilevante supera il 70% del patrimonio abitativo totale) e di subordinare gli attrattori di traffico alla capacità delle infrastrutture per la mobilità e per la sosta di rispondere alla domanda indotta. Per quanto attiene le politiche abitative particolare attenzione è rivolta alla valutazione della domanda sociale pregressa ed ai problemi di localizzazione degli incrementi residenziali dando priorità ad una visione che si basa sostanzialmente sul recupero di qualità del patrimonio edilizio esistente, storico e recente, e sulla centralizzazione delle periferie. I temi del turismo e della cultura vengono affrontati in termini di reciprocità: la migliore qualità dello spazio urbano e la fruibilità del patrimonio storico culturale sono individuate come le principali risorse per sviluppare nuove opportunità occupazionali. Un aspetto singolare delle regole è rappresentato da un quadro normativo incentivante le azioni concertate per realizzare i servizi pubblici. Le zone per i servizi sociali vengono infatti immesse nella sfera degli interessi economici privati, attribuendo loro controllate possibilità edificatorie. Ciò ha però in definitiva significato collegare l’incremento dell’edificazione privata in cambio della realizzazione della struttura dei servizi sociali. Anche se l’obiettivo dichiarato risulta quello di elevare la quota di investimento privato nella costruzione della città pubblica si sono aperte inquietanti manifestazioni di interesse speculativo soprattutto sulle aree destinate a verde.

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Il piano particolareggiato per il centro storico Il centro storico rappresenta ancora oggi, nell’immaginario collettivo, la città di Cagliari. Il Piano Urbanistico Comunale, confermando le visioni strategiche e gestionali del Piano Quadro per il Recupero del Centro Storico ha messo in evidenza non solo la necessità della tutela e del riuso della città storica, ma ha segnalato anche l’esigenza di una reinterpretazione del suo ruolo e della valorizzazione dei rilevanti aspetti di natura ambientale, artistica e storico monumentale in essa depositati cui riferirsi per garantire condizioni sostenibili per lo sviluppo complessivo della città24. In questa ottica, le politiche e le azioni del Piano particolareggiato del centro storico, in sintonia dovranno essere orientate non soltanto alla tutela ed al recupero del patrimonio edilizio ma anche ad una realistica possibilità di riqualificazione urbana e sociale da realizzarsi attraverso interventi compatibili con il contesto sui quali far convergere diverse forme di interessi, pubblici e privati, sostenibili e durevoli nel tempo. La principale funzione del piano è rappresentata dalla convergenza tra obiettivi, etici, culturali, sociali ed economici ai quali riferire le motivazioni del recupero e riuso del centro storico. Le proposizioni di intervento devono rendere consapevoli i cittadini della necessità di conservare e promuovere processi che possano garantire una nuova e durevole vitalità economica e produttiva del centro storico attraverso la loro interrelazione con le forti dinamiche di sviluppo e di assetto, in atto e programmate, nella città e nel territorio. Diviene dunque indispensabile comprendere quali siano i segnali di vitalità e di permanenza dei ruoli pregressi e di quelli innovativi, e definire linee guida per la conservazione di quel ruolo fondamentale che ancora oggi viene attribuito a questi luoghi della memoria, che hanno visto la formazione della cultura e degli interessi della polis. Essi andranno reinterpretati non soltanto da un punto di vista simbolico, ma anche avendo presente la necessità concreta di mantenere alto l’interesse per i cittadini residenti, per i city users e per i turisti, al fine di evitare l’abbandono della città storica ad un destino di obsolescenza, degrado e ricambio inadeguato di interessi insediativi. Il riuso ed il recupero del rango della città storica, oltre a dare significato e senso allo stesso fenomeno evolutivo della forma urbana, consente di riattribuirle ruoli urbani strategici per proiettare sul territorio metropolitano le sue intrinseche potenzialità, simboliche e funzionali, essenziali per consolidare il ruolo di capitale regionale. La valorizzazione delle risorse culturali e la tutela dei valori paesaggistico-ambientali non devono esaurirsi unicamente nella conservazione e valorizzazione delle eccellenze e delle identità del territorio storico, ma devono costituire la premessa su cui fondare i nuovi processi di sviluppo e la realizzazione di una città di qualità, in cui i residenti riconoscano le proprie ricchezze ambientali e del patrimonio culturale e possano usufruirne. 52


9. UnitĂ storico ambientali del centro storico (tavola estratta dal P.P.C.S.)

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Uno dei punti di forza del territorio della città di Cagliari, in relazione al suo sviluppo, è rappresentato dalla sua funzione di capitale culturale politica ed economica del territorio regionale e dal ruolo che sarà in grado di conquistarsi in una visione articolata dello spazio mediterraneo. In quest’ottica, che genera forti interazioni tra il territorio della città, l’area vasta e lo spazio economico regionale, devono quindi essere messe in atto politiche e strategie coerenti con azioni mirate per la competizione internazionale, e progetti per realizzare le scelte strategiche per la città in un’ottica di competitività mediterranea costruita sui valori dell’identità, della cultura, della tradizione e dell’ambiente, intesi come requisiti di qualità urbana per i cittadini residenti, e come opportunità per il turismo e strumenti di competitività nel contesto nazionale ed internazionale. Dal ruolo che Cagliari sarà in grado di ritagliarsi all’interno del sistema socioeconomico mediterraneo dipenderà anche la possibilità di avviare efficaci politiche di sviluppo del sistema portuale e di recuperare e rivitalizzare, in un’ottica di attrazione di flussi turistici, il fronte mare ed il centro storico nel suo complesso. È possibile individuare nel recupero del patrimonio edilizio esistente a fini residenziali plurimi (cittadini, turisti, studenti) e nel sostegno all’insediamento di attività di tipo artigianale e produttivo gli strumenti attraverso cui dare avvio ad un processo durevole di recupero e riuso che consenta la rinascita dei quartieri storici, soprattutto Marina e Castello direttamente coinvolti nella riconversione del fronte mare della città. Si tratta quindi della conferma delle visioni proposte su queste tematiche dal Piano Quadro del Centro Storico e dal PUC, nei quali veniva posto in evidenza come il lungomare da Giorgino al Poetto rappresentasse l’occasione di maggiore rilevanza per la riqualificazione urbana ed architettonica della città. Questi strumenti di programmazione e governo del territorio hanno individuato alcune precondizioni strutturali ed operative, in relazione alla necessità di ridefinire i rapporti tra il fronte mare e la città storica, e hanno suggerito possibili connessioni con i sistemi morfologici ed ambientali dello spazio insediativo senza limitarsi all’esigua dimensione della fascia costiera. È evidenziata inoltre la possibilità per il centro storico di proporsi, in alcuni suoi ambiti, come “quartiere artigiano e centro commerciale naturale”, ossia come luoghi organizzati non soltanto con le attività indispensabili per i residenti ma anche con la Analisi del paesaggio urbano: Cagliari ed il suo centro storico come diffusione di una rete qualificata di servizi ed attività che possa assumere una funzione insostituibile per l’intera città riattivando quel tessuto produttivo che storicamente caratterizzava il centro storico. Le azioni strategiche, suggerite dalla composizione dell’assetto insediativo e dalla distribuzione di funzioni urbane ancora in essere o colpevolmente sopite, prefigurano progetti di iniziativa 54


prevalentemente pubblica, rese possibili dalla dimensione cospicua di un patrimonio di spazi e di edifici pubblici che caratterizzano nel loro insieme la possibilità di indirizzare, in una visione organica complessiva, l’organizzazione di funzioni innovative in grado di riattribuire un determinante ruolo di vitalità alla città storica rendendola competitiva nei confronti dell’intero sistema urbano territoriale. Notevole interesse è inoltre rappresentato dalla possibilità di intervenire su alcuni spazi residuali e vuoti urbani con progetti ed iniziative rispettose non soltanto della memoria storica dei luoghi ma consapevoli della loro particolare funzione strategica quali elementi spaziali di interconnessione di funzioni e di interscambio tra la città vecchia e la città nuova che consentano in alcuni casi la conservazione dei valori paesaggistici e di identità storica che si ritiene debbano essere garantiti alla comunità. Gli ambiti spaziali, gli oggetti edilizi e le reciproche interazioni funzionali, visti nella loro complessità relazionale urbana, sono esplicitati attraverso singole schede progetto che costituiscono, in termini urbanistici, le condizioni di prefattibilità. In sintesi, la metodologia25 operativa proposta per il recupero ed il riuso del centro storico di Cagliari, si articola in: 1. fase della costruzione della conoscenza (Sistema Informativo Territoriale) interoperabile tra Pubblica Amministrazione ed i privati; 2. definizione degli abachi architettonici e della qualità dello spazio urbano; 3. definizione di un sistema normativo a “due velocità”: la dimensione di medio ambito dell’isolato, con la quale verranno suggeriti e disciplinati gli interventi significativi per la riqualificazione urbana, la dimensione delle unità edilizie che consentirà di disciplinare la quotidianità del recupero e del riuso. L’idea di realizzare le precondizioni per un durevole sviluppo economico e sociale della città storica è fondata sull’organizzazione: • dei Beni Storico - Culturali; • del sistema dei servizi integrati pubblici e privati; • del campus universitario diffuso; • del sistema di mobilità e accessibilità, secondo condizioni d’uso intertemporali.

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10. Vista del quartiere Stampace

11. Vista del quartiere storico di Villanova (1940)

12. Vista del quartiere storico di Castello

13. Vista del quartiere storico di Marina

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NOTE 1. AA. VV., Castello. Cagliari. Quartieri storici, Milano 1985. 2. AA.VV., Dossier Castello, CastrumLab 2010, Castrum Kalaris, Cagliari 2010. 3. Deplano G., Analisi del paesaggio urbano: Cagliari ed il suo centro storico, Manzano 2009, p. 18. 4. Del Panta A., Un Architetto..., op. cit., p. 20. 5. Gaetano Cima venne dichiarato “architetto civile” il 6 agosto 1830 mentre nel 1840 viene nominato “architetto in primo di città” da parte del Consiglio degli Edili, nuovamente istituito da Carlo Felice nel 1822. 6. AA. VV., Castello..., op. cit., p. 146. 7. Ivi, p. 146. 8. Ivi, p. 147. 9. Cadinu M., Cagliari..., op. cit., p. 192. 10. AA. VV., Dossier Castello..., op. cit., p. 14. 11. Cadinu M., Iniziative di pianificazioni urbanistiche nella Cagliari ottocentesca, in Storia dell’ urbanistica. Annuario nazionale di storia della città e del territorio, Nuova serie 3/1997, Edizioni Kappa, Roma 1999, pp. 54-55. 12. AA.VV., I piani regolatori della città di Cagliari, in Metodologie di analisi del rapporto fra gli usi sociali e le corrispondenti tipologie strutturali, ricerca condotta per il C.N.R., pp. 189-209. 13. AA.VV., Dossier..., op. cit., p. 15. 14. Il gruppo 7 PR era composto da : Cancellotti, Lenzi, Montuori, Piccinato, Scalpelli, Fuselli, Lavagnino, Nicolosi, Valle. 15. Camillo Sitte (Vienna, 17 aprile 1843 – Vienna, 16 novembre 1903), noto architetto e urbanista austriaco rappresentò una delle figure più rilevanti del dibattito internazionale sull’ampliamento e l’assetto urbanistico delle città a cavallo tra ‘800 e ‘900. 16. Deplano G., Cagliari dalla città murata alla città dei piani, in Il nuovo manuale di urbanistica, Roma 2009. 17. Piludu P., Cagliari, 1943. La guerra dentro casa. Cagliari 2013. 18. AA.VV., Castello...,op. cit., p. 154. 19. AA.VV., Cagliari, tracce di architettura., Firenze 2007. 20. Deplano G., Analisi..., op. cit., p. 20. 21. Deplano G., Cagliari dalla città murata alla città dei piani, in Il nuovo manuale di urbanistica, Roma 2009. 22. Deplano G., Analisi..., op. cit., p. 21. 23. Deplano G., Analisi..., op. cit., pp. 22-23. 24. In Piano Particolareggiato del Centro Storico, Relazione Generale., Cagliari 2010. 25. Deplano G., Analisi..., op. cit., pp. 40-42.

