EVA DIY, 2010 EVB00 CREATIVE COMMONS
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“La realtà è quella cosa che, anche se smetti di crederci, non svanisce” Philip K. Dick
Un altro corpo bruciato. Era il quinto, da marzo. Scena familiare, anche troppo. Odore pesante, due piccole colonne bruciacchiate che un tempo erano delle gambe, con una ghirlanda di cenere intorno. In corrispondenza di esse, sul soffitto, una grossa macchia nero fuliggine, testimoniava la fiammata. Nessuna traccia di incendio sui mobili della preziosa cucina in teak, nulla di infiammabile a portata di mano. Uomo, 33 anni, celibe, corporatura magra, non fumatore. Praticamente l'opposto del profilo ideale che gli esperti descrivono per queste situazioni. Controllai i cassetti: calze, mutande, profilattici, catenina del battesimo con brillanti incastonati, un vero insulto al buon gusto. Niente indizi, niente supposizioni; solo l'amarezza per la mia impotenza verso l'ignoto, e un'espressione di cordoglio obbligato per i genitori, squallida coppia di sessantenni rinvigoritasi a suon di cristianesimo e abitudinarietà suburbana. Uscii dalla casa e mi avviai alla macchina. Chi poteva essere stato, per questo e tutti gli altri? Questa domanda era la mia compagna di letto da mesi, in un amplesso che distraendomi col dubbio portava con sè solo altra morte. Sacra Corona Unita? Spionaggio industriale? Anarchici dei centri sociali? I nomadi della Massina di Cislago? Certo, poi c'era sempre da tenere in considerazione la pista nazista. Però quella la stavo ormai battendo da tempo per gli esperimenti sulla resuscitazione dei cadaveri, senza contare le forti prove riguardanti la clonazione dei dinosauri. Ma stavo già andando troppo lontano, e la mia stanca Punto del '96 era, come sempre, in riserva. 7
Era tutto iniziato sette mesi fa, quando la primavera prometteva germogliante buon umore e i vestiti delle donne incominciavano a farsi più generosi, per i maschi con poca immaginazione come me. Il primo fu il mio vicino di casa, sofferente ultraottantenne con un Alzheimer da senatore a vita, principale fonte di sostentamento di una moderna famiglia monoreddito, che arrotonda con la pensione dell'anziano di casa. Fu anche questo il motivo principale per il quale i sospetti non ricaddero sui familiari: niente vecchio, niente più pensione. Non era certo conveniente. Io però incominciai ad interessarmi al loro dramma, ma non fu molto redditizio. Accettarono con rassegnazione la cosa. Diversamente andò con i proprietari del supermercato del paese. Era forse la fine di aprile che i giornali locali, dalla Prealpina a Cronaca Vera, incominciarono a riempire i propri titoli con la prima notizia minimamente interessante dall'incidente del Seveso del '76 a questa parte. Il giovane rampollo di famiglia, un viziato cocainomane con il feticismo per la pornografia su carta stampata, era stato trovato morto nella sua depandance regalatagli per il suo diciottesimo. O meglio, quello che rimaneva del corpo, fu quello che le forze dell'ordine videro entrando in quell'alcova di tossicodipendenza e degrado sessuale. Io ero amico di un suo compagno delle superiori, e trovai così il modo di rendere sensata la mia presenza alle esequie per gli amabili resti. Finita la cerimonia mi accodai per portare le condoglianze ai frastornati genitori, certo che sarei riuscito ad attirare la loro attenzione. Arrivato di fronte al padre, gli sussurrai nell'orecchio un invito a parlare in privato al termine di tutte le funzioni, perchè avevo cose importanti da dirgli riguardo loro figlio. Erano le undici e mezzo del mattino, e le nuvole complottavano già per negare al tiepido sole il suo zenith quotidiano. Alle tre del pomeriggio diluviava; suonai il citofono della casa di famiglia: villa singola di ragguardevoli dimensioni ma dig8
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nitosa, in netto contrasto con il gusto cafone da immigrato arricchito del defunto figliolo. Entrando nel giardino potei subito notare il buon pollice verde, probabile sublimazione degli ultimi languidi pruriti della signora di casa. A destra della costruzione compatta, si trovava un casotto in muratura di non indifferenti dimensioni, una cinquantina di metri quadrati, a vederlo così. Lì è dove volevo e dovevo entrare. Un breve scambio di convenevoli con i padroni di casa, il tempo giusto per inscenare un teatrino di finti ricordi da vecchio amico delle superiori, con cui però ci si era persi di vista da anni. Erano sollevati, temevano gli rivelassi che ero il suo pusher. Dopo poco vollero quindi sapere il motivo della mia richiesta di udienza privata. Allora, a quel punto, la verità riuscì a farsi strada grazie al vialetto