Lo stemma della città di Sorrento

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FABRIZIO GUASTAFIERRO

LO STEMMA DELLA CITTĂ€ DI SORRENTO Origine e significato - Certezze ed Ipotesi Note Araldiche e Cavalieresche

Accademia di Storia Patria Santi Giovanni, Giorgio e Michele Arcangelo



A mia moglie Angela, quale piccolo pegno del mio amore, nella speranza di poter trascorrere con lei giorni sempre più belli.

A mio figlio Gino, perché - anche nei momenti di maggiore difficoltà possa sempre essere fiero del suo passato come io lo sono del mio.

Alla piccola Nicole, cui spero di riuscire a dare sempre le attenzioni che merita e l'affetto di cui è capace solo un padre premuroso.


POSTE I T A L I A N E S.P.A.

Paaina 1 di 1 ZCZC NGC/A7322 RIF20050315-043-13474830 IGNA CO IGRM 046 00100 ROMATELGRAM 46 15 1355

DR FABRIZIO GUASTAFIERRO

LA PREGEVOLE PUBBLICAZIONE: "LO STEMMA DELLA CITTA' DI SORRENTO" CHE ELLA HA CURATO E' OPERA UTILE ALL'APPROFONDIMENTO DELLA SIMBOLOGIA ARALDICA ED ALLA RIFLESSIONE SU MOLTI ASPETTI STORICI DELL'ENTE E DELL'ITALIA. LE GIUNGA PERTANTO UN FERVIDO COMPIACIMENTO UNITO AGLI AUGURI MIGLIORI.CORDIALMENTE. MASI SEGRETARIO GENERALE PRESIDENZA CONSIGLIO M I N I S T R I

MITTENTE: PRESIDENZA CONSIGLIO M I N I S T R I PIAZZA COLONNA 370 00187 ROMA

ROTARY INTERNATIONAL CLUB SORRENTO Ritenendo che lo studio dedicato a "Lo stemma della Città di Sorrento", offra qualificati spunti per l'approfondimento della storia locale, siamo particolarmente lieti di poter contribuire, in una qualche misura, alla sua pubblicazione e di manifestare la sensibilità dei rotariani ad ogni spetto della vita della.Penisola Sorrentina. Le tante scoperte contenute nel testo, unitamente alla quantità degli affascinanti argomenti trattati rendono l'opera meritevole di ogni più vivo apprezzamento.

Sorrento 20 aprile 2005 VINCENZO SANTORELLI Presidente Rotary International Club Sorrento


IL PARERE DI UN ESPERTO È orgoglio e vanto di ricercatore, prima ancora che di presidente del Consiglio Araldico Italiano - Istituto Marchese Vittorio Spreti, raccogliere l'invito dell'amico Fabrizio Guastafierro - ma, oramai, direi collega! - a redigere una breve presentazione dell'appassionata e pregevole opera "Lo stemma della Città di Sorrento". Lo è, perché il lavoro faticoso ma affascinante di studioso di araldica contiene in sé tutta una serie di conoscenze che mai, come in questo caso, hanno potuto dispiegarsi compiutamente: araldista, archivista, genealogista, storiografo, scienziato, calligrafo, cultore, appassionato Via via che la ricerca andava dipanandosi, infatti, si rivelavano particolari inediti e sconosciuti che hanno permesso di illustrare, assieme allo stemma, anche la storia della Città di Sorrento, così che, alla fine, non è stato più possibile distinguere l'uno dall'altra tanto erano intimamente intrecciati. Non sempre la mia attività consente di ottenere intima soddisfazione dai frutti delle indagini, vuoi proprie vuoi altrui: dopo tanti anni, e centinaia di ricerche, subentra un certo acquietamento, e tutto sembra assumere una dimensione meno coinvolgente. Non è retorica, né è legato al fatto che volentieri ho accondisceso alla gradita sollecitazione di Fabrizio Guastafierro, ma realmente, più procedevo nella lettura e nell'approfondimento, sempre maggiore risultava in me l'eccitazione nel riscoprire la passione per questa professione, sino all'entusiasmo determinato dalla comprensione del significato intimo di quest'opera, secondo le parole dell'Autore: " fare in modo che Sorrento recuperi il senso e l'origine del simbolo della propria distinzione ", efficacemente e felicemente espressive nel descrivere icasticamente il significato più intimo e profondo dell'araldica, potente ausilio alla comprensione delle vicende storiche. Posso affermare con forza che, grazie alla pubblicazione del risultato di tanta dolce fatica ne è risultata per così dire corroborata anche la mia attività di araldista. L'unico rimpianto che serbo, a seguito di quest'esperienza, è che ben difficilmente potrò, in futuro, riprovare le stesse sensazioni offertemi da questa disamina di storia e di araldica, avvinte in un incanto onirico. Ringrazio quindi sinceramente l'Autore per l'onore riservatomi, e consiglio chiunque abbia a cuore la storiografia di leggere accuratamente l'opera, perché da essa potrà ricavare spunti di riflessione, ispirazioni, impulsi e slanci creativi non comuni.


Un plauso, infine, per lo stile: asciutto, scorrevole e avvincente, capace di mescolare sapientemente notizie storiche e cittadine in maniera da tenere sempre desta l'attenzione del lettore, " costretto suo malgrado " a proseguire nella lettura, tanto appassionante è la storia di una Città quando l'artefice è capace di confonderla con quella dello stemma e del tempo passato, sino a farle apparire un tutt'uno. Suggestioni ancora vive di echi lontani, non spenti, rivissuti con immedesimazione e partecipazione imprevedibili e dolcemente inaspettate.

K Don FRANCESCO MARIA MARIANO Duca D'Otranto


PRESENTAZIONE Sorrento è una terra che ha sempre fecalizzato l'interesse e l'apprezzamento di una variegata " razza" di uomini, dallo storico, al letterato, al poeta, all'artista, al filosofo che hanno cercato di raccogliere il poliedrico raccolto del suo passato e del suo presente. Numerose le pubblicazioni storielle, le opere artistiche, letterarie, musicali, filosofiche, a questa terra dedicate, un' abbondanza naturale e direi dovuta. Oggi con il volume "Lo stemma della città di Sorrento certezze ed ipotesi: note araldiche cavalieresche" di Fabrizio Guastafierro ci troviamo di fronte ad una ricerca storica particolarissima, innovativa, singolare che fecalizza il suo fulcro di investigazione nello stemma civico definito dall'autore "motivo d'orgoglio di una città e la più alta sintesi della sua dignità e del suo prestigio". Una ricerca non solo capillare, ma condotta con caparbia tenacia, con sagace attenzione, un atto d'amore che Fabrizio Guastafierro avverte come un omaggio raffinato ed elegante, quasi quello di un cavaliere alla sua dama nell'impeto di un torneo. Sin dalle prime pagine l'autore ci introduce in quest'opera di ricostruzione che evidenzia una capacità insolita di progettare e di proiettarsi nel passato, con un'attitudine precisa e una tensione emotiva che rende più "combattiva" la ricerca della memoria, epicentro su cui si muovono gli ingranaggi della composizione. Certo, composizione, non solo storica ma anche ricca di armonia per la scioltezza del linguaggio, la fruibilità del testo e la chiarezza degli eventi riportati, un insieme potente e valido che discopre alla base una fatica non semplice, alla quale l'autore si sottomette senza indugi perché ostinato a dimostrare le sue tesi, le sue idee, ossequio ad una terra conosciuta in ogni parte del mondo. La ricerca storica di Guastafierro inizia i suoi passi nello studio dello stemma sorrentino,che egli osserva in ogni suo particolare, in ogni suo significato, in ogni suo colore, in ogni sua forma che diventano "espressivi", quasi fossero capaci di trasfondere un codice segreto, la cui lettura dischiude una concretezza di dati insospettabili. Seguire queste direttive per il lettore diventa piacevole ed interessante, in quanto si presenta il concetto di storicità come ricerca araldica che condensa il passato per costruire la materia del presente e proiettarla nel futuro. Tutto questo si basa su una percezione profonda e soprattutto costante di quello che l'autore tratta, armato di fedeltà verso le fonti alle quali attinge e dalle quali nasce il tessuto delle sue tesi. Interessante la relazione sul numero dei fusi dello stemma in relazione a quello dei santi Patroni e alle mitrie da loro tenute che conducono all'aspetto devo-


zionale, che si appoggia su una funzione difensiva, evidenziando alcuni privilegi goduti dalla Penisola Sorrentina, come quello di scegliere il proprio pastore. La cultura della fede si accosta a quella della storia in uno spazio di libertà di memoria che ha il compito di ricercare numerosi avvenimenti e fenomeni che conducono alla conquista della loro verità, e in questo cammino, dove fioriscono spiegazioni, Guastafierro ci indirizza alla costruzione di un iter che diventa misura del passato e da senso compiuto al presente. Lo stemma vive, si muove, si agita, si impenna, recalcitra, fino a quando si adagia nella sua sistemazione finale e ci sorprende nella considerazione di quante pagine l'autore ci ha fatto percorrere fra chiese, mappe, disegni incisioni, opere marmoree, tra segreti, scoperte e misteri, una fervida ricerca di significati da comprendere, di passaggi da verificare, di annotazioni da riosservare per uno snodo interpretativo da definire. Un collaudo che diventa anche intrigante e che pone un'identità capace di attirare fiducia e convincimento in una nuova chiave di lettura, come quella per le oscure vicende del vescovo Alferio. Fabrizio si muove in questo labirinto di notizie con destrezza e scava nel sottofondo degli avvenimenti per portare alla luce il realismo delle sue tesi. Una ricerca gratificante che però non assurge mai a "magistra" inconfutabile, infatti egli in alcuni punti ci propone delle "ipotesi" ancora da verificare e da incidere con perizia per un risultato corretto e fortemente oggettivo. E in questa seconda parte troviamo un tessuto storico a larga trama per permettere al "vento" delle probabilità di circolare fino a quando la trama degli avvenimenti diventi compatta nelle sue definizioni. E' il bosco delle magie dove Fabrizio, si aggira in cerca di un albero solido e protettivo, alla cui ombra distendersi dopo un lavoro interpretativo non facile e disporre la sua ricerca ad un' altra impresa, ardita, come quella che "!' Arma di Sorrento, nella sua versione originaria, si è davvero conservata , per secoli, nei pressi della tomba di Gesù Cristo?. L'interrogativo, afferma Guastafierro, è di quelli che non possono provocare qualche brivido a quanti sono disposti a considerare un'eventualità del genere"...e noi lettori che l'abbiamo seguito nella sua avventura di ricercatore tratteniamo il fiato e aspettiamo che il bosco delle magie permetta alla storia, alla fantasia e alla ipotesi di lacerare le ombre e di convergere in un unico punto luce tutto quanto serva ad accrescere la fama di una Sorrento, le cui radici ogni giorno respirano nell'azzurro del mare, nel verde delle colline, nell'oro dei suoi giardini e nella fierezza del suo popolo. Cecilia Coppola io


PREFAZIONE Ogni studio, ogni ricerca sulla storia di Sorrento, e della sua Penisola, apre sempre il cuore alla speranza di chi è interessato alla propria terra (e di chi è amante della storia come vita e manifestazione dei popoli) per l'apprendimento di nuovi elementi che possano colmare lacune e completare quel mosaico che, per i tanti secoli trascorsi, non può mai ritenersi completo. A questo desiderio non si sottrae il lavoro di Fabrizio Guastafierro che, con piacere, riscopriamo ricercatore della storia sorrentina, indagatore, curioso, del passato e dei simboli che rappresentano origini e sviluppo della nostra società nei tempi; dopo di averlo apprezzato come giornalista dalla penna facile, comprensibile e preciso nelle descrizioni di fatti e di eventi interessanti la comunità sorrentina. Lo attendiamo, ancora, in questa nuova veste per quanto egli preannunzia nello stesso studio che presentiamo e per quanto a nostra conoscenza personale. Quanti più si è a far ricerche ed a comunicarne i risultati, senza sfuggire il confronto ed il dibattito, la società - almeno dal punto di vista culturale - cresce meglio e si appaga del suo passato. Specie quando su questo è possibile, utile ed opportuno poter contribuire a creare il futuro! Lodevoli sono le sue intenzioni ed apprezzabile è la modestia con la quale egli entra nel "circo" degli amanti della storia patria per cui non possiamo evitare di prenderne atto ed esprimere approvazione ed augurare buon lavoro per il futuro, specie in considerazione che in questo campo le difficoltà non sono poche e non aiutano sempre a superarne gli ostacoli. Oggetto di questa pubblicazione è lo "stemma" di Sorrento che viene analizzato nella sua formazione, nel suo disegno e nell'inquadramento storico nella comunità sorrentina, Da esso si parte per giungere, anche, a considerazioni su personaggi della storia sorrentina proiettati all'esterno ed attirando la curiosità su eventi che richiamano la presenza e la partecipazione di Sorrento, attraverso i suoi figli, alla storia del mondo. Indubbiamente la lettura - che si suggerisce di fare con meticolosa attenzione - del testo che viene presentato provocherà sorpresa e curiosità, foriere di incertezza e di dubbio. E' attraverso queste sensazioni che si può progredire nel continuo accertamento e nelle verifiche delle varie ipotesi e delle affermazioni proposte con il "condizionale". E' stato uno studio difficile ed arduo per la scarsa documentazione precedente l'infausta invasione turchesca del 13 Giugno 1558, ma che è stato affrontato con giovanile entusiasmo per pervenire ad un risultato che è da ritenersi, almeno in parte, accettabile e condivisibile. Forse proprio su queste conclusioni potrà nascere una discussione e potranno sorgere nuove ipotesi e nuovi traguardi, che condurranno ad ulteriori e, certamente, interessanti ricerche. Fabrizio Guastafierro propone diverse interpretazioni della forma del contenuto dello stemma ("losanghe" o "fusi"), del numero degli stessi elementi (cinque o quattro o sei), del significato dei medesimi (ricordo delle virtù del popolo sorrentino o dei Santi Vescovi protettori), della forma dello scudo e dei colori che lo compongono. Forse non tutto può essere condivisibile, ma tutto suggerisce ulteriori approfondimenti e consentirà nuovi traguardi e, perché no, mutamenti di alcune affermazioni che sembravano certe ed indiscutibili come punti


di arrivo e che, oggi, per merito di questa pubblicazione, assumono la posizione di punti di partenza. Forse non è proprio un "abbaglio" che le cinque figure geometriche argentee all'interno dello scudo rosso siano state chiamate "losanghe", invece che descritte come "fusi". L'autore della pubblicazione procede nella descrizione geometrica e delle proporzioni conseguenti e quindi afferma che si debba parlare più dei secondi che delle prime e definirli conseguentemente. Nella interpretazione degli scritti e delle figure antiche esiste una categoria che è definita dei "generi letterali", cioè delle utilizzazioni specifiche di definizioni e di descrizioni da inquadrarsi nell'epoca di produzione: nella fattispecie - indipendentemente dall'alternila delle figure geometriche, a volta corrette - era più accessibile e.comprensibile l'uso del sostantivo "losanga" più che quello di "fuso". In geometria "losanga" è definita come un "rombo con due angoli acuti e due ottusi" e con esso - proprio in araldica - confuso e assimilato. Perciò "losanga" va bene, anche se, ad una analisi più approfondita sul piano tecnico-geometrico, sarebbero "fusi". Del resto l'utilizzazione di quest'ultima individuazione sarebbe meno chiara della prima! Ma tutto ciò non scalfisce minimamente lo studio di Fabrizio che approfondisce e si addentra in settori e tematiche che non risultano affrontati prima! Infatti questa pubblicazione non si ferma allo stemma di Sorrento, ma ne prende l'abbrivio per ampliare l'indagine e rilevare la mancanza di autorizzazione al Comune di potere usare del gonfalone e della bandiera con lo scudo con il quale Mussolini ha concesso a Sorrento la "dignità di Città" e l'uso non conforme alle norme di araldica del colore rosso del gonfalone con il quale la Città partecipa negli eventi ufficiali; prendere atto che, con la determina del 25 Maggio 2004 n.808, si è conferito incarico per elaborare un modello unico di stemma da poter integrare "senza eccessi" ed a fine anno i 75 tipi di carta intestate sono stati sostituiti da un tipo unico con l'unica differenza di diversi colori, in coincidenza con i vari settori; ricordare i vari stemmi marmorei (compresi quelli scomparsi) e la loro riproduzione in dipinti, mappe, disegni ed incisioni; richiamare l'attenzione sugli stemmi al Sedil Dominova (profittando dell'occasione per approfondire la nascita, la storia e la vita di uno dei due unici sedili rimasti in Campania a testimoniare l'epoca in cui la nobiltà rappresentava la città. Interessante e degna di approfondimenti ulteriori (lo stesso autore li preannunzia) è la parte che collega lo stemma della città con la nobiltà sorrentina, la sua rilevanza a Corte, la sua presenza nelle crociate ed il collegamento con i Templari. Si resta in viva attesa degli sviluppi storici nei quali Fabrizio Guastafierro sta già indagando e preannunzia una prossima seconda pubblicazione. Sono molte le sorprese che si possono trovare in questo libro: non resta che approfondirsi nella sua lettura per scoprirle e recepirle per valutarne il posizionamento nella storia di Sorrento. Antonino Cuomo 12


INTRODUZIONE Sono più di mille anni che il patrimonio della nostra terra è oggetto dei desideri di orde barbariche o di singoli che non hanno avuto rispetto né degli uomini, né delle cose, né della storia. Predoni più o meno agguerriti ed organizzati, sia pure con diverse strategie, con diversi effetti e con diversi metodi, non hanno provato esitazioni nel fare man bassa dei beni considerati preziosi e - nel far ciò - nel distruggere testimonianze importanti non solo per la loro valenza architettonica. In questo senso, proprio per effetto di scelleratezze di ogni genere, i Sorrentini non solo sono stati privati di beni di grande valore, ma perfino della loro stessa memoria storica. Il fatto che ogni studio sul passato si "incagli" su metaforiche "secche" provocate, nei "mari" della nostra storia, dalla distruzione operata dai saraceni nel 1558, è un dato incontrovertibile. Al riguardo, però, va detto che i predoni musulmani hanno svolto un ruolo primario, ma non esclusivo in un'opera di devastazione che non si è mai fermata nel tempo. Se, negli anni, gli stemmi e gli ornamenti marmorei - di cui pure era ricca la nostra città - non fossero stati oggetto di un saccheggio sistematico (accentuatosi soprattutto nell'ultimo ventennio), sapremmo sicuramente molto di più. Se taluni studiosi (o sedicenti tali) non avessero spogliato con maggiore o minore destrezza tutti gli archivi accessibili, il nostro passato sarebbe ammantato d'ombre meno fitte. Ciò perché difficilmente atti e documenti entrati in possesso di privati hanno dato vita a fondi e collezioni che tornano alla fruibilità pubblica. I pirati dell' "altro-ieri", forse, erano più violenti dei ladri di "ieri" e degli Arsenio Lupin di oggi. Tutti, però, sono stati e sono egualmente dannosi. Come dannosi sono stati quei tanti che grazie al dilagare dell'abusivismo edilizio, o grazie alla destrezza con cui sono state sfruttate certe licenze e certe concessioni edilizie, con il cemento hanno coperto ettari di terreno e anche secoli di storia. E come dannosi sono stati taluni interventi di "restauro" che con false patine di bellezza artistica hanno sortito il risultato di cancellare splendide pagine di gloriosa storia locale. L'egoismo di pochi, insomma, troppo spesso ha fatto passare gli interessi della collettività in secondo piano.. A questo, purtroppo, si è aggiunta una diffusa miopia. Nel rallentare il progredire del processo di conoscenza, una parte importante l'hanno giocata anche le responsabilità di chi continua a rendere inaccessibili importanti documenti. Dopo avere trascorso alcuni anni a Roma, sono ritornato a Sorrento per svolgere l'attività di portavoce del Sindaco Marco Fiorentino. Ed ancora una volta mi sono imbattuto su alcuni "enigmi a sfondo storico" che mi avevano affascinato in passato. Orgoglioso della mia sorrentinità, infatti, ho sempre cercato - sia pure con 13


poca pazienza e senza metodo - di appagare la mia sete di conoscenza su ogni aspetto che potesse riguardare la vita, la storia, le tradizioni della Terra delle Sirene. Quella curiosità che, in un primo momento, consideravo come semplice frutto dell'amore per la terra natia e come espressione di attaccamento verso quella che consideravo come la mia stessa storia, nel tempo, ha subito un'evoluzione. Come consigliere comunale prima, e come assessore delegato alla cultura poi, infatti, ho avvertito crescere l'esigenza di trovare risposte certe rispetto ad interrogativi che mi sembravano essere stati frettolosamente risolti da altri o, addirittura, non essere mai compiutamente affrontati. In questo senso devo confessare una "colpa": quella di essermi accontento, comunque, di quanto era stato scritto da altri, senza mai verificare o cercare di trovare da solo le risposte che non erano contenute nei libri. Eppure di dubbi restati clamorosamente senza soluzione ne ho conservati diversi. Tra questi ce ne sono alcuni che, in maniera beffarda, si sono riproposti, proprio quando ho intrapreso l'attività di portavoce della massima espressione amministrativa della Città del Tasso. Dovendo curare, tra l'altro, alcuni aspetti relativi ali' "immagine" dell'ente municipale oltre che della comunità locale - in occasione della predisposizione del Piano di Comunicazione 2004 - mi è capitato di rilevare che "spesso l'identità visiva del Comune di Sorrento risulta fortemente compromessa anche per l'utilizzo dello stemma municipale in forme stilizzate o per l'ausilio di logotipi e/o immagini che finiscono, a secondo dei casi, con l'alimentare confusione, manifestare disordine e mancanza di idee chiare, creare la sensazione che il Comune non sia una struttura unica". Eppure, nella nostra terra, mentre ci si è affannati nel tentativo di trovare il significato etimologico del nome che caratterizza la Terra delle Sirene o ad approfondire studi già curati da altri, non si è ritenuto di spendere molta attenzione al simbolo che pure dovrebbe rappresentare la collettività locale nel suo insieme. E dire che si tratta di un'esigenza avvertita - prima per opportunità e poi per spirito di campanile - fin dal medioevo. Ho ritenuto così di avviare una ricerca che, purtroppo, ancora oggi non ritengo possa considerarsi esaurita in una maniera pienamente soddisfacente. Soprattutto perché manchevole di quei riscontri oggettivi che trasformano le probabilità e le possibili ipotesi in certezze assolute. Nel tentativo di individuare dei riferimenti che potessero essere considerati come dei punti fermi non ho dato nulla per scontato, ritenendo di dover verificare fatti e documenti che pure erano già considerati certi. Proprio per questa ragione molti potrebbero contestare l'ovvietà di tanti passaggi. Non credo, però, che obiezioni di questo genere possano considerarsi giuste per almeno due motivi: Perché altrimenti, sulla materia non si incontrerebbero tante perplessità anche 14


tra i più "addottorati", Perché, proprio nella consapevolezza di essere di fronte ad elementi già conosciuti, ho ritenuto di dover dedicare particolare attenzione ai riscontri storici, alla verifica dei riferimenti bibliografici, agli approfondimenti ed all'analisi di particolari che potevano apparire, almeno a prima vista, irrilevanti. E' grazie a questo lavoro che ho individuato diverse anche alcune ipotesi sicuramente romantiche, ma non per questo meno attendibili, a proposito delle quali è giusto sottolineare la mancanza di tutti gli opportuni riscontri oggettivi che pure il caso richiede. Ho deciso in maniera "provocatoriamente dichiarata" di dare ampio risalto anche a queste, non tanto per il desiderio di vedermi attribuita una fervida immaginazione o una brillante fantasia (esponendomi per questo a facili, ma in ogni caso, gradite critiche), quanto per cercare di buttare un ideale sasso nelle melmose acque di quello stagno che caratterizza l'indifferenza generale. Sarei ben felice se altri - anche per il solo gusto di smentirmi - facessero emergere nuovi probanti elementi sull'argomento. Se così fosse, infatti, potrei ritenere che la mia "provocazione" ha sortito, comunque, gli effetti desiderati: quello, cioè di risvegliare l'attenzione di chiunque possa contribuire ad accertare le verità storiche su aspetti che ritengo essere importanti per la nostra Sorrento e quello di stimolare le riflessioni della comunità locale sul suo passato. Non credo che si possa veramente essere orgogliosi della propria Terra, se non si prova almeno eguale orgoglio per la sua storia, per le sue tradizioni, per la sua cultura e per i suoi simboli identificativi. In altre parole ritengo che non si possano vantare con orgoglio i propri natali se non si ha la possibilità di dimostrare che si tratta di un qualcosa di effettivamente nobile. Con questo lavoro spero, in ogni caso, di aver contribuito, almeno in minima parte proprio a questo: a fare in modo che Sorrento recuperi il senso e l'origine del simbolo della propria distinzione. Sebbene abbia condotto le mie indagini con grande scrupolo, non ho la pretesa di aver dato vita, con questa pubblicazione, ad un trattato esauriente su un argomento che è sicuramente affascinante. Spero, invece, che questo testo possa essere considerato come una prima "bozza" - o almeno uno spunto - capace di stimolare la curiosità ed il desiderio di chiarezza da parte di altri capaci di integrarla e - se del caso - correggerla o addirittura riscriverla. Con ciò accarezzando il sogno di essere riuscito ad alimentare l'orgoglio di essere sorrentini in tutti i miei concittadini. Il nostro essere comunità non può prescindere dalla conoscenza delle nostre radici e dall'individuazione delle ragioni che hanno spinto i nostri avi a stare insieme nel difendere non solo legittimi interessi comuni, ma anche quel meraviglioso territorio che, non a caso, è chiamato Terra delle Sirene.

Fabrizio Guastafierro 15



LO STEMMA DELLA CITTÀ DI SORRENTO I PARTE Le Certezze



1) PREMESSA I motivi d'orgoglio di una città, la sua dignità ed il suo prestigio trovano nello stemma civico la più alta sintesi possibile. Ad essi, spesso, si accompagnano testimonianze di momenti storici, di gesta eroiche, di tradizioni religiose e tanto altro ancora. Non è un caso, quindi, se gli studi nati per finalità squisitamente araldiche finiscano con il permettere di ritrovare le tracce di alcune delle imprese più significative dei nostri antenati, di riscoprire antichi privilegi e le ragioni che consacrano, con la forza dei fatti, la nobiltà dell'intera comunità locale. Forse è per questo che, presso i popoli dalle consolidate tradizioni cavalieresche, l'arte del blasone era tenuta in grandissima considerazione e proclamata "scienza della gloria". Troppo a lungo Sorrento è stata privata dell'ausilio di un così potente strumento e ciò ha fatto sì che avverse fortune, unitamente alla quasi totale assenza di scrupolosi storiografi locali, non solo facessero dimenticare l'origine ed il significato del suo stemma, ma finissero con il cancellare dalla memoria fatti che, viceversa, meritano di superare ogni barriera temporale. Accurate ricerche, seppur bisognevoli di ulteriori approfondimenti, ci hanno permesso di colmare quasi completamente (o, comunque, con ristretti margini di approssimazione rispetto al passato) questa lacuna, regalandoci la speranza di aver restituito alla nostra città alcuni di quei motivi di grandissimo orgoglio di cui si è parlato in premessa. In questo senso riteniamo di dover subito precisare che un ruolo di prima grandezza deve essere riconosciuto ai prodi cavalieri che, in epoca medioevale, si distinsero perfino in Terra Santa. Numerosi riscontri, infatti, ci inducono a ritenere ragionevole il commuoversi davanti alla virtù del coraggio mostrato dai nostri uomini nel tumultuoso fragore delle armi di quei tempi. Così come ci sembra giusto ricordarne il fervore religioso tipico, per l'appunto, di antichi crociati. II nome di Sorrento ed il suo stemma, insomma, sono legati indissolubilmente ai fasti della antica cavalleria e della nobiltà locale. E' una conclusione, questa, cui si è giunti non senza difficoltà soprattutto per effetto della desertica condizione delle fonti. Proprio questa condizione ci ha costretto a sviluppare la nostra opera in maniera articolata e con il ricorso a "divagazioni" indispensabili non solo per ricostruire parti ed aspetti importanti della storia locale, ma anche per raggiungere lo scopo della nostra ricerca. Desiderando ridurre al minimo i margini di approssimazione, abbiamo ritenu19


to di prendere le mosse dall'analisi di prove certe ricorrendo, in loro assenza, ad un processo induttivo condotto, comunque, con grande scrupolo. Per questo il percorso seguito, nella stesura del testo, parte dall'esame di fatti e documenti contemporanei per procedere, man mano, indietro nel tempo. In questo modo abbiamo acquisito prove certe almeno fino all'epoca angioina. Ed abbiamo individuato ipotesi suggestive, ma verosimili, che risalgono ad un periodo compreso tra la fine del XII secolo e l'inizio di quello successivo. Certo non mancano gli spunti che avrebbero meritato maggiore dettaglio soprattutto rispetto alla portata delle molte sorprese che hanno lasciato interdetti noi per primi. Tuttavia l'esigenza di assicurare una ragionevole sintesi e la necessità di non approfondire aspetti fuorvianti rispetto al filo conduttore prescelto, ci hanno imposto volontari "tagli". La qual cosa, in ogni caso, non preclude lo sviluppo di nuovi, ulteriori e futuri lavori. Come quelli possibili, ad esempio, sui Sedili, sulla nobiltà e su specifici aspetti che hanno vista interessata la cavalleria locale. Pur non avendo la pretesa di aver conquistato i meriti che spettano solo ai veri studiosi ed agli storiografi più accreditati, e pur consapevoli dei limiti del nostro lavoro, accarezziamo un sogno: quello di aver apportato almeno un piccolo e modesto contributo rispetto al tentativo di ricostruire la storia patria, accelerandone una più ampia rivisitazione. Saremo felici anche se la nostra opera dovesse alimentare polemiche. Perché ciò vorrebbe dire che, se non altro, saremmo riusciti a stimolare l'attenzione su argomenti finora non esaurientemente affrontati.

Disegno tratto dalla II allegazione agli onori dell'illustre Piazza di Nido pretesa da D. Giuseppe e D. Bacalo Mastrogindice Scrsaìe (fine 1700). 20


2) QUALCHE NOTA ARALDICA Prima di approfondire lo studio sul significato concreto e sulle origini dello stemma di Sorrento è utile - se non addirittura indispensabile - tenere presente qualche elemento araldico che, sia pure in astratto, possa contribuire a fare chiarezza ed a creare un quadro generale di riferimento. In questo, malgrado il rischio di risultare approssimativi nella trattazione di argomenti che riguardano una materia assurta al rango di vera e propria scienza, abbiamo cercato di evitare eccessivi approfondimenti di carattere teorico che avrebbero finito inevitabilmente con l'appesantire l'opera. L'uso degli stemmi, detti anche insegne o armi è antichissimo risalendo al periodo greco-romano; esso, però, ha assunto il suo significato di identificazione individuale (e poi anche familiare) solo in seguito, ed in particolare a partire dal periodo degli imperatori carolingi. Più precisamente gli studiosi e gli esperti d'araldica sono concordi nel ritenere che l'utilizzo degli stemmi abbia origini e trovi motivazioni in epoca medioevale con la nascita dei principi cavaliereschi. A quell'epoca, infatti, l'utilizzo sempre più diffuso delle corazze, se da una parte contribuiva a rendere molto meno vulnerabili i cavalieri, dall'altra ne determinava una sorta di anonimato. Da ciò il potenziale rischio che appartenenti ad uno stesso esercito potessero finire con il battersi tra loro. A partire dalla fine del X secolo, dunque, sempre più frequentemente, per evitare che, nella foga dei combattimenti sul campo, le armature potessero contribuire a generare situazioni d'equivoco, si avvertì la necessità di individuare insegne che - richiamando bandiere e vessilli - venivano dipinte o incise sugli scudi o sulle stesse armature. Questo per fare in modo che, anche nelle fasi più concitate di una battaglia, si potesse sempre avere chiaro il quadro degli schieramenti in campo. Ed è proprio dall'utilizzo degli stemmi distintivi, come elemento caratterizzante dell'abbigliamento dei cavalieri, che potrebbe essere derivata la loro definizione di "arma". Il fenomeno si accentuò - conoscendo nuovi ed ulteriori impulsi - quando, tra la fine dell'XI secolo e l'inizio di quello successivo, iniziarono le crociate. Impegnate in Terra Santa o, comunque, contro eserciti orientali, le truppe cristiane, in linea teorica, avrebbero potuto facilmente distinguersi da quelle nemiche (per la diversità dell'abbigliamento, delle armi, etc.), ma la multietnicità delle forze occidentali offriva potenziali elementi di debolezza. Non essendo accomunati dall'utilizzo di una stessa lingua, infatti, i guerrieri crociati avrebbero potuto correre il rischio di non comprendersi tra loro. Scegliere il segno della Croce come simbolo identificativo uguale per tutti, insomma, non sarebbe bastato a scongiurare il verificarsi di stati confusionali 21


dovuti ad evidenti difficoltà di comunicazione. Per consentire tanto alle truppe quanto ai condottieri di una stessa nazione di ritrovarsi con semplicità, anche nelle situazioni più caotiche, si rese indispensabile l'utilizzo di simboli e colori capaci di richiamare con immediatezza, l'attenzione di ciascuno sulla esatta posizione del nucleo del proprio schieramento. Nate con funzioni estremamente elementari, le applicazioni araldiche, ben presto, conobbero sviluppi e sofisticazioni che non riguardarono solo l'ambito militare, ma produssero effetti concreti anche nella vita civile acquistando quei valori emblematici che oggi sembrano lapalissiani. Nel frattempo gli stemmi divennero simboli identificativi di famiglie, di città, di repubbliche o di regni. L'utilizzo mirato di colori, metalli, motti, immagini, figure, svolazzi, cimieri, sostegni e/o tenenti (in qualche caso anche in funzione del posizionamento) assunsero precisi significati e divennero utile strumento per rendere tangibile il desiderio di testimoniare il possesso di virtù, di onori, di feudi o per poter vantare imprese memorabili. Con il trascorrere degli anni, insomma, grazie anche alla scrupolosa definizione di precisi criteri ed a costanti arricchimenti stilistici si giunse ad una sorta di codificazione di significati espliciti ed allusivi che non trascura alcun aspetto. Al punto che Goffredo di Crollalanza - sicuramente tra i più autorevoli araldisti degli ultimi secoli ed autore, tra l'altro, del "Dizionario storico - blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti" - è arrivato a distinguere l'evoluzione della materia in tre distinte epoche. La prima era quella in cui l'araldica si applicava e non si studiava; la seconda era quella in cui essa si studiava e si applicava; la terza, infine, quella in cui si studiava, ma non si applicava. Nel mentre sono state raggiunte sofisticazioni grafiche ed estetiche tali da non potersi trascurare alcun aspetto.

In alto: a sinistra, il disegno die caratterizza il frontespizio della memoria presentata da Stefano Patrizi contro la richiesta di riammissione dei fratelli Cesare e Filippo Vulcano agli onori del seggio di Nido (1752); a destra, invece, il disegno che caratterizza la replica dei due nobili (stesso anno).


Perfino in occasione della richiesta di ammissione (o di riammissione) ad un seggio nobiliare, ad esempio, i difensori dei patrizi interessati al procedimento, oltre a dedicare la massima cura agli aspetti giuridici ed alla produzione di documentazione probatoria, si premuravano di impreziosire le proprie memorie con l'ausilio di alberi genealogici molto curati anche sotto il profilo artistico, o di fregi, disegni e motti capaci di rendere ancora piÚ incisiva e chiara la posizione assunta, le pretese vantate o, viceversa, le ragioni che giustificavano la richiesta di diniego all'acccttazione di queste ultime. In un abbondantissima casistica consumabile sull'argomento, non mancano magnifici e preziosi esempi che hanno visto interessate anche famiglie sorrentine. Come riscontrabile nel caso della famiglia Mastrogiudice di cui Scipione Ammirato (in "Famiglie nobili napoletane") ha pubblicato un bell'albero genealogico. O come nel caso della controversa richiesta di reintegra dei fratelli Cesare e Filippo Vulcano agli onori del Seggio di Nido a Napoli, a lungo avversati - nel giudizio promosso nella seconda metà del XVIII secolo davanti Regio Consigliere Giuseppe Aurelio di Gennaro - da un agguerritissimo e sarcastico Stefano Patrizi. O come nel caso, infine, della richiesta di reintegra agli onori della stessa Piazza di Nido presentata da Giuseppe e Baccolo Mastrogiudice-Sersale ancora in discussione alla fine del 1700. In effetti gli atti ed i documenti appena richiamati - per la quantità di interessanti notizie che contengono anche sulla storia di Sorrento - meriterebbero ben altra attenzione che quella che, invece, dedichiamo loro per gli aspetti grafici. Ma ciò, ci distoglierebbe dagli argomenti su cui, invece, intendiamo richiamare l'attenzione.