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Parte III Il tessuto urbano del Castello


Morfologia dell’edilizia privata L’edilizia privata dei quartieri storici di Cagliari è documentabile a partire dall’età medievale, ma sono pervenute poche informazioni per quanto riguarda il periodo pisano, e le uniche testimonianze che abbiamo riguardano rielaborazioni di fonti frammentarie giunte sino ai nostri giorni. Dall’inventario di Santa Maria di Pisa1 è possibile individuare alcune caratteristiche di queste abitazioni, dove si parla dell’esistenza di domus sex solariatae et tenent a Ruga Mercatorum usque ad Rugam Marinariorum2. Topograficamente tali dimore sono situabili tra la via Lamarmora e la via Canelles; la loro caratteristica particolare è quella di essere fornite di ballatoi lignei. Il Privilegium de Ceterum3, documento redatto il 25 agosto del 1327, concesso dal re Giacomo II d’Aragona nell’intento di popolare Castello e le sue “appendici” favorendo l’ingresso dei Catalani abitanti della zona di Bonaria, stabilì che l’estensione minima dei terreni contenenti le abitazioni iberiche a Bonaria dovesse essere di tre canne di Montpellier in latitudine e cinque in longitudine. Si doveva dunque trattare di edifici molto stretti e presumibilmente privi di cortili, il cui sviluppo doveva necessariamente svolgersi in altezza. A questo proposito occorre ricordare che la tassazione sugli immobili era proporzionale, per tutto il Medioevo, all’ampiezza del fronte strada; ciò spiegherebbe, in parte, la tendenza del lotto all’approfondimento sul retro dello stesso fronte. Altre notizie riguardano più genericamente acquisti di immobili o concessioni d’affitto di vari fabbricati che nulla aggiungono alle caratteristiche tipologico-edilizie del patrimonio immobiliare cagliaritano per tale periodo. Se per quanto riguarda l’epoca medievale sono poche le informazioni reperibili riguardanti la tipologia abitativa, si trovano molte più notizie a partire dal XVII ed è possibile individuare un panorama edilizio complessivo abbastanza interessante. Dalle Prammatiche regie del Vico del 1640 emerge che accanto alle sontuose abitazioni delle famiglie nobili erano presenti edifici di dimensioni più modeste di persone povere che alloggiano in case basse e mal costruite “che deturpano, piuttosto che abbellire la città”. Possiamo quindi immaginare un sistema urbano dell’edificato costituito da una serie di case ordinate a schiera, comprendenti un piano terreno ed al massimo un altro piano superiore, inserite in un tessuto urbano costituito da strade anguste e sinuose. Nel Settecento, un anonimo forse piemontese, autore di una Descrizione dell’Isola di Sardegna, offre un importante contributo sulle condizioni edilizie di alcune abitazioni cagliaritane situate nel quartiere. Le definisce “con pochissima architettura”, per la maggior parte con le scale esterne, senza cortili o pozzi luce e con i solai ad incannucciato ricoperto di calce bianca; la cucina risulta collocata all’ultimo piano, senza canna fumaria per lo smaltimento del fumo di cottura dei cibi. Tale descrizione rappresenta la registrazione di uno stato di fatto generalizzato e riguardante la 60


maggior parte dei quartieri urbani di origine medievale, anche in ambito extra-insulare. La descrizione prosegue con Stampace e Villanova, dove si evidenzia un livello edilizio ancora diverso. Le case sono caratterizzate dalla presenza del solo piano terra ed hanno muri costruiti con mattoni di terra, paglia e letame seccati al sole, i cosiddetti “adobes”. Il tetto è in tegole con il solaio di incannucciato. L’unica stanza che ospita la famiglia contiene anche la cucina, con la macina ed il forno. I materiali utilizzati nel Castello, oltre ai mattoni di terra cruda realizzati con terra argillosa e paglia, sono prevalentemente il tufo bianco a grana fine o giallo-rossiccio, il tramezzario o pietra forte, un calcare molto resistente, utilizzato in conci di diverse dimensioni. L’utilizzo di questi materiali nell’edilizia privata rende caratteristico e riconoscibile l’aspetto esteriore di molti edifici cagliaritani. Dovendo parlare delle abitazioni private del Castello dobbiamo sottolineare che le fonti a disposizione sono piuttosto scarse, che evidenzia, come i modelli inerenti alla percezione visiva del colore nella città siano consegnati alla consuetudine tramandata attraverso la pratica dei capimastri.

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Le tipologie edilizie La metodologia di lettura dell’edilizia abitativa di Castello, attraverso l’analisi degli elementi che caratterizzano gli organismi edilizi, consente di arrivare all’individuazione dei tipi base che hanno urbanizzato, in una fase originaria, il fuso del quartiere e successivamente di cogliere i meccanismi di variazione derivati, nella maggioranza dei casi, da tali tipi. Il palazzo gentilizio4 è il modello architettonico più frequente in Castello. E’ possibile tuttavia ritrovare alcune abitazioni facenti parte di isolati a schiera di età medievale, come ad esempio, all’inizio di via Canelles, in via Corte d’Appello ed in via S. Croce. Sul modello base della casa a cellula elementare, ipotizzabile come la permanenza dell’edilizia abitativa di età pisana, si innesta la tipologia palazziale che nel ‘500 e ’600 modifica l’aspetto originario ed originale del Castello. Le rare e disperse fonti storiche ed archivistiche sull’edilizia abitativa di età medievale segnalano la presenza di case dotate di ampi magazzini, a più piani, con ballatoi sopraelevati e coperti di loggiati. Occorre anche considerare che gran parte dello sviluppo edilizio di Castello e delle sue appendici, non coincide totalmente con il dominio pisano e dovrebbe ipoteticamente poter risalire a periodi precedenti in cui la commistione culturale, anche in campo edilizio ed urbanistico, dell’età giudicale, ha avuto un ruolo determinante anche se sono assenti, in larga misura, prove storiche e documentarie. Dal secolo XVI, con l’attenuarsi della rigidità delle barriere politico-economiche che avevano caratterizzato la separazione del Castello dalle sue appendici è registrabile un incremento edilizio di una certa consistenza di cui compare traccia in alcuni documenti storici. All’organizzazione comunale pisana si sostituisce la servitù dell’assolutismo aragonese, ma lo sviluppo edilizio si estende anche fuori dalle mura alle quali, già dal secolo XV, si erano addossati molti fabbricati per le subentrate concessioni governative. La situazione edilizia del Castello, dove dimora la classe feudale e nobiliare che domina ancora la vita economica della città, si snoda entro i corridoi stretti e bui che ne formano le strade, non suscettibili di ampliamenti o di espansioni, se non in altezza5. Nell’ Ottocento e Novecento si assiste a vaste ristrutturazioni che intaccano, solo in minima parte, l’assetto generale e lo schema dispositivo interno dei palazzi. Molti di essi derivano dalla fusione di più abitazioni, all’interno degli isolati a schiera; tale accorpamento è spesso individuabile con una certa precisione (ad esempio il palazzo Sanna Cao in via dei Genovesi), altre volte risente di più interventi che hanno inficiato la possibilità di dedurne la matrice originaria. Il palazzo nobiliare vero e proprio si configura in Castello a partire dal 1700, a seguito dell’insediamento del viceré Savoia il cui intervento determina una massiccia riqualificazione edilizia del quartiere. 62


1. Tessuto urbano del Castello (zona di Piazza Palazzo)

2. Tessuto urbano del Castello (Piazza Indipendenza)

3. Tessuto urbano del Castello (zona del Bastione San Remy)

4. Tessuto urbano del quartiere di Stampace

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La soppressione dei feudi decretata nel 1835, attuata tra 1841 e 1846, favorisce la collazione di un ingente patrimonio nelle mani delle maggiori famiglie nobili e permette interventi spesso considerevoli sugli edifici di loro proprietà (in tale circostanza si inserisce l’attività del Cima: palazzo Aymerich distrutto dai bombardamenti del ‘43, palazzo Cugia, palazzo Cao di San Marco, Lostia, De Candia).Riassumendo il dato edilizio, si possono evidenziare nel quartiere quattro tipologie differenti distinte in ordine cronologico: la casa cellula base ordinata nell’isolato a schiera di estrazione pisana, il palazzotto mercantile cinque-secentesco, una morfologia ibrida databile tra XVI e XIX secolo ed il palazzo nobiliare settecentesco, con esiti successivi.

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Trasformazioni delle architetture: dall’ antico al moderno Distinguere le architetture antiche da quelle moderne nasce dalla necessità di dover mettere in evidenza alcune caratteristiche della città poco note ma ben relazionate nella Cagliari pluristratificata. In realtà, la dicotomia tra antico e moderno non ha grande significato quando si cerca di tracciare lo spirito di una architettura che ha segnato in maniera, diremmo, anomala il tessuto della città. Anomala poiché non ha contribuito a costruire una identità speciale che potesse rendere merito al trascorso passato di città crocevia piena di modelli e di suggestioni europee fino a tutto il Cinquecento, capace di rielaborare idee a livello teorico piuttosto che in pratica consolidata. L’analisi degli oggetti architettonici non può prescindere da quella del tessuto connettivo che ne rivela contraddizioni ed analogie in un quadro generale in cui si accumulano progetti, gare, concorsi senza che questi possano incidere significativamente sulla strutturazione dei luoghi originari. L’età antica individua, all’interno del contesto urbano pluristratificato forme riconoscibili che rappresentano l’esito fisico di un progetto insediativo che affonda le sue radici nel tempo storico di lunga durata e di cui le mura urbane identificano il segno più evidente della forma-città, quella materialità di pietra sopravvissuta alla destrutturazione pianificata di altri segni forse meno evidenti ma comunque presenti in essa6. Se dovessimo immaginare Cagliari senza la sua rocca, il suo Castello, avremmo una città diversa. Non potremmo nemmeno immaginarla esclusivamente attraverso la sua espansione ottocentesca e nemmeno attraverso le sue periferie poiché in tal modo non avrebbe identità. Nell’immaginario collettivo è percepita invece nella forma immutabile e consolidata di una fisicità materiale aggrappata alla roccia, di un percorso forzato lungo salite impervie fino al cuore della piazza medievale in cui si sincretizzano i poteri materiali e spirituali senza tuttavia concedere nulla al fascino del capolavoro. In questa città convivono due forme consolidate: da una parte una elaborazione di materiali assimilati, in modo originale, dai processi in atto nell’enorme calderone mediterraneo che fino alle soglie dell’età moderna fanno di essa una urbs vivace, culturalmente produttrice di eventi e sapientemente modulatrice di spazio (lo spazio della città chiusa, murata e lo spazio aperto della città sul mare si compenetrano in una identità reciproca e mutuante); dall’altra una città di medie aspirazioni, in eterno conflitto tra il rinnovamento e la conservazione senza spesa, tra il progetto innovativo e la sua realizzazione costosa che potrebbe sovvertire un ordine apparente, in realtà casuale, e del tutto estraneo a qualsiasi tipo di programmazione. Nel corso del Novecento sono state realizzate, dal punto di vista architettonico, opere di un certo impegno sia per ciò che riguarda l’edilizia residenziale che l’edilizia pubblica. Le architetture di Cagliari, in questo periodo, rappresentano due aspetti significativi della storia della città, uno che 65


riguarda il collegamento diretto con la tradizione più pura della storia architettonica europea riflessa localmente in forme meno evolute, ma non per questo meno importanti (lo stile neogotico ne costituisce un esempio), l’altro che si rapporta ad un ripensamento fondativo del modo di costruire gli edifici, da parte di alcune forze progressiste che rinnovano, anche se con molta cautela, l’architettura moderna e contemporanea della piccola capitale. Appartenenti a quest’ultima fase della storia architettonica, un posto ragguardevole occupano le architetture di Ubaldo Badas: sistemazione del Terrapieno e del giardino pubblico, il Parco delle Rimembranze e lo stadio Amsicora, il palazzo del Banco di Roma nel largo Carlo Felice, all’angolo tra la piazza Yenne e il Corso Vittorio Emanuele, il palazzo della Regione in Viale Trento, il Padiglione B alla Fiera campionaria, le residenze di via Milano. Mentre per il dopoguerra fu importante l’attività di Adalberto Libera in Sardegna ed a Cagliari: gli edifici di via Pessina e il padiglione Casmez presente alla Fiera Campionaria 5. Una realizzazione senz’altro significativa per la città è stato il progetto della Cittadella dei Musei ad opera degli architetti Piero Gazzola e Libero Cecchini. Sorta all’inizio degli anni Sessanta la cittadella dei Musei collocata sul punto più altro della rocca cagliaritana rappresenta un po’ il cardine del focus culturale della città in rapporto all’intera offerta culturale del comprensorio urbano. Il progetto, realizzato sul luogo dell’antico arsenale spagnolo, concentra in sé una pluralità di funzioni culturali che , in parte, hanno colmato l’esigenza di conciliare la costruzione di un moderno spazio attrezzato per il tempo libero e la cultura accanto a quella di creazione di un frammento di socialità. Esso comprende il nuovo museo archeologico, la pinacoteca ed alcuni spazi destinati ad ospitare istituti universitari come il Dipartimento di scienze storiche, archeologiche, artistiche. Il tema progettuale che fa da sfondo all’intenzionalità dei progettisti è coniugare l’antico con il nuovo, riutilizzando, integrando e valorizzando elementi preesistenti secondo un’idea non statica del recupero ma dinamica e propositiva del ruolo centrale di questo frammento urbano.

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NOTE 1. AA. VV., Il centro storico di Cagliari. Analisi e tecniche per il recupero., Quaderni di ricerca 15, Dicembre 2000, Dipartimento di Ingegneria del Territorio, Cagliari,ValdĂŠs 2. AA. VV., Il centro..., op. cit., pp. 15-16. 3. In sostanza venne concesso un ordinamento simile a quello di Barcellona, e ricalcante quello concesso per Bonaria. 4. AA. VV., Castello..., op. cit., p. 107. 5. AA. VV., Il centro..., op. cit., p. 17. 6. AA. VV., Dossier Castello..., op. cit., p. 37.

