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di Luciana Ziruolo

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di Luigi Bonanate

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Senza il Muro, appunti da Jacques Rupnik. Introduzione

di Luciana Ziruolo

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Con questo intervento si intende mostrare quanti siano i temi, quanti siano gli interrogativi, quanti siano i fili con cui è possibile attraversare il 1989.

Un primo elemento di chiarezza è offerto da alcuni spunti di riflessione tratti dal libro di Jacques Rupnik, Senza il muro. Le due Europe dopo il crollo del comunismo (Roma, Donzelli, 2019). Il volume parte dal 1989 e analizza i trent ’ anni successivi a quella data.

Nei saluti a questo convegno* , sia il presidente dell’Isral Mariano G. Santaniello che il sindaco di Tortona Federico Chiodi, hanno fattocennoallaloroesperienza,aquell’ essereragazziquandoilMuro c ’ era. Potrei offrirvi la mia, ma è senz ’ altro più interessante quella del grande scrittore triestino Claudio Magris. Sul “Corriere della Sera ” del 1 luglio 2019 egli riflette sui nuovi muri che si vanno erigendo in Europa e nel mondo, questo l’incipit dell’ articolo: “Quando ero un ragazzino la frontiera, vicinissima, non era una frontiera qualsiasi, bensì una frontiera che divideva in due il mondo - la Cortina di ferro. Io vedevo quella frontiera sul Carso, quando andavo a passeggiare e a giocare. Dietro quella frontiera c ’ era un mondo sconosciuto, immenso, minaccioso, il mondo dell’Est ” .

Con la caduta del Muro nel 1989, con la dissoluzione dell’Urss nel 1991, si sovverte il quadro geopolitico mondiale: è la fine della Guerra fredda, è la fine del bipolarismo, è un ordine mondiale che si dissolve dopo una lunga guerra, una guerra non combattuta in armi perché non avrebbe potuto esserlo, pena lo sterminio nucleare.

Oltre il muro. 1989-2019

Gli studiosi hanno rilevato come nella storia non si sia mai verificata in modo pacifico una transizione di così vasta portata. A trent ’ anni di distanza, però, siamo di fronte a una disarticolazione dell’ ordine internazionale e sembrano inattuate le premesse di un mondo pacificatoopercosìdirediundilagarevirtuosodellaglobalizzazione.

La scelta è caduta su Rupnik perché oltre a essere uno studioso storico-politico che ha dedicato molta attenzione all’Europa centroorientale, accanto a questa dimensione, affianca quella di mediatore sul campo: è stato consigliere del presidente della neonata Repubblica Ceca Václav Havel, è stato membro della Commissione internazionale sul Kosovo ed è stato anche membro della Commissione internazionale sui Balcani. Nato a Praga nel 1950, ma di nazionalità francese, direttore di ricerca al Ceri (Centro di ricerca internazionali), insegna all’istituto di Scienze politiche di Parigi.

Le tesi contenute nel suo libro sono molto utili per ripercorrere le vicende dei Paesi un tempo appartenenti al blocco sovietico, dalla fine dei regimi comunisti ad oggi e più in generale per comprendere gli assetti mondiali di questi ultimi trent ’ anni. A dire il vero Senza il muro non è un libro nuovo, nel senso che il volume raccoglie una serie di saggi già editi. Di nuovo, però, ci sono l’introduzione e il primo capitolo, scritti appositamente per il pubblico italiano. L’ uscita del volume è stata voluta fortemente da Guido Crainz, che ha consigliato all’ editore Donzelli la realizzazione di questo tipo di operazione.

LaforzainterpretativadiRupnikscaturisceanchedalconsiderare la caduta del muro non tanto come un evento, ma come l’inizio di un processo, o meglio, di processi, con una transizione lunga, incompiuta, verso dei modelli di democratizzazione politica cui originariamente ci si ispirava. Per le nazionalità post sovietiche, secondo l’ autore, la spiegazione degli esiti differenti che in quell’ area si stanno manifestando sta nel diverso dosaggio di alcuni fattori.