A sinistra: vari disegni e fregi adoperati per impreziosire gli atti dei procedimenti relativi alle richieste di riammissione agli onori del seggio di Nido dei fratelli Cesare e Filippo Vulcano (1752) e di Giuseppe e D. Bacato Mastrogiudice Cesare (fine 1700). 23


I periodi storici da ricordare secondo Lorenzo Caratti di Valfrei (riportati in Araldica edito da Mondatori nel 1996) Quando si praticava (1000 - 1200) Nascono i primi stemmi, come emblemi delle bandiere che identificano i soldati del feudatario di un determinato territorio (1000) Dalle bandiere, lo stemma col tempo, passa sulle armature e, in particolare sugli scudi dei soldati (stemma = arma) (1100). Fanno la loro comparsa gli araldi: dei personaggi senza stabile dimora, che organizzano e controllano i tornei e le feste indette dai vari signori (fine 1100). Col tempo, questi personaggi si stabiliscono presso i singoli feudatari e prendono il nome di scudieri (fine 1200). Quando si praticava e si studiava (1300 - 1700) Gli scudieri, che sono dei "servi" dei rispettivi signori, assumono - in questo periodo - il nome di araldi e prendono l'uso di riprodurre, sulle loro vesti, lo stemma del loro signore (fine 1300). Gli araldi, oltre a controllare la regolarità araldica degli stemmi dei partecipanti ai tornei, e la loro legittima spettanza, creano un linguaggio araldico, istituiscono una regolamentazione araldica e inventano una cabala araldica. Lo stemma, col tempo, si svincola dalla sua origine terriera e si sposta a decorare nuove famiglie, diventate nobili per le loro cariche (circa 1500). Nascono i primi stemmi di "cittadinanza" (circa 1500). Verso il 1550, in conseguenza dell'invenzione delle armi da fuoco (per cui divennero inutili armature e scudi), l'araldica inizia la sua decadenza. Agli araldi subentrano gli araldisti: studiosi di araldica che si industriano ad interpretare, a tutti i costi, i significati degli stemmi (1500 - 1600). Quando si studiava (1800 - 1900) Si nota, in Europa, un risvegli di interesse per gli studi araldici. Questo risvegli di interesse è particolarmente sensibile all'estero: specialmente in Francia, Germania, Austria e Svizzera. L'Italia contribuisce validamente a questo risveglio, nella seconda metà dell'800, con un esiguo gruppo di studiosi, ma l'interesse per questa disciplina rimane modestissimo. Solo recentemente, a livello personale, si nota un progressivo e crescente interesse per questa disciplina.

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/Âť a/fo: /'albero genealogico della famiglia Mastrogiudice tratto da "Famiglie nobili napoletane" eli Scipione Ammirato (MDLXXX) 25


3) I SIGNIFICATI ASTRATTI DELLO STEMMA DI SORRENTO Fino ad oggi l'unico studioso che ha prestato un'attenzione pseudo-scientifica al significato ed all'origine dell'arma della città di Sorrento è stato Gaetano Ganzano Avarna (in "Cenni storici sulla nobilita sorrentina") Questi, però, ha dovuto ammettere: "Né documenti, né storia palesano in quale riscontro e per eternare la memoria di quale successo Sorrento avesse adottato" il suo "emblema, che pazienti ricerche ed accurate investigazioni sono rimaste improduttive". Partendo da questa corretta premessa, l'autore nel cercare di offrire una possibile interpretazione del significato dello stemma, avrebbe dovuto chiarire l'intenzione di prendere in considerazione qualche ipotesi. Ed, invece, in maniera ingiustificatamente categorica - visto l'arbitrio concessosi, la frettolosità e l'approssimazione del giudizio - ha aggiunto: "Certo è che esso esprime sensi benemeriti, magnanimi, onorabili, imperciocché nel convenzionale linguaggio dell'Araldica le losanghe denotano virtù guerriere, vigilanza contro il nemico, animo determinato a respingere le aggressioni, ed il campo rosso significa gaudio, munificenza ed animo infiammato nella difesa dell'avita religione e della patria civiltà". Il che, a lungo, è stato considerato esauriente quasi alla stregua di una verità assoluta. Non può essere sottovalutato, invece, il fatto che nel!'operare una sintesi frutto di discutibilissime scelte soggettive (non suffragate nemmeno da congetture o da ipotesi di massima), proprio Ganzano Avarna non solo ha operato una censura wtt mttut inaccettabile, ma ha generato anche un imperdonabile equivoco in ordine alla presenza di losanghe, anziché di fusi nello stemma di Sorrento. Il che ha prodotto effetti deleteri nei secoli successivi. Prima di soffermarsi sul punto, in ogni caso, è bene ribadire un concetto: colori, simboli, figure e fregi, sono elementi che hanno precisi significati, tuttavia le ipotesi che possono vedere interessato ciascuno di essi, sono sicuramente, assai più numerose TIPOGRAFIA EDITRICE ALL INSEGNA DI S. FRANCESCO D'ASSISI di quelle individuate dall'autore. Da ciò l'esigenza di soffermarsi sulle singole caratteristiche, partendo dagli aspetti cromatici. Il DUCHI DI DELV1SO

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S. AGNELLO DI SORRENTO

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IL ROSSO La gamma dei qualificati studi esistenti sull'Araldica e dai quali trarre informazioni è ampissima. Tra i più recenti, in quello di Giorgio Aldrighetti (consultabile sul sito internet dell'Istituto Araldico Genealogico Italiano) si ricava che il rosso può esprimere la carità tra le virtù, Marte tra i pianeti, l'Ariete e lo Scorpione nei segni zodiacali, Marzo e Ottobre tra i mesi, il mercoledì tra i giorni della settimana, la virilità fino a cinquanta anni tra le età dell'uomo, il sanguigno tra i temperamenti, il garofano tra i fiori, il tre tra i numeri ed il rame tra i metalli. Secondo Giovanni Santi-Mazzini (in "AraldicaStoria, linguaggio, simboli e significati dei blasoni e delle armi"): il rosso "viene in genere ritenuto (ma non dai Francesi, che lo stimano secondo) il primo fra i colori usati nell'arme, essendo associato al sangue e al fuoco. Le virtù simboleggiate dal Rosso sono la giustizia, l'amore verso Dio e il prossimo, la verecondia; le qualità mondane, lo spargimento di sangue in guerra, la vendetta, il coraggio, l'audacia, il valore, la fortezza, la magnanimità, la generosità, il desiderio ardente, la nobiltà, il dominio (e infatti l'uso del Rosso e dell'Oro erano anticamente riservati ai re). Del dominio, nella fattispecie del "diritto di regalia", resta una visibile traccia nelle armi di Anìwlt e di Prussici. Nei tornei soltanto, e non nelle armi, da solo significava allegrezza, con l'argento gioia, con l'azzurro desiderio di sapere, col nero fastidio e noia, col violetto amore infiammato. La Torta di Rosso era detta torteau dagli Inglesi e guse dai Francesi. Il Rosso è il colore più frequente nell'araldica spagnola (85%), inglese (80%), polacca (75%) e italiana (70%); in quella francese, dove prevale l'Azzurro, il Rosso è molto usato nelle anni Borgognone, Normanne, Bretoni e Guascone, le tre ultime a causa del bisecolare dominio inglese. In Italia era in genere distintivo di parte ghibellina. Alcuni araldisti gli associavano il rubino come gemma e Marte come pianeta: presso gli Antichi il Rosso era infatti il colore della guerra. In campo militare, era il colore favorito dagli Inglesi, sia per le bandiere, sia per le uniformi dell'esercito e dei R. Marines; nella Marina Francese e in quella Turca, la bandiera rossa era riservata alle galere. Da tre secoli, inoltre, nelle segnalazioni marittime la bandiera rossa è segnale di pericolo (imbarco e sbarco polveri). I termini gueules (fr.) e gules (ìng.) vengono dal persiano Ghul, rosa. Graficamente si rappresenta, c.s., mediante un tratteggio a linee verticali, per dipingere gli scudi si usa il vermiglione, e la lacca cremisi per ombreggi e contrasti". 27


L'ARGENTO "L'argento (sempre secondo lo studio di Giorgio Aldrighetti consultabile all'indirizzo internet: www.iagi.info) rappresenta la speranza fra le virtù, la Luna tra i pianeti, il Cancro nei segni zodiacali, Giugno tra i mesi, il lunedì tra i giorni della settimana, la perla tra le pietre preziose, l'acqua tra gli elementi, l'infanzia fino a sette anni tra le età dell'uomo, il flemmatico tra i temperamenti, il giglio tra i fiori, il due fra numeri e se stesso fra i metalli". A parere di Santi-Mazzini (opera già citata), invece: "Secondo per nobiltà fra tutti i metalli e i colori usati nell'arme, l'Argento rappresenta la Luna e la sua luce notturna, fredda e pura come acqua cristallina. Simboleggia pertanto virtù quali la purezza, l'innocenza, i 'umiltà, la verità, la temperanza, la speranza, ed esprime clemenza, gentilezza, sincerità, concardia, vittoria, eloquenza. Slmilmente all'Oro, gli araldisti inglesi blasonavano le armi dei pari con "perla" (pearl) e quelle dei principi con "luna" (luna). Se lo scudo è d'argento pieno è simbolo della pace, della quiete d'animo, della vita ritirata e dell'amore placido e felice. Così il Crollalanza il quale però fa notare che il significato simbolico muta secondo il colore eventualmente unito all'Argento: col Rosso allegrezza; con l'Azzurro, vittoria; con il Verde, cortesia, umiltà, temperanza; con la Porpora, santità di costumi; con l'Oro, l'eloquenza. Anche sulle bandiere (come bianco) il simbolismo è alquanto variabile: i francesi lo presero per colore nazionale dopo la cacciata degli inglesi, che le avevano rosse, al termine della Guerra dei Cento Anni, e quanto ai Guelfi, soprattutto se di parte bianca, non potevano che adottarla di questo stesso colore. Più in generale, però, il bianco di una bandiera dichiarava prudenza militare, ed è forse per questo che fu in seguito adottata per segnalare parlamentario, e anche di resa. D'Argento per definizione è il bisante d'Argento. Graficamente non si rappresenta con alcun tratteggio, lasciando perciò inalterato il supporto; nei più antichi documenti si trova pure indicato con la lettera A, o con il simbolo zodiacale della Luna. f^f ./dhCT*Cte'' ^Jm,**~£ ^ Gli elmi dei timbri sono d'Argento (con affibbiature d'Oro) per i nobili da Vidamo a Duca, mentre l'acciaio, ugualmente bianco (e quindi da blasonare) è riservato a semplici gentiluomini e cavalieri antichi, con affibbiature d'Argento. Gli speroni d'Argento, infine, erano contrassegno di scudiero (Écuyei; Esquire). Le figure d'Argento, soprattutto aquile e leoni, conservano in nero i tratti interni corrispondenti a frange, penne, articolazioni, genitali, occhi, ecc. 28


Gli scudi vengono inargentati con foglia d'argento oppure dipinti con pittura bianca (d'alluminio). Tonalità in grigio possono essere ottenute con terra d'ombra e bianco di guazzo, e occasionalmente impiegate per ombreggiare figure tondeggianti, quali torri, palle, coppe, ecc".

L'ABBAGLIO Tra i rilievi che si possono muovere a Gaetano Ganzano Avarna, c'è quello (già evidenziato in precedenza) relativo all'indicazione delle losanghe anziché dei fusi nell'originario stemma di Sorrento. Riteniamo che si tratti di un abbaglio clamoroso. In assenza di documenti, infatti, nel descrivere quelle che araldicamente vengono definite pezze onorevoli, non dovevano e non potevano essere prese in considerazione altre armi che non fossero quelle dipinte o scolpite in precedenza. Nel caso di Sorrento risulta chiaro che i "rombi" raffigurati nei secoli scorsi avevano la caratteristica di possedere la diagonale maggiore di misura doppia rispetto a quella minore. Un particolare, questo, rilevantissimo. Giovanni Santi-Mazzini (sempre nel suo "Araldica-Storia, linguaggio, simboli e significati dei blasoni e delle armi), parlando di losanghe e fusi, scrive:

A sinistra due stemmi caratterizzati dall'utiH--.o di fusi; a destra due esempi di stemmi in cui figurano delle losanghe.

LE LOSANGHE "Se l'etimo è controverso, è invece da tutti accettato che si tratta di un termine primitivamente araldico passato nel linguaggio comune, la questione è interessante perché una corretta definizione etimologica equivarrebbe a scoprirne il significato simbolico in araldica. La parola celtica latisene, che ha le migliori probabilità d'essere all'origine del termine, deriva da laitsa, pietra quadrata: una scaglia, volendo, assimilabile a una punta di lancia o di freccia o anche a una squama di corazza. Certo è, che la losanga araldica ha goduto di larga fortuna, come attestano le numerosissime armi che la portano, da sola o più spesso in numero o a totale copertura dello scudo (losangato, che è tanto attributo 29


quanto convenevole partizione); se in numero, può trovarsi disgiunta oppure accollata e/o contrappuntata, come sempre si vede quando più losanghe si dispongono in croce, in banda, infascia, ecc. Un caso particolare è quello della losanga confinante, i cui quattro vertici toccano i lati dello scudo, il quale può tuttavia essere blasonato anche in modo inverso "di (smalto della losanga) vestito di (smalto dei quattro triangoli restanti) ". La losanga può inoltre essere svuotata (in pratica, caricata di una losanga più piccola e smaltata del campo: losanga vuota, macie e masele rispettivamente dei francesi e inglesi) o riempita (come sopra, ma con uno smalto diverso dal campo: losanga ripiena) o forata (fr. Fru.ste; ing. Rustre); in questi casi sembra però trattarsi di oggetti diversi: borchie e rosette che guarnivano le bande e i chiodi dei gangheri dei portoni, per rinforzo e per ornamento, oppure fregi architettonici. Una losanga vuota può anche trovarsi ornata di fioroni a ciascun vertice oppure munita di un'appendice a L che la rende semipotenz.iata (e simile a una chiave). Va infine notato che una losanga diventa fuso quando se ne riduce la diagonale minore: non si tratterebbe, però, di una semplice deformazione, ma di una pezza autonoma, simboleggiante il fuso da filare. Una losanga vuota intrecciata con un filetto in croce di Sant'Andrea configura nell 'araldica inglese una speciale pezza detta Fret, che se moltipllcata, da luogo ad un cancellato. I FUSI Quanto ai fusi, invece, l'araldista aggiunge: "I disegnatori araldici del passato (e spesso anche del passato prossimo) non sempre hanno rispettato la norma geometrica che vorrebbe le diagonali del fuso una doppia dell'altra, proporzione, questa, che lo distingue dalla losanga; l'assenza del blasone rende allora difficoltosa l'identificazione, salvo il caso dei/usati che presentano invece un esagerato allungamento. La distinzione non è oziosa, perché si riteneva comunemente il fuso un omaggio all'operosità femminile, e alcuni, come il Ginanni, vi vedevano il simbolo di "chi era giunto alla fine di qualche gran disegno per un 'ostinata pazienza ", come l'acutezza degli apici dimostrerebbe. Diversamente dalla losanga, non si trova né vuoto, né forato, ma può essere disposto secondo le stesse modalità, e formare la convenevole partizione del fusaio, attributo da non confondere col fusellato, che qualifica bande e croci risultanti da fusi accollati per gli apici". Alla luce di queste premesse è facile comprendere come la deprecabilissima superficialità di Ganzano Avarna abbia procurato, purtroppo, negativi effetti concreti che producono imbarazzanti situazioni d'equivoco ancora ai giorni nostri. Di fronte alla più volte lamentata mancanza di documenti, infatti, nel richiedere il riconoscimento dello stemma di Sorrento nel 1927, i responsabili dell'epoca, non avendo conoscenze araldiche, male fecero a fidarsi della descrizio30


ne dell'unico libro che forniva indicazioni al riguardo e ad indicare, quindi, l'esistenza di cinque losanghe nell'arma della Città. Resta il fatto, però, che i grafici ed i disegni allegati all'istanza e alla conseguente autorizzazione del 1928 (aventi valore legale) raffigurano cinque fusi!!! LA RIPRODUZIONE DEI COLORI Qualche ultima puntualizzazione, infine, è opportuna a proposito della riproduzione dei colori. Ciò anche per chiarire i troppo frequenti e troppo numerosi abbagli che, purtroppo, si sono registrati anche a proposito dell'insegna di Sorrento. Sull'argomento, Lorenzo Caratti di Valfrei (in "Araldica" osserva: "Anticamente gli studiosi di araldica avevano risolto questo problema in diverse maniere. Alcuni araldisti individuavano i singoli colori, riproducendo sulla figura la prima lettera del colore corrispondente; altri li individuavano utilizzando le prime sette lettere dell'alfabeto; altri ancora, per individuare i vari smalti, riproduceva.no sulla figura uno dei primi sette numeri cardinali; e così via; per non parlare poi di quelli che, per identificare i vari smalti, ricorrevano addirittura al nome dei pianeti solari. Per nostra fortuna, però, ci fu anche uno studioso che propose ima soluzione molto più sensata e di facile applicazione pratica. Questi fu il francese Vulson de la Colombière che propose per primo, S I S T E M A C O N V E N Z I O N A L E inorno al 1600, di individuare i diversi PER IL TRATTEGGIO DEI COLORI colori con degli speciali tratteggi. ILLUSTRATI IN UN SOLO COLORE COLORI Tuttavia, la diffusione di questo sistema Rosso Azzurro Verde avvenne principalmente ad opera di un gesuita italiano: padre Silvestre di Pietrasanta, che per primo l'adoperò nella sua opera Tesserne gentilitiae ex legibus fecialium descriptae, pubblicata a Roma nel 1637. Secondo questo geniale sistema di individuazione dei colori, gli smalti sono riprodotti nel modo seguente: oro: si semina il campo o la figura di puntini; argento: si lascia il campo o la figura METALLI senza alcun segno; rosso: tratteggi vertiOro Argento Esempio cali; azzurro: tratteggi orizzontali; verde: tratteggi diagonali da destra (dalla sinistra di chi guarda il foglio) a sinistra; porpora: tratteggi diagonali da sinistra (dalla destra di chi guarda il 31


foglio) a destra; nero: tratteggi orizzontali e verticali incrociati. A proposito dei tratteggi degli scudi, è opportuno tenere presente ancora un 'altra regola araldica. Se lo scudo si presenta diritto - come nella quasi totalità dei casi - il problema non sussiste. Ma se, a volte, come raramente accade, lo scudo è inclinato, quale deve essere, ad esempio, la direzione del tratteggio del colore rosso ? Quella della direzione del foglio sul quale disegnate lo stemma, oppure quella dell'asse dello stemma, che risulta inclinato? Non esistono dubbi al riguardo: la direzione del tratteggio del rosso deve essere parallela alla direzione dell'asse inclinato dello stemma; analogamente, tutti i tratteggi degli altri colori che dovranno sempre riferirsi all'asse inclinato dello stemma".


4) GLI STEMMI SIMILI A QUELLO DI SORRENTO Avendo ben chiarito e ribadito che, in araldica, la scelta dei colori, delle figure e di quant'altro possa contribuire a caratterizzare un stemma è frutto di precise valutazioni e testimonia chiari significati, una indagine sulle insegne simili a quella della città di Sorrento potrebbe apparire priva di significato. Soprattutto se non si registrano perfette coincidenze. Tuttavia l'approfondimento non è superfluo specie se serve - come nel nostro caso - ad eliminare ipotesi insostenibili o, viceversa, ad indicare possibili piste da seguire. Per questo non si è trascurata l'opportunità di approfondire uno studio sulla materia cercando di estenderlo, al territorio nazionale e, per quanto possibile, anche all'araldica gentilizia italiana e di alcune altre nazioni europee. Grazie ad una ricerca approfondita e scrupolosa (ma non per questo da considerarsi esauriente dell'argomento, né definitivamente esaurita), sono stati rilevati particolari che, in qualche caso, possono fornire spunti per rilevazioni statistiche; in altri, alimentare la curiosità; in altri ancora, stimolare interesse. Prima di procedere oltre è bene chiarire che ai significati espliciti di alcuni elementi, si alternano ARMI COMPOSTE PER ALLEANZE MATRIMONIALI quelli più ermetici di Stemma altri. Se è vero che dell'ava materna l'uso degli stemmi, tra l'altro, ha avuto il dichiarato scopo di testimoniare onori, qualità, virtù e nobiltà delle famiglie e delle comunità che vi si identificano è altrettanto vero che, con il trascorrere degli anni, Stemma possono essersi veridel padre ficati fatti e circostanze che hanno richiesto modificazioni. Nella maggior parte dei casi, le "armi" sono rimaste immutate nel tempo, ma non Stemma composto dell'erede sono infrequenti "rivoluzioni" più o Esempio tratto da "Araldica " di Lon'nzo Caralli di Valfrei (t'dilo da Mondadori) 33


meno significative, avvenute con l'arricchimento di nuovi elementi o con sostanziali modificazioni degli stemmi. Soprattutto nel caso delle "armi" gentilizie, ad esempio, il fenomeno ha dato vita alla elaborazione del sistema delle "brisure" (dal verbo francese che vuoi dire "rompere" o "spezzare"), nato per rispondere a varie esigenze. Tra queste, ad esempio, proprio quella di creare "rotture" rispetto al passato o di "spezzare" la propria storia di famiglia conferendo particolare importanza ad un determinato momento storico, o di "integrare" la simbologia per lasciare traccia delle intervenute novità. Questo sistema prevede almeno una dozzina di possibili variabili: • Aumentare il numero delle figure pre-esistenti con nuove figure d'altro genere. • Diminuire il numero delle figure pre-esistenti omettendone qualcuna. • Aumentare il.numero delle figure dello stesso tipo. • Diminuire il numero delle figure dello stesso tipo. • Cambiare la posizione delle figure. • Cambiare la forma o la dimensione delle figure. • Cambiare gli smalti e conservare inalterate le figure • Cambiare le figure e lasciare inalterati gli smalti. • Cambiare i colori e conservare inalterate le figure • Cambiare le figure e lasciare inalterati i colori • Permutare gli smalti • Inserire nuove partizioni. Ma quali erano le ragioni che potevano determinare la necessità di ricorrere al sistema delle brisure e, dunque, di modificare lo stemma originario? Cercando di non avventurasi in discorsi riservati agli "addetti ai lavori" è possibile individuare almeno tre ragioni: Nell'acquisire nuovi onori, titoli o feudi, le famiglie nobili valutavano l'opportunità di caratterizzare ulteriormente il proprio stemma con nuovi elementi attestanti i motivi di distinzione, o l'intervenuto arricchimento con nuovi domini o l'assunzione del ruolo di "paladino" (o portacolori) di una determinata realtà. Gli appartenenti ad un ramo cadetto di una famiglia già nobile, Dell'acquisire propri onori, titoli o feudi, per consacrare anche visivamente la propria emancipazione rispetto ai diritti del "maggiorascato" (spettanti ai primogeniti di sesso maschile) valutavano, a secondo dei casi, di fregiarsi con un nuovo stemma o di caratterizzare quello della famiglia d'origine con propri elementi distintivi che non escludevano quelli, per l'appunto previsti dal sistema delle "brisure". I matrimoni tra appartenenti a famiglie nobili a partire dal secolo XII hanno dato vita alla nascita di quel fenomeno (che ha definitivamente preso piede nel XV secolo) culminato con la produzione delle cosiddette armi composte. Alla luce di queste brevi premesse, dunque, sarà facile comprendere come mai, tra gli stemmi simili a quello di Sorrento ce ne siano alcuni che, pur appar34


tenendo a componenti di una stessa famiglia nobile, differiscono tra loro. Quanto agli stemmi civici, invece, è chiaro che le eventuali variazioni possono essere state provocate da eventi e decisioni, di grande rilevanza, che hanno visto interessata l'intera comunità locale. Una particolarità, questa, che - come si vedrà in seguito - potrebbe avere riguardato anche la città di Sorrento. Un primo aspetto degno di nota, in ogni caso, riguarda l'araldica pubblica. Malgrado il fatto che fusi e losanghe siano considerati come elementi caratterizzanti alcune delle "pezze onorevoli" più diffuse, abbiamo avuto modo di rilevare che tra gli oltre 7.000 stemmi civici che si possono visionare consultando le pagine web del sito www.araldicacivica.it, ce ne sono meno di 10 che si caratterizzano, per l'appunto, con l'utilizzo di fusi o losanghe. Essi appartengono a Ragogna (Ud); Missanello (Pz); Carinola (Ce); Petritoli (Ap); Argelato (Bo); La Magdeleine (Ao) e Bastida de' Dossi (Pv).

In alto, partendo ila sinii stemmi dei coniuni di: liaxtiila ile' Dossi, Curinola, Mi^anclìo. La Magdeleine. A fianco gli .flenuni ch'i comuni di: Argelato, Petritoli i1 Ragogna

Una circostanza, questa, sicuramente singolare e che, in ogni caso, conferma l'unicità dello stemma della Terra delle Sirene tra quelli degli enti pubblici italiani. Una ultima puntualizzazione di carattere preliminare, infine, riguarda la perfetta osservanza delle leggi araldiche che si riscontra nell'arma sorrentina. Tra quelle individuate dal Crollalanza, ad esempio, spiccano quelle secondo le quali: • Le armi più semplici sono anche quelle più belle. • Le armi devono portare le figure (o "pezze onorevoli") di metallo, su campo di colore. • Le figure non devono toccare la punta dello scudo. • II metallo deve stare nel punto più nobile dello scudo.


Tutte prescrizioni puntualmente osservate per l'insegna della Città del Tasso. Quanto all'accostamento con gli stemmi gentilizi, invece, si può rilevare che l'utilizzo di fusi e losanghe è assai più frequente. Tuttavia non esistono in ambito nazionale - per quanto è stato possibile verificare - perfette coincidenze con l'arma di Sorrento. Diverso è il discorso per altre nazioni del "Vecchio Continente". Al riguardo è bene ribadire che la nostra ricerca, per quanto condotta con scrupolo, ha visto interessati "solo" una trentina di migliaia di stemmi appartenenti a famiglie patrizie italiane e quasi altrettanti appartenenti a famiglie nobili europee. Apparentemente si tratta di quantità enormi. Eppure esse non rappresentano che poche gocce rispetto a quello che può essere considerato l'oceano araldico. Ciò non toglie che tra le armi visionate ce ne sono alcuni che riteniamo essere particolarmente degni d'attenzione per le ragioni che meglio saranno chiarite in seguito.

Un Immaginario Stemma Araldico contenente la maggior parte degli accessori caratteristici di uno scudo d'armi che appaiono nell'araldica europea. Oltre questi, insegne d'ufficio e distintivi possono essere mostrati assieme alle armi, conte pure insegne degli ordini di cavalleria (O). Uno stemma come quello mostrato nella illustrazione, potrebbe appartenere ad un membro dell'alta a risi i era zia europea. Uno stemma normale consiste nello scudo, elmo con cimiero e svolazzi e, qualche volta, un motto. 1 SCUDO 2 ELMO 3 CIMIERO 4 SVOLAZZI 5 CORONETTA 6 CERCINE 7 SOSTEGNO 8 STENDARDO 9 CRI-DE-GUERRE O GRIDO DI BATTAGLIA 10 MOTTO 11 COMPARTIMENTO 12 MANTELLO O VESTE DI STATO 13 CORONA O CORONETTA DI RANGO


UN ESEMPIO DI ARMA COMPOSTA: QUELLA DEI BORBONE

Lo Slemma dei Sorbirne Lo Stemma del Barbone di Napoli è quello approvalo da Ferdinando con provvedimento del 21 dicembre 1816. Esso può essere diviso da linee verticali in quattro grandi settori (grandi partiti). Nel primo grande partito, dal n. I al n. 6 si osservano: ai numeri I e 6, su fondo d'oro, gigli azzurri (arma Farnese); ai numeri 2 e 4, su /ondo rosso, fasce d'argento (arma d'Austria); ai numeri 3 e 5, bande oro ed azzurro (Borgogna antica). Sui tutto, uno scudetto d'argento (numero 7) e cinque scudetti d'azzurro posti a croce con la bordura rossa caricala di sette torri d'oro (Portogallo). Nel secondo grande partito, dal numero 8 al numero 16, si trovano: nel primo inquartato, ai numeri 8 e II, su fondo rosso "Castelli torricellati" d'oro (arma di Pastiglia); ai numeri 9 e IO, su fondo d'argento, leoni rossi coronati d'oro (Leon); alla base (numero 12). su fondo d'argento, melagrana rossa con stelo e foglie verdi (Granata); al numero 13, su fondo rosso, fascia d'argento (Austria); dal numero 14 al numero 16 si osservano un bandaio d'oro e d'azzurro con bordura rossa (numero 14) e, su fondo d'oro, Icone nero linguaio di rosso (numero 15) indicante l'arma di Fiandra; al numero 16, su fondo azzurro, gigli d'oro sor/lionati da "lambello rosso" a cinque pendenti (Angiò antico). Nel terzo grande partito, dal numero 17 al numero 22 si osserva: al numero 17, su fondo d'oro, quattro pali rossi (Aragona); al numero 18, un inquartato con fondo d'oro e quattro pali rossi e fondo d'argento e due aquile spiegate, e coronate di nero ( Aragona - Sicilia). al numero 19, su fondo azzurro, vari gigli d'oro con bordura di rosso e argento (Borgogna moderna); al numero 20, fondo nero con leone d'oro linguaio di rosso (Brabbante); al numero 21, su fondo d'argento, l'aquila in volo colar rosso coronata d'oro (Tiralo); al numero 22, una croce e quattro crocette d'oro su fondo d'argento (Gerusalemme). Nel quarto grande partito: al numero 23, su fondo d'oro, cinque palle in rosso, accompagnate in alto da palla azzurro con tre gigli d'oro Al centro "su tutto ", al numeo 24, scudetto azzurro con tre gigli d'oro, bordato di rosso ( Barbone - Angiò). L'intero scudo è sormontato dalla corona reale e contornato dai seguenti ordini cavaliereschi: a) Real Ordine del Santo Spirito b) Real Ordine di San Ferdinando e del Merito e) Real Ordine di San Gennaro d) Ordine del Toson d'Oro e) Real Ordine Costantiniano di San Giorgio f) Real Ordine della Concezione. 37


STEMMI TRATTI DA "EUROPEAN ROLLS OF ARMS OF THE THIRTHEENTH CENTURY" E DAGLI ARMORIALI WIJNGBERGEN, ALEMANS, FRANCOISE BRETAGNE E BEAWAIR E DAI ST. GEORGE ROLL, HARALDIS ROLL E BIGOT ROLL.

Fiere de Rennemoulin

V Pierre de Villiers

V Longeons

V Robert de Perci

Henry dePerey

4» * «

38

Fosseux de Moyencourt

* ** v

Ralph Daubeney

Richard de Crouepes

John de Persy

Giullarne de Chauvigny Baron de Chateauroux

Philip Daubeney

V Lancelot de Saint Maart

V

Giullarne de Hamale


Piers de Percy

Eschelard de Montreuil

V Eschelard de Montreuil

Ralph Daubeney

V Baeauval

Pierre de Rennemouil

Jeal de Chauvigny Sire de Levoux et Chambray

V Eschelard de Montreuil

Philip Daubeney

Walter de Percy

licrs

Guillaume dcHamal

V La Jaille

V Guillame de Chauvigny

V.V.V.V.

