Un'asta per la libertà

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introduzione Nel 2004 alcuni Compagni si ritrovano a Cava de Tirreni dove con l’aiuto di Bifo elaborano il progetto “Radio Vostok”. Uno spazio dove confrontarsi e provare a leggere il mondo complesso che li circonda. I numerosi Compagni che l’hanno attraversata sono cresciuti nelle piazze del G8 di Rostok (dove riuscirono a superare la zona rossa), di Genova, negli scontri No Nato di Strasburgo e attraverso i cortei dei “disobbedienti” della Globalizzazione “altra”. Oggi, cresciuti, i nostri Compagni di strada stanno nelle piazze arabe, del sud America, delle realtà europee in lotta e nella rete italiana che da “Libera Bagnoli” ai “NO TAV“ci ha visto tessere la tela di una condivisione dell’altro mondo possibile nel quale noi crediamo. Oggi il “progetto Radio” sta evolvendo perché stiamo pensando a un qualcosa che superi la comunicazione verticale e utilizzando le nuove metodologie informatiche ci renda possibile la trasmissione delle parole e dei pensieri in modo orizzontale. Ma non ci bastava, oltre la fase della ricerca di una comunicazione libera, volevamo, per il rapporto che, come Collettivo, ci lega alla figura di Carlo; portarlo lì dove Lui sarebbe stato: nelle piazze di Bagnoli, sui monti di Susa.

Li, in quelle lotte ove si sta scrivendo una pagina di Nuova Resistenza al potere e dove anche Lui, attraverso la solidarietà militante che abbiamo suscitato, trova il ricordo di chi gli ha voluto e gli vuole bene. “SE IO MUOIO NON PIANGERE PER ME, FAI QUELLO CHE FACCIO IO E CONTINUERÒ VIVENDO IN TE” il collettivo di Radio Vostok Si ringraziano per l’attiva collaborazione: l’avv. Elena Coccia (che tanto ci ha sopportato), Alessia (resistente della Valle), Mario Pagano, Francesca Avella, Lucia Giuliano, Alessandro Senatore, Gaetano Fariello, Francesco Lambiase, Piero “il corniciaio” e i tanti che ci hanno seguito in questa incredibile avventura.


Erri De Luca “Non spegni il sole se gli spari addosso”. Il titolo di questa mostra suggerisce pensieri. Il sole: la più potente forza di natura, impossibile da guardare dritta in faccia. Ai tempi nostri molti industriali fanno fortuna vendendo occhiali da sole, inventando un mercato inesistente prima, per uno strumento destinato a chi non ne avrebbe bisogno. Non servono alla vista, ma a stendere un’ombra su ogni cosa. I più accaniti clienti indossano quelli da sole anche di sera. Nessuna generazione prima della nostra ha riparato gli occhi come una parte intima da tenere coperta. Al contrario dello scopo del burka, che copre ogni centimetro del corpo escluso gli occhi, da noi si va volentieri seminudi ma con gli occhiali scuri sul naso. È il segnale di un atteggiamento nei confronti della realtà : serve uno schermo per poterla sopportare, per attraversarla. La televisione è questo paio di occhiali opacizzati per tenere a bada l’aggressione fisica della realtà. Tele-visione, vista a distanza: risparmia la presa diretta di contatto. Da questa nota si capisce che non adopero occhiali da sole, con la necessaria eccezione dell’alta quota dove non il sole, ma il suo rimbalzo sopra ghiaccio e neve produce accecamento. Carlo Giuliani non indossava occhiali da sole quel giorno di luglio, nella sua Genova allagata di buona umanità. Voleva vederla in faccia e aggiungere la sua. Quando è stato ucciso, calpestato, è rimasto lì per ore sull’asfalto di piazza Alimonda, sorvegliato dalle truppe in divisa e non vegliato dai suoi. Nessuno poteva avvicinarsi al suo corpo scoperto, nessuno ci mise su una giacca, un panno, un lenzuolo.

Non stava “trafitto da un raggio di sole”, niente di poetico sotto quello estivo. Per lui non fu “subito sera”, prima di essere composto sopra un tavolo di marmo. Uscì di casa quella mattina per andare al mare e invece il mare stava già per strada, gridava, traboccava, trascinava da ogni parte, il mare. Uscì di casa, per sempre. Aveva un paio di chiavi in tasca, qualche spicciolo per il caffè. Non aveva occhiali da sole.


bruno bambacaro

L’autore ha un legame strettissimo con la sua terra d’origine in cui affondano le radici della sua sensibilità umana e da cui trae alimento la sua ricerca e ispirazione artistica che si esplicita attraverso una moltiplicità di mezzi espressivi dominati da una sicura tecnica. Arricchito dalle influenze di scuole e correnti, l’artista rimane comunque uno spirito indipendente e la sua pittura intrisa di luce diffusa e dal segno leggero, rimane soggettiva e originale nel tratteggiare, con freschezza e dolente riflessione, la vita di uomini, animali e cose sottratti per un attimo allo scorrere inesorabile del tempo.

82x82 olio su tela

fine di un simposio

Nato a Capaccio nel 1944, vive e lavora a Paestum. Diplomato presso l’Istituto d’Arte di Salerno, frequenta l’Accademia di Napoli sotto la guida di Emilio Greco. Ha lavorato a Milano e Torino e partecipa a numerose mostre collettive. Espone a Parigi nella galleria “Lemouffe”.


LUIGI DE MAGISTRIS

nilo durbiano

Il 20 luglio del 2001 Genova ospitava le contraddizioni del mondo. Gli otto potenti del pianeta terra asserragliati in un palazzo e fuori una grande delegazione dei popoli del mondo a denunciare le drammatiche conseguenza di una globalizzazione non gestita. Non è passato molto tempo che la storia ha già dato ragione ai secondi. In quei giorni Genova era invasa da una moltitudine di soggettività che reclamavano protagonismo. Loro avevano la ricetta per salvare il mondo. Le strade di quella città, di qualunque città, non potevano contenere tanta urgenza. Si doveva mettere in discussione l’ordine mondiale ma questo fu scambiato dal potere come una mera questione di ordine pubblico. A pagare con la vita fu un ragazzo. Avremmo preferito che Carlo Giuliani fosse oggi un precario tra tanti, uno che in questa parte di mondo patisce la globalizzazione con lavori instabili, con l’impossibilità di farsi una casa. Avremmo preferito che Carlo vivesse con i suoi coetanei la drammatica certezza di chi sa che non starà meglio dei propri genitori. Non è stato così. Sulla linea di quella contraddizione Carlo è stato ucciso ed è divenuto suo malgrato il simbolo di una generazione che avrebbe voluto un altro esito rispetto il sordo cinismo della globalizzazione non gestita e di chi l’ha consentita.