di menzogne tracciato poco prima. Gli spiegai del mio interesse per i casi di autocombustione umana, del fatto che da mesi facevo ricerche e mi documentavo assiduamente. Loro ovviamente ebbero il sospetto che, più che il pusher, fossi il compagno di merende, ma il mio occhio lucido e la sicurezza nelle mie parole deponevano a mio favore. Seppur con riluttanza, acconsentirono a farmi entrare nella depandance, per vedere coi miei occhi cosa avevano visto i carabinieri giunti sul posto pochi giorni prima. Cosa li spingeva ad ascoltarmi? La disperazione. Cosa spingeva me, ad interessarmi al caso? I soldi. Io non sono Dylan Dog. Non vado dietro alle prime stramberie raccontate da improbabili sciroccati giusto per convincermi che la realtà sia meno squallida di quello che è. Avevo davanti a me due persone, facoltose, consapevoli che le indagini sulla morte della loro creatura erano portate avanti da due impacciati ufficiali di provincia, poco più che due analfabeti di ritorno. Io davo loro la possibilità, dietro un compenso consistente di rimborso spese e un costo fisso alla giornata, di capire come il loro amato debosciato avesse potuto prendere fuoco senza ragione apparente. Appena aperta la porta, l'odore di grigliata cannibale incominciò subito a litigare con le mie narici. La mac10
chia nera era là, sul soffitto, demoniaco Test di Rorschach che si sarebbe continuato a prendere gioco di me nei mesi a venire. Studiai la stanza. Nessuna fuga di gas possibile, il locale era scaldato con un sistema a serpentina nel pavimento, piccolo vezzo di domotica da ricchi ecosostenibili. Non c'erano fiamme libere, nè accendini in zona. Il ragazzo non era fumatore, nè bevitore. Tra Bacco e Tabacco, senz'altro votava Venere. Presi una sedia, un terribile reperto IKEA. Salendoci sopra, avevo una visione più chiara della superficie annerita sul soffitto. La toccai con un dito: era oleosa. Grasso umano, il combustibile con cui la nera mietitrice porta a termine il suo giochino più enigmatico, quello dell'autocombustione. I genitori dovettero uscire dalla stanza, il clima s'era fatto pesante. La madre prese a singhiozzare, potevo sentirla dall'esterno. Decisi di prendere tempo ispezionando meglio il salottino. Vinili, vecchie riviste oscene, un portatile. Lo accesi e diedi un'occhiata agli ultimi siti visitati: una cronologia da mostro di Firenze pudico. Schifato, mi misi a cercare senza un senso preciso nei cassetti. Vi trovai un porta-lenti a contatto. Lo aprii, e lo trovai pieno, per quanto poteva esserlo, di cocaina. Era sfuggito alla perquisizione successiva alla morte. Questa è l'efficacia delle istituzioni. In ogni caso non mi interessava tanto quello, quanto la totale mancanza di elementi che facessero pensare ad un agente esterno come causa dell'incendio. Non potevo sbagliarmi quindi. Uscii, e lasciai il mio contatto ai genitori della vittima. Ci saremmo visti una volta a settimana, per fare il punto sulle mie indagini, e riscuotere il pagamento. Avrei continuato a vederli per molto pur non trovando nulla, ma la loro ferita urlava più forte dell'impazienza che li avrebbe portati a non cercare più una spiegazione, con la quale poter piangere fino al sonno e alla rassegnazione definitiva.
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Era una mattina di inizio giugno che mi svegliai particolarmente nervoso. Notte di sogni inquieti, ospite non desiderato ma, in fin dei conti, sempre gradito, ancora lei. Ma Ariadne non era cosa che potessi mettere in un cassetto preciso al momento. Era il passato rifiutato, il presente tentatore, il futuro di rimpianti, il conflitto irrisolvibile delle mie viscere. Mi alzai dal letto, sperando che i cattivi pensieri indugiassero ad impregnare le lenzuola come il mio sudore. Funzionò. Dedicai la prima parte di mattinata ad alcuni documenti che mi erano stati girati da uno squatter di provincia di mia conoscenza. In mezzo a volantini di dubbio interesse, trovai quello che mi serviva. Un piccolo pamphlet di una dozzina di pagine, sulle relazioni fra associazioni neonaziste e laboratori di vivisezione. Questo deponeva a favore della mia ipotesi sulla resuscitazione dei cadaveri; altrettanto poteva essere per la clonazione dei dinosauri. Ovviamente l'ottuso pragmatismo dei militanti non permetteva loro di scorgere queste sconvolgenti possibilità al di sotto della cortina di banalità dei fatti. Ma i presunti coccodrilli avvistati nelle fogne di svariate città non erano un dettaglio casuale, non per me. Stanco di leggere, avevo bisogno di un po' di evasione. Prima di uscire diedi un'occhiata al comodino, il blister di pastiglie ancora pieno: avevo vinto io, non ne avevo bisogno. Una volta arrivato al