ELFO BIANCO
GOCCE DI LUNA Racconti & poesie
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Dedico questo libro a mia madre, a Daniele, a Sysyphus (il mio dolcissimo gatto), e a Virginia la mia meravigliosa amica brasiliana.
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INDICE DEI RACCONTI
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
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Le stelle di Lorenzo. Avalon. L'isola degli angeli. Tuatha dÊ danann. La signora delle volpi. Elfi. Cliffs of Moher. Di chi s'innamorò la luna. Nathair. Il canto del cigno. Streghe
LE STELLE DI LORENZO
1 Se avessi grandi ali, solcherei lo spazio infinito. Nella notte disegnerei la luna e tra le stelle scriverei il mio nome. CosÏ pensò Lorenzo guardando il cielo da dietro la finestra della sua stanza. Aveva avuto un'infanzia tranquilla con i nonni e i suoi genitori nella loro casa di campagna. Le lunghe corse sui prati, le serate al fresco sotto gli alberi di fico dietro casa, ad ascoltare i grandi che raccontavano le storie della loro vita. Le estati al mare a fare il bagno fino al tardo pomeriggio. Alle elementari fu un'avventura fantastica. Gli piacevano le maestre e la loro aria d'importanza dietro quegli occhialetti sopra il naso. La domenica si andava alla messa della cattedrale e spesso, inseme ad altri ragazzi ritenuti i piÚ svegli dell'oratorio, leggevano le preghiere davanti al microfono. Il panettone della nonna per il suo compleanno, i dolci che il nonno portava a casa la sera, durante le feste di paese. La 4
spensieratezza della fanciullezza che gli dava pace e tranquillità. Sua madre era una donna fragile e nervosa. Non era mai stata particolarmente affettuosa con lui. Preferiva i figli degli altri al suo. Li vedeva più svegli, più intelligenti e forse anche più belli. Suo padre li aveva abbandonati per un altra donna e aveva cambiato città. Lorenzo era un ragazzino troppo sensibile e intelligente per essere compreso da chi lo circondava.Aveva fatto le scuole fino al diploma di maturità. Una notte ci fu una grande esplosione. La stufa a gas che riscaldava la casa, saltò in aria per una fuga di gas e uccise i suoi nonni e sua madre sul colpo. Lorenzo fu affidato ad una famiglia che viveva in una cascina fuori dal paese. I due coniugi avevano altri due figli brutti come il peccato. Lorenzo era costretto a mangiare in disparte e a dormire nelle stalle con l'asino e le mucche. Dormiva su un giaciglio di paglia e una coperta vecchia di lana lo copriva. A lui spettavano tutti i lavori più umili e pesanti. Pulire il recinto dei maiali, portare le pecore al pascolo, dar da mangiare alle galline, e sistemare le stalle. Durante le feste tutti avevano un regalo tranne lui. Lorenzo si sentiva molto solo, non aveva amici. La sua unica compagnia erano gli animali, gli alberi e le stelle a cui parlava e confidava i suoi segreti. Di nascosto da tutti, si intrufolava nella stanza dei libri e ogni tanto ne prendeva uno e lo nascondeva sotto il fieno. La notte lo leggeva e quando aveva finito lo rimetteva al suo posto senza farsi vedere. Quella sera stava affacciato alla finestra del fienile seduto sul mucchio di paglia su cui dormiva e guardava le stelle. Vide una stella cadente ed espresse il desiderio di scappare da quell'inferno che lo teneva prigioniero. Gli sembrò che la stella rallentasse la sua caduta per dargli il tempo di formulare per intero il suo desiderio, e poi sparì nel buio. Accese la candela di cera che c'era in una nicchia nel muro accanto alla statua della madonnina, e pregò: ''Dolce Madre che ascolti le preghiere di chi ti invoca, ti prego rivolgi anche a me il tuo sguardo. Non lasciarmi da solo su questa terra di dolore. Asciuga la mie lacrime e tienimi stretto a te, affinchè io possa camminare sicuro per la strada e dormire tranquillo sotto un tetto. Amen'' Si riaffacciò alla finestra di prima e si mise a parlare con le stelle che brillavano da lassù piccine piccine. ''Come siete belle, tutte vicine nel cielo. Sembrate un mantello con tanti 5
diamanti. Forse in mezzo a voi c'è anche la mia mamma. Salutatemela se la vedete. Ditele che anche se mi ha fatto soffrire, io la amo tanto.'' Si distese sul fieno e si coprì con la coperta di lana. L'indomani sarebbe stata un'altra dura giornata di lavoro e la sveglia era come al solito al canto del gallo. La notte era fredda nel fienile e Lorenzo si era sprofondato quando più poteva nel fieno per riscaldarsi. Sentiva i figli dei due coniugi che litigavano e si azzuffavano davanti alla televisione. A lui non era concesso guardarla. In casa poteva entrare a dormire solo d'inverno e sotto il sotto scala. Assunta, la moglie del fattore, era una persona cattiva e invidiosa. Era molto attratta dai ragazzoni muscolosi e forti. Per questo si faceva sbattere dal lattaio che veniva a prendere il latte ogni mattina, quando Fulvio il marito era impegnato a tenere d'occhio i braccianti. I figli scatenavano la loro innata maleducazione in giro con i testa calda del paese. Lorenzo era un bel ragazzo dai capelli castano chiaro e gli occhi nocciola muschiato. Il suo corpo si era modellato con tutti i lavori pesanti che gli facevano fare e aveva notato gli sguardi lascivi di Assunta su di lui in più di un'occasione. Fulvio la sera tornava tardi dalle bettole che frequentava e molto spesso era ubriaco fino all'osso. Ogni volta che Lorenzo andava a dormire sull'ammezzato del fienile, tirava via la scala di legno che serviva a farlo salire e la legava in alto dove nessuno poteva raggiungerla. Quella notte sognò di salire un'ampia scalinata di marmo con un tappeto rosso e ai lati delle balaustre degli splendidi vasi di fiori. In cima alla scalinata c'era una donna vestita di bianco che lo aspettava e lui si sentiva felice. Il gallo cantò prima del solito, il giorno dopo. Lorenzo si svegliò, si inginocchiò, chiuse gli occhi, '' Buongiorno Madre delle stelle ! La luce è già nata dietro le colline ed il sole sta spuntando, dopo aver dormito nelle tue braccia. Dolce Madonnina, fa che riscaldi e dia valore al giorno che nasce. Io ti ringrazio. Amen'' Si fece il segno della croce, scese giù con la scala e si lavò alla fontana che c'era fuori nel piazzale. ''Cosa ti lavi a fare, tanto devi stare in mezzo alle pecore, somaro! '' Gli urlò dietro Fulvio che stava andando nei campi in mezzo ai braccianti. Lui fece finta di non sentire. Finito di lavarsi, pulì il pollaio, la stalla con 6
l'asino, quella con le due mucche e il recinto dei maiali.Andò a mungere le pecore e le vacche insieme ad un aiutante e ad Assunta. Alla fine della mungitura, si misero a fare la ricotta ed il formaggio. Filtrarono bene il latte. Ne lasciarono un po' da parte e tutto il resto lo misero in un pentolone a 38 gradi. Versarono le giuste dosi di caglio, lasciando cagliare il tutto per un paio d'ore. Lorenzo prese una frusta e ruppe la cagliata, lavorandola energicamente in piccoli pezzetti che rimanevano sul fondo del pentolone. L'aiutante infilò le braccia nel siero fino in fondo e raggruppo i pezzetti, formando un pezzo unico compatto. La caglia ottenuta la misero subito nelle fruscelle o forme, pressandola bene dentro ognuna di esse. Passarono a fare la ricotta. Aggiunsero il siero del formaggio di prima, ed il latte tenuto da parte lo misero a bollire lentamente. Assunta passava lentamente sul fondo una paletta piatta per evitare che si attaccasse. Poco prima dell'ebollizione cominciarono a vedersi i primi fiocchi di ricotta salire a galla. ''Hey scemo !''Disse Assunta rivolgendosi a Lorenzo,''Quando abbiamo finito il lavoro, prendi le pecore e vai al pascolo. Tu mangi quando torni.'' ''Va bene, grazie.'' Le rispose Lorenzo dandole le spalle. Prese la paletta col manico lungo che aveva prima Assunta e cominciò a mescolare ininterrottamente. Quando la superficie del siero si coprì di fiocchi di ricotta e divenne tutto uno strato denso, Lorenzo smise di mescolare. ''Quanto sei brutto !'' Esclamò lei uscendo dalla stanza del lavoro. ''Lasciala perdere,'' disse Amos, l'aiutante della fattoria.''E' una povera stupida. Non darle retta. E' una maiala hahaha.'' si mise a ridere. '' Può dire quello che vuole tanto per me fa lo stesso.''Gli rispose Lorenzo. Amos:''Avresti dovuto sentirla prima che tu venissi qui a mungere. Era nel magazzino del latte, col lattaio che cavalcava come un'indemoniata.'' ''Mi stupirei se tu mi avessi detto il contrario, hahaha.''Gli rispose ridendo Lorenzo. Spensero il fuoco e lasciarono riposare il composto per una decina di minuti. Scolarono la ricotta con due schiumarole e le misero nelle formine lasciandole sgocciolare. ''Il fattore c'ha più corna lui di un' alce !'' Disse ridendo Amos. Lorenzo:''Mmmm chissà che peso! Che cerchio alla testa ! Hahaha.'' Passarono ad una prima salatura del formaggio, strofinando le varie superfici con del sale fino e mettendo tutte le forme su una grata, al fresco. 7
Arrivò l'ora di pranzo.Lorenzo aprì il recinto delle pecore e le fece uscire chiamandole ad una ad una. Si avviò al pascolo con Fulmine, il cane, che teneva di guardia le pecore. Lorenzo era tutto solo accanto alle pecore che brucavano l'erba nei pascoli, sulla collina, dietro la cascina. Aveva dato un nome ad ognuna di loro. C'era Nuvola che era la pecora più anziana, Ofelia, la capretta bianca che si arrampicava sempre dappertutto. Saetta la capretta di Ofelia e Addolorata una pecora chiazzata che quando belava sembrava si lamentasse. Lorenzo si era seduto su un masso coperto di muschio e con un bastone di legno disegnava semicerchi di fronte a se. Era l'inizio della primavera e anche se le giornate erano più tiepide. Nella tasca si era messo un pezzo di pane e del formaggio e appesa al fianco aveva una borraccia d'acqua per bere. Una rana gracidava dietro un cespuglio. Fulmine si avvicinò ad annusarla. '' Fulmine ! Lasciala stare. Non prendertela con i più piccoli di te.'' Lo chiamò Lorenzo. Si avvicinò a guardarla, la prese in mano.'' Ciao principessa ! Ti manca uno stagno eh?!'' Le disse. '' Se ti bacio mi fai diventare un rospetto, così posso saltellare per le colline quanto mi pare?'' Lorenzo le accarezzò sulla testa e la rimise per terra dietro al cespuglio. ''Hey Ofelia,''chiamò la capretta,''scendi da li che potresti cadere. Ostinata di una capra !'' Fulmine si avvicinò ad Ofelia che si era arrampicata su di un cumulo di pietre pericolanti. La capretta guardò il cane che le abbaiava e si rimise a brucare l'erba sul cumulo. ''Scendi ti ho detto! Se cadi Fulvio mi spara nelle cosce. Scendi !'' Le disse ad alta voce. Il cane salì sul cumulo e si mise ad abbaiarle contro. ''Vieni qui tu piccolina,''disse rivolto a bianchina, una pecorella tutta bianca, ancora molto giovane.''Come sei morbida,''le disse accarezzandole il manto con una mano. Lorenzo stacco un filo d'erba e se lo mise in bocca. Il sole cominciava a riscaldare. Si passò una mano tra le ciocche dei capelli,''mi ci vorrebbe un bel bagno caldo,''pensò,'' ma figuriamoci se la signora ''Assurda'' me lo permetterebbe. Gli potrei attaccare chissa quale infezione.....eh! Non sono mica uno dei due angeli caduti di faccia dei suoi figli !'' Ogni volta che Lorenzo era da solo e pensava a lei, invece di chiamarla Assunta la chiamava Assurda, per via di tutte le assurdità che diceva.
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Nicola e Valerio, i due figli del fattore, Si erano appena svegliati. Erano rientrati a casa verso le 3:00 di mattina. ''Il pranzo è quasi pronto. Scendete a mangiare !'' Urlò la madre dalla cucina. Il più piccolo dei due, Valerio tirò una scorreggia appena finì di parlare la madre. ''Maiale !'' Le urlò dietro Assunta. ''Scusate se sen porco ma fa bene al mio corpo,'' le rispose Valerio ironicamente. Nicola:n''Che puzza, ma che cazzo hai mangiato ! Topi morti e uova marce?'' Valerio: ''E' la combustione tra l'aria della tua bocca che mi tocca respirare e i tuoi pensieri !'' Gli rispose. Assunta: ''Smettetela voi due. State sempre a beccarvi. Venite a mangiare piuttosto.'' ''Tulipano è già uscito con le pecore?'' Chiese Nicola, riferendosi a Lorenzo. ''Si, è già andato.Quel ragazzo non lo sopporto. Quando lo guardo in faccia mi viene di cavargli quegli occhi dolci come una mammoletta. ''Disse acida. ''L'altro giorno l'ho sentito pregare dietro la cascina. Che ti preghi? Gli ho urlato dietro. Tanto Dio non gli ascolta gli scemi come te. Lui non si è nemmeno girato. Ha continuato facendo finta di non avermi neanche sentita. Oggi l'ho mandato al pascolo senza pranzo, hahaha, Si torcerà a terra dalla fame.'' Disse risentita. Valerio: ''Io non prego mai. A che serve? Tanto sono tutte stronzate. Dio non esiste.'' Disse con aria indifferente. Nicola: ''Digli a Tulipano se può metterci una buona parola e farmi mandare una bella mazzetta di foglietti da cinquecento euro ciascuno e magari una porca vogliosa con due belle tette.''Disse rivolto alla madre. Valerio: ''Che te ne faresti della porca vogliosa con quel fagiolino che ti ritrovi.'' Gli chiese sfottendolo. Nicola: ''Non siamo tutti culobucato come te fiorellino !'' Valerio: ''CULOBUCATO A CHIIII ?'' Urlò Valerio prendendo il piatto e spaccandoglielo in testa. Si presero a pugni in faccia intorno alla tavola, mentre Assunta mangiava tranquilla.''Quando avete finito, toglietevi dalle scatole o vi infilo la testa nel forno a tutti e due.'' Disse lei fredda e indifferente. 9
Verso le 14:00 ritornò Fulvio a casa. Entrò come una botta di vento spalancando la porta e lasciandola aperta dietro di se. '' Togliti quella merda di scarpe sporche di terra! Non vedi che hai attaccate le zolle sotto le suole !'' Gli urlò lei dal divano dove era seduta. Fulvio la guardò interdetto, poi con una grassa risata si avvicinò a lei abbracciandola, sussurrandole all'orecchio, '' E' per questo che ti piaccio di più no!'' Le disse ammiccante. Assunta: ''Vai a mangiare, il tuo piatto e nel forno. E non bere tanto vino che poi cominci a fare il pazzo !'' Le sbraitò dietro. ''Vacca!'' disse tra se il fattore dirigendosi verso la cucina. Lorenzo tornò alla cascina col gregge prima del tramonto. Mise tutte le pecore nel recinto contandole e salutandole ad una ad una. Andò verso la fontana che era dietro al fienile, si lavò col sapone dalla testa ai piedi, si mise i vestiti puliti ed entrò in casa. ''Buona sera signora,'' salutò Assunta.''Posso prendere la mia cena?'' Le chiese gentilmente. ''Puzzi peggio delle pecore che ti porti dietro'' gli rispose lei con un ghigno freddo e lo sguardo fisso su di lui. Lorenzo: ''A me non da fastidio,'' le rispose. Assunta: ''Vatti a prendere la cena e togliti dalla mia vista,'' le sibilò con gli occhi stretti di veleno. Lorenzo: ''La ringrazio signora. Buona sera !'' ''Vatti a tirare la pelle da solo. Scemo!'' Gli rispose lei gialla di rabbia. ''Dopo di lei !'' Le rispose tra sè Lorenzo. Andò sull'ammezzato del fienile e si mise a mangiare la sua cena su di un tavolino di fronte al giaciglio di paglia dove dormiva. Dopo mangiato si guardò lo splendido tramonto dietro le colline. Il rosso e l'arancio del sole morente, colorava le fronde degli alberi. Gli uccelli tornavano al loro nido e il verso di un grillo echeggiava nelle vicinanze del fienile. Lorenzo prese la bicicletta che gli avevano dato per spostarsi e andò a casa di Amos. I due si frequentavano alla fine della giornata. Di solito se ne andavano con le biciclette da qualche parte e si perdevano dietro lunghe conversazioni. Si divertivano a giocare a carte o a raccontarsi le stranezze dei coniugi della fattoria. 10