Un mondo orizzontale è l’idea che guida le nostre azioni, un mondo senza nord e sud, in fondo tutti siamo a sud di qualcosa. Un mondo che mette gli individui tutti al di sopra della linea orizzontale della dignità. Un mondo per il quale Carlo e tanti altri hanno lottato e continuano a lottare, confrontarsi per far emergere la verità e la giustizia degli Uomini in contrapposizione alle verità del sistema ed alla giustizia dell’economia e della speculazione che ci oscura il futuro. Per questi obiettivi, il Comune di Venaus aderisce, promuove e patrocina “Un’asta per la Libertà” una iniziativa concreta che unisce la Valsusa e la Campania nelle idee, nelle lotte, nella cultura, nella solidarietà e nell’umana fratellanza. Ringrazio gli Artisti per la sensibilità e con stima ed apprezzamento ringrazio la Città di Napoli, l’ANPI di Cava de’ Tirreni, Radio Vostok e i tanti per l’organizzazione dell’evento.

Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris

Il sindaco di Venaus Nilo Durbiano


jan banning

Dopo vari lavori improntati alla fotografia etica, per il 100° anniversario della Rivoluzione russa, l’autore ha deciso di girare il mondo in cerca di circoli comunisti che ancora oggi rifiutano il modello di un mercato e di una società spietatamente liberista. Le foto di questo reportage risultano forti, significative e, a tratti, tenere nel ritrarre persone ancora fedeli ad un ideale di giustizia e di eguaglianza.

20x20 foto

Sede del PRC di cava de’ tirreni

Nato il 4 maggio 1954 ad Almelo, Paesi Bassi. Studia alla Radbond Universitet Nijmegen. Fotolibri: Bureaucratics, Comfort Women, Traces of War, Law and Order. Premi: World Press Photo Award per i ritratti.


carlo catuogno

Successivamente la ricerca dell’autore giunge ad una definitiva astrazione in cui colore e segni dialogano e si integrano. La versatile curiosità dell’artista lo porta poi allo studio della ceramica. Ed è forse, nel territorio, uno dei pochi originali e affascinanti ceramisti astratti. Numerose le sue mostre personali e le partecipazioni collettive e rassegne italiane ed estere.

45x60 tecnica mista su carta

L’aria si rompe e vortica senza trambusto

Nato a Cava de’ Tirreni nel 1953. Diplomato in pittura all’Accademia delle Belle Arti di Frosinone. Dopo un periodo di sperimentazione ispirata ad un oggettualismo povero, passa ad una pittura astratta anche se non staccata del tutto da echi e reminiscenze figurative.


nicoletta dosio La mattina del sabato 21 luglio 2001 dalla valle di Susa erano partiti sei pullman diretti a Genova, per partecipare alla manifestazione contro i potenti della Terra che, protetti da una zona rossa invalicabile, decidevano dei propri profitti e del destino del mondo. In realtà, ne erano previsti quattro, ma altri tre li aggiungemmo nel tardo pomeriggio del venerdì. Era arrivata la notizia di un giovane manifestante assassinato dalle “forze dell’ordine” e il fatto aveva suscitato indignazione, accrescendo il numero dei partecipanti. Il movimento NO TAV era agli albori, ma aveva già conosciuto la violenza poliziesca, quando, pochi mesi prima, sceso a Torino per contestare il primo accordo dei governi italiano e francese sul TAV, si era vista la strada sbarrata da agenti in assetto antisommossa che avevano respinto a suon di manganellate uomini, donne e bambini. Arrivammo nella tarda mattinata in una città blindata: già allo svincolo per Nervi trovammo uno schieramento di mezzi con i cannoncini sparalacrimogeni, e poi divise di tutte le fogge che incombevano minacciosamente sul fiume multicolore di persone e bandiere in marcia verso l’inizio del corteo, a Boccadasse. Di quel giorno ricordo il solleone, l’arsura contro cui nulla potevano le secchiate d’acqua gettate dalle finestre, ma soprattutto quel sentimento che era insieme di lutto e di consapevolezza nuova, di indignazione che diventava bisogno disperato di resistenza e azione. Allora, per la prima volta, avvertimmo il senso di coralità, di appartenenza collettiva che, in un colpo solo, mandava in frantumi gli steccati artificiali ideati dalle questure e divulgati dai giornali di regime, tesi a dividere tra “buoni” e “cattivi” distinti in fasce di

pericolosità, dalla bianca alla nera, passando per la rosa, la rossa e la blu: in quest’ultima era classificato il movimento NO TAV, cioè noi che con le nostre bandiere trenocrociate al vento, inaugurate per l’occasione, sfilavamo lungo la marina, tra palme e alti muri inondati da festoni di capperi e bouganville. Da quell’esperienza si rafforzò in noi l’idea della lotta popolare, secondo la quale da ognuno si riceve secondo le sue possibilità e ad ognuno si dà secondo i suoi bisogni, nella consapevolezza del valore legato alla persona, alla diversità delle storie tendenti ad un identico fine. Vicino a noi sfilava un gruppo con tamburi e perizoma a rappresentare il Sud del mondo derubato ed affamato dal ricco Nord: quando il corteo, proprio prima del nostro spezzone, fu interrotto da una violenta carica della polizia, vedemmo alcuni di loro inseguiti e duramente percossi; eravamo nella zona della Foce e parecchi si buttarono a mare, dove furono raggiunti e ancora picchiati. Ricordo la nube dei lacrimogeni che ci raggiunse lungo il carruggio dove avevamo cercato riparo, una fitta nebbia in cui si intravedevano le sagome di armati in assetto antisommossa, ma soprattutto si sentiva il battito cadenzato, inquietante dei manganelli sugli scudi. Ci salvammo per caso, ignari che quella scena- l’assalto poliziesco, i fumi velenosi di CS, il senso di soffocamento, lo stomaco sottosopra e le ginocchia che non ti reggono più- sarebbe diventata usuale qualche anno dopo, in Valle, contro il popolo NO TAV e la sua resistenza, sull’autostrada, ai presidi, nei boschi della Clarea. Quel giorno imparammo ad amare il nome di Carlo, un nome che da allora ci accompagna, come la sua immagine tracciata