parco, vidi una folla considerevole attorno alla biglietteria della stazione ferroviaria, poco distante dal misero verde paesano. La curiosità è femmina, e a me le femmine sono sempre piaciute molto. Andai verso l'edificio giallognolo, e cercai di guadagnare vantaggio sulla coda formata dai presenti come un maleducato alle Poste. Tutto attorno al gabbiotto interno, ufficio del capostazione, il nastro delle autorità a vietare blandamente l'accesso. Era un nastro da lavori in corso in realtà, con appiccicato un adesivo dell'Arma. Pressapochismo sempre e comunque, non c'era il rischio di scambiarli per americani. Dai pochi spifferi provenienti dall'interno della stanza inagibile, arrivava un afrore che 12
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riconobbi facilmente. Cercai di spintonare discretamente ancora un po' nella folla, guadagnandomi una buona dose di bestemmie e sguardi carichi di rimprovero da parte delle attempate signore di paese con la perenne permanente, ridondanza dell'hairstyling, segno inconfondibile di climaterio mortificante. Non c'erano dubbi a quel punto: le pareti della stanza non erano per nulla annerite ma, da un breve scorcio facilmente visibile da dove osservavo, si poteva notare della cenere tutta concentrata in un punto del pavimento. Solo la retorica poteva lasciar senso alle domande; ero certo che, nel caso fossi potuto entrare in quella stanza, avrei trovato una macchia sul soffito, e il solo quarto inferiore di essere umano come al solito risparmiato dalle fiamme. Sapevo chi era il capostazione di turno: uno dei miseri vantaggi del vivere fra poche migliaglia di anime. Questa volta però tornava utile. Feci passare un paio di giorni, e suonai alla porta di casa del compianto ferroviere. Trovai la figlia: ragazza notevole, 21 anni di freschezza e fisicità , ancelle della triste promessa di un decadimento spietato nella vecchiaia a venire. Non era certo dell'umore giusto per farsi invitare a bere qualcosa, ed io ero lÏ per quello che, se non era un lavoro vero e proprio, era comunque meglio che dare ripetizioni a insolenti prepuberi svogliati. Condoglianze accorate ed incredibile sforzo data la mia scarsa mimica facciale, per introdurre senza perdite di tempo l'argomento. Mi informai sulla condizione del defunto poco prima del decesso: stava per essere trasferito alla stazione di Malpensa Express; una promozione che viene difficile concepire come gratificante, ma che doveva rappresentare un qualche gradino della scalata, per il soggetto in questione. Successivamente chiesi a sua figlia chiarimenti sulla versione data dalle autorità . Si parlava di un arresto cardiaco sulla sedia, mentre il poveretto stava fumando: questi avrebbe incominciato a prendere fuoco per la caduta della sigaretta dalla bocca ai vestiti, fatti di un raccapricciante acrilico felpato. Inutile dire che la versione convinceva poco. Il capos14
tazione portava un pacemaker, cambiato poche settimane prima, che avrebbe evitato l'arresto cardiaco. Inoltre il passaggio a livello era stato azionato fino ad un quarto d'ora prima del decesso. Una sigaretta non può carbonizzare un uomo in dieci minuti. L'autocombustione sì. Chiesi alla sconsolata ragazza di visitare la camera del padre. Solita ispezione di routine fra i cassetti, solito inutile cercare. Trovai però qualcosa di interessante nella sua libreria, un vero ricettacolo di letteratura da supermarket e fiera del libro usato. C'erano numerosi fascicoli, stampati da diverse fonti telematiche, da Wikipedia al portale del CICAP, sulle scie chimiche. Quell'uomo aveva forse uno spirito affine al mio? Una cosa era certa: lui avrebbe di lì a poco lavorato a Malpensa, a stretto contatto con i nostri icaro di acciaio, e stava facendo ricerche sulle scie chimiche. A questo punto entrava in gioco un nuovo elemento in quella serie di assurde vicende. Dovevo vederci chiaro. Fissai anche con lei un appuntamento settimanale, ma non chiesi denaro questa volta. Cosa la spingeva a mettersi nelle mani di quello che a prima vista poteva sembrare un inquietante mitomane? Lo sconcerto per una morte così insensata, unito a quella dose di curiosità giovanile che di certo mancava ai precedenti parenti dei defunti. Cosa spingeva me ad interessarmi gratuitamente? Il sesso. Era forse approfittarsene meschinamente di una povera femmina in difficoltà, sfruttando la propria posizione di unico riferimento in un momento del genere? Probabilmente sì ma, del resto, questo lo fa anche Dylan Dog. E poi era ormai da parecchio tempo che non avevo nè la possibilità nè lo stimolo di dare distanza a quella presenza nella mia testa che così di frequente abitava le mie fasi REM. Carpe diem, scadendo nella banalità.