V Lancelot de SaintMard

Damau dcHamal

Guille Eschelaz de Monstrcu 39


STEMMI DI ALCUNE FAMIGLIE ITALIANE CARATTERIZZATI DALL'UTILIZZO DI "PEZZE ONOREVOLI" CHE CONTENGONO FUSI O LOSANGHE

Ajutamicristo

Famiglia Pesaro

Minghini

Osii

Santigliano

MorrĂ

Marco

DcpmLnrt;

LeonLim o Lcntini

Bardi

mi Artusi

Girini o Girino

*** Ranuzzi

Forni Cervaroli 40

Tibcrtelh

Famiglia Valmarana

Tivelli


5) LE IPOTESI INSOSTENIBILI L'esistenza di prove capaci di testimoniare il fatto che la foggia dello stemma di Sorrento era simile a quella attuale almeno dalla fine del 1300 (diversificandosi solo per numero di fusi) ed identica a quella odierna a partire almeno dalla seconda metà del XVI secolo, permette di stabilire quali siano le ipotesi insostenibili in merito al suo significato. Nell'offrire possibili interpretazioni siili'argomento, in concreto, nessuno si è avventurato oltre le spiegazioni che, in astratto, possono dedursi dai principi araldici generali. L'unica eccezione è rappresentata da Elisabetta Aversa che, nel suo '"Na 'facciata 'e funesta", prende in considerazione una possibilità sicuramente romantica e suggestiva, ma non attendibile. L'Aversa, infatti, scrive: "Fin dall'antichità la Città di Sorrento si è fregiata dell'emblema che la rappresenta; non abbiamo notizie certe in merito a tale evento ma possiamo almeno spiegare il significato araldico di questo stemma. Le losanghe di argento (cinque nel nostro emblema) indicano nei cittadini virtù guerriere e vigilanza contro i nemici, mentre il campo rosso sul quale poggiano sta a simboleggiare la difesa della propria patria e della religione. Nel corso dei secoli molte sono state le occasioni in cui Sorrento ha mostrato tali virtù, ma a noi piace ricordare un episodio che accadde quel famoso 13 giugno 1558, giorno in cui Sorrento fu devastata dall'ira dei saraceni. Apertasi loro la porta che da Marina Grande saliva alla città, saccheggiarono e bruciarono dovunque prendendo molti prigionieri e finanche le monache; i nobili Pompeo Man.au, Paolo Vulcano, e tre giovani della famiglia Anfora, affrontarono nella chiesa di Sant'Antonino, un gruppo di invasori per impedire il furto dell'argentea statua del Santo Patrono, ma caddero massacrati. Fu forse per onorare la memoria di questi cinque valorosi che nacque questo emblema con le cinque losanghe?" In effetti l'ipotesi è difficilmente condivisibile per diversi motivi. Innanzitutto perché i fatti a cui si riferisce l'autrice prendono in considerazione l'aspetto parziale di una pagina di storia assai dolorosa per la comunità locale perché culminata con l'invasione dei turchi; con il rapimento (finalizzato ad ottenere lauti riscatti) di molti sorrentini; con atti di violenza - anche a sfondo sessuale - tipici di certe scorribande saracene e con il saccheggio e la distruzione della città. Difficile immaginare che rispetto a momenti così spiacevoli si sia voluto ricordare il pur nobile ed estremo sacrificio (tra l'altro non unico in quegli stessi giorni) di soli cinque patrizi. 41


In secondo luogo perché la storia della Terra delle Sirene è piena di episodi che avrebbero meritato di essere immortalati nello stesso modo perché egualmente eroici, anteriori e molto più felici di quello preso in esame dall'Aversa. Infine non si può trascurare il fatto che - come già evidenziato in premessa l'insegna sorrentina era simile a quella oggi conosciuta già due secoli prima dell'invasione dei turchi. Rispetto a ciò è arduo sostenere che l'arma di una città possa essere stata modificata per immortalare un aspetto così specifico ed onorare la memoria e le gesta di una minima parte dei tanti sorrentini che pure caddero in quell'occasione. Ciò nonostante, si ha il dovere di cogliere il nobile desiderio della scrittrice evidentemente intenzionata a cercare di colmare l'imperdonabile lacuna esistente in materia, alimentando, in alternativa, la curiosità e stimolando proprio con il ricorso ad una formula interrogativa, l'elaborazione di tesi convincenti. Non esistendo alcun documento, né potendosi utilizzare alcun atto formale, non resta che considerare un ventaglio di possibilità più attendibili e rispetto al quale procedere per esclusioni. Purtroppo, non ci sono elementi concreti per sostenere la tesi secondo la quale l'origine dell'arma di Sorrento risalga all'epoca del suo ducato (ovvero ad un periodo antecedente al terzo decennio del XII secolo). E ciò a prescindere dai sempre più esigui margini di autonomia decisionale degli ultimi signori della Terra delle Sirene. Peraltro se così fosse stato, sarebbe anche stato probabile che lo stemma della famiglia dominante avrebbe contenuto elementi richiamanti quello della Città o, viceversa, quello del Ducato avrebbe potuto ispirarsi a quello dei suoi titolari. Viceversa, tra le insegne delle famiglie Mastrogiudice e Sersale (entrambe discendenti dalle medesime radici genealogiche ducali) e quelle sorrentine non si risconStemma della famiglia Sersale tra alcuna - nemmeno remota - somiglianzà. Ne è possibile trovare elementi di conforto nell'osservazione del Follaro che pure fu l'unica moneta sorrentina mai coniata e che conobbe diffusione proprio nell'epoca considerata. Non poco impegnativo, invece, è il tentativo di sostenere una qualche comunanza tra lo stemma della Città del Tasso e quello di altre famiglie locali. Almeno facendo il confronto con le armi che vengono accreditate a ciascuna di esse. Nel caso del blasone degli Anfora, ad esempio, la presenza di fusi o losanghe (che comunque differisce da quelli sorrentini per numero e per aspetti cromatici) è una pista troppo inconsistente e vaga Sle/uina della famiglia Mastrogiudice per articolare qualsiasi discorso convincente. 42


Per quanto iscritta al Sedile di Porta ed annoverata tra le più nobili famiglie locali, peraltro, quella degli Anfora non ha ricoperto cariche, né svolto moli significativi (in termini di gestione del potere cittadino) se non in epoca cinque-seicentesca. Un periodo questo che, come già puntualizzato in premessa, è troppo recente. Similmente impegnativo è il tentativo di confermare la fondatezza dell'ipotesi secondo la quale il numero dei fusi è da rapportarsi a quello dei comuni della Penisola (perché essi hanno, di fatto, acquisito piena autonomia solo in diversi periodi storici che spaziano dal 1300 al XIX secolo) o dei casali (perché a parte il fatto che la Stemma della famiglia Anfora loro importanza è variata nel tempo, c'è da ricordare che la nobiltà della "Capitale" non ha mai permesso che essi acquisissero particolare dignità). Discorso a parte, invece, meritano le tesi miranti a dimostrare la riconducibilità del numero dei fusi presenti nello stemma sorrentino a quello delle porte o a quello dei bastioni della città che potrebbero fondarsi su possibili significati della "pezza onorevole" in chiave bellico-difensivistica. Nel caso dei varchi che consentivano l'accesso all'interno della cinta muraria del capoluogo della Costiera, infatti, f deve rilevarsi che il suo numero è variato nei secoli. La porta di Parsane Nuovo, ad esempio, risale al 1745 e ciò basta, evidentemente, a mettere in risalto l'infondatezza dell'accostamento. Più antica è la datazione dei bastioni che, invece, sono cinque da epoca più remota. Tuttavia, al riguardo, non deve essere sottovalutato il fatto che la cinta muraria (come ricorda Antonino Di Leva (nel suo "Entro la cerchia delle mura antiche") fu completamente rinnovata - ed in parte rifatta nella parte meridionale, durante la seconda metà del '500 e più precisamente dopo lo sbarco e l'opera devastatrice che i saraceni compirono nel 1558. Peraltro lo stesso Di Leva Sottolinea che l'impostazione pentagonale delle for- Veduta della porta del piano di Ponipco Correlile 1800) tratta da "Pompeo Correale tificazioni è tipica proprio di quel secolo. (fine Collezionista, mecenate ed artista", a cura di Cartello (edito da Franco Di Mauro Il che, anche in questo caso, costitui- Rubina Editore) sce un invalicabile limite temporale. 43


6) PRIMI ACCENNI SUL POSSIBILE SIGNIFICATO L'analisi di quelle che abbiamo definito come le "ipotesi insostenibili", nello sgomberare il campo da numerosi equivoci, a nostro avviso, lascia lo spazio per avvalorare un'unica tesi superstite. I cinque fusi contenuti nello stemma sorrentino sono da porre in relazione ai patroni cittadini: Sant'Antonino, Sant'Attanasio, San Baccolo, San Renato e San Valerio. Ad avvalorare questa interpretazione - al di là del fatto che non sono individuabili altre eventualità - concorrono diversi elementi tra i quali due sembrano essere decisivi. 1) Dal punto di vista araldico, ad Un particolare delle tarsie di Giuseppe Rocco che abbelliesempio il richiamo ai protetto- scono il duomo di Sorrento, raffigurante i cinque santi ri celesti ben si concilia tanto patroni che difendono hi città. alla valenza riconosciuta agli aspetti fideistico-religiosi, quanto a quella riconducibile alla difesa della comunità locale, che si vogliono leggere nelle insegne della città del Tasso. I miracoli attribuiti (individualmente e collegialmente) ai patroni nello scongiurare gli effetti devastanti di invasioni considerate certe o di scontri militari destinati a concludersi con altrettanto certe sconfitte, sono numerosi. Come quello ricordato a proposito della liberazione di Sorrento dall'assedio del principe Sicardo (nell'anno 835), o come quello che avrebbe comportato la vittoria contro i saraceni (nell'849), o come quello che avrebbe posto fine all'asseDipinto commemorativo della fine dell'assedio del generali dio del generale Grillo nel Grillo esposto nella basilica dì S. Antonino 1648. 44


Ciò senza sottovalutare la tutela dell'incolumità cittadina sul fronte "sanitario" riconosciuta dai fedeli in occasione dell'epidemia di peste del 1656 o di quelle di colera del 1866 e del 1884. Peraltro, sebbene si tratti di una testimonianza assai recente, sembra eloquente l'invocazione iscritta sulla base di appoggio della statua di Sant'Antonino - custodita nella cripta della Basilica a lui intitolata - che recita: "Vigile sentinella nella difesa di Sorrento prega per noi". In essa le accezioni da attribuire ai termini "sentinella" e "difesa" sono molteplici potendosi spaziare, come già evidenziato in precedenza, tanto sul fronte fideistico-religioso, quanto su altri relativi ad aspetti più grettamente terreni. 2) La corrispondenza tra il numero di fusi dell'insegna cittadina e quello dei Santi patroni, inoltre, ben si presta anche a valutazioni di carattere grafico. La forma delle mitrie dei cinque santi, infatti, richiama alla mente quella di fusi troncati alla base. In questo senso, inoltre, è interessante creare un provocatorio ed artificioso accostamento tra uno stemma che, tra l'altro, riporta alcune mitrie in forma esplicita e quello della città di Sorrento. Le difficoltà oggettive che si incontrano nel sostenere che possa essersi registrata una evoluzione grafica capace di "trasformare" le mitrie in fusi non sminuisce il valore della tesi sostenuta perché le argomentazioni araldiche di carattere generale sono sufficientemente valide. della famiglia Sul punto, insomma, non ci sembra che possano esserci Stemma Coloniìti della Corsica dubbi: il richiamo ai Santi patroni è palese ed indiscutibile. Definiti i primi accenni sul significato dell'insegna della Città del Tasso, resta, invece, da chiarire l'epoca della sua origine e da rispondere ad un interrogativo che, come si vedrà, è tutt'altro che peregrino: la sua foggia è rimasta inalterata nel corso dei secoli? Come pure restano da approfondire gli aspetti relativi alle circostanze in cui nacque lo stemma e ad una Dipinto commemorativo della liberazione della città di Sorrento sua più complessiva spiegadalia peste del 1656 esposto nella basilica di S. Antonino zione. 45


7) UNA CITTA', MILLE PROTETTORI Avendo teorizzato che i cinque fusi contenuti nello stemma sorrentino sono da porre in relazione ai Patroni cittadini, riteniamo opportuno soffermarci su alcuni aspetti devozionali evidenziando l'importanza di alcuni privilegi goduti dalla Penisola sorrentina in ambito ecclesiastico e l'esistenza di un insospettato numero di Santi protettori.

Immagini di elicimi patroni di Sorrento, in particolare lineile dei Santi: Antonino, AllanasĂŹo, Baccalo, Renalo. Valerio, Gennaro, Francesco SaverĂŹo e Kiagio. Affreschi visibili sul soffitto del coro della Cattedrale di Sorrento

PRIVILEGI E PREROGATIVE I fedeli di sette parrocchie della Penisola Sorrentina sono tra i pochi al inondo che, ancora oggi, godono del privilegio di poter scegliere il proprio pastore. II che, in deroga a qualsiasi disposizione prevista dal diritto canonico, con-


sente, di fatto, che la carica venga assegnata "democraticamente" e non in virtù di indicazioni verticistiche che prevedono la designazione vescovile. Il fenomeno, per la sua singolarità e per il suo evidente carattere di eccezionaiità, non manca di suscitare scalpore. Eppure si tratta di ben poca cosa rispetto alle prerogative che, nei secoli passati, erano riconosciute come espressione dei diritti vantati tanto dagli stessi fedeli, quanto dall'apparato ecclesiastico locale. A prescindere dalle polemiche, più o meno fondate, circa la dignità della Chiesa sorrentina (che i più, in una sorta di ideale scala gerarchica regionale, vogliono seconda solo a quella napoletana, malgrado le pretese dei capuani) appare evidente che la Terra delle Sirene, anche in ambito ecclesiastico, abbia goduto di grandissima libertà e di eguale prestigio, fino ad epoche relativamente recenti. Ciò, probabilmente, è dovuto tanto alle dimensioni del suo territorio (che spazia tra Castellammare di Stabia e l'Isola di Capri) quanto al riconoscimento della considerazione in cui veniva tenuta la nobiltà "civile" ed "ecclesiastica" espressa in zona. Basti pensare ai meccanismi che hanno regolaLA CHIESA SORRENTINA mentato la nomina dei vescovi prima e degli arciE I SUOI PASTORI vescovi poi. Su questo fronte è illuminante Pasquale Ferraiuolo (ne "La Chiesa Sorrentina e i suoi pastori"): "Inizialmente la designazione della persona che si voleva per vescovo spettava al clero della diocesi e al popolo. In seguito il concilio lateranense II, tenuto nel 1139, modificò profondamente l'operato della Chiesa, escludendo dalla partecipazione alla nomina del proprio vescovo i laici ed il clero in VI:M:IIMIII.I: COM;KKI;.\XIONK i>r.i SLUM ni M u i n generale, riservando tale Sorrento MCM.XCI nomina al solo Capitolo della Chiesa Cattedrale. Anche questa facoltà, 47


già nel secolo XIII, venne limitata e ristretta dalla sede apostolica, che si riservò il diritto di provvedere, in molti casi, alle diocesi vacanti, anche se durante il concilio di Basilea, tenuto nel 1443, i vescovi furono di parere contrario. Infatti troviamo che verso la fine del secolo XV, in Italia ed in genere nei suoi paesi latini, si perdette completamente l'usanza di elezioni capitolari. Nel Meridione poi, con la formazione del Regno Normanno, si ebbe una certa ingerenza dell'autorità civile che apportò modifiche alle disposizioni del Concilio Lateranense II. Infatti troviamo che i Capitoli eleggevano sempre il proprio vescovo, ma l'eletto non poteva essere consacrato né immesso nell'ufficio pastorale, se non era persona gradita al Re. Tale sistema rimase in vigore anche durante la dominazione Sveva. Cambiò invece sotto gli angioini e gli aragonesi, il cui intervento nella nomina dei vescovi, tranne in caso di patronato, fu escluso ed i Capitoli ripresero la loro primitiva libertà". Ai fini del nostro lavoro, però, ben più articolati approfondimenti meritano anche altri aspetti. Come quelli relativi al numero dei Santi Patroni, alle ragioni che ne hanno determinatola scelta ed alle mutazioni che sono intervenute nel variarne l'importanza agli occhi dei fedeli. UNA CITTA', MILLE PROTETTORI Tra i tanti meriti che vanno riconosciuti a Giovanni Paolo II, figura anche quello di aver dato, durante il suo lungo pontificato, risposte concrete alle sollecitazioni pressanti formulate dai fedeli in ordine all'esigenza di riconoscere i meriti che hanno trasformato tanti "semplici cristiani" in altrettanti Santi. Tra le intenzioni Vaticane non può esserci il desiderio di cancellare antichi culti, ma è innegabile che ci siano evidenti degenerazioni. Accade spesso, infatti, che molte nuove devozioni stiano soppiantando altre più remote. Quasi come se qualche "vecchio" Santo stesse perdendo le proprie virtù taumaturgiche e miracolose in favore di quelli "emergenti". Quello delle variazioni degli "indici di 48

Tela inserita nel soffitto ch'Ila navata centrale 'Iella Cattedrale di Sorrento raffigurante il martirio dei primi Santi .sorrentini (Nicola ed Oron/o Malinconico 1685)


gradimento" sul fronte devozionale, per certi versi, ripropone un fenomeno che, per secoli, ha già caratterizzato la storia di Sorrento. Oggigiorno, infatti, tutti riconoscono in Sant'Antonino Abate il Patrono della Città. Molti meno sono quelli che conoscono l'esistenza di almeno altri quattro compatroni (i quattro Santi Vescovi di Sorrento: Attanasio, Baccolo, Renato e Valerio). Pochissimi, infine ricordano che i sorrentini, con il trascorrere degli anni, hanno acclamato un numero di patroni e protettori che supera cinquanta "avvocati celesti" e che hanno attribuito loro, in funzione dei vari momenti storici, una importanza che si è modificata nel tempo. I primissimi cristiani locali, ad esempio, al di là del culto riservato al principe degli Apostoli, San Pietro, non possono aver fatto a meno di alimentare la propria fede nel ricordo dei martiri sorrentini. Al riguardo non si hanno notizie certe, né sull'esatto numero, né sul nome di coloro che sacrificarono la vita in nome della fede. Le ipotesi storiografiche più accreditate, rifacendosi al Martirologio Romano parlano di Marco, Quinto, Quartilla, Quintilla ed altri nove compagni (dunque tredici in tutto), ma è certo che, a lungo, i sorrentini hanno riservato particolari attenzioni alla chiesa dei Quaranta Martiri. Al punto che proprio questa Chiesa, assieme a quella di San Giacomo della Marina Grande (nel 1770) finì al centro di una disputa tra Don Giuseppe Guardati, da una parte, e Don Baccolo e Reverendo Canonico Girolamo Aminone, dall'altra. Dell'episodio si conserva una dimostrazione del diritto di pertinenza (in favore del primo) presso il Museo Correale. L'ipotesi che i martiri in questione, unitamente a San Pietro, possano essere stati i primi Patroni, non è suffragata da prove, ma la tesi, è, in ogni caso, assai verosimile. Quanto al patronato di Vista dei ruderi dell'Abbazia di S. Renato (Teodoro custodita al Museo Comale, immagine tratSant'Antonino, così come quello dei Duclère) ta da "Pompeo Correale - Collezionista, mecentate ed Santi Attanasio, Baccolo, Renato e artista " a cura di Rubina Carie/lo (edito da Franco Valerio, non ci sono, invece, dubbi di Di Mauro Editore) 49


sorta se non in ordine ali'"importanza" che ciascuno di essi ha avuto nella storia della Terra delle Sirene con il trascorrere dei secoli. In questo senso le ipotesi più o meno verosimili circa la localizzazione della Cattedrale nella Chiesa di San Renato offrono abbondanti spunti di riflessione. Come pure li offre il fatto che certamente anche la Chiesa dei Santi Felice e Baccolo - sia pure per un periodo di tempo limitato a pochi secoli - ha avuto la dignità di Cattedrale. Né può essere sottovalutata la lettura offerta dagli studiosi circa le immagini raffigurate sul Follare sorrentino. I più ritengono che su una delle due facce della moneta è stato effigiato un vescovo (dunque non poteva essere Sant'Antonino) e precisano che esso potrebbe essere San Baccolo. L'ipotesi che proprio quest'ultimo, assieme a San Renato e probabilmente anche a Sant'Attanasio e San Valerio, possa aver goduto, in passato, di maggiore prestigio rispetto all'attuale "Principe dei Patroni sorrentini" è tutt'altro che peregrina. Tanto più che il tempio dedicato all'Abate Antonino conobbe vero splendore solo a partire dalla fine del XIV secolo. L'elenco dei protettori sorrentini, in ogni caso, è ancora particolarmente copioso. Sempre tra i Patroni locali, infatti, figurano: San Gennaro e San Nicola di Bari (come sostenuto da Pasquale Ferraiuolo, aiutato nelle ricerche storiche da Luigi Fattorusso, Antonino Fiorentino ed Achille Laudonia in "Chiese e monasteri di Sorrento" oltre che da altri). Ma le indicazioni più singolari sono contenute ne "La Penisola Sorrentina - Istoria - Usi e costumi Antichità" di Manfredi Fasulo, secondo il quale nel 1773 "Mediante votazione si nominarono avvocati e protettori di Sorrento, San Vincenzo Ferreri, con voti 30 favorevoli ed uno '': T contrario e i Santi Nicola da In questa pagina ed in quella seguente, due tele inserite soffitto della navata centrale della Cattedrale di Talentino e Michele Arcangelo "viva nel Sorrento raffiguranti S. Antonino, S. Attanasio, S. voce" a unanimità, rigettandosi così Baccolo, S. Gennaro, S. Renato e Valerio (Nicola ed la controproposta di Francesco Oronzo Malinconico 1685). 50


Maria Correale, che voleva si fossero prima realizzati i donativi promessi agli antichi patroni" Lo stesso Fasulo dopo aver sottolineato che "questo fatto delle votazioni per la nomina dei Santi Protettori, è varie volte ripetuto e costituisce uno degli usi più caraneristici di Sorrento nel secolo XVIIT aggiunge più avanti: "I fratelli della nuova confraternita dei Sette Dolori, nel 1737, supplicano la "Città" di mettersi sotto la protezione "molto vantaggiosa" dell'Addolorata col farle ogni anno la stessa offerta che si dava alla vergine del Rosario. Il cavaliere Francesco Antonio Correale, chiamato a dar parere, esponeva che la città doveva, prima di eleggere altra protezione, ripristinare e pagare gli assegni fissati per gli antichi "patroni" tra i anali San Filippo Neri e la Maddalena. Ma l'Università nominava protettrice l'Addolorata senza votazione "viva voce, nemine discrepante" con relativa offerta". Ed, infine, sempre Fasulo, arricchisce ulteriormente la lista puntualizzando: "Nel 1741, per secondare il volere della S.C. dei Riti, si rinominarono "a voti secreti" san Nicola da Talentino a Patrono di Sorrento.... L'anno seguente il Parlamento Sorrentino, dopo aver fatta l'elezione dei soldati, previa Messa nel Cannine e giuramento di osservanza ai Reali Ordini, nominava, a voti secreti, anche San Rocco, Patrono. Nel 1749 poi per accrescere la schiera dei protettori, si aggiungeva San Francesco Saverio con votazione a bussolo". E qui, fatta salva qualche involontaria omissione, si conclude l'elenco. Alla luce dei dati e delle indicazioni emerse risulta evidente che l'argomento è sicuramente meritevole di quegli ulteriori ed opportuni approfondimenti che, per non disperdere energie e non appesantire il nostro lavoro, per il momento, non riteniamo di effettuare. In questa opera, infatti, nell'affrontare l'argomento, si è inteso solo porre le premesse che serviranno, in seguito, a comprendere meglio i successivi ragionamenti. Resta il fatto che la scala di valori che si registra oggi sul fronte patronale è ben diversa da quella dei secoli passati. 51


8) L'ARMA DI MUSSOLINI: IL DUCE RICONOSCE LA DIGNITÀ' DI CITTA', MA SI CONSOLIDA L'EQUIVOCO DELLE LOSANGHE Nel percorrere all'indietro le strade della storia, la prima importante analisi non poteva che riguardare il più recente atto formale: quello che legittima legalmente Sorrento ad utilizzare l'arma che tutti conosciamo. Il primo che ha dedicato attenzione all'argomento in epoca "recente" è stato Michele Gargiulo che nel 1998, (vedi immagine in basso) ha curato la stampa di un bel depliant nel quale vengono brevemente ripercorse le tappe salienti dell'iter culminato con l'adozione del Regio Decreto con il quale il 20 settembre 1928, Benito Mussolini, in qualità di Capo del Governo, concesse l'autorizzazione per l'adozione dello stemma.

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ARMA DI SORRENTO Crediamo conveniente niiKin/i tratto rccurc n comune iiHellij;cn/Li lo Stemma della città di Sorrentn. madie e nutuce dei Mileiituomini che in questi cenni vengono rammemorali. E' antichissimo l'uso delle insegne presso le città. Erodoto. PI inarco, Plinio, Livio, Svetonio, e per tino yli Atti degli Apostoti ce ne somministrano ampie prove. E' da ritenersi che le insegne in principio furono adottale quali me/y.i da distinguere una cittì, una tribù, una falange dalle altre, e sembra che solo ai tempi della prima crociala fossero divenute un'espressione di nobiltà e di onorali/a. Sorrento da tempi remoli eleva ad amia cinque losanghe di argento in campo rosso, e poiché noi scriviamo solo per la detta città, togliemKvi la nostra ptx'htv/a oiini spcran/adi veder diffuso in più vasto ori//.onle il modestissimo nostro lavoro; e poiché scriviamo non solo per eruditi, ma per ogni classe dì umidirti i quali non lutti possono essere versati sulle araldiche discipline, non ripuliamo superfluo commentare la della Anna. Gli stemmi, a parere di competenti autori, vengono definiti una marca tli onore e di nobiltà t'.\prt'\Mi da colori e ita figuri1, (Ulti mi cifrila re itii'a'ionc intiifiiiininia o un virtuoso concaio (Iclì'iininio. Né documenti né storia palesano in quale rincontro, e per eternare la memoria di quale successo Sorrento avesse adottato il descritto emblema, che pa/ienti ricerche ed accurate investiga/ioni sull'oggetto son amaste improduttive dirisiliUtto;certo è che esso esprime sensi benemeriti. magnanimi, onorabili, impeux'ché nel conven/jonale linguaggio dell'araldica le IsseagfU dinoliuio virili guerriere, vi$ilan~u contro il nemico, animo tk'h'rminuto a respingere le ii^rex.wni, et! il C '«/»/*> rosso Aigni/icii gaudio, magnificenza, ed (initno tnjititniìiiilo nella difesa dell'avita religione e della putriti civiltà. Il lesto ARMA DI SORRENTO è tratto dal libro "Cenni Storici sulla NOBILTÀ' SORRENTINA" di Gaeltino CiinztiHo-Avnnut ('/;/'"*'•"/>' ^/m-t-.i/r/w.-i;«-'

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L'efficacia del provvedimento è stata positivamente riscontrata presso la Consulta Araldica che il 22 settembre 1928 lo ha trascritto nei propri registri. Al riguardo, in ogni caso, va rilevato che con l'avvento del Fascismo Sorrento ed altri comuni della Penisola registrarono una serie importanti cambiamenti. Come quelli determinati dal Regio Decreto del 14 aprile 1927 con il quale si stabiliva che le realtà municipali di Meta, Piano di Sorrento, Sant'Agnello e Sorrento fossero riunite in un unico Comune che diede vita a quella che a lungo è stato denominata la "Grande Sorrento". Appena un mese dopo - il 24 maggio 1927 - Stefano Mastrogiacomo veniva nominato Commissario Prefettizio, dall'Alto Commissario per la Provincia di Napoli. Probabilmente il "conio" del nome per il nuovo ente pubblico è dovuto proprio a lui, dal momento che nel manifesto con il quale l'8 giugno si presentava alla popolazione, scriveva: "Al compimento dell'incarico affidatomi io mi dedicherò con animo d'italiano, di funzionario, di fascista: e non dubito di un solo momento che ciascun cittadino, sopra ogni altro MUNICIPIO DI_5flNTflQNELLO interesse, saprà VEH2ÌLE DI PRESA DI POSSESSO DEGLI mostrarsi degno TOPICI COi;UI. iI,I della nuova, più L'anno millenovecentoventi sette, anno V- addi primo giugno grande e più bella nella sede comunale di Santagnello* Sorrento, alla In seguito al Decreto di S. E. L'Alto cosaicsario per la Provinquale il Governo cia di Napoli, in date 24 maggio ultimo, col quale il eig .- Stci'aBO Nazionale ha lìastrogiacomo è etato nominato commissario Precettici o per l'agnini— dimostrato e dimo- strazìone del nuovo comune di Sorrento, sono convenuti il predato strerà di rivolgere Casat, liastrogiacomo ed il sig. Annui ragli o Eugenio Trifari, commissario Prefettizio per q_uesto Comune, cessonte da Punta Sentalo a Assiste il segretario del Comune sig. Paolo CalifanoCapo di Sorrento Bsso sig. Ammiraglio Trifari, in detta qualità, fa forcale conle sue particolari segna al Coma. Maatrogiacomo degli uffizi comunali, mobili, archivi, cure. registri contatili, atti e pratiche in corso. Il Comai. Xlaotrogiacomo accetta tele consegna, riservandosi di Con tali sentiDOrtare il suo esame sui singoli affari del Gcmunee menti ho assunto i Bel che si è redetto il presente verbale in quattro originali miei poteri e porgo debitamente approvati e sottoscritti. un cordiale saluto Il Commissario assumente ai cittadini tutti - 'i^^- -'~ -~'-' della nuova Il Segretario Sorrento e alle cessate, benemerite Amministrazioni Comunali". :

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Mastrogiacomo, nell'insediarsi nella nuova sede municipale della "Grande Sorrento" (che era stata stabilita nel palazzo comunale di Sant'Agnello), immediatamente rilevò l'esigenza di individuare un unico stemma. Appena pochi giorni prima (il primo giugno), infatti, nel prendere possesso degli uffici comunali dalle mani del commissario prefettizio del cessante comune, Ammiraglio Eugenio Triferi, alla presenza del segretario generale Paolo Califano sottoscrisse un verbale su carta intestata del Comune di... Sant'Agnello!!! Il che, evidentemente, per il responsabile del neonato soggetto amministrativo, fu sicuramente imbarazzante. Non solo per sgomberare il campo da ogni equivoco, ma anche per rendere visibile l'avvenuta unificazione con l'utilizzo di un comune simbolo identificativo, Mastrogiacomo, appena qualche giorno dopo - probabilmente in seguito a velocissimi accertamenti volti a stabilire gli iter procedurali da seguire - il successivo 17 luglio prese l'iniziativa di chiedere al Capo del Governo l'autorizzazione ad utilizzare lo stemma della Città del Tasso - "essendo il più antico tra gli altri" - per il nuovo ente pubblico. E Mussolini il 20 settembre 1928 non solo decretò in tal senso, ma concesse proprio alla Grande Sorrento la dignità di Città, consentendole di utilizzare la corona turrita.

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della deliberazione con la (/naie il commissario MostrogioconiQ richiese al Duce l'autorizzalo dello sh'ììinui per la "Grande" Sorrento.

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Proprio per effetto di questi documenti, però, si consolida un clamoroso equivoco: quello già evidenziato in precedenza in merito all'indicazione delle losanghe invece che quella dei fusi. Il Commissario Mastrogiacomo, infatti, nella sua richiesta determinò: ''adottarsi per il nuovo Comune lo stesso stemma del cessato Comune di Sorrento, costituito da uno scudo con cinque losanghe e corona". Tuttavia nel disegno allegato all'istanza e valicato da Mussolini risulta evidente che nello stemma di Sorrento figurano cinque fusi e non cinque losanghe. L'appena richiamato disegno sana in maniera chiara, inequivocabile e defini54


tiva, le imprecisioni blasonico-lessicali e, di per sé, basta a stroncare ogni diatriba ed ogni sterile polemica sulla effettiva configurazione della "pezza onorevole sorrentina".

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Ciò nonostante - volendo essere pignoli - potrebbe essere utile sostenere l'esigenza di una nota rettificati va ufficiale. Di fronte al riscontrato inconveniente, in ogni caso, è lecito domandarsi come sia stato possibile che esso si verificasse. La spiegazione non è difficile. Proprio perché di fronte all'assoluta mancanza di documenti certi, il Commissario Mastrogiacomo davanti alla necessità di individuare il "nuovo" stemma con tempestività, non ebbe materialmente il tempo di commissionare studi e ricerche sull'argomento. Con la massima buona fede, invece, utilizzò l'unica descrizione esistente: quella formulata da Gaetano Ganzano Avarna nella sua pubblicazione sulla nobiltà sorrentina. E nel far questo fece propri, purtroppo, gli altrui errori anche se parzialmente compenUna delle ultime fotografie di Benito Mussolini che in qualità di Capo del Governo concesse l'autorizzazione all'uso dello sati dalla produzione del disestemma della Città di Sorrento il 20 Settembre i 928 gno "riparatore". :,=,


9) LA STORIA DEL GONFALONE E DELLA BANDIERA FUORILEGGE E QUELLA DELL'ULIVO CHE NON C'È' Una verifica effettuata presso l'Ufficio Onorificenze e Araldica del dipartimento del Cerimoniale dello Stato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha riservato una prima serie di sorprese. Agli atti del competente ufficio, infatti, non è risultata nessuna autorizzazione (e neppure nessuna domanda finalizzata ad ottenerla) per l'utilizzo del gonfalone e della bandiera. Sulla materia le disposizioni di legge (quelle dettate dai Regi Decreti 651 e 652 del 7 giugno 1943) sono chiare: le procedure da seguirsi sono le stesse di quelle previste per richiedere l'autorizzazione all'utilizzo dello stemma. In questo senso, invece, fino a qualche tempo fa, al Comune di Sorrento, nessuno ha mai istruito alcuna pratica. Ma non basta. Alla illegalità sostanziale che si è riscontrata in merito alla esposizione "abusiva" di bandiera e gonfalone, infatti, si uniscono anche gravi vizi formali. Gonfalone e bandiera locali, infatti, non risultano essere rispettosi dei principi araldici. Ciò perché per lo sfondo degli stessi non è consentito l'utilizzo di un colore uguale a quello dominante che caratterizza il "campo", mentre è comunque suggerito l'utilizzo di un colore già contenuto nell'arma. In questo contesto è opportuno precisare che i colori araldici utilizzabili sono sette e non comprendono quelli dei metalli. Per questa ragione, non potendosi utilizzare l'argento che caratterizza i cinque fusi sorrentini è auspicabile (ma l'auspicio ha il tono dell'imperativo categorico espresso in maniera corLa bandiera attualmente usata nella città del Taxxo tese) l'uso del bianco.


Un'ipotesi su come dovrebbero essere la htmdierti ed i! gonfalone della dita di Sorrento

Nel caso del vizio riscontrato le "colpe" ricadono su quanti si sono succeduti alla guida del governo cittadino dal dopoguerra in poi, visto che l'obbligo della richiesta per ottenere l'autorizzazione all'uso della bandiera e del gonfalone è stato statuito con i già richiamati Regi Decreti 651 e 652 del 1943. Peraltro andrebbe approfondita qualche ricerca per stabilire chi fu il brillante pensatore che arrogandosi la facoltà di operare improvvide scelte cromatiche ha stabilito di far realizzare in rosso (e non, come già sottolineato, in bianco) il fondo del più volte richiamato gonfalone e bandiera.

I-'oto troncone che raffigura un momento solenne della vìsita che il prìncipe Umberto (affiancato ila! podestà Francesco Garzili!) effettuò a Sorrento nel 1933. A destra si intravede il Gonfalone della Città. Immagine tratta da "Sorrento - gli archivi imperfetti". L'alhitm Gar~il!i 1932-1934 edito a cura del Centro Studi e Ricerche Multimediali "/?. Capasso ". 57


A prescindere dalla materiale identità del maldestro artefice del plagio, si può affermare che esso non appartiene ad epoca remota. Durante il ventennio fascista, infatti, il gonfalone rispettava i canoni araldici come si può rilevare da alcune testimonianze fotografiche. Il popolo dei maldestri, in ogni caso, è molto più numeroso di quanto si possa credere e tra le sue fila si nasconde perfino chi meno ci si aspetta. Se così non fosse, il locale consiglio comunale, nell'adottare lo Statuto, non avrebbe previsto di modificare gli ornamenti del blasone sorrentino ipotizzando l'utilizzo di un ramo di alloro incrociato con uno di olivo. Né nell'articolo 6 dello stesso Statuto (riservato alla definizione del Territorio, al Gonfalone e allo stemma del Comune) sarebbero state contenute tante imprecisioni. In esso, infatti, si legge: "// Comune ha un proprio stemma e un proprio gonfalone con le seguenti caratteristiche: campo rosso a cinque losanghe uguali di argento, accostate e messe in fascia, fregiato da ornamenti di città costituiti da rami di alloro e olivo ai lati dello scudo, sovrastato da corona e cinque torri". In effetti le torri sono otto e non cinque dal momento che nel già richiamato Regio Decreto numero 652 del 7 giugno 1943, a proposito delle caratteristiche della corona di cui si fregiano le Città dice che essa "è formata da un cerchio d'oro aperto da otto posterie (cinque visibili), con due cordonate a muro sui margini, sostenenti otto torri (cinque visìbili) riunite da cortine di muro, il tutto doro e murato dì nero)" Anche su questo punto non ci sono dubbi: il più volte richiamato disegno allegato al Decreto firmato da Benito Mussolini nel 1928 offre l'unica raffigurazione dello stemma sorrentino che ha forza di legge. In esso gli ornamenti sono costituiti da un ramo di quercia e da uno di mirto. Fino a quando non si inoltreranno specifiche richieste per poter legittimamente operare modificazioni (all'Ufficio Onorificenze e Araldica del Dipartimento del Cerimoniale dello Stato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), nessuna variazione ha validità giuridica, né alcun tipo di efficacia. Il che equivale a dire che, al di là di ogni malevola considerazione di carattere politico, allo stato attuale, nello stemma di Sorrento non esistono né rami di quercia, né d'olivo!!! Sterili e accademiche, dunque, sono le polemiche sul fatto che possa trattarsi di olivo o, invece, di ulivo. E' come parlare di qualcosa che non c'è! 58


10) SE SORRENTO PIANGE, GLI ALTRI COMUNI NON RIDONO. ANZI.... Quando si parla del rispetto delle leggi vigenti in materia di Araldica Civica in Penisola Sorrentina, viene spontaneo parafrasare l'antico adagio secondo il quale "Se Sparta piange, Atene non ride". Se Sorrento, infatti, si ritrova alle prese con la necessità di chiedere l'autorizzazione per l'uso del gonfalone e della bandiera (uniformandole, per l'appunto, ai principi araldici), la quasi totalità degli altri comuni della Terra delle Sirene è in condizioni ancora più disdicevoli. Sempre in occasione delle verifiche effettuate presso l'Ufficio Onorificenze ed Araldica del Dipartimento del Cerimoniale dello Stato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - a proposito delle insegne della città del Tasso - oltre a quelle già evidenziate in precedenza, sono emerse anche altre sconcertanti sorprese.

Sant'Agnello, Meta, Piano di Sorrento e Vico Equense, infatti, non hanno alcuna autorizzazione, né per usare lo stemma del quale pure si fregiano, né per disporre (ed esporre) un proprio gonfalone, né tantomeno per lasciare che una bandiera civica possa garrire al vento. E dire che ci sono realtà - come quella di Piano di Sorrento - che hanno accarezzato l'idea di poter vantare una propria "arma" perfino prima di vedersi riconosciuta la piena autonomia territoriale ed amministrativa da Sorrento. 59


Secondo quanto riportato sulle pagine di "La Penisola Sorrentina - Istoria Usi e costumi - Antichità" (scritto da Manfredi Fasulo), nella prima metà del cinquecento: "la deputazione o rappresentanza dell'Università" peninsulare "era costituita da due smelaci nobili pei seggi di Porta e Dominava, 2 sindaci popolani 1 per Sorrento, l'altro pel Piano e 16 consiglieri cioè 8patrizi ed 8 pel popolo e questi divisi: 4 per Sorrento e 4 del Piano. Tale unificazione amministrativa, però, non garbava affatto ai pianesi, i quali non avevano mancato di sollecitare cause e reclami in contrario, perché esponevano che la maggioranza dell'amministrazione composta di nobili sorrentini, li gravava d'ingiustizie e soprusi. Quindi erano venuti prima i tentativi di autonomia facendo stampare le carte del comune con un 'insegna speciale, poscia altri strappi al duro regime, infine una serie di ostilità palesi ed infilzata di cause per ogni cavillo". Particolarmente imbarazzante, inoltre, è la posizione di Vico Equense i cui amministratori hanno richiesto (ed ottenuto nel 2002) il titolo di Città, ma continuano ad ignorare l'obbligo di richiedere una specifica autorizzazione per il proprio stemma. Non meno edificanti, in ogni caso, sono anche (almeno in termini di immagine) le considerazioni in cui versano Sant'Agnello e Meta. L'unico comune che risulta essere in regola (per lo stemma ed il gonfalone, ma non per la bandiera) è quello di Massa Lubrense che ha ottenuto le prescritte autorizzazioni il 19 luglio 1986. Gli altri, dunque, fino a quando non si riveleranno rispettosi delle leggi vigenti, sono da considerarsi "fuorilegge".