da una mano adolescente sui muri di quella che fu la libera Repubblica della Maddalena e che ora è diventata un cantiere di morte e di devastazione. Carlo assassinato dal potere invidioso e vendicativo che vede nei ragazzi come lui l’antidoto al proprio dominio, l’alba del mondo nuovo. Carlo che ci ha lasciato Haidi, la sua dolce, coraggiosa madre, diventata per tutti noi madre e sorella, e ci ha fatto incontrare suo padre Giuliano, combattivo custode di una verità documentaria portata nei tribunali e divulgata, nonostante lo strazio delle immagini mille volte riviste. Carlo sarebbe stato certamente con noi nella lotta ormai trentennale contro quella che non è solo una grande mala opera, portatrice di disastri ambientali, sociali, economici, ma il paradigma di un mondo fatto di sfruttamento, dove non c’è posto per la solidarietà, la giustizia che non sia arbitrio del più forte, il diritto ad un futuro vivibile per tutti. “Non spegni il sole se gli spari addosso”. Carlo non tornerà alla sua casa tra gli alberi, sulle colline di Genova, piena di affetti e di ricordi; il suo vespino lo aspetta invano al cancello. Ma il ricordo di Carlo non muore, ci dà calore, ci parla di futuro ed egli avrà - come dice il poeta - “ onore di pianti,... finché il sole risplenderà sulle sciagure umane”.


le cose cambiano

Giorgio ciccarelli Nato a Milano il 23 marzo del 1967 è un musicista, cantante e compositore italiano, un tempo chitarrista degli Afterhours e fondatore dei Sux. Considerato fra i più originali autori in ambito rock italiano, con il gruppo dei Sux ha pubblicato quattro album. Con gli Afterhours ha pubblicato vari album (Siam tre piccoli porcellin, I milanesi ammazzano il sabato e Hai paura del buio?). Con i Fluxus ha realizzato l’album “Esplodere nel sonno”.Con i Color Moves ha pubblicato il doppio album “A loose End”.

Nel 2015 viene pubblicato l’album “Le cose cambiano” insieme all’amico Tito Faraci. Il lavoro è qualcosa di più di un disco. Ogni brano infatti è stato consegnato a un artista visivo che lo ha tradotto in immagine. Fra i disegnatori coinvolti: Bacilieri, Baronciani, Brindisi, Calia, Cavazzano, Corradi, Palumbo, Sciarrone, Sio, Tanara, Tuono Pettinato, Ziche e Castaldi. L’opera centra così pienamente l’obiettivo della transmedialità.


rosa cuccurullo

36x36 tecnica maiolica e murrine

paesaggio

Dopo gli esordi con sculture di matrice figurativa, passa poi alla pittura di impostazione neo-informale. le sue opere pittoriche recenti sono caratterizzate da superfici monocrome di taglio minimale. In ceramica l’artista sperimenta interventi cromatici e vortici in una materia, a torto considerata “non nobile” e “decorativa”, ma che diventa campo di sperimentazione, dove l’energia cerebrale si sposa a quella manuale, e i piatti “decontestualizzati” diventano spazio metafisico in cui frammenti di pasta vitrea galleggiano come frammenti di un racconto dove ogni lettura codificata è vanificata e persa per sempre, lasciando spazio alle emozioni e al mistero.

Nata a Cava de’ Tirreni nel 1961, vive a Fisciano. Lavora fra Cava de’ Tirreni e Salerno. Dopo la maturità artistica studia scultura con il maestro Perez presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli. Attualmente lavora presso il d.s.m. dell’ASL di Salerno. Ha diretto la “Galleria Cobbler – spazio per l’arte contemporanea” a Cava de’ Tirreni. Organizzatrice e curatrice di eventi, gallerista e sostenitrice di giovani leve.


Manuel De Carli

L’autore, sensibile a temi sociali e di cronaca, ha realizzato vignette per un sito che appoggia lotte di operai licenziati, cassintegrati o in mobilità. Di coloro cioè che sono “gli invisibili” della nostra società e, oseremmo dire, gli “impresentabili” per quelli che vivono nell’opulenza e di sfruttamento. L’autore, grazie al fumetto, porta alla luce e divulga fatti e personaggi che altrimenti rimarrebbero sconosciuti o quantomeno censurati e mistificati. Ad una prima (superficiale) impressione il segno dell’artista sembrerebbe edulcorare i fatti che narra ma, a ben guardare, è la nostra quotidianità che a volte è grigia, a mezzi toni e mediocre; eppure basta un particolare, un colore, un accenno a riportarci nella cruda e spietata realtà e chiederci di prendere posizione.

33x24 tecnica mista

Senza titolo

Nato a Trento nel 1970. Dal 1996 collabora con autoproduzioni e fanzine. Nel 2007 esce “Intimo Cucito” per il Centro fumetto Andrea Pazienza di Cremona. Per Becco Giallo ha disegnato “Thyssen Krupp Morti Speciali S.P.A.” e “Carlo Giuliani il ribelle di Genova”.