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In agosto ero ormai giunto ad un punto morto con le indagini. Le mie visite settimanali continuavano, sia con i signorotti della grande distribuzione, che con la fascinosa ragazza della porta accanto. I miei torbidi interessi con quest'ultima non portarono a nulla di produttivo: presa interamente dal dolore per l'inassimilabile lutto, continuava a non cogliere i chiari segnali di interesse, negare ogni incontro extra e non portare mai la conversazione fra noi due su lidi diversi da quello della morte del padre. Quel briciolo di dignità che mi restava e questa barriera da parte sua mi convinsero a non insistere in quella direzione, con buona pace del mio maldestro tentativo di cambiare il mio palinsesto onirico. Qualche settimana di vacanza nell'estrema punta della penisola mi sarebbe servita per pulire la lavagna, e riordinare i calcoli. Dopo una settimana di tranquillo soggiorno in Sicilia, ebbi modo di constatare quanto la sorte si prendesse gioco della volontà di distrarmi. Qualunque campagna desolata, qualunque promontorio stepposo nei pressi delle spiaggie, aveva sempre il suo piccolo o grande incendio a rovinarne la quiete e la serenità. Era certo un fenomeno così frequente da non risvegliare sospetti, tuttavia non permetteva mai di staccare completamente. Fino a quando un giorno, su una strada statale in direzione Caltagirone, tortuosa come l'intestino di un ruminante, vidi nei pressi del guard rail una piccola concentrazione di persone. Parcheggiai nella prima piazzola di ghiaietta nelle vicinanze, e mi avvicinai verso la folla che si era creata. Una volta in mezzo ad essa, mi accorsi che in realtà il margine della strada era a capo di una ripida discesa, che finiva in una radura di secca sterpaglia. Al centro di questo appianamento del terreno, si trovava una squadra di dieci uomini della Polizia di Stato, in divisa alcuni, in abiti civili altri. In mezzo a loro, due cerchi concentrici perfetti, del diametro rispettivamente di cinque e tre metri circa, tracciati dalla diversa altezza dell'erba secca in quel punto. Un opera di giardinaggio artistico? La familiare ed inquietante visione di due strani oggetti 16
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verticali, logorati probabilmente da un fuoco di modeste dimensioni, nel centro di queste due misteriose circonferenze, mi portò a pensare il contrario, e mi strinse lo stomaco fino al punto di avere un leggero conato. Poco dopo un corpulento poliziotto in divisa risalì con particolare sforzo il pendio erboso; avvicinandosi a noi curiosi intimò di andarcene, poiché quel luogo era momentaneamente inaccessibile per facilitare il riconoscimento dei resti umani trovati. A chi chiese ulteriore chiarimenti venne risposto che il corpo poteva essere del proprietario del terreno, che probabilmente era stato poco cauto nel dar fuoco a del fieno in eccedenza. Scusa idiota per domande idiote. Il giorno dopo, mentre facevo colazione nel bar della piccola cittadina di mare dove soggiornavo, l'occhio cadde sui titoli di giornale esposti nell'edicola di fronte. Andai subito a procurarmene una copia. Il titolo di prima pagina faceva riferimento all'episodio al quale avevo assistito lungo la statale. La vittima dell'assurdo incidente era tal Carmelo Cicciarella, assessore provinciale dei trasporti, area post-DC. Era veramente il proprietario di quel terreno. Almeno una cosa vera l'avevano detta, i rappresentanti della legge. Il giornale sembrava voler insinuare una teoria i cui elementi erano il presunto coinvolgimento del fu Cicciarella in un losco giro di tangenti elargite dalla malavita organizzata, ed una conseguente rivalsa omicida da parte di essa per qualche favore non rispettato di troppo. Data l'entità delle forze chiamate in causa in questo avvenimento, decisi molto pavidamente di sedare la mia curiosità, per questa volta. Ma la copia del giornale me la dovevo tenere stretta, e così feci. Il ritorno settembrino, con la sua promessa di autunno, portava i pensieri a volgersi nuovamente al passato, e a trascorrere qualche ora di troppo rintanato in casa. Guardavo però fieramente il blister che continuava a giacere sul mio comodino senza che il mio pollice avesse mai scomodato nessuna pastiglia dal suo alloggio. Dovevo andare avanti con le indagini, cercare una forma 18
nella quale incastrare tutti gli elementi. Cosa avevo in mano? Un vecchio demente la cui esistenza è stata rimpianta meno della sua pensione, un giovane tossicodipendente erotomane con una famiglia da Mulino Bianco; e ancora, un ferroviere dietrologo prossimo ad una promozione fantozziana. Ultimo, ma non ultimo per insensatezza, un polituccolo corrotto, morto in mezzo a dei cerchi in un campo dell'arida Sicilia. Questi elementi continuavano ciclicamente ad ossessionarmi come un incubo da indigestione, senza che riuscissi ad immaginare una qualunque strada coerente che li legasse l'uno all'altro, spezzando cosÏ quel loro inutile e fastidioso alternarsi nella mia testa.