/;; alto da sinistra verso destra, alcuni particolari degli stemmi di Vico Ei/neiise, Meta, Piano di Sorrento: in basso da sinistra verso destra alcuni particolari degli stemmi di Sant'Agnello, Sorrento e Massa Lubrense

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11) FINALMENTE UN PO' DI CHIAREZZA A Marco Fiorentino va sicuramente riconosciuto il merito di aver riservato grande attenzione all'utilizzo dello stemma cittadino. Il primo sindaco sorrentino del nuovo millennio, infatti, è intervenuto decisamente per debellare un malvezzo diffusosi negli uffici comunali: quello di elaborare una miriade di stemmi inopportunamente e malamente personalizzati oltre che accompagnati dalle più disparate diciture. Per evitare che si trasmettesse all'esterno la sensazione che il ricorso ad una infinità di diversi tipi di carta fosse il frutto dell'esistenza di entità isolate ed indipendenti tra loro, (invece che facenti parte di un'unica struttura municipale), dunque, si è inteso procedere al conferimento di un incarico a Filippo Leonelli (con la determina numero 808 del 25 maggio 2004) affinchè elaborasse un modello unico di base da poter integrare senza eccessi. Forte delle tante qualificate esperienze maturate, Filippo Leonelli, preliminarmente, ha effettuato uno studio grazie al quale è stato possibile stabilire che - alla fine del primo semestre del 2004 - presso il Comune di Sorrento venivano utilizzati almeno 75 tipi di carta intestata. Questi differivano tra loro o per l'indicazione della denominazione dell'ente (Comune di Sorrento, Municipio di Sorrento, Città di Sorrento), o per l'utilizzo di colorazioni, fogge e dimensioni diversificati, o con l'ausilio di bandiere, o per il ricorso all'ausilio di dipinti e disegni. Di fronte al riscontro oggettivo della confusione esistente è maturata la saggia decisione di non creare una ulteriore, innovativa ed inopportuna interpretazione dell'utilizzo dello stemma cittadino, ma di procedere al pieno recupero di quello tradizionale ricorrendo ad una scansione - opportunamente "restaurata" dell'arma da ultimo, in ordine temporale, riconosciuta da Mussolini all'epoca in cui (con apposito decreto) consacrò l'evoluzione del Comune in Città.

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(//; repertorio dei vari esemplari di carta intestata in uso presso il Comune di Sorrento prima dell 'intervento del Sindaco Marco Fiorentino

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12) LA NUOVA "S" II tramonto del sistema feudale registratosi soprattutto in seguito alla comparsa di sempre più numerose istituzioni di tipo repubblicano - spesso sorte sulle ceneri di antichi regni o di immensi imperi - non ha fatto venir meno l'esigenza di poter vantare insegne identificative. Con l'avvento delle nuove logiche di mercato che hanno caratterizzato lo sviluppo della società industriale, poi, si è registrata la nascita di una florida attività pseudo-araldica, consistente nella produzione di logos e marchi d'impresa. Sull'argomento non intendiamo esprimere giudizi. In questa sede, ci limitiamo ad evidenziare che i marchi, proprio perché destinati a rispondere alle nuove logiche di mercato - cui si è appena fatto riferimento - hanno assunto valori simbolici e comunicativi molto diversi rispetto al passato dovendo soddisfare nuove esigenze. In questo senso la Città di Sorrento, considerato il fatto che tra i compiti istituzionali di propria competenza, rientrano anche quelli di promuovere processi virtuosi a sostegno delle attività produttive, non ha ritenuto di sottrarsi al confronto con le logiche dominanti. Per questo ha valutato positivamente roT u R i s M o l'opportunità di affiancare all'utilizzo del suo antico stemma anche quello di un marchio che fosse capace di riassuRII T A L Y mere - sia pure in maniera allegorica - le tante risorse del proprio territorio. Al riguardo, una brillante idea è venuta a Filippo Leonelli, sorrentino Doc che però, come tanti altri, per fare fortuna ed ottenere i giusti riconoscimenti ha dovuto lasciare la Terra delle Sirene. |OS H ° p p ! w n All'inizio del 1996, infatti, al culmine di una carriera che gli ha permesso di essere apprezzato come creativo da parte IV] n T - c u i M di importanti multinazionali, Leonelli ha proposto all'amministrazione comunale k ORRENTO del tempo una sua idea: quella di utilizzare il nome della città con una grafica [M S E R V I Z I S O C I A L I particolare che prevedeva - e, per la verità prevede ancora - una sorta di "S" stilizzata. Alcune delle "S" elaborate da Filippo Leonelli L'idea piacque soprattutto a Costanze nel 1996 per la Città di Sorrento.

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laccarino che il 12 giugno 1996 - come assessore al turismo della Città di Sorrento - ha provveduto a formalizzare la "registrazione per marchio d'impresa di primo deposito" del logo presso la Direzione Generale per lo sviluppo produttivo e la competitivita (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) del Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato. L'iniziativa, dopo aver inizialMINISTERO DELL'INDUSTRIA DEL COMMERCIO E DELL'ARTICI ANATO mente incontrato DIREZIONE GENERALE PER LO SVILUPPO PRODUTTIVO E LA COMPETITIVITA' UFFICIO ITALIANO BREVETTI E MARCHI entusiastici consenATTESTATO DI REGISTRAZIONE PER MARCHIO D'IMPRESA PRIMO DEPOSITO si, non ha mantenuN. 00770407 to eguale interesse nel tempo. E solo ai-jjcf. a^i, "SS!L con un decisivo 000260 96 NAPOLI 12/06/1996 impulso impresso TITOLARE COMUNE DI SORRENTO A NAPOLI A SORRENTO (NAPOL al progetto dal RAPPR.TE IACCARINO COSTANZO Sindaco Marco INDIRIZZO CORSO ITALIA.44 80067 SORRENTO (NAPOLI) Fiorentino, si è regiMARCHIO L ESEMPLARE DEL MARCHIO PRODOTTI E SERVIZI DA CONTRADDISTINGUERE SONO QUELLI INDICATI strato il pieno recuNELLA UNITA DICHIARAZIONE DI PROTEZIONE pero dell'idea con la predisposizione di una nuova apposita modulistica. Ma quali sono i significati della ammicante "S"? Rona, 22 GENNAIO 1999 IRIGESTE Le spiegazioni SANTE PER COPIA CONFORME DEtt sono contenute proConsegnato 11 -^B'o r'-O lì Direttóre UPICA prio nell'attestato di La registrazione dura dieci anni a partire dalla data di deposito registrazione per della domanda marchio d'impresa •I^^^^BEL _ • I di primo brevetto. In questo documento, infatti, viene precisato che il marchio denominato "Sorrento" è costituito dal nome della città scritto in carattere Peignot Demi, ad eccezione della lettera "S" iniziale stilizzata, che è un disegno originale. "Nel disegno della predetta "S", la cun>a inferiore ricorda la coda di pesce delle sirene che secondo la leggenda vivevano nelle acque di fronte alla città e le foglie degli agrumi coltivati nelle campagne che la circondano. La curva superiore della "S " ricorda invece la piuma degli uccelli (nell 'antica iconografia greca e romana, le sirene erano per metà donna e per metà uccello) e la spuma di un 'onda. La lettera "S " così disegnata è compresa in un tassello rettangolare, i cui lati sono costituiti dall'incrocio delle rette tangenti alla curva DI

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superiore, alla curva inferiore e alle due curve che delimitano la giustezza della parte inferiore della lettera. Inoltre, la "S" così concepita nel suo complesso, rimanda ai preziosi lavori di intarsio del legno die per antica tradizione riscontrano a Sorrento le migliori e più complete espressioni artistiche ". Il marchio - fu previsto all'epoca - sarà utilizzato per contraddistinguere i seguenti servizi: Pubblicità e Affari; Istruzione e spettacolo; Turismo e Servizi Sociali. Fu previsto, inoltre, che il marchio stesso venisse utilizzato applicandolo in tutti i modi possibili per diffondere l'immagine di Sorrento e i servizi che è destinato a contraddistinguere. Dopo essere rimasta in una sorta di congelatore per alcuni anni, l'idea è stata ripresa dal sindaco Marco Fiorentino che ha commissionato a Filippo Leonelli l'elaborazione della "S" sorrentina "brevettata" con nuove scelte cromatiche destinate, per il momento, a caratterizzare l'attività degli uffici in funzione degli assessorati di riferimento.

In ulto, da sinistra verso destra: SORRENTO AMBIENTE, SORRENTO BILANCIO, SORRENTO CULTURA, SORRENTO IMMAGINE. In basso da sinistra verso destra: SORRENTO TURISMO. SORRENTO SOCIALI

URBANISTICA, SORRENTO SPORT E SORRENTO SERVIZI


13) ALCUNE METAMORFOSI Quello di modificare o personalizzare l'arma della Città di Sorrento è un malvezzo che ha radici antiche. Il fenomeno, almeno per il passato più remoto, poteva essere giustificato con il fatto che si disponeva di strumenti grafici assai rozzi. Più recentemente, invece, i cambiamenti sono stati dettati dalle esigenze dei tempi o da imposizioni di regime. In seguito ad una ricerca effettuata per accertare le metamorfosi subite, abbiamo avuto la possibilità di individuare, nell'archivio storico comunale, numerosi ed interessanti documenti. Poco dopo l'unificazione italiana, ad esempio, la foggia dello stemma sorrentino era molto diversa da quella attuale: lo scudo non era di forma "sannitica", ma era accartocciato e sovrastato dalla corona di tipo "ducale". Il tratteggio del "campo", invece che il rosso, richiamava l'oro. Difficile definire fusi o losanghe i cinque simboli riportati al centro dello stesso stemma. PROVINCIA

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Pur mantenendo quasi inalterate le stesse caratteristiche di quello ottocentesco, l'insegna sorrentina riportata sugli atti ufficiali durante i primi anni del secolo scorso, subì un'evoluzione grafica con una modifica degli ornamenti (cui peraltro vennero aggiunti un paio di pendenti). Il tratteggio risultò, finalmente, parzialmente corretto.

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COMUNE DI SORRENTO 66


Con l'avvento del Fascismo le cose cambiarono radicalmente e, proprio durante il Ventennio, il simbolo distintivo della Città fu modificato più volte. Nel 1927, ad esempio, sui documenti dell'amministrazione retta dal Commissario Prefettizio Stefano Mastrogiacomo (cui successe, a partire dal 15 novembre, il cavaliere Giuseppe Fucci), esso rispecchiava la forma prevista dal decreto con il quale Mussolini, autorizzò l'utilizzo dello stemma anche se appare evidente l'utilizzo di losanghe.

DI SORRENTO Di fatto l'arma locale rimase immodificata per diversi anni, anche se, già dall'anno successivo (1928), con l'insediamento del cavaliere del Grande Ufficiale Generale Alessandro Saporito prima, e del Conte Giovanni Maresca di Serracapriola poi, essa fu affiancata da uno stemma tricolore - contenente il fascio littorio - sovrastato dall'aquila imperiale. Cosi fu anche per il 1929.

COHUNE DI SORRENTO Nel 1930, invece, (con la promozione del Maresca di Serracapriola al ruolo di vice Potestà di Napoli e l'insediamento del Tenente Colonnello, Cavaliere Arturo Palella, subito dimessosi e sostituito dal Cavaliere Giulio Merolla) gli stemmi invertirono le posizioni: quello della città del Tasso passò a sinistra e quello dell'Italia Littoria (sebbene privo di aquila) a destra.

C O M U N E DI S O R R E N T O


Il Conte Francesco Garzilli, insediatosi alla guida dell'Amministrazione locale (nel 1931), facendo propria la linea di tendenza del regime che tendeva a consolidare il processo di identificazione delle comunità locali con il fascismo, introdusse un unico stemma (con l'ornamento di un ramo di quercia e di uno di alloro) nel quale la parte riservata alla rappresentazione del fascio littorio campeggiava su quella riservata alla rappresentazione dei colori della Città del Tasso.

COmUHE DI S O R R E N T O L'innovazione fu poco gradita ai suoi successori (Ragioniere Capo Pasquale Cosomati e Cavaliere Roul Modesti) che fino alla fine del 1934, ritornarono all'utilizzo dello stemma adoperato dai predecessori di Garzilli. Lo stesso Pasquale Cosomati, però, reinsediatosi alla guida dell'amministrazione sorrentina (nel 1935) diede nuovamente impulso all'utilizzo della grafica elaborata tre anni prima, arricchendola con l'utilizzo di caratteri che possono essere considerati tipici dell'epoca.

ICIPIO DI SORRENTO

Di fatto il simbolo della Sorrento fascista restò inalterato fino alla fine della seconda guerra mondiale . 68


COMUNE

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SORRENTO

Successivamente si ritornò all'uso dello stemma adoperato ancora nel 1927.

COfWNE DI SORRENTO

Lo stemma italiano in epoca fascista era caratterizzato dall'utilizzo del fascio littorio e dell'aquila imperiale 69


14) GLI STEMMI MARMOREI Gli stemmi marmorei riportanti lo scudo sorrentino non sono mai stati tantissimi. Eppure il loro numero si è ulteriormente assottigliato nel tempo, mentre quelli superstiti hanno spesso girovagato in cerca di una collocazione che potesse considerarsi definitiva. Furti effettuati probabilmente su commissione, di fatto, hanno spogliato il patrimonio storico della collettività locale per alimentare illeciti traffici antiquari o per arricchire anonime collezioni private. Tra le razzie che piÚ amaramente si possono considerare "celebri", ad esempio, si può ricordare quella che ha visto interessata, purtroppo, la fontana dello Schizzariello che fu segnalato - tra l'altro - dalla edizione della Penisola Sorrentina e Capri del quotidiano "II Golfo" sul numero del 17 settembre 1997, assieme a quelli di altri tre stemmi marmorei gentilizi:

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• quello del XVIII secolo ubicato su un palazzo di Vico Sant'Aniello (scomparso tra il 1984 ed il 1985); • quello dello stemma gentilizio della famiglia Galano (risalente al XVIII secolo) posto sull'ingresso della chiesa di Santa Lucia, rubato il 30 ottobre 1991 ; • quello della famiglia Auriemma (risalente ad un epoca compresa tra il XVII ed il XVIII secolo) posto sull'ingresso della chiesa di Santa Maria della Rotonda, rubato il 5 giugno 1993. Con il ripercorrere le pagine della storia locale a ritroso, l'elenco delle sparizioni più o meno singolari si arricchisce di una miriade di casi analoghi. Tra gli stemmi Sorrentini di cui si sono perse le tracce figurano: • quello marmoreo che era stato sistemato dopo l'urbanizzazione avvenuta alla fine dell'800 alla Marina Piccola ed ancora visibile durante il periodo fascista; • quelli marmorei sicuramente visibili nello stesso "Ventennio" sulla facciata dell'attuale municipio di Sant'Agnello che, all'epoca, invece, era la sede del Comune unico della "Grande Sorrento"; • quelli marmorei ubicati a fianco dell'antica porta abbattuta nella seconda metà dell'800. Tra quelli ancora visibili, invece, si possono ammirare quello posizionato davanti alla sede del Circolo dei Sorrentini (fondato nel 1884) e molto meno vistoso dello stemma dipinto sulla sovrastante torre dell'orologio di Piazza Tasso (dove la torre sorse tra il 1870 ed il 1880). Così come è ancora visibile quello posto all'ingresso della sede centrale del Municipio di Piazza Sant'Antonino dove è comparso durante o dopo il periodo fascista dal momento che almeno fino al 1932 non c'era. Tutti, in ogni caso, sono accomunati da due elementi.

In alio: L'ingresso dell'attuale sede municipale come si presentava in epoca fascista. Al centro del portale manca lo stemma marmoreo oggi visibile.

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In primo luogo, infatti, risulta chiaro ed evidente che tutti raffigurano cinque fusi e non cinque losanghe. Il che rafforza, ove mai ce ne fosse ancora bisogno, le tesi sostenute precedentemente. In secondo luogo, invece, va rilevato che, al di là della esatta datazione a cui far risalire la realizzazione di ciascuno di essi, in nessun caso si può risalire ad un'epoca antecedente al XVIII secolo. Il che contribuisce a stabilire che, a quel tempo lo stemma cittadino era già come quello attuale. Un ulteriore approfondimento di grandissima importanza, purtroppo, è reso impossibile da un'altra clamorosa sparizione. Sicuramente la più grave tra quelle appena denunziate. Fino almeno al 23 novembre del 1980 (data dell'indimenticato terremoto del secolo scorso), presso la sede municipale sistemata nell'ex convento dei Teatini, oltre agli affreschi raffiguranti le armi di alcune famiglie nobili locali (anch'essi scomparsi per consentire la realizzazione di ingressi agli uffici dal sapore dichiaratamente tombale) era ben visibile anche uno stemma scolpito su marmo raffigurante le insegne della città.

In mancanza di notizie certe in merito ad un suo più o meno irreversibile danneggiamento, più che di sparizione, forse, sarebbe giusto parlare di furto ad opera di ignoti. Ciò, comunque, senza sottovalutare il fatto che - a meno che non si voglia sostenere la tesi della mancata sorveglianza dell'edificio - il numero dei potenziali responsabili si riduce a quello di coloro che, durante i lavori postsismici hanno avuto accesso all'immobile. A prescindere dal valore storico ed eventualmente artistico del reperto, si tratta di un episodio la cui gravita è tanto più significativa, quanto più si considera il fatto che impedisce di acquisire importantissime notizie certe sulla storia della stessa città. Gli unici elementi sicuri, al riguardo, possono essere dedotti da "Entro la cerchia de le mura antiche" di Antonino Di Leva. 12


Dalla pubblicazione - che peraltro riporta una fotografia dello stemma - si può ricavare che esso era anticamente ubicato sulla porta dedicata a San Baccolo e che la sua reale posizione era identificabile grazie al lavoro di disegnatori e pittori ottocentisti. Lo stemma fu "spicconato" dalla porta nel 1959, per finire nella sede comunale. Volendo avanzare qualche ipotesi si può osservare che l'antica collocazione della scultura lascerebbe supporre che essa esistesse almeno dal XVI secolo (epoca in cui fu ristrutturata e restaurata l'intera cinta muraria). La foggia, invece, lascia immaginare un'epoca ancora anteriore. Tuttavia proprio la denunziata sparizione rende azzardata qualsiasi ulteriore congettura.

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15) DIPINTI, MAPPE, DISEGNI E INCISIONI Le chiese ed i monasteri della Penisola si sono sempre rivelati importanti pietre miliari ed inesauribili "miniere" di documenti, di notizie e di spunti nei processi di ricostruzione della storia patria. I documenti custoditi nelle strutture ecclesiastiche, al pari di sculture e dipinti hanno offerto ed offrono testimonianze di impareggiabile valore in tutti i tentativi di ricostruire il passato della Città del Tasso. Non è così, però, per lo stemma civico. Malgrado la cospicua presenza di insegne delle famiglie patrizie, abbiamo quasi invano tentato di individuare un'opera, una lapide o un particolare architettonico che raffigurasse l'arma di Sorrento. Fatte salve tutte le opportune verifiche che potranno venire in futuro, allo stato, abbiamo individuato tre sole eccezioni presso la Basilica di Sant'Antonino. Esse riguardano: — La miniatura (solitamente esposta nella cripta della stessa Basilica in occasione delle celebrazioni in onore di Sant'Antonino del 14 febbraio) della statua donata dai Sorrentini al Duomo di Castellammare di Stabia nel 1935. Essa, peraltro, rispetto all'esemplare più grande, differisce per il fatto che, ai piedi del Santo è raffigurato il solo stemma della Città del Tasso e non anche quello della vicina realtà stabiese. L'epoca della sua realizzazione è, comunque, recente. — Il basamento ligneo (realizzato nella seconda metà del millesettecento e restaurato nel 1859), sul quale viene poggiata la statua d'argento del Santo Patrono in occasione delle processioni devozionali. Ai quattro angoli di questo spiccano in bella evidenza altret- A sinistra la statua argentea di S. Antonino poggiata sul basamento die reca lo stemma della città. A destra, un particolare. tanti stemmi cittadini.


— Una poltrona di epoca compresa tra la fine del 1600 e l'inizio del 1700 su cui spicca l'insegna del capoluogo peninsulare. Circa i tre casi individuati, si ritiene doveroso precisare che tanto sulla poltroncina quanto sul basamento ligneo cui ci si è appena riferiti, la "pezza onorevole" dell' arma raffigurata contiene cinque losanghe e non cinque fusi. La miniatura, invece, presenta uno stemma cittadino che, per certi versi, può considerarsi unico, dal momento che contiene un fuso centrale di dimensioni maggiori rispetto ai restanti quattro. La qual cosa, almeno in parte, contribuisce ad attenuare l'abbaglio di cui è rimasto vittima Canzano-Avarna Quanto agli accostamenti tra oggetti (sacri o, comunque, di proprietà ecclesiastica) che potrebbero confermare il richiamo dello stemma cittadino a specifici aspetti devozionali, non si può fare a meno di rilevare che, sicuramente, quelli individuati rappresentano ben poca cosa, rispetto ad un patri'^^Ryjpr» monio così ricco d'altre testimonianze. Molto più '.., 'vj? numerosi, invece, - ma non per questo utili ai fini del nostro studio - sono i quadri che riportano vedute più o meno fedeli del capoluogo peninsulare o la raffigurazione di nobili locali. Essi, tra l'alUn iiiuiiagine conleniportìneti di Sant'Antonino citi opera ili Pierino tro, sono visibili, nella Cattedrale, nella Chiesa di Celiano. Santa Maria delle M OR I E Grazie, in quella dei Servi di Maria e, naturalmente, .*MI E S T 0 R i e "fi E o' r. L r, A nella stessa Basilica patronale. Sotto il profilo "editoMdiffimi, ed an ira CittX di Sorrento,' riale", invece, abbiamo individuato un' unica testimo- D. VINCENZO DONNORSO l'AT;:IZ!O DE nianza degna d'attenzione: quella offerta dal fronteDr,if- ,,, Tri Uhi. spizio del libro intitolato "Memorie Istoriche della A L L - I L L U S R I S S I il J S I 0 N 0 R I fedelissima ed antica Città di Sorrento", fatto pubbli:ViH?> care nel 1740 da Vincenzo Donnorso. L'insegna che vi è raffigurata, però, viene proposta in uno stemma troncato sul cui capo appaiono cinque losanghe. Il che presta il fianco a qualche perplessità che, però, può . L...,^ ., ,.,. ,_,,. . essere superata considerando le numerose licenze sto- _

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Gpi) \A MEDESIMA


riche e blasoniche che l'autore si è concesso anche nell'affrontare la parte riservata alle famiglie nobili locali. Particolarmente interessante, infine, è il discorso da sviluppare su mappe,

disegni ed incisioni realizzati tra il primo scorcio del cinquecento ed i primi anni del XVIII secolo. Essi non forniscono solo dettagli cartografici fondamentali per ricostruire l'evoluzione urbanistica di Sorrento nel corso dei secoli, ma offrono anche indicazioni utili per ottenere la conferma dell'esistenza dello stemma cittadino in un passato assai remoto. In questo senso, infatti, e' è da rilevare che mentre le due incisioni a bulino di Cassiano da Silva - pubblicata da Domenico Antonio Parrino - (1700) e di Vincenzo Maria Coronelli (1707) non riportano l'arma sorrentina, quella di Giovan Battista Pacichelli (1703) sì. Il che contribuisce a mettere un ulteriore punto fermo nel tentativo di stabilire datazioni certe. Proprio soffermandosi sulla raffigurazione fornita dal Pacichelli (che, tra 1' altro, si è trasformata in soggetto "ispiratore" per la realizzazione di numerose rielaborazioni) è il caso di formulare una puntualizzazione: le imperfezioni che si riscontrano anche in questo caso in merito alla riproduzione dell'arma sorrentina, tanto per la scelta dei colori e quanto per la foggia, non devono trarre in Pianta di Vincenzo Giovan Ballista Pacichelli

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Il fatto che i fusi siano proposti all'interno di una "fascia", con colore scuro, mentre il campo è caratterizzato dall'uso del bianco, non può e non deve generare equivoci.

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Pacichelli era un apprezzato cartografo. Certamente non fu, invece, un araldista. Le sue "libertà", in questo ambito, dunque, non hanno alcun significato particolare. D'altro canto, a testimoniare il fatto che lo stemma di Sorrento non abbia subito alterazioni almeno negli ultimi 5 secoli, concorre un disegno: quello custodito presso la Biblioteca Angelica di Roma.

Una rielaborazione coiilciiiporanea della pianta del Pacichelli esposta presso la Sede CinnunaU

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A proposito dì quest'ultima è particolarmente interessante lo studio del comandante Antonino Di Leva (intitolato "La Città di Sorrento in piano") che soffermandosi su alcuni aspetti caratterizzanti del disegno, ne ipotizza una possibile datazione in epoca successiva allo sbarco (ed all'azione devastatrice) dei saraceni del 1558.

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In effetti l'autore citato porta avanti il suo ragionamento evidenziando che, proprio il disegno in questione, si caratterizza per la raffigurazione di edifici e monumenti che consentono di ricavare, con scarsi margini di approssimazione, l'epoca in cui esso vide la luce. Altri studiosi altrettanto famosi, invece, sostengono con vigore ipotesi tendenti ad attestare una datazione dell' "opera" ancora più remota. Non desiderando entrare nel merito della polemica, ci limitiamo ad osservare che la raffigurazione offerta dal disegno è, in ogni caso, risalente al XVI secolo, e presenta uno stemma della Città uguale a quello che viene adoperato ai giorni nostri.

Molto interessante, ai fini della nostra ricerca, infine, risulterà la prossima ufficializzazione dell'esistenza di un'altra stampa - in possesso di Nino Cuomo - probabilmente realizzata agli inizi del '500. In essa i cinque Santi Patroni sono raffigurati inginocchiati ai piedi della Madonna del Rosario e sovrastano una pianta di Sorrento su cui figurano anche uno stemma borbonico ed uno del capoluogo della Terra delle Sirene. Quest'ultimo caratterizzato dalla presenza di cinque fusi. Si tratta di una immagine particolarmente suggestiva soprattutto, perché capace di rendere tangibile, anche dal punto di vista ottico, il significato dell'arma della Città di Sorrento esaltando l'accostamento tra fusi e Patroni celesti. 7S


16) I SEGRETI, LE SCOPERTE ED I MISTERI DEL SEDIE DOMINOVA: LO STEMMA CON SEI FUSI ED I "COLLARI" CANCELLATI Dopo aver passato in rassegna ogni testimonianza che potesse contribuire a stabilire con certezza l'epoca a cui far risalire l'esistenza dell' arma della Città del Tasso nella sua foggia attuale, non resta altro da fare se non prendere in considerazione altre importantissime prove, grazie alle quali è possibile affermare che, anche prima del XVI secolo Sorrento aveva sì un proprio stemma, ma esso era leggermente diverso da quello che oggi conosciamo.

Ironia della sorte le indicazioni più rilevanti sono visibilissime perché poste in bella evidenza nel pieno centro storico: presso il Sedil Dominova. L'antico seggio nobiliare, per noi, è stata un' autentica "miniera" dalla quale estrarre spunti di riflessione. Tra le sorprese più significative che riguardano la nostra indagine balzano in evidenza quelle derivanti dallo stemma tufaceo posto sulla parte alta del lato del monumento che delimita l'attuale via Padre Reginaldo Giuliani. Esso, sia pure con le peculiarità che approfondiremo in seguito, offre la prova che Sorrento aveva una propria arma fin dai primi anni del XIV secolo. A fornire una assoluta certezza in questo senso è un altro stemma posto alla stessa altezza di quello già citato, ma sul lato del medesimo edificio che si affaccia su Via San Cesareo e che raffigura le insegne degli angioini. 79


Sul punto è bene sgomberare il campo da equivoci: l'ipotesi che i due stemmi possano essere considerati come prezioso materiale di risulta ricavato da pre•. . cedenti corpi di fabbrica e adoperato per ingentilire la struttura monumentale è priva di ogni fondamento. Se per assurdo, la costruzione del Sedile risalisse f-lf: al XV o, addirittura al XVI secolo, infatti, lo stemma della casa regnante sarebbe stato un altro. Un nuovo dominatore, forse, avrebbe potuto tollerare o ignorare la presenza del blasone dei suoi predecessori su un edificio nobiliare (come, in effetti, è avvenuto nel caso di Sorrento). Mai e poi mai, invece, avrebbe potuto permettere l'utilizzazione di uno stemma diverso dal proprio per restaurare un sedile o per costruirlo ex novo. Anche volendo immaginare che si tratti di reperti risalenti all'ultimo periodo della monarchia angioina, in ogni caso, non si supera il primo quarto del 1300. La qualcosa, evidentemente, ci permette di fare chiarezza ed effettuare un ulteriore balzo indietro nel tempo.

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Tuttavia proprio il Sedil Dominova dimostra quanto possano essere ingannevoli certe apparenze e fuorviante la passiva acccttazione di tesi poco scrupolosamente sostenute da altri. Una prima considerazione, ad esempio, riguarda proprio l'intolleranza provata da una nuova casa regnante nei confronti delle insegne dei suoi predecessori e, al tempo stesso la datazione degli affreschi dipinti sulle pareti del Sedile. I più si accontentano di affermare che essi sono di epoca settecentesca e sono 80


attribuibili ad un non meglio identificato artista formatosi alla scuola di Carlo Amalfi. Nessuno, invece, dice che gli stessi dipinti sono stati sicuramente alterati, in epoca molto più tarda, almeno nella parte che ritrae... lo stemma di Sorrento!!! Nella parte posta in basso a destra di chi guarda l'arma cittadina, infatti, sono ancora ben visibili alcuni ornamenti dei collari (probabilmente di due ordini cavaliereschi di Casa Borbone. Il che lascia supporre la sovrapposizione delle insegne cittadine a quelle degli ultimi re delle due Sicilie, o comunque, in epoca post-unitaria e, quindi, successiva al 1861. E' facile immaginare che i filo-savoiardi (coerentemente con quanto sostenuto in precedenza a proposito del blasone angioino), mal tollerando ogni ricordo dei loro predecessori, possano essersi premurati di commissionare le "correzioni" almeno per far scomparire i collari. Più che procurare soddisfazione, però, la scoperta alimenta ulteriore curiosità, finendo con il generare nuovi interrogativi: è possibile immaginare che sotto i dipinti oggi visibili ce ne siano altri ancora più antichi? La possibilità, in questo caso è assai verosimile soprattutto per la parete dalla quale si accede ai locali della segreteria della Società Operaia, mentre è più improbabile per l'altra superstite parete perché essa potrebbe essere stata realizzata in seguito alla demolizione della Chiesa di San Salvatore a Dominova. Il soffermarsi su questa antica vicinanza, peraltro, consente di rilevare che il modello architettonico del sedile in questione richiama alla mente quello, per certi versi assai simile della basilica di San Giovanni in Terra Santa che fu uno dei primissimi e più importanti punti di riferimento dei monaci-guerrieri ospedalieri oggi conosciuti con il nome di Cavalieri dell'Ordine di Malta. Ciò malgrado il fatto che l'accostamento non dovrebbe alimentare nuli'altro che il riscontro di una semplice similitudine in ragione del fatto che la Piazza sorrentina ha raggiunto la sua conformazione attuale solo con la realizzazione della cupola (di epoca assai più tarda rispetto a L'arma di Sorrento ancora visibili; presso il Salii Dominova nella parte alta che confina con Via Padre Reginaldo quella di edificazione del monu- Giuliani. mento). I I 81


Voler trarre conclusioni osservando gli aspetti architettonici della costruzione è un altro errore imperdonabile. Ricavare la data di nascita di un nucleo aristocratico locale, alternativo a quello presente nel seggio di Porta, affidandosi a quanto si vede oggi del Sedil Dominova equivale a lasciarsi andare ad azzardi che non consentono di risalire oltre il XIV secolo. Una pista questa, che tra le possibili cause della scissione trova il solo conforto di violenti, ma occasionali scontri che insan- Grafie citi ima elaborazione grafica effettuata al comguinarono le strade cittadine (per pilici- si è cercato di mettere in risalto le particolarità ragioni nemmeno troppo chiare) dello stemma scolpito presso il Sedil Domìnova, dal quale' si evince che la pe:-.a onorevole dell'arnia sornel 1319. rentina, in epoca angioina, raffiguravo sei fusi. Molto più facilmente dimostrabile, invece, è la tesi - come si vedrà in seguito - volta a dimostrare l'esistenza della Piazza, almeno come istituzione, nel secolo precedente. Un' ultima considerazione sul seggio nobiliare superstite, riguarda le caratteristiche dello stemma tufaceo sorrentino a cui si è già fatto riferimento in precedenza. Esso, infatti, riporta sei fusi e non cinque. Di questi uno è quasi scomparso. Probabilmente perché oggetto delle abrasioni operate da una mano che - forse alla fine del 1300 - cercò di uniformare l'arma alla sua foggia attuale. Un caso questo - purtroppo non unico - che attenua ma non cancella le nuove certezze. La possibilità che un grossolano errore di manifattura possa aver fatto sì che i rimanenti cinque fusi non siano centrati allo scudo non è attendibile soprattutto se si considera la finezza e la precisione del cesello riscontrabile tanto nella realizzazione dell'arma in questione quanto nel poco distante ed ancor più impegnativo stemma angioino. Molto più probabile, invece, è l'ipotesi di una variazione dell' insegna sorrentina nel corso degli anni. E la cosa troverebbe una giustificazione nelle evoluzioni che si sono registrate nel tempo sotto il profilo devozionale. All'epoca, infatti, con ogni probabilità, ai cinque attuali Santi Patroni veniva affiancato anche San Gennaro.


17) I NOBILI DI SORRENTO SI DIVIDONO TRA GUELFI E GHIBELLINI E NASCE IL SEDIL DOMINOVA Avendo affrontato alcuni rilevanti aspetti che riguardano il Sedil Dominova, prima di giungere alle conclusioni in merito alle certezze che si possono ritenere acquisite in merito all'origine ed al significato dello stemma di Sorrento, riteniamo indispensabile una "divagazione" sull'unico seggio nobiliare che ancora oggi si conserva nella Città del Tasso e sulle attenzioni che l'Imperatore Federico II riservò alla terra delle sirene. Questo perché, proprio grazie alle ricerche che ci hanno portato ad indagare anche sul patriziato sorrentino, sono emersi numerosi ed importanti elementi che offrono tanto la possibilità di chiarire la causa della nascita dello stesso Sedil Dominova (e 1' epoca in cui esso ebbe origine), quanto l'opportunità di individuare una nuova chiave di lettura circa l'importanza matrimonio Ira Federico II e lolanda di Brietme politica dell'aristocrazia locale e dal- //celebrato da Papa Gregario IX. l'intero Paese durante il XIII secolo. Peraltro, quella che, a prima vista, può apparire come una "deviazione" dalla traccia che caratterizza la nostra opera, si rivelerà assai utile, invece, per meglio comprendere la portata degli approfondimenti di carattere nobiliare e cavalieresco contenuti in alcuni capitoli successivi.

Due Seggi nobiliari pugliesi. A sinistra il palazzo del Sedile di Bari; a destra il Sedile di Lecce.