Italo Di SAbato In Italia, dal vertice del G8 di Genova nel luglio del 2001 ad oggi, come Osservatorio sulla repressione abbiamo censito più di 20 mila indagati per reati che hanno origine in situazioni di lotta. Tutte le lotte sociali sono state ridotte a mera questione di ordine pubblico: numerosi sono i casi in cui la magistratura ha cercato di trasformare le lotte politiche in azioni puramente delinquenziali. La dimensione del fenomeno e la qualità delle imputazioni mosse indica la volontà di taluni apparati dello Stato e della stessa Magistratura di procedere ad una vera e propria criminalizzazione di istanze che dovrebbero trovare ben altre sedi e modalità di risposta. Condanne, penalizzazione e carcerizzazione ad attivisti colpevoli di lotte sociali, a cui viene impedito il già aspro percorso lavorativo, con applicazione di misure dettate da una logica strisciante, anche negli apparati statali, di “stato di eccezione”, di “stato penale”. Ad esempio, in Val Susa, con la costruzione della Tav, e tutte le zone di insediamento di discariche, inceneritori, grandi impianti sono diventate “zone rosse” (a controllo e disciplina militare); e il diritto di resistenza, anche il più aspro, contro la militarizzazione è dentro i principi della legalità internazionale. Le fabbriche in lotta sono militarmente presidiate. Le lotte per il diritto all’abitare diventano associazioni sovversive. Complessivamente, quindi, registriamo in questi anni un uso sempre più ampio dei reati associativi contro chi lotta. Uno stillicidio di provvedimenti restrittivi delle libertà personali, applicati, anche senza processo, contro i militanti. Dai provvedimenti più classici quali l’obbligo di residenza,

il confino, l’obbligo di firma, la sorveglianza speciale; ad altri meno noti come il divieto di partecipare a riunioni, manifestazioni e via dicendo. In complesso, tantissime azioni, spesso di piccolo calibro, poco visibili, e che il più delle volte non si conoscono nemmeno, al di fuori delle realtà locali che le subiscono. Se si vuole tornare a far respirare la società bisogna allargare il più possibile le maglie che la contengono. Non c’è critica dell’attuale società liberista che possa aver successo senza una contemporanea rimessa in discussione dell’apparato penale che la sostiene. Riassorbire la legislazione d’emergenza nella quale si annidano le tipologie di reato più insidiose, ma ancor l’azione che ispira la magistratura, ovvero l’idea che la materia sociale, l’azione collettiva, sia una questione di ordine pubblico se non di chiara eversione. Per farlo bisogna scardinare l’impalcatura giustizialista costruita negli ultimi decenni. Il punto è proprio qui, per questo penso necessario costruire una campagna europea per la depenalizzazione dei “reati sociali” e la libertà di movimento. Una mobilitazione per fare delle scelte e non mettere dei tratti di penna più o meno a caso. Deve, in particolare, cancellare oggi i reati anacronistici o meno gravi commessi in passato nell’attesa (operosa) che, in futuro, gli stessi siano abrogati o riscritti. Solo così, possiamo costruire insieme, un provvedimento socialmente accettato e l’anticipazione di un sistema penale diverso (e non una semplice, ancorché preziosa, aspirina per diminuire temporaneamente la sofferenza di un carcere che scoppia). So bene che, oggi, proporre una campagna politica che cozza fortemente con il concetto di “legalità”


significa andare incontro a scomuniche e veti bipartisan. Ma parlarne significa aprire, finalmente, un dibattito sul diritto penale che vogliamo, sulle regole della nostra convivenza, sulle modalitĂ di gestione del conflitto sociale, un dibattito pubblico europeo per rivendicare la libertĂ di movimento, il diritto di resistenza, la depenalizzazione dei reati politici e sociali.


Gianpaolo Lambiase Architetto salernitano, sensibile alle tematiche ambientali, impegnato in attività politico-sociali, designer, creatore di immagini artistiche. Ha esposto le sue opere in varie mostre nazionali e internazionali.

28x23 tecnica mista

Senza titolo

Lontano da ogni conformismo, è spinto dalla necessità di staccarsi da un mondo a senso unico (uni-verso) e approdare ad un mondo di-verso e poli-verso. È influenzato dal repertorio iconografico delle avanguardie storiche e movimenti artistici del Novecento. La sua calligrafica pittura allude, ci sembra, ad un’aspirazione eterna dell’uomo: la ricerca di un mondo migliore. C’è l’abbandono di una grigia ed esangue catasta di vecchiume, per aspirare, anche attraverso dolorose esplosioni, all’approdo su nuovi, luminosi, colorati e più giusti (?) mondi.


Pietro Lista

Pure attraversando varie esperienze dall’informale al concettuale, dal figurativo all’espressionismo e subendo l’influenza di Fontana, Bacon, Morandi, l’originalità dell’artista si può individuare in alcuni aspetti. Il primo è l’intellettualismo, cioè il pensiero che guida la sua pratica pittorica. Il secondo aspetto è la presenza costante di un “prosciugamento” dell’immagine, della figura che si presenta incompleta, martoriata e a volte ridotta a silhouette o a icona del potere chiassosamente irritante. Il magma tumultuoso dei suoi segni e delle sue cromìe sembra acquietarsi nelle grandi tele dei suoi cieli notturni fino al nero pastoso delle sue morandiane. Tutto è calma e voluttà non gratuitamente date ma frutto di un percorso lungo attraverso i cunicoli incandescenti dell’esistenza e dell’arte.

80x60 tecnica mista su carta

senza titolo

Nato a Castiglione del Lago il 12 Luglio 1941. Studia all’Accademia delle Belle Arti di Napoli con i maestri Emilio Notte, Giovanni Brancaccio, Vincenzo Ciardo, Mauro Colucci. È attualmente fra i più importanti artisti del salernitano. È presente in collezioni di varie nazioni del mondo dalla Finlandia agli Stati Uniti.


Emanuela Lodato Nata ad Agropoli il 25 gennaio 1998. Diplomata presso il liceo Artistico “A. Sabatini - Menna” di Salerno, frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Napoli. Vive e lavora a Cava de’ Tirreni.

35x50 tecnica mista su carta

Senza titolo

Giovane esordiente che affronta direttamente e “frontalmente” i temi dell’esistenza. A prima vista la sua pittura sembrerebbe realistica, in realtà la questione è un po’ diversa. Nelle sue tele le figure, le proporzioni, i colori, le prospettive, i piani sono tutti riconoscibili e “leggibili”. C’è vita, armonia, fiducia. Ma la terra infuocata, riarsa, desertica e i cieli che dalle armoniose cromìe virano verso il nero offuscando la luce, ci instillano un’inquietudine spiazzante che mina ogni certezza e serenità.