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Era l'ultima settimana di settembre che il telefono squillò. Alzai la cornetta: nessuna risposta. Non ero così paranoico da pensare immediatamente che qualcuno stesse incominciando a seguire i miei passi. L'idea che potesse essere Ariadne non era un'ipotesi più felice da accogliere. Ebbi come una spiacevole sensazione, ma cercai di distrarmi. Poi, dopo pochi minuti, ecco suonare di nuovo il telefono. Presi la cornetta: era il proprietario del supermercato, ma non era per suo figlio. Mi diede l'indirizzo di una coppia di coniugi suoi amici, abitanti a Turate. Arrivato all'abitazione, li trovai sull'uscio di casa, pronti a dirigersi altrove. Salirono sulla mia macchina, senza neanche la cortesia di offrirmi un passaggio. Mi portarono nei pressi della Massina, frazione della vicina Cislago. Anche questa volta villa singola, ma di modeste dimensioni. Spazio esterno in ghiaia, nessun cancello a chiudere con decisione la muratura perimetrale. Durante il tragitto mi venne spiegato che loro figlio era stato trovato carbonizzato pochi giorni prima nella sua abitazione, ma non vi era stato alcun incendio. Ricevettero l'indomani stesso una chiamata da parte di un loro vecchio amico, ovvero il malcapitato padre del giovane tossico pervertito, che portava le sue condoglianze. Appena egli sentì le circostanze della morte, consigliò alla disperata coppia di mettersi in contatto con me. Loro lì per lì rifiutarono, ma giusto il tempo di rendersi conto del semplicismo disfattista della versione data dalla polizia riguardo all'accaduto. Il giorno seguente quindi, lo richiamarono e gli chiesero di far sì che la notizia giungesse alle mie orecchie. Il figlio, mi spiegarono, era candidato come consigliere comunale per le prossime amministrative, nella lista locale di Forza Nuova. Dopo anni di militanza politica universitaria tra le fila di Comunione e Liberazione, il giovane aveva deciso che la bontà cristiana non faceva così tanto per lui. E, pur nel nome del Padre, aveva cercato un orientamento, per così dire, più aggressivo. Destava da tempo molta preoccupazione nei genitori il fatto che egli abitasse molto 20
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vicino ad un insediamento rom, ormai storico per la durata della sua permanenza. A detta loro, c'era la possibilità di rappresaglie da parte dei turbolenti nomadi, a causa del punto di forza del programma elettorale della sua lista. Era la proposta o, sarebbe meglio dire, la promessa che in caso di vittoria il campo sarebbe stato sgomberato completamente. Molti dei rom in questione avevano scambi con soggetti raccomandabili e non della vita cittadina, e non dovevano aver gradito particolarmente quella trovata. Mentre facevo mente locale, varcai l'ingresso, senza troppa curiosità per quello che avrei visto. Con gli occhi fissi sulla lancetta della riserva, tornai verso casa. Parcheggiai, e salii le scale che dai garage portavano agli appartamenti. Aprii la porta e mi buttai senza neanche togliermi il giubbotto sul divano. Stavo lì, fissando con sguardo vitreo il televisore, ripetendo nuovamente tutta la lista degli avvenimenti che si erano susseguiti. Quando avevo ricevuto la chiamata per quest'ultima morte, avevo immediatamente pensato che la connessione fosse fra le due diverse vittime. Questo apriva delle prospettive. Invece la cosa era avvenuta nella casualità più agghiacciante; a conoscersi, infatti, erano solo le sventurate coppie di genitori che, a quanto pareva, dovevano essersi perse di vista da parecchio tempo, dato che quest'ultima sfortunata famiglia non aveva mai fatto la conoscenza del rammollito unigenito dell'altra. Quindi, di nuovo da capo. Poi, improvvisamente, qualcosa gocciolò dal soffitto, per cadere pesante sulle lenti dei miei occhiali. Era qualcosa di viscoso; alzai la testa, e quello che vidi mi provocò un tuffo al cuore. Svenni. Ero di nuovo alla guida, sperando con tutto me stesso che la lancetta della riserva non stesse mentendo, almeno non fino al prossimo benzinaio. Cosa stavo facendo? Dove stavo andando? Non lo sapevo, ma veramente non potevo rimanere in casa. La macchia nera sul soffito, che sembrava il viso deforme di un gigante nero bavoso, era simile a tutte le altre cinque che avevo 22