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Parte IV Progettare in centro storico: dicotomia


Il centro storico: un sistema complesso Il doppio ruolo giocato dal centro storico, quale luogo di residenza e centro di servizi e commercio, ha reso questa parte di territorio particolarmente sensibile ai mutamenti che hanno formato l’attuale territorio urbano, con tutte le implicazioni che queste hanno portato, coinvolgendo ogni aspetto del vivere quotidiano nella città1. L’aumento della popolazione nelle città, le mutate esigenze collettive, sociali, economiche e culturali, nonché le modificazioni intervenute nelle modalità di utilizzo degli spazi abitativi e lavorativi, hanno spostato l’attenzione sugli ambiti periferici, svuotando i centri storici dei suoi contenuti pregnanti e delle sue molteplici funzionalità. Il fenomeno dello spopolamento, che in linea di massima ha coinvolto tutti i centri storici, è da attribuire a diversi fattori concomitanti. In primo luogo il degrado fisico e sociale della residenza ha portato gli abitanti a spostarsi verso i quartieri periferici, in grado di offrire una qualità edilizia dei fabbricati di gran lunga superiore a quella preesistente; altro fattore determinante è dato dal progressivo assedio automobilistico con i conseguenti problemi di accessibilità nel centro storico; infine, ma non per questo meno importante, lo spostamento dell’asse commerciale e dei servizi dal centro storico alla periferia dove risultano più accessibili. Il centro storico oggi rappresenta la convivenza di due (e più) città: quella della vita ordinaria dei residenti che vi abitano; quella di chi viene a lavorarci e cerca di integrarsi nella precedente; la città notturna dei frequentatori e gestori di bar, ristoranti, pub ecc.; la città “sovrapposta” legata a funzioni sovralocali quali la città politica, la città religiosa, la città d’arte, la città dei turisti. In uno scenario del genere il tema della residenzialità e della sua tutela diventa un obiettivo di fondamentale importanza ma, sebbene questo obiettivo sia largamente condiviso, il problema sembra soprattutto capire e definire perché il centro storico in questi ultimi anni ha subito questo marcato fenomeno di abbandono da parte dei cittadini e delle istituzioni. Il dibattito e la legislazione sui centri storici ha ruotato attorno a due concezioni prevalenti: quella museografica e quella alternativa di tutto l’insieme. La prima concezione, che troviamo rappresentata nella legislazione più lontana nel tempo, posiziona l’intervento di tutela collettiva sul singolo bene quale realizzazione importante in sé e per sé come opera d’ arte irripetibile. La seconda, frutto di una dottrina più recente, trova uniti giuristi e urbanisti ad affermare che il centro storico non è una mera sommatoria di edifici di importanza storico-artistica avulsa dall’insieme del contesto in cui si trova, ma trova proprio nelle sue caratteristiche specifiche la testimonianza di valori di civiltà meritevoli di essere tramandati. Bisogna sottolineare che le due concezioni non rappresentano un taglio netto fra di loro, ma sono il frutto di uno sviluppo concettuale continuo, 70


1. Scorcio del Palazzo Aymerich a Castello, in totale stato di abbandono

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di evoluzione di costumi e delle necessità civili. Risulta piuttosto difficile tracciare un bilancio sui risultati raggiunti dalla normativa riguardante i centri storici, considerata anche l’estrema diversificazione di interpretazione e di utilizzo assegnato a queste norme negli anni, ovviamente conseguenti ai diversi modelli urbanistici perseguiti. Possiamo in buona sostanza affermare che la legislazione fino ad ora attuata, pur avendo ad oggetto la tutela dei beni artistici ed ambientali del paese, sia stata poco applicata ad una rivitalizzazione e riuso di queste parti urbane, anche a causa dei vincoli generalizzati che sembrano aver favorito maggiormente la speculazione piuttosto che la vivibilità e l’utilizzo sociale del territorio. Tuttavia negli ultimi anni la propensione alla conservazione e valorizzazione dei beni ambientali e culturali presenti nel centro storico ha consentito di formulare interventi di riqualificazione urbana e comportamenti propositivi per il recupero del patrimonio abitativo privato, il riuso degli immobili e degli spazi pubblici di relazione, integrandoli nello sviluppo della città .

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Dall’antico al nuovo: la conoscenza come strumento di progetto La complessità dei tessuti urbani e delle loro trasformazioni richiede una capacità di lettura per individuare i criteri di formazione ed aggregazione che hanno generato la città storica e gli organismi edilizi. Dall’analisi si individuano gli elementi fondamentali del contesto ambientale in termini di organizzazione spaziale, articolazione formale, e strutturazione figurativa degli oggetti costruiti. La comprensione del linguaggio costruito avviene attraverso la decodifica delle componenti che concorrono alla strutturazione dello spazio alle diverse scale ed in funzione delle risorse materiali e tecniche costruttive impiegate per individuare i caratteri di omogeneità e le invarianti. La specificità del luogo, di tutti i luoghi, non lascia spazio a mediazioni di carattere statistico, né alla generazione di modelli universalmente applicabili, così come il progetto di restauro ed i progetti tutti non permettono la loro duplicazione o ripetizione in situazioni spaziali e temporali diverse da quelle in cui nascono e si realizzano. La conoscenza dell’eredità storico-culturale, di cui permangono evidenti tracce, ci permette di ricostruire le trame dei tessuti insediativi, le tipo-morfologie costruttive ed i modelli sociali dello spazio d’uso che sono stati condivisi nel tempo nella costruzione della città storica. Grazie alla conoscenza di tutti questi elementi ed alla loro interpretazione è possibile ricostruire le immagini collettive che hanno strutturato, attraverso il tempo, l’ambiente urbano ed hanno attribuito allo spazio ed agli oggetti edilizi funzioni sociali e culturali e valori economici. È pensabile riattribuire funzioni e valenze vitali ai luoghi della città storica ed istituire relazioni innovative con le altre parti della città contemporanea. Le analisi interpretative dei sistemi di costruzione della città, che andranno contestualizzate rispetto alle dinamiche sociali, culturali ed economiche, potranno essere finalizzate a comprendere le ragioni e le regole che hanno determinato tali spazi urbani. In base a queste è poi pensabile di proporre interventi di recupero e di riuso, coerenti con il contesto e compatibili con un sostenibile modello di sviluppo che garantisca la conservazione dei beni identitari. Visto in questa ottica il centro storico può ancora rappresentare il luogo della continuità delle storie locali, diventando così parte integrante di un sistema territoriale complesso, volto a conseguire un disegno unitario di sviluppo che non lo veda più isolato all’interno di un determinato limite di “una particolare zona urbanistica”. Risulta ormai evidente che per poter avanzare scenari credibili di recupero e di riqualificazione del centro storico è necessario avere un progetto complessivo per il futuro della città contemporanea e del suo territorio che possa ricomporre, grazie alla conoscenza del contesto, tutte le frammentazioni ed i conflitti di interesse economici e sociali presenti nelle comunità 73


locali. La lettura del contesto, la sua conoscenza, metabolizzata ed interpretata, apporta valore al progetto stesso in quanto è la contemporaneità che prende senso dal dialogo con l’antico, nel raccogliere le sue tracce, riordinarle, conoscerle, non dovendo in nessun caso affermare il primato della contemporaneità. I criteri da adottare per il progetto sono complessi in quanto non si tratta di semplice riproposizione ossia infingimento storicistico, né si tratta di una lettura virtuale per giustificare forzatamente libere interpretazioni e che fa da scudo a scelte arbitrarie. Si tratta invece di saper elaborare i dati della lettura per condurli verso un progetto armonico ed integrato, che non prevarica il passato, ma si misura con esso; vi sono casi in cui sono gli interventi nuovi che restituiscono senso a frammenti di luoghi che altrimenti resterebbero un semplice vuoto, diventando quest’ultimo esso stesso più importante di ciò che lo circonda. Il progetto di restauro urbano2 coincide con la ricerca dell’equilibrio con ciò che rimane. Volumetria, altezza, massa, colori sono necessariamente determinati dallo status quo circostante. E’, questo, un principio inderogabile nel progetto di restauro del luogo. Il tema sui caratteri costruttivi, formali e figurativi dei nuovi inserti urbani si ricollega ad un’interpretazione critica dello sviluppo dei processi di formazione e trasformazione dei contesti storici in cui sono realizzati ma si ricollega anche ai processi produttivi e costruttivi attuali e ad un uso e ad un’interpretazione sempre più avanzata dei materiali. Una riflessione sulla storia passata conduce ad osservare come ogni periodo tragga la propria espressione architettonica dalle più avanzate tecniche costruttive del suo tempo e come l’innovazione del linguaggio sia necessariamente subordinata ai processi di rinnovamento costruttivo ed alle capacità costruttive degli operatori del processo. Ci sono interi cicli di edifici monumentali, come le terme romane, le chiese romaniche e gotiche, od anche le chiese rinascimentali aventi per fastigio la cupola, in cui il progresso stilistico è determinato dalla soluzione di un’equazione statica della resistenza all’azione spingente delle volte, e tutta la disposizione planimetrica, tutto lo schema spaziale vi si subordinano. Più tardi le gallerie in ferro e vetro, prodotte industrialmente, liberano la copertura dalla sua opacità ed offrono una nuova esperienza spaziale. In questo processo evolutivo legato alle trasformazioni culturali e al quadro delle risorse tecnologiche, anche la tematica dell’inserto urbano ne potrebbe trarre linguaggi innovativi. Così come nel nuovo, anche nel recupero il processo tecnologico che si è sviluppato nelle nuove costruzioni è caratterizzato dall’uso di tecniche sempre più avanzate che interpretando le proprietà intrinseche dei materiali in modo sempre più spinto, determinano esse stesse un nuovo linguaggio architettonico. Nel 74


recupero comunque il processo è e sarà necessariamente traslato nel tempo in quanto l’innovazione ha bisogno di confrontarsi con l’esistente e dialogare con esso per elaborare convergenze ed affinità. Queste ultime nascono anche da una maggiore rinnovata conoscenza dell’esistente, legata al progresso scientifico, che consente di avere a disposizione e quindi di interpretare informazioni che in passato erano inaccessibili. Si pensi, ad esempio, al restauro degli edifici, in cui le tecniche attuali di rilievo, analisi e monitoraggio dei monumenti, hanno aperto nuovi orizzonti per il restauro delle superfici architettoniche, o si pensi alla scienza e l’ingegneria dei materiali, che permettono di conoscere la meccanica e le prestazioni dei materiali storici che realizzano ossature murarie e volte, per indirizzare poi la ricerca verso l’utilizzo di materiali con essi compatibili, quali le fibre al carbonio il titanio, ecc. Questa maggiore ed ampliata conoscenza dell’esistente può fornire al progetto di recupero dei luoghi, nuovi indirizzi di ricerca orientati verso una logica di continuità con il passato. La difficoltà a progredire in questa direzione di ricerca nasce da due motivi fondamentali. Il primo è la dicotomia istauratasi fra le diverse attività del progettista, in quanto si è persa, nel corso della prima metà del novecento la feconda unione tra progetto di restauro e progetto di architettura. Il secondo è imputabile ai mutamenti subiti dagli obiettivi del progetto di architettura, che si sono allontanati in maniera sempre crescente dai principi condivisi per secoli. A questi elementi, si aggiunga inoltre la considerazione che il distacco tra antico e nuovo ha subito un’ulteriore impulso da un lato per il progressivo isolarsi e specializzarsi dell’attività di restauro e della figura di architetto-restauratore (con l’istituzione delle moderne soprintendenze e dei relativi ruoli), dall’altro per l’antistoricismo proprio del movimento moderno. In passato l’esito delle trasformazioni dell’edilizia storica era già parzialmente garantito dalla continuità dell’uso dei materiali e dalla rielaborazione della struttura sottostante, che non veniva mai demolita. Cambiava il linguaggio, ma era pur sempre condizionato dalla permanenza dei materiali: non si creavano le premesse per una contrastante spazialità che impersona l’architettura moderna. Oggi, il risultato di questa tensione culturale sospinge verso la ricerca di una unitarietà di linguaggio fra esistente e nuovo; nella definizione del progetto si avrà cura di mantenere il carattere autenticamente moderno ed attuale dell’architettura di progetto, senza infingimenti storicistici, trovando il modo di sviluppare assonanze che consentano di leggere unitariamente la parte nuova e quella antica, come un insieme articolato spazialmente, cronologicamente e funzionalmente, ma facente parte di un tutto organico. In altre parole si tratterà di riprendere ed esplicitare, anche visivamente, i caratteri dell’esistente, per svilupparli in forma distinguibile, ma coordinata.