Ciò premesso, va detto che la presenza di ben due sedili riservati alla nobiltà del capoluogo della Terra delle Sirene - ed il fatto che essi siano rimasti in vita, pur con il trascorrere dei secoli e con l'avvicendarsi delle dominazioni - testimo83


nia non solo il prestigio ovunque goduto dal patriziato locale, ma anche la sua indiscussa vivacità. La rilevanza del dato numerico (a prescindere da ben più significative valutazioni sui meriti, sulle qualità e sulla considerazione vantata dal patriziato sorrentino, tanto agli occhi dei sovrani che si sono avvicendati sul trono del Regno delle due Sicilie, quanto al mondo nobiliare contemporaneo) assume maggiore consistenza considerando che una maggiore quantità di seggi analoghi può essere vantata solo da poche altre realtà del Mezzogiorno. L'esclusivo privilegio riconosciuto a Sorrento, inoltre, assume, un aspetto ancora più singolare se si considera l'esiguità della popolazione residente. Malgrado la valenza dei due insediamenti, però, non risulta che ad essi siano state riservate adeguate ed opportune attenzioni storielle. Se si eccettua la tesi di laurea // Sedile di Porta come appariva nel '700. Quadro custodito presso la chieelaborata dalla professo- sa dei Serri di Maria di Sorrento. ressa Patrizia Aversa (sul tema: "I sedili di Sorrento nel XVII e XVIII secolo") si scopre, infatti, che sull'argomento è stato scritto assai poco e, spesso, a sproposito. La qual cosa può trovare una molto parziale giustificazione nella povertà documentale da più parti legittimamente lamentata. Riservandoci la possibilità di colmare ulteriormente - in futuro - una simile lacuna, alla luce di alcune considerazioni articolate in precedenza e di altre che saranno sviluppate in seguito, in questa sede, è giusto soffermarsi sull'ancora esistente Sedil Dominova. La sua origine e le ragioni della sua nascita sono quanto mai irragionevolmente controverse. Volerne stabilire la nascita in funzione di considerazioni che prendono in esame aspetti estetici o architettonici del corpo di fabbrica oggi visibile è sicuramente fuorviante. 84


Ciò perché non si considera che il monumento è stato, nel tempo, oggetto di opere di perfezionamento successive (come quelle che hanno vista interessata la cupola) o di restauro (come quelle che hanno riguardato i dipinti) e, dunque, si scarta aprioristicamente ed in modo ingiustificato la possibilità che esso ci appaia oggi molto diverso dal suo aspetto e perfino dalle sue proporzioni originarie. ALCUNE RAGIONI PER RITENERE INFONDATE LE IPOTESI TRECENTESCHE Le ipotesi che prendono in considerazione la nascita del centro nobiliare sorrentino nel XIV secolo sono assai inconsistenti anche perché non confortate da fatti di significativa rilevanza storica che possano consacrarne l'attendibilità. Il voler suffragare queste possibilità richiamandosi agli scontri cruenti che insanguinarono le strade cittadine nel 1319 è un grave errore. E ciò non solo perché non si conoscono le vere ragioni della "disfida". Al riguardo basti considerare, tra l'altro che, in seguito ai violenti scontri, il duca di Calabria Carlo - in qualità di vicario di Re Roberto d'Angiò - ritenne di cacciare dalla città numerosi nobili. Una misura questa che assai male si sarebbe conciliata con l'assenso alla nascita di un nuovo sedile. E non solo. Se fosse stata la faida tra i patrizi locali a Re Roberto d'Angiò determinare la scissione dell'artistocrazia, lo stesso duca Carlo, con l'evidente scopo di placare gli animi, avrebbe fatto attenzione a tenere gli appartenenti alle opposte fazioni ben lontani tra loro. L'idea di limitarsi al solo scegliere un teatro diverso per ambientare i duelli sorrentini, se non stupida, sarebbe risultata assai poco lungimirante. Ed, invece, in nome del re, Carlo inviò: A Bari: Maso Romano e Pietro Ammone del (Sedile di Porta), oltre che Tommaso Spasiano, Filippo e Pietro Vulcano, Petruccio e Riccardo Sersale (del Sedil Dominova), assieme ad altri.

Tre stemmi attribuiti da Bernardi) Candida Coniuga ai vari rami della famiglia Romano. Quello del nucleo Sorrentino è il primo a sinistra.

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A Sulmona (Anticamente infeudata agli Aminone del sedile di Porta): Nicola e Riccardo Acciapaccia (Porta), con Nicola Mastrogiudice, Corrado e Nicola Capece, Francesco Vulcano, Filippo Eusebio (del Sedil Dominova) ed altri ancora. Che senso avrebbe avuto il continuare a mantenere un metaforico "fiammifero" vicino alla "benzina"? PERCHE' E' RAGIONEVOLE LA TESI DEL XIII SECOLO Scartata l'ipotesi trecentesca, nel parlare del Sedil Dominova, non resta che approfondire quella relativa al secolo precedente, precisando che non è solo un ragionamento portato avanti per esclusioni che la rende verosimile. Molti, infatti, sono gli elementi che contribuiscono a rendere certa la tesi in questione. A partire dalle indicazioni ricavate dalle risultanze della visita di cui fu artefice Monsignor Carlo Baldino tra il 1592 ed il 1593. Questi, in qualità di arcivescovo, ebbe modo di rilevare che fin dal 1221 si fa menzione della Chiesa di San Salvatore a Dominova, così denominata perché - come ricorda Padre Bonaventura da Sorrento in "Sorrento sacra ed illustre" - edificata appunto presso il sedile di tal nome. Attestata da uomini di chiesa - solitamente zelanti e documentati - l'affermazione dovrebbe stemma attribuito ci Monsignor bastare di per se stessa a stroncare qualsiasi pole- Lo Cario Baldino da Pasquale Fcrrainolo mica. in "La Chiesa Sorrentina e i suoi Così, però, non è mai stato visto che, ciclica- Pastori". mente, si riaccende una disputa sterile, pretestuosa e priva di senso. L'analisi del contesto storico locale, "nazionale" ed europeo, lo sviluppo di elementari ragionamenti logici e la rilevazione di fatti inoppugnabili, invece, nel fugare ogni dubbio, mostra l'esistenza, proprio a Sorrento, di una foltissima rivalità (purtroppo finora mai ben definita, né evidenziata nella giusta misura) tra una fazione guelfa ed una ghibellina. Ed è proprio questa rivalità che provocò una spaccatura profonda tra i nobili sorrentini e fece maturare la decisione, anzi l'esigenza, di dar vita al Sedil Dominova. Basta rileggere la storia a partire dai primi anni del XIII secolo e dare un senso almeno a quanto è già noto oltre che provato. LO SCENARIO EUROPEO ALL'INIZIO DEL XIII SECOLO All'inizio del 1200 l'Italia Meridionale, il regno di Germania e l'intero Sacro Romano Impero d'Occidente erano alle prese con lo scontro - alimentato con estrema volubilità da Papa Innocenze III - tra Federico II di Svevia e Ottone di 86


Brunswich (il primo sostenuto, tra gli altri dal Re d'Inghilterra, Giovanni senza Terre, ed il secondo dal Re di Francia, Filippo Augusto). Figlio di quell'Enrico VI che, in virtù del matrimonio contratto con Costanza d'Altavilla, aveva riunito nelle sue mani il controllo sui territori imperiali e su quelli del più grande regno italiano del tempo, Federico non avrebbe dovuto conoscere problemi di sorta nella successione al padre. Tanto più che, rimasta vedova, poco prima di morire anch'essa, Costanza aveva provveduto ad affidare al Papa tanto la reggenza quanto la protezione del figlio ancora minorenne. Viceversa Innocenze III rispolverando ambiziose pretese pontificie sul Mezzogiorno e Enrico VI sulla Sicilia, ritenne di approfittare delle rivolte anti-federiciane che scuotevano la Germania fin dall'ultimo scorcio del 1100 e che vedevano tra i più accreditati protagonisti proprio Ottone di Brunswich. Dopo aver tenuto un atteggiamento di iniziale prudenza, il Papa, una volta che Ottone ebbe rinunziato a molti dei suoi diritti imperiali in Italia, lo riconobbe prima re della Germania e poi lo incoronò imperatore a Roma. Le decisioni pontificie, quasi subito, si rivelarono poco avvedute e le scelte operate poco lungimiranti. Presto, il nuovo imperatore, nel dimostrare chiaramente di non volersi disinteressare // sigillo di Federico II adottato dal/ 'omonima Università di Napoli all'Italia, promosse e guidò una spedizione militare giunta con successo ad un passo dallo sbarco in Sicilia e all'annientamento definitivo di Federico II che, ormai sicuro della disfatta, si preparava all'esilio in Africa. Nel mese di ottobre del 1211, però, si registrò un improvviso quanto imprevisto capovolgimento di fronte. Dimostrandosi abilissimo in quell'arte delle congiure, dei complotti e degli intrighi che ha contribuito a rendere grande lo Stato Pontificio e, comunque vincenti, le strategie Papaline, Innocenze III - grazie ad una intensa ed efficace attività politico-religiosa - convinse i principi tedeschi a voltare le spalle all'Imperatore in carica. La manovra riuscì pienamente.


L'alta aristocrazia teutonica oltre a deporre Ottone, offrì a Federico II... la corona LAQVA imperiale! LE SI E' POSTA Il giovane sovrano si trasformò così da PER NON RITRO- inseguito in inseguitore e, a Pasqua del 1212, VARSI L'EFFI- otteneva l'incoronazione proprio da quel GIE. Papa che pure gli aveva quasi procurato il tracollo. Il 27 luglio 1214 si registrò l'epilogo della Lo stemma di Federico li rocambolesca contesa con la battaglia di Bouvines (vicino Lille) dove le truppe rimaste fedeli ad Ottone di Brunswich, assieme a quelle del re inglese, Giovanni senza Terre, furono sbaragliate dall'esercito del re di Francia, Filippo Augusto, alleato del sovrano svevo. UNA NUOVA CHIAVE DI LETTURA PER LE OSCURE VICENDE DELL'ARCIVESCOVO ALFERIO Erano tempi difficili, come difficili erano le scelte per quanti cercavano di adeguarsi ad uno scenario politico in continua evoluzione. I repentini capovolgimenti che si registravano nei rapporti di forza tra gli schieramenti in campo, accompagnati dall'alcatorietà di alleanze e di benedizioni pontificie (sempre pronte a rivelarsi effimere) procurarono non pochi disagi a quanti si trovarono nella condizione di dover subire gli eventi. Tra questi ci furono anche i sorrentini che, inizialmente, si erano schierati con Ottone di Brunswich. // Re Giovanni Senza Terre, allealo dì Proprio gli uomini della Terra delle Sirene Ottone di Brunswich seppero fare di necessità virtù trovando nell'arcivescovo del tempo, Alferio (probabilmente appartenente alla famiglia Comile) un utile capro espiatorio. Come ricorda Bartolommeo Capasse in "Memorie della Chiesa sorrentina", l'alto prelato, nel 1213 "fu accusato presso il Papa da Matteo Canonico sorrentino di simonia per aver promesso l'arcidiaconato a Giovanni Ciroleone, onde ottenere il voto nel! ' elezione ali Arcivescovado, e di aver, con la sua influenza, distolta la città di Sorrento dalla fedeltà di Federico II facendola giurare omaggio all'imperatore Ottone IV. Un primo indizio della pretestuosità dell'accusa può essere colto dalla tardività della denunzia del caso di simonia. Un fatto che assumeva una particolare gravita specie perché il Concilio


Laterano II (1139), Laterano III (1139) e Laterano IV (1179), avevano riservato particolari attenzioni proprio ai fenomeni simoniaci. Probabilmente eletto arcivescovo nel 1197, Alferio - prima di finire "sotto inchiesta" - nel 1208 ottenne dal Papa il privilegio dell'obbedienza da prestarglisi due volte ogni anno da parte dei vescovi suffragane!, degli abati, degli ecclesiastici e delle "università laicali" di tutta la sua provincia. Il che testimonia tanto il prestigio fino ad allora vantato presso le alte sfere pontificie quanto la fiducia goduta presso i vertici della Santa Sede. Sicuramente è poco per ricavarne 1' innocenza dell' "inquisito", ma sta di fatto che le accuse del canonico Matteo, per dirla ironicamente, (almeno per gli aspetti simoniaci) dovettero essere oggetto di lunghe ed approfondite riflessioni, visto che furono formalizzate ben 16 anni dopo la consumazione del "delitto". Molti altri, in ogni caso, sono gli ulteriori elementi che alimentano giustificate perplessità. In primo luogo perché - fatto salvo il caso in cui Alferio sia stato impegnato in una lotta "all'ultima preferenza" contro un temibile ed agguerrito antagonista - non avrebbe avuto senso "comprare" il solo voto di Giovanni Ciroleone per assicurarsi l'elezione. E, dunque, il caso di simonia o non avrebbe avuto ragion d'essere o, viceversa, avrebbe dovuto vedere coinvolto un ben più nutrito numero di ecclesiastici locali. Il caso, invece, risulta circoscritto ad una sola persona "corrotta" e non si hanno notizie di altri presunti concorrenti al soglio arcivescovile. Come pure è opportuno sottolineare che il denunziante non riuscì ad avvalersi della benché minima testimonianza, né potè circostanziare il suo stesso quadro accusatorio. Di contro la difesa fu strenua ed improntata ad atteggiamenti tutt'altro che passivi o remissivi visto che, proprio al canonico Matteo, furono contestati motivi di risentimento personale. Il caso, comunque, risultò e risulta, ancora oggi, assai singolare. Come singolare apparve a tutti il richiamo all'influenza che si pretendeva esercitata da Alferio nel distogliere un'intera città dalla fedeltà alla causa sveva X'J


perché il fatto avrebbe testimoniato un'accondiscendenza del patriziato assai lontana dalla effettiva realtà. Più probabile, invece, è che proprio la città ed i suoi nobili, finirono con l'utilizzare il "j'accuse" lanciato nei confronti del loro arcivescovo per salvare l'onore ed i buoni rapporti con quello che già appariva come il vincitore dello scontro tra la Casa di Brunswich e quella degli Altavilla. Non crediamo sia un caso, infatti, che l'esito della clamorosa inchiesta, affidata all'arcivescovo di Napoli, sia rimasto ignoto. Il fatto che, proprio in quegli anni, le massime autorità pontificie avessero adottato un provvedimento di generale clemenza nei confronti di quanti avevano parteggiato per Ottone IV, infatti, non poteva cancellare le accuse di simonia e, quindi, Alferio non poteva considerarsi "amnistiato" in toto. Visto il silenzio, si deve immaginare che la Chiesa abbia adottato la saggia decisione di far dimenticare la cosa con 1' aiuto del trascorrere del tempo. DALLO SCANDALO ECCLESIASTICO NASCONO I PRESUPPOSTI PER LE NUOVE FORTUNE DEI GHIBELLINI Lo "scandalo" che vide interessato l'arcivescovo di Sorrento, in ogni caso, paradossalmente creò i presupposti per rilanciare la crescita politica, sociale e civile della Città. Una significativa parte della nobiltà locale, infatti, aveva tentato - riuscendoci - di lucrare "l'indulgenza plenaria" del nuovo Imperatore, abiurando la causa di Ottone di Brunswich e abbandonando il Pastore locale (colpevole di averlo "sponsorizzato") alla sua sorte. Questo determinò un progressivo e costante accrescersi del prestigio vantato da una parte significativa dell'aristocrazia cittadina. Quella, naturalmente, che si rivelò di parte ghibellina e che trovò nel Sedil Dominova il suo quartier generale. Quasi esclusivamente ad esso, infatti, appartennero le famiglie che hanno ricevuto incarichi, titoli e feudi in periodo svevo e che, a loro volta, si rivelarono fedelissime sostenitrici della dinastia. Il che, peraltro, potrebbe fornire lo spunto per una "nuova" interpretazione del termine "Dominova". Più che intendersi come nuova dimora (come sostengono alcuni), infatti, il seggio fu punto di riferimento dei nobili che riconobbero in Federico II il "nuovo Dominus" e ne sposarono la causa su tutti i fronti. 90


Compreso quello che vide impegnato lo stesso imperatore in accese dispute con il Papato in merito alle competenze a ciascuno spettanti nella gestione del potere religioso e di quello temporale. Fu uno scontro durissimo e che, complessivamente, procurò all'imperatore ben tre scomuniche. Rispetto a questo l'aristocrazia locale seppe giocare un ruolo da protagonista eccellendo per virtù diplomatiche e per l'essere in grado di mantenersi saldamente schierata a fianco dell'erede di Enrico VI senza, per questo, alieFederico li eia giovane narsi la stima e il rispetto pontificio. Né fu sminuito il suo prestigio in ambito ecclesiastico. Anzi proprio gli anatemi lanciati contro Federico secondo offrirono ripetute occasioni per mettere in mostra la valenza di una delle più belle intelligenze che la Terra delle Sirene potesse vantare in quel tempo. I PALADINI DELLO STUPOR MUNDI Fu in Angelo Teodoro, appartenente alla omonima famiglia sorrentina, che l'imperatore ripose la sua fiducia per ottenere la revoca degli interdetti e delle censure di Gregorio IX e Innocenze IV. Una impresa a dir poco ardua, visti gli interessi in gioco, nella quale, però, il saggio, prudente e capace diplomatico riuscì pienamente. Consigliere di una delle più autorevoli e volitive personalità del medioevo, il Teodoro riuscì ad ottenere il perdono per il suo indomito signore e la sua riammissione nella comunità cristiana. La qual cosa gli procurò la baronia di Teramo. Non fu, però, né l'unico appartenente alla famiglia sorrentina, né l'unico dei Teodoro che ebbe la possibilità di vedere esaltati i propri meriti alla corte sveva. Prima di lui, ad esempio, Donadeo Teodoro fu inviato, assieme ad Enrico Sersale, quale ambasciatore della Città del Tasso presso Federico II. In realtà, dopo la rocambolesca fase iniziale culminata Stentina della famiglia con l'inchiesta sull'arcivescovo Alferio, il rapporto di reci- Teodoi'o proca fiducia tra la casa imperiale ed i nobili del Sedil Dominova si andò consolidando con il passare degli anni e determinò l'inizio di una nuova fase di grande splendore per l'intera penisola. Lo "Stupor Mundi", ormai certo di aver trovato strenui sostenitori in zona, non si limitò ad elargire feudi, ma conferì, ad un sempre maggior numero di Sorrentini, incarichi delicati, prestigiosissimi e di grande responsabilità ottenendone in cambio servizi che soddisfecero sempre - e nel migliore dei modi - le aspettative. 91


Messi alla prova, seppero positivamente distinguersi in ogni campo manifestandosi versatilissimi ed in condizione di primeggiare, non solo - come già evidenziato - in ambito diplomatico, ma anche sul fronte militare, su quello religioso e perfino nel garantire la sicurezza del Regno. Tra i più meritevoli figurano, ad esempio, Carlo D'Alessandro (maestro giustiziario in Calabria nel 1226) e numerosi appartenenti alle famiglie Sersale, Capece e Vulcano. Stemma della famiglia Alla prima appartennero Pietro (Arcivescovo di D'Alessandro Sorrento nel 1217), Enrico (Capitano di cavalli nel 1253), Tommaso (Custode di vascelli ai tempi di re Manfredi) e Matteo (Consigliere, Familiare e Prefetto feudatario dello stesso re Manfredi che, però, gli si rivelò assai poco fedele visto che subito trovò adeguata collocazione nella corte di quel re Carlo che diede inizio alla dominazione angioina). Della seconda, invece, fecero parte: Giacomo (Siniscalco di Federico II e Capitano di Galere), Bernardo (Giustiziere prima e viceré poi della Terra di Bari al Tempo di Manfredi), Enrico e Corrado (entrambe viceré in Sicilia anch'essi secondi solo a Re Manfredi). Dai Vulcano, infine, discesero: Adenolfo (Familiare e Falconiere di Federico II), Giovanni (Provveditore dei Castelli e delle fortezze in Sicilia nel 1239). L'elencazione che vede interessate le famiglie iscritte al Sedil Dominova come destinatarie dei favori e delle attribuzioni imperiali in quel periodo sarebbe ancora lunga anche se si tratterebbe di dettagliare incarichi di seconda gran- A sinstra: lo stemma della famiglia Sorrentina dei Capece dezza rispetto a quelli considerati tratto da "Vindex Neapolitanae Nobilitatis" di Carlo Borre/li; a destra lo stemma di un altro ramo dei Capece, in precedenza. secondo Bernardo Candida Gonzaea. Di contro (se si eccettuano pochi, tardivi e non molto significativi incarichi concessi agli esponenti della famiglie Miro e Romano) le famiglie del Sedile di Porta non poterono vantare grandi onori. Il dato sembra sufficientemente eloquente. Come è eloquente il fatto che gli appartenenti a quest'ultimo seggio conobbero fortuna solo con l'avvento dell'angioino Carlo primo detto "II cattolico" anche in omaggio ad una posizione dichiaratamente guelfa. L'avvicendamento, tutt'altro che pacifico, fornì lo spunto per verificare, ancora una volta, la fedeltà al partito Stemma della famiglia Miro svevo ed a quello dei ghibellini. 92


FEDELI AGLI SVEVI FINO AD ESTREME CONSEGUENZE Saldamente in possesso della gestione del potere cittadino, la maggior parte dei patrizi del Sedil Dominova sostenne re Manfredi fino al suo ultimo istante di vita potendo contare anche sul pieno ed incondizionato appoggio della Chiesa locale. Pasquale Ferraiuolo nel suo "La Chiesa Sorrentina" ed i suoi pastori, parlando di Pietro II (vescovo del tempo), ricorda: "Questo presule era già vescovo di Cerinola quando Papa Innocenza IV nel 1250 lo trasferì alla sede arcivescovile sorrentina, prendendone possesso il 23 marzo 1252, come si rileva dal registro Vaticano. Esiste anche una lettera dì questo Papa inviata da Roma il 1° aprile 1250 in cui raccomanda tale presule al Re Manfredi Capitolo sorrentino. (Ughelli F. 1717/21) Sotto il vescovato di Pietro II, nel 1258 i Padri Francescani Conventuali, favoriti dalla politica del nuovo Papa Alessandro IV, che era stato loro cardinale protettore, si stabilirono nell 'antico ritiro di San Martino, lasciato libero dalle monache benedettine trasferitesi nel nuovo Monastero di San Giorgio sito "ad hortum ad cavam " che era stato loro donato dal nobile Pietro Filandieri, donazione che era stata anche ratificata dallo stesso Alessandro IV con propria bolla inviata da Viterbo. (Capasso B. 1895). Con l'avvento dei frati dell'antico ritiro di San Martino (che si vuole fosse stato fondato da Sant'Antonino), lo si cominciò a chiamare Convento di San Francesco. Lo storico Ughelli riporta che essendo questo pastore di Sorrento intervenuto, contro la volontà di Papa Alessandro IV, insieme con altri dieci vescovi del regno all'incoronazione di Manfredi, avvenuta a Palermo il 10 agosto 1258, venne deposto dalla sede sorrentina e scomunicato. Tale sentenza gli venne confermata anche da Clemente IV nel 1267 (Ughelli F. 1717). Di diversa opinione è invece il Pirro che, in base, ad un documento scoperto presso l'archivio della Curia di Girgenti, asserisce che sia /' arcivescovo di Sorrento che l'Abbate di Montecassino, furono momentaneamente rimossi dalle loro sedi mentre il vescovo di Girgenti venne deposto e scomunicato. Sicuramente per un certo periodo di tempo, Pietro II venne allontanato dalla sua sede, infatti il M Haute (1750) riporta una sentenza emanata dal Capitolo della Cattedrale di Sorrento del 2 dicembre 1266, in cui risulta che la sede sorrentina era momentaneamente vacante del suo pastore. Infine anche una lettera di Carlo d'Angiò inviata da 93


Napoli l'IÌ dicembre 1266 ai "Suffraganeis Ecclesiae Surrentinae", con la quale il re si raccomandava alle preghiere dei monasteri e dei vescovi della penisola per invocare dal ciclo lo sterminio dei suoi nemici e della Chiesa, ci fa ritenere che la sede sorrentina era ancora vacante del suo pastore (Filandieri R. 1910). Molti, infine, sostengono che Pietro venne assolto dal Papa e rimesso nel pieno possesso della sua sede, come era avvenuto per il vescovo di Lettere, che incorso nelle stesse censure Papali, dopo essere stato assolto dal vescovo di Stabia, venne nuovamente rimesso a capo della sua diocesi, per ordine Papale. (Capasso B. 1854). Questa versione crediamo sia la più veritiera. Sotto il governo di tale pastore, Sorrento venne ferocemente predata nell'agosto del 1268 dalla flotta pisana diretta in Calabria per tentare uno sbarco e suscitare la ribellione contro gli angioini a favore di Corradino di Svevia, che verrà poi decapitato a Napoli il 29 ottobre dello stesso anno. (Fasulo M. 1906). Esiste ancora una lettera di Papa Clemente IV inviata a Pietro II il 18 ottobre 1268 da Viterbo con la quale lo delega di assolvere la città di Aversa dalla scomunica in cui era incorsa. Infine, nei registri del Grande Archivio, risultava che il 3 giugno 1270, Pietro li era ancora arcivescovo di Sorrento. Probabilmente verso la fine del 1270, questo pastore della chiesa sorrentina dovette morire. (Capasso B. 1854)". A differenza di quanto verificatosi mezzo secolo prima con l'arcivescovo Alferio, nella circostanza, malgrado pur consistenti e considerevoli defezioni, molti nobili mantenStemma della Famiglia Sersale nero ferma la propria posizione. Vari ed eroici furono i tentativi di difesa degli ultimi svevi che videro impegnati esponenti del patriziato iscritto al Sedil Dominova. Non a caso al centro di una inquisizione promossa da Carlo I nel 1275 figurano anche Pietro Sersale, Giacomo, Sergio, Andrea e Pietro Vulcano e molti atri. Questo per non parlare della frenetica attività dei Capece. Tra questi - come evidenziato in "Memorie delle Famiglie Nobili delle Province Meridionali d'Italia" di Bernardo Candida Gonzaga - Jacopo e Raimondo condussero due squadre contro l'avversario angioino, il viceré di Sicilia Corrado (che assieme alla moglie Biancofiore ha ispirato una novella del Boccaccio) fu costretto alla fuga per evitare la fine dei suoi parenti Martino e Giacomo (giustiziati in Provenza). Marino Capece, infine, tentò un estremo tentativo di riscossa con 40 galere pisane grazie alle quali, sia pure per un breve periodo, prese Ischia,


Castellammare di Stabia, Sorrento e Positano prima di saccheggiare Milazzo. Nel concludere questa divagazione (che mirava dichiaratamente a puntualizzare l'origine del Sedil Dominova e le ragioni che hanno inizialmente determinato una profonda frattura con i nobili del sedile di Porta) è opportuno chiarire che il periodo storico da prendere in considerazione Battaglia tra Normanni e Angioini a Parigi in merito alla scissione dei nobili locali, è quello compreso tra il 1213 (data in cui fu denunziato l'arcivescovo Alferio) ed il 1221 (data alla quale si fa risalire l'esistenza della Chiesa di San Salvatore a Dominova. Non ci sembra di dover aggiungere altro sull'identità ghibellina dell'uno e su quella guelfa dell'altro. Qualche breve, ulteriore considerazione, invece, meritano le attenzioni che Federico II riservò all'intera Terra delle Sirene. Pur prediligendo quella parte di nobili a lui considerata quasi fanaticamente devota, il figlio di Enrico VI e di Costanza d'Altavilla, seppe essere l'Imperatore di tutti. Così fu anche nel caso di Sorrento cui il sovrano, pur alle prese con il controllo di immensi territori, spazianti dalla Germania alla Sicilia, dedicò, per 1' appunto, grandissima attenzione.

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18) LA RICONOSCENZA E LE ATTENZIONI DI FEDERICO II L'idillio nato tra Federico II ed una parte significativa della nobiltà sorrentina fu tra i più fortunati e fecondi. Come si è già avuto modo di evidenziare in precedenza, la presenza di una autentica roccaforte ghibellina, unitamente alla crescente e sempre più accanita determinazione manifestata dai nobili del Sedil Dominova nel sostenere le posizioni imperiali - anche nei frangenti più delicati - fecero sì che l'Imperatore vedesse in Sorrento una sorta di vivaio dal quale attingere a piene mani nel tentativo di creare una valida classe dirigente indiscutibilmente fedele alla sua causa. Come pure lo svevo tenne sempre presente il patriziato peninsulare anche nella individuazione di solidi punti di riferimento in campo militare, sul fronte diplomatico e perfino Mappa intarsiata della Città dì Sorrento esposta presso la Casa Comunale nella vita di corte. Il puntuale riscontro dei positivi risultati conseguiti dagli appartenenti all'aristocrazia della Terra delle Sirene alimentò un processo virtuoso grazie al quale il sovrano rivolse alla costiera sempre maggiori e frequenti attenzioni. La qual cosa non mancò di procurare benefici effetti individuali, ma anche positive ricadute per l'intera comunità locale. Eppure quello che può essere considerato alla stregua di un "esordio" - come già evidenziato nel capitolo precedente - non fu dei più felici. Tuttavia a far dimenticare presto l'incidente chiusosi con la messa in stato di accusa dell' Arcivescovo Alferio, contribuì anche il passato della Città del Tasso. Il patriziato locale, infatti, poteva vantare tanto appartenenti a famiglie che si erano apertamente schierate a fianco della famiglia imperiale ed in particolare di Lotario (in occasione dei suoi scontri con Ruggiero per il dominio sul Regno delle due Sicilie), e di Corrado III. Né deve sottovalutarsi il fatto che i Teodoro, 96


ormai pienamente "sorrentinizzati", discendevano da quel Teodoro (da cui, per F appunto, nacque l'omonima stirpe) che gli storici vogliono giunto in Italia al seguito di Ottone I. Circa questa famiglia, inoltre, non deve essere trascurato un altro rilevante particolare. Anche perché forti delle origini teutoniche e della loro fedeltà alla casa imperiale tedesca - oltre che per i loro evidenti meriti - proprio i Teodoro ottennero da Enrico VI, nel 1197, il privilegio di poter usare l'aquila imperiale per fregiare il capo del proprio stemma. Tutti questi elementi, assieme alle costanti manifestazioni di assoluta fedeltà che si sono registrate dopo che gli abitanti della Città del Tasso hanno "abiurato" Ottone IV di Brunswich, furono sicuramente tenuti nella debita considerazione tanto da Federico II quanto dai suoi discendenti. Al punto che - come già ricordato - ci furono ben tre appartenenti a famiglie sorrentine (tutti dell'albero genealogico Gìi stellimi delle famiglie Malignano e Teodoro come enino | dei Capece) che giunsero ad affrescati presso la sede municipale prima dei lavori di restauro effettuati in seguito al terremoto del 1980. essere designati viceré. Un ruolo ed una dignità, questa, che seppur conseguita alla vigilia della conquista angioina, non meritano commenti e, non possono far altro che consacrare l'apoteosi di un rapporto fiduciario consolidatosi nel tempo. Analoghe considerazioni possono essere articolate a proposito di alcuni incarichi affidati ad esponenti della famiglia Teodoro. • Per tutti ad esempio, si ricordi, ancora una volta, il caso di Angelo, spedito a Roma per ottenere la revoca di ben due scomuniche pronunziate contro l'imperatore. Anche in questo caso il prestigio dell'incarico è palese. Come evidenti sono i sentimenti di profonda stima, di alta considerazione e di assoluta fiducia che animarono la scelta dell'ecGli .stemmi delle famìglie Vulcano e Capece come erano affre- clesiastico sorrentino da parte scati al comune di Sorrento prima ilei 1980. dell'imperatore passato alla sto97


ria anche con il nome di "Stupor Mundi". Qualche riflessione più approfondita, invece, meritano i ruoli, gli incarichi e le investiture che videro interessati i Vulcano. Tra questi spicca l'importanza di Giovanni che secondo Scipione Mazzella (in Descrittione del Regno di Napoli") "essendo versatissìmo nelli maneggi di guerra fu creato provveditore delle fortezze e castella dell'Isola di Sicilia". Un incarico, questo, che Federico II riteneva delicatissimo attribuendogli un significato cruciale nelle sue strategie. L'imperatore, infatti, fin dai primi passi compiuti alla guida del Regno delle due Sicilie riservò alla materia una enorme rilevanza. Riprendendo quanto già stabilito in occasione dell'assise di Capua (12201221), nel Liber Augustalis (anche conosciuto con il nome di "Costituzioni Melfitane") ebbe modo di stabilire "che tutti i castelli, le fortezze, le mura e le opere di difesa che dalla morte di re Guglielmo sono state costruite in quelle città e in quei luoghi e che non sono tenuti in mano nostra vengano consegnate ai nostri messi per essere abbattute". Nello spiegare la scelta, Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri (in "Federico II, Ragione e Fortuna") scrive: "Federico nella sua adolescenza aveva ben sperimentato la forza oscura dei potenti locali, normanni o tedeschi, che miravano ad annullare o negare l'efficacia della presenza regale e da là, dalle loro mura turrite, si muovevano per abbatterla. Nell'anno delle costituzioni Melfitane (1231) aveva scritto che "L'imperatore (e il Re) è presente in ogni luogo " e quindi deve essere anche nei castelli, orgogliosa opera sua dopo che gli altri edifici qualificati tutti come "sedi del Interno della Cappella Palatina a Palermo nemico" fossero stati abbattuti". La stessa autrice, inoltre, ricorda che: "Gli anni di relativa pace in cui Federico potè dedicarsi al suo Regno Siciliano furono meno di dieci, appunto quelli che vanno dal 1231 al 1239, fine definitiva della precaria concardia con il papato". 98


Partendo da queste premesse, dunque, l'importanza del ruolo di Giovanni Vulcano assume un significato di primissimo piano visto che 1' Imperatore gli affidò la cura della sicurezza della sua amata isola proprio nel momento in cui, ricominciando le polemiche e gli attriti con il Papa, fu costretto a rivolgere maggiori attenzioni alla zona continentale. Non deve essere trascurato, inoltre, Adenulfo Vulcano che fu ammesso nel novero dei familiari dell'imperatore e che fu suo falconiere personale. Anche a quest' ultima carica è bene dedicare qualche attenzione perché, a dispetto delle apparenze, fu prestigiosissimo agli occhi del sovrano. Al punto che sull'argomento, lo "Stupor Mundi" ha voluto dar vita ad una monumentale opera - l'unica scritta di suo pugno -: il "De arte venandi cum avibus". L'imponente trattato ha un altissimo valore scientifico ed assume un significato davvero eccezionale soprattutto se rapportato ali' epoca della sua redazione. Sull' argomento Alberto Gentile sul sito www.stupormundi.it scrive: "Federico II aveva letto Aristotele nelle traduzioni di Michele Scoto. Pur apprezzandolo come filosofo, lo criticò come ornitologo tanto che ebbe a dire: "Nello scrivere abbiamo anche seguito Aristotele, quando ciò appariva necessario. In alcuni punti, tuttavia, siamo dell' opinione, sulla base delle esperienze da noi condotte, che, per quanto concerne la natura di determinati uccelli, egli si sia allontanato dalla verità. Pertanto non in tutto concordiamo con il Principe dei filosofi giacché mai o solamente di rado egli si dedicò ali' aucupio, a differenza di noi che /' abbiamo sempre amato e praticato. Aristotele narra molte cose sugli animali specificando che furono altri a dirle; ma ciò che altri sostennero, egli stesso non vide né fu visto da coloro che per lui si resero garanti. La certezza non si raggiunge con l'orecchio...". Lo stesso Gentile, aggiunge: "L'Imperatore voleva forse solo scrivere un testo per /' addestramento alla caccia dei rapaci; ma la padronanza del problema e del metodo scientifico adottato gli consentirono di produrre un vero e proprio trattato di ornitologia. Più di 500 anni prima di Linneo (Rashult 1707 Uppsala 1778) egli usò la nomenclatura binomio per


designare le diverse specie d' uccelli. L' opera è divisa in due parti. La prima corredata di 500 miniature, presenta circa ottanta esemplari di volatili che possono essere catturati dai rapaci e ne descrive le abitudini, l'aspetto fisico, i modi di difesa, le tecniche di volo, tutte conoscenze indispensabili per addestrare con successo un falco. La seconda parte, utilizzando minuziose descrizioni e miniature, illustra le varie fasi dell ' addestramento del falco con tutte le specifiche attività del falconiere". Proprio perché così esperto nella materia, Federico non avrebbe mai conferito la carica di Falconiere ad un uomo che non godesse della sua piena stima e della sua incondizionata fiducia. Peraltro proprio 1' "investitura" di Adenulfo comportò particolari attenzioni per la Penisola Sorrentina. Vincenzo Russo (in "Sorrento medioevale"), infatti, evidenzia che 1' attenzione per i falchi in Costiera era ancora viva in epoca C O N S T I T V T I O N F . S K K C Y . U R K C . X l VTRIVSQVE SIGILI.E angioina dal momento che, proprio a quel tempo, si ha notizia dell' esistenza di numerosi rapaci di questa specie "m certi luoghi in cui già li faceva cercare Federico //". L'incarico affidato all'appartenente alla fami- C 11-ti C A E A H. V M >> E M V E H S < O N 1. glia Vulcano, insomma, fu molto più prestigioso ASSISI.IE HEKI M M f. <• X I SICII.I.tì di quanto non lascino sembrare le apparenze. R E G I S T I EiVSOr.iM I M P E R A T O R I . ; Pur alle prese con il controllo di tenitori sconfinati, lo svevo, riservò ancora altre attenzioni a Sorrento. Ciò sicuramente grazie all'utilizzo delle notizie fornitegli da informatori zelanti e solleciti. In particolare desideriamo ricordare che semX £ A r O I. 1 pre nelle costituzioni melfitane, ben due articoli 1

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il

riferimento

riguardano esplicitamente Sorrento. In essi - ai titoli 80 ed 81 - si legge: "/L MODO DI SCRIVERE I DOCUMENTI Abolendo con una legge limpidissima le consuetudini che abbiamo udito essere in vigore una volta in alcune parti del Nostro Regno, decretiamo che gli strumenti pubblici e qualsiasi cauzione siano scritti dai Nostri notai con scrittura comune e leggibile, del tutto abolito il modo di scrivere che si conserva fino ad ora nelle città di Napoli, nel ducato di Amalfi e di Sorrento. Vogliamo anche e stabiliamo che i predetti strumenti pubblici e le altre simili cauzioni siano redatti da ora in poi su pergamena. Poiché si spera che la loro fede sia duratura e lunga nei tempi futuri, pensiamo che sia giusto che quei documenti non corrano il pencolo di essere distrutti per vecchiezza. Da quegli strumenti scritti su 100

ad

aspetti


carta di papiro o in altro modo non venga ricavata nessuna prova nei giudizi o fuori di essi, a meno che non sì tratti di ricevute e di controricevute. I documenti redatti su carta bambagina nei predetti luoghi di Napoli, di Amalfi e di Sorrento, entro un biennio dal giorno della pubblicazione di questa disposizione, siano ricopiati in comune scrittura leggibile.