Oltre il muro. 1989-2019

Fattoriquali,ilgradoelaforzadiinsediamentodelprecedenteregime sovietico, la forza o la fragilità di suggestione del modello liberaldemocratico d’ispirazione occidentale, la presenza di fattori di intorbidamento, quando non di corruzione, la diversa torsione delle deriveidentitariechestannoallabasedelleistanzepiùomenofortidi tipo nazionalistico. Che cosa dice Rupnik? In sostanza dice che se a Est del Muro sta riprendendo a spirare un vento dai tratti inediti di una democrazia illiberale, è vero anche che dall’ altra parte del muro un muro che ormai non c ’è più - si sente sibilare un vento simile.

L’ obiettivo di questo convegno è di provare a decifrare e a interpretare il 1989 e il suo portato, una questione che non è solo dell’Europa centro-orientale, ma che attraversa lo spazio europeo e mondiale.

Posto il 1989 come fuoco di attenzione, primo avvertimento è quello di non confondere le cause immediate con le ragioni profonde che hanno portato a quel rapido e imponente cambiamento che, da un lato, veniva considerato necessario e impossibile e, dall’ altro, imprevedibile e inevitabile. In estrema sintesi, Rupnik indica come ragioni profonde il decadimento a lungo termine del sistema politico-economico del socialismo reale combinato con l’ erosione dell’impero sovietico e come cause immediate - vale a dire ciò che ha consentito e reso possibile il cambiamento - il rifiuto di usare la forza da parte del leader del Cremlino. Questa decisione di Michael Gorbačëv aprì uno spazio decisivo a Lech Wałęsa in Polonia con Solidarność e anche un possibile spazio per il Forum civico di Havel a Praga, nulla sarebbe stato possibile senza l’ accettazione tacita di Mosca.

Gorbačëv, nel 1988, abbandona la dottrina Bréžnev della sovranità limitata. La dottrina della sovranità limitata nel 1968 aveva consentito e giustificato l’invasione della Cecoslovacchia, Gorbačëv la sostituisce con una dottrina definita scherzosamente

“dottrina Sinatra ” , dal titolo della famosa canzone MyWay (A modo mio), una definizione usata per descrivere la nuova politica estera di Mosca, improntata alla non ingerenza negli affari interni delle nazioni del Patto di Varsavia: ogni paese del blocco aveva la facoltà di muoversi in una certa autonomia. Sempre nel 1988, Gorbačëv alle Nazioni Unite dichiara che nessuno può rivendicare il monopolio sulla verità. Si tratta di una dichiarazione molto importante, perché il monopolio sulla verità, dalla rivoluzione bolscevica in poi, costituì la principale legittimazione dei regimi comunisti. Per queste ragioni al presidente Gorbačëv venne imputato un contributo decisivo nel crollo dell’Urss, gli fu attribuita l’immagine di decostruttore involontario, ebbe poco credito nell’Europa centrale ed ebbe il disprezzo dei compagni cinesi che lo vedevano come colui che aveva abbandonato un impero e il suo potere senza ottenere nulla in cambio. I cinesi, d’ altro canto, nel giugno 1989 a Piazza Tien ’ anmen avevano già tristemente dimostrato di percorrere un ’ altra via: quella del capitalismo autoritario.

Un ’ altra via per ragionare sul 1989, è riflettere su come sia stato l’ esito del lungo processo, iniziato nel 1956 con la rivoluzione di Budapest, proseguito nel 1968 con una riforma radicale a Praga, poi con Solidarność in Polonia nel 1980. Solidarność ha rappresentato l’ emergere del più grande movimento operaio dell’Europa postbellica. Date che riconducono a movimenti dissidenti, in continuità con il passato e al contempo volti ad andare avanti, oltre il 1968, oltre al socialismo dal volto umano che era stato schiacciato dai carri armati sovietici, verso un linguaggio più liberale sui diritti umani e sulla società civile.