visto negli ultimi mesi. Perchè era lì e chi l'aveva fatta? Era vero grasso umano quello che era colato sui miei occhiali? Sopratutto, non riuscivo assolutamente a capire cosa volesse dire. Qualche felino mi stava seguendo, era chiaro, e non voleva che la caccia al topo continuasse ancora per molto. Questo portava però con sè un'altra conseguenza: non erano tanti singoli avvenimenti, quelli che da marzo impegnavano i miei pensieri: era un solo unico fatto, che forse non era ancora giunto a compimento. Improvvisamente, un dettaglio del quale non ero del tutto sicuro mi impose la sua immediata verifica. Feci benzina e mi diressi nuovamente verso la strada di casa. Suonai il campanello dei miei vicini, ed entrai con permesso chiedendo se avevano avuto notizie della prossima riunione di condominio. Dopo un breve scambio di inutili lamentele sull'aumento delle spese condominiali chiesi, sforzandomi il più possibile di assumere un'espressione compassionevole, del povero defunto. Questi, con un'indifferenza che mi fece pentire del mio impegno empatico, presero a parlare del fatto che ora era molto più difficile tirare avanti per loro, che comunque quella pensione era veramente molto utile e che, poveraccio, il vecchio non aveva mai potuto godersela completamente in solitudine, dato che già pochi mesi prima del suo pensionamento i primi sintomi della demenza avevano già fatto la loro comparsa. Colsi l'occasione al volo per chiedergli che lavoro facesse prima. La risposta che ottenni fu una piacevole conferma a quel vago ricordo emerso nel mezzo del panico cieco. Ancora teso e spaventato, ma soddisfatto, entrai nuovamente in casa mia, con un'inutile confezione di caffè di terza scelta regalatami dai vicini come segno di ospitalità. Cercai il più possibile di non fare caso alla macchia sul soffitto: dovevo restare lucido, e chi l'aveva fatta voleva sicuramente portarmi al cedimento nervoso. Il caffè era una schifezza, ma almeno mi teneva concentrato. 23
Così il vecchio lavorava come operatore alla torre di controllo dell'aeroporto Malpensa. Lo sventurato ferroviere delle nord doveva essere trasferito nel medesimo aeroporto, anche se anni dopo, nella stazione Malpensa Express. Ancora non sapevo bene che senso dare a queste morti pur minimamente collegate, e peggio ancora a quelle dell'assessore siculo, del neofascista di Cislago, e del pessimo cocainomane viziato. Però qualcosa stava iniziando a girare. Decisi di fare una camminata in paese, e fare visita alla mia mancata conquista amorosa. Prima di uscire diedi un occhiata nuovamente a quel dannato blister sopra il comodino. Mi fece paura quasi quanto la visione della macchia poco prima, la reazione che avvertii: ero tentato. Mi voltai in fretta e furia e lasciai alle spalle l'ingresso di casa. Era contenta di vedermi, la bella ragazza a cui ero indifferente; probabilmente sperava in qualche sviluppo inaspettato delle indagini. Invece fui io a porre una domanda, semplice e diretta. Le chiesi se il padre aveva mai accennato qualche perplessità circa il suo trasferimento a Malpensa. A dire il vero riferì che il padre si era parecchio incupito da quando gliel'avevano comunicato. Ma attribuiva il malumore al fatto che in aeroporto lavorava ai check-in la sua ex-moglie; come infatti mi era già stato spiegato nei nostri incontri precedenti, i suoi erano divorziati da parecchio tempo, praticamente da quando lei era bambina. Un rarissimo caso di affidamento al padre, fra l'altro. Gli chiesi se sapeva qualcosa dell'interesse del genitore per le teorie del complotto e simili, come le scie chimiche, per esempio. Mi rispose che lei se ne interessava poco ma che era una fissazione che suo padre coltivava da anni, almeno da quando lei faceva le medie. Ben prima del trasferimento dunque. Mi congedai cordialmente, ed uscii di casa. Era ormai orario di cena, ma ancora non riuscivo a darmi pace. Facendo il giro più lungo per arrivare a casa, passai davanti al supermercato. Restai lì due minuti, come se qualcosa di profondo volesse trattenermi dal tornare. Improvvisamente 24
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mi ricordai che nell'appartamentino del facoltoso pornoamatore c'era un oggetto, lasciato distrattamente sul tavolino in salotto, il quale scopo d'utilizzo era così ovvio, che non mi ci soffermai particolarmente. Ma ora le cose gli conferivano un altro significato. Quando il padrone di casa mi vide al di là del cancelletto in ferro battuto, sembrava non gradire molto la mia visita a sorpresa. In effetti capitavo in un orario un po' inopportuno, ma l'illuminazione non rispetta i tempi del bon ton. Chiesi di ispezionare nuovamente la depandance. Entrando, rimasi subito deluso. Sul tavolino non c'era più nulla. Era logico che a distanza di mesi la madre del ragazzo prendesse il coraggio per rientrare e rimettere un po' in ordine. Rimediare alla trasandatezza di quel luogo doveva essere anche un modo per allontanare, seppur di poco, il ricordo della presenza che lo abitava, o infestava, a seconda dei punti di vista. Allora entrai nella villa, e chiesi dove erano stati messi alcuni degli effetti personali che erano sparpagliati sul tavolino. Uno in particolare mi serviva: una tessera della CUSL, il viscido avamposto di Comunione e Liberazione nella desolante vita universitaria meneghina. Con tutta probabilità il ragazzo la usava per scopi ben poco trascendenti, visti i suoi consumi, ma c'era un elemento in più che mi interessava. La