Scena raffigurante' i ciuchi di Sorrento ai lati dell'imperatore d'Oriente; immagine tratta dtill'Exnltet n° 2 conservato presso l'archivio dell'Abbazia di Montccassìno.

RIMOZIONE DEGLI AGGIUNTI E DEI MEDIATORI Poiché con nuova sanzione a Nostro nome è stato stabilito che fossero designati dalla Nostra curia giudici competenti delle cause, proibiamo che da ora in poi vengano eletti gli aggiunti e i mediatori che, per consenso dei privati venivano eletti fino a ora per decidere le questioni nei luoghi predetti di Napoli, di Amalfi e di Sorrento e nei circonvicini che non avevano nessuna giurisdizione se non quella che gli elettori conferivano loro. Vogliamo invece che tutte le cause siano esaminate e condotte fino alla sentenza davanti ai bandi e ai compalazzi soltanto dai giudici eletti da Noi. Gli appelli alle loro sentenze non devono essere rivolti, come è stato già detto, ai compari e agli aggiunti, ma alla Nostra altezza o ai maestri camerari come nelle rimanenti regioni del Regno, tuttavia non negando gli arbitrati sopra quelle cose intorno alle quali si può giungere secondo legge ad un accordo attraverso arbitri". I due titoli appena riportati, oltre a rappresentare una ulteriore testimonianza delle attenzioni rivolte dall' Imperatore a Sorrento dimostrano, in concreto, quanto minuziose fossero le sue conoscenze su aspetti particolari del territorio e quanto capillare fosse il controllo esercitato da Federico in ogni angolo del Regno.

IDI


19) CONCLUSIONI Volendo prendere in considerazione solo i documenti e le testimonianze che offrono elementi di certezza, il nostro lavoro dovrebbe terminare qui. E le conclusioni non potrebbero che essere le seguenti: Sorrento ha avuto un proprio stemma fin dal periodo angioino (1265 - 1381). Esso, ali' epoca, era caratterizzato da sei fusi che richiamavano i Santi Patroni del tempo. Questi con ogni probabilità erano Sant'Antonino, Sant'Attanasio, i\ dì San Renata San Baccolo, San Renato, San Valerio e San Gennaro (come potrebbe ricavarsi dagli affreschi riportati sul soffitto della navata centrale della Cattedrale). Successivamente - tra la fine del XIV secolo e la prima metà del XVI secolo l'Arma fu "brisata" (registrandosi la scomparsa di un fuso) e raggiungendo il suo aspetto attuale. A determinare il cambiamento furono certamente valutazioni connesse ad aspetti devozionali, anche se non sono chiare le ragioni della diminuita "importanza" di San Gennaro. Al riguardo l'ipotesi più attendibile è quella secondo la quale, si sarebbe voluta esaltare l'importanza civica del ruolo ricoperto dai quattro Santi Vescovi locali e dal Patrono che trascorse una importante parte della sua esistenza a Sorrento. In altre parole a determinare il cambiamento e la scomparsa del sesto fuso (e, dunque, il riferimento ad altri santi), potrebbe, essere stato un eccesso di sano campanilismo Resta il fatto che i sorrentini negli ultimi secoli hanno attribuito a Sant' Antonino, Sant' Attanasio, San Baccolo, San Renato e San Valerio, una sorta di "leadership". Nell'affidare loro il più autorevole patronato cittadino, la popolazione VIGILE SENTINELLA non ne ha riconosciuto solo la valenNELLA DIFESA DI SORRENTO za religiosa, ma ne ha consacrato una PREGA PER NOI funzione difensiva (tanto in termini spirituali quanto in termini fisici) trasformandoli in massimi guardiani Un'eloquente invocazione a Sant'Antonino dell' incolumità collettiva. 102


A ciò potrebbero aggiungersi ulteriori elementi traendo spunto dalle considerazioni araldiche di carattere generale, anche se risulta difficile individuare specifici episodi che, precedendo 1' adozione dell' Arma, possano giustificare il desiderio di testimoniare il coraggio, e virtù militari e 1' attaccamento alla fede da parte degli abitanti della Terra delle Sirene che possono, comunque, ricavarsi dai principi araldici di carattere generale. Dovremmo aggiungere, infine, che molto probabilmente la Città del Tasso ha potuto vantare un proprio stemma fin da epoca ancora più antica, ma che F assenza di riscontri oggettivi ci costringe a non procedere oltre. E, in un certo senso, così facciamo, considerando, con la chiusura della prima parte di questo libro, esaurita 1' analisi degli elementi Ritratto di San Bacalo che offrono certezze. Tuttavia non riteniamo che sia giusto nascondere gli indizi, le "curiosità" e le precise sequenze cronologiche che, collegando tra loro fatti, eventi e personaggi, indicano argomenti da approfondire. Per questo, pur consapevoli di non poter contare sul valore oggettivo di certe considerazioni e di alcuni accostamenti, abbiamo deciso di aggiungere un altro capitolo intitolato "Le ipotesi". Ciò per almeno due ragioni. In primo luogo, infatti, desideriamo evidenziare la necessità di reperire prove indispensabili per elevare le ipotesi considerate al rango di tesi o di certezze. In secondo luogo, invece, ci auguriamo di essere riusciti a rifuggire da atteggiamenti che abbiamo contestato ad altri e consistenti nel creare pseudo-dogmi il cui unico punto di forza potrebbe essere rappresentato dall'assenza di prove contrarie o di contestazioni formali. Con la modestia che il caso richiede, avremmo potuto sentirci paghi per le molte scoperte effettuate e per le molte novità introdotte sull'argomento. Ma nel far questo, pur ponendoci al riparo da ogni possibile critica, ci saremmo sottratti ad ogni confronto capace di alimentare quel processo di rivisitazione della storia locale che abbiamo auspicato fin dalla premessa di questa opera. Non mancano aspetti che, a molti, potrebbero apparire provocatori, se non addirittura esasperati. Così come non manca qualche arbitrio. Di questo siamo perfettamente consapevoli. Perciò più che confidare sulla indulgenza dei lettori che vorranno dedicarci una qualche attenzione, auspichiamo le repliche - se necessario anche irate - degli studiosi più accreditati in materia di storia patria. Anche questo sarebbe un modo per ricostruire il passato di Sorrento nella maniera più corretta possibile. 103



LO STEMMA DELLA CITTÀ DI SORRENTO II PARTE Le Ipotesi



20) PREMESSA ALLA SECONDA PARTE II passato di Sorrento, per certi versi, può essere paragonato ad un "giacimento" di diamanti che conserva, ancora incontaminati e ben nascosti, numerosi filoni da cui poter estrarre meravigliose notizie e preziosi spunti di riflessione. Questi ultimi, una volta "sgrezzati" mediante gli opportuni approfondimenti, possono restituire, alla Terra delle Sirene, autentiche gemme storiografiche. D'altro canto nessuno ha mai negato il fatto che quella di cui disponiamo oggi è una visione molto parziale della storia locale; specie per il periodo antecedente allo sbarco saraceno del 1558. Di fatto, quello che si presenta ai nostri occhi è come una sorta di puzzle che offre un quadro abbastanza chiaro e completo per la parte che riguarda gli ultimi cinque secoli, ma assai poco nitido e mancante di numerosi tasselli per le epoche più remote. Per questi motivi, quindi, nell'affrontare il discorso relativo alle origini ed al significato dello stemma della Città del Tasso, anche oltre le barriere opposte dall'assenza di riscontri oggettivi, siamo stati "costretti" ad affrontare ricerche che ci consentissero di avvalorare e dimostrare fondati Lo sbarco dei saraceni raffigurato certi ragionamenti. Questa esigenza ci ha imposto sul portale intarsiato della Chiesa Cattedrale di Sorrento. l'analisi di aspetti e materie finora trascurati. Fortunatamente i nostri sforzi ed i nostri sacrifici sono stati ricompensati da numerose scoperte che ci pongono nella condizione di poter offrire un panorama medioevale della Terra delle Sirene, assai ricco B. URBANO 11 Oddone di L:igery. Francese di nobiltà, di atti di coraggio e di motivi d'orgo;12 m:imi 1 0 S 8 - 2 0 luglio 1099) glio. Ciò perché l'esame delle attività del patriziato e, più in generale del mondo cavalieresco locale, tra il 1100 ed il 1200 - pur non potendosi definire che appena iniziato - ha regalato tante e tali informazioni da poterci permettere di affermare con certezza che tra gli elementi di distinzione della aristocrazia locale del tempo, figurano tanto un attivo e qualificato impegno sul fronte militare, quanto una significativa ed apprezzabile mobilitazione sul fronte delle crociate e delle guerre che Lo stemma di papa Urbano II, providero interessati gli eserciti cristiani in Terra motore della prima crociata. Santa. 107


Ed è proprio a questa epoca che potrebbe avere avuto origine lo stemma della Città di Sorrento, ed è in questo insospettato dinamismo cavalieresco che potrebbero trovarsi possibili chiavi di lettura capaci di spiegare il suo significato. In questo contesto le attenzioni riservate nei capitoli precedenti alla nobiltà sorrentina ed al Sedil Dominava, perdono definitivamente l'aspetto della divagazione ed assumono l'innegabile ruolo di "anello di congiunzione" indispensabile per collegare l'epoca a cui risalgono le ultime certezze nutrite a proposito dell'arma della Città del Tasso (XIV secolo) con periodi ancora più antichi. Alla luce di nuovi ed ulteriori elementi di valutazione che saranno forniti nell'ultima parte di questo libro, i patrizi che si distinsero ed acquisirono prestigio in epoca sveva prima, ed angioina poi, sono da considerare come i degni eredi di nobiluomini che seppero farsi onore con continuità fin dal 1100. Nostro malgrado, abbiamo cercato di ridurre al minimo la trattazione di questi aspetti per mantenere inalterata la coerenza del nostro lavoro e resistere alla tentazione di concedere maggiore attenzione ad aspetti sì affascinanti, suggestivi ed indispensabili per sviluppare un ragionamento completo, ma anche - almeno in parte - capaci di distogliere l'attenzione del lettore dall'argomento principe della pubblicazione. Solo per questo motivo, in questa sede, si è ritenuto ragionevole non affrontare a fondo l'analisi ed i risultati degli studi che vedono interessati Lo stemma Angioino così come raffigurato da Scipione Mazzetta in alcuni personaggi (come Roberto di Sorrento, "Descrizione del Regno di Napoli" Filippo de Surre, Ruggiero o Riccardo di Sorrento e Rainone da Sorrento) le cui vicende e le cui fortune possono avere inciso, in maniera diretta o indiretta, sulla storia patria. Tuttavia abbiamo ritenuto che un sia pur vago e generico riferimento alla loro esistenza, alle loro più o meno controverse imprese ed alla loro dignità, potessero offrire un significativo contributo per rafforzare la tesi secondo la quale, a partire dal XII secolo, Sorrento conobbe momenti di grande splendore in occasione dei quali la Città si trasformò in uno dei più importanti centri politico-militari dell'intero Mezzogiorno. Per questo abbiamo dedicato loro un capitolo intitolato "Alcuni personaggi su Una cerimonia Templare in un dipinto di Francois - Marius Granet. cui occorre investigare più a fondo". 108


Quasi analoghe considerazioni ci hanno indotto a ritenere opportuno l'inserimento di un breve accenno alle famiglie nobili che misteriosamente sono scomparse dalle pagine di storia locale; ad abbozzare una provocazione circa l'importanza che i Filangieri possono avere avuto anche nella Terra delle Sirene e ad accennare alla possibile presenza di cavalieri Templari in Penisola. Il fatto che ciascuno degli argomenti appena citati meriterebbe ben più articolati, scrupolosi e minuziosi approfondimenti rispetto a quelli che saranno sviluppati nelle pagine seguenti, è indiscutibile; ma anche in questo caso è prevalsa la convinzione che l'entrare nel dettaglio di aspetti troppo specifici, avrebbe provocato una sorta di confusione. Per evitare che l'apparente vaghezza dei nostri riferimenti possa prestare il fianco ad equivoci di varia natura, sentiamo il dovere di precisare che abbiamo già avviato la lavorazione di almeno due successive pubblicazioni. Una, ormai giunta alla fase della redazione del testo definitivo, relativa alla presenza di cavalieri del Tempio a Sorrento; l'altra dedica- Cavaliere templare con a fianco un "/rateilo aiutante ". ta ad aspetti storici, araldici e blasonici che hanno visto interessate le famiglie che si sono distinte in Costiera durante i secoli. "Forti" di questa precisazione, confidiamo nella possibilità che i lettori ci accordino la propria fiducia su quegli aspetti che diamo per certi senza fornire i riscontri che - noi per primi - riteniamo indispensabili per uscire dall'ambito delle congetture e delle supposizioni. Non intendiamo, invece, nascondere le debolezze del capitolo relativo all'ipotesi formulata a proposito della presenza dello stemma sorrentino nei pressi del Santo Sepolcro. In esso - ma solo in esso - sono contenute numerose "esasperazioni" e qualche forzatura. Ciò sia in ragione di quell'amore per la verità che pure ci anima, sia per Particolare della facciata della Chiesa del Santo non abusare dell'appena invocata fiduSepolcro in Terrra Santa in una incisione dell '800. cia dei lettori e sia per evitare che 109


eventuali legittime critiche circa la ricostruzione elaborata sull'argomento, possano strumentalmente essere utilizzate per sminuire la portata dell'intero testo, lo scrupolo delle nostre ricerche ed i risultati dei nostri studi. E' bene chiarire, dunque, che la scelta di domandare se si tratti di una ipotesi da approfondire o solo di una bella leggenda, non è frutto di casualità , ma espressione del desiderio di mettere in guardia quanti ci leggeranno e di evidenziare l'aleatorietà dei collegamenti effettuati tra episodi che, viceversa, non debbono rigorosamente ritenersi tra loro concatenati. Cosa questa desumibile anche dall'uso dei verbi al condizionale. Poste queste premesse ci auguriamo, quindi, di aver chiarito la "filosofia" che ha ispirato lo sviluppo e l'articolazione della seconda parte e di sottolineare, anticipatamente, i suoi punti di forza ed i suoi punti di debolezza.

Miniatura veneziana custodita presso la biblioteca del Seminario di Padova simboĂŹeggiante l'assedio di Gerusalemme 110


21) I SORRENTINI, UN POPOLO DI... CAVALIERI CROCIATI

\ Un assalto degli "infedeli" ad una fortificazione crociata

Molti sono gli argomenti ed i fatti che, pur offrendo copiosi spunti per dar lustro alla storia della Terra delle Sirene, sono stati - a nostro avviso - ingiustificatamente trascurati fino ad oggi. Tra questi spiccano quelli relativi al coraggio manifestato dalle famiglie locali in occasione delle Crociate e quelli relativi alla loro sensibilità verso gli ordini cavaliereschi che nacquero in quei tempi. E dire che proprio il coinvolgimento delle famiglie sorrentine, in questo contesto, fu sorprendente anche se si registrarono "picchi" in ben precisi momenti storici. Testimonianze utili e significative, in questo senso, più che dai libri di storia, sono ricavabili dagli scritti di alcuni celebri araldisti che, per la verità, si sono rivelati più esperti nelle ricerche di tipo genealogico che nelle descrizioni di tipo blasonico.

SCHIERATI IN PRIMA LINEA CONTRO SALADINO Grazie agli studi cui si è appena fatto riferimento è possibile stabilire che un cospicuo contingente sorrentino fu impegnato nella sfortunata sequenza di eventi iniziata con la sconfitta delle truppe cristiane ad opera delle orde di Saladino, ad Hattin, e sostanzialmente culminata con la perdita del controllo di Gerusalemme. Bernardo Candida Gonzaga (nel suo "Memorie delle famiglie nobili delle Province Meridionali d' Italia"), parlando della famiglia D' Alessandro, scrive: "Si ha notizia di un Guidone che fu tra i baroni che nel i 187 partirono per la Terra Santa". Tesi questa ripresa da Goffredo di Crollalanza nel suo "Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti" in


Lo stesso Candida Gonzaga, sottolineando l'appartenenza di Ammone Ammone alla omonima famiglia sorrentina (da cui proveniva e con la quale manteneva strettissimi rapporti) puntualizza: "Trovandosi tra ' Baroni del contado di Triedrico, come possessore di un feudo offre tre militi e dieci serventi per la spedizione in Terra Santa in Tempo di Guglielmo il Buono". Secondo Biagio Aldimari (in "Memorie historiche di diverse famiglie nobili così napoletane come forestiere"), diversi appartenenti alla famiglia Capece "nel 1187 andarono in Terra Santa". Relativamente più incerto è, invece, il periodo in cui Cornelio Vulcano ebbe modo di distinguersi alla guida di una parte dell'esercito crociato. Scipione Mazzella (in "Descrittione del Regno di Napoli"), ad esempio, soffermandosi sulla sua figura ha scritto: "A' tempi dell' Imperatore Federico II, essendo da questi molto amato, fu fatto condottiero degli hiiomini d'arme nell' impresa in Terra Santa contro gì' infedeli, il quale essendo poi ritornato in Napoli hebbe dal!'Imperatore in ricompensa del suo valore il contado di Noja". Secondo questa ipotesi, l'impegno di Cornelio Vulcano andrebbe inserito nell'ambito delle attività della sesta crociata. Ma si tratta di una "eventualità" poco attendibile. Questo sia perché il più alto riferimento militare dello "Stupor Mundi" in Terra Santa, fu Riccardo Filangieri e sia perché in cambio del valore dimostrato in una circostanza sì incruenta (come fu, per l'appunto quella della sesta crociata), ma anche così fortunata (visto che si ottenne diplomaticamente il recupero del controllo di Gerusalemme), la concessione del feudo di Noja sarebbe stata ben poca cosa. Più verosimile, invece, è la possibilità che 1' appartenente alla famiglia sorrentina, come hanno accertato alcuni storiografi pugliesi nel ricostruire le vicende di Noja (oggi Noicattaro), abbia ricevuto l'investitura (con il titolo di Conte) nel 1188, dunque all'indomani della sconfitta di Hattin.


Il che, peraltro, potrebbe lasciar supporre che la carica di "condottiero degli huomini d'arme" a cui si riferisce il Mazzella (rapportandola erroneamente ad un' epoca storica successiva) debba essere riferita al comando delle truppe inviate dalla Terra delle Sirene. Esse, in quel frangente, malgrado l'infelice esito finale degli scontri con gli uomini di Saladino, si sarebbero distinte per valore e coraggio. Al punto di far meritare al loro condottiero, l'investitura di un piccolo feudo in provincia di Bari. L'IMPORTANZA SIMBOLICA DELLE CONCHIGLIE DEI VULCANO E DEI PELLEGRINO Sempre rimanendo nell'ambito degli appartenenti alla famiglia Vulcano, infine, va rilevato un particolare di tipo araldico. La loro ultima arma, infatti, viene così descritta: "Azzurra alla rete d'oro al capo, del medesimo, caricato da tre conchiglie di rosso". Una peculiarità, quest'ultima che ha precisi significati simbolici. Secondo le indicazioni contenute in "Araldica - Storia, linguaggio, simboli e significati dei blasoni e delle arme" (scritto da Giovanni Santi Mazzini) "La conchiglia richiama il mare, e questo i viaggi d' oltremare, ovviamente (siamo in pieno Medio Evo) in Terra Santa e in altri luoghi di devozione con accessorie intenzioni di conquista: non deve dunque sorprendere l'abbondanza di conchiglie negli stemmi di più antica origine, alcune in ricordo delle Crociate (le coste palestinesi infatti abbondavano di Pecten), altre alludenti al pellegrinaggio al Santuario di San Jago di Compostela, patrono della Spagna. Secondo Crollalanza l'araldica si è servita di tre diverse conchiglie per identificare la devozione del proprietario dell' arme: J) ORECCHIUTA E MOSTRANTE LA PARTE CONVESSA ESTERNA, ricordo delle crociate: bival-

Vari esempi di conchiglie naturali e alcune loro rappresentazioni araldiche. 113


ve del genere Pecten (jacobaeus e maximus), la prima delle quali così detta perché usata dai pellegrini diretti a San Jago (Giacomo) per decorare i loro mantelli (in francese si chiama infatti coquille de Saint-Jacques, pélerineo manteau), inquantochè questa conchiglia era stata presa come emblema da San Giacomo Maggiore; secondo Bombaci se ne ornavano anche i palafrenieri; 2) PRIVA DI ORECCHIETTE, e sempre vista dorsalmente, è detta conchiglia di San Michele (probabilmente una Chama) uno dei patroni di Francia. Qui si rileva una evidente contraddizione giacché nel collare San Giaco/no Maggiore Apostolo detto anche dell ' Ordine di San Michele compaiono delle eli Compostela conchiglie orecchiute; /' ordine era stato istituito da Luigi XI ne//' agosto del 1469 in ricordo della provvidenziale apparizione dell' Arcangelo Michele sul ponte di Orléans, assediata dagli inglesi nel 1428. 3) MOSTRANTE LA PARTE INTERNA CONCAVA: conchiglia di San Giacomo, con una seconda contraddizione e confusione di termini (ma in un MS francese del 1312 è detta jacobin). Devono infine essere ricordate due conchiglie estremamente rare a vedersi negli stemmi: la e. fusiforme (probabilmente un Murex), e la e. maggiore, data per buccino (Triton)". Stante questi significati, dunque, è possibile immaginare che i Vulcano, nel modificare il proprio stemma durante il XIV secolo, abbiano voluto ricordare la partecipazione di almeno tre diversi appartenenti alla loro famiglia alle imprese militari dei cristiani in Terra Santa. Di Cornelio si è già detto in precedenza, ma - per ora - restano anonimi e "senza tempo" gli altri due cavalieri crociati appartenenti alla prosapia della Città del Tasso. Un ulteriore indizio delle attenzioni rivolte dai sorrentini al fenomeno culminato con l'impegno militare dei cristiani sul fronte crociato - prescindendo da una precisa collocazione storica - può essere ricavato dalla presenza della famiglia Pellegrino tra quelle considerate nobili in ambito locale. Stemma della famiglia Pellegrino. Di questa, purtroppo, non si hanno 114


particolari notizie se non relativamente alla descrizione blasonica del loro stemma (fornita da Vincenzo Donnorso in "Memorie Istoriche della fedelissima ed antica Città di Sorrento) che sarebbe stata caratterizzata da "una fascia d'oro, che dalla destra calava alla sinistra con tre conchiglie d'argento in campo azzurro". Anche in questo caso le considerazioni appena formulate in merito al significato simbolico delle conchiglie sembra essere eloquente, ma nel caso dei Pellegrino anche lo stesso cognome può offrire una precisa chiave di lettura. Durante il periodo compreso tra la fine dell' Uno stemma in cui si utilizza una conXI secolo e l'inizio del 1300 i cavalieri crociati chiglia fusiforme. venivano anche detti "pellegrini" e alcuni di essi finorono con il cognomizzare proprio questa loro condizione. Sui Pellegrino l'unico autore che aggiunge qualcosa alle notizie blasoniche fornite da Donnorso è Bartolommeo Capasse. Questi, in "II Tasso e la sua famiglia a Sorrento", infatti, sostiene che essi furono reintegrati al Sedile di Porta nel 1520.

Y

Stemma di W. E. Arcilev Amici (famiglici ili origine francese), caratterizzato dal!'utilizzo di numerose conchiglie. Immagine tratta da "Araldica" di Giovanni Santi-Mazzini edito da Mondadori. 1 15


22) ALCUNI PERSONAGGI SU CUI OCCORRE INVESTIGARE PIÙ'A FONDO Nei primi decenni del XII secolo la storia di Sorrento, soprattutto in seguito ad intrecci dinastici, si è più volte incrociata con quella di Capua con effetti che, a nostro parere, non sono mai stati collocati nella giusta dimensione. Resta il fatto che la cordialità dei rapporti tra i due principati ha prodotto risul,'antica Capila in una mappa del Pacichelli. tati di grandissima importanza. Come quelli desumibili dalla storia e dall'analisi delle vicende di alcuni personaggi che, al proprio nome, associarono il predicato "di Sorrento". : Vu*gU^J.Tr-

ROBERTO DI SORRENTO: UN PERSONAGGIO DA RIVALUTARE La figura di Roberto di Sorrento merita sicuINNOCEìS'ZO II Gregorin Puparesclii, Romano ramente un discorso più approfondito di quello (23febbr. 1130-24sett. 1143) che ci apprestiamo a sviluppare. Egli, in realtà, nacque dal matrimonio tra Giordano II, Principe di Capua e Gaitelgrima figlia di Sergio, Principe di Sorrento. A lungo governò lo Stato ricevuto in ragione della discendenza paterna. Dopo aver appoggiato l'ascesa al trono del primo Re normanno (Ruggiero), Roberto presto diventò l'interlocutore privilegiato di Papa Innocenze II e di Bernardo di Chiaravalle per favorire le rivendicazioni e la discesa nel Mezzogiorno dell' Imperatore Lotario. Stemma di Papa Innocenza li Riconosciuto capo della rivolta che si scatenò in Puglia (e che vide impegnati in prima linea i Conti del "tacco d'Italia") contro il monarca appena incoronato dall' Antipapa Anaciato, Roberto ebbe un grave torto: quello di non dare - quando avrebbe potuto - il "colpo di grazia" al suo avversario. Il 24 luglio 1132, dopo aver a lungo combattuto, con alterne vicende, tra Nocera e Scafati, il capo dei rivoltosi, alla testa di un esercito forte di tremila 116


fanti e quarantamila militi, riuscì a sbaragliare le truppe di Ruggiero ed a costringere il re a fuggire a Salerno. A testimoniare la portata della vittoria contribuisce la conta del numero degli uomini schierati con le truppe reali che finirono in catene. Giuseppe De Blasiis (in "La insurrezione pugliese e la conquista normanna"), al riguardo, scrive: "molti anche dopo la battaglia furono uccisi, e moltissimi fatti prigionieri, tra i quali venti Baroni e settecento militi. Inestimabile bottino, d' armi, cavalli, di preziosi utensili raccolsero i vincitori". Dopo questo trionfo Roberto avrebbe potuto annientare definitivamente il Re ormai praticamente isolato a Salerno e sprovvisto di forze capaci di reggere ali' impatto di un definitivo scontro con gli avversari. Ed, invece, anche per effetto del desiderio dei Conti pugliesi di rientrare con immediatezza in possesso dei propri feudi, il Principe decise di non infierire. Fu un errore gravissimo. Ruggiero, dopo essersi ripreso, iniziò a riorganizUna mappa della "nuova" Capita secondo Pacìcìielli zare il suo esercito per riprendere il cammino verso la zona dove si concentrava il più alto numero di ribelli. Nell' arco di due anni si registrò una serie di veri e propri capovolgimenti di fronte. Roberto, in un primo momento ripetutamente sconfitto, rifiutò di mantenere il possesso dell' avito principato, in cambio di un atto di formale sottomissione alla casa degli Altavilla. E, sempre confidando in un intervento imperiale, continuò a brigare assoldando truppe pisane che gli permisero di portare avanti la resistenza. Nel 1135, però, Ruggiero occupata Capua, l'affidò - sia pure per un breve periodo - al suo terzogenito: Alfonso. Lo smacco subito non frenò il figlio di Giordano II e Gaitelgrima di Sorrento che, finalmente trovò l'appoggio materiale del Papa, del "Padre" dei Cistercensi e dell' Imperatore, e potè rientrare in Patria. Anche in questo caso, però, non si trattò che di una breve parentesi. Nel 1138 Roberto perse definitivamente il controllo del suo territorio. E da quest'anno le notizie su di lui diventano contrastanti. Secondo Giuseppe De Blasiis, infatti, il nipote di Sergio II (da cui sono disce117


se, tra 1' altro le famiglie Sersale e Mastrogiudice), per effetto di una mediazione che vide come protagonista Papa Innocenze II, avrebbe ottenuto la signoria di Sorrento che, però avrebbe rifiutato "disdegnando l'umile stato" ed in considerazione del fatto che "rinnovandosi le minacce tedesche e bizantine contro Ruggiero" si poteva sperare nell'inizio di una riscossa. Di avviso diverso è, invece, Vincenzo Donnorso che sostiene: "Per aver Roberto di Sorrento, Principe di Capua aderito alle parti del Pontefice Innocenzio, fu privato del suo Principato, ma poi fatta la pace tra il Ré, ed il Pontefice, gli fu restituito il tutto, come narra Pietro Diacono nella Cronica di Monte Casino lib. 4. cap. 105. ritrovandosi a questi tempi presente. A mò poi il Re Rugiero fuor dell'usato tutte quelle persone, che per la fedeltà a lui prestarono, e n 'ottennero gran privilegi, che dagl'altri Ré furono confinnati, tra' quali molti di questa nostra Città furono esaltati a grandi onori, a cagione della pronta volontà d'unirsi a gl'altri Commilitoni Normandi per la ricuperazione di Gerusalemme, come riferisce il Capita - Interno di Sant'Angelo nostro Arcivescovo Filippo". in Fonnix Il nodo della questione, in ogni caso è proprio questo: Roberto fu mai materialmente presente a Sorrento? Ne ebbe mai il possesso? L' argomento è controverso anche se va precisato che i più accreditati storiografi locali sostengono, sia pure tacitamente, tesi di tipo negativo. Noi siamo dubbiosi. Il discendente di una famiglia che aveva dominato uno degli "stati" che, prima dell'incoronazione di Ruggiero d' Altavilla, era stato tra i più potenti dell' Italia Meridionale e tra i più autorevoli negli ambienti pontifici (al punto di determinare, tra l'altro, l'elezione di Vittore III) non avrebbe potuto, solo per questioni affettive, onorare 1' origine della Ritratto di Papa Vittore III madre al punto di "rinnegare" le sue origini capuane.


Più verosimile, invece, è che Roberto sia divenuto "Roberto di Sorrento" proprio per effetto dell' intervento di Papa Innocenze II. Peraltro la consegna nelle sue mani dei territori della Terra delle Sirene non sarebbe risultato un vero e proprio "infeudamento", perché giustificato dal fatto che esso era pur sempre nipote di Sergio II. Semmai si sarebbe trattato di una "forzatura" nell' ambito delle "successioni di famiglia" venendosi meno al rispetto dei diritti relativi al maggiorascato. Certo, quello di Sorrento non sarebbe mai più stato un Ritratto dell 'Imperatore Corrado III principato autonomo ed indipendente, ma il fatto di assicurarne il controllo nel rispetto delle genealogie della nobiltà locale, sarebbe equivalso al riconoscimento di grande dignità da parte del nuovo Re. Roberto, dal canto suo, non avrebbe "disdegnato l'umile condizione", come sostiene il de Blasiis. Anzi proprio da Sorrento sarebbe partito per nuove memorabili imprese. E' certo, infatti, che egli si avvicinò fisicamente a Corrado III - nel frattempo succeduto a Lotario - e che seguì l'imperatore nelle delicate fasi preliminari alla terza Crociata (1147-1149). Fino al punto di esserne più volte designato ambasciatore a Costantinopoli. FILIPPO DE SURRE ED HEINRICO COMITE Con lui, comunque, furono certamente altri uomini provenienti dalla Terra delle Sirene (e d'altro canto Donnorso è eloquente, in questo senso, quando afferma - come già ricordato - che "molti di questa nostra Città furono esaltati a grandi onori, a cagione della pronta volontà d'unirsi a gl'altri Commilitoni Normandi per la ricuperazione di Gerusalemme, come riferisce il nostro Arcivescovo Filippo'". Sempre traendo spunto da quanto si legge tra le pagine de "La insurrezione pugliese e la conquista normanna" (del De Blasiis), inoltre, tra gli esuli finiti nella Capitale dell' Impero Bizantino figurano Philippo de "Surre" ed Heinrico Comite.