Verso le 22:00 ritornò al fienile. Salì sull'ammezzato la bicicletta, tirò su la scala e si mise a guardare la luna dalla finestrella. Le galline erano già tutte a dormire nel pollaio. Ogni tanto partiva lo starnazzo delle oche, ma finirono per addormentarsi anche loro. Fulmine lo guardava stando accucciato davanti alla porta ed il verso di un gufo risuonò nella sera limpida. Lorenzo guardava le stelle. Riconosceva tutte le costellazioni. Andromeda posta accanto a Mizar, la doppia Auriga, Camelopardalis, Cassiopea che segnava il momento della mietitura e le sue preferite : Cepheus e Cygnus. Prese la penna e il quaderno dove scriveva le sue poesie e scrisse: ''QUI NEL MIO CUORE, C'E' UN LAGHETTO D'ACQUA CALMA, DOVE LE STELLE LASCIANO CADERE PAROLE D'AMORE. QUI NEL MIO CUORE VOLA SILENZIOSA UNA FARFALLA CHE SI POSA SULLA FALCE DELLA LUNA E MI SORRIDE. HO LASCIATO I RAGGI DI SOLE CHE ILLUMINAVANO I MIEI GIORNI FELICI E MI SONO VESTITO DI PIANTO MA OGNI VOLTA CHE VOGLIO VEDERE LE MIE STELLE MI BASTA TORNARE SUL LAGHETTO QUI NEL MIO CUORE.'' Chiuse il quaderno dalla copertina di carta di sughero marrone e verde e appoggiò la fronte ad un lato della finestra. ''Voi siete le mie uniche amiche, ed io so che da lassù mi ascoltate. Siete come miriadi di pecorelle sparse nella notte e mi portate la luce della vostra anima pura. Ora chiudo il recinto e vado a dormire e voi mi proteggerete tutte insieme. Date un bacio agli angeli a alla mia mamma. Buona notte, fiammelle della sera !'' A mezzanotte arrivò una macchina che prelevò Nicola e Valerio dalla fattoria. L'uomo che era al posto di guida aveva uno sfregio che gli deturpava la guancia destra.'' Sbrigatevi che gli altri ci aspettano !'' disse 11
in tono burbero ai due ragazzi. '' Hei un attimo ! Avete sempre il pepe sul culo ogni volta.'' Rispose Nicola. ''Stasera faremo un po di soldi e ce ne sarà per tutti, hahaha,'' rise lo sfregiato. La macchina si allontanò sparendo nell'oscurità della notte. Lorenzo si fece il segno della croce davanti alla statuetta della madonnina: '' Buona notte Signora del cielo. Fammi sognare di volare tra le stelle e di raccogliere un pò della loro polvere per donartela domani mattina, nella mia preghiera. Amen'' 2 Un giorno Assunta stava cuocendo il pane quando Lucifero, il gatto Soriano color cenere di Fulvio, saltò sul tavolo e buttò per terra il sacchetto con la farina che era rimasta. ''Se t'acchiappo ti metto a friggere nel più nero degli inferni, brutto topo di fogna con le unghie!''Urlò Assunta. ''Hey mi servono le sigarette le mie le ho finite.'' Le disse con un tono arrogante Valerio. ''Hey, si chiama Assunta ! Dato che ti viene l'orticaria a chiamarmi mamma.'' Gli rispose con un'occhiataccia. ''Si va beh, dammi ste sigarette,'' le ripetè Valerio. Assunta: ''Non ne ho più.' Le ho finite anch' io.'' Gli rispose. Valerio: ''Sei proprio ridicola. A quarantacinque anni ti vesti e ti trucchi ancora come una ragazzina!'' La canzonò lui. Assunta: '' E tutto questo perchè non ti ho dato le sigarette?'' Chiese lei ironica. Valerio: '' Si va beh ciao. Parlati addosso da sola.'' Le disse dandole le spalle e andando verso la porta d'uscita. Assunta: ''Se stai andando a comprartele compra anche le mie!'' Gli disse. Valerio: ''Pure! Poi cosa vuoi altro? Che ti tenga il posacenere mentre te le fumi?'' Le rispose sarcastico. Assunta: ''Tieni cinque euro e prendimene un pacchetto.'' Gli porse i soldi. 12
Valerio: ''Allora dammene dieci così compro anche le mie.'' Assunta: ''Perchè tu i soldi non li hai per comprartele?'' Disse con un moto di stizza. Valerio: ''Se vuoi fumare dammi dieci euro, se no vuol dire che ti fumerai la paglia della sangina.'' ''Tieni, Scorfano di fondo !'' Disse dandole dieci euro con una manata violenta sulla mano di lui. Valerio: '' AZZZ , ha parlato Cita.'' Uscì lasciando la porta spalancata. ''Che figlio deficiente !'' Disse tra se Assunta. Fulvio stava entrando in cucina mentre, da fuori, Lorenzo passava col secchio in mano a prendere l'acqua per riempire i contenitori dove bevevano gli animali. ''Voglio che da domani Lorenzo spazzi tutto il piazzale che abbiamo qua fuori.'' Disse lei seccata. ''Non ne avrebbe il tempo,''le rispose Fulvio. Assunta: ''Questo non è un problema mio. Che lo trovi il tempo se no, va a mangiare da un'altra parte.'' Fulvio: '' Se tu pensassi a stare di meno al telefono con quelle quattro sguattere delle tue amiche, magari riusciresti a fare anche quello, no!?'' Le rispose ironicamente. Assunta: ''Mi si rovinano le unghie a stare sempre con la scopa in mano.'' Fulvio: ''A si, preferisci altri manici da quello che sappiamo.'' Le disse ruvido come un colpo di carta vetrata. Assunta: '' Se tu bevessi di meno magari spareresti meno stronzate. Che ne dici?'' Lo canzonò lei. Fulvio: ''Dico che te ne puoi andare affanc...'' ''Ecco bravo! Fammi strada dato che è un percorso che conosci bene !'' Gli rispose lei con un ghigno. ''Me l'hai preparata la mia colazione che sto morendo di fame?'' Gli chiese lui. Assunta: '' Ecco a cosa servono per voi le donne. A lavarvi i vestiti, a cucinarvi, a pulire la casa e a preparare la colazione. Poi se c'è tempo e se rimane qualche briciolo di energia, magaaaaaaaaari si può anche avere un po' di sano sesso no?! Mah non parliamo di coccole e tenerezza, perchè se no entriamo in un campo mai arato. Basta vedere i tuoi figli, che frullato 13
di gentilezze e buone maniere che ne sono usciti.'' Sbottò. ''Se, seee,'' le rispose lui. La colazione di Fulvio consisteva in una tazza di pane raffermo tagliato a dadi, inzuppato abbondantemente col caffè amaro, zucchero semolato, ricotta col siero, con una punta di caffè in polvere. Fulvio ne andava matto. Assunta: ''Non ho mai capito come fai a mangiare quella sciolta di cane !'' Disse tra i denti. '' Ma come sono rilassati !'' Pensò Lorenzo vedendoli da fuori casa, mentre passava e prendere la scopa sangina per spazzare fuori. Aveva ascoltato la conversazione dei due dal porcilaio, tanto che questi urlavano tra di loro. Cominciò a spazzare tutte le foglie e la terra dai mattoni del piazzale davanti a casa fino ai gradini al di sotto. ''Anche il percorso che porta fin qui,'' sibilò lei appoggiata alla finestra. ''Va bene signora,'' le rispose dandole le spalle. '' Chi credi di essere, principino delle mie piattole!'' disse lei tra se con un ghigno. Assunta era una donna piacente, capelli neri lunghi e occhi verdi. Aveva un seno prosperoso ed un corpo ancora appetitoso. Si era sposata con Fulvio a diciannove anni e insieme erano andati a vivere in quella cascina dove vivevano tutt'ora. Fulvio era un uomo molto rustico, un gran bevitore e amava le donne. Tutte. Oltre alla relazione con Assunta, aveva altre relazioni in giro con altre donne non proprio tutte casa e chiesa.Quando nacquero i suoi figli, lui le promise che non avrebbe avuto più nessuna donna a parte lei, ma di nascosto continuava le sue relazioni sessuali con le altre. Un giorno, Fulvio fece un incidente col trattore e dovette subire una grave operazione che lo rese impotente. Lei, dopo dieci anni di tradimenti da parte di lui, decise di restituirli il favore, facendosi sbattere da chiunque le fosse piaciuto. Questo Fulvio lo sapeva benissimo, ma faceva finta di non vedere niente per non dargliela vinta. Quando successe l'incidente a casa di Lorenzo, Fulvio ebbe pietà di lui e lo portò a casa sua. Assunta vide la differenza tra la maleducazione dei suoi due ragazzi e la gentilezza e l'educazione di Lorenzo e non volle averlo in casa perchè le faceva rabbia. Lo odiò dal primo momento che lo vide e continuò a odiarlo fino ad ora. 14
Lorenzo ci stette male i primi due anni di convivenza, poi fece il callo e non le badava più. Quasi non la vedeva per casa tanto non pensava minimamente a lei. Di questo lei ne era cosciente e attirava l'attenzione di lui facendogli delle cattiverie. ''Signora ho finito di pulire. Posso andare a riordinare le stalle?'' Le chiese mettendosi una mano davanti agli occhi per proteggersi dal sole. Assunta: ''Che c'è, hai bisogno di un binocolo per vedermi?'' Gli disse prendendolo in giro. ''Non cè molto da vedere!'' Le rispose ridendo. ''Cos'hai detto?'' Sbottò lei con gli occhi spalancati. ''Ha detto che sta andando alle stalle. Entra e chiudi la finestra.'' Le rispose Fulvio dall'interno. Assunta: ''Ma lo hai sentito come mi ha risposto?'' Disse basita. '' No, però ho sentito te!'' Le rispose lui. Assunta: '' Quel ragazzo e simpatico e gentile come una spina in mezzo alle chiappe.'' Fulvio: ''Lavora sodo e non si lamenta mai di niente. Perchè non lo lasci in pace?'' Assunta: ''E' lui che mi insulta !'' Disse contrariata. Fulvio: ''Voi donne siete delle serpi avvelenate. Le uniche cose che sapete fare sono stuzzicare e fare le corna, li siete delle professioniste. Vado a lavorare !'' Le rispose lasciandosela alle spalle. ''Quando nella coppia manca la materia prima ! Una ragazza deve pur darsi da fare, per avere ciò che il marito DOVREBBE DARLEEE !'' Gli urlò dietro lei. Lorenzo metteva a posto la paglia nel secondo fienile. Aveva sistemato le balle di fieno una sopra l'altra, addosso al muro sulla destra della porta. Col forcone spostava la paglia sul suolo e la ammucchiava nei dintorni delle mucche dopo aver tolto la paglia vecchia, sporca di letame. A Lorenzo piacevano molto le mucche. La loro aria materna, l'espressione paziente e umile. Gli piacevano anche gli asini con i loro occhi mansueti e rassegnati. ''Ciao Isabella !'' disse rivolto ad una delle due mucche da latte.''Come va oggi eh?'' La mucca emise un muggito lungo, che sembrava una risata. Lorenzo: ''Oggi avete dato tanto buon latte, sono fiero di te e di Drusilla,'' 15
disse rivolto all'altra mucca. Mentre stava pulendo gli arnesi nel fienile, vide passare Assunta dalla finestrella. ''Mi dispiace tanto per lei,''disse a Drusilla,''non è cattiva, purtroppo è una donna infelice, con due figli come quelli e un marito che non se la fila !'' Quando ebbe finito con le mucche andò nei campi a dare una mano a Fulvio. ''Non pensare a quello che ti dice Assunta,'' gli disse Fulvio nel suo modo gentile, ma sempre col suo tono rustico che lo contraddistingueva.'' Lei e gelosa di te. Il perchè non saprei dirtelo, ma le donne sono fatte così. Nella loro testa il mondo gira al contrario e c'è sempre una ragione, incomprensibile a noi uomini, che le fanno diventare gelose.'' '' Si è rotta una cinghia dell'aratro. Vado a cambiarla io.'' Gli rispose Lorenzo. Fulvio: ''Si vai pure.''Gli rispose, capendo che a Lorenzo non gliene fregava niente dell'argomento. 3 Maggio era già arrivato. Gli alberi da frutto si erano coperti di fiori. I prati sembravano un giardino di colori e i passeri sfrecciavano allegri nel cielo. Lorenzo guardava le nuvole bianche che vagavano nell'azzurro come degli enormi dirigibili sospinti dal vento. Gli piaceva dare una forma ad ognuna di loro. Una gli sembrava una sfinge, un altra una nave e una gli sembrò un'isola con una palma al centro. Da bambino le nuvole lo affascinavano molto. Stava ore ed ore ad osservarle. Riusciva a vedere fantastici paesaggi colorati dal tramonto. Si era disteso sull'erba con un quadrifoglio in bocca e le gambe incrociate. Ofelia gli girava intorno curiosa. Ogni tanto con la bocca prendeva un lembo dei suoi calzoni e lo tirava per attirare la sua attenzione. A Lorenzo piaceva molto il contatto con la terra, il profumo dell'erba, l'odore del muschio bagnato. Cerano momenti che si perdeva dietro ai suoi pensieri e allora inseguiva il volo di una rondine che gli solcava l'immaginazione, oppure si soffermava a guardare le api e le farfalle che giocavano con i fiori. Una lucertola verde salì sul suo braccio sinistro. ''E tu cosa ci fai qui?'' le disse guardandola nei piccoli occhi neri.''Ti piace 16
il sole eh?!'' La lucertola lo osservava immobile. Sembrava non avere paura di lui. Si limitava a guardarlo e Lorenzo si chiedeva quali pensieri, quali interrogativi passassero dentro quella testolina verde. Con un salto sgusciò su una pietra e si mise anche lei a prendere il sole. A Lorenzo piaceva ascoltare il silenzio. Sua nonna gli diceva sempre: '' Nel silenzio e racchiuso il mistero dell'universo. Se lo sai ascoltare, riuscirai a comprendere ciò che non è dato da sapere agli uomini comuni.'' Aveva amato molto sua nonna. Per lui era stata un sostituto della mamma visto che lei non si interessava molto al figlio. La nonna Amelia gli preparava i fichi secchi con le mandorle, cannella e alloro per l'inverno. Quando lui aveva la febbre e il raffreddore, Amelia gli faceva il decotto di malva, bucce d'arancia, fichi secchi, camomilla e miele. La sera la nonna gli raccontava le favole. A lui piaceva molto la favola di Serafino il bambino che era nato sotto un ciclamino. Serafino era nato da un raggio di sole con una farfalla. Quando nacque, cadde dal bozzolo e andò a finire sotto un ciclamino rosa. Passò da li un'ape con due secchielli pieni di nettare, e vedendolo solo sotto i petali del fiore, gli si vì avvicinò e gli diede da mangiare un po' di nettare. Dopo mangiato, Serafino ebbe sete, allora una libellula gli portò delle gocce di rugiada che erano ferme su una rosa e glieli porse sulle labbra. Serafino cominciò a crescere piano piano. La cicala gli donò un piffero, e la libellula gli regalò una borsa di sacco, dove Serafino ci metteva i suoi giochi. Una notte si svegliò prima del solito e aprendo gli occhi vide la luna e le stelle. Andò dalla coccinella e le chiese chi erano. '' Quella e la luna, la madre di tutti noi animali e delle piante e quelle sono le stelle le nostre sorelle dalle ali d'argento.'' Gli rispose la coccinella. Serafino: ''E perchè stanno lassù tutte sole?'' Chiese. ''Perchè loro possono volare e spostarsi a grandi distanze.'' Gli rispose la coccinella. Serafino: '' Ma così stanno sempre da sole!'' Esclamò. Coccinella: ''Sono talmente tante che si fanno compagnia tra di loro e la fanno anche a noi quando si specchiano nello stagno.'' Serafino se ne andò pensieroso verso il bosco dei ciclamici rosa. Una notte prese due foglie grandi e se le legò dietro la schiena con una corda poi ci infilò le braccia dentro due buchi che fece al centro delle foglie e cominciò ad agitarle come se fossero delle ali. Si alzò in volo, e quanto 17
più agitava più volava, fino ad arrivare vicino alle stelle. Allora si aggrappò ad un raggio di una di loro e raccolse tanta polvere di stelle nella sua borsa di sacco. Quando ebbe finito, le ringraziò tutte e piano piano ridiscese sulla terra vicino al bosco dei ciclamini rosa. Si sedette sul muschio vicino allo stagno. Aprì la sua borsa e fece uscire un pò di polvere di stelle che si sparse intorno, sugli alberi e sui fiori illuminando tutto il paesaggio come fosse una festa. Si mise a suonare il piffero e tutti gli animali dei dintorni si svegliarono ed uscirono dalle loro tane. I leprotti saltellavano e le farfalle svolazzavano in mezzo ai granelli luminosi che volavano leggeri come fiocchi di neve. Anche la coccinella si svegliò e uscendo da dietro il suo petalo di fiordaliso restò a bocca aperta davanti a quella festa. '' Serafino Serafino, tra le stelle sei volato, La pioggia di luce hai fatto scendere dalle stelle, e il nostro bosco e un mondo fatato.'' Cantò la cicala. Questa favola se la faceva raccontare spesso, perchè dentro c'erano le stelle e lui immaginava di volare come Serafino e rubare un po' di polvere fatata per regalarla al mondo. Sentì dei passi che gli venivano incontro. Si mise a sedere e vide Amos che saliva il sentiero di pietre sulla collina dove stava lui. ''Ciao Lenticchia,''lo salutò Amos. Lorenzo: ''Ciao Amos, come stai?'' Gli chiese. Amos: ''Um seeee …....bene, e tu?'' ''Meravigliosamente'' rispose Lorenzo.'' Oggi è una giornata fantastica ed il sole è caldo.'' Amos: ''Che ne dici se domenica prendiamo il motorino e ce ne andiamo al mare?'' Gli chiese. Lorenzo: ''Al mare ?'' Gli chiese a sua volta con gli occhi pieni di felicità,''Si sarebbe bello !'' Amos si venne a stendere di fianco a Lorenzo,''Come va con quei lupi dell'inferno?'' Riferendosi alla famiglia dei fattori che ospitavano Lorenzo. ''Soliti,'' rispose Lorenzo.''Sono fatti così. Quello è il loro ambiente ! E' come voler trasformare un coccodrillo in un coniglietto. Ci vorrebbe un miracolo e noi i miracoli non sappiamo farli.'' Amos: '' E Assurda cosa combina?'' 18