signora di casa scese le scale verso lo scantinato e dopo pochi minuti risalì, con in mano una scatola di legno di vecchi vini, costosi ma non troppo. La aprii e trovai subito quel che mi serviva. Era proprio come mi ricordavo dal rapido colpo d'occhio dato mesi prima: quella tessera recava anche il simbolo delle Ferrovie Nord, nota fonte di finanziamento e sponsor di vari enti cattolici, dalla Compagnia delle Opere all'Università del Sacro Cuore. Chiesi allora ai confusi genitori se il loro ragazzo era mai stato veramente attivo in Comunione e Liberazione. Risposero affermativamente, aggiungendo però che loro erano da sempre contrari a quella scelta. A quel punto avrei voluto tanto sapere cosa pensavano delle altre scelte del figlio, ma probabilmente quelle 26
erano terreni di battaglia dove si sentivano perdenti in partenza. Il perchè della loro avversione per le velleità politiche del figlio era semplice: il padre aveva militato nelle stesse fila ai tempi dei suoi studi di economia, e ne era rimasto profondamente deluso per la distanza che a suo dire vi era dai veri valori cristiani. Il figlio aveva portato a casa una volta il responsabile di riferimento del suo ateneo, e il testardo capo famiglia aveva ingaggiato con quest'ultimo una discussione terminata a male parole. Evidentemente nessuno dei due aveva piÚ guance da porgere. Ringraziai per tutte le informazioni date e mi incamminai definitivamente verso casa. Stavo finalmente mettendo insieme una teoria, per quanto strampalata. Stavo forse impazzendo? No, non era possibile. Ero fin troppo lucido a dir la verità , vista anche la profanazione della mia intimità , avvenuta con il regalino lasciato sul soffitto. Quindi per la prima volta dopo mesi, ci provai.
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Vai con la storiella. CL ha un interesse per le scie chimiche. Un interesse virulento, con cui ambisce ad aumentare la sua già altissima influenza nei piani politici ed economici del paese. In mezzo alle varie trattative con aziende nel settore dei trasporti, ne stabilisce una con la SEA e con la cara compagnia aerea di bandiera, per poter dar appoggio concreto al suo fine. Ma il clima si fa in questo modo pesante. Più enti sono tirati in ballo, più bisogna controllare fastidiose fughe di informazioni. E cosa succede se un tranquillo capostazione dietrologo di paese viene trasferito nella stazione dell'aeroporto nel quale si vorrebbe iniziare un primo esperimento? Bisogna far sì che non possa nuocere. Revocare la sua sconsolante promozione non avrebbe potuto che insospettire un soggetto siffatto, e questo per di più lo avrebbe messo nella condizione di continuare le sue fastidiose ricerche al di fuori del loro controllo. Lasciare che una mente paranoica possa però condizionare gli altri cervelli dormienti suoi colleghi, qualora si fosse deciso di non revocare lo spostamento, era un rischio insensato da assumersi. Del resto un modo per compiere un omicidio, non nel silenzio, ma bensì nella più caotica ed insensata platealità, l'avevano già sperimentato; cavia prescelta per l'esperimento fu un anziano ex-dipendente SEA, indementito a causa del contatto ravvicinato con i primi tentativi di emissione di scie nell'atmosfera. In questo modo si univa l'utile al dilettevole: si cancellavano le future prove che sarebbero state fornite dall'esame istologico post-mortem del vecchio, quando dai suoi tessuti cerebrali i medici avessero dedotto che non si trattava di demenza di Alzheimer, ma di un altro agente esterno misterioso; nello stesso tempo, si metteva alla prova la capacità di quel modus operandi omicida nel depistare le indagini, applicandolo su un soggetto che aveva ben poche attenzioni da parte di chi lo circondava. Verificata l'efficacia pratica della procedura, tanto valeva replicarla per avere una seconda conferma. Un gesto di pura cattiveria fu quello di accanirsi sul corpo di un innocuo imbecille 28
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ricco e viziato, con un padre malmostoso ed uno stile di vita del quale in università non faceva mistero, screditando così la buona immagine che i membri dell'organizzazione si sforzavano di dare. Finite le prove tecniche, fu così che il capostazione del mio paese pagò caro il prezzo della sua curiosità. Poco tempo dopo un politico di mezza tacca dell'assolata provincia di Catania, fece sparire del denaro che gli era stato consegnato; l'assessore doveva fare da tramite per un accordo fra l'organizzazione e la malavita locale. Quest'ultima, in cambio di una cifra che mi viene difficile anche solo immaginare, doveva lasciare libero il campo dei traffici aerei di merce illegale, che controllavano dall'aeroporto del capoluogo. Questo attirava spesso controlli, per lo più fittizzi, delle autorità doganali, che si potevano certo sempre corrompere direttamente ma che, forse più del