Eduardo sorge “Si può trattare della Val di Susa e della TAV come di Bagnoli e dell’Italsider, di Taranto e dell’ILVA, come di Teramo e del 15 ottobre; si può trattare dell’Aquila e del processo alla commissione Grandi Rischi come di Ferguson negli Stati Uniti e della Polizia violenta, di Casale Monferrato e la strage dell’eternit, come di Bussi e del vergognoso sversamento impunito, ma una cosa emerge chiara, la Giustizia non è uguale per tutti, è una questione di classe.” Dobbiamo costruire un ponte vero dalla Val di Susa a Bagnoli per unire le lotte e tracciare l’alternativa politica e sociale al sistema del capitale che produce solo precarietà e rapina ambientale.


Antonietta MAzzini Nata a Varese, dopo un soggiorno a Roma di 7 anni si trasferisce a Salerno dove vive ed opera. Ha frequentato per 2 anni il liceo Artistico, si diploma all’Istituto Magistrale Statale. Si dedica all’acquarello e alla pittura ad olio.

70x50 olio su tela

Senza titolo

Una delle tematiche presente nelle sue opere è il dolore. La sofferenza di uomini che gridano la propria afflizione senza farsi sentire, che piangono i loro dolori, senza farsi vedere. Il pudore avvolge questi sofferenti. La luce sembra quasi venir meno nelle tele dell’artista. Le pennellate che attorniano le figure anche se sembrano alludere ad una solidarietà avvolgente, si appalesano come grate, prigione, chiodi, spine, tagli che aumentano anziché alleviare il dolore.


Vito Mercurio

Nella pittura dell’artista (musico e pittore insieme) vi sono dei punti ben saldi: l’eredità degli antichi e l’originalità dell’esecuzione. Forme, figure, colori alludono indubbiamente ai grandi del passato, remoto e recente. Ma il risultato, pur nell’armonia e nella riconoscibilità figurativa, è influenzato fortemente dall’urgenza del presente, dai fatti, dagli uomini, dal paesaggio. Tutto nelle opere del maestro intriga, attira e la lettura apparentemente semplice richiede invece conoscenza e sforzo interpretativo.

90x133 tecnica mista

mASANIELLO e la rivolta napoletana

Nato a Eboli. È musicista, compositore, pittore, diplomato in violino presso il conservatorio S.Pietro a Majella di Napoli, intraprende successivamente gli studi di composizione.


Luca Pastore

30x30 tecnica mista

genova 2001

A tutta prima le sue sculture sembrano il prodotto di una mano naïve; colori squillanti, anatomie distorte, gestualità eccessive. Invece si scorge un lavorìo che colloca la sua opera nell’ambito di un iperrealismo espressionista che utilizza oggetti tali e quali accompagnati all’esasperazione dei colori e alla interpretazione deformante delle anatomie.

Nato a Nocera Inferiore il 9 novembre 1985. Vive e lavora a Cava de’ Tirreni. Diplomato al liceo scientifico “A. Genoino” e laureando in scienze politiche all’università di Fisciano. Ha tutto l’entusiasmo e la determinazione dell’autodidatta che lo porta ad ingaggiare sfide impegnative. Si dedica da tempo alla scultura con vari materiali; il suo interesse è attirato principalmente da problematiche di forte impatto politico-sociale. Arte “impegnata” dunque.


Pino Cantillo Non c’è alcun bisogno della Lione-Torino: è un dato ormai acquisito dagli studi relativi al traffico delle merci e dei passeggeri. La linea che passa per il Frejus è ben lontana dalla saturazione. Ma anche se ci fosse bisogno, il tracciato avrebbe un impatto ambientale insopportabile per la Val di Susa e un costo enorme, irrazionale nel bilancio già deficitario del nostro paese. Ma poi c’è una questione politica essenziale che attiene ai fondamenti della vita civile in generale e alla democrazia in particolare: il rispetto della volontà delle popolazioni che abitano in quel territorio, la cui vita sarebbe sconvolta da quell’opera. Uno Stato che si ostina a contrastare la volontà dei cittadini è un redivivo Leviatano contro cui è giusto, è sacrosanto battersi per difendere la libertà ed il diritto ad una vita buona, che non possono essere sacrificati al mercato (ammesso che l’opera porterebbe dei risultati sul piano economico). La vicenda della TAV in Val di Susa dimostra da parte delle istituzioni una inaccettabile e irresponsabile indifferenza verso le reali esigenze della vita quotidiana delle persone che abitano un comune o una frazione o un quartiere o un’intera città, un disprezzo verso i loro diritti elementari alla salute e alla libertà di decidere il proprio futuro. Questa mancanza di considerazione e di rispetto dei reali interessi e della volontà dei cittadini di un territorio è quel che unisce la questione della Val di Susa, in Piemonte, a quella, ancora più annosa, di Bagnoli, quartiere di Napoli, in Campania.

Qui si tratta di porre riparo al disastro ambientale provocato dall’acciaieria (ILVA) di Bagnoli dismessa ormai da decenni. Una bonifica del territorio come premessa della sua riqualificazione: bonifica non completata e riqualificazione in alto mare. Si sono succedute società appositamente create per la bonifica e lo sviluppo dell’area, da ultimo si è assistito al fallimento della società “Bagnoli Futura”. Qual era e qual è l’interesse dei cittadini, degli abitanti di Bagnoli, ma più in generale di Napoli? La bonifica dell’area ed il ripristino e la balnearità del mare, la creazione di zone verdi, di parchi attrezzati e di tutto quanto potrebbe migliorare la vita di quel quartiere. In effetti c’è fin dal 1994 un progetto urbanistico (“Napoli 2000”) presentato da Avezio De Lucia assessore della prima giunta Bassolino, che prevede “al posto delle ciminiere una riviera di città turistica, bella forse più di Via Caracciolo, nell’incantevole scenario tra Nisida e il litorale Flegreo”, con un grande parco, con la spiaggia restituita alla balneabilità, e verso l’interno a ridosso della riviera, attrezzature alberghiere e turistiche, un Centro congressi, un polo scientifico-tecnologico. Un piano che a me pare ancora oggi eccellente. e non che sono intervenute successivamente modifiche, ampliamenti, distorsioni; soprattutto quel che è stato realizzato è andato in una direzione opposta, invadendo con strutture edilizie proprio la riviera. Ed il ritardo nella rimozione della colmata fa pensare che si vogliano ancora