Lorenzo: ''Assurdità! Cosa dovrebbe combinare ! Ha proprio la testa adatta per confezionarsele su misura. Nessuno e bravo come lei.'' Gli rispose ridendo con gli occhi chiusi per il sole forte. Amos: ''Se posso darti un consiglio. Stai lontano da Valerio e Nicola. Sembra stiano in un brutto giro di malviventi. La notte vanno a rubare nelle cascine e con le macchine si spostano in altri paesi e rubano nei negozi e nelle case.'' Lorenzo: ''Ah ecco! Mi sembrava che il tipo che è venuto a prenderli il mese scorso, non fosse proprio un prete.'' Gli rispose ironicamente. Amos: ''Chi era, lo hai visto?'' Gli chiese mettendosi a sedere sull'erba. Lorenzo: ''Uno con una macchina bianca con sulle fiancate delle fiamme nere e una striscia nera che partiva dalla cappotta e finiva sul cofano. Beh non sono intelligenti se vanno in giro con una macchina del genere e fanno anche furti. Non mi sembra che quella macchina li faccia passare inosservati!'' Amos si mise a ridere di gusto tenendosi la pancia con le mani.'' Vorresti per caso che anche la macchina non abbia il marchio del tamarro ?'' Disse canzonandoli.'' Vuoi riconoscere uno della loro razza? Ascoltano le canzoni napoletane a tutto volume, parlano velocissimi, quando camminano con le macchine corrono come dannati e soprattutto vanno e vengono da casa in continuazione. Hahahaha...... anche la macchina deve rispecchiare la loro anima Kistch. Ah dimenticavo, quando camminano sembrano che abbiano il pannolone taglia maxi, opppure la sedia rimasta attaccata al culo ….. hahaha. Camminano a gambe larghe come se avessero una trave nel ….....lasciamo stare va !'' Lorenzo: ''Dall'identikit credo di poterle dare delle indicazioni, signorrrr ?'' Rispose Lorenzo in tono scherzoso. ''Tu sei diverso,''gli disse Amos voltandosi di fronte a Lorenzo. ''Sei gentile, onesto. Mi piace stare con te perchè non hai niente da nascondere e non sei uno spaccone.'' Si alzò in piedi saltellando,''spacco de qua...spacco de là....di me tutti hanno paura , il perchè non si saaaaaaa !'' canticchiò ridendo. ''Quando mi metto a dormire sull'ammezzato del fienile, mi tiro sempre su la scala.'' Disse Lorenzo. Amos: ''Hanno cercato di farti del male di notte?'' Gli chiese.'' Se lo hanno fatto devi dirmelo, così li sistemo io quelle due alici senza spine.'' Gli 19
rispose serio. Lorenzo: ''No non hanno fatto niente, ma cerco di prevenire. L'ammezzato e molto alto e senza la scala e difficile raggiungerlo.'' Amos: ''Ma non fa freddo li dentro?'' Lorenzo: ''D'inverno sicuramente. La paglia riscalda molto lo sai? E anche il letame hahaha,'' rise. Amos: ''Perchè non vieni a dormire da me qualche volta.'' Lorenzo: ''Perchè poi la matina dovrei farmi mezz'ora di bicicletta per tornare alla cascina.'' Gli rispose. Amos: ''Allora qualche sera vengo io da te e dormiamo insieme!'' ''Come vuoi !'' Gli rispose Lorenzo,''tanto di paglia ce ne per tutti hahaha!'' rise. Nel tardo pomeriggio, ridiscesero la colline insieme al gregge e si divisero sulla biforcazione della strada. Lorenzo imboccò la destra con il suo gregge e Amos la sinistra, per la stada che conduceva a casa sua. La sera era dolce e l'aria carezzevole. Da lontano arrivava un profumo di rose e gelsomini. Una civetta si mise sul ramo di un albero e cominciò a emettere i suoi versi. Lorenzo col dito puntato in alto univa le stelle in un disegno immaginario. I suoi occhi lucchicavano di felicità. Il cielo notturno aveva il potere di riempirgli l'anima di tenerezza e dolcezza. Si sedette sul bordo del davanzale della finestrella e vide una stella cadente che solcava il cielo per intero. Andò a prendere il suo quaderno delle poesie e scrisse: ''NON CI SONO RAGIONI PER CUI L'ANIMA NON POSSA TROVARE LA FELICITA' BASTA CERCARLA NELLE PICCOLE COSE CHE CIRCONDANO I NOSTRI SOGNI PER VEDERE IL SORRISO DELLA LUNA, O UNA STELLA CHE CADE ILLUMINANDO IL CIELO. Si distese sul fieno e si tirò su una coperta vecchia più, leggera che Fulvio gli aveva dato la mattina. Fece l'occhiolino alla madonnina che lo proteggeva dalla sua nicchia. '' Buona notte stella del paradiso. Fammi volare come il piccolo 20
Serafino.'' Quella notte sognò di arrampicarsi sui rami di un edera che raggiungeva la luna. Si trovò immerso nella luce bianca dell'astro e camminava su un fiume di latte che scorreva sotto i suoi piedi. Un coniglietto bianco con gli occhi blu gli salto davanti cantando: ''CON UN BALZO SULLA LUNA TI RAGGIUNGE LA FORTUNA SEGUI LA SCIA CHE PORTA AL CASTELLO PRENDI LA CHIAVE NELLA FONTANA DI CRISTALLO. FAI DUE GIRI SULLA SINISTRA ED IL GIARDINO DELLE STELLE TI APPARE COME UNA GIOSTRA. UN...DUE....TRE..... SALTA NEL SOGNO CHE T'INVOLA UN....DUE …..TRE..... CONTA LE STELLE TUTTE IN FILA.'' 4 ''Muoviti,'' disse lo sfregiato a Valerio.''Non possiamo permetterci di perdere tempo.'' Era notte fonda. I tre uomini erano nella tenuta di un paese vicino. I proprietari stavano dormendo nelle stanze superiori. Nicola e lo sfregiato aspettavano Valerio che si arrampicasse su un albero che calava i rami sul terrazzino della tenuta, dove c'era una finestra aperta. ''E se si svegliano?'' Disse a bassa voce Valerio. Lo sfergiato: ''Chiudi quella fogna e sali più in alto.'' Valerio si staccò dal tronco centrale e si spostò sui rami che si appoggiavano alla balaustra del terrazzino. Silenzioso come un gatto, raggiunse la finestra, si calò nella casa e al buio scese le scale che portavano nella sala sottostante. Aprì la porta e fece entrare i due compari. Cercarono la cassaforte dietro i quadri, dietro i mobili, ma non trovarono 21
niente. Aprirono una porta che portava in cantina scesero i gradini della scala con la luce di una pila. Cercarono in giro e dietro dei sacchi di pellet trovarono la cassaforte. Nicola era molto pratico ad aprirle. Dopo vari tentativi beccò la combinazione giusta. Presero tutti i soldi e i gioielli e li misero in una borsa. Risalirono le scale per uscire dalla cantina, ma in quel momento si accese una luce nel pianerottolo che portava nelle stanze superiori. Si tirarono indietro socchiudendo la porta della cantina. Un uomo avanzò nella penombra, scese le scale e si diresse in cucina. Si versò un bicchiere d'acqua, lo bevve e stava per risalire quando qualcosa cadde giù in cantina. L'uomo si fermò davanti alla porta socchiusa. I tre si nascosero in una rientranza del muro dietro la porta. L'uomo accese la luce della cantina, aprì la porta e la oltrepassò. Nicola con un pezzo di legno lungo come un avambraccio lo colpì sulla testa e l'uomo cadde stordito sul pianerottolo della scala. I tre scapparono dalla tenuta con la refurtiva, dirigendosi verso la macchina parcheggiata dietro il muretto di cinta, poco lontano dalla casa. Misero in moto e si dileguarono nella notte. ''Sei un deficiente,''disse lo sfregiato a Nicola,'' Perchè lo hai colpito? Scemo ! Vuoi farci ammazzare?'' Urlò in macchina mentre scappavano. ''Ma quello ci era davanti di spalle?'' Protestò Nicola. ''Quando avrebbe visto che non c'era niente se ne sarebbe andato senza sospettare niente, scemooo !'' Gli urlò lo sfregiato. Nicola: '' E se si fosse voltato e ci avesse scovati dietro la porta?''Gli chiese. Lo sfregiato: ''Allora lo avremmo colpito. Ma non prima. Tu così, ci fai scoprire !'' gli urlò rabbioso. ''Gli altri ci stanno aspettando al capannone. Sbrighiamoci.'' Disse Valerio che intanto guidava la macchina. Erano le 3:00 del mattino quando Lorenzo si svegliò per il rumore di una macchina che si avvicinava sul selciato. Sapeva che sicuramente erano i due fratelli Piripèra come li chiamava lui. Li vide scendere dalla macchina con in mano una mazzetta di banconote ciascuno mentre la macchina ripartiva con una sgommata. ''A lunedì,''disse lo sfregiato. Cominciò a piovere. Le gocce cadevano rade per poi venir giù a catenelle. La pioggia tamburellava sul tetto di legno e tegole del fienile e Lorenzo 22
l'ascoltava come una ninna nanna. Ora aveva ventiquattro anni, ma amava emozionarsi come un bambino davanti alla luna, alle stelle e alla natura. Il giorno dopo era domenica e non si lavorava. Amos venne con la macchina di suo padre e suonò sotto al fienile. ''SSSSHHH non fare casino che dormono !'' Disse Lorenzo affacciandosi dalla finestrella. Si mise i pantaloni, la maglietta e prese un asciugamano grande da dentro una cassapanca vecchia che aveva sull'ammezzato dove teneva i suoi vestiti nel cellophane. Scese la scala di legno e si avvicinò alla macchina di Amos. ''Azzo abbiamo fatto i soldi oggi !'' Disse ad Amos che lo aspettava al volante. Amos: ''Seeee, questa e di mio padre ! Se gliela rigo mi appende ai tralicci della corrente e mi fa provare l'alto voltaggio con la lingua!'' Lorenzo: ''MMMM dev'essere un'emozione, indimenticabile!''Gli rispose con ironia.''Comunque buon giorno Zaffiro!'' Lo salutò. Lorenzo chiamava Amos zaffiro per via dei suoi occhi azzurrissimi. ''Buon giorno ! Dai salta su che andiamo a fare colazione.'' Gli rispose Amos. Lorenzo: ''Aspetta dove andiamo? Io non ho soldi! Non mi hanno ancora dato la paga.''Disse. Amos: '' No preoccùpa padrone, io gombràto cornètte …..si si cornètte alla crema e cioggolàdo !'' Rispose ,imitando il modo di parlare di un africano. ''Dove andiamo a fare il bagno?'' Chiese lorenzo. Amos: ''In una spiaggia deserta, lontano dai buzzurri e dalle oche. Io, te il sole e il mare !'' Lorenzo: ''E i cornettè hahaha !'' rise. Arrivarono davanti ad una scogliera alta che impediva il passaggio con la macchina. La lasciarono parcheggiata sotto i pini e si avviarono per il sentiero che scendeva verso la spiaggia. C'erano delle conchiglie sulla sabbia e dei cespugli di vegetazione con dei graziosi fiorellini gialli. Stesero le stouie che aveva portato Amos e sopra le stuoie i loro asciugamani. Si tolsero i vestiti rimanendo nudi sotto il sole. Si sedettero sugli asciugamani e mangiarono qualche cornetto. ''Ti voglio bene,'' disse Amos a Lorenzo mentre mangiavano. ''Anch'io,''gli rispose Lorenzo. 23
Amos: ''La notte prima di dormire prego sempre affinchè non ti succeda niente. Con quei malati mentali non si sa mai.'' Lorenzo: ''Anche tu preghi? Io prego sempre la mia madonnina che ho di fronte alla paglia dove dormo.'' Amos: ''Io sono buddista. Mi siedo di fronte ad una candela accesa e recito OM MANI PADME HUM per tutti i grani che ci sono nel mio mala.'' Lorenzo: ''Cos'è il mala?'' Gli chiese. Amos:''E' un rosario buddista con cent'otto grani. Me lo hanno portato dal tibet.'' Lorenzo: ''Sono contento che anche tu, a tuo modo preghi. Le preghiere sono importanti, la fede in qualcosa è importante. Ti aiuta a comprendere meglio la vita e a essere meno egoista con gli altri.'' Amos: ''Ora pregare è visto come una debolezza, una stoltezza. La gente preferisce bestemmiare e comportarsi come le iene per sentirsi svegli e più avanti degli altri. Tu pensa che schifo !'' Lorenzo: '' Contenti loro, contenti tutti no!?'' Gli rispose alzando le spalle.''Cosa vuol dire quella frase che ripeti nella tua preghiera?'' Amos: ''La frase del mantra ha molti significati. Ad esempio significa: ' O gioiello sul fiore di loto, concedimi tutte le realizzazioni.' Oppure ' Concedimi l'ispirazione per ottenere l'unione di metodo e saggezza.' Ma ha anche altri significati. Ogni sillaba ha dei significati e delle corrispondenze: − Om chiude la porta delle rinascite nel mondo dei deva − MA quella degli asura − NI quella degli uomini − PAD quella degli animali − ME quella dei preta − Hum quella degli inferni ; Oppure ogni sillaba è ritenuta avere un effetto purificatore proprio : − Om purifica i veli del corpo − MA quelli della parola − NI quelli della mente − PAD quelli delle emozioni conflittuali − ME quelli dei condizionamenti latenti − Hum il velo che ricopre la conoscenza ; 24
Oppure ogni sillaba è in sé una preghiera : − OM è la preghiera rivolta al corpo dei buddha − MA quella rivolta alla parola dei buddha − NI quella rivolta alla mente dei buddha − PAD quella rivolta alle qualità dei buddha − ME quella rivolta all’attività dei buddha − Hum riunisce la grazia di corpo, parola, mente, qualità ed attività dei buddha ; O anche le 6 sillabe corrispondono alle 6 põramitõ : − Om alla generosità − MA all’etica − NI alla pazienza − PAD alla diligenza − ME alla concentrazione − Hum alla conoscenza ; infine, le 6 sillabe sono collegate alle 6 saggezze : − Om = saggezza dell’equanimità − MA = saggezza attiva, operosa − NI = saggezza originata da se stessa − PAD = saggezza del dharmadhõtu − ME = saggezza discriminante − Hum = simile allo specchio. Vedi com'è complessa e semplice la preghiera buddista?'' Gli disse con un sorriso. Lorenzo: ''E' affascinante.''Gli rispose. Stettero distesi al sole per un po' di tempo, ascoltando solo il rumore dell'acqua che lambiva la sabbia e il cinguettio degli uccelli che volavano sopra gli alberi, dietro di loro. Amos era un rgazzo di venticinque anni. Aveva i capelli castano scuro il pizzetto curato e dei favolosi occhi azzurri. Il suo corpo era modellato dai lavori nei campi nella cascina di suo padre. Aveva studiato ragioneria,ma anche lui, come Lorenzo, preferiva lavorare nella sua cascina pur di non stare tutto il giorno in città, gomito a gomito con gente piena di se e tremendamente arrogante. Il sole riscaldava la pelle dei loro corpi coperta da una leggera peluria virile sulle gambe e sul torace, diradandosi scendendo verso l'addome per 25
poi infoltirsi nella zona del pube. Amos aveva gli occhi chiusi disteso sul dorso. Si passò una mano sui genitali infilando le dita nei peli folti.'' Andiamo a fare un bagno?'' Chiese a Lorenzo. ''Ok, ma non mi schizzare!'' Gli rispose. Si alzarono dalle stuoie e si diressero verso l'acqua che scintillava sotto la luce intensa del sole. Misero i piedi nell'acqua un po' freddina ma limpida come uno specchio. ''UMMMM non è proprio di scaldino! Mah …... entriamo piano piano va!'' Disse Lorenzo. Amos prese la rincorsa ed entrò velocemente schizzando mentre correva in acqua. ''AAAAAAAAAAAAAAARGH !'' Urlo quando fu quasi completamente sommerso. Lorenzo: ''Ma, noooooooo !'' Si lamentò,'' E' fredda, volevo entrare piano !'' Amos gli si fece più vicino guardandolo con un'espressione che lasciava intendere che stava per scoppiare a ridere per quello che era in procinto di fare. Lorenzo: ''Non mi SCHIZZAREEEEE !'' Urlo dandogli le spalle per tornarsene indietro. Amos: ''Ma che bel culetto asciuttooooo, hahaha'' disse aprendo le braccia e usandole come spinta nell'acqua per schizzarlo. Un'onda si alzò dalla superficie e si abbattè su tutto il corpo di Lorenzo che si contrasse su se stesso per ripararsi.'' LO SAPEVOOOOOO!'' urlo. Si tuffo in acqua, tanto ormai era tutto bagnato. Raggiunse Amos che intanto si era allontanato verso il largo. Lorenzo: ''Mi piace molto il mare quando e così calmo come ora. Mi da la sensazione di pace e tranquillità.'' Disse riversando la testa all'indietro nell'acqua e chiudendo gli occhi. Amos era nella posizione del morto e si faceva dondolare dall'acqua.''Io amo il mare. Il mio sogno è quello di avere una casa sul mare, la mattina alzarmi e buttarmi in acqua. Pensa la sera, come sarebbe bello uscire nel giardino e buttarsi direttamente in uno specchio calmo e tranquillo illuminato dalla luna.'' Lorenzo: ''UAU siamo romantici ! E se poi ad un tratto, non fosse così tranquillo e te lo ritrovassi sul letto a spupazzarti tra le ondecon una tempesta?'' Lo provocò. Amos: ''Si lo so, ma a me piace troppo. Senti come ti parla!'' Gli 26