Gli stemmi attribuiti a vari rami della famìglia Comile da Bernardi) Candida Gon:aga. 119


IL FALLITO GOLPE DI RUGGIERO DI SORRENTO, MANCATO BASILEUS DI COSTANTINOPOLI Tutto ciò volendo tacere delle vicende di Roggero di Sorrento (probabilmente fratello o figlio di Roberto II) al quale Ferdinand Chalandon dedica qualche attenzione (in "Historie de la domination normanne en Italie et en Sicilie") sostenendo che fece fortuna nella capitale dell' Impero Bizantino, acquisendo la qualifica di Cesare in seguito al matrimonio che contrasse con Maria Comneno, figlia dell' Imperatore Giovanni. Lo stesso Chalandon oltre a confermare la presenza a Costantinopoli di Philippo de "Surre" e di Heinrico Comile (ricavandola da una lettera inviata dall' Imperatore Corrado III al suo "collega" d' Oriente Manuele Comneno, succeduto al padre Giovanni e, dunque, fratello di Maria) ipotizza che Ruggiero di Sorrento possa aver tentato un blitz - fallito perché denunziato dalla sua stessa moglie - per tentare di farsi proclamare addirittura "Basileus". Tuttavia è da sottolineare che, sempre Chalandon, chiarisce come su questa ipotesi e, più in generale sulle gesta di Ruggero di Sorrento non possano nutrirsi certezze. Ci risulta che, fino ad oggi, nessuno degli studiosi locali abbia nemmeno minimamente considerato il "golpe" tentato dal presunto sorrentino. Reale o fittizio che sia, esso - anche per il solo gusto di confutare le tesi sostenute dallo I I [STO I lì IO Chalandon - avrebbe meritato una qualche attenzione. DOMINATION \OH.MA\I>K In merito riteniamo che la cosa non possa essere liquidata sostenendo che si tratta di fatti che poco hanno a che fare con la storia locale perché altrimenti non si giustificherebbero i numerosi riferimenti alla figura di Ruggiero che pure ritroviamo sparsi in numerosi testi che riguardano la storia di Sorrento. Né può sostenersi che si ritiene inattendibile lo scritto dello Chalandon perché diversamente non avrebbe senso indicarlo tra le fonti di tante pubblicazioni. ri-IRDINAND

CHALANDON

RAINONE DA SORRENTO, SIGNORE DI... MADDALONI !!! Sul numero 6 del Bollettino Storico Italiano, pubblicato nel 1886, è apparso un interessante, ma purtroppo sintetico lavoro di Ignazio Giorgi in merito alla "Confessione di vassallaggio fatta a Rainone da Sorrento dai suoi vassalli del territorio di Maddaloni". Nel commentare il documento risalente al mese di gennaio del 1182, infatti, 120


l'autore scrive: "Le istituzioni feudali dell'Italia meridionale anche di recente sono state studiate abbastanza largamente nelle loro origini, nella legislazione e nei fatti principali e più salienti; ma non altrettanto nel loro funzionamento pratico e negli effetti sulla vita e i costumi di quella regione nel medio evo. Ciò si deve soprattutto al difetto di fonti, che documenti i quali ci rivelino i particolari della vita feudale e specialmente le relazioni fra i signori e i vassalli, ch'io sappia, non abbondano Ritratto di Re Guglielmo II nelle raccolte a stampa. Il Catalogus baronorum regni Neapoltani sub Guglielmo II rege conditus prò expeditione ad Terram Sanctam suspicienda, edito dal Borrelli e riprodotto dal Fimiani, per la conoscenza della feudalità nel reale al tempo dei Normanni è uno dei documenti più notevoli, perché ci da modo di valutare l'importanza e, fino ad un certo punto, anche la forza numerica dei feudi maggiori di terra/erma: notìzie più minute sui rapporti fra i feudatari e i loro vassalli, le quali possano completare il quadro dell'esistenza feudale, sono da cercare principalmente nelle confessioni di vassallaggio che, per la mancanza o la perdita dei libri censuari, doverono di tanto in tanto esser chieste dai signori. A questa specie di documenti appartiene quello che pubblico qui. L'originale fa parte di una collezione di pergamene appartenuta al monastero di Santa Maria in Portico di Napoli, e che venne nella biblioteca Nazionale di quella città nel 1868. E' custodito nella prima busta della collezione, portante la segnatura XXII.AA. i: E' una pergamena alta Om.710 e larga Om.482 di scrittura minuscola alquanto sbiadita e in alcuni punti illeggibile. Sul verso la pergamena porta l'indicazione d'archivio: Inventario dello feudo di Maddaloni". Purtroppo Giorgi, oltre a proporre il testo del documento in latino, non aggiunge nulla di più, per cui (in assenza di indicazioni di tipo genealogico) non è possibile stabilire 1' effettiva origine di Rainone da Sorrento, né ricavare elementi in merito alla sua famiglia. La mancata indicazione di eventuali titoli nobiliari, come pure l'assenza di notizie relative alle ragioni che provocarono lo stato di vassallaggio, inoltre, non consente di stabilire se esso era venuto a determinarsi per effetto di una successione ereditaria o per altra ragione. Particolari, questi, che viceversa, si rivelerebbero utilissimi per accertare (o smentire) l'esistenza di documenti capaci di testimoniare il permanere di uno stretto legame tra il territorio sorrentino e quello capuano (di cui Maddaloni fece parte prima della caduta del principato) anche dopo la nascita del Regno Normanno. Malgrado queste lacune, l'atto scoperto da Ignazio Giorni si rivela importantissimo per rilevare l'esistenza di un nobile sorrentino - finora ignorato dalla storiografia locale - che godeva di grande prestigio sul versante capuano. 121


23) I LIMITI DELLA RICERCA: TROPPE LE FAMIGLIE NOBILI CANCELLATE DALLA STORIA LOCALE Anche la nostra ricerca sull' argomento - sebbene riteniamo che offra numerosi elementi di innovazione -, in un certo senso, presenta dei limiti. Essi derivano, in parte da scelte precise che siamo stati costretti ad operare ed in parte dal fatto, che la storiografia locale risente di tante omissioni e delle censure imposte implicitamente da una parte della nobiltà locale. Questa, infatti, nel difendere a spada tratta la condizione di "seggi chiusi" tanto al Sedile di Porta, quanto al Sedil Dominova, (soprattutto a partire dal XVII secolo) non solo ha impedito il riconoscimento formale della nascita di nuovi nobili o della presenza di famiglie originarie di altre realtà (impedendone o scoraggiandone l'ammissione), ma ha contribuito a far cancellare il ricordo di importanti prosapie. Ad onor del vero noi stessi abbiamo inteso limitarci V I-N D E X NEAPOLITANAE per non deviare eccessivamente dal filo conduttore NOBILITATIS che abbiamo voluto seguire nello sviluppare il nostro CAROLI BORRELLI lavoro. CLE7(IC. HEGVL. MIftOl(. Tuttavia riteniamo doveroso puntualizzare che esistoANIMADVERSIO i ^ no tutti gli elementi per credere che anche altri sorf S A N C I S C I ACUÌ M A R C H E S I ! L I B R V M rentini possano aver preso parte alle crociate. o i NCAPOLITANIS rAMIUIS Ciò perché, a differenza di quanto si crede, tra le famiglie nobili locali del tempo, sicuramente ce n' erano molte che non sono mai risultate iscritte nei Sedili e di cui non c'è traccia nelle pubblicazioni che .ijiiji* Ltnyao T^.-^ CI3 IDC LUI. contengono riferimenti alla nobiltà locale. Biagio Aldimari ("Memorie historiche di diverse famiglie nobili così napoletane come forestiere"), Carlo Borrello ("Vindex Neapolitanae Nobilitatis") e Scipione Mazzella ("Descrittione del Regno di Napoli"), ad esempio, sostengono che la famiglia Faccipecora, poi divenuta Protonotabilissimo (peraltro iscritta al seggio Captano di Napoli) abbia avuto origine nella Città del Tasso. Per loro, come per i Mastrogiudice, è probabile che 1' evoluzione della cognomizzazione risenta delle cariche pubbliche rivestite o degli onori goduti. E, dunque, nel caso specifico, emerge chiara la dignità e 1' importanza acquisita dai Faccipecora nell' Impero che trovava in Costantinopoli il proprio punto di riferimento. Tra 1' altro, nel descriverne il blasone, il Mazzella dice che lo stemma di questa famiglia conteneva "un drago Stemma della antica famigliti Protonobilissimo (Faccipecora) alato d'oro in campo rosso".


In effetti molto, ancora ci sarebbe da dire, non solo a proposito dei Protonotabilissimo, ma anche dei Filomarino. Tra quanti sostengono che essi potrebbero avere avuto origine nella Terra delle Sirene, spicca, ancora una volta, Biagio Aldimari. Stemmi attribuiti alia famìglia Filomarino da Carlo Bar rei lo. Carlo Bori-elio, invece, nel contestare la loro "sorrentinità" deve ammettere l'esistenza di una scuola di pensiero secondo la quale il loro capostipite, Goffredo, altri non sarebbe stato se non "filio Marini Surrentini". Bernardo Candida Gonzaga ritiene che essi traggano origine da Marino console della Repubblica napoletana, ma anche afferma che i Filomarino goderono, comunque, di nobiltà a Sorrento. Ciò nonostante non indica il seggio al quale dovrebbero essere stati iscritti. Un'ulteriore riprova del fatto che le famiglie nobili sorrentine fossero molto più numerose di quelle che si è abitualmente portati a considerare, è rinvenibile nei già citati atti del procedimento che, a lungo ha visto combattere i fratelli Cesare e Filippo Vulcano per conquistare il diritto ad essere iscritti al Sedile di Nido. In questo caso, però, la fonte è rappresentata dalla memoria presentata da Stefano Patrizi contro i due nobili. Questi, infatti, sia pure contestandone la validità (non formale, né sostanziale, ma ai soli fini del contenzioso) evidenzia 1' esistenza di una scrittura risalente alla fine del XIII secolo e dichiara: "Ella contiene un'ordine nel tempo del regnare di Carlo II del 1289, per liberarsi dalle prigioni del Castello di Melfi Pietro Vulcano Assio, e Sergio di lui fratello, Landulfo Romano, Roberto Appendicario militi, Pietro d'Andria, Riccardo Romano, e Giudice Severino. Dal Castello di Torre maggiore di Salerno Ruggiero Marzati ed Andrea Falangola. Dal Castello dell'Ovo di Napoli 123


Riccardo di Nobilione. Dal Castello di Somma Pietro Vulcano Zancallone, Giovanni Marone, ed Errico Filingieri, ed Alferio di S.Croce; e da' confini della Città di Napoli Giovanni Comile e Pietro Vulcano. Tutti costoro di Sorrento si dicono esser stati posti in quei Castelli da Giovanni di Manforte, Conte di Squillace, e di Monte Scaglioso, Gran Camerario del Regno; ed in quel tempo, che nel Principato di Terra di lavoro governava Girardo Vescovo di Sabina, e Legato della Sede Apostolica; e che il Giovanni di Manforte Stemma delia fami gì ia Guindazzo esercitava l'ufficio di Bando del Capitano". Il che, evidentemente, accresce notevolmente le fila delle famiglie nobili che sicuramente nel 1289 - ma probabilmente anche molto prima - si consideravano a tutti gli effetti sorrentine e che rivendicavano, con orgoglio la propria appartenenza territoriale anche nei frangenti più difficili (come potevano essere quelli, per l'appunto, della prigionia). L'elencazione, in effetti, sarebbe ancora molto lunga risultandoci spunti che, tra le tante, vedono interessate (per origini locali o per presenza nella Terra delle Sirene durante i secoli) le famiglie dei Guindazzo, degli Acconciajoco, dei Giffone, dei Carbone, dei Carratella, e di molte altre ancora. Tuttavia per sostenere la militanza di altri sorrentini negli eserciti crociati, sarebbe indispensabile, prima, dimostrare, che le famiglie citate abbiano veramente avuto un ruolo nella vita cittadina. La qualcosa, pur essendo possibilissima, richiederebbe, però, eccessive e troppo lunghe divagazioni. Come pure eccessive divagazioni avrebbe comportato un approfondimento sulle famiglie di Massa Lubrense. AH' epoca, questo comune, già cominciava a vantare vocazioni indipendentistiche, ma Steniiììa della famiglici Caputo. rientrava a tutti gli effetti nel territorio di competenza sorrentina. In questo caso, dunque, sarebbe interessante accertare come e per quali ragioni i Caputo (che si vuole siano discendenti dai principi di Antiochia), siano finiti nell'estremo lembo della Penisola. 124


24) UNA PROVOCAZIONE: I RIFERIMENTI CONTENUTI NELLA STORIA DELLA FAMIGLIA FILANGIERI Rispetto alle tante famiglie sulla cui storia sarebbe giusto ragionare e che, invece, in questa sede trascuriamo, ci concediamo una deroga - comunque sommaria - per quella dei Filangieri. Ciò perché, dichiaratamente, intendiamo buttare un simbolico "sasso nello stagno". E lo facciamo ricordando - oltre ai riferimenti già sopra evidenziati - quanto riportato da molti. Le suore clarisse, all'epoca dette di San Damiano, ottennero - nella seconda Veduta del Chiostro di San Francesco a Sorrento metà del 1200 - la disponibilità della chiesa S. Giorgio "ad hortum cavam" offerta del nobile Pietro Filangieri che Pasquale Ferraiuolo (in Chiese e Monasteri di Sorrento) qualifica come "patrono e rettore", ma che viene ricordato anche da Antonino Di Leva ("Viaggio intorno ai monasteri sorrentini preceduto da uno studio sulla fondazione del monastero femminile benedettino di San Martino, sull' insediamento delle Clarisse e dei Frati Minori"), da Padre Domenico Longone (nella premessa del libro intitolato "II complesso conventuale di San Francesco a Sorrento" curato da Nunzia Benino) e da altri ancora. Ma ancora più significativi - nel dimostrare il fatto che almeno un ramo della famglia Filangieri abbia occupato un ruolo di primo piano nella città di Sorrento - sono i riferimenti contenuti nel documento del 1289 su cui ci siamo soffermati nel capitolo intitolato "I limiti della ricerca: troppe le famiglie nobili cancellate dalla storia locale". In esso, infatti, è contenuto il preciso riferimento ad Errico Filingieri, imprigionato nel Castello di Somma che, assieme ad altri nobili, rivendicava, con orgoglio, la propria "sorrentinità". A proposito di questa famiglia registriamo anche un altro singolare Sicìuma della famiglia Filandieri spunto. 125


Biagio Aldimari, infatti, soffermandosi sulla storia di questa prosapia, scrive tra 1' altro: "Riccardo fu Conte di Morsico, e Vice-Ré di Gerusalemme; e sua figliuola Isabella, e di lacopa di ditone, figliuola del Conte di Fondi, che fu fratello di Alterno, che fin dal 1190, era Doge della Repubblica della Repubblica Napoletana, fu moglie di Gio: Gianvilla". Il che ci riporta alla mente, probabilmente a sproposito, un documento sul quale Catello Salvati (in "Sorrento Medioevale") si è soffermato scrivendo che un atto del 1194 "sia pure con un punto interrogativo per l'incertezza della lettura nomina un Alierno principe di Sorrento ("anno primo principatus domini nostri Alyerny Sirrentinorum prin- Veduta notturna di Gerusalemme. cipis"). Una notizia questa che contrasta con I' altra" che "vuole Filippo, nel 1137, ultimo principe di Sorrento dopo la restaurazione capuana di Roberto IL Questo Alierno o Aligerno principe può essere considerato, tuttavia, nel contesto degli avvenimenti tumultuosi che seguirono la crisi dinastica verificatasi alla morte di Guglielmo II, ultimo rappresentante diretto della dinastia normanna". Ci domandiamo: quella che vede interessati 1' Alierno "Doge della Repubblica Napoletana", parente dei Filangieri e 1' Alierno principe sorrentino, è solo un' omonimia?

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Piazza Castello XIX Secolo


25) LA SENSIBILITÀ' PER GLI ORDINI DEI MONACI GUERRIERI L'impegno dei sorrentini sul fronte delle crociate non si limitò ali' invio di cavalieri che, a prescindere dalle rispettive fortune, risultarono tra i più o meno agguerriti in Terra Santa. Particolarmente accentuata, infatti, risulta anche la sensibilità degli uomini della Terra delle Sirene verso gli ordini monastico-cavallereschi che nacquero, si moltipllcarono e prosperarono a quel tempo. E che con i crociati furono impegnati, spesso in prima linea, nelle guerre contro gli infedeli. Anche in questo caso non Alcune delle Croci maggiormente adoperate in araldica mancano testimonianze. Aguzza tarata Anguifera di Avellana Bcrdonata Tra queste spicca quella fornitaci da Biagio Aldimari (nel già citato "Memorie historiche di diverse famiglie nobili così napoletane come di Calvario o alzata a ctiìave, ci Pisa a chiave, di Tolosa Forcuta Gig'iala forestiere") a proposito della carica di "precettore dell' Ospedale di San Giovanni Gerosolimitano a Capita" attribuita a Fra Guglielmo di Patriarcale a doppia Latra di Mate dotto punte Patente traversa, di Lorena Sorrento che 1' autore annovera tra gli appartenenti alla famiglia Sersale. L' incarico, ricevuto nel 1271 fu motivo di grandissiPenala RJcerchiata Risodata Ritrinciala Scalinata mo prestigio, ma non si trovano ulteriori riscontri nelle pubblicazioni di storia locale. Eppure il caso individuaScorciata, Stellata, a Tasi, tamponata, Trifogliata, o meglio stela o di Gerusalemme o di S. Maurizio to, risulta particolarmente Svizzera o Greca di S. Spirito prezioso perché contribuisce a rendere tangibile 1' attaccamento della nobiltà peninsulare a quegli ordini che non ebbero solo una valenza assistenziale, ma anche una rilevantissima funzione militare in Terra Santa. A conferma delle particolari ed assidue attenzioni rivolte dagli abitanti della zona Costiera verso la struttura dei monaci-guerrieri appartenenti all'Ospedale Captano c'è, infatti, da registrare anche un testamento citato da Manfredi Fasulo 127


in "La Penisola Sorrentina - Istoria - Usi e costumi - Antichità", prendendo spunto da una notizia apparsa - nel 1896 - tra quelle che 1' Archivio storico delle Province Napoletane ritenne meritevoli d' attenzione. Nel 1226, infatti, un non meglio identificato Matteo da Sorrento donò proprio al Priore dell' Ospedale di San Giovanni in Capua il suo "corredo da guerra" (comprendente la corazza, lo scudo, la galera, la spada e la lancia) perché le mandasse in Terra Santa. Fin qui i fatti che, peraltro, riguardano il solo versante capuano dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in Ritratto di Cavaliere Gerosolimitano Gerusalemme (poi di Rodi e, infine, dopo varie evoluzioni, detti anche Cavalieri dell' Ordine di Malta). Da questi - che pure rappresentano ben poca cosa rispetto ai fenomeni che videro interessata la Penisola Sorrentina - si può elaborare una ipotesi che, sebbene assai difficile da dimostrare, permette l'elaborazione di congetture suggestive, romantiche e tali da far immaginare che il desiderio dell' antico Matteo sorrentino, sia stato appagato ben oltre ogni sua più rosea aspettativa finendo, proprio il suo corredo militare, con l'essere indossato con onore, da un nobile crociato di origini inglesi. Se questa possibilitàrisultassefondata - come vedremo in seguito - è probabile che 1' antico stemma di Sorrento sia raffigurato vicino al luogo considerato come uno dei luoghi più importanti del mondo cristiano: il Santo Sepolcro. Ben più articolato ed approfondito discorso, invece, andrebbe sviluppato in merito alla presenza di cavalieri Templari a Sorrento. Sull'argomento abbiamo raccolto tali e tanti elementi da ritenere opportuna ed indispensabile la previsione di un testo monografico (di prossima pubblicazione) con il quale dimostreremo quanto siano fondate le certezze che si possono nutrire al riguardo. A spiegare il fatto che si siano perse le tracce di una così importante realtà, questa volta, non concorre solo la più volte citata carenza documentale provocata dalla devastazione saracena del 1558, ma anche il fatto che, in seguito alla condanna dei Templari culminata con il rogo in cui arse il Gran Maestro Jacques de Molay nel 1314, c'era tutto l'interesse a far scomparire ogni notizia che, in una qualche maniera, potesse 128


dimostrare l'esistenza di una commenda nella Terra delle Sirene. Eppure, nonostante una paziente e scrupolosa "opera abrasiva", portata avanti con zelo e perseveranza da varie mani fino al secolo scorso, la verità è venuta fuori in maniera prepotente, consentendoci oggi di poter individuare proprio nell'insediamento dei "Poveri Cavalieri di Cristo" a Sorrento, una testimonianza ancora più significativa di quella pure ricavata con i soli riferimenti ai Cavalieri Ospitalieri, in v merito alla sensibilità avvertita dagli abi" ' > tanti della Terra delle Sirene verso gli ordini dei Monaci-Guerrieri. I lettori ci perdoneranno se, non senza un pizzico di malizia, confidiamo nella loro pazienza e nella possibilità che possano leggerci ancora, rinviando ogni approfondimento (fatta eccezione per qualche vago indizio e per qualche spunto di riflessione fornito nel capitolo successivamente riservato al complesso conventuale di San Francesco) all'uscita del libro a cui abbiamo appena fatto riferimento.

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Le insegne dei maestri dell'Ordini: del Tempio secondo quanto pubblicato da Bernard Marillier in "I Templari - Storia e segreti del più misterioso Ordine medievale" - Edizioni L'età dell'Acquario. 129


26) I SEGRETI, LE SPARIZIONI ED I MISTERI DI SAN FRANCESCO Tra i monumenti sorrentini, il complesso che comprende la Chiesa ed il Chiostro di San Francesco, è sicuramente quello che, a nostro avviso, cela i più intriganti misteri. Malgrado il fatto che sia stato direttamente o indirettamente al centro delle attenzioni di diversi studiosi, infatti, le sue pietre, le sue mura e le sue opere continuano simbolicamente a tenere gelosamente custoditi numerosi segreti. E molti enigmi che lo vedono interessato, continuano a non trovare risposte. Come quello, ad esempio, che riguarda la sorte di una lapide della famiglia Vulcano, citata, tra gli altri, da Bartolommeo Capasse (in "Memorie storiche della Chiesa sorrentina). Su di essa era inciso: "D.O.M. /LANDULPHUS VULCANUS S.R.E. CARDINALIS TIT. S. ANGELI ANNO DNI / MCCCXXXIII A FUNDAMENTIS EREXIT VENERABILE MONASTERIUM SS. / TRINITATIS MONALIUM NOBILIUM HUJUS ILLMAE CIVITATE SURRENTI ET / HECTOR BULCANUS MILES EJUS FRATER FILIUS JOANNIS GENERALIS / EXERCITO IN ANGLO FUNDAVIT SIMILITER IN PRAEDICTA CIVITATE / VEN. MONASTERIUM S. SPIRITUS TRANSLATUM IN MONASTERIUM / S. PAULI QUAE MONASTERIA TENENTUR IN SING ULOS ANNOS ET IN PER / PETUUM REDDERE TRIB UTA PRAEDICTAE FAMILIAE VULCA. / QUORUM IN PRAESENTI ANNO SUNTDOMINI D.D./FRANCISCUS, CESAR, CAROLUS, HANNIBAL, URBANUS ET JO. JACOBUS DE / VULC. / PUBBLICIS MEDIANTIBUS INSTRUMENTIS MANU NOTARIORUM DE SURRENTO / FRANCISCI ANTONII MAYRANNO 1646 ET 47 ET JO. GUARRACINI/1645 ET VINCENTIIANDREAE MIGLIACCIO CURRENTI MARINUS / VULCANUS S.R.E. CARDINALIS TIT. S. MARIAE/NOVAE 1376 CUI NOMINI RESPONDES STEMMA RETIS MUTA / VIT IN MARE, ET JO. ANTONIUS VULCANUS ULTIMUS MILETI DOMINUS / SUPA RETE ADDIDIT CONCHYLIA". Lo scrupolo dello storico e la nota meticolosità dei suoi riscontri - unanimemente riconosciuti sono sufficienti ad attestare la sua reale esistenza. Eppure è altrettanto reale il fatto che di questa lapide si sono perse le tracce. 130


La statua del Santo cui è intitolata la Chiesa, prima e dopo il recente furto del Cristo

E' amaro dover constatare, inoltre, che ogni tentativo volto ad accertare l'epoca, le circostanze o i motivi della sparizione è rimasto privo di esito. Come senza risposte sono le domande da porsi in merito alla sparizione di tutti gli altri stemmi recanti le insegne della famiglia Vulcano, di cui pure era certa l'esistenza nella Chiesa di San Francesco. In un documento del 1732, richiamato da Annunziata Berrino (in "II complesso conventuale di San Francesco a Sorrento"), si dichiara che il sepolcro dei Vulcano era sull'altare maggiore. Ma anche in questo caso, di stemmi della nobile famiglia, non c'è traccia. Né si sa molto di più delle insegne dei Vulcano che avrebbero dovuto essere (e che, invece, non ci sono) alla base della statua di San Francesco che abbraccia il Crocefisso, oggi sistemata sul primo altare posto alla destra dell'ingresso. Al riguardo, in un altro documento sempre citato dalla Berrino e risalente ad un'epoca compresa tra il 1680 ed il 1700, tra l'altro si legge: "Nelpiedistallo, su del quale inginocchiata si mira la statua del nostro S. Padre, vi pose l'imprese della religione: e vi restarono per due o tre anni. Poscia furono levate via, e vi si posero quelle dei signori Vulcani padroni della statua, e veramente gran benefattori del convento e della chiesa, come dalle loro imprese in vari luoghi affisse s'argomenta. Era guardiano il P. Alberto Fontana di Napoli quando si fé questa mutazione". Il giallo, in effetti si infittisce soprattutto perché proprio in questo documento viene sottolineato 1' esistenza delle Armi dei discendenti di Landulfo e Marino Vulcano che furono sicuramente grandi benefattori del convento e della chiesa 131


"come dalle loro imprese in vari luoghi affisse s'argomenta". Viceversa non uno stemma della nobile famiglia è oggi visibile, né basta citare le formelle di due loro parenti (Giovannella Sersale, moglie di lacopo Vulcano e sua suocera, Diana Donnorso) perché in entrambe i casi non ci sono tracce dello stemma dei Vulcano. Tuttavia un caso ancora più misterioso vede interessato un quadro raffigurante una Maddalena incinta ai piedi del Crocefisso. L'opera dipinta sul muro della prima Cappella che - spalle all'altare maggiore - si trova sulla destra, è ritornata alla luce in seguito ai lavori di restauro che si resero necessari in seguito alle lesioni provocate alla Chiesa dal terremoto del 1980. Precedentemente essa era stata coperta con un altro dipinto su tela ed , era stata sguarnita del * crocefisso ligneo posta al suo centro (e che prima del 1980 era sistemato inspiegabilmente lungo uno scalone interno al Convento). La stessa opera risultò marchianamente alterata con interventi grafici di pessima fattura tendenti a coprire la figura della Maddalena con una infantile raffigurazione di una luna che piange e con altri disegni. La sua "recente" scoperta, il suo precedente plagio ed il fatto che fosse stata occultata per // quadro raffigurante la Maddalena infinta. lungo tempo, offrono sicuramente spunti di riflessione. Sebbene il dipinto sia stata realizzato - secondo gli esperti - nel 1750, viene spontaneo creare accostamenti con la valenza attribuita proprio alla Maddalena dai Vangeli gnostici e, sembra, anche dai Templari. Specie perché incinta. Nella fattispecie, però, l'altare parzialmente "nascosto" non riguarda la famiglia dei Vulcano, ma quella degli Spasiano. Volendo spingersi oltre c'è da ricordare che il vestiario dei francescani è simile a quello che fu dei novizi che si preparavano a schierarsi sotto 132


il simbolo della croce patente; che non sono pochi coloro che ritengono che l'arrivo a Sorrento dei seguaci del Santo patrono V d'Italia risalga ai primi anni del XIV secolo (epoca in cui Jacques de Molay fu messo al rogo ed i templari divennero oggetto di un'autentica persecuzione) e che alcuni esperti I fregi che caratterizzano l'Ingresso della C/usa eli San Francesco della materia sostengono che i casi di avvicendamento tra templari e francescani (miranti a far perdere le tracce dei primi) sono stati tutt' altro che infrequenti. Ad ogni buon conto, al di là degli accostamenti sicuramente arditi creati a proposito del complesso conventuale sorrentino con gli appartenenti all'ordine monastico-cavalleresco che individuava in San Bernardo di Chiaravalle un autentico punto di riferimento, resta indiscusso il fatto che mani pazienti e sapienti, nel tempo, hanno provveduto a cancellare tutti gli stemmi dei Vulcano dalla Chiesa di San Frencesco, hanno fatto scomparire una lapide loro appartenuta e si sono industriate ad imbrattare e ad occultare il quadro della Maddalena incinta. Il Chiostro Non meno interessante della Chiesa di San Francesco è l'annesso Chiostro. Così come nel caso del Sedil Dominova, molti, di fronte alle carenze documentali, sono caduti nella tentazione di stabilirne l'epoca della costruzione in virtù di particolari architettonici e dando per attendibili considerazioni non riscontrabili. Non intendiamo commettere lo stesso errore. Tuttavia ci preme sottolineare che quasi unanimi sono i giudizi espressi nel giudicare "romanico" il suo stile e fortemente influenzati da elementi bizantineggianti alcuni suoi particolari architettonici. Tra questi i numerosi capitelli. Al riguardo è bene rilevare una serie di particolari di non poco conto. I capitelli in questione meriterebbero studi individuali. Quelli che sovrastano 133


il colonnato posto a sinistra di chi entra nel Chiostro sono stati realizzati sicuramente in un' epoca più recente rispetto a qualunque altro. Essi, infatti, sono tutti della medesima fattura, riportano gli stessi fregi e (fatta eccezione per uno) sono disposti nello stesso senso: con lo stemma dei Sersale rivolto verso la parte esterna del cortile. Quelli posti sul lato opposto, invece, sono tutti diversi tra loro e rispetto a Un disegno raffigurante la mappa del Chiostro di San Francesco qualunque altro, ma hanno ripreso dal libro "// complesso conventuale di San Francesco a Sorrento" di Annunziata Serrino. come unico denominatore la foggia bizantineggiante. Questi ultimi sono sicuramente i più antichi come si può ricavare, tra 1' altro, anche dal loro inserimento in un gioco d'archi maggiori che inglobano archi minori. Lo stesso gioco che vede interessato il colonnato di fondo. In questo, però, spicca la presenza di due capitelli "gemelli" su cui sono raffigurate quattro mitrie: una per ogni facciata. Il che potrebbe suggerire un richiamo allegorico ai quattro santi vescovi protettori della Città (San Baccolo, San Valerio, Uno dei capitelli con disegni die richiamano la forma delle mitrie. Sant'Attanasio e San Renato). Da ultimo - non certo per ordine di importanza - è bene soffermarsi sull'unico capitello che riporta delle iscrizioni: quello posto quasi di fronte all'ingresso e sul quale si legge: "Ego loh(annes) Cerconi fieri feci hoc hopus J(e)H(su)s" Al riguardo è bene sottolineare che sarebbe opportuno qualche valutazione più accurata. Il voler identificare lo stemma su di esso effigiato come quello della famiglia Falangola (contenente l'immagine di un Icone) solo in ragione del fatto che il Alcuni particolari del capitello recante runica iscrizione visibile all'interno del chiostro dì San Francesco. Chiostro fu restaurato 134


al tempo dell'Arcivescovo Domizio Falangola (tra il 1453 ed il 1470) non ci sembra sufficiente. Né ci sentiamo di condividere la tesi secondo la quale lo stemma raffigurato sulla formella che riporta il nome di Giovannella Vulcano (nata Sersale-Caracciolo) è da leggersi come modificato per rendere omaggio al già citato Arcivescovo Falangola. Risulta chiaro, infatti, che l'arma in questione ha un significato tanto esplicito quanto ovvio. Visto che l'uso della figura del leone non era esclusivo della famiglia sorrentina, ma anche di quella dei Caracciolo. Infatti, c'è da ritenere che lo stemma della nobildonna non raffigurasse altro che le insegne dei Sersale e quelle, per l'appunto, dei Caracciolo dalla quali discendeva. Tornando al colonnato del Chiostro c'è da interrogarsi sul alcune singolarità riscontrate: La frase riportata sul capitello copre solo due lati dello stesso ed è priva di un significato compiuto. Se è vero che grazie ad essa è possibile stabilire che un non meglio identificato Giovanni Cercone fece il lavoro, è altrettanto vero che alla citazione di Gesù non segue nulla. Il lato opposto a quello su cui è scolpito lo stemma raffigurante il leone, risulta evidente la presenza di un altro stemma. Quest'ultimo, però, misteriosamente non riporta più le insegne di nessuno. Tuttavia tassi di maggiore o minore umidità consentono ancora di intravedere l'ombra di quattro fusi!!! Il capitello in questione potrebbe fare coppia con un altro posto lungo lo stesso colonnato ed anch'esso riportante stemmi privi di armi. Anche questo capitello è stato oggetto di un intervento abrasivo che (come è accaduto nella vicina Chiesa) ha sortito l'effetto sperato da quanti hanno compiuto lo scempio e finendo con il cancellare gli "stemmi indesiderati". Fotografie ritoccate con programmi grafici ci hanno permesso di mettere in risalto che la possibilità dell' esistenza di uno stemma a quattro fusi non sia completamente infondata e che anzi sarebbe auspicabile un qualche rilievo scientifico per accertare se si tratti di una suggestione ottica, di effetti provocati da vari agenti chimici, biologici ed atmosferici o se, viceversa, l'ipotesi da noi considerata sia da considerare alla stregua di una certezza. Il che avvalorerebbe la possibilità che il più primitivo degli stemmi di Sorrento (probabilmente risalente ad un periodo compreso tra la fine del XII e l' inizio del XIII secolo) non aveva cinque fusi e nemmeno sei (come riscontrabile presso il Sedil Dominava), ma quattro. Ciò giustificherebbe il richiamo ai soli quattro Santi Vescovi locali di cui si voleva esaltare 1' origine sorrentina e la presenza di due capitelli (sempre nello SteSSO Chiostro) COn quattro

// cupìleu0 "abraso" elaborato al computer. Più o meno visi-

mitrie. 135


27) LO STEMMA DI SORRENTO VICINO AL SANTO SEPOLCRO: UNA IPOTESI DA APPROFONDIRE O SOLO UNA BELLA LEGGENDA? L' Arma di Sorrento, nella sua versione originaria, si è davvero conservata, per secoli, nei pressi della tomba di Gesù Cristo? L' interrogativo è di quelli che non possono provocare qualche brivido a quanti sono disposti a considerare una eventualità del genere o a far almeno "arricciare il naso" degli scettici. Una risposta affermativa, sebbene molto articolata e meritevole di essere definita "ardita", non è impossibile. Sul punto ci siamo già soffermati nel capitolo intitolato "Premessa alla seconda parte" dichiarando che non intendiamo nascondere le debolezze dell' ipotesi formulata ed evidenziando che non mancano "esasperazioni" e qualche forzatura. Come pure abbiamo sottolineato l'alcatorietà di alcuni collegamenti effettuati tra episodi che, viceversa, non possono rigorosamente ritenersi tra loro concatenati. In ogni caso, ironia della sorte, se dovessero essere trovati tutti gli elementi utili ed indispensabili - che il caso richiede - la Terra delle Sirene dovrebbe essere riconoscente ad un cavaliere che, con ogni probabilità, Sorrento non l'ha mai nemmeno vista.