una volta promuovere responsabilmente le costruzioni. Ancora più complicata la situazione si presenta dopo l’approvazione del Decreto Sblocca Italia che l’ha portato sulla vicenda di Bagnoli ad un aspro conflitto tra il Governo (con la nomina del Commissario) e il Comune di Napoli (che difende le proprie competenze); ancora una volta quel che viene ignorato è l’interesse dei cittadini, il loro desiderio di riappropriarsi del mare, della spiaggia, del paesaggio, di avere un parco, un’area libera dove poter respirare. Un altro caso di stravolgimento del paesaggio e di mancato rispetto delle normative che merita di essere segnalato è costituito dalla costruzione (tutt’ora in corso) a Salerno sull’arenile di Santa Teresa, a ridosso del Porto e in stridente contrasto con la bella stazione marittima disegnata da Zaha Hadid, di un complesso edilizio mastodontico, il c.d. Crescent e dell’antistante desertica Piazza Libertà. Anche qui le istituzioni hanno fatto prevalere sul bene comune gli interessi imprenditoriali con la solita cementificazione.


Antonio Petti

50x35 inchiostro e tempera su carta

pinocchio, 1981

Dopo una ricerca grafica attorno a strutture astratte, l’artista passa alla fase figurativa. Non ha paura del foglio bianco in agguato, ma vi si tuffa ancora oggi con la gioia e la temerarietà di un ragazzo. Il desiderio di libertà e l’adesione agli eventi dell’esistenza lo portano ad illustrare il ribellismo primitivo di Masaniello e la innocente ribellione di Pinocchio. Nel tempo il suo tratto è diventato via via più aereo e morbido. L’artista esalta l’aspetto giocoso dell’arte e non ostante ciò il pennino che incide, segna, rende “seri” anche i momenti ludici.

Nato a Napoli il 18 giugno 1936, iscritto al liceo Classico Garibaldi lascia la scuola per desiderio di libertà e si impegna anima e corpo nella vita politica. Diplomato al liceo Artistico di Napoli, insegna in alcuni istituti del salernitano. Numerose le sue mostre personali e collettive. Ha illustrato vari libri e ha curato scene e allestimenti per numerosi spettacoli.


Maurizio Rega Nato a Cava de’ Tirreni dove vive ed opera. Ha tenuto diverse mostre personali e ha partecipato a varie collettive nazionali.

50x70 olio su tela

paesaggio

Nell’opera di Rega è esplosivo e totalizzante il colore. Il paesaggio e la natura trovano nelle sue tele piena cittadinanza, rara la presenza dell’uomo. I toni, le luci, le cromìe delle sue opere risentono dell’influenza dei grandi poeti dell’impressionismo. Le montagne, le case, gli alberi tutto ci affascina e ci attira. Tutto è festa, gioia, vita. Eppure avvertiamo nell’osservare le sue tele così solari e appaganti, un senso di inquietudine, di malinconia: è la nostalgia struggente di un Eden perduto.


Federico Sanguineti

la mia maglia di genova

Sensibile al mondo dell’arte ha realizzato per questa mostra un originale ready-made alla Duchamp. Utilizzando una T-SHIRT è intervenuto promuovendola da oggetto industriale a dignità di oggetto d’arte. L’intervento consiste in una firma, in una data e in un cuoricino stilizzato sul retro in basso. Abbiamo detto t-shirt, in realtà il termine maglietta ci sembra più pregnante. Rimanda alla composizione delle maglie medievali che si indossavano prima dell’armatura come protezione ulteriore della propria incolumità. Una maglietta feticcio dunque che allude alla dura lotta quotidiana per l’esistenza e alla dolce tenerezza che subentra dopo una vittoria.

Professore ordinario di Filologia Italiana all’Università di Salerno. Le sue opere principali: Gramsci e Machiavelli; L’edizione critica de “La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859” di Alessandro Manzoni; Introduzione e note alle Poesie di Lorenzo De’ Medici; Edizione critica di Dantis Alagherii Comedia.


baba sissoko nicodemo feat

Lilies on Mars

djelibit

Il progetto musicale “Djelibit”, che unisce Baba Sissoko e Nicodemo con la collaborazione delle Lilies On Mars, è qualcosa di insolito e coinvolgente: l’incontro fra la cultura africana e quella europea, passando dal Mediterraneo, luogo ormai famoso solo per le “tragedie del mare”. Baba Sissoko polistrumentista Maliano mescola jazz, tradizioni africane ed elettronica dando vita ad un mix che è luogo di incontro, di unione e di speranza, un luogo dove le barriere non hanno più senso.


Salvatore Tulino Nato a Napoli il 26 ottobre 1949. Vive a Cava de’ Tirreni. Dopo la maturità classica si laurea in materie letterarie all’università Federico II di Napoli. Ha insegnato in vari licei.

35x70 china e acquarello su carta

l’acchiappa sogni

“Voyer” dell’arte per autodefinizione, è un autodidatta. Privilegia fra le tecniche pittoriche l’incisione e il disegno a china. Osservatore degli eventi esistenziali, partendo da spunti reali, li trasforma in rappresentazioni oniriche venate di ironia sottile, a tratti cruda e disincantata.


alfonso vitale Nato a Cava de’ Tirreni il 20 novembre 1950. Dopo la maturità presso il liceo Artistico di Salerno, consegue il diploma superiore all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, sotto la guida del maestro Domenico Spinosa. Dal 1974 è docente di discipline pittoriche.

38x67 tecnica mista su carta

PAeSAggio

Dopo un inizio nell’ambito concettuale è poi pervenuto all’ astratto concretismo. Ciò che caratterizza le sue opere è una continua sperimentazione con la coerenza di uno stile personale a metà fra informale e figurativo. Come un funambolo riesce a mantenersi in equilibrio fra un informale che non diventa mai gesto istintivo o, peggio, ripetitivo e un figurativo che evita le secche di una stucchevole riproduzioni del reale.


pasquale vitiello

16,2x10,8 punto secca su lastra di zinco

autoritratto 1955

Non si attarda in una pittura del “colore locale” ma aspira ad una pittura che valichi i confini del localismo. Dopo una fase di mobilitazione del quotidiano, dell’umile, la sua tavolozza si schiarisce e si avvicina ad una certa suggestione astrattista pur rimanendo nel figurativo: Infatti nel groviglio di forme e colori è indubbio un riferimento a oggetti reali. Intriganti le sue chine e morbidamente espressioniste le sue incisioni. Lunghissimo l’elenco delle partecipazioni a mostre personali e collettive. Ad un rapido sguardo delle sue opere appare nitida l’impressione di essere in presenza di un “grande” del ‘900 che può essere accostato senza timore ad un Carrà, un Morlotti, un Morandi, un Maccari.