disse,''ascoltalo. E' dolce, tenero come un amante. Ti rilassa come se ti cullasse tra le sue braccia.'' Disse sospirando. Lorenzo: '' Si è vero.'' Gli rispose lasciandosi cullare a sua volta.''A me fa lo stesso effetto quando la sera guardo il cielo pieno di stelle. Mi piacciono molto.'' ''Anche a me.''Rispose Lorenzo. Rimasero a farsi cullare ancora un po'. Amos fece una capriola all'indietro immergendosi in apnea. Nuotò verso il fondo, si introdusse in una cavità sott'acqua e quando riemerse aveva in mano un pezzo grande di corallo rosso.''Questo te lo regalo,'' disse porgendoglielo. Lorenzo si raddrizzò per vedere meglio alzando la testa dalla superficie dell'acqua.''Che bello !'' Esclamò,''dove lo hai trovato?'' Amos: ''Sotto di te! Proprio nella tua direzione.''Gli rispose. Amos si avvicinò alla riva e posò il corallo sulla sabbia in modo che l'acqua non lo riportasse dentro. Tornò in acqua e raggiunse Lorenzo nuotandogli intorno. Lorenzo: ''COSA STAI FACENDOOOO !'' Gli disse con gli occhi spalancati e l'espressione guardinga di chi sa che sta per succedere qualcosa. Amos lo guardava con l'espressione divertita di prima quando lo aveva schizzato. Lorenzo: ''Uey facce e mmmmerrrrrda alluntànate !''Gli disse scherzando. Amos si avvicinò sempre più con quel suo sorriso furbo da gattone che preannunciava qualcosa ai suoi danni. All'improvviso tirò fuori dall'acqua le braccia e con le mani prese la testa di Lorenzo spingendola sotto più in fondo che potè. Mentre Lorenzo scendeva giù, con le mani afferrò le gambe di Amos, che intanto rideva in superficie, e le tirò giù forte, trascinandolo con sè verso il fondo. Si ritrovarono a nuotate sott'acqua tutti e due sfiorando le alghe che come lunghi capelli verdi, si muovevano sensuali in mezzo ai loro corpi nudi. Uscirono dall'acqua e si distesero sul bagnasciuga, lasciandosi accarezzare dal sole e da quel movimento fresco del mare. '' Tu pensi mai all'amore?'' Gli chiese Amos. Lorenzo: ''Non ne ho il tempo. Ho sempre qualcosa da fare e la sera quando finisco crollo dalla stanchezza.'' Gli rispose. Amos: ''Io si, ogni tanto ci penso. Mi piacerebbe amare una ragazza che 27
sia dolce e affettuosa con me. Non mi piacciono come si comportano le ragazze di oggi. Sono troppo aggressive. Pensano di essere interessanti comportandosi come un uomo, ma non è così. Hanno perso l'elemento che le distingueva da noi uomini, 'La femminilità.' Si truccano come fossero dei diavoli con tutti quei colori pesanti sulla faccia. Non capiscono perchè lo facciano.'' Lorenzo: ''Perchè sono troppo vanitose !'' Vogliono sentirsi sempre ammirate. Vogliono sentirsi dire in continuazione che sono belle da tutti quelli che le circondano.'' Gli rispose. Amos: ''Ecco vedi la differenza tra noi uomini e loro?'' Gli disse alzandosi a sedere.'' Noi non abbiamo bisono di sentircelo dire in continuazione come pretendono loro, e questo vuol dire forza e sicurezza in se stessi. E' questo che manca alle ragazze. Sono fragili e insicure.'' Lorenzo: ''Per questo cercano gli uomini no! Per avere sostegno, sicurezza e protezione. Peccato che poi sono anche capricciose e tutto quello che gli dai non basta mai oppure vogliono l'esatto contrario e ancora il contrario del contrario.'' Amos: ''E' vero. Non sai mai come comportarti. Se sei gentile, rimani un amico e basta perchè si annoiano. Se sei ruvido, ti danno del cafone e ti evitano. Se ti comporti come un bastardo, ti adorano e ti odiano nello stesso tempo. Ma avere un po' di equilibrio mentale in più noooo!?'' Lorenzo: ''Beh grazie a Dio non sono tutte così, perchè se no nessuno si unirebbe più e non ci sarebbero più bambini.'' Amos: ''Ma non capisco perchè tante stronzate, tante mossette, tanti modi di fare lunatici che non servono a niente. Non è vero che a noi uomini piacciono così, anzi le detestiamo quando sono così.'' Lorenzo: ''Ummmm, pensa che queste cose le chiamano 'il sale dell'amore'. Amos: ''Ah si? E lo zucchero qual'è? Quando aprono le gambe? Hahaha.'' Lorenzo: ''Ah beh questo lo hai detto tu. Assumiti le tue responsabilità, perchè oltre a tutto quello che abbiamo detto fino ad ora, devi aggiungere che sono anche molto irascibili e vendicative.'' Amos: ''Beh meno male che ce ne sono talmente tante, che la scelta e ampia.'' Lorenzo: ''Se ci sentissero parlare ora ci darebbero dei maschilisti. Hahaha'' 28
Amos: ''Meglio maschilista che coglione!'' Gli rispose rimettendosi sdraiato. Amos aveva portato le lasagne con il sugo di ragò e la besciamella in dei portavivande, le posate per due, i bicchieri, della frutta, una bottiglia di vino e una d'acqua. Le andò a prendere dal bagagliaio della macchina. Quando Lorenzo le vide, sgranò gli occhi sorpreso:''Azz...... proprio qualcosa di leggero !'' Disse ridendo. Amos: ''Ah io devo mangiare bene se no mi vengono i nervi !'' Gli rispose sedendosi di fronte a lui e offrendogli la sua parte. Lorenzo prese i portavivande destinati a lui, li apri e inalò quel buon odore di cibo genuino fatto in casa. ''MMMM che meraviglia. Allora buon appetito !'' Disse ad Amos. ''ptito,'' gli rispose col boccone in bocca. Rimasero sulla spiaggia fino al calar della sera. Lorenzo si riempì il cuore di mare e profumo di pini. Amos lo riportò a casa. Si fermò con la macchina davanti al fienile e Lorenzo scese giù. Assunta fece un cenno di saluto ad Amos guardando in cagnesco Lorenzo. ''Il mostro è stato al mare oggi!'' Disse rivolto a Nicola. Lorenzo sentì il complimento di Assunta e fece finta di niente. Lavò l'asciugamano per togliere il sale, lo stese su un ferro accanto al fienile e salì sull'ammezzato. La luna era quasi piena e sembrava galleggiare nel blu scuro della notte. Lorenzo prese il quaderno dalla copertina di sughero e scrisse: IL MOSTRO Non guardare i miei occhi perché riflettono il buio, ne il colore delle mie guance che troppe lacrime hanno sfiorito. Spegni la luce se vuoi amarmi e mi nasconderò dentro la luna Ogni mia carezza
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ti regalerà un suo spicchio, ogni mio bacio ti porterà a me che non ho saputo amarmi, e nell’oscurità del mio corpo ho trovato, la mia tomba.'' Disegnò due ali sotto, alla fine della poesia, e richiuse il quaderno.
5 Erano gli ultimi giorni di Maggio. Lorenzo aveva messo a posto il recinto delle pecore perche si erano rotti degli assi. Stava dando da mangiare alle mucche, quando Assunta entrò nella stalla come una folata di vento. ''Hey, vai a lavare il pavimento di casa. Usa l'acqua e la candeggina e non lasciare sporco negli angoli.'' Gli disse in un tono asciutto. Lorenzo la guardò stupito. Non lo aveva mai chiamato per una cosa del genere. ''Sarà uno dei tanti capricci per fare dispetto'' pensò. Non le disse niente e si diresse verso la casa. Spazzò tutte le stanze di sotto, come voleva lei e cominciò a lavare i pavimenti con acqua e candeggina. Era quasi alla fine della sala, quando entrò dalla porta Valerio con le scarpe sporche di terra rossa. Lorenzo non disse niente e si rimise a lavare un'altra volta il pavimento. Aveva appena finito e stava aspettando che asciugasse il pavimento quando Nicola scese le scale dal primo piano e lascio le impronte delle scarpe sui mattoni umidi. ''Scusa ma non potevi aspettare che asciugasse?'' Gli disse gentilmente Lorenzo. Nicola: ''Cosa hai detto scusa? Dammi del lei quando ti rivolgi a me!'' Gli rispose freddo con un ghigno. ''Le ho detto se non poteva aspettare che asciugassero i mattoni prima di passare!'' Gli ripetè dandogli del lei. 30
Entrò Valerio dalla porta con le scarpe sporche.''Cosa vuole stò mostro?'' Disse rivolto a Nicola. Nicola: ''Mi ha offeso dandomi del cafone perchè mi sono permesso di passare sul pavimento bagnato! In casa mia capisci? Lui che qui dentro non è niente.'' Lorenzo non fece in tempo a rispondere che Valerio lo prese per i capelli e gli immerse la testa nel secchio con l'acqua e la candeggina. I due fratelli si misero a ridere come matti, mentre Lorenzo urlava nell'acqua. In quel mentre, entrò Fulvio dalla porta. ''Cosa state facendo deficienti?'' Gli urlo vedendo la scena. ''Ma niente stiamo scherzando,'' disse Nicola ridendo. Fulvio prese Valerio e lo sbatte contro il muro. Lorenzo si alzò da terra con il viso rosso e gli occhi che gli bruciavano, urlando dal dolore. Fulvio gli si avvicinò e gli chiese cosa avesse. ''Mi bruciano gli occhi. C'èra della candeggina nell'acqua.'' Gli rispose tremando. Fulvio diede un pugno in piena faccia a Valerio sbattendolo a terra. Prese Lorenzo per un braccio, lo infilò in macchina e lo portò al pronto soccorso. ''Ti pregherei di dire agli infermieri che sei caduto con la faccia nel secchio da solo. Non voglio avere grane. Capito !'' Gli disse mentre guidava. Lorenzo non gli rispose, rimase con gli occhi chiusi perchè non riusciva ad aprirli. Al pronto soccorso gli lavarono gli occhi, lo disinfettarono e gli misero una pomata oftalmica con antibiotico e cortisone. ''Com'è successo che la candeggina ti finisse negli occhi?'' Gli chiesero. Lorenzo: ''Sono scivolato sul pavimento bagnato mentre lavavo a terra e sono caduto con la faccia nel secchio.'' Rispose. Infermiere: ''E' andata proprio così?''Gli chiese,''stai proteggendo qualcuno?'' Lorenzo: ''No, non sto proteggendo nessuno. Sono scivolato da solo.'' L'infermiere lo guardò e scosse la testa. Aveva visto i graffi dietro al collo come se qualcuno lo avesse afferrato spingendogli la testa nel secchio. Infermiere: ''Ascolta questa è una cosa grave. Se qualcuno ti ha afferrato e sbattuto la testa dentro al secchio, dovresti dirlo.'' Gli disse cercando di farlo ragionare. 31
Lorenzo: ''No, le ripeto. Sono scivolato da solo.'' ''Ok come vuoi. Ma stai attento per la prossima volta.'' Gli disse l'infermiere. Quando furono in macchina Fulvio lo ringrazio nel suo modo rustico. Lorenzo non gli rispose. Fulvio entrò in casa, vide Assunta che si stava facendo le unghie con una limetta sul divano. ''Sei stata tu a chiamarlo per pulire i pavimenti?'' Le chiese. Assunta: ''Si. E come vedi non li ha puliti bene!'' Rispose lei arrogante. Fulvio le si avventò addosso prendendola a calci e pugni in faccia. Le prese la testa e gliela sbattè contro il pavimento facendola sanguinare. La guardo dritta negli occhi mentre la teneva per capelli e la sbatteva sui mattoni. ''Ora sono più puliti? Vacca!'' Le disse rabbioso.''Non permetterti di chiamarlo mai più per farti da filippina in casa altrimenti ti uccido. Ora non te lo dico più.'' La lasciò piangente di dolore, ma soprattutto di rabbia nei confronti di Lorenzo. Assunta: ''Questa me la pagherai Tulipano!'' Disse tra i denti. Lorenzo stette qualche giorno a riposo nel fienile, non riusciva ad aprire gli occhi per il bruciore. Pian piano il dolore sparì, ma vedeva un po' sfocato. Amos andò a trovarlo un pomeriggio.''Sono stati loro vero?''Gli chiese. Lorenzo: ''Si mi hanno messo la testa nell'acqua con la candeggina. Stavo lavando i pavimenti di casa per ordine della iena e mi hanno fatto lo scherzetto.''Gli rispose. Amos: ''Ma non capisco perchè?'' Disse. Lorenzo: ''La cattiveria delle donne trova sfogo attraverso gli uomini stupidi. E' sempre stato così, basta leggere la storia e vedere chi c'è dietro a tutte le vicende di morti e assassinii perpetrati fino ad adesso. Ci sono quasi sempre loro e i cretini che le seguono. Meno male che tra le tante ci sono anche delle vere sante perchè se no sarebbe un inferno.'' Quando Amos uscì dal fienile andò dritto al commissariato di polizia e raccontò tutto al commissario che prese nota della faccenda, ma non avendo prove per poterli richiamare, dovette desistere da qualsiasi azione nei confronti di Nicola e Valerio. 32
Lorenzo si riprese velocemente e ricominciò a fare i suoi lavori nella cascina. Ad Assunta le venne il capriccio di imbiancare tutta la cascina all'interno. Lei cercò di trascinare dentro i lavori anche Lorenzo, ma Fulvio fu fermo nel tenerlo fuori, affinchè lui si occupasse degli animali e delle stalle. Assunta meditava continuamente come potersi vendicare. Una volta gli preparò uno stufato di carne di coniglio e verdure con dentro del veleno. Il gatto di casa salì per primo sul tavolo, mentre lei è Fulvio erano di spalle in sala e dopo poco schiatto ai loro piedi. Fulvio capì cosa fosse successo e le diede tante di quelle botte da farla diventare nera come la pece. Da quel giorno diede una piccolo cucinino con una bombola a Lorenzo, da tenerselo sull'ammezzato e prepararsi da mangiare da solo, prima che succedesse qualcosa di irreparabile. Amos cercava di convincerlo a rivolgersi alla polizia per l'accaduto dell'acqua con la candeggina e per l'avvelenamento del gatto. Lorenzo non voleva fare del male a nessuno e gli rispose che non sarebbe più successo niente. Una domenica pomeriggio andò in chiesa e pregare, si inginocchiò davanti alla statua della Madonna. '' Ave signora dei cieli, Madre di Cristo.Sotto la tua protezione, tutti noi peccatori ci rifuggiamo.A te ci rivolgiamo o Maria nei momenti di dolore. Mostraci la tua misericordia e conservaci nella purezza. Liberaci dal male del peccato e preservaci dall'odio degli uomini. Insegnami a donare un sorriso a tutti coloro che ne hanno bisogno e dammi la forza di camminare sulla tua strada ,ora e sempre. Amen'' pregò Uscendo dalla chiesa vide una signora che aveva difficoltà ad attraversare per via delle sue infermità alle gambe. Lorenzo le porse il braccio. '' Si aggrappi al mio braccio signora.'' Le disse gentilmente,''la porto io dall'altra parte della strada.'' ''La ringrazio, lei è molto gentile.'' Gli rispose la signora con gratitudine. ''Purtroppo mio figlio non è in città al momento e non ha potuto accompagnarmi.'' Continuò la donna. Lorenzo: ''Capisco. Se vuole l'accompagno io fino al posto dove deve andare.'' Le disse gentilmente. La donna: ''Sto andando a casa ora. Devo arrivare fino alla macchina parcheggiata li nel parcheggio di fronte.'' Lorenzo l'accompagnò alla macchina, la donna salì. ''La ringrazio, lei è stato molto gentile.'' Gli disse la donna salutandolo. 33
''Di niente signora. Arrivederci.'' Le rispose. Andò a farsi una passeggiata nei giardinetti. Gli piacevano molto i sentieri tra le aiuole. Tutti quei fiori, quei colori vivi, il giallo dei tulipani,il rosa delle begonie, il bianco delle margherite, il violetto dei pansè ed il rosso delle azalee. Gli sarebbe piaciuto fare il giardiniere, stare a contatto con le piante, curarle farle crescere e vederle fiorire. Tornò a riprendersi la bicicletta che aveva legato ad un palo dietro la chiesa. Salì in sella e cominciò a pedalare sulla strada per la cascina. I campi di grano sulla sua sinistra erano ancora verdi con le spighe giovani che ondeggiavano al sole. I lati della strada erano pieni di erba e cespugli di fiori multicolori. Le margherite gialle sembravano delle girandole in mezzo a tutto quel verde e le farfalle volavano di fiore in fiore. Per la strada incontrò Amos che stava andando a trovarlo. ''Hey Lorenzo,''lo chiamò Amos.''dove stai andando?'' Gli chiese. Lorenzo: ''Sto tornando a casa. Ciao Amos, dove vai?'' Amos: ''Stavo venendo da te. Volevo proporti di venire con me a fare un giro in macchina.'' Lorenzo: ''Ho la bicicletta!'' Gli rispose.''Torno a lasciarla a casa e ti raggiungo.'' Amos: ''Ma no mettila nel bagagliaio. Ci entra un treno li dietro.'' ''Come vuoi.'' Scese dalla bicicletta. Amos aprì il bagagliaio e la sistemarono dentro. Richiusero e salirono in macchina. ''Per prima cosa tieni questo,''gli porse un ipod con le cuffiette.''Mio padre me ne ha regalato un altro e io voglio regalarti il mio. Qui dentro ci sono tutti i brani di Liszt, so che ti piace molto.''Disse Amos. Lorenzo lo guardò sorpreso.''Amos non devi, è tuo!'' Gli rispose. Amos: ''Te l'ho detto, ora ne ho due, che me ne faccio. Uno lo voglio regalare a te. Prendilo se no mi incazzo!'' Gli disse sorridendo. Lorenzo: ''Ti ringrazio di cuore. Ne sei sicuro?'' Gli rispose timidamente. Amos: ''SI SI SI, prendilo! C'è la tua musica preferita. Ci ho messo tutto il giorno per caricartelo. Quando si scarica la batteria me lo dai e te la ricarico io ,ok!?'' ''Grazie ! E' un bellissimo regalo.''Gli rispose riconoscente. Amos: ''Ti va di andare al bowling? Pago io.'' Lorenzo: ''Ma no i soldi li ho.'' 34