crimine organizzato, avevano il brutto vizio di cambiare repentinamente gli accordi. Il prezzo del loro silenzio era, oltre a quello contante, alleggerirgli in qualche modo il lavoro. Con una tangente capace di non far rimpiangere il vecchio contratto stipulato in precendeza gli uni con gli altri, l'audace e misericordiosa compagnia cercava di comprare guardie e ladri. Ma il poco previdente democristiano decise bene che era ora di pensare alla sua vecchiaia, e incominciò lentamente ad investire il denaro in diverse proprietà agricole, del tutto inutili a dire il vero, ma da far fruttare con del sano abusivismo edilizio. Peccato che non avesse del tutto capito che non bastava non fare uno sgarro ai suoi vecchi amici, ai quali lui non aveva in realtà proposto nessuna trattativa, per avere le spalle coperte; avrebbe fatto meglio a portare rispetto anche verso quelli nuovi. Mesi dopo un ex-ciellino, convertito al neofascismo in salsa anni '90, decide di iniziare la sua scalata politica. Perchè farlo fuori? Forse uno sgarro troppo grosso del quale non ero al corrente? O forse non era altro che un ultimo e incauto sfizio che si volevano togliere dopo una serie di omicidi che, paradossalmente, nella loro somiglianza e assurdità avevano 30
portato le autoritĂ a disinteressarsi delle indagini, dandole cosĂŹ in pasto ai mitomani e condannando per sempre tutta la vicenda come un affare per dietrologi. Quest'ultimo assassinio aveva il piacevole effetto collaterale di attirarmi fuori di casa ancora piĂš spesso, poter prima o poi lasciare il loro segnale minatorio sul mio soffitto ed infine portarmi ancora piĂš fuori strada. Il tutto aveva un senso, anche se nel mentre mi era venuto sonno e stentavo io stesso a credere ad ogni passaggio.
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Arrivai a casa. La porta era già stata aperta. Trattenni il fiato, entrai con uno scatto e accesi subito l'interruttore. Al centro del salotto, in corrispondenza della macchia, c'era ora sul tappeto un mucchio di cenere, disposta a cerchio. L'intimidazione stava continuando. Cosa fare? Ero solo, non armato, con una storia incredibile da raccontare. A chi potevo rivolgermi? La polizia ha a che fare ogni giorno con mitomani. Ai giornali non viene più dato credito neanche per le previsioni meteo. E non volevo finire in qualche squallido talk show di terza serata, e venire implicitamente preso in giro con l'invito stesso a raccontare la mia storia. Una storia delle più incredibili, per di più; una vera e propria meta-dietrologia. Non potevo raccontarlo ai miei amici nè tantomeno ai miei familiari, e neanche al mio dottore. Avrebbe incominciato a spiegarmi che era colpa della mia testardaggine, tutto pur di non fidarmi di lui e ingoiare le pastiglie di quel maledetto blister. Ma io, quando prendo quella roba, mi estraneo da tutto quello che mi circonda, e rimango solo con lo squallore del mio appartamento vuoto e i due quadri fatti da Ariadne rimasti sulle pareti. E non vado indietro e tanto meno avanti. Ma ora, neanche la sana astinenza che mi ero imposto aveva portato ad un esito positivo. Erano diventate tutte e due realtà a fondo cieco, dovevo solo scegliere il rogo o il lento e asfittico scorrere di giornate spente. Nell'indecisione, mi concessi la libertà di scegliere all'ultimo momento. Guardai bene un'altra volta il salotto del mio monolocale: dov'è che ti nascondi? Chi o cosa sei? Forse era nel bagno. Forse era fuori dalla finestra ed osservava la mia prossima mossa. Decisi di non controllare. Mi avvicinai al letto, con le gambe che tremavano. Presi il blister, era la prima volta che lo toccavo dopo mesi. Con una leggera pressione del pollice spinsi una pillola verso l'esterno. La strinsi nel mio pugno sinistro, e mi avviai verso il divano. Ora ero seduto, proprio con i piedi al centro del mucchio rotondo di cenere, con la testa in corrispondenza della macchia nera sul soffitto. Misi la pillola fra i denti. Vieni qui, vieni a prendermi, pensai. 32
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Emanuele Melissa vive a Mozzate, suona a tempo perso e lavora incostantemente. Nel 2010 ha avviato il progetto EVA DIY per supportare la diffusione della creativitĂ autoprodotta, musicale e non. http://www.myspace.com/evadiy evadiy@myspace.com
Fabio Montagnoli vive sotto le scie chimiche di Malpensa, si occupa di grafica e disegnini. Dal 2007 fa parte de La Froge con la quale si occupa della diffusione dei disegnini nel mondo. http://www.lafroge.org fabiomontagnoli@autistici.org
Attualmente entrambi non hanno mai preso fuoco.
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Appena aperta la porta, l'odore di grigliata cannibale incominciò subito a litigare con le mie narici. La macchia nera era là , sul soffitto, demoniaco Test di Rorschach che si sarebbe continuato a prendere gioco di me nei mesi a venire.
EVA DIY book