Torre Annunziata 30 agosto 1912. Torre Annunziata 20 novembre 1962. A 11 anni, a metà anno scolastico, già preannunciando la sua futura individuale autonomia e originalità pittorica, lascia la scuola complementare per dedicarsi alla pittura. Nel 1933 frequenta la Scuola di Decorazione dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli, sotto la guida di Emilio Notte. Coltiva l’affresco, l’olio, l’acquarello, l’incisione, la scultura.


Giuliano Giuliani Mi sembra del tutto condivisibile il duro giudizio espresso dal presidente della Associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo su gran parte dei politici: continuano a rubare ma non si vergognano più. Sulla base delle tristi esperienze che mi hanno offerto le decisioni di quanti si sono occupati dell’omicidio di Carlo posso dire che anche i magistrati, ovviamente senza alcuna generalizzazione, rubano e non se ne vergognano: rubano verità. E si tratta di comportamenti che ledono l’autorevolezza e la credibilità della Magistratura e che proprio per questa ragione dovrebbero essere oggetto di attenzioni e provvedimenti. Il pubblico ministero Silvio Franz, incaricato delle indagini sull’omicidio, ha avallato con evidente soddisfazione l’incredibile imbroglio proposto dai consulenti da lui nominati e ritenuti “di assoluto valore tecnico” (Carlo Torre in primis); imbroglio consistente nella incredibile ricostruzione di un proiettile sparato verso l’alto, deviato da un calcinaccio che volava verso la jeep e finito nello zigomo sinistro di Carlo. Pura e squallida invenzione, come è dimostrato dal filmato e dalle fotografie che ripresero la tragica scena: quando spara, la pistola è perfettamente orizzontale e parallela al suolo (lo sostenne anche il medico incaricato dell’autopsia, non per altro giudicata da Franz poco chiara!). E il calcinaccio, che appare integro in un fotogramma, nel successivo (cioè un venticinquesimo di secondo dopo) si frantuma contro il defender, poco sopra l’oblò del portellone posteriore e in corrispondenza della seconda I della scritta carabinieri (ammaccatura peraltro puntualmente

registrata con il numero 26 nell’analisi condotta dagli stessi carabinieri!). Nessuna analisi invece sulla tempistica, che è decisiva per ricostruire con esattezza gli avvenimenti, e sui fatti reali, che è possibile accertare grazie alla quantità di documentazione depositata. Ovviamente l’imbroglio dello sparo per aria ha rafforzato la decisione di richiedere l’archiviazione: se ha sparato per aria chi ha sparato non voleva uccidere. Ripropongo qui alcuni dati significativi che riproducono i fatti per come si sono svolti e non per come sono stati inventati e manipolati dagli ufficiali dei carabinieri che comandavano il reparto e dagli indecorosi consulenti del pubblico ministero. Occorre ricordare che via Tolemaide è la strada resa famosa dagli assalti che un altro contingente di carabinieri ha condotto contro il corteo autorizzato delle tute bianche. Assalto violento e ingiustificato, come ha scritto la Corte di Cassazione nel processo contro venticinque manifestanti accusati di devastazione e saccheggio, molti dei quali sono stati infine assolti o condannati a pene minime cadute in prescrizione proprio perché le loro azioni sono state considerate una resistenza alle violenze dei carabinieri. Quell’assalto costituì la prima azione condotta contro i manifestanti senza alcuna ragione ed è la causa prima dei successivi disordini e degli avvenimenti che conducono all’omicidio di Carlo. Una compagnia di carabinieri presente in piazza Alimonda da più di mezz’ora improvvisamente si rimette in assetto antisommossa e compie un aggiramento dell’aiuola centrale della piazza, per andarsi a infilare in quel tratto di via (via Caffa) che congiunge la piazza con via Tolemaide.


La ragione, sostengono gli ufficiali e il vicequestore che accompagna il reparto, è l’atteggiamento violento di un immenso gruppo di manifestanti, cioè una squallida panzana: all’incrocio di via Caffa con via Tolemaide ci sono una quindicina di manifestanti che, visto l’atteggiamento intimidatorio dei carabinieri che si sono rimessi in tenuta antisommossa, cercano di proteggersi con una cosiddetta barricata costituita da una campana per il vetro, un cassonetto dell’immondizia e qualche carrello da supermercato. Come è mostrato in diversi filmati, alcuni dei quali attribuiti alla Polizia di Stato, la permanenza della compagnia di carabinieri in quel tratto di via Caffa dura circa un minuto. Non vi è nessuno scontro diretto con quello sparuto gruppo di manifestanti, come invece sostengono gli ufficiali che comandano il reparto. Quei ragazzi cercano soltanto di difendersi lanciando qualche sasso, compiendo cioè un’azione di resistenza, come ha dichiarato la Cassazione. Il lancio di sassi è invece imitato impropriamente dal vicequestore Adriano Lauro, che accompagna il contingente, e che ne lancia almeno due a sua volta. La fuga verso la piazza è precipitosa, insieme alle due jeep che procedono in retromarcia, quasi un invito ai manifestanti esasperati a inseguire il contingente. Si configura come una vera e propria trappola: fu quella grande persona che è stato don Andrea Gallo a considerarla tale la sera stessa, dicendo in tv che “quella di Alimonda è stata un’imboscata”! Dal momento in cui l’ultima fila del contingente di carabinieri abbandona l’angolo di via Caffa al momento del primo sparo trascorrono 34 secondi, come si evince da un filmato della Polizia;