Ancora, per il 1989, è possibile parlare di rivoluzione, anche se in realtà non ci fu nessuna idea realmente nuova che accompagnò questo evento, diversamente da quanto era avvenuto in Francia nel

Oltre il muro. 1989-2019

1789, o in Russia nel 1917? Fu una rivoluzione pacifica e negoziata - a parte la Romania di Ceaușescu - niente di riconducibile all’immaginario dell’ assalto alla Bastiglia o al Palazzo d’inverno, non a caso a Praga il processo politico che, tra novembre e dicembre 1989, condusse alla dissoluzione dello stato comunista cecoslovacco venne chiamato Rivoluzione di velluto.

Gli studiosi ritengono che si possa parlare di rivoluzione dal momento che mutarono i fondamenti di un sistema politico ed economico, certamente è stata la prima rivoluzione della storia a non proporre un nuovo modello di società, il motto fu per così dire “ niente esperimenti” , come afferma Rupnik nell’interessante intervistaacuradiMarcelloFlores,pubblicatasu “LaLettura ”del21 luglio 2019. A prevalere fu l’imitazione dei modelli occidentali, in particolare di quelle che sembravano le due più affermate democrazie liberali: quella degli Usa e quella del Regno Unito. Soltanto decenni dopo si è compreso come si stesse imitando un qualcosa che era in seria difficoltà, che aveva grossi problemi, basti pensare agli Stati Uniti nel 2008, o al Regno Unito con le vicende attuali sulla Brexit.

Se il 1989 ha avuto successo nel portare tanti Paesi dell’Europa Centro-orientale nell’Unione Europea e nel condurre a un così forte allargamento dell’Unione che è arrivata a 28 membri, ora ne vediamo tutti i limiti. Nei paesi centro-orientali, in questi trent ’ anni, si è passati dalla rivoluzione democratica alla crisi della democrazia, o alla stanchezza verso la democrazia.

Un articolo, su “La Stampa ” del 4 novembre 2019, riportava un ’indagine realizzata in sette Paesi dell’Europa orientale, un ’indagine assai interessante che ha coinvolto più di 12.000 persone, con l’ obiettivo di comprendere come i cittadini avvertissero la realtà in cui vivevano. Alcune domande erano: “Nel vostro Paese le elezioni, a vostro avviso, sono libere?” , “Avete timore per la

democrazia nel vostro paese?” ,

“è stato un bene passare al libero mercato?” . Le risposte non sono confortanti, mostrano il successo di populismi nazionalisti e indicano innegabilmente una regressione democratica. Dal 2015, sembra esserci di nuovo una spaccatura tra Est e Ovest in Europa, e certamente non va dimenticato come l’ ondata migratoria del 2015 abbia funzionato come catalizzatore del processo di chiusura all’ esterno, con la difesa dell’identità nazionale.Ilcicloliberalesuccessivoal1989sembra,senonesaurito, sicuramente in grossa difficoltà. L’Unione Europea ha un peso sempre più limitato nel contesto della globalizzazione, ci sono gli Stati Uniti, la Cina, la Russia. L’Unione Europea sembra contare poco, non sembra sia stata in grado di costruire quello spazio pubblico europeo che sembrava davvero possibile dopo il 1989.

L’ augurio è che i diversi contributi di questo convegno, innanzi tutto pensando alla comunità scolastica, possano aiutarci a districare la matassa intricata di questi ultimi trent ’ anni, a fornire qualche risposta ai nostri interrogativi di oggi, a sciogliere, se non le nostre paure, per lo meno alcuni dubbi.

* La giornata di studi “Oltre il Muro: 1989-2019” , a cura dell’Isral, si è svolta a Tortona il 6 novembre 2019, presso la Sala Convegni della Fondazione CR Tortona.

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