Amos: ''e beh ? Allora dopo il Bowling mi offri una pizza.'' Lorenzo: ''Ok, bowling, pizza e birraaaaa!'' esclamò. Amos: ''Questa notte posso venire a dormire da te?'' Gli chiese. Lorenzo: ''Ma dai sulla paglia?'' Rispose mortificato. Amos: ''Si sulla paglia insieme a te. Vorrei che tu mi insegnassi a riconoscere le costellazioni.'' Lorenzo: ''Non ho i cuscini!'' Amos: ''Ti porto io lenzuola e cuscini e te li lascio, ok!'' Lorenzo: ''Come vuoi.'' Rispose. Strigeva il suo ipod giallo tra le mani come fosse un diamante. Era il suo primo regalo da quando non c'era più la sua famiglia. Gli sembrava che ormai fosse passato tanto di quel tempo che quasi, tutto ciò che era stato del passato, appartenesse ad un altra vita. Mentre erano ancora in macchina, Lorenzo pensava a sua madre, ai suoi nonni. Gli mancavano tanto ma aveva la sensazione come se non fossero mai esistiti, era passato tanto tempo da allora. La vita nella cascina era così dura, che gli sembrava che ci stesse li dentro da un'eternità. Non desiderava più niente se non un po' di tranquillità, un po' di calore umano. Sentiva l'odio di Assunta e dei suoi figli, circondarlo di continuo. La vedeva la sera che lo spiava dalla finestra della sua camera nella cascina, con uno sguardo pieno di odio. Per questo Lorenzo preferiva non aprire l'anta della finestrella di fronte alla sua camera, ma aprire quella dalla parte opposta che dava sugli alberi e sul cielo stellato. Si divertirono tutta la sera al bowling e a mangiare la pizza. Tornarono a casa per le 23:00. Passarono prima da casa di Amos. Presero lenzuola e cuscini e andarono alla cascina di Fulvio, sotto il fienile. La madre di Amos gli diede un lenzuolo spesso cucito a mo di materasso matrimoniale vuoto. Lo riempirono di paglia soffice e lo richiusero con la cerniera di lato, sembrava un Tatami giapponese. ''Vedi quel gruppo di stelle?'' Chiese ad Amos, indicando con un dito in alto nel cielo. Amos: ''Chi sono?'' Lorenzo:''Quella è Antlia che rappresenta la nave degli argonauti e quella Pyxis. Quella li è Ofiuco, la costellazione del serpente. Con Asclepio che con la mano destra stringe la testa del serpente e con la sinistra tiene la coda. Amos: ''Ma io non lo vedo Asclepio! Dovè?'' Gli chiese stupito. 35
Lorenzo: ''Non c'è devi immaginarlo. Le costellazioni sono fatte di immaginazione, fantasia. Vedi quella?'' Indicò da un'altra parte.'' Quello è Pegaso, il cavallo alato figlio di Medusa e Poseidone. E quella è Lira, lo strumento suonato da Orfeo figlio del Dio Apollo.'' Amos: '' Come fai a riconoscerle!? A me sembrano tutte uguali!'' Sbottò curioso. Lorenzo: ''Le costellazioni sono unite da una linea immaginaria che va da una stella all'altra nei vari raggruppamenti. Vedi ci sono stelle che sono più vicine di altre. Di solito ce ne sono alcune più grandi e altre più piccole intorno. Con un po' di fantasia si disegnano nel cielo.'' Amos: ''UMMM tu sei la costellazione dell'angelo …. hihihi,''gli disse abbracciandosi a lui e chiudendo gli occhi.'' Buona notte angioletto. Fai sogni d'oro.''Gli disse assonnato. Lorenzo: ''Buona notte, a domani.'' Lorenzo stette a guardare le stelle ancora un po', poi chiuse gli occhi e si lasciò andare tra le braccia di Morpheo. 6 La mattina presto verso le 5:00 si svegliarono per via dei forti muggiti della mucca Isabella che stava per partorire. Fulvio corse subito nella stalla e Lorenzo e Amos scesero dall'ammezzato. ''Le si sono rotte le acque,'' disse Amos a Fulvio. Il fattore maneggiò una lunga corda all'interno dell'animale e cominciò a tirare forte. Dopo un po' videro uscire un vitellino con le zampette legate alla corda. Il piccolo era sporco di gelatina rossa. La madre lo leccò tutto con la sua grossa lingua ruvida. A volte per facilitare il parto alle mucche devono tagliare la pancia fino all'altezza del cuore e dopo il parto ricucirla con un filo del colore della pelle dell'animale. Isabella Coccolava il suo vitellino con affetto. ''Lo chiameremo Virgola perchè ha una macchia a forma di virgola sulla testa hahaha,''rise Fulvio. Lorenzo e Amos andarono a lavarsi alla fontana dietro al fienile. Poi si diressero verso la stanza della lavorazione del latte per fare le mozzarelle. Cagliarono il latte con il caglio di vitello intorno ai 38°C, per quaranta minuti; La massa caseosa ottenuta venne tagliata dapprima in cubi e dopo 36
una mezz'ora venne rotta in piccoli granuli con la ruotola. Fecero la maturazione della cagliata sotto siero intorno ai 46°C. Un'operazione che durò diverse ore, fin quando la pasta non fu pronta per la filatura. La cagliata matura fu separata dal siero, tagliata a strisce e aggiunta di acqua molto calda, sui 70°C. A questo punto Lorenzo cominciò a tirare a mano la pasta filandola in acqua salata. Seguì poi la mozzatura ed il mantenimento della forma data dalla mozzatura, in acqua fredda. Tutte le mozzarelle ottenute furono messe a conservazione nel liquido di governo, un composto di acqua e sale che ha lo scopo di mantenere la freschezza del prodotto per una trentina di ore dalla lavorazione. Verso le 11:00 arrivarono i compratori di formaggi, ricotta e mozzarelle freschi e si diressero nel capannone degli acquisti dove c'era Assunta come addetta alla vendita. Nel frattempo Amos tornò a casa sua e Lorenzo provvedette alla smielatura delle arnie degli alveari. Indossò dei guanti adeguati e una tuta bianca che proteggeva tutta la sua persona. Affumicò gli alveari per far allontanare le api e con un coltello cominciò ad estrarre i melari, disopercolandoli e recuperando il miele dai favi pieni. Era un'operazione che richiedeva molto tempo e pazienza, ma Lorenzo ormai ne era abituato. Passò alla decantazione e la filtrazione del prodotto raccolto dai favi. Lasciò il miele a riposo in un recipiente-decantatore in acciaio inox da 60 kg, detto maturatore, in modo che le impurità del miele, dovute all'estrazione dai favi, galleggiassero in superficie. Seguì la filtrazione effettuata attraverso dei filtri con sacchi in rete di nylon immersi nel miele per non inglobare aria. Dopo ci fu il riscaldamento del miele a temperatura molto contenuta per evitare un'effetto negativo sul miele. Il pompaggio, la miscelazione e infine l'invasettamento in vasetti di vetro. Nelle prime ore del pomeriggio, portò il gregge al pascolo, portandosi dietro il suo quaderno delle poesie. Il sole era tiepido, non era una giornata particolarmente calda. Le pecorelle s'inerpicavano sui bassi cumuli di pietre, dove vedevano cespugli teneri da brucare. Fulmine correva in tondo intorno al gregge per evitare che qualcuna di loro si staccasse dal gruppo. Lorenzo si distese a terra e si mise ad osservare le nuvole. Gli piaceva fissare a lungo l'azzurro del cielo e annullarsi in quegli spazi immensi. Osservava il volo degli uccelli, ascoltava il cinguettio dei cardellini sui 37
rami degli alberi. Inseguiva con lo sguardo i piccoli coleotteri che camminavano goffi sotto le piante. I licheni che macchiavano la superficie grigia delle pietre. Tutto aveva un'armonia che seguiva il ritmo della vita. Aprì il suo quaderno e scrisse: '' IL CIELO Riflessi di luce, entrano nell'anima dove le nuvole raccontano, ed il vento accarezza il cuore. Una culla azzurra che assorbe i miei sogni, mentre i miei occhi inseguono voli di uccelli, dalle grandi ali. E sospiro e canto, come un animale in catene Aspetto la pioggia che lavi le mie palpebre, ed aspetto il sole, affinchè le asciughi. Sotto il cielo che non ascolta dentro al cielo che respira ma silente e non assente...... osserva.'' Disegnò un sole sotto l'ultima parola e mise un trifoglio in mezzo alle pagine, come per fermare il tempo nel quaderno. Ogni tanto si chiedeva se valesse davvero la pena vivere in quello stato. A dormire sulla paglia, in un fienile, in mezzo all'odio. Forse una corda intorno al collo avrebbe risolto ogni problema. Aveva letto alcuni libri di filosofia: Aristotele, Platone, Socrate, Plutarco. Aveva letto sulla libertà e i diritti civili di ogni uomo libero e si sentiva all'opposto di tutto quello che aveva assimilato fino a quel momento. Non condivideva il modo di fare e di pensare della società che si infarinava di luoghi comuni e frasi precostituite. Tutte quelle maschere per nascondere i veri intenti che ogni individuo affina e alleva dentro di se a danno del suo prossimo. Lorenzo adorava Madre Teresa di Calcutta. La chiamava '' La piccola suora dal grande cuore.'' Condivideva appieno quello che lei diceva, perchè la sentiva mossa da una forza che andava aldilà di ogni passione speculativa o fanatico-mistica. Cerano frasi come:'' CREDO CHE IL MONDO OGGI 38
SIA SCONVOLTO E SOFFRA TANTO, PERCHE' NEI FOCOLARI DOMESTICI E NELLA VITA FAMILIARE C'E' VERAMENTE POCO AMORE,'' oppure,'' OGNI VOLTA CHE INCONTRO UN POVERO O UN SOFFERENTE ED IO LO AIUTO, STO AIUTANDO CRISTO. OGNUNO DI NOI E' UN CRISTO QUANDO E' SOLO, MALATO, EMARGINATO E IN MISERIA.'' L'opera di Madre Teresa ha portato grandi svolte nel mondo. Ha mosso governi e intere nazioni. Tutte le suore che si sono impegnate a dedicare la propria vita alla cura degli ammalati, dei bisognosi e degli emarginati, sono state i veri angeli che hanno camminato con piedi umani su questa terra di dolore ed egoismo. Lorenzo le teneva tutte nel cuore e pregava affinchè le loro opere non cadessero nel vuoto delle anime ingorde che fagocitano il mondo, come se fosse un loro diritto incontestabile. Aveva sempre pensato che non è l'appartenenza ad una determinata religione a fare di un uomo un santo. E' la fede, la forza e la coerenza di credere nei valori e nei diritti umani che nobilita la sua anima e la avvicina a Dio, sia che si chiami Buddha, Jahweh, Jehowah o Allah. Non approvava nè le prediche sconclusionate dei cattolici, né il fanatismo omicida dei musulmani, nè il vittimismo degli Induisti con tutti i loro milioni di Dei e di riti che poi alla fine non avevano dato molto all'India, se non una smisurata miseria e una vergognosa ricchezza concentrata solo su pochi individui. Come si dice'' Parlare bene e razzolare male,'' alla fine dà i suoi risultati, e quelli erano sotto gli occhi di tutto il mondo intero. Sicuramente ha contribuito molto il colonialismo a frenarne lo sviluppo, ma anche l'Italia è stata in mano ai francesi, agli spagnoli, ai turchi, agli austriaci ecc. L'India è stata sempre considerata la culla del misticismo e dei santoni, delle filosofie e del pensiero. Si domandava come mai i governatori di quella nazione non avessero assorbito niente di tutte quelle filosofie e di tutto quel grande pensiero, se non per accumulare ricchezze a dismisura e tenere nel sottosviluppo tutto il resto della popolazione. In quel caso la fede non è servita a niente, se non ha creare superstizione e caste invalicabili. Questo concetto ce l'aveva anche per l'Occidente, ma con la differenza che almeno la parte occidentale del globo terrestre ha raggiunto un livello di sviluppo, sia spirituale sia sociale, innegabilmente più avanzato. Eppure tutte le discipline e le filosofie orientali, basate sull'anima e 39
sull'elevazione spirituale provenivano dall'altra parte del globo! Con questi pensieri nella testa tornava alla cascina con il gregge e il cane che lo seguiva passo passo. Chiuse tutti gli animali nel recinto e andò a lavarsi dietro al fienile. Valerio arrivò con la sua moto facendo un gran fracasso. Sgommò sul piazzale di fronte alla cascina.Scese dalla moto come un prode cavaliere unto da Dio scende dal suo cavallo, e si diresse verso l'entrata della casa. Si fermò sulla soglia ad ascoltare il rumore dell'acqua e capì che Lorenzo si stava lavando dietro al fienile. Col suo solito modo di camminare da spaccone si diresse in quella direzione. Girò l'angolo della casetta e si trovò di fronte Lorenzo nudo che con una cannuccia di plastica si faceva cadere addosso l'acqua che usciva dalla fontana. '' Hey verme, non ti vergogni a stare senza vestiti?'' Disse Valerio a Lorenzo. Lorenzo: ''Non c'era nessuno prima,'' gli rispose,'' ma perchè tu ti lavi con tutti i vestiti addosso?'' Gli chiese a sua volta. Valerio: ''Questa non è casa tua!'' Gli urlo in faccia,'' devi avere rispetto per i luoghi degli altri. Qui non è ammesso che tu ti tolga i vestiti per mostrare le tue schifezze,''gli disse indicando con un dito le parti intime. Lorenzo fece finta di non sentirlo e continuò a lavarsi come se l'altro non ci fosse. ''Hai sentito femminuccia?'' Gli urlò giallo di rabbia. Lorenzo si mise a ridere,'' beh, femminuccia detto da te che spii gli operai ogni volta che vanno a pisciare in qualche angolo ! Mi sembra ridicolo.'' Valerio diventò rosso di vergogna e di rabbia, diede un calcio ad un barile di legno che era affiancato al muro e se ne entrò in casa mugugnando. 7 Assunta guardava il soffitto della camera da letto. Non riusciva a dormire. Fulvio le dormiva accanto girato dall'altra parte del letto. Ogni tanto girava la testa dalla parte della finestra e guardava fuori. Non c'erano stelle, il cielo si era coperto improvvisamente di nuvole scure cariche di pioggia. Si alzò dal letto, prese il pacchetto di sigarette e l'accendino che aveva sul comodino e andò sul balcone, attraverso l'altra 40
stanza. Non c'era vento, ma tutt'intorno era nero come il vuoto dell'inferno. Si accese una sigaretta guardando verso il fienile dove dormiva Lorenzo. I suoi occhi pieni di odio si fecero stretti come due lame affilate. Avrebbe voluto sbranare quell'agnellino con i suoi denti, sentire il sapore del suo sangue scenderle in gola e sulle guance. Con le unghie raschiò la vernice dell'inferriata di ferro del balcone. Camminò avanti e indietro, mentre goccioloni di pioggia cominciavano a venire giù. Immaginava Lorenzo nudo, legato ad una croce di ferro a forma di X, arroventata, mentre lei le spalmava dell'aceto col sale sulle ustioni e rideva di gusto alle urla di lui. Si chiuse la porta del balcone alle spalle rimanendo fuori. Scoppiò una tempesta furibonda. La pioggia scendeva con una violenza inaudita colpendo il suo corpo che si muoveva lentamente in piedi vicino all'inferriata. I fulmini squarciarono il cielo come se volessero dilaniarlo. Una rabbia sconfinata mista a desiderio ed eccitazione sessuale si impossessò di lei. Le sue mani percorsero il corpo fermandosi sui seni e scendendo verso il pube bagnato di eccitazione. Cadde sulle ginocchia aperte con le mani che sfregavano in mezzo alle gambe. La testa che sbatteva come posseduta da un diavolo e i capelli bagnati che le si erano incollati sulla faccia e sulle spalle. Le gocce di pioggia sembravano lance appuntite sulla sua pelle. In preda ad una violenta ondata di desiderio si riversò indietro con un urlo lacerante proprio mentre un fulmine cadeva nelle vicinanze, facendo un boato terribile. Assunta ebbe un orgasmo fortissimo che le svuotò l'anima fino in fondo. Rimase per terra stordita, sotto il temporale che proseguì fino a notte fonda. Si alzò da terra. '' Io ti ucciderò,''disse con lo sguardo puntato sul fienile di Lorenzo,''molto presto ti strapperò il cuore con queste mani. Te lo giuro.'' Promise a se stessa. Rientrò in casa, si asciugò il corpo bagnato, si cambiò la sottana e andò a letto. Il mattino dopo, Lorenzo mise a posto tutto quello che il temporale aveva spazzato via. Munse le vacche e le pecore ed insieme ad Amos e ad un altro ragazzo, fecero i formaggi, le mozzarelle e la ricotta. Arrivò la polizia con due volanti e prelevarono Nicola e Valerio che furono riconosciuti da alcune persone che erano state derubate da loro e li avevano denunciati. Assunta cercò in tutti i modi di convincere i poliziotti 41