LA SCOPERTA DI CHARLES CLERMONT GANNEAU Nel pubblicare "Archeological researches in Palestine during thè years 1873- 1874", Charles Clermont Ganneau ha dato notizia della scoperta di una lastra sepolcrale, ricoprente la tomba di un crociato, a pochi passi dall' ingresso del Santo Sepolcro. Grazie al console generale francese dell' epoca, M. Edmond de Barrère che rese possibili alcuni scavi, 1' archeologo ebbe modo di proporre anche un disegno del reperto ed alcune notizie a proposito del cavaliere che, sotto di esso, era stato sepolto nel 1236: Pilippus Aubigni. Alla notizia, fino a qualche tempo fa, è stata riconosciuta una importanza marginale, ma più recentemente, anche grazie ali' avvento dei collegamenti via internet, si è registrata una crescita d'interesse sull' argomento. Tra le singolari ed interessanti pagine del sito consultabile ali' indirizzo www.gebus.com, infatti, si legge: "Nel 1808 un grosso incendio distrasse gran parte della Basilica del Santo Sepolcro. I Greci-ortodossi, che a detta 136

lì disegno riportato da Charles Clermont Ganneau


de/ Francescani avevano causato /' incendio di proposito, ricevettero dai Turchi il permesso di ricostruire la chiesa. Durante i lavori di ricostruzione scomparirono alcune tombe crociate, delle quali abbiamo numerose descrizioni da parte di viaggiatori che le videro prima dell' incendio. Tra le tombe vi erano anche quelle di Goffredo di Buglione, il conquistatore di Gerusalemme e del fratello Baldovino I, primo Re crociato di Gerusalemme. I francescani accusano fino ad oggi i erusalemme e del fratello Baldovino I, primo Re crociato di Gerusalemme. I Francescani accusano fino ad oggi i Greci di avere distrutto le tombe crociate, e ciò è molto probabile, visto che ci sono alcuni conti aperti tra le due comunità cristiane, come il saccheggio crociato di Costantinopoli nel 1204, durante il quale una prostituta fu messa a sedere sul seggio del Patriarca Greco. Una sola tomba crociata si salvò dalla distruzione, e ciò avvenne, involontariamente, grazie ai guardiani musulmani della chiesa. Fino al 1867, infatti, i turchi avevano una panchina appena fuori della chiesa sulla quale sedevano a fumare il narghilè. La panchina era proprio sopra una tomba crociata, ed è così che fu risparmiata. Chi è il fortunato crociato? Oggi la sua tomba è coperata da alcune assi di legno, ma abbiamo una riproduzione di alcuni anni fa, quando era ancora visibile. Venne in Terra Santa per la prima volta nel 1222, e ritornò poi nel 1229 accompagnando Federico II a Gerusalemme. Morì nel 1236 dopo 14 anni in Terra Santa, e chiese di poter essere sepolto vicino al sepolcro di Gesù". Altre fonti sostengono che la tomba dovrebbe trovarsi di fronte alla porta murata del Santo Sepolcro. Perché la cosa ha attirato tanto la nostra attenzione? LO STEMMA A QUATTRO LOSANGHE E QUELLI DELLA FAMIGLIA D'AUBIGNY II fatto che sulla tomba del nobile cavaliere ci sia uno stemma che riporta quattro fusi è già, di per sé stesso un elemento significativo. Soprattutto se risultasse fondata 1' ipotesi che il primo stemma di Sorrento fu caratterizzato, per 1' appunto, da quattro e non cinque fusi (come abbiamo accennato nel capitolo precedente). E non solo. 137


Soffermandoci sugli stemmi "simili" a quelli di Sorrento ne abbiamo individuati alcuni perfettamente identici (o, comunque, caratterizzati da diversità più o meno vistose) anche rispetto alla sua foggia attuale. Essi appartengono tutti ad un'unica famiglia: quella dei d'Aubigny!!! La cui cognomizzazione ha subito (con il trascorrere del tempo ed a secondo della località in cui vissero i vari discendenti del medesimo albero genealogico) svariate deformazioni: d'Aubigne, Daubeney, Albini, Albineto, etc. Una coincidenza questa che per la sua unicità ci ha spinto a superare il nostro stesso scetticismo. TRA I PARENTI DEL CAVALIERE FIGURANO CONTI, GUERRIERI, CROCIATI, TEMPLARI E PERFINO UNA REGINA Tornando al nobile crociato morto in Terra Santa è possibile affermare che esso con molta probabilità nacque a Jersey nel 1171 e fu il quinto dei sette figli venuti alla luce dall' unione tra Sibilla de Valognes e Ralph d' Aubigny. Questi fu tra i crociati che seguirono Riccardo Cuor di Leone nella gloriosa impresa culminata con la conquista di Acri. E fu lì che morì nel 1192. Quella dei d'Aubigny, in ogni caso, figura tra le più antiche, nobili e prolifiche famiglie d'Inghilterra. Ritratto di Riccardo Cuor di Leone Il nonno di Philip, William "Pincerna" d' Aubigny (nato ad Aubigny sur Nere, in Normandia), fu tra i normanni che accompagnarono Guglielmo "il Conquistatore" nella campagna che lo portò a conquistare il trono d'Inghilterra e fu il "Maggiordomo" del Re nel giorno della sua incoronazione. Per la sua devozione al sovrano e per il suo valore fu ricompensato con moltissime concessioni reali nella contea di Norfolk ed in altre contee; acquisì e consolidò la signoria di Belvoir sposando due sorelle: prima Maud (da cui ebbe quattro figli) e poi Cecily Bigod (dalla quale ebbe altri cinque figli e tra questi Ralph). Cristiano devoto, finanziò 1' edificazione dell' Abbazia di Wymondham, nel Norfolk, a cui donò il feudo di Hapesburg assieme a numerosissimi oggetti preziosi e ad alcune reliquie. Tra queste figurerebbero anche una scheggia della Croce del Cristo ed una della greppia che lo accolse alla nascita. Lo stesso William "Pincerna" donò ai monaci di Rochester i vasti possedimenti di Elham e, ali' Abbazia di St.Etienne a Caen, in Normandia, tutte le terre che possedeva a Stavel. 138


Un fratellastro del padre, anch'esso di nome William, ma conosciuto con il soprannome di "Manoforte" ("strong hand") sposò Adeliza de Louvaine - rimasta vedova del Re Enrico I - che gli portò in dote oltre che grandissimo prestigio e la parentela indiretta con la famiglia reale, anche la Contea di Arundel. E sempre tra gli antenati ed i parenti del "nostro" Philip figurano ancora: i signori di Lincoln, Ingleby e Chichester; William "The Brito" (autentico terrore di qualunque avversario) e Roger de Mowbray (si noti bene figlio di Nigel d'Aubigny) che viene ricordato, tra 1' altro, per le cospicue donazioni che resero possibile 1' erezione del complesso dei Cavalieri Templari di Balsall. Tutto questo omettendo aspetti considerabili ai confini tra il mondo delle leggende e quello delle favole. PHILIP D'AUBIGNY: UN PERSONAGGIO DAVVERO ECCEZIONALE Philip, comunque, non fece sfigurare i suoi avi e primeggiò come cavaliere, come "giurista" e come teologo. Non potendo godere dei diritti del "maggiorascato", conquistò per meriti il comando dell' esercito inglese impegnato nella guerra per riprendere il controllo delle Isole della Manica, riuscendo - al termine di una lunga guerra - ad avere la meglio sulla potentissima flotta del cosiddetto Eustace "The Monk" (che riuscì a far catturare ed a far decapitare) e dei suoi fratelli. Ristabilito l'ordine su Alderney, Shark, Guersey e Jersey, fu insignito del titolo di "Guardiano delle isole" - una carica assimilabile quasi a quella di Viceré anche in considerazione della particolarità dei tenitori. Gli abitanti isolani, infatti, si consideravano sudditi del sovrano, ma non facenti parte della nazione anglosassone. Al punto che schernivano gli inglesi considerando: "// nostro Duca è il vostro Re". In questo contesto, dunque, è facile immaginare quanto delicata sia stata la funzione svolta da Philip d'Aubigny che, da una parte, doveva garantire alla corona, la fedeltà di una popolazione indomita e, dall' altra, esigere il pagamento delle tasse imposte dallo stesso Re. Malgrado le difficoltà oggettive il "Guardiano delle Isole" riuscì ad assolvere, nel migliore dei modi, al suo incarico. Anche per questo diventò uno degli uomini di fiducia di Giovanni "Senza terre" che, grazie a lui, si ritrovò ad essere un po' meno... senza terre. fW^ II suo prestigio e la sua confidenza con il sovrano furono tali che lo stesso Re, cono- Bratto di Enrico m d'inghi^na 139


scendone anche la cultura lo nominò precettore del suo primogenito (poi destinato a passare alla storia con il nome di Enrico III. E non solo. Sempre il fratello di Riccardo "Cuor di leone", infatti, lo volle vicino nei suoi momenti più critici e lo inserì tra i suoi collaboratori di fiducia per la redazione della "Magna Charta". Lo storico documento, sottoscritto nel 1215, giunse al termine di un lungo contrasto iniziato tra Guglielmo I il "Conquistatore" ed i baroni che intendevano sottrarsi al dispotico governo della dinastia dei Plantageneti. Con esso Giovanni "Senza terre" riconobbe i diritti dei feudatari, della Chiesa, delle città e degli uomini liberi inglesi. Eppure proprio da questo nacquero forti dissapori con il papato. Innocenze III, infatti, dopo aver dato un primo assenso di massima, "scomunicò" la Charta, minacciando di fare altrettanto con il Re. Ciò per riaffermare i diritti temporali della Chiesa che considerava l'Inghilterra come un proprio feudo. Memore di una scomunica già subita nel 1207 - per aver osato impedire la nomina di Stephen Langton (indicato dal Papa) alla carica di Arcivescovo di Canterbury - il sovrano si affrettò a ritrattare e, dopo aver ottenuto dal Sommo Pontefice lo scioglimento dal giuramento prestato nel sottoscrivere la Magna Charta, ritornò in guerra con i Baroni. Per il d' Aubigny, probabilmente schierato su primordiali posizioni ghibelline, fu un duro colpo che determinò l'inizio di un sostanziale raffreddamento nei rapporti con la casa reale. Figurando tra i "padri" ed i sottoscrittori garanti della Magna Charta, il nobiluomo accolse l'inversione di tendenza quasi come un affronto personale, con l'effetto di accentuarne l'avversione agli ambienti pontifici. La situazione precipitò pochi mesi dopo quando, alla morte di Re Giovanni (avvenuta il 18 ottobre 1216) gli successe Enrico III. Avendo appena nove anni, il nuovo Re fu sottratto alle possibili influenze del d'Aubigny e imbrigliato nei lacci di un consiglio di reggenza dichiaratamente ostile al "Guardiano delle isole". Questi si ritirò in buon ordine dedicandosi esclusivamente all'incarico che aveva meritato e conquistato "a suon" di imprese militari ed iniziò a maturare il desiderio di abbandonare l'Inghilterra per seguire le orme paterne in Terra Santa. 140


IL PRIMO SFORTUNATO VIAGGIO IN TERRA SANTA Così, dopo aver garantito a suo figlio (anch' esso di nome Philp in ossequio ad una antica tradizione inglese secondo la quale al primogenito doveva essere imposto lo stesso nome del padre) 1' acquisizione del titolo di "Guardiano delle isole", d'Aubigny partì per il continente alla fine del 1220. Incamminatosi lungo la via Francigena, Philip proseguì lungo 1' Appia con 1' intenzione di partecipare alla difesa di Damietta. Tuttavia si ritrovò in Italia "catapultato" in un contesto straordinario: Federico II, astro nascente dei Ghibellini, appena nominato Imperatore, aveva deciso di radunare a Capua i più importanti ed autorevoli giuristi del tempo. Che sia stato l'inglese ad essere attratto da un contesto del genere o che, viceversa, la sua fama abbia fatto sì che lo si convocasse ali' assise dell' antico principato, conta poco. Sta di fatto che il nobile si ritrovò nel "gruppo di lavoro" destinato a traccia• * re le linee fondamentali per la riforma dell' orga» • : • ' • Z&: nizzazione del Regno delle due Sicilie e per chia• • '. rire l'atteggiamento che l'imperatore intendeva V >«1 >"». • •• «I mantenere tanto nei rapporti con la Chiesa, quanto in quelli con i feudatari. In quella circostanza fu partorito quell'ordinamento, in venti capitoli, che alcuni costituzionalisti arrivano a consideraO ; 'i re come 1' ossatura del primo stato moderno 11 europeo. H '• La "distrazione", però, vanificò in parte il viaggio intrapreso. Anche per effetto della sosta nella città che ha dato i natali a Pier delle Vigne, d'Aubigny finì Capita - Reliquia appartenente al tesoro con l'arrivare in Palestina solo nel 1222. della Cattedrale Troppo tardi per difendere Damietta. Come egli stesso ricordò in una lettera inviata al Conte di Chester e di Lincoln, la città era caduta nella mani di El Melek El Mohamed nel settembre del 1221. Le novità intervenute lo costrinsero, dunque, a ripiegare su Acri (dove peraltro sperò di visitare la tomba paterna), ma si trattò solo di una tappa. Secondo Clermond Ganneau, egli attese con impazienza l'inizio della Crociata che poi fu effettivamente promossa da Federico II solo dopo qualche anno. Nel frattempo avrebbe contribuito, con altri inglesi, alla fortificazione di Sidone. Capua - Particolare di un capitello della E' certo che il Cavaliere non ritornò mai più porta Federiciana nella sua patria. 141


UNA IPOTESI SUGGESTIVA Ma è proprio dall'arrivo di Philip d'Aubigny in Terra Santa che non si hanno più notizie certe su di lui. Tuttavia è molto probabile che abbia fatto ritorno in Italia almeno in occasione delle nozze che Federico II contrasse il 9 novembre 1225 con l'inglese lolanda di Brienne che portò in dote allo "Stupor Mundi" il titolo di Re di Gerusalemme. Come è probabile che lo stesso d'Aubigny possa aver fatto ritorno a Capua dove, dopo qualche altro mese, potrebbe aver ricevuto in dono - ma 1' uso del condizionale è obbligatorio - 1' armatura di quel Matteo di Sorrento di cui si è parlato nei capitoli precedenti. Infine sarebbe giunto il giorno della partenza per la agognata Crociata che, però, si sarebbe rivelata ben diversa da Scene di battaglia tra cristiani e saraceni (discgni tratti dalle vetrate della chiesa di Saint Denis quella inizialmente immaginata da Philip e probabilmente dal resto del mondo cristiano. Federico II, infatti, grazie ad un accordo stipulato con il sultano d' Egitto al-Kamil (che ebbe come intermediario F emiro Fakhr-ad-Din), ottenne per un decennio il recupero del controllo quasi totale di Gerusalemme, oltre che di Betlemme, di Nazaret e di una fascia costiera.

PUNTI DI FORZA E PUNTI DI DEBOLEZZA A proposito delle ipotesi appena considerate, non crediamo sia il caso di soffermarsi sui punti di debolezza soprattutto in ragione del fatto che, siamo convinti, saranno trovati in quantità superiori ad ogni aspettativa dai più critici. Tuttavia noi stessi siamo consapevoli del fatto che per dare consistenza al quadro delineato occorrono molte, forse troppe prove che allo stato, invece, non esistono. Come "teorizzatori" della sequenza di eventi prospettata, invece, sentiamo il dovere di spiegare le ragioni che ci inducono a credere che non si tratta solo di una bella favola. In questo senso rileviamo che Philip d'Aubigny, non potendo godere dei diritti garantiti ai primogeniti delle famiglie nobili, non avrebbe mai potuto fregiarsi con lo stemma di famiglia. Ed aggiungiamo che la prolifica famiglia inglese - con origini normanne - ne vanta moltissimi spesso completamente diversi tra loro. 142


Alcuni degli stemmi attribuiti alla famiglia d'Aubigny. A sinistra quello del nucleo originario imparentato con i Re d'Inghilterra, al centro quello dei conti di Arundel, a destra quello degli Albini (cognomizza:.ìone derivata da quella dei d'Aubigny).

Tra questi uno (identico a quello accreditato alla famiglia reale del tempo) caratterizzato da un leone rampante in campo rosso. Un altro, attribuito alla linea dei Conti di Arundel, che - senza vantare, in questo caso, competenze di tipo blasonico -potrebbe definirsi di rosso al bordo e scaglionato con alternanza di rosso e d'oro. Un altro ancora, attribuito agli Albini si presenta con tre anelli d'oro su campo rosso. In effetti una elencazione completa è quasi impossibile soprattutto se si dovessero prendere in considerazione anche le insegne "brisate". Quello di Philip, insomma, è il più antico tra gli stemmi dei d'Aubigny che riportano quattro o cinque fusi (con o senza ulteriori elementi) in campo rosso, ma non esistono prove che fosse effettivamente questa la sua arma prima della partenza per il pellegrinaggio del nobile inglese in Terra Santa. E questo è sicuramente un punto di fondamentale importanza per valutare l'opportunità di procedere ad ulteriori accertamenti. Se il nobiluomo fosse partito dall'Inghilterra già con lo stemma su cui abbiamo concentrato le nostre attenzioni, non ci sarebbe ragione di procedere oltre. Lo stemma del D'Aubigny sarebbe da considerare simile a quello di Sorrento, ma non avrebbe alcun collegamento con la Terra delle Sirene. In caso contrario, invece, potrebbe aggiungersi che, pur forte di un cospicuo patrimonio che gli avrebbe consentito di affrontare le spese di un viaggio lungo, il Crociato non aveva certo previsto di rimanere lontano dalla propria patria per sedici anni (1220 - 1236) giungendo al punto di non farvi mai più ritorno. Un arco di tempo questo che avrebbe fatto deteriorare la sua pur robustissima corazza specie perché sollecitata oltre misura per effetto della mancanza di mezzi di trasporto confortevoli. Inutile dire che un nuovo corredo militare avrebbe comportato oneri finanziari assai significativi. La qual cosa potrebbe avere indotto il cavaliere ad accettare 1' "eredità" di Matteo di Sorrento. Per quanto non riscontrabile con documenti, il succedersi degli eventi che potrebbero avere visto interessato Philip d'Aubigny è, comunque, verosimile. Così come abbiamo ammesso la debolezza della mancanza di prove, ci sia consentito osservare che la mancanza di prove contrarie, se non è un punto di forza, è però un elemento che induce almeno a far riflettere ed a far discutere. E questo è esattamente quello che fin dalle prime righe di questo libro abbiamo auspicato. Il fatto F "argomento del contendere" possa essere la presenza dello stemma di Sorrento vicino al Santo Sepolcro non ci sembra cosa di poco conto. 143



LO STEMMA DELLA CITTÀ DI SORRENTO III PARTE Conclusioni



CONCLUSIONI Sorrento ed i sorrentini hanno tutte le ragioni per rivendicare, con orgoglio, uno degli stemmi più antichi che si conoscano in campo araldico. Critici più o meno agguerriti potranno pur contestare 1' assenza di una "prova provata" consistente in un documento o in una testimonianza certa che possa determinare con assoluta ed incontestabile precisione l'epoca a cui far risalire la sua nascita. Tuttavia gli elementi e gli indizi fin qui raccolti ci sembrano essere tanti, tali e tanto forti da non lasciare spazio ad equivoci di sorta. Come pure non ci sembra che possano esserci dubbi sulla valenza dei suoi significati e sul fatto che ci si trovi in presenza di una Insegna che offre una sintesi di altissimo profilo in cui si riassumono mille diverse virtù ed una parte significativa - anche se non la più antica - della gloriosa storia che, a ragion veduta oggi più che mai - può vantare la Terra delle Sirene. Dopo aver a lungo studiato e cercato ogni indicazione che potesse rivelarsi utile nel contribuire a stabilire tanto la sua origine, quanto il suo esatto significato, ora crediamo che, nel parlare dell' Arma della Città del Tasso, si possano utilizzare chiavi di lettura meno generiche e lacunose rispetto al passato. Fino ad oggi, infatti, le interpretazioni offerte - anche se ricavate da pregnanti principi araldici generali - sono state proposte, nella maggior parte dei casi, alla stregua di dogmi: verità indimostrabili. Un limite, questo, che per chi, come noi, all'amore per la sua terra unisce anche una carica di curiosità innata, era inaccettabile. Con il nostro lavoro speriamo di aver cambiato qualcosa. Le molte novità introdotte ed il tentativo di dare un senso logico a fatti precisi ed inoppugnabili, ai quali si aggiungono ipotesi (che vanno sì individualmente approfondite, ma che sono sicuramente attendibili), ci permettono di poter affermare che l'importanza del ruolo dei nobili sorrentini nello scenario politico del Mezzogiorno medioevale non è espressione di un sano spirito di campanile, ma trova conferme incontrovertibili in elementi di varia natura. Come pure ci sembra innegabile la rilevanza delle attività svolte dai nostri antenati tanto in ambito militare, quanto in ambito diplomatico. Lo stesso attaccamento ai valori cristiani dei nostri avi ha perso una antica patina di alcatorietà per trovare precisi riscontri nell'impegno 147


profuso, tra l'altro, in occasione delle crociate. E su questo ultimo argomento crediamo doveroso partecipare un dubbio che ancora nutriamo per non aver compiutamente affrontato l'argomento. Ci domandiamo, infatti, se Torquato Tasso, artefice della "Gerusalemme Liberata", della "Gerusalemme Conquistata" e delle tante altre opere che hanno affascinato intere generazioni, non fosse a conoscenza delle eroiche imprese dei sorrentini in Terra Santa. E se così fosse stato, è possibile immaginare nei suoi lavori un qualche riferimento (ancora non individuato) agli uomini della Penisola? Rispetto a questi interrogativi non abbiamo risposte e nemmeno abbiamo ritenuto di ricercarle nell'immediato perché non riteniamo che sarebbe stato giusto sviluppare ragionamenti che, in questa sede, ci portassero ad affrontare ulteriori divagazioni. Ci sembra opportuno, invece, giungere alle conclusioni ribadendo, ancora una volta, di nutrire la speranza di essere riusciti a fare sufficiente chiarezza sull'argomento principe della nostra indagine. LE ORIGINI L'assenza di riscontri oggettivi non impedisce di ritenere verosimile la possibilità che l'Insegna della Città di Sorrento risalga all'epoca delle prime crociate. La partecipazione alle spedizioni di truppe in Terra Santa da parte di numerosi cavalieri del capoluogo peninsulare, infatti, avrebbe determinato l'esigenza di creare uno Stemma comune. Ciò tanto per evitare la dispersione delle forze durante le battaglie quanto per rendere ancora più evidente l'impegno profuso dalla comunità locale nelle guerre contro gli Coinbattinicnto tra un cristiano e un musulmano infedeli. Il fenomeno - come sottolineato nel capitolo "I Sorrentini, un popolo di... Cavalieri crociati" - fu particolarmente rilevante in occasione degli scontri con le truppe del Saladino (1187). In questo contesto il capitolo riservato alla possibilità che il nostro Stemma possa essere vicino al Santo Sepolcro non deve e non può prestarsi a mistificazioni di sorta. Anche nel caso in cui 1' eventualità considerata si rivelasse azzardata, infatti, non si potrebbe per questo cancellare il fatto che un numero signiricativo di cavalie148


ri della Costiera sia stato effettivamente impegnato sul fronte crociato. In caso contrario, invece, la prove attualmente non riscontrabili sul suolo patrio, sarebbero rivenibili in luogo che il mondo della cristianità considera tra quelli più cari. Tra la fine del 1100 ed i primi anni del XIII secolo, comunque, con ogni probabilità l'Arma sorrentina ebbe le stesse caratteristiche di quella conosciuta oggi, fatta eccezione per il numero di fusi che inizialmente dovrebbero essere stati quattro anziché cinque. Purtroppo, allo stato, gli unici indizi capaci di consentire qualche approfondimento in merito a questa eventualità sono offerti dal capitello abraso a cui abbiamo fatto riferimento nel capitolo intitolato "I segreti, le sparizioni ed i misteri di San Francesco". Anche per questo, dunque, più che ritenere di aver raggiunto un traguardo nel fornire spiegazioni che possano essere considerate definitive, siamo convinti di aver individuato un punto di partenza per successivi approfondimenti. L'aspetto formale dello Stemma, in ogni caso, non sminuisce il valore delle valutazioni espresse circa la possibile collocazione storica della sua possibile "nascita". Quand'anche si volessero ignorare le congetture appena ricordate, comunque, è certo che la Terra delle Sirene aveva una propria Insegna distintiva in epoca angioina (ovvero in un periodo compreso tra la fine del 1200 secolo e l'inizio del secolo successivo). L'individuazione dello Stemma esistente presso il Sedil Dominova (si veda il capitolo intitolato "I segreti, le scoperte ed i misteri del Sedil Dominova: lo Stemma con i sei fusi ed i "collari" cancellati"), in questo senso, rappresenta un'autentica "pietra miliare". Esso, infatti, tra le prove che non hanno subito alterazioni nel tempo, rappresenta la più antica testimonianza ancora esistente ed è particolarmente importante anche perché la sua visione è accessibile a tutti. Al momento non si hanno notizie chiare in ordine alle cause, alle circostanze che indussero i sorrentini a modificare definitivamente la loro Insegna "convertendola" nella "versione" attuale. Né è possibile stabilire una datazione attendibile per questa metamorfosi. Al riguardo, invece, è possibile affermare che tale trasformazione è sicuramente riscontrabile a partire almeno dalla seconda metà del 1500, come si evince dalla pianta custodita presso la Biblioteca Angelica di Roma (al riguardo si veda il capitolo "Dipinti, mappe, disegni ed incisioni). 149


I SIGNIFICATI Dopo aver affrontato gli approfondimenti contenuti nei capitoli riservati alle "ipotesi insostenibili" ed ai "primi accenni sul possibile significato" riteniamo che la sintesi formulata a proposito della nascita dello Stemma della Città del Tasso fornisca tutti gli elementi per poter finalmente ipotizzare una sua descrizione non solo in ragione della lettura di principi araldici di carattere generale, ma individuando precisi spunti capaci di rafforzarne una corretta interpretazione. Proprio richiamando alla mente l'impegno profuso sul fronte crociato, infatti, ci sembra di poter affermare che la scelta di caratterizzare il "campo" con il rosso ben può conciliarsi con i significati che Giovanni Santi-Mazzini attribuisce a questo colore. In particolare per ciò che riguarda "l'amore verso Dio e il prossimo", "lo spargimento di sangue in guerra", "il coraggio, l'audacia, il valore, la fortezza" e la nobiltà. Stesso discorso vale per la scelta dell'argento che distingue i fusi destinati a ricordare l'auspicata protezione dei Santi Patroni della Città. Al di là della nobiltà del metallo, infatti, non può essere trascurato il fatto che lo stesso Santi-Mazzini (si veda il capitolo intitolato "Qualche nota araldica") ritiene che esso rappresenti, tra l'altro, la purezza, la verità, la speranza, la clemenza, la gentilezza ed il desiderio di vittoria. Relativamente più articolato, invece, è il discorso da affrontare nel tentativo di spiegare le variazioni intervenute nel tempo a proposito del numero dei fusi. In questo senso riteniamo che alcune indicazioni siano già state fornite nel capitolo intitolato "Una Città, mille protettori". L'importanza attribuita oggi ai Santi Patroni non consente equivoci di alcun genere avendo la devozione popolare affidato una sorta di "leadership" incontrastata a Sant'Antonino cui si affiancano Sant'Attanasio, San Baccolo, San Renato e San Valerio. Tuttavia gli attuali "indici di gradimento" non rispecchiano fedelmente quelli del passato. Diversamente non si spiegherebbe come mai, la Stemma della Basilica Pontificia di quasi totalità dei sorrentini ignori il fatto che la Sant'Antonino. città abbia invocato, nei secoli scorsi, particolari onori siano stati riservati anche ad altri santi e che anche ad essi è stata riconosciuta la dignità di Patroni della Terra delle Sirene. Viceversa più ci si spinge indietro nel tempo, più si possono registrare diversità rispetto allo stato di cose attuale. In particolare non può essere negato il fatto che la devozione verso


Sant'Antonino abbia conosciuto un vero e proprio exploit solo a partire dalla fine del 1300. Quando cioè la Basilica a lui intitolata ha registrato l'inizio di una serie di opere di ampliamento e di arricchimento che si è protratta nel tempo Precedentemente, invece, è probabile che ai quattro Santi Vescovi sorrentini (per l'appunto Sant'Attanasio, San Baccolo, San Renato e San Valerio) fosse riconosciuta maggiore importanza. Il che giustificherebbe la possibile esistenza, nei primi secoli del vecchio millennio di uno Stemma caratterizzato da una "pezza onorevole" contenente quattro fusi. La successiva evoluzione di epoca angioina - quella caratterizzata da sei fusi testimonierebbe in maniera significativa le prime variazioni intervenute sul fronte devozionale della Città del Tasso essendosi registrata una "promozione" di Sant'Antonino e di San Gennaro (o, invece di quest'ultimo, di San Catello, amico proprio dell'Abbate originario di Campagna ed oggi compatrono della diocesi). Infine - sicuramente a partire dal '500, ma probabilmente anche prima - prevalse un forte spirito di campanile ed i fusi furono ridotti a cinque. Con ciò scegliendosi di affidare la propria protezione ai soli Santi che furono vescovi della Città ed a Sant'Antonino che, trascorse una parte significativa della sua vita proprio a Sorrento. Le numerose, frequenti ed ulteriori variazioni ed integrazioni che, poi, sono intervenute durante gli anni nella scelta di nuovi Protettori hanno prodotto effetti più o meno duraturi solo sotto l'aspetto religioso, ma non hanno più procurato - a differenza di quanto era accaduto precedentemente - conseguenze sulla foggia dell'Insegna locale. Questa, dunque, da almeno cinque secoli si conserva intatta così come testimoniato dai numerosi documenti, da mappe, da disegni e da altri particolari cui abbiamo fatto riferimento. Pur apparentemente statica e silente la nostra Arma ha conservato nel tempo i suoi originari e più nobili significati. E con essi le troppo spesso dimenticate gesta eroiche, il valore e la dignità degli uomini della nostra terra. Non ci piace paragonarla ad un arcano che passivamente aspettava di essere svelato. Ci piace, invece, tornare a guardarla con rinnovato entusiasmo e con accresciuta ammirazione quasi come se fosse stata capace di parlarci, di rivelarci almeno una parte dei suoi antichi segreti e di regalarci sempre nuovi e più validi motivi per conservare alto l'orgoglio di essere sorrentini. 151


POSTFAZIONE LA RICERCA DELLA "LUCE" ANIMA LA NOSTRA ATTIVITÀ' "Sine Lumine Pereo" Scoprendo un comune interesse verso materie che, tra l'altro, spaziano dalla storia medievale a quella contemporanea e dall'araldica agli studi genealogici, un gruppo di amici, all'inizio del 2005 ha deciso di dar vita all'Accademia di Storia Patria "Santi Giovanni, Giorgio e Michele Arcangelo". A motivare la nascita dell'associazione culturale è stato il desiderio di incrementare gli studi e gli scambi culturali. Per questo è bene chiarire subito, dunque, che l'Accademia non intende "fare concorrenza" ad alcuno, né porsi pregiudizialmente in antitesi con altre benemerite organizzazioni già esistenti ed operanti. I suoi fondatori sono animati dalla volontà di porre in essere ogni sforzo utile per apportare, con la massima modestia possibile, il proprio contributo nel tentativo di approfondire argomenti che ancora non sono stati analizzati a fondo, di trovare nuovi spunti degni di interesse e di aprirsi ad un sereno confronto con chiunque voglia costruttivamente dialogare. Proprio perché animati da questo spirito, gli stessi fondatori hanno accolto con entusiasmo l'idea di pubblicare gli studi curati da Fabrizio Guastafierro su "Lo stemma della Città di Sorrento", sulle sue origini, sul suo significato e su aspetti araldici e cavaliereschi che hanno visto interessata la Terra delle Sirene. Scrupoloso e zelante, l'autore ha distinto le certezze dalle ipotesi offrendo interessantissime chiavi di lettura su numerosi aspetti della storia locale e prestando copiosi spunti per ulteriori approfondimenti e per alimentare proficui dibattiti. Avendo apprezzato i contenuti del lavoro, con orgoglio, si è deciso di promuoverne la pubblicazione per consentirne la massima divulgazione possibile. Ciò anche nella ferma convinzione che per l'Accademia non potesse esserci esordio ufficiale migliore.

LUIGI GARBO Presidente deli 'Associazione Culturale Accademia di Storia Patria "Santi Giovanni, Giorgio e Michele Arcangelo"

152


BIBLIOGRAFIA Biagio Aldimari - "Memorie historiche di diverse famiglie nobili così napoletane, come forestiere" - Napoli Carlo Borrelli - "Vindex neapolitanae nobilitatis" - Napoli Scipione Ammirato - "Famiglie nobili napoletane" - Firenze 1590 Scipione Mazzella - "Descrittione del Regno di Napoli" - Napoli 1601 Bernardo Candida Gonzaga - "Memorie delle famiglie nobili delle Provincie Meridionali d'Italia" - Napoli 1875 Goffredo di Crollalanza - "Dizionario storico - blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti" - Pisa 1886 - 1890 Vittorio Spreti - "Enciclopedia storico - nobiliare italiana" - Milano 1828 - 36 Lorenzo Caratti di Valfrei - Araldica - Mondadori 1996 Giovanni Santi-Mazzini - "Araldica - Storia, linguaggio, simboli e significati dei blasoni e delle armi" - Mondadori 2003 Giorgio Aldrighetti - Sito ufficiale dell Istituto Araldico Genealogico Italiano www.iagi.info Giuseppe de Blasiis - "La insurrezione pugliese e la conquista normanna nel secolo XI" - Napoli 1873 Charles Clermont - Ganneau - "Archeological researches in Palesatine during theyears 1873- 1874" Ferdinand Chalandon - "Histoire de la Domination normande en Italie et en Sicilie" - Parigi 1907 Vincenzo Donnorso - "Memorie Historiche della fedelissima ed antica Città di Sorrento" - Napoli 1740 Bartolommeo Capasse - "Memorie storiche della Chiesa sorrentina" - Napoli 1854 Bartolommeo Capasse - "II Tasso e la sua famiglia" - Napoli 1866 Padre Bonaventura Gargiulo - "Sorrento sacra e Sorrento illustre" - S. Agnello 1877 Gaetano Ganzano Avarna - Cenni storici sulla nobiltà sorrentina - S. Agnello 1880 Manfredi Fasulo - "La Penisola Sorrentina - Istoria - Usi e Costumi Antichità" - Napoli 1906 Nino Cortese - "II ducato di Stabia e Stabia ed il suo "Territorium" - In Archivio Storico per le Province Napoletane 1927 Pasquale Terraiuolo - "Chiese e monasteri di Sorrento - Cenni storico-artistici" - Sorrento 1974 Vincenzo Russo - " Sorrento Medievale" - Tipografia "Guttenberg 72" Sorrento 1978 Antonino Di Leva - "Entro la cerchia de le mura antiche - La fortificazione 153


della Città di Sorrento dal Cinquecento ai giorni nostri" - // Sorriso di Erasmo 1981 Vincenzo Russo - "Sorrento e la sua penisola dall'età preellenica al secolo XIX" - Tipografia "Guttenberg 72" - Sorrento 1984 Associazione Studi Storici Sorrentini - "Sorrento e la sua storia" - Franco Di Mauro Editore 1986 Catello Salvati - "Sorrento Medioevale - Ricognizioni Bibliografico Archivistiche" - Centro Culturale Bartolommeo Capasso - Sorrento 1986 Vincenzo Russo - "Le tarsie di Rocco per il Duomo di Sorrento" - Franco Di Mauro Editore 1990 Annunziata Berrino - "II complesso conventuale di San Francesco a Sorrento - Presenza mendicante e architettura francescana" - Eidos - Nicola Longobardi Editore 1991 Pasquale Ferramelo - "La chiesa Sorrentina e I suoi pastori" Sorrento 1991 Alessandro Fiorentino - "Memorie di Sorrento - Metamorfosi di un incantesimo 1858 - 1948" - Electa 1991 Elisabetta Aversa - '"Na 'ffacciata 'e fenesta" - Stamperia grafica A. Petagna - Sorrento 1994 Antonino Di Leva - "La città di Sorrento in piano" - Nicola Longobardi Editore 1997 Giovanni Fiorentino - Nella Pane Circelli - Franco Scandone - "Sorrento Gli archivi imperfetti. L'album Garzilli 1932 - 1934" - Centro studi e ricerche "Bartolommeo Capasso" 1998 Rubina Cariello - "Pompeo Correale - Collezionista, mecenate ed artista" Franco Di Mauro Editore 2000 David Abulafia - "Federico II - Un imperatore medioevale" - Einaudi 1990 Franco Porsia - Traduzione e glosse del "Liber Augustalis - Le costituzioni Melfitane di Federico II di Svevia" - Edizioni B.A. Graphis 1999 Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri - "Federico II - Ragione e Fortuna" - Editori Laterza 2004

Siti consultati: www.araldicacivica.it www.stupormundi.it www.gebus.com www.iagi.info 154


RINGRAZIAMENTI Sinceri e sentiti ringraziamenti vanno a tutti coloro che, sia pure in diversa misura ed a vario tìtolo, hanno contribuito a rendere possibile la pubblicazione di questo libro. I suggerimenti di alcuni, la collaborazione di altri ed i contributi di altri ancora hanno fatto sì che molti ostacoli potessero essere superati, aiutandoci a rendere meno lacunoso il nostro lavoro. Particolare riconoscenza esprimiamo a: Carlo Al/aro, Giosuè Apreda, Annwiziata Benino, Dirigenti e Personale tutto della Biblioteca di Storia Patria di Napoli, Carla Cacace, Andrea Ciccane, AnnaMaria Coppola, Cecilia Coppola, Antonino Cuomo, Antonino Di Leva, Luigi Di Leva, Franco Di Mauro, Stefano Di Mauro, Don Luigi Di Prisco, Don Pasquale Ercolano, Antonino Esposito, Don Peppino Esposito, Pasquale Ferminolo, Marco Fiorentino, Massimo Fiorentino, Francesco Gaietta, Michele Gargiulo, Vito Garzilli, BiancaMaria laccarino, Antonella Lamagna, Raffaele Lauro, Padre Domenico Longone, Franco Manfredonia, Fraancesco Maria Mariano, Mauro Masi, Omelia Prisco, Gianni Pane, Giovanni Pollio, Pasquale Ruocco, Teresa Ruocco, Mario Russo, Massimo Sgrelli, Massimo Somma. Eguali sinceri e sentiti ringraziamenti vanno, inoltre, a quanti - involontariamente e senza alcuna malizia - possiamo avere dimenticato.

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INDICE II parere di un esperto Presentazione Prefazione Introduzione

Pag. 7 Pag. 9 Pag. 11 Pag. 13

I PARTE - LE CERTEZZE Premessa Qualche nota araldica I significati astratti Gli stemmi simili a quello di Sorrento Le ipotesi insostenibili Primi accenni sul possibile significato Una città, mille protettori L'Arma di Mussolini: il Duce riconosce la dignità di Città La storia del gonfalone e della bandiera fuorilegge e quella dell'ulivo che non c'è Se Sorrento piange, gli altri comuni non ridono. Anzi Finalmente un po' di chiarezza La nuova "S" Alcune metamorfosi Gli stemmi marmorei Dipinti, mappe, disegni ed incisioni I segreti, le scoperte ed i misteri del Sedil Dominova: lo stemma con i sei fusi ed i "collari" cancellati I nobili si dividono tra Guelfi e Ghibellini e nasce il Sedil Dominova La riconoscenza e le attenzioni di Federico II Conclusioni della prima parte

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56 59 61 63 66 70 74

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II PARTE - LE IPOTESI Premessa alla seconda parte I Sorrentini, un popolo di... Cavalieri crociati Alcuni personaggi su cui occorre investigare più a fondo I limiti della ricerca: troppe le famiglie nobili cancellate dalla storia locale Una provocazione: i riferimenti contenuti nella storia della famiglia Filangieri La sensibilità per gli ordini dei Monaci-Guerrieri I segreti, le sparizioni ed i misteri di San Francesco Lo stemma di Sorrento vicino al Santo Sepolcro: un'ipotesi da approfondire o solo una bella leggenda?

Pag. 105 Pag. 107 Pag. I l i Pag. 116

Pag. 136

III PARTE - LE CONCLUSIONI

Pag. 145

Postfazione

Pag. 152

Pag. 122 Pag. 125 Pag. 127 Pag. 130

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Finito di stampare nel mese di luglio 2(X)5 presso la TipolitografĂŹa

'72 Tei. 0818784279 - Fax 0818784244 E-mail: tipografia@hotmail.it SORRENTO





K DIRI IK) DI I I IH CKRCARi: NK1 SKCOI.I TRASCORSI TKS I I M O M A N / K DI QUALCOSA C I I K SI K SKMPRK PKNSA'I'O DI 1 SSKRK STATI O DI AVK.R l'OSSKDl K). K DIRITTO DI OGNUNO l'RK I K N D K R K CTIK PARTI: DI UNA STORIA CHI: GLI APPARTIKNK POSSA FINALMI N I K KSSKRGLI RKSTHT ITA

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