una parte di quei secondi è impiegata dal contingente per attraversare la piazza. Ne restano troppo pochi per considerare l’attacco alla jeep come un’azione infernale! E poi, a una ventina di metri dalla jeep, che si ostacola con l’altra e si arresta davanti a un cassonetto rovesciato da tempo in mezzo alla strada (non lo spinge via perché dietro il cassonetto c’è un carabiniere che spruzza liquido urticante non si sa bene a chi!), c’è l’intero contingente fuggito, che si guarda bene dall’intervenire a difesa dei mezzi. Dalle parti della jeep a bordo della quale si trova lo sparatore, con distanze variabili dai quattro ai dieci metri, arrivano una quindicina di manifestanti, uno dei quali, con casco giallo, raccoglie da terra un estintore, portato in piazza da un carabiniere, e lo lancia verso il lunotto posteriore della jeep. L’estintore viene fermato dallo scarpone sporgente dal lunotto, ricade sulla gomma di scorta e rotola a quattro metri di distanza, senza aver prodotto nessun danno agli occupanti. Carlo, arrivato verso la parte destra della jeep, vede la pistola impugnata. Vede l’estintore per terra, lo raccoglie e cerca di lanciarlo per disarmare chi minaccia di sparare e di uccidere. Il tempo che intercorre tra il lancio dell’estintore da parte del manifestante con casco giallo che si trova sul lato sinistro della jeep e lo sparo è di otto secondi! La gip Elena Daloiso accoglie la richiesta del pm e il 5 maggio 2003 decide l’archiviazione. Niente processo, quindi. La gip ha la sua convinzione, le è bastato attingere certezze da una testimonianza anonima (anonima?!) riconducibile a un fantomatico sito anarchico francese. La frase più disgustosa e indecorosa dell’ordinanza è questa:


“… quello stesso estintore che alcuni secondi dopo Carlo Giuliani raccoglierà da terra alzandolo sopra la testa per scagliarlo nuovamente all’interno della camionetta, come qualcun altro, se non addirittura lui stesso, aveva poco prima tentato di fare…” Continuo a domandarmi se un magistrato può permettersi di produrre accanimento nei confronti di chi, in ogni caso, è una vittima. Quanto all’archiviazione mi pare persino ovvio registrare che, nel 2003 (e poi ancora per diversi anni, fino a quando l’impegno di magistrati rigorosi e responsabili riuscirà ad ottenere verità e giustizia), la convinzione diffusa nelle alte sfere dei poteri era che alla Diaz si fosse svolta una perquisizione legittima e che a Bolzaneto tutto si fosse svolto secondo le regole. Avendo come unico obiettivo l’affermazione di una verità giudiziaria e non essendoci altre strade, nel 2013 abbiamo indetto una causa civile. A pochi giorni dalla data stabilita per la sentenza il giudice Roberto Bonino, che pure in oltre un anno aveva raccolto tutta la documentazione, si è scambiato di ruolo con la collega Daniela Canepa. Traduco: non ha voluto assumersi la responsabilità di decidere, una evidente dimostrazione di vigliaccheria. Ovviamente la collega è andata oltre. Dopo meno di tre mesi (tempo assolutamente irrisorio per assumere contezza della documentazione) ha emesso la “sua” sentenza di rigetto. Come? Con un’ordinanza che in gran parte è il copia e incolla della sentenza di archiviazione della Daloiso. Naturalmente la Canepa non ha voluto perdere la nobile occasione di ricopiare anche quella frase oscena sui possibili lanci di estintore. Una vera vergogna. Ma non basta.

Nella causa civile abbiamo segnalato che, quando Carlo è steso moribondo sulla piazza, circondato da robusti cordoni di carabinieri e poliziotti, avviene un fatto esecrando e disgustoso. In una fotografia appare un sasso distante un paio di metri dal corpo di Carlo; in una fotografia successiva quel sasso, sporco di sangue, è vicino alla testa di Carlo. In questa foto c’è un carabiniere accovacciato vicino al corpo e, in piedi, osserva la scena il capitano Claudio Cappello, che comanda la compagnia. In una serie di immagini successive il fotografo Eligio Paoni viene schiacciato sul corpo di Carlo (non è complicato immaginare quali siano le minacce che accompagnano il gesto), e picchiato duramente (non sporgerà denuncia per le ferite riportate e si rifiuterà di testimoniare). C’è un filmato che riprende pezzi della sua macchina fotografica e i rotoli di pellicola che cadono per terra. La stessa telecamera riprende qualche secondo dopo il vicequestore Adriano Lauro (quello stesso che poco prima tirava i sassi ai manifestanti) che, accertatosi di essere inquadrato, insegue un manifestante che aveva rivolto a carabinieri e poliziotti l’epiteto di assassini. Il breve inseguimento, una ventina di metri, è accompagnato da insulti e dall’accusa di aver ucciso Carlo “con il tuo sasso”. Non esiste altra spiegazione: quel carabiniere accovacciato ha spaccato la fronte di Carlo con una pietrata per mettere in piedi un tentativo di depistaggio. Lo stesso tenente colonnello Giovanni Truglio lo adombrerà nei primi concitati colloqui con i suoi superiori. Daniela Canepa ha definito l’aver inferto la sassata sulla fronte di Carlo (la ferita è insanguinata, segno che vi era ancora attività cardiaca) una pura congettura.


Un’altra pura vergogna. A margine, può essere di qualche interesse conoscere una pura combinazione. Giovanni Truglio e Claudio Cappello (ufficiali dei carabinieri, allora con gradi inferiori), il 14 marzo 1994 erano nel porto di Mogadiscio sulla nave che doveva riportare dalla Somalia in Italia il contingente di carabinieri (risulterebbe che un maresciallo dei carabinieri, Francesco Aloi, avrebbe raccontato a Ilaria Alpi le violenze dei carabinieri sulle ragazze somale). Quello stesso giorno arriva in porto la jeep con a bordo Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che vengono uccisi. Carlo Torre fu incaricato della perizia, che lasciò molti margini di dubbio, e Eligio Paoni scattò fotografie della jeep e dei corpi che non facilitarono la ricostruzione.Quattro individui protagonisti a Mogadiscio; gli stessi, sette anni dopo, in piazza Alimonda. Certo, una pura combinazione, ce ne sono tante!



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