che i suoi figli non c'entravano niente con l'accaduto, ma i poliziotti avevano con se le registrazioni di una videocamera. Furono portati al commissariato e trattenuti. Quando i poliziotti se ne furono andati con Nicola e Valerio, Assunta furibonda andò nel magazino della lavorazione del latte e avvicinandosi a Lorenzo,''Questo è per tutte le tue stronzate sull'amore e la giustizia, e le tue fottute preghiere che ti possano portare all'inferno al più presto,'' gli disse livida di rabbia. ''C'è posto per tutti prima o poi !'' Le rispose Lorenzo con uno sguardo duro che la fece indietreggiare. Assunta buttò il mozzicone acceso della sua sigaretta nel pentolone del siero che stavano preparando e se ne andò. Amos andò a dirlo a Fulvio che vedendo il mozzicone galleggiare sulla superficie del siero, mantenne la calma e disse di toglierlo da li e di continuare lo stesso a lavorarlo. Poi andò al capannone delle vendite e seppe da Assunta dell'accaduto su Nicola e Valerio. Dopo averle intimato ad Assunta di lasciar stare Lorenzo che non c'entreva niente con tutto questo, Fulvio prese la macchina e corse dal suo avvocato per cercare di far uscire i figli. Amos propose a Lorenzo di andare a viveve nella sua cascina. I suoi avevano bisogno di una persona che li aiutasse nelle serre dei fiori. Loro non si occupavano dell'allevamento degli animali, nè della lavorazione del latte. Nella sua cascina producevano: uova, grano, olio e fiori. Lorenzo lo ringraziò e gli disse che ci avrebbe pensato su. Quel giorno l'aria che si respirava era più tesa del solito. Lorenzo portò il gregge al pascolo. Assunta fumava una sigaretta dietro l'altra con lo sguardo fisso ed il pensiero rivolto unicamente sulla vendetta. Fulvio dopo aver parlato col suo avvocato, tornò alla cascina a continuare il suo lavoro. La luna si affacciava lentemente dalla finestrella dell'ammezzato. Lorenzo guardava la luce della candela che ardeva davanti alla madonnina nella nicchia. ''Vergine madre, anche tuo figlio è stato un uomo in carne ed ossa e nemmeno a lui sono state risparmiate umiliazioni e ingiustizie. Lo hanno messo in ridicolo davanti alla folla inferocita, lo hanno torturato e messo in croce a morire. Ma dopo tutto questo, gli uomini sono rimasti tali e quali come erano prima della sua venuta. A cosa è servito il sangue di 42
Cristo se non a dissetare ancora una volta la sete da vampiri che ha l'umanità. Gli olocausti continuano a susseguirsi e nel fiume scorre il sangue di tutte quelle persone che vorrebbero vivere tranquilli e non possono farlo, per la pazzia e l'arroganza dei molti, che non conoscono la parola rispetto ma si nutrono dei lamenti e della sofferenza dei propri simili per sentirsi potenti. A cosa è servito il sacrificio tuo e di tuo figlio? Questo diglielo quando ti trovi a parlare con il grande capo che si gongola nel suo cielo dorato, si cironda di angeli perfetti e vuole respirare profumo di incenso.'' Chiuse gli occhi e immaginò di stare in una delle tante feste di Natale, quando lui e i suoi nonni si radunavano intorno al caminetto acceso e la mamma portava il panettone con la crema. Vicino al caminetto, sulla destra, c'era l'albero di Natale con le palle rosse e i fiocchetti dorati e di fianco all'albero, un presepe con la grotta e le montagne di cartapietra e muschio vero. Lorenzo immaginava la neve cadere silenziosamente fuori dalla finestra, mentre in casa scendeva una pioggia di luce come capelli d'angelo che coprivano i muri e i mobili trasformandoli in sogni e nuvole. Scivolò nel sonno come una goccia che scivola su di un vetro bagnato. Sognò di essere disteso su di un prato coperto di tanti fiori bianchi, un profumo di buono aleggiava nell'aria mite e un angelo di luce bianca e dorata cantava una canzone che diceva: '' SCORRE E SCORRE L'INFINITO TRA LE DITA SULLE ALI DEL MIO CUORE HO VISTO FLUIRE LA MIA VITA SOFFIA E SOFFIA L'ALITO DELLA MIA ANIMA CHE HA RUBATO IL PROFUMO DEI FUORI PER RENDERLA SUBLIME E UNICA. COSI' INTENSA, COSI' GRANDE MI TRASPORTA SUL PALMO DELLA SUA MANO QUANDO I MIEI GIORNI SONO PERDUTI QUANDO LE MIE NOTTI SONO FINITE 43
LE VEDO SCENDERE PIANO PIANO. E' COSI' CHE SCORRE, SCORRE IL MIO AMORE PROFONDO....... E SOFFIA SOFFIA NEL RESPIRO CHE M'INEBRIA...... COSI' INTENSO COSI' GRANDE DA FERMARE IL TEMPO.'' Lorenzo camminava in mezzo ai fiori e vide un cagnolino che si rotolava tra l'erba, Si curvò ad accarezzarlo, il cucciolo lo guardò con i suoi occhi teneri e nelle sue pupille gli mostrò l'immagine in movimento del fienile divorato dalle fiamme, mentre lui dormiva ed il viso di Assunta sfigurato da un ghigno diabolico che le fece avere un orgasmo. Si svegliò di soprassalto guardandosi intorno. L'ammezzato era immerso nell'oscurità. Non si sentiva nessun rumore, tranne i grilli che cantavano ed il verso di qualche gufo. Si alzò dal materasso dove dormiva e si affacciò alla finestrella per controllare fuori. Non vide nessuno. Spiò dall'altra finestrella di fronte alla camera di Fulvio e Assunta e vide lei che in piena notte era affacciata al balcone della camera accanto guardando nella direzione dell'ammezzato con uno sguardo pieno d'odio. Lorenzo richiuse piano l'anta, senza farsi vedere e tornò a dormire. 8 Le giornate di lavoro diventavano più dure col sole caldo. L'estate stava per arrivare e gli operai nei campi cominciavano a sentirne gli effetti. Valerio e Nicola erano stati rilasciati in attesa di giudizio. Dormivano tutto il giorno per mantenersi freschi e pimpanti di notte nelle loro corse in macchina e i furti ai negozi e alle cascine. Un giorno Nicola fece a pugni con uno dei braccianti. Tonino, uno dei ragazzi della squadra di suo padre, che vedendolo venire nei campi con gli abiti puliti e con l'aria da guappo lo saluto dicendogli: '' Buon giorno, a che ora è la festa?'' Nicola guardandolo con disprezzo,''nella festa non sono invitati i 44
pezzenti,'' gli rispose sprezzante. Tonino lo fissò rimanendoci male, poi con calma e con tono di scherzo gli disse: ''oggi avremo l'onore di lavorare con vostra signoria illustrissima?'' Nicola si voltò di scatto e gli sferro un pugno in faccia facendolo cadere a terra. Il rgazzo si alzò da terra avventandosi su di lui, sbattendolo al suolo a sua volta e affondandogli la testa nel fango. Fulvio si precipitò immediatamente a toglierglielo dalle mani, prima che la testa di Nicola si aprisse come una scatola di cioccolatini. ''Devi licenziarlo subito, all'istante !'' Urlò Nicola rivolto a Fulvio che aveva osservato tutta la scena. Fulvio: ''Esci da questi campi e togliti di torno.'' Gli disse freddo. Fulvio gli voltò le spalle e si avviò nella direzione dei trattori.''Continuate pure ragazzi, non è successo niente.''Disse rivolto al resto della squadra. ''Va tutto bene!''disse a Tonino dandogli una pacca sul braccio. Tonino era il suo braccio destro da anni. Era lui che si interessava della direzione dei braccianti e della manutenzione delle macchine agricole. Quando Fulvio mancava dalla cascina, Tonino dirigeva perfettamente tutto il lavoro dei campi e aveva molto a cuore Lorenzo che si impegnava sempre al massimo. Assunta aveva provato a farlo licenziare più di una volta, ma non ci era mai riuscita. Lei era molto attratta da Tonino e i primi tempi aveva cercato di sedurlo senza successo. Una volta si fece trovare nuda distesa sul fieno in uno dei fienili, proprio quando Tonino stava per entrare a prendere delle guarnizioni per i trattori. Lui la vide e continuò a cercare le guarnizioni dandole le spalle. Lei si alzò dal fieno, le si avvicinò mettendosi davanti a lui, gli prese una mano e se la mise in mezzo alle cosce. Lui le tolse la mano dalle cosce e guardandola negli occhi se la asciugò sulla guancia di lei dicendole: ''Cercati qualcun'altro per i tuoi pruriti !'' Se ne andò dal fienile lasciandola sola con la sua rabbia. Un altra volta, era d'estate e Tonino stava facendosi una doccia nel bagno dello spogliatoio. Lei entrò di soppiatto e si mise a guardarlo mentre lui era di schiena. Le piaceva il suo corpo muscoloso e villoso. Il fascino virile che emanava dalla sua persona, i capelli tagliati cortissimi a spazzola, rasati dietro la nuca. Le mani grandi di lui le immaginava scorrerle sul corpo e quegli occhi grigio metallo penetrarle l'anima. Lui non aveva nessuna simpatia per lei. Quasi tutti gli operai della cascina 45
avevano goduto del suo corpo e in modo molto animalesco. Non gli piaceva neanche come persona. Troppo capricciosa e volitiva per i suoi gusti, la evitava volentieri. Quando era arrivato Lorenzo nella cascina, Tonino lo aveva preso subito in simpatia. Lo vedeva come un ragazzo buono e intelligente e aveva da subito notato l'astio che lei provava per lui. Tonino si confidava spesso con Lorenzo. La sua vita matrimoniale era pesante a causa di tutte le manie di grandezza di sua moglie. Come tutte la donne lei amava il lusso e i gioielli e Tonino non poteva soddisfare continuamente tutti i suoi desideri. Lei si vendicava su di lui negandosi a letto nei doveri coniugali e lui si trasferì in un altra stanza e in un altro letto dove non c'erano impedimenti di sorta a soddisfare il suo sangue caldo. '' Ma perchè le donne pensano di avercela soltanto loro?'' Chiedeva a Lorenzo, le volte che parlavano insieme. ''Se non te la da una, ce ne sono cento disposte a farlo, e credimi, sono meglio, in quel senso, di chi ti sei portato all'altare.'' Lorenzo rideva e gli dava pacche sulle spalle,''Hahaha mandrillone ! Ti piace zompettare nei letti eh!''Gli rispondeva guardandolo con i suoi occhi da bravo ragazzo. Tonino: ''Quando arriverà il momento per sceglierti moglie, sceglitela tra quelle sane di mente, le matte lasciale nel serraglio, li stanno meglio.'' ''Hai capito perchè ci sono tante donne sole?'' Gli chiedeva Lorenzo,''non riescono ad avere il senso della misura e si danno da sole la zappa sui piedi pensando di essere insostituibili, hahaha !''Rideva anche lui. Tonino tornò a lavorare con la sua squadra. Guardò verso le stalle per vedere se riusciva a vedere Lorenzo. Ogni volta che lo vedeva spariva qualsiasi sua preoccupazione, qualsiasi malumore. Con la coda dell'occhio vide Assunta che stava sulla porta dell'abitazione e guardava piena di odio il fienile di Lorenzo. ''Cosa starà macinando in quel melone marcio la signora Messsalina?'' Si chiese tra se. Notò che aveva un accendino in mano e lo accendeva e spegneva in continuazione.'' Perchè non cominci a darti fuoco cominciando dalla lingua!'' pensò.'' Sai come sentirei la tua mancanza!? Come se dovessi sentire nostalgia per la diarrea. Uguale!''
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Era arrivato il periodo della mietitura del grano. Una volta i mietitori usavano una specie di grembiule di cuoio e mettevano al dito un ditale di canna. Iniziavano la mietitura alle prime ora dell'alba e finivano al tramonto. Con l'arrivo delle macchine mietitrebbiatrici, il lavoro è molto più facile e veloce. Le mietitrebbiatrici sono costituite da un telaio portante il complesso degli organi operatori. Possono essere: portate, trainate e semimoventi. Si possono avere variazioni nei tagli. Ci sono gli scuotipaglia che effettuano una separazione della granella. I sistemi convogliatori a piano inclinato, immettono la granella uscente dall'apparato trebbiante e quella separata dalla paglia, nel cassone di pulitura. Il tutto passa da alcuni livelli oscillanti, che separano la granella dalle spighe e dalle impurità. Una corrente d'aria forzata, regolabile, allontana le impurità leggere. Le mezze spighe vengono spinte nel battitore e la granella passa dal brillatore al cassone di seconda pulitura. Passa poi per altri livelli che la affinano sempre più, fino a raggiungere i sacchi che la conterranno. Tutto molto più facile e veloce di una volta. Tonino era un esperto in questo genere di lavori. Fulvio le dava completa fiducia nella gestione della mietitura. A fine giornata le balle di fieno vennero divise. Alcune lasciate sui campi e altre trasportate presso i fienili con gli autocarri. Ne sistemarono una decina affianco al fienile di Lorenzo per sfamare le mucche. Verso le 20:00 tutti gli operai lasciarono la cascina e tornarono alle loro famiglie. Lorenzo, finiti i suoi lavori, se ne andò dietro il fienile a lavarsi. Dopo la doccia salì sull'ammezzato e si preparò la cena con della pasta condita con dell'olio crudo e erbe aromatiche saltate in padella. La serata era tranquilla e le prime stelle si affacciavano nel cielo notturno. Dopo cena si mise un po' a leggere alla luce della candela e verso le 22:00 si mise a dormire, dopo aver concluso le sue preghiere davanti alla Madonna. Era mezzanotte passata. Assunta uscì di casa in punta di piedi. Andò nel secondo fienile e prese una tanica di nafta, si avvicinò al fienile di Lorenzo e sparse la nafta tutt'intorno. Si accese una sigaretta e cominciò a fare lunghe boccate di fumo guardando le stelle. ''Ti piacciono le stelle eh Tulipano!'' pensò tra se,''Vai a trovarle allora se ti piacciono così tanto.'' Finì di fumare la sigaretta e buttò il mozzicone sulla paglia bagnata di nafta che prese fuoco subito. 47
''Con la mia benedizione e che il diavolo ti incateni nel più tormentato inferno.'' Disse a bassa voce dirigendosi velocemente in casa. Chiuse la porta a chiave, salì le scale a piedi nudi, e in sottoveste si infilò nel letto dove dormiva Fulvio, ignaro di tutto. Il fienile si avvolse di fiamme. Fulmine che era rimasto legato davanti al recinto del gregge, sentendo puzza di fumo, abbaiò forte dando strattoni alla catena, spezzandola. Corse intorno al fienile abbaiando tanto forte da svegliare Lorenzo che dormiva, e Fulvio nel suo letto dentro casa. Lorenzo quando aprì gli occhi si vide immerso nel fumo. Si alzò di scatto dal materasso e guardò di sotto. Le fiamme avevano invaso tutto il fienile. Fulvio si affacciò alla finestra e vedendo il rogo, scese immediatamente di sotto. Si bagnò completamente con l'acqua e con l'aiuto di una coperta bagnata riuscì ad entrare nel fienile che sembrava un inferno di fiamme. Raggiunse la scala, salì sull'ammezzato e prese tra le braccia Lorenzo che era svenuto per intossicazione di ossido di carbonio e il fagotto che era riuscito a fare in un lenzuolo. Ridiscese la scala e fece in tempo ad uscire, che il fienile crollò nelle fiamme per intero. Portò Lorenzo in casa e cercò di rianimarlo. Assunta lo guardava da sopra il pianerottolo della scala. ''Tu sei pazza,''le disse intuendo da dove fosse nato il rogo. ''Domani stesso prendi le tue cose e te ne vai da qui.'' Fulvio chiamò il 118 che venne in dieci minuti. Lo misero su una barella e lo portarono al pronto soccorso. Gli somministrarono ossigeno al 100% e lo misero subito in camera iperbarica per ridurre la quantita di Co nel sangue. Gli somministrarono farmaci antiaritmici e cardioattivi. Amos seppe dell'accaduto nelle prime ore del mattino e corse subito alla polizia denunciando i coniugi dell'incidente. I poliziotti andarono nella cascina insieme ai pompieri e nelle ispezioni intorno al fienile trovarono tracce di nafta sia sul terreno, sia sulle scarpe di Assunta che venne trattenuta al commissariato per un'interrogatorio. Amos fece da testimone per tutte le volte che lei era stata aggressiva nei confronti di Lorenzo e per tutte le volte che lo aveva minacciato. Fulvio dovette ammettere che Assunta odiava Lorenzo e che lei era stata effettivamente la colpevole dell'attentato al ragazzo. Lorenzo intanto si riprese nei giorni seguenti. Fu trattenuto in ospedale. Gli assistenti sociali si mossero affichè fosse tolta la costudia di affidamento di Lorenzo ai due coniugi. Amos parlò con i suoi genitori e li convinse a prendere Lorenzo in casa 48
con loro. Da quel giorno Lorenzo avrebbe avuto un'altra sistemazione. La madonnina aveva ascoltato le sue preghiere ancora una volta. La vita e benigna e matrigna, a volte toglie e a volte dà. Imperscrutabile nei suoi disegni, procede in vie estranee alla ragione umana.
9 La sera era scesa presto. Nei mesi autunnali il sole va a letto prima del solito. Gli alberi erano come addormentati nell'oblio malinconico dei colori bruciati di fascino e terracotta. Lorenzo era seduto sul terrazzo della torre dove viveva. Era un ex piccionaia ristrutturata e incorniciata da un giardino di stelle. Le sue amiche, le sue compagne e confidenti di una vita intera. Lo avevano accompagnato per tutta la sua giovinezza, maturità ed ora vecchiaia. I ricordi gli venivano in mente come se fossero scene vissute ieri. Guardò le sue mani. La pelle raggrinzita aveva perso la luce che le donava la delicatezza dei fiori in primavera. I suoi capelli grigi erano ancora forti, ma il tempo era stato inclemente anche con loro. Si passò una mano sul viso. ''I giorni mi sono sfuggiti dalle mani. Gli anni si sono sparsi dietro ai miei passi come zolle di terra in un prato.'' Pensò. La vita nella fattoria di Amos fu tranquilla. I genitori dell'amico gli vollero bene come ad un secondo figlio ed Amos fu sempre gentile ed affettuoso con lui. Lorenzo era un tipo solitario e amava stare da solo con le sue stelle e la luna. Scriveva tante poesie dedicate a loro e le teneva gelosamente nei suoi diari che riceveva in regalo ogni Natale. Un giorno la madre di Amos li prese di nascosto da lui e li portò da un suo amico professore universitario per farli vedere. Antonio li lesse con grande antusiasmo e rimase talmente colpito dalla delicatezza, dalla bellezza e profondità degli scritti che contattò una casa editrice per avere un parere. Gli editori furono molto entusiasti di quello che lessero, tanto che contattarono Lorenzo e gli proposero di pubblicare un libro delle sue poesie. Da quel giorno Lorenzo si divise tra il lavoro nelle serre dei fiori 49
durante il giorno e la sera prima di andare a dormire scriveva le sue emozioni trasformandole in perle di poesia. Amos si creò una famiglia sposando una ragazza straniera incontrata in vacanza dalle sue parti. Vissero in fattoria tutti insieme fino al giorno in cui i genitori di Amos morirono di vecchiaia. Lorenzo comprò la piccionaia ed il terreno circostante con i soldi che guadagnava dalla pubblicazione dei suoi libri. Rimase sempre il ragazzo semplice e dolce che mungeva le mucche e faceva pascolare le pecore. Ma le sue poesie incantarono il mondo intero con la bellezza della sua anima pura. Costruì una cappella aperta per la sua madonnina. La Madre che l'aveva aiutato e amato per tanto tempo. Colei che lo guardava dormire, lavorare, piangere e sorridere con la pioggia o il sole. Aveva fatto erigere un piccolo altarino con sopra la statua della Madre degli angeli dentro una caverna di roccia naturale con tanti cespugli fioriti ed una fontana che formava un fiumiciattolo serpeggiante intorno. Un piccolo orto dietro la torre lo deliziava delle sue fatiche. Ma niente gli dava la felicità della vista delle sue stelle. Si alzò dalla sedia in cui era seduto e si diresse verso le scale. Scese al pianterreno, uscì dalla torre e camminò lentamente su un piccolo viale di cipressi che conduceva alla madonnina. Una civetta lo salutò chiamandolo per nome, lui le fece un cenno con una mano. C'erano delle candele accese sull'altare. Le fiammelle tremolavano al fiato del silenzio. Un coniglio lo vide passare davanti alla sua tana, gli si avvicinò per respirare la purezza della sua luce. ''Dolce signora la stella della sera porta il tuo saluto. Inginocchiato davanti al peso dei miei anni ho amato i gigli che nascevano nella tua anima. La tua mano ha sempre accarezzato le mie ferite. Le tue parole mi hanno riempito il cuore tu il mio raggio di luce 50
la mia speranza le mie ali il mio amore.'' Disse in un susurro. Il rumore dell'acqua sembravano note che si diluivano nel fresco della sera. Lorenzo amava la pioggia ed i suoi ricordi più belli erano nei suoi abbracci immensi, violenti, dolcissimi e irrinunciabili. Un giorno la madre di Amos gli disse: '' Ogni tua poesia è una goccia di pioggia che si posa sulle labbra degli angeli e diventa miele per il paradiso. Ricordatelo. Quando andrai lassù le tue ali saranno di pioggia e miele. Le tue piume avranno i riflessi delle stelle e della sera.'' Guardava le candele, così silenziose ed eteree come quelle luci lassù nel firmamento. Si avvicinò ad una pietra bianca che usciva dritta dal terreno. Liscia e piatta, si era ricoperta di muschio e licheni sui lati. Al centro c'era scritto: ''Ogni cuore è un cielo stellato ogni respiro un raggio di luna ogni uomo è un poeta se lascia crescere dentro di sé i semi dell'amore e della comprensione. Lorenzo Madini 1920 – 2002'' Toccò la sua lapide con le dita. La pietra fredda le diede una sensazione di solidità. Era passato un anno da quando il suo ultimo respiro era volato via mescolandosi con il vento, il profumo dei fiori, il volo delle farfalle. Ricordava sua madre e i suoi nonni che giocavano con lui ancora bambino. Rivide Assunta ai piedi della sua tomba. ''Perdonami caro, il mio cuore umano ti ha fatto tanto male, ma ho pagato per questo. Perdonami per tutte le lacrime che hanno bagnato il tuo bellissimo volto, per colpa mia. Perdona i miei figli e tutti coloro che hai incontrato e non hanno avuto rispetto per la tua dolcezza. Siamo stati 51
uomini e la carne è limitata dall'odio e dal rancore.'' Disse con gli occhi bagnati di pianto. ''Sono stata perfida, una cattiva donna. Ero infelice e tu così puro. Quando sono morta ho visto la mia ignoranza staccarsi da me e ridere dei miei errori come un demone che scatena una tempesta di ghiaccio e beffa. Ora è diventata la mia carnefice, la mia aguzzina'' Valerio e Nicola gli portarono un raggio di luna e lo misero intorno alla sua testa: '' Ciao Lorenzo, questo te lo dona la tua dolce Signora,''gli dissero con un sorriso tenero che in vita non avevano mai avuto. ''Qui il tempo non ha più potere ed in questo silenzio purifichiamo la nostra anima.'' Dissero dolcemente. Le sue pecorelle lo venivano a trovare tutte le notti, quando la gente dormiva nei loro letti caldi. Scendevano dal cielo come fiocchi di neve e si fermavano a pascolare intorno alla sua tomba. Lorenzo le baciava tutte. Si ricordava i nomi di ognuna di loro: Ofelia, Nespola, Claretta, Nerina. Le abbracciava come sorelle. C'erano delle candele anche di fianco lala lastra di pietra. Pensò ad Amos che in tutto questo tempo lo aveva cercato in quelle stanze vuote. Lo aveva chiamato nei suoi giorni tristi e andava spesso davanti alla cappella a pregare e sentirlo ancora accanto. La moglie di Amos curava i cespugli di fiori ed i suoi figli, lo chiamavano ancora '' il fratello delle stelle.'' Il suo sguardo fu attratto dal volo di una colomba che si posò per terra vicino alla cappella. Una stella luminosissima cadde in quel momento lasciando una scia lunghissima e luminosa. Una donna apparve davanti a lui, poco distante. Gli andò incontro e gli prese la mano. ''Vieni Lorenzo, è ora di andare. Il tuo tempo è finito, le catene della terra si sono spezzate.''Disse. Aveva il viso più bello e luminoso che avesse mai visto ed il profumo delle sue vesti gli ricordava la dolcezza della luna ed il profumo della primavera. La sua Signora era venuta a prenderlo. Aveva attraversato il cielo come una stella cadente ed ora era davanti a lui ancora incredulo. L'acqua scorreva dalla fontana, sembrava il rumore di un pianto che s'allontana. Lorenzo si volse guardando verso la fattoria. La finestra della camera di Amos era aperta e lui era affacciato con i gomiti appoggiati sul davanzale. 52
Amos vide una stella cadere dal cielo ed inseguendo con lo sguardo quella bellissima scia di luce pensò tra le lacrime: ''Questo è Lorenzo. Ora sta andando via. Ciao dolce amico.....fratello delle stelle.''
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AVALON
Era arrivata la stagione dei fiori. Gli uccelli del paradiso covavano nei mordibi nidi di rametti secchi intrecciati a piume. L'isola era protetta da una fitta nebbia ai confini dell'oceano e l'incantesimo del segreto la nascondeva tra le sue ali. Raven camminava adagio tra i boschi di mele sacre con al braccio il cesto delle erbe, radici e cortecce. SentÏ un battito d'ali ed alzando gli occhi al cielo scorse un albatros che solcava le nuvole ad ovest. ''Sta per piovere,''pensò. Raven amava la pioggia, antica madre della terra. Quando pioveva forte le piaceva abbandonare i vestiti e danzare nuda nella radura. Arrivò alla Rocca delle Querce e con un falcetto d'oro colse il vischio delle benedizioni. 54
''Possa il tuo spirito benedire ogni cosa ed ogni cosa possa nutrirsi di luce,''pensò. All'età di quattro anni Raven fu presa dal suo villaggio e portata durante la notte ad Avalon dalle Signore del fiume. Fece il voto del silenzio e continuò a vivere sull'isola servendo la Dama Bianca. Arrivò al tempio della luna e salì i ventotto gradini che conducevano all'altare. Mise della legna sulla grande pietra dove bruciava il fuoco della saggezza e dispose i quattro cristalli ai quattro angoli del sito. Quella notte ci sarebbe stata la luna piena e le porte del tempo si sarebbero aperte fino all'alba. Suonò la campana d'argento per nove volte ed il corno d'avorio fissato tra un grande palco di corna di cervo sul punto più alto del tempio. Discese la scaletta posteriore ed entrò nella casa dietro il grande circolo. Divise le erbe per tipo di essiccamento. Dispose i mazzetti a due a due legandoli con delle corde e appendendoli ai pali orizzontali per farli essiccare. Foglie e fiori li divise per specie e li mise in sacchetti di mussola. Mise nel mortaio quelle già essiccate e lavorandole con il pestello le ridusse in polvere. Le divise in recipienti di terracotta e le coprì con coperchi in rame e bronzo. Altre erbe le mise a macerare in liquido alcolico, ed altre le filtrò con delle garze riempiendo contenitori di cristallo. Da molte lune era da sola sull'isola. Le tre Signore dell'universo erano scese nel regno di Annwn per il sacrificio rituale dell'oscurità da dove sarebbe risorta la luce divina. Questa sarebbe stata la notte della tredicesima luna, la Luna Blu, ponte di collegamento tra il tempo solare ed il tempo lunare. Il centro del cerchio nel susseguirsi degli infiniti cicli eterni. Raven era stata scelta per dare corpo al silenzio, indispensabile elemento dell'anima. Ma in tutta la sua vita Raven non aveva mai conosciuto l'amore se non quello dello spirito. La sera cominciò a scendere sulle dolci colline di Avalon. I meleti vibravano dalle radici alle foglie. Una misteria melodia si irradiava da ogni tronco, ogni ramo, ogni germoglio. Le mele sacre si illuminarono dall'interno diventando delle grandi perle di luce. Raven salì davanti all'altare d'argento e, rivolgendo il suo pensiero all'astro della notte invocò 55
i guardiani del silenzio. Bruciò le sacre erbe delle Madri e fumigò tutti i Menhir del cerchio. La luna si affacciò come un'enorme ruota d'argento che toccava l'orizzonte tra cielo e terra. Una schiera di unicorni galoppavano dalla sua superficie verso i Menhir dove erano incisi gli Ogham del potere. Quando arrivarono davanti al cerchio di pietre si sedettero mansueti in tutto il loro maestoso splendore. Raven girò su se stessa per ventotto volte con in mano le due lampade dello spirito che giravano come una spirale di fuoco. Un raggio dal centro della luna attraversò tutto il cielo raggiungendo la grande vasca piena d'acqua pura della fonte delle Fate. Al suo tocco cerchi concentrici partirono da un punto espandendosi fino al bordo. Apparvero le porte del tempo che si aprirono sulla superficie. Raven si avvicinò alla vasca e soffiò per tredici volte sul raggio bianco. Un odore di legno di betulla bruciato a resina odorosa si sprigionò dalla visione spargendosi sull'acqua. Apparvero delle immagini di uomini e donne che danzavano intorno ad un grande fuoco. I loro corpi nudi erano illuminati dalle fiamme e sembravano degli angeli senz'ali che ardevano di una luce meravigliosa, l'amore. Ognuno di loro scelse una compagna e si unirono sulla terra profumata di muschio, mentre le fiamme del desiderio bruciavano le carni di passione. Raven guardò le insolite visoni e non riusciva a capire lo strano messaggio della tredicesima luna. Dai suoi occhi scesero delle lacrime di dolore e di solitudine mentre i suoi capezzoli diventarono turgidi. Le immagini diventarono più nitide come se lei si trovasse nel mezzo delle scene. Si ritrovò a camminare tra i corpi avvinghiati di piacere. Un giovane uomo era seduto da solo in disparte. Il suo bellissimo volto era di profilo mentre guardava il vuoto. La malinconia del suo sguardo la condusse un pò più vicino come se guardasse un desiderio caduto dalle stelle. Fu distratta da un rumore d'acqua che sbattè contro il legno e guardando nella fitta nebbia scorse una barca che vagava abbandonata. Quella notte in mare era scoppiata una terribile tempesta. Alcune navi erano affondate e gli equipaggi erano tutti morti. Solo una barca riuscì a salvarsi con dentro un uomo stremato dalla fatica che si era lasciato andare alla furia della corrente. Raven si stacco da quelle visioni lasciando cadere una sfera di luce. Sentì una stretta allo stomaco che la contrasse. Da lontano vide un'ombra scura 56
che galleggiava davanti alla spiaggia, sembrava una barca con un uomo svenuto all'interno. ''E' il tuo tempo!'' Senti nel silenzio. La voce della Signora della ruota d'argento sibilò da pietra a pietra girando nel cerchio. '' E' il tuo tempo!'' Sentì come un tuffo nel cuore che apriva la sua anima ad un sentimento mai provato prima. I suoi piedi non resistettero a correre nella direzione della barca. Scesero i ventotto gradini e le colline di gran corsa. Raggiunsero la scogliera bianca e saltando come un puma atterrò sulla spiaggia di sabbia fine. Si avvicinò circospetta alla barca. Aveva paura ma ne era irresistibilmente attratta. Si avvicinò ancora di più e guardò nel suo interno. C'era un giovane uomo che giaceva come morto nel fondo. Le sue mani stringevano una corda avvolta intorno al suo corpo e legata alla barca ed il suo viso era rivolto verso il cielo notturno. Aveva gli occhi chiusi e sembrava che dormisse. Il suo volto era quello del giovane di profilo della visione nella vasca. ''E' il tuo tempo!'' sentì dentro al cuore come un dolcissimo presagio.
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L'ISOLA DEGLI ANGELI
Ci fu un tempo in cui Dio creò l'oscurità ed una scintilla di luce. La luce si espanse diventando fuoco. Il fuoco bruciò a lungo e nacque il verbo. Dal verbo ogni cosa si produsse all'infinito in un succedersi graduale e spontaneo. Nacque l'universo. Ma l'universo era vuoto ed immenso ed allora Dio nella sua infinita saggezza creò i pianeti, le comete, le galassie, gli asteroidi e le stelle lasciandoli continuare naturalmente il loro corso. Calcolò con esatta precisione le distanze ed i moti, le orbite e le direzioni affinchè non si distruggessero l'un l'altro nei loro movimenti. Decise quali potevano contenere forme di vita e quali no a seconda della distanza da una fonte di calore, quale una stella. Alternò secco e umido, caldo e freddo, luce ed oscurità. Da se stesso creò sette emanazioni perfette, sette Arcangeli ognuno dei quali dotato di precise qualità divine: Micha'el, 58
Gabri'el, Uriel, Raphael, Camael, Jophiel, Zadkiel. Ogni Arcangelo emanò schiere di angeli ai loro ordini e al servizio di Dio. Esseri perfetti ed immortali incaricati di vegliare in ogni angolo dell'universo. La vita prese forma e molti pianeti furono popolati da creature diverse: animali, umanoidi, vegetali, minerali, di sostanze e metabolismi diversi. Furono create dimensioni parallele dal basso verso l'alto affinchè lo spirito di ogni essere vivente, dopo la sua morte potesse continuare a vivere e trasformarsi, affinandosi nella salita spirituale fino a diventare luce pura. Molti ricadevano nell'oscurità e altrettanti riuscirono a progredire. Coloro che erano diventati puri, dopo molte reincarnazioni nell'universo fisico attraverso le prove del dolore, incrementarono le schiere angeliche. Essi vivevano alla sommità dell'universo in un'immensa isola di luce chiamata ''L'isola degli Angeli.'' L'isola aveva sette sigilli divini, sette ponti tra l'universo fisico e il mondo spirituale. Erano le sette porte che permettevano agli angeli di uscire dall'isola e spostarsi rapidamente in tutte le direzioni cosmiche alla velocità di un battito di ciglia. Ogni angelo doveva, nel corso della sua permanenza in questo sito, fare qualcosa di veramente grande, compiere un gesto, una prova ultima di enorme valore divino per poter far parte definitivamente della grande luce purissima di Dio. C'era chi aveva salvato pianeti da catastrofiche collisioni. Chi aveva immolato se stesso per salvare stelle che si stavano schiantando. C'era chi aveva guidato interi popoli di umanoidi sparsi in direzioni diversi del cosmo, a preservare la vita sul loro pianeta e chi non aveva permesso alle forze malvagie dell'oscurità di invadere limiti prestabiliti tra luce e abissi. La vita sull'isola non era noiosa come si possa credere. Non c'erano solo angeli che cantavano e altri che pregavano eternamente. Ma ognuno di loro era impegnato nella sua missione senza perdere mai di vista il suo obbiettivo. Tra di loro c'era un angelo chiamato Hagiel. Come tutti gli angeli anche lui era muto, ma Hagiel era la personificazione del silenzio. Colui che detiene tutti i segreti, custodendoli nel silenzio assoluto. Ma anche il silenzio ha la sua voce e per chi lo sa ascoltare è più eloquente di migliaia di discorsi. Hagiel amava sostare nei luoghi dove lo spirito chiamava la sua fonte divina, particolarmente nei luoghi sacri o vicino ai sentieri del pensiero. 59
Lui se ne stava in disparte in mezzo a miriadi di suoni e voci, pensieri che ronzano continuamente nelle menti degli uomini e forze dell'oscurità che soffiano frasi e tentazioni per confondere ed oscurare. Aveva visto un pianeta verde e azzurro che brillava di rara bellezza in tutto il cosmo e ne era rimasto talmente affascinato da voler fuggire dall'isola degli angeli e volare sul quel pianeta fantastico. Oltrepassò le dimensioni più alte passando per gli spazi di confine. Sfuggi alla vista delle guardiane dei sigilli e aggirò le terre della morte dove ogni individuo vivente arriva lasciando il suo stato fisico. Nelle terre della morte vide esseri di tutte le forme provenienti da tutte le parti del cosmo ed ognuno di loro portava per un certo tempo la sua forma originaria che man mano svaniva per lasciar posto ai contorni dell'energia della sua anima. Arrivò sul pianeta dai colori brillanti che era ancora buio. Poco dopo vide spuntare luce rosata da dietro le montagne estendendosi pian piano fino a raggiungere il mare. ''Dev'essere questo che da la colorazione azzurra a questo splendido pianeta,'' pensò tra se. Immerse le sue mani nel liquido sentendone la freschezza. ''Acqua,'' gli fu detto. Si guardò intorno e vide montagne di terra ricoperte di strane e bellissime forme verdi. Si avvicinò ad esse e le piante dissero: '' Alberi, fiori, radici, foglie.'' Sentiva il profumo della terra che permeava la sua energia, l'odore della corteccia, dei petali, dei cespugli, dei ruscelli e del sale marino. Passò attraverso i tronchi e le foglie raccogliendo informazioni e discorsi tra una pianta e l'altra. ''Quanto vociare'' pensò tra sè. Scorse dei bellissimi animali dentro piccole insenature di pietra. Lo guardavano con i loro occhietti ingenui e franchi. Camminò per valli, colline e pianure, giunse vicino a centri abitati dove molti uomini e donne si affaccendavano correndo in strane scatole di metallo con ruote di gomma nere.''Macchine'' sentì. Rumori assordanti da tutte le parti, suoni di clacson, urla ed imprecazioni. Una fittissima rete di pensieri che si intrecciavano come miliardi di fili tra un essere e l'altro. Vide donne dal comportamento scostante ed altero con i visi truccati da colori chimici per apparire più belle e uomini vestiti in abiti scuri puliti che ingannavano altri uomini e donne dietro sportelli con 60
in mano strani biglietti di carta colorata.''Denaro'' pensò. Si accorse che alcuni quadrupedi lo stavano spiando da dietro angoli di costruzioni dove donne arrabbiate sbattevano porte e uomini urlavano bestemmie.''Gatti, cani,''pensò. File di machine interminabili di tutti i colori che sbuffavano gas tossici. Una di loro si scontrò violentemente con altre due, facendo una serie di terribili rumori. Dalla macchina uscirono due donne e quattro uomini che si incamminarono verso di lui guardandolo, ma alle loro spalle apparvero strani esseri mostruosi che li presero per mano e li portarono via mentre questi lo guardavano supplici. Alcuni scesero di livello altri rimasero nello stesso, ma in dimensioni diverse. Intorno alle macchine si radunarono altri uomini e donne, alcuni in divisa scura, altri vestiti di bianco e tirarono fuori corpi schiacciati di due donne e quattro uomini resi irriconoscibili dall'impatto. Si spostò rapidamente in un altro angolo del pianeta e si trovò in una stanza grigia. C'erano uomini in divisa che torturavano altri uomini e donne con ferri e meccanismi sofisticati. Dopo alcune ore di tortura, alcuni di loro morirono. Dietro alle loro spalle uscirono dal niente due creature deformi che presero il loro bottino e una creatura di luce che gli si fermò davanti per un istante guardandolo intensamente negli occhi. Era un angelo dell'isola che l'aveva riconosciuto e si era fermato un momento per salutarlo. Prese per mano il suo passeggero e andarono via. Hagiel sentì il suo cuore stringersi in una morsa di dolore. Continuò a vagare sul mondo ed incontrò malati che urlavano nella sofferenza, carceri piene di solitudine ed emarginazione, barboni che morivano di freddo e fame, uomini e donne pieni di denaro che si vestivano di indifferenza ed arroganza. Vide i demoni dell'egoismo seduti su altari d'oro e diamanti ed eserciti enormi di sudditi che li adoravano ciecamente. Vide guerre di religione, olocausti umani, falsità, inganni, ipocrisia e tradimenti. Guardava negli occhi di tutti quelli che incontrava e vedeva solo due buchi vuoti e neri come l'inferno. Due buchi dove l'anima sarebbe stata strappata da quelle mostruose creature che aveva visto uscire da dietro le spalle della gente. Ma in mezzo a questi vide anche persone con occhi bellissimi e luminosi, occhi pieni di vita dove la luce ardeva e li guidava, attirandosi lo scherno di chi non ce l'aveva, perchè la loro presenza faceva rabbia. Si commosse per averli scovati in mezzo a tanta oscurità. Li raggiunse ad 61
uno ad uno ed ascoltò i loro pensieri puliti e sinceri. Asciugò le lacrime di alcuni, soffiando dolcemente sugli occhi. Entrò negli ospedali, nelle scuole, andò sui campi dove molte persone lavoravano, negli uffici, per le strade e in tutte le case del mondo. La notte si fermava ad ascoltare i sogni, gli incubi, le paure, le gioie. Si emozionava a guardare la gente dormire. Piangeva di felicità davanti a piccoli letti dove erano sdraiati neonati che li guardavano con occhi limpidi. Li aiutava a dormire accarezzando le testoline e appoggiando la sua guancia alla loro. Si chiedeva cosa poteva fare per salvare le persone e non permettere di essere dominati da quelle creature mostruose che li avrebbero portati via una volta morti. Si accorse che non poteva fare niente per aiutarli perchè c'era troppo rumore e lui non poteva farsi sentire. Una notte si sedette in riva ad un fiume e fece un giuramento. Tutti coloro che lo avrebbero cercato nei sentieri del silenzio, li avrebbe aiutati, ma dovevano scoprire la sua silenziosa voce nel profondo dei loro cuori scavando in profondità e guardando dentro se stessi con occhi puliti. Solo in questo modo lo avrebbero raggiunto.
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TUATHA DE DANANN
Isabell seguì il torrente che portava tra le due colline nella Contea di Kerry nel Munster, le ''Dà chìoche hAnann''. L'aria si era fatta fredda e pungente mentre la sera cominciava a scendere tra le ombre scure. A nord c'era l'estuario dello Shannon, ad est il Limerick mentre l'oceano sferzava le sue onde ad ovest. I ragazzi si erano già rifugiati nei pub dove fiumi di birra inebriavano gole e sogni, ma Isabell amava camminare da sola fuori dal paese. Adorava la notte ed il silenzio. Parlava con gli alberi ed i ruscelli, siedeva all'ombra di antiche pietre e ne sentiva le vibrazioni come se le raccontassero storie di un passato perduto. Il suo ragazzo l'aveva lasciata per un'altra donna più matura. Non aveva capito la sua speciale sensibilità che a volte, la portava a rimanere da sola per ascoltare se stessa ed il mondo. Il suo grande amore era l'oceano ed è per questo che nelle giornate piovose, se ne andava sulle spiagge deserte a raccogliere conchiglie bianche, rami scolpiti dal sale e segreti che il mare le regalava. A volte si sentiva un albatros e, aprendo le braccia, le sembrava di volare su quelle onde meravigliose rincorrendo la favolosa isola di Avalon tra le nebbie del tempo e la fantasia. Si sedette davanti ad una grossa ed antica pietra che tutti chiamavano 63
''L'antenata'' e osservò le prime stelle che pian piano spuntavano chiare nel cielo sempre più bruno. Immaginò di vedere un elfo saltare sulle colline con un sacco pieno di stelle e lanciarle in alto come se le seminasse nella sera. Le sembrò di vedere il simpatico Leprechaun col suo copricapo verde e gli stivaletti color corteccia mentre canticchiando tirava fuori dal sacco stelle luminose. Sentì un rumore proveniente dal vecchio sentiero degli scoiattoli. Si girò a guardare e vide la vecchia Dealan-Dè in compagnia del suo gatto con sulle spalle un canestro pieno di legna secca raccolta nel bosco. ''Su Caoit, di buona sera alla signorina, devi essere un cavaliere bel miciotto. Saluta la bella signorina.'' Disse Dealan-Dè passandole vicino. Isabell: ''Buona sera signora, le posso dare una mano per il suo canestro?'' Le propose gentilmente. Dealan-Dè: ''Te ne sarei grata figliola, questa sera è particolarmente pesante. Sarà che il legno è bagnato dalla pioggia di questa notte.'' Le rispose grata. Isabell fece una carezza a Caoit che sembrò apprezzare molto. Si caricò il canestro sulle spalle e si misero tutti e tre in cammino verso l'abitazione dell'anziana signora. ''Perchè te ne stai tutta sola, ai piedi delle due colline. Sei così giovane, dovresti saltare e ridere, andare a ballare e folleggiare, farti corteggiare dai ragazzi che sono sicura cadrebbero ai tuoi piedi.'' Disse la vecchia mentre proseguivano. Isabell: ''Forse in altri tempi i ragazzi erano così galanti, ora quasi neanche ti guardano, sono le ragazze a correre dietro a loro.'' Dealan-Dè: ''E' sbagliato farlo! Gli uomini rimangono sempre gli stessi e loro amano conquistare le donne. Una preda troppo facile viene dimenticata presto.'' ''Non so,'' rispose Isabell guardando altrove. Dealan-Dè era l'anziana più vecchia del paese, non si sapeva quanti anni avesse, ma sicuramente erano tanti. I suoi capelli bianchi erano legati in una crocchia con un retino argento e delle perline avorio. Vestiva sempre di grigio scuro ed uno scialle di lana lungo e nero sulle spalle ossute. Gli occhi di un verde muschiato sembravano nascondere un mistero che aveva sempre affascinato gli uomini. Quando era ragazza era stata molto corteggiata. Più di un uomo ricco l'aveva chiesta in sposa, ma lei aveva rifiutato per amore di un ragazzo dolce e povero. Un giorno partì soldato e 64
non tornò più. Forse era morto, oppure semplicemente si era costruito un'altra vita da qualche parte in Irlanda e di lei non gliene rimaneva più il ricordo. Dealan-Dè non volle più innamorarsi di nessuno. Invecchiò nella sua casetta all'inizio del bosco appena prima della curva del torrente. Arrivarono davanti alla casa di mattoni e legno con una verandina davanti e due colonne a tortiglione di legno bianco su cui era intrecciata l'edera sempreverde. ''Vuoi entrare a farmi un pò di compagnia? Ti ringrazierò facendoti un tè buonissimo di gelsomino e lavanda che farà andar via tutta la stanchezza.'' Isabell la guardò teneramente stupita,''ne sarei davvero lieta, la ringrazio Signora.'' Dealan-Dè: ''Chiamami con il mio nome Dealan-Dè, vuol dire 'signora delle farfalle' o semplicemente farfalla,'' rise. Isabell: ''Dealan-Dè, farfalla'' disse tra se,''che bellissimo nome! Un nome magico come Avalon o Cailleach!'' Entrarono dalla porta di legno con una finestrella di vetri color arcobaleno in alto. L'anziana signora la fece accomodare su una morbida poltrona color acero davanti al camino acceso mentre lei sistemava la legna già tagliata precedentemente in basso, di fianco al camino. ''Ora ti farò un tè miracoloso zuccherato con il miele degli Dei. Me lo regalano le api il giorno di Beltane lasciandolo in un vasetto che lascio tutta la notte fuori dalla finestra della mansarda.'' Le disse ridendo. Isabell era molto affascinata dall'anziana signora e dalla sua casa molto strana, come se l'avessero costruita gli gnomi di un racconto fantastico. Si guardò intorno. C'era un tavolino di legno intagliato con sopra una tovaglietta dai bordi di merletto color perla. Una bellissima lampada di bronzo alimentata ad olio. Due poltrone davanti al camino, uno specchio con la cornice dorata sul camino e due candelabri in bronzo dorato con candele verde chiaro. Una scala in legno portava sul piano superiore ed un tappeto lungo copriva i gradini fin sopra all'ultimo pianerottolo. C'erano dei rametti di lavanda ai quattro angoli della stanza e dei vasi da fiore di vetro rosa sul tavolo al centro della sala e su un'angoliera di legno di quercia. Le tende alle finestre erano di un bel verde chiaro quelle pesanti e rosa chiaro quelle leggere. La cucina era nella sala divisa da un piccolo muretto che creava un angolo cottura. Dealan-Dè mise il bollitore sul fuoco del camino e preparò le erbe nella 65
teiera: gelsomino, lavanda, verbena e scorza di limone grattugiata. Preparò un piccolo tavolino di legno scuro tra le due poltrone e sul ripiano ci mise la teiera, un piccolo vassoio con dei biscotti speziati, due tazze grandi di porcellana color crema e il vasetto del miele di Beltane. ''Non pensare più a lui, non ne vale più la pena,''le disse guardandola profondamente negli occhi con tenerezza. ''Ha scelto la sua strada tra le mille che gli si sono parate davanti, per te c'è altro. Tu sei speciale, forse Dio vuole mostrarti qualcosa di meglio nella tua vita.'' Le disse Dealan-Dè. Isabell la guardò stupita. Le sembrò che in quel momento avesse letto i suoi pensieri. ''Ogni tanto mi ritorna in mente. Le sue parole, il suono della sua voce, le sue mani. Forse non sono stata una brava ragazza e lui ha scelto di meglio per se.'' Dealan-Dè: '' Oppure non ha saputo vedere la brava ragazza e ha scelto di peggio. Non fartene un cruccio, quello che non è presente nella nostra vita è inutile inseguirlo, vuol dire che non ci apparteneva e se lo avessimo voluto ad ogni costo ci avrebbe fatto solo male.'' Il bollitore si mise a fischiare ed il gatto saltò sulle ginocchie di Isabell strusciandosi sulle braccia e sul seno. ''Ti ha scelta, le sei simpatica,'' rise l'anziana. ''Caoit.......non dare fastidio alla nostra ospite, scendi e vai sul tuo cuscino!'' Gli disse in tono tra l'autoritario ed il comico. Isabell: No no lo lasci pure qui, è così bello e morbido. Mi piacciono i gatti!'' L'anziana verso l'acqua bollente nella teiera dove sul fondo erano state messe le erbe essiccate e coprì con una pezzuola pulita. Dealan-Dè: ''