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Il ruolo dei residenti nel progetto di recupero Il centro storico gode di una scarsa flessibilità, i limiti strutturali, relativi all’accessibilità, alla giusta immodificabilità di alcune sue parti, alla poco rispondenza ad alcune mutevoli esigenze della società contemporanea, lo rendono un sistema statico3. Nonostante ciò il centro storico non rappresenta solamente una città di pietra, fossilizzata ad un epoca ormai passata, ma una città delle relazioni dell’uomo. Rappresenta una parte di città dove incidono irrevocabilmente le scelte di diversi attori, da una parte gli attori pubblici e istituzionali dall’altra i soggetti imprenditoriali che operano in questa particolare parte di città. Appare chiaro che, le scelte, e purtroppo molte volte le non scelte, di programmazione e pianificazione delle istituzioni locali, regionali e statali, incidono direttamente sulla vitalità del centro storico. Dall’altra parte gli imprenditori incidono in maniera determinante sulla vita del centro storico: sia con le loro scelte aziendali sia con la loro decisione di abbandonare il centro per localizzarsi in zone più periferiche e più accessibili della città. Sebbene tale dicotomia appaia ormai ampiamente discussa, accettata e forse condivisa, viceversa il ruolo che possono, e debbono, i residenti in questa complessa partita appare ancora troppo spesso poco considerato o addirittura sottovalutato. Il centro storico per vivere ha necessità di essere abitato, e non solo essere solamente episodicamente vissuto o visitato. La tematica relativa alla vivibilità ed alla fruibilità da parte dei residenti assume sempre maggiormente un ruolo un ruolo determinante nei confronti del recupero dei centri storici. Il ruolo dei residenti all’interno del centro storico è caratterizzato da diverse funzioni che può, più o meno consciamente, ricoprire. In primo luogo i residenti possono essere definiti come i primi tutori della qualità della vita nel centro, un esempio su tutti possono essere i comitati di quartiere, dove la gente esprimeva il desiderio di voler partecipare alle scelte istituzionali, indirizzandole migliorandole. In secondo luogo i residenti possono svolgere un ruolo fondamentale nell’azione fondamentale di accoglienza del turista o del fruitore in genere: il metodo con cui una località si offre e si affaccia al proprio ospite, l’organizzazione di tale sistema, la sua efficienza, rappresenta un aspetto che assume un valore strategico per il discorso della vivibilità del centro. Infine, i residenti sono i più importanti e diffusi proprietari del centro storico, o meglio oltre al generale livello di interesse della qualità della vita della parte di città in cui vivono, hanno uno specifico interesse economico relativo alla riqualificazione del centro storico stesso. Appare superfluo sottolineare che il valore economico di un immobile situato in un centro storico riqualificato sia superiore rispetto a quello di un centro degradato. La legittimazione del progetto si fonda dunque non solamente sulla capacità di far corrispondere 76


alle necessità reali del nostro tempo la permanenza fisica delle vecchie strutture, ma anche nella conservazione della grammatica e della sintassi morfologica ancora riconoscibili in ciascuna realtà, reinterpretandole nella riproposizione innovativa degli usi della città contemporanea. Risulta quindi necessario recuperare nel senso di compiere interventi non solamente atti a rivalutare, con innovative proposizioni di riuso, il patrimonio edilizio, ma soprattutto mirati a ricomporre storie degli abitanti e funzioni urbane interrotte dall’affermarsi di interessi che, rivolti in maniera esclusiva alla città nuova, hanno finito per spegnere i processi vitali del centro storico.

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Esempi di intervento in centro storico I progetti scelti, seppur appartengono a diversi contesti urbani, culturali e temporali, mostrano nella loro forza espressiva la capacità di affrontare in modo positivo le tematiche sopra citate. I diversi esempi riportati sono raggruppati secondo comuni logiche di approccio al progetto. Nello specifico, tutti traggono origine dal concetto che la nuova architettura si sostanzia nell’antico da cui deve trarre le regole e le coordinate progettuali. Inoltre, volumetria, altezza, massa e colori sono conseguenza diretta della lettura del sito; non si sono riscontrate deroghe da questo orientamento culturale che è la premessa indispensabile per affrontare il nuovo progetto. Si è cercato di individuare quegli interventi che possano suggerire un metodo di lavoro e una cultura del progetto (e del progetto di restauro). Il primo esempio analizza l’intervento del Centro Galego de Arte Contemporanea a Santiago de Compostela4, di Alvaro Siza, del 1988/93. L’edificio sorge in una delle zone monumentali più suggestive e delicate di Santiago de Compostela, ai margini del centro storico: un’area interessata in epoca moderna da pesanti interventi urbanistici, che hanno di fatto compromesso le relazioni all’interno del fragile tessuto edilizio. Il complesso di progetto – comprendente un museo, una sala conferenze, laboratori artistici e sale di esposizione – si attesta proprio lungo la strada principale di recente realizzazione (Rua de Ramon del Valle-Inclan), entrando in rapporto diretto con il convento di Santo Domingo 78

2. Centro Galego de Arte Contemporanea a Santiago de Compostela

3. Ingresso del Centro Galego


de Bonaval, attualmente museo d’Arte gallega, di cui i nuovi corpi sembrano un’estensione. Si realizza in tal maniera una cerniera urbana, una cucitura tra la parte di espansione e la zona più antica dell’aggregato urbano, riconnettendo armonicamente il tessuto edilizio. Il rivestimento esterno in lastre di granito, contrapposto al candore dell’intonaco e del marmo impiegati all’interno, favorisce l’integrazione con l’atmosfera monumentale e sacra propria di Santiago: materiali della tradizione utilizzati con un linguaggio del tutto moderno realizzano quell’auspicata assonanza tra l’inserto urbano e lo status quo circostante, senza negare la riconoscibilità e distinguibilità dell’intervento. Il secondo intervento che vogliamo proporre riguarda quello di Ignazio Gardella5 a Venezia, per l’edificio per abitazione Cicogna, detto “Casa alle Zattere”, progettato a partire del 1953 e realizzato nel 1958. In questo caso si concretizza la permanenza del tipo edilizio-architettonico attraverso la reinterpretazione dei caratteri costruttivi e formali tipici del luogo. I materiali (biancone di Vicenza per il basamento ed i terrazzi, graniglia di mattoni per gli intonaci) restituiscono figurativamente un organismo ambientato senza strappi nella complessa e specifica architettura della città di Venezia, senza cedere ad inserti in stile, ma affermando un linguaggio moderno e fortemente caratterizzato. Il terzo intervento proposto riguarda il progetto realizzato da Ludovico Quaroni6 per l’Esattoria 79

4. Case alle Zattere a Venezia

5. I balconi delle Case alle Zattere


Comunale della Cassa di Risparmio di Ravenna, realizzata nel 1962. Il sito, destinato all’ampliamento del monumentale palazzo della banca, è tuttora un luogo di estrema complessità architettonica ed urbanistica nel regolare tessuto ravennate. In uno slargo dai confini imprecisi, moderne ed antiche preesistenze disegnano una cornice irregolare al profilo tondeggiante dell’abside di San Francesco. Il nuovo edificio della banca, che potrebbe divenire un principio geometrico per la nuova piazza posteriore, si dispone tra le facciate di mattoni del retro della chiesa medievale ed il bugnato neorinascimentale in cotto della ottocentesca sede della Cassa di Risparmio. I piani dei nuovi uffici della Banca, a pianta libera e di moderna e tecnologica concezione, si rivestono all’esterno di un involucro architettonico complesso e monumentale, sensibile agli stili ed ai materiali degli edifici che lo circondano. Dalla soluzione-mediazione di tutti questi binomi dialettici, monumento e ufficio, antico e moderno, interno ed esterno, nasce l’eclettismo del progetto. L’edificio ha molti caratteri del palazzo urbano: la geometria regolare del suo volume che si stacca dagli edifici adiacenti, il pronunciato cornicione (ma di scuola toscana e non ravennate) che corona il tetto tradizionale a quattro falde, l’ordine della facciata scandito dalle travi in cemento armato al piano terreno e i pilastri in ferro al piano superiore, il basamento continuo in calcestruzzo e le grandi superfici in cotto. A questa serena interpretazione del co80

6. Cassa di risparmio Ravencasse

7. Vista posteriore


dice classico, Quaroni sovrappone la poesia del moderno con frequenti riferimenti alle soluzioni formali e di dettaglio di Carlo Scarpa: l’articolazione e la risoluzione delle grandi pareti vetrate, le travi binate aggettanti, l’uso insistito dei comuni ferri industriali lavorati artigianalmente, gli ingressi decentrati, sottolineati dalle grandi griglie a carabottino. Accanto al tema del confronto con l’antico e dell’inserimento nel contesto della città storica, il progetto della Ravencassa affronta anche il problema architettonico della cerniera d’attacco tra antico e moderno. La cerniera che assicura la continuità tra il vecchio ed il nuovo edificio della banca si realizza in una specifica soluzione formale, diversa ed arretrata rispetto al corpo dell’esattoria. Il progettista innalza il basamento in cemento armato bocciardato fino all’altezza del primo solaio e rende più regolare la tessitura delle superfici vetrate dei due piani superiori, in modo da riprendere la fondamentale scansione del vecchio palazzo della Cassa. In questo progetto di recupero va sottolineato l’utilizzo congiunto di materiali storici e nuovi, che vengono accostati tra loro per definire parti diverse dell’edificio con perizia e sensibilità, produce effetti figurativi che armonizzano non solo l’edificio con il luogo, ma anche l’edificio con le sue differenti parti. Il quarto intervento proposto si discosta dagli altri tre soprattutto per l’utilizzo dei materiali, infatti è caratterizzato dall’utilizzo di materiali industriali che avendo caratteristiche totalmente 81

8. Complesso monumentale di Tarragona

9. Passerella in acciaio e vetro


differenti dai materiali naturali producono un effetto sicuramente divergente ed inconsueto che difficilmente si armonizzano nel centro storico. Il progetto dell’architetto Andrea Bruno per il complesso monumentale di Tarragona8 ruotava attorno a due sistemi architettonici complessi: il circo ed l’anfiteatro. Risulta particolarmente interessante l’inserimento della passerella che ci fa passare dal tempo medievale a quello romano, la passerella si inserisce perfettamente nel contesto risultando molto sobria. Dal progetto proposto si deduce subito la tendenza da utilizzare materiali quali acciaio e vetro che non sono direttamente percepibili, ma vengono filtrati da un itinerario che conduce gradualmente all’innovazione. Nonostante l’utilizzo di questi materiali frutto del progresso tecnologico va sottolineata la riflessione e la sensibilità dell’autore a non creare strutture percepibili direttamente dall’esterno ma solamente dal momento in cui si entra nello spazio investito dalla nuova realizzazione. L’uso di questi materiali è circoscritto a porzioni del fabbricato che costituiscono degli inserti nell’ambito di edifici più complessi e non per realizzare interi fabbricati. Nel restauro di singoli edifici, alcuni dei quali riportati nelle figure, si percepisce la sensibilità e la misura del progettista nell’utilizzare i materiali industriali solamente in determinate condizioni che comunque esulano da una ricostruzione globale del manufatto, per essere invece circoscritti ad elementi di riconnessione e ricucitura di parti perse dell’organismo architettonico. La presenza di materiali eterogenei rispetto alla preesistenza non snatura la percezione complessiva del sito, perché è concepita nell’ambito di un dialogo teso ad individuare equilibri fra le parti. L’inserto non è concepito come elemento emergente, ma come tassello di un mosaico in cui le diverse tessere si armonizzano esteticamente, temporalmente e funzionalmente.

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NOTE

1. C. Galli, M. Grilli, Progettare nel costruito: nuovi materiali e inserti urbani, in Involucri quali messaggi di architettura (atti della giornatadi studio, Napoli 9-11/10/2003). 2. R. Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’ opera di otto architetti contemporanei, Milano 2005. 3. M. Valente, S. Gasbarra, Alcune considerazioni intorno al concetto di riuso del centro storico, Milano 2009. 4. R. Moneo, Inquietudine..., op. cit., pp. 206-208. 5. A. Monestiroli, Ignazio Gardella, Milano 2009. 6. C. Galli, M. Grilli, Progettare nel costruito: nuovi materiali e inserti urbani, in Involucri quali messaggi di architettura (atti della giornatadi studio, Napoli 9-11/10/2003). 7. Fare, disfare, rifare architettura. La riappropriazione del monumento attraverso il restauro e la progettazione di nuove funzioni., Tradizione/innovazione n. 56, maggio 2013.

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Parte V Analisi di progetto


Analisi cartografica. Le trasformazioni del tessuto Il nostra lavoro di tesi è iniziato con un lungo percorso di ricerca storica e cartografica, la quale ha permesso di elaborare delle tavole riassuntive in grado di sintetizzare e graficizzare in maniera schematica le informazioni indispensabili per la realizzazione di un progetto in questo contesto. La prima tavola che proponiamo riguarda lo studio dell’evoluzione del tessuto urbano del Castello, abbiamo ampiamente discusso nei capitoli precedenti le dinamiche di formazione di questo complesso sistema, il quale a seconda delle diverse vicende storiche che si susseguono apportano diverse modifiche, seppur molte volte si trattano di piccole modifiche restano comunque importanti. Questo tipologia di analisi è stata effettuata rielaborando le cartografie storiche con l’ausilio dei documenti scritti, sovrapponendo carte di diversi secoli sono emerse così le differenze che hanno caratterizzato il Castello nei secoli. La prima carta che siamo andati ad analizzare è riferita al XIV secolo anno in cui iniziano a pervenire notizie a riguardo della strutturazione cartografica del quartiere. In quegli anni la città di Castello si presentava delimitata da delle mura di cinta, erette dai pisani, che inizialmente mostravano un andamento decisamente più regolare rispetto alle modifiche che subiranno nei secoli ad avvenire. All’interno delle mura fioriva la città che sostanzialmente si presentava già compiuta nell’aspetto che l’avrebbe caratterizzata, nei tratti fondamentali, nei secoli a seguire. Osservando attentamente e analizzando l’assetto viario e la disposizione degli edifici principali è stato possibile, grosso modo, ipotizzare la sistemazione urbana della città, infatti possiamo facilmente notare come le strade siano disposte nella direzione sud - nord, mentre le piazze e gli edifici di culto si incontravano percorrendo tale direzione. La situazione del XV secolo non si discosta di molto dalla precedente, l’impianto urbano resta sostanzialmente invariato. Il sistema murario è identico a quello del secolo precedente, per quanto riguarda l’edificazione interna possiamo chiaramente notare come lo slargo antistante il Palazzo Reale sia stato riempito da quattro nuovi volumi. Il XVI secolo, invece, si presenta con notevoli cambiamenti che in particolar modo hanno interessato il sistema difensivo, le mura infatti vengono ampliate racchiudendo al loro interno uno spazio decisamente maggiore rispetto a quanto accadeva nei due secoli precedenti. Per quanto riguarda le modificazioni del sistema all’interno delle mura le principali modifiche da segnalare riguardano la scomparsa del ghetto degli ebrei sostituito e ampliato dal collegio e dalla chiesa di Santa Croce sul lato ovest, mentre a nord l’ampliamento di alcuni edifici inizia a delineare la conformazione della piazza delle Carceri, attuale piazza Indipendenza. Nel 1600, grazie alle modifiche effettuate precedentemente sulle mura si rese possibile la trasfor86


mazione dell’urbano, infatti di delineò la formazione dell’attuale via Santa Croce e degli edifici che attualmente costituiscono il margine di via Università fino al palazzo Boyl incorporando la torre dell’Elefante. Successivamente altri interventi hanno interessato la parte orientale, in particolar modo tutti gli edifici che prospettano a partire dall’attuale piazza Indipendenza fino a piazza Palazzo, tali ampliamenti resero necessaria l’apertura di un ulteriore via (via della Speranza) sul fianco della cattedrale per consentire di arrivare in via del Fossario, evitando la via del Duomo. Nel XVII secolo si assiste ad un sostanziale ampliamento spaziale del sistema difensivo che doveva adeguarsi alle nuove tecniche di guerra sempre più efficaci, tali modifiche vennero apportate per opera degli ingegneri piemontesi infatti nel XVIII secolo il regno di Sardegna si trova sotto il dominio Sabaudo. Oltre all’evidente ampliamento delle mura a sud - ovest prendono corpo gli edifici che costituiranno l’altro margine dell’attuale via Università dove ora si trovano gli uffici della biblioteca universitaria. Nel XIX secolo le modifiche hanno interessato principalmente gli edifici di carattere militare situati nella parte nord e nord occidentale del quartiere. Altri ampliamenti importanti hanno interessato alcuni edifici della regia università, mentre per il resto sono state effettuate alcune piccole demolizioni che hanno interessato la sistemazione di alcuni edifici. Nel XX secolo la trasformazione del tessuto ha interessato interventi di scala urbana dove uno su tutti è stato la realizzazione del bastione San Remy, per il resto non sono presenti sostanziali modifiche dell’impianto precedente. L’ultima carta riportata nella pagina precedente è dell’anno 1937, la scelta della carta non è casuale poiché si è volutamente scelto di lavorare su questa base per mettere in evidenza le trasformazioni urbanistica del quartiere prima che questo subisse i danni dei bombardamenti del 1943, i quali modificarono inesorabilmente l’impianto originario.

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Ampliamenti Demolizioni

88 Carta XX secolo

Carta XIX secolo

Carta XVIII secolo

Carta XVII secolo

Carta XVI secolo

Carta XV secolo

Carta XIV secolo

Evoluzione storica del quartiere1


Analisi dei servizi Partendo dalle carte di analisi già presenti nel P.P.C.S. sono state realizzate delle elaborazioni cartografiche del quartiere di Castello che mettessero in luce alcuni aspetti fondamentali i quali hanno indirizzato alcune scelte progettuali. In primo luogo abbiamo sintetizzato una carta che rappresentasse la distribuzione delle proprietà degli edifici (fig. 1). Osservando la carta si riesce a comprendere immediatamente a chi appartenga un determinato lotto o edificio, in sintesi emerge che in gran parte l’edificato del quartiere risulta di proprietà privata, soprattutto per quanto riguarda l’edilizia abitativa, sono però presenti diversi edifici di proprietà dell’università, della chiesa, del Demanio, della Regione, della Provincia e del Comune. Inoltre si evince che alcune proprietà risultano sottoposte a dei vincoli, informazione sicuramente indispensabile nel momento in cui si dovesse intervenire in una qualsiasi di queste proprietà. Nella seconda lettura cartografica vengono individuati i servizi educativi presenti, sono infatti attivi diversi servizi scolastici e universitari i quali si potrebbero rivelare delle strutture strategiche per la vita del centro storico. I servizi educativi, in particolar modo quelli universitari e le biblioteche, tendono a portare dei flussi stabili di persone che vivono in pieno sia gli spazi pubblici che quelli privati. Nel quartiere, come si vede nella carta (fig. 2), sono presenti sia scuole di formazione primaria che secondaria, ma anche delle scuole superiori, inoltre dobbiamo ricordare la presenza della facoltà di architettura e degli uffici del rettorato. Nella terza carta (fig. 3) siamo andati ad analizzare la presenza dei servizi commerciali e ricettivi. I primi sono stati suddivisi in due sotto categorie dove si è voluto indicare il carattere dell’attività commerciale, ovvero se si trattasse solamente di semplice commercio o artigianato. La seconda categoria, suddivisa anch’essa in tre sotto categorie, individua l’offerta ricettiva del quartiere, dove vengono indicati i ristoranti, gli affitta camere ed i B&B. Osservando la carta emerge subito la presenza delle numerose attività commerciali che spesso sono costituite da botteghe di piccoli artigiani che popolano le anguste strade del quartiere. Sono presenti anche diversi B&B e affittacamere ma tutto sommato i posti letto che offrono questi locali sono piuttosto esigui, infatti si tratta di strutture di modeste dimensioni che rivolgono lo sguardo ad un pubblico ristretto e d’elitè. L’analisi di questi servizi ha permesso di far emergere cosa realmente può offrire ai residenti ( e non residenti) , infatti è più volte emerso che la qualità dell’edilizia abitativa sia piuttosto scarsa e tendenzialmente si sia scelto di abbandonare il quartiere a causa di questo motivo e, se in molti preferiscono andare a risiedere al di fuori delle mura potrebbe essere interessante e furbo pensare al quartiere come un quartiere turistico. 89


1. Carta dei servizi

B&B Affitta-camere

Attività commerciali Attività artigianali

Bar-ristoranti

2. Servizi educativi

Università

Scuola dell’ infanzia

Istr. Media superiore

Istruzione primaria

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1. Il palazzo Cugia sede della facoltà di Architettura

2. Il palazzo del Rettorato in via Università

3. Il palazzo de Candia che ospita un B&B

4. La terrazza del Bastione S. Remy con il Caffè degli Spirtiti

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Analisi demografica

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In questa fase di analisi ci siamo occupati di studiare la popolazione che risiede nel quartiere, analizzando sia l’andamento storico del numero di residenti, in relazione al resto della città, sia la provenienza degli stessi. Dalla lettura di questi grafici emergono alcuni dati piuttosto interessanti. Tra il 2002 e il 20102 possiamo chiaramente vedere come la popolazione del Castello tenda a diminuire. Si assiste ad un vistoso calo degli abitanti di circa 10,30%. Tuttavia nel biennio 2010 – 2011 si ha una leggera inversione di tendenza, la quale, andando ad analizzare più specificatamente i dati, è dovuta all’incremento del 230% di persone straniere. Va da se che alla luce di questi dati è fondamentale cercare di comprendere quale siano le dinamiche di questo fenomeno, sarebbe infatti impossibile pensare di intervenire progettualmente su di un quartiere così importante ignorando tali realtà. È in atto una sostituzione multietnica della popolazione del quartiere - fra l’altro questo fenomeno riguarda un po’ tutte le città portuali del mediterraneo - la quale, nonostante sia indice di modernità ed internazionalizzazione, molte volte non è in grado di creare un legame tra il luogo e chi lo abita. Facendo un quadro generale della popolazione del Castello vediamo che: il 56,57 % è composto da una popolazione italiana; il 19,74 % da popolazione proveniente dall’ Asia; un altro 19,74 % proveniente dalle popolazioni africane; un 3,95 % dal continente americano. L’affermarsi degli innovativi paradigmi funzionali del razionalismo, ha causato il diffuso disinteresse dei cittadini nei confronti dell’edilizia storica, la quale è risultata incapace di competere con le qualità abitative 93


decisamente migliori della produzione edilizia dei nuovi quartieri. Abbiamo evidenziato più volte come l’impianto urbano originario del Castello si sia conservato in buono stato sino ai giorni nostri, ma la situazione in cui versa la maggior parte delle abitazioni meriterebbe di essere rivalutata in maniera tale da ridare splendore a questo quartiere, testimonianza storica del passato. Il continuo esodo del ceto medio e la non facile permanenza dei cittadini meno abbienti nel centro storico hanno favorito il fenomeno sopra citato della presenza di popolazioni estranee alla cultura locale, il quale ha contribuito a far perdere negli abitanti la memoria storica ed il senso di appartenenza ai luoghi. Il ciclo vitale del centro storico si è compiuto negli anni ’80, trasformando il Castello da quartiere nobile a periferia centrale dove i fenomeni di ghettizzazione sociale hanno alimentato le progressive condizioni di degrado fisico ed economico del tessuto insediativo. La città storica ha comunque continuato a vivere assecondando anche comportamenti non legittimi ed incontrollati dei suoi nuovi abitanti. Il centro storico, tutto sommato rappresenta ancora oggi il luogo di incontro e mediazione tra vecchie e nuove culture che già storicamente hanno cercato di radicarsi con i flussi di migrazione urbana e più recentemente con le nuove etnie extracomunitarie, seppure in situazioni ambientali spesso fortemente degradate. Tuttavia negli ultimi tempi è emersa una tendenza ad abitare nuovamente in centro storico, palesando scenari favorevoli capaci di far rivivere queste parti centrali del tessuto urbano che rappresentano ancora, nonostante le manifeste condizioni di degrado e oblio, luoghi di connessione dove si può sviluppare una parte consistente dei processi di trasformazione fisica e sociale della città contemporanea.

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I vuoti urbani Le operazioni di intervento nel centro storico risultano spesso difficoltose ed in antitesi con le esigenze del nostro tempo, l’accrescimento smisurato della città ha fatto si che si preferisse spostare la residenza in altri luoghi più confortevoli e adatti al nostro vivere contemporaneo abbandonando il centro storico verso un degrado continuo. La definizioni di soluzioni progettuali compatibili con il tessuto storico e la convergenza di interessi pubblici e privati riposti nei piani di recupero urbano sono risultati elementi strategici per la promozione di azioni di riuso e di riqualificazione in contesti ambientali particolarmente sensibili3. Quando si opera nel centro storico si deve quindi non solamente rispondere ai criteri di valorizzazione suggeriti dall’armatura culturale preesistente, ma sarebbe bene ipotizzare e realizzare azioni di tutela consapevole, in grado di ravvivare il tessuto sociale promuovendo così un rinnovamento sociale ed economico. I vuoti urbani si inseriscono in questa visione costituendo un prodotto di esiti di trasformazione e offrendo possibilità di modernizzazione. In linea teorica ciascuno di essi può essere utilizzato per qualsiasi politica urbana, ma risulta scontato dire che proprio da queste scelte si potranno smuovere delle dinamiche in grado di accelerare o frenare, in caso negativo, i processi di riuso del centro urbano. Il quartiere di Castello, nel suo insieme compatto di isolati ed edifici, presenta alcuni casi di “discontinuità”, vuoti urbani, che denunciano vicende di una storia recente che ha lasciato il segno mettendo in evidenza le tracce delle stratificazioni degli avvicendamenti passati. Attraverso lo studio, la conoscenza, l’interpretazione degli elementi preesistenti è possibile ricostruire l’immagine di uno spazio strutturato attraverso il tempo, oppure pensare di proporre un ambiente urbano propizio a suscitare funzioni utili a garantire una funzione collettiva che valorizzi spazio ed oggetti edilizi circostanti con funzioni sociali e culturali. I vuoti urbani rappresentano per la città storica un opportunità unica per dare risposte ai bisogni di una nuova qualità urbana, assegnando all’insediamento storico anche una maggiore competitività nella trasformazione del patrimonio immobiliare. I vuoti del centro storico Cagliaritano presentano opportunità e criticità da governare con interventi basati su precisi interventi urbanistici che favoriscono processi di integrazione tra parti della città. Nel P.P.C.S. sono stati evidenziati i punti di forza e le diverse criticità presenti di cui si dovrà tenere conto nella proposizione degli interventi di recupero, riqualificazione e riuso che dovranno consentire soluzioni compatibili tra funzionalismo e rispetto dello spirito dei luoghi. Il piano individua tre tipologie di vuoti urbani classificati in base ai rispettivi gradi di sensibilità urbana. La prima tipologia di vuoti è definita “vuoti urbani strategici” il cui utilizzo potrà consentire l’ at95


tuazione di progetti esemplari, incardinati in una visione complessiva di scala urbana, restituendo funzionalità ed immagine ad alcuni luoghi cospicui del centro storico. Essi costituiscono le aree con il livello di sensibilità più elevato. La seconda tipologia di vuoti è rappresentata dai cosiddetti “luoghi della memoria da trasformare a condizione” che esemplificano e rappresentano il secondo livello di sensibilità. Sono concentrati principalmente nel quartiere di Castello. La terza tipologia di vuoti è rappresentata dai “vuoti urbani trasformabili” che si collocano principalmente nel quartiere di marina. Essi rappresentano quei lotti per i quali si ritiene appropriato consentire la riedificazione del corpo di fabbrica distrutto al fine di pervenire alla ricostituzione della continuità degli isolati ed eliminare elementi di discontinuità del “paesaggio urbano”. Al contempo si ottiene anche il risultato di risanare superfici attualmente in stato di abbandono che si presentano come spazi degradati e ricettacolo di rifiuti. Gli ambiti spaziali, gli oggetti edilizi e le reciproche interazioni funzionali, visti nella loro complessità relazionale urbana, verranno esplicitati attraverso singole schede progetto che costituiranno, in termini urbanistici, le condizioni di prefattibilità. Rielaborazione carta dei vuoti di Castello5

Luoghi della memoria Ambiti di trasformabilità

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Limite centro storico Vuoti Urbani Ambiti di trasformabilitĂ Luoghi della memoria Elementi spaziali intercon. S1 S2 S3

5. Tavola dei vuoti (P.P.C.S.)

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Area di intervento La scelta dell’area di progetto nasce da un’attenta analisi e interpretazione del contesto la quale ci ha indirizzato a scegliere di intervenire su di un vuoto, con l’intento di voler risanare questa cicatrici che permane oramai da troppo tempo. Situato tra Via Lamarmora e Via Cannelles, il vuoto oggetto dell’intervento progettuale, frutto dei bombardamenti del 1943, si presenta in uno stato di totale abbandono e risulta ormai utilizzato come posteggio per auto. La proposta riguarda la riedificazione dei volumi mancanti, nel rispetto delle prescrizioni imposte dal piano, così da regolarizzare nuovamente il tessuto. I due prospetti liberi, uno su via Lamarmora e l’altro su via Cannelles dovranno mantenere lo stesso ritmo di bucature in maniere tale da inserirsi armoniosamente nel contesto. La sfida del progetto è tutta nel realizzare qualcosa si di innovativo ma che allo stesso tempo non stoni con il resto dell’ edificato. I due lotti hanno una superficie complessiva di 294 mq, la volumetria massima realizzabile è di 1420 mc per il lotto 1 e di 2160 mc per il lotto 2. Altro vincolo da tenere bene a riguarda il fatto che mentre sul lotto 1 si potrà edificare per un altezza massima di 11,60 m nel lotto 2 si potrà edificare per una altezza di 15,40 m.

Area di intervento

Via Cannelles

Via Lamarmora

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6. Inquadramento orto fotografico

7. Vista prospettica dell’ area di intervento

8. Vista del rudere

9. Vista del lotto da Vico I Lamarmora

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I vincoli normativi sull’area Nel Piano Particolareggiato per il Centro Storico i vuoti urbani vengono tratti con particolare attenzione, ed attraverso la redazione di “schede di intervento” vengono specificate le modalità con cui è possibile ricostruire su questi spazi. Il lotto oggetto del nostro intervento ricade su una zona definita As2 - b4, le quali sono definite dal piano come: “aree storicamente edificate, attualmente vuote o con presenza di ruderi, per le quali si prevede la ricostituzione del tessuto storico”. Il lotto confinante ricade invece nelle cosiddette zone b2 definite come: “aree edificate nelle quali edifici e complessi edilizi hanno mantenuto individualmente i caratteri storici originari in un tessuto urbano parzialmente conservato”. L’articolo 18 delle norme Tecniche di Attuazione del Piano viene data la definizione delle unità storico ambientali b4: “Le aree ricadenti all’interno dell’unità storico-ambientale b4 sono destinate alla ricostituzione e ricucitura del tessuto urbanistico-edilizio mediante un insieme sistematico di interventi volti al ripristino dell’assetto spaziale storico con la riproposizione di organismi edilizi coerenti con le tipologie dell’edificato originario storicamente documentato. Gli interventi ammissibili sono quelli che appartengono alla categoria della ristrutturazione edilizia e le soluzioni proposte sono soggette al rispetto dei profili regolatori e delle volumetrie massime ammissibili riportate nelle schede di intervento (allegate alla presente normativa) elaborate per ogni singola Unità Storico Ambientale b4. Dovrà comunque essere garantita la coerenza con l’Abaco dei tipi di tessuto urbano e con il tessuto edilizio storicamente documentato. Le destinazioni d’uso dovranno essere rispettose dei caratteri morfologici e sociali del contesto edilizio circostante”. Si evince che in tali zone è possibile effettuare interventi appartenenti alla categoria delle“ristrutturazioni edilizie”, definite dallo stesso piano come “Gli interventi di ristrutturazione edilizia sono caratterizzati da due elementi fondamentali: il primo determinato dalla “sistematicità” delle opere edilizie e il secondo, più rilevante, riguarda la finalità della trasformazione dell’organismo edilizio che può portare ad un edificio parzialmente o completamente diverso dal preesistente. Pertanto, gli effetti di tale trasformazione sono tali da incidere sui parametri urbanistici al punto che l’intervento stesso è considerato di “trasformazione urbanistica”, soggetto a concessione edilizia e sottoposto al pagamento di oneri concessori. Attraverso gli interventi di ristrutturazione edilizia è possibile aumentare la superficie utile, ma non il volume preesistente, come storicamente documentato, o provvedere alla ricostituzione dei volumi nei vuoti urbani ricompresi nelle Unità storico-ambientali b4. A titolo esemplificativo, sono ricompresi nella ristrutturazione edilizia i seguenti interventi: a) riorganizzazione distributiva degli edifici e delle unità immobiliari, del loro numero e delle loro dimensioni; b) costruzione dei servizi igienici in ampliamento delle superfici e dei volumi esistenti; c) mutamento di destinazione d’uso di edifici; d) trasformazione dei locali accessori in locali residenziali; e) modifiche agli elementi strutturali, con variazione delle quote d’imposta dei solai; 100


f) interventi di ampliamento delle superfici.” Risulta evidente come il Piano non lasci nulla al caso prescrivendo dettagliatamente la tipologia di intervento ammissibili, dalla scheda si evincono anche le “tipologie edilizie” realizzabili per ogni singolo vuoto, tipologie ricostruite in base alla mappatura delle preesistenti. Più specificatamente nel vuoto interesse del nostro studio è prevista la riedificazione con edifici appartenenti alle categorie storico edilizie di tipo “C3” e “D3”, i quali caratteri sono trattati dettagliatamente nell’abaco delle tipologie edilizie (allegato “B” delle norme tecniche di attuazione del P.P.C.S.). La prima tipologia riguarda le case a schiera la cui evoluzione attraverso accorpamenti a portato storicamente alla nascita di edifici simili al “palazzetto minore”, mentre la seconda tipologia è il frutto dell’accorpamento di due o più case a schiera. 101


Analisi della mobilità

6’

7’ Piazza Matteotti - Piazza Yenne

Piazza Yenne - vuoto Atzeni - Vacca 11’

11’ Piazza Matteotti - Piazza Yenne

Piazza Yenne - vuoto Atzeni - Vacca

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5’ Vuoto - Piazza Indipendenza

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2’ Vuoto - Bastione San Remy

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10’ Vuoto - Giardini pubblici

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Analisi dei flussi turistici Grafico sei flussi (serie storica 2001-2011)

Movimenti turistico straniero (anno 2011)

85,65% 7,49% 6,48%

Dati arrivi/presenze biennio 2012-2013

0,21%

0,15%

Offerta turistica cittĂ di Cagliari

Tabelle e grafici elaborati su base dei dati statistici forniti dall’ ente provinciale per il turismo

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L’aumento di interesse, la crescita in termini numerici del settore ed i cambiamenti socio-economici che hanno interessato il fenomeno impongono un’analisi sulle dimensioni attuali del turismo ed una riflessioni sulle potenzialità future. La capacità di incrementare l’economia turistica, date le risorse locali, è efficace anche come leva di sviluppo per rivitalizzare l’economia di un territorio nel suo complesso, in termini di nuove opportunità di business oltre che strumento di differenziazione produttiva. L’analisi relativa ai flussi turistici4, riferiti alla città di Cagliari, mostra come il fenomeno nel decennio 2001-2011 abbia assunto una tendenza decisamente positiva sino al 2010 mentre nel 2011 abbiamo un leggero calo. La curva in blu descrive il numero assoluto di arrivi, nel quale sono compresi sia quelli nazionali che internazionali, il cui incremento nel periodo di riferimento risulta in valore assoluto aumentare di circa 100.000 arrivi. La curva in rosso invece descrive la presenze dei turisti, dato ottenuto dal numero di arrivi per i giorni di permanenza, ed anche questa subisce un forte incremento. Gli arrivi sono stati inoltre suddivisi percentualmente per paese di provenienza, possiamo notare come il maggior numero di turisti sia di provenienza europea che rappresentano oltre l’86% del totale, a seguire troviamo i turisti provenienti dal continente asiatico i quali sono lievemente superiori a quelli di origine americana, infine troviamo una piccola percentuale di arrivi dal continente africano e dall’Oceania. Oltre alla serie storica riferita al decennio 2001-2011 è stato possibile analizzare arrivi e presenze del biennio 2012-2013, i dati del 2013 sono aggiornati a settembre dello stesso anno, dai quali emerge un dato piuttosto significativo vediamo infatti un aumento sia degli arrivi che delle presenze. In valori assoluti si manifesta un aumento di circa cinquemila arrivi in più rispetto nel 2013 rispetto al 2012. Oltre ai dati sugli arrivi e le presenze è stata analizzata l’offerta turistica della città che indica le tipologie di strutture presenti ed il numero di persone che esse sono in grado di ospitare. Sostanzialmente l’offerta ricettiva viene soddisfatta per gran parte dalle strutture alberghiere, le quali possono offrire un numero di posti letto decisamente superiore rispetto alle altre, mentre è chiaramente evidente la scarsa presenza di ostelli, solamente uno, e la scarsa disponibilità di posti delle altre strutture. Da questa analisi è possibile comprendere come il settore del turismo, che come abbiamo visto tende a crescere, possa rappresentare un opportunità di sviluppo tanto economico quanto culturale, è quindi pensabile ipotizzare di indirizzare alcune scelte sia politiche che economiche al potenziamento di questo settore.

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Analisi dell’offerta ricettive del quartiere Nella carte riportata sotto vengono mappatti, nel quartiere di Castello, gli affittacamere ed i B&B presenti, individuandone anche i numeri di posti letto, riferiti alla massima capienza che ognuno di essi offre. Da tale analisi si evince che l’offerta è piuttosto bassa, non esistono strutture adatte ad ospitare gruppi numerosi di persone ed, in sostanza, è presente un’offerta monotematica rappresentata da piccole residenze trasformate in strutture turistiche. Alla luce dei dati turistici rilevati precedentemente, vista le potenzialità storico artistiche del Castello, tale carenza merita una riflessione più approfondita che valuti la possibilità di ampliare i servizi ricettivi.

Camere quadruple Camere triple Camere doppie Camere singole Affitta camere B&B Ascensore

Posti letto totali 56

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Ipotesi di un ostello. Un punto di partenza per la riqualificazione Gli ostelli della gioventù hanno avuto un ruolo determinante nella interpretazione dei problemi, delle attese e delle speranze dei giovani che viaggiano con lo zaino; la loro funzione si è rivelata sempre più importante, soprattutto nel secondo dopoguerra quando, all’espandersi della pratica del viaggio tra le nuove generazioni, non è seguita una adeguata consapevolezza sulle necessità specifiche che ne sono derivate, sia in ordine all’organizzazione dei viaggi, sia in ordine agli indispensabili requisiti delle strutture di accoglienza e di ospitalità a loro destinate. Anche in Italia la risposta alle mutate e nuove esigenze dei giovani viaggiatori si è dimostrata insufficiente, nonostante le illuminate aperture, proposte ed opportunità avviate dalla legge sul turismo sociale6. L’organizzazione alberghiera tradizionale, rispetto al nuovo fenomeno, ha fornito alle istanze del mondo giovanile risposte limitate, nei limiti delle funzioni e delle finalità sue proprie; tale fatto ha palesato la profonda cesura esistente tra le funzioni delle strutture turistiche tradizionali ed il vissuto dei giovani, anche in riferimento a tipologie ricettive a loro più congeniali. Risulta decisamente più aperta alle esigenze di ospitalità richieste dai giovani l’organizzazione degli ostelli che ha sviluppato negli ultimi decenni un notevole servizio in un contesto sociale che, a mano a mano, ne ha valorizzato la presenza; un servizio che ha superato la mera funzione ricettiva per proporsi come strumento d’accoglienza adeguato all’istanza educativa del turismo giovanile. Secondo l’ideazione originaria d’inizio secolo, ad opera dell’insegnante tedesco Richard Schirmann7, gli ostelli, essi dovevano essere finalizzati a dare sostegno all’attività didattica. Docenti ed allievi, nei loro trasferimenti sul territorio, secondo un metodo di educazione scolastica attiva, avevano bisogno di strutture per l’accoglienza semplici, poco costose ed adatte ad una vita di collettività. Da questa idea semplice è nata una esperienza promettente, funzionale anche alla grande richiesta di mobilità del nostro tempo che su presupposti e linee guida molto semplici si è poi progressivamente affermata in varie parti del mondo. Sviluppatasi dapprima esclusivamente in ambiente tedesco, l’idea degli ostelli si è di seguito estesa ad altri Paesi ove sono nate varie associazioni nazionali, collegatesi poi tra loro in un sistema organico. Le varie associazioni nazionali hanno deciso poi di dare vita ad un’unione a livello internazionale, fondando ad Amsterdam nel 1932 la “International Youth Hostel Federation (IYHF)” avente finalità molto nobili, definite dallo stesso statuto di fondazione con l’aggettivo di “missione”. Anche in Italia, nel generale sforzo di rinascita spirituale del secondo dopoguerra, si costituì nel 1945 l’Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù8 (A.I.G.) ad opera di Franco Pessina, secondo finalità corrispondenti al movimento ideale sviluppatosi in altri Paesi Europei. Riconosciuta quale Ente Morale a carattere Assistenziale, nel 1949 l’associazione fu ammessa alla IYHF. Anche 109


l’AIG si accodò allo slancio ideale proposto dalla Federazione Internazionale, prefiggendosi finalità analoghe. L’esperienza italiana, tuttavia, è nata e si è sviluppata in un contesto di riflessione culturale sul turismo giovanile che non ha dato un’adeguata risposta alla domanda, nata in quegli anni, sulla priorità da dare alla funzione educativa o a quella socio-assistenziale degli ostelli. Significativo fu il fatto che nello statuto vennero inseriti nel consiglio nazionale dell’associazione i due rappresentanti del Ministero della Pubblica Istruzione e del Turismo. Nell’intensa attività degli anni successivi alla fondazione l’equivoco politico non si è risolto, ed ha influenzato gli indirizzi, le linee operative e le stesse strutture dell’associazione; ciò è valso anche nelle associazioni di altri Paesi aderenti alla Federazione. Tuttavia, a partire dagli anni Settanta, il rapido evolversi delle situazioni economiche e sociali del nostro paese ha portato a profonde modificazioni nei bisogni, negli atteggiamenti, nei costumi dei giovani e perciò anche nelle organizzazioni del turismo giovanile. Il modello affermatosi in questi ultimi anni in Italia sembra essere quello delle strutture di ospitalità per la vacanza a basso prezzo cui la pubblica amministrazione concede un sostegno saltuario, occasionale e comunque riferito sempre alle opportunità turistiche. Dalle analisi statistiche svolte e dai dati raccolti dal “Annual Report of Intenational Youth Hostel Federation” è emerso che nel mondo le nazioni detentrici del più elevato numero di ostelli sono la Germania e la Polonia; tuttavia la nazione regina nell’ospitalità turistica giovanile in ostello è la Germania che di fatto, da sola, presenta un numero di pernottamenti quasi pari alla somma di tutti i pernottamenti degli altri principali paesi del mondo. Nel 1995 la Germania aveva 612 ostelli per un pernottamento totale (residenti + stranieri) pari a 10.566.550 persone; l’Italia presentava 50 ostelli con 671.241 ospiti annuali. Gli Stati Uniti d’America, pur vastissimi in termini di abitanti e superficie, presentavano solo 152 ostelli con 977.976 pernottamenti. Questi brevi accenni e sullo sviluppo degli ostelli permettono di effettuare alcune riflessioni sulle loro potenzialità, e anche sui limiti, sia da un punto di vista puramente economico sia come catalizzatore sociale. La proposta di realizzare un ostello nel quartiere di Castello nasce dalla volontà di voler rivitalizzare la città antica, e come emerge da questi brevi cenni la proposta potrebbe risultare sicuramente vincente. Seppure gli ostelli si rivolgono tendenzialmente ad un pubblico giovanile, del viaggio a bassi costi, sempre maggiormente negli ultimi anni si sono trasformati assomigliando maggiormente a delle vere e proprie strutture alberghiere, ma mantenendo sempre dei costi limitati. La filosofia di fondo resta sempre la stessa: quella di permettere ai giovani, e non solo, di 110


razze e culture diverse di incontrarsi e conoscersi in un ambiente privo di qualsiasi discriminazione. L’idea stessa del progetto, piuttosto ambiziosa, sarebbe quella di creare una struttura in grado di attrarre flussi di persone che possano dare vitalità al quartiere, la buona riuscita del progetto potrebbe inoltre creare una relazione funzionale tra la “città sulla rocca” e il resto del territorio cittadino. Infatti l’ostello ipotizzato si discosta leggermente dal solito, si è pensato di aggiungere alcune funzione che lo possano caratterizzare, distinguendolo da un semplice luogo per pernottare. Oltre alle solite funzioni tipiche sono stati inseriti altre tipologie di servizi una sala lettura con biblioteca, dove il tema principale sarà quello della storia di Cagliari concepita inizialmente in quattro parti ben distinte. Inoltre si è pensato di creare, lungo i corridoi che portano alle camere, degli spazi dedicati che possano ospitare delle piccole esposizioni temporanee realizzate dai numerosi artisti presenti nel quartiere. I principi ispiratori alla base della nostre ipotesi vanno ben oltre la semplice offerta ricettiva, nonostante si sia visto precedentemente che risulti carente, si punta a voler creare un punto di ritrovo per turisti e residenti, creando questa sorta di partecipazione dei cittadini alla vita dell’ostello. Il progetto vuole essere un qualcosa di condiviso che rappresenti tutti in maniera tale da creare un senso di appartenenza, presupposto indispensabile per la buona riuscita dell’ intervento.

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Ostelli: due esempi significativi Nel capitolo che segue vengono riportati alcuni realtà riguardanti gli ostelli, presi come spunti progettuali. Il primo esempio che mostriamo riguarda l’ostello di Jugendherberge10 a Bremen situato in vecchio quartiere e si estende lungo il fiume, è stato realizzato dallo studio Raumzeit. Il progetto è un’estensione del vecchio dating “Jugendherberge” del 1955, nel bando di concorso erano richieste altre camere, così come sale conferenze, una caffetteria pubblica e di una più ampia sala multifunzionale utilizzabile per eventi pubblici. L’edificio è visto attraverso e lungo l’acqua da molte direzioni. In virtù della sua grande estensione riesce ad ospitare il programma aggiuntivo, producendo panorami fuori dal vecchio edificio. Inoltre, si forma il terzo lato di una lunga piazza triangolare a ovest. Internamente, una spirale di circolazione crea un continuum spaziale lungo i due piani inferiori fino alla grande terrazza sul tetto del terzo piano. Un piccolo patio al secondo piano permette alla luce naturale di entrare nella sala conferenze e nella parte vecchia dell’edificio che è stato ugualmente ristrutturato. I due nuovi volumi sono differenziati dall’ utilizzo del colore, e dei materiali con particolari trattamenti superficiali. Il volume piatto del secondo piano è rivestito in alluminio color melanzana con la grande finestra panoramica leggermente arretrata. Il materiale in facciata è costituito da pannelli compositi in alluminio che possono essere utilizzati per davanzali e parapetti. I pannelli di 150 cm di larghezza sono rivettati e verniciati in high-gloss. La curva concava della facciata, sfuggente in primo piano segue il marciapiede, mentre il volume del secondo piano, a sbalzo sopra la piazza pubblica, protegge i posti a sedere all’esterno della caffetteria. La sua parte inferiore, rivestita in alluminio lucido allo stesso modo, rispecchia le persone che camminano sul marciapiede. La lastra gialla (fig.11) è rivestita in vetro smaltato in cinque differenti tonalità, con punti di fissaggio, montati anteriormente alla parete di cemento isolato. Gli infissi in alluminio su misura vengono impostati a filo con la superficie del vetro e dipintei dello stesso colore. L’edificio pur inserendosi in contesto già esistente crea un forte impatto visivo, dichiarando da subito le proprie forme e colori, il progetto risulta interessante sia da un punto di vista di inserimento che funzionale della struttura, la quale rappresenta sicuramente una interessante soluzione architettonica. Il secondo esempio riportato riguarda un ostello realizzato in Croazia nel centro di Spoleto. L’edificio “ Savo” dopo essere stato convertito all’inizio di questo secolo in centro commerciale, a seguito di azioni di guerriglia urbana del 2010, ha finalmente trovato la sua definitiva destinazione funzionale, trasformandosi, in soli 100 giorni in un ostello, l’Hostel Golly±Bossy11. Il progetto porta la firma dello Studio Up di Zagabria che ha preservato spazi pubblici, scale mobili e ascen112


10. Ostello Jugendherberge a Bremen. Vista esterna

11. Particolare facciata

12. Sala interna

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13. Hostel Golly±Bossy. Vista dell’ involucro esterno

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sore panoramico, suddividendo gli ex-spazi commerciali per mezzo di un sistema di pareti che contengono tutto il necessario - letti, lavabi, docce e servizi igienici. Una membrana storica dal carattere metropolitano come ideale di prolungamento dello spazio pubblico all’interno. Hostel Golly ± Bossy nato dalla coppia di architetti croati Lea Pelivan e Toma Plejić aveva anche lo scopo di aprire nuove possibilità a livello locale. Il suo target sono i turisti che hanno maggiori probabilità di venire in bassa stagione e partecipare eventi locali. Questo progetto presenta un carattere metropolitano urbano così come una continuazione dello spazio pubblico all’interno di una membrana storica. Visto dall’esterno non ci si aspetta sicuramente la modernità degli ambienti interni che rivelano la cura per i dettagli dei due giovani architetti. Questi due esempi mostrano come possa essere realizzato un ostello in chiave contemporanea, offrendo comunque quei servizi minimi a garantire i comfort di chi vi soggiorna. Entrambi gli esempi offrono vari spunti per una accurata riflessione progettuale, indispensabile per la realizzazione di un progetto vincente.

14. Hostel Golly±Bossy. Particolare delle camere

15. Hostel Golly±Bossy. Andito e bagno.

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16. Pianta dell’ edificio

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NOTE 1. Rielaborazioni cartografiche a cura di A. Vacca e F. Floris. 2. I dati relativi all’ analisi demografica sono tratti da: Atlante demografico di Cagliari 2012, Comune di Cagliari. Assessorato affari generali. Servizio sistemi informativi e sistemi informatici., Cagliari 2012. 3. G. Deplano, Analisi..., op. cit., p. 31. 4. Rielaborazione grafica a cura di A. Vacca e F. Floris, dati tratti da: Ente provinciale per il turismo. Ufficio statistiche. 5. La mappatura dei servizi ricettivi è stata effettuata con indagini in loco sulla base dei dati forniti dal P.P.C.S. 6. A. F. Pessina, La Via degli Ostelli. Storia, etica, poetica dell’Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù, Catanzaro 2009. 7. A. F. Pessina, La Via..., op. cit. 8. L’AIG, Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù, è un ente morale no-profit, che ha tra i propri scopi la promozione di un turismo etico e sostenibile. 9. Rapporto annuale sui dati degli ostelli consultabile all’ indirizzo: http://www.hiusa.org/files/uploads/HI-USA_Annual_ Report_2013.pdf. 10. Tratto da: http://europaconcorsi.com/projects/64440-Raumzeit--Jugendherberge-Bremen 11. Tratto da: http://europaconcorsi.com/projects/183783-STUDIO-UP-Hostel-Golly-Bossy.

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Parte VI Il progetto


Concept La ricostruzione del funzionamento e delle forme generali degli antichi assetti urbani implica una conoscenza profondamente analitica delle tracce che la storia lascia sul terreno, basata, come nello scavo archeologico, sulla necessità di eliminare in progressione strati di sovrapposizioni di materiali per pervenire all’immagine dello stadio ricercato. Nel progetto che segue si cercherà di utilizzare un approccio che proverà ad abbattere alcune barriere disciplinari che predeterminano il ruolo della storia nel progetto dei luoghi. Tale approccio sembra allo stesso tempo causa ed effetto di una secolare legislazione di tutele che ha ritenuto la condizione storica dei luoghi determinata soltanto da oggetti non più in uso. Conseguenze ultime di questo atteggiamento culturale - che dal culto del “monumento” è pervenuto alla “retorica del rudere”-, ormai ben assodato, i recinti virtuali o materiali ritagliati, nel tempo, intorno a questi oggetti asserenti la storia: recinti protettivi tanto intoccabili in teoria, quanto fragili nella pratica dell’ indifferenza al loro intorno; recinti resi impermeabili alla vita e perciò a tutti gli effetti pensabili come esterni, anche quando purtroppo collocati nel centro delle nostre città. Dal chiarimento dell’ambiguo statuto della storicità dei luoghi potrebbe derivare non solo un concetto di tutela meno astratto e dunque più condiviso, ma anche - ed è questo il senso profondo di questo progetto - una visione progettuale non più succube dell’impedimento rappresentato dalla loro ingombrante presenza, ma garante delle potenzialità derivanti dalla suggestione del loro essere, ancora presenti. Si evince che il ruolo della storia nel progetto della città non può essere solo strumentale poiché i significati profondi dei segni ereditati sono immutabili. Riuscire ad interpretare ed interrogare le tracce che possono contribuire a far prendere coscienza dei valori di un determinato contesto storico consente di costruirne gli orizzonti futuri. A tal proposito alcune testimonianze di grande rilevanza storica, nonostante l’apparente abbandono ed isolamento, possono essere assunte dal progetto come luoghi di riappropriazione creativa, nuovi catalizzatori urbani che rivelano l’essenza del contesto. Creare nuove esperienze è compito del progetto che favorisce le condizioni spaziali perché abbiano luogo eventi costitutivi di nuovi processi di interazione dialettica tra uomini e luoghi che si reiterano e innovano costantemente, assumendo diversi significati nel tempo. Risultano rilevanti le rappresentazioni culturali che le società locali si creano in relazione agli spazi in cui vivono, le quali, per essere esplicitate e utilizzate, richiedono un cambiamento ontologico del progetto dello spazio per essere in grado di coglierne la variabilità in funzione del rapporto tra percezione e mondi vissuti di una società. Nel momento in cui ad un dato spazio vengono attribuiti significati collettivi, questo diviene un 120


luogo rispetto al quale gruppi di individui costruiscono delle rappresentazioni sociali. In una società sempre più frammentata e conflittuale come quella in cui viviamo, nella quale troppo spesso non è possibile recuperare un concetto di bene collettivo e che consta d’una dimensione urbana che non favorisce più la contemporanea esistenza di urbs e civitas, un progetto all’interno di un contesto storico risulta ancor maggiormente difficoltoso. Il progetto interviene sul contesto non limitandosi a una rilettura di condizioni date una volta per tutte, ma le rimette in gioco ogni volta risultino limitate o poco condivisibili. Infatti il contesto non designa soltanto le circostanze esterne nelle quali si inserisce un fatto, ma esso è anche creato dall’intervento progettuale che seleziona gli elementi che gli conferiscono un senso1. Questa considerazione, d’altra parte, non può essere risolta esclusivamente attraverso l’ingresso del dato temporale nel contesto fisico. Non è sufficiente, cioè, legare il nuovo progetto al momento storico della sua realizzazione per garantirsi un allargamento di senso rispetto al suo inserimento in un contesto esclusivamente come opera addizionale delle proprietà fisiche e spaziali del luogo. Il progetto prende le mosse, oltre che da un’attenta lettura del contesto, dall’analisi dei Piani Urbanistici che pongono dei limiti teoricamente invalicabili sulla realizzazione degli interventi nel centro storico. L’approccio intrapreso è stato quello di accettare questi vincoli, ma con la libertà di contestarli qualora fossero risultati, secondo il nostro punto di vista, poco condivisibili.

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Obiettivo Nella riedificazione di un vuoto nel centro storico, nel suo riadattamento a funzioni speciali, come quella dell’Ostello, nella sua rifunzionalizzazione o ricerca di un suo uso, quella scelta non rappresenta sicuramente un modello largamente diffuso. Infatti una struttura del genere presenta dei vincoli funzionali che dovranno essere inseriti all’interno di volumi ridotti, più tipicamente utilizzati per la residenza abitativa. Tale vincolo potrebbe risolversi in esperienze negative se il progetto perseguisse a tutti i costi l’obbiettivo di inserire tipologie e modelli abitativi precostituiti in edifici originariamente adibiti a funzioni molto lontane da quelle della residenza temporanea transitoria, e in esperienze positive se la riedificazione assume il valore di risorsa in grado di attivare processi di adattamento studiati ad hoc in grado, seppur all’ interno di un volume non tipicamente suo, per garantire la funzionalità degli spazi. Il progetto mira a ricostituire l’edificato storicamente esistito, cercando di ridare compattezza e continuità all’isolato che risulta privo di un suo tassello fondamentale. Il principale obiettivo dell’intervento è quello di ridisegnare il tessuto e portarlo alla sua forma originaria, trovando nello stesso tempo delle nuove funzioni che possano valorizzarne il contesto. La scelta dell’Ostello, sicuramente non frutto della casualità, ha come obiettivo multiplo la promozione del turismo giovanile con una conseguente rivitalizzazione dell’ area. La possibilità di avere una numerosa presenza di turisti, che tendenzialmente saranno costituiti da giovani, che vivono nella antica città non può che essere di grande beneficio sia da un punto di vista economico che sociale. Infatti la presenza di flussi di persone genera un sistema spontaneo di autocontrollo, in grado di, presumibilmente, garantire una maggiore fruibilità anche da parte dei cittadini. Gli obiettivi che si vogliono perseguire risultano certamente ambiziosi, e probabilmente vanno anche a scontrarsi con discipline che riguardano maggiormente le scienze sociali e le dinamiche ad essa collegate e quindi problematiche ben differenti da quelle poste dal semplice progetto architettonico. Tuttavia riteniamo che il percorso effettuato durante la realizzazione progettuale, partendo dall’analisi per arrivare al progetto meramente tecnico, abbia ben valutato anche suddetti aspetti, seppur meno propri dell’architettura, e si possa conseguentemente ritenere che il progetto realizzato possa raggiungere gli obiettivi prefissati.

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Il progetto Il progetto consiste nella riedificazioni di due lotti che allo stato attuale risultano inedificati, nei quali verrà realizzato un Ostello per la gioventù. Le volumetrie e le altezze realizzabili, stando alle prescrizioni del piano, risultano differenti nei due lotti: nel lotto numero 1 è possibile edificare un edificio di tre piani con un altezza massima di 11,60 m; nel lotto numero 2 è possibile realizzare, invece, un edificio di 5 piani con un altezza massima di 15,40 m. In seguito a queste limitazioni normativa il progetto è composto da spazi realizzati su misura dove nulla è stato precostituito o risponde a canoni standard come si potrebbe pensare dalla scelta funzionale che si è data. L’Ostello è composto da un primo livello, su via Lamarmora, che ospita una ampia Hall/Sala d’attesa comfortevole e rispondente a tutte le esigenze necessarie per i turisti in arrivo e in partenza. Oltre alla Hall è presente una piccola lavanderia in grado di soddisfare le esigenze degli ospiti. La struttura è in grado di ospitare a piena capienza 56 persone; sono presenti tre diverse tipologie di stanze, singole, doppie, triple; tutte le camere sono dotate del bagno in camera. Il piano che si trova sull’ultimo livello ospita una Libreria - Sala lettura, il cui tema sono i quattro quartieri storici pertanto tale ambiente è suddiviso in quattro parti ognuna dedicata ad uno dei quartieri. La caratteristica che rende ancor più unico l’Ostello è data dal fatto che lungo i corridoi che conducono alle camere, si è pensato di creare delle aree espositive dove gli artisti e gli artigiani del quartiere hanno la possibilità di mettere in mostra le proprie creazioni. Questo sistema espositivo permette, inoltre, di scandire ritmicamente i lunghi corridoi che conducono alle stanze rendendo la percorrenza meno monotona e visibilmente più piacevole. Oltre agli ambienti indicati, al primo piano su via Cannelles, è presente un Bar/Sala colazioni che dispone di una piccola corte interna che crea un piccolo ambiente all’aperto stando però sempre all’interno dell’edificio. Visto dall’esterno, l’Ostello, si presenta come un blocco unico di calcestruzzo pigmentato dove i prospetti sono scanditi dal ritmo ordinato delle bucature, le quali sono inserite in numero e dimensioni rispondenti alle tipologie edilizie presenti.

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Planimetria

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Pianta arredata I livello

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Pianta arredata II livello

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Pianta arredata III livello

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Pianta arredata IV livello

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Pianta arredata V livello

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Sezioni A-A, B-B

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Vico I Lamarmora

Prospetti

Vico I Lamarmora

Via Cannelles

Via Lamarmora

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Fotoinserimenti

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Fotoinserimento1. Vista dalla torre dell’ Elefante

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Fotoinserimento 2. Vista da via Lamarmora

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Fotoinserimento 3. Vista da via Cannelles

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Render interni

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Ingresso - Sala d’attesa

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Bar

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Camera quadrupla tipo

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Sala esposizione - libreria

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Zona lettura - sala esposizione

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Conclusioni La lunga fase di ricerca storica e cartografica ha permesso di arrivare alla realizzazione di un progetto architettonico complesso sia per la natura propria dell’edificio che per le limitazioni insite nell’area di intervento. La proposta è stata sviluppata sulla base di alcune esigenze che sono emerse nella fase di analisi la quale si è occupata di valutare, oltre che le trasformazioni storiche del tessuto urbano, quali funzioni fossero più carenti e potessero avere maggiori possibilità di riuscita. Si ritiene che il lavoro eseguito possa rappresentare un esempio singolare per la riqualificazione del quartiere, la realizzazione di un Ostello potrebbe rappresentare un’opportunità per potenziare il settore turistico. Una delle difficoltà maggiori riscontrata in questo lavoro è stata rappresentata dai vincoli posti dal Piano. Inizialmente si è pensato di accettare integralmente queste direttive, ma in seguito si è deciso che forse sarebbe stato meglio valutarle volta per volta. Il Piano vincolava irrevocabilmente la realizzazione dei prospetti dell’edificio; abbiamo ritenuto opportuno realizzare, invece, qualcosa che si discostasse dal contesto, in maniera tale che il nuovo edificio fosse ben percepibile rispetto agli altri, i quali appartengono ad epoche diverse, evitando così di realizzare un falso storico, come invece indica il Piano. Questa dissonanza nei confronti della normativa nasce dall’esigenza di voler realizzare un edificio che in qualche modo si dichiari per quello che è, ovvero una nuova realizzazione.

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Bibliografia AA.VV., Il centro storico di Cagliari. Analisi e tecniche per il recupero, Quaderni di ricerca. Facoltà di Ingegneria di Cagliari. Dipartimento di ingegneria del territorio, Cagliari ,2000. AA.VV., I piani regolatori della città di Cagliari. Tratto da Metodologie di analisi del rapporto fra gli usi sociali e le corrispondenti tipologie strutturali, Facoltà di ingegneria di Cagliari. AA.VV., Cagliari. Quartieri storici. Castello, Comune di Cagliari, 1985. Cadinu Marco, Cagliari. Forma e progetto della città storica, Cuec, 2009. Cadinu Marco, Iniziative di pianificazione urbanistica nella Cagliari ottocentesca. In Storia dell’Urbanistica. I piani regolatori, Editoriale a cura di Enrico Guidoni, 1997. Colavitti Anna Maria, Cagliari: forma e urbanistica, Roma, 2003. Del Panta Antonella, Un architetto e la sua città, Cagliari, 1983. Deplano Giancarlo, Analisi del paesaggio urbano: Cagliari ed il suo centro storico, EdicomEdizioni, Monfalcone 2009. Moneo Rafael, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’ opera di otto architetti contemporanei, Mondadori, Milano, 2007. Piludu Paolo, Cagliari, 1943. La guerra dentro casa, Cagliari, 2013. Scano Dionigi, Forma Kalaris, Tipografia Giovanni Ledda, Cagliari, 1923. Schirru Marcello, Palazzi e dimore signorili nella Sardegna del XVIII secolo, tesi di dottorato di ricerca. Sechi Bernardo, La città del ventesimo secolo, Editori Laterza, Bari, 2005.

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Sitografia Storia e fotografia: Archivio digitale del comune di Cagliari http://mediateca.comune.cagliari.it/ Sardegna digital library http://www.sardegnadigitallibrary.it/ Google maps https://www.google.it/maps/@40.0862418,8.9789212,8z Normativa: http://www.comune.cagliari.it/portale/it/ppcs_info.page?contentId=SCH20502 http://www.sardegnaterritorio.it/pianificazione/pianopaesaggistico/ Progetti: http://europaconcorsi.com/projects/64440-Raumzeit--Jugendherberge-Bremen http://europaconcorsi.com/projects/183783-STUDIO-UP-Hostel-Golly-Bossy http://www.novarchitectura.com/2012/02/10/complesso-monumentale-romano-di-tarragonail-restauro-di-andrea-bruno/

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Immagini Parte I: 1. Arquer S., Calaris Sardinie caput, 1550, inserita nella Cosmographia Universalis di Sebastiano Munster, fonte : www.sardegnacultura.it. 2. Braun G. Hogenberg F., Calaris Malta Rhodus Famagusta, tav. 50 in Civitates Orbis Terrarum, libro I, Colonia, 1572, fonte : www.sardegnacultura.it. 3. Rielaborazione cartografica del 1850 a cura di Alessio Vacca e Fabio Floris, base cartografica tratta da : AA. VV., Cagliari. Quartieri storici. Castello., Cagliari 1985, p. 85. 4. Rielaborazione cartografica del 1937 a cura di Alessio Vacca e Fabio Floris, base cartografica tratta da AA. VV., Cagliari..., op. cit., p. 85. Parte II: 1. Vallardi F.,Pianta della città di Cagliari, tav. 131 in Atlante geografico dell’ Italia, Milano 1885, fonte : www.sardegnacultura.it. 4. In AA.VV., Castello..., op. cit., p. 60. 5. Carta tratta da AA.VV. Cagliari. Tracce di architettura, Firenze 2007. 6. In AA. VV., Dossier..., op. cit., p. 19. 7. In AA.VV., Dossier..., op. cit., p. 20. 8. Tavola di sintesi del P.Q., fonte Comune di Cagliari. 9. Tavola delle unità storico ambientali, in P.P.C.S. del Comune di Cagliari. 10. http://www.sardegnadigitallibrary.it/mmt/480/200958.jpg 11. http://cagliaritana.blog.tiscali.it/cagliari,citt%C3%A0,sardegna,viaggi,curiosit%C3%A0,me moria,storia,fotografia/quartiere-villanova/?doing_wp_cron 12. http://www.sardegnadigitallibrary.it/mmt/480/105773.jpg 13. Tavola di sintesi del P.Q., fonte Comune di Cagliari.

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Parte III: 1. Tav. 38., tessuto urbano tratta da: http://mediateca.comune.cagliari.it/cartog.html. 2. Tav. 37., tessuto urbano tratta da: http://mediateca.comune.cagliari.it/cartog.html. 3. Tav. 47., tessuto urbano tratta da: http://mediateca.comune.cagliari.it/cartog.html. 4. Tav. 23., tessuto urbano tratta da: http://mediateca.comune.cagliari.it/cartog.html. Parte IV: 1. Foto realizzata da A. Vacca, F. Floris. 2.,3. Tratta da: http://abduzeedo.com/architect-day-alvaro-siza 4.,5. Tratta da: A. Monestiroli, Ignazio Gardella, Milano 2009. 6.,7. Tratte da: C. Galli, M. Grilli, Progettare nel costruito: nuovi materiali e inserti urbani, in Involucri quali messaggi di architettura (atti della giornatadi studio, Napoli 9-11/10/2003) 8.,9. Tratte da: Fare, disfare, rifare architettura. La riappropriazione del monumento attraverso il restauro e la progettazione di nuove funzioni., Tradizione/innovazione n. 56, maggio 2013. Parte V: 10.,11,12. Tratte da: http://europaconcorsi.com/projects/64440-Raumzeit--JugendherbergeBremen. 13,14,15,16. Tratte da: http://europaconcorsi.com/projects/183783-STUDIO-UP-HostelGolly-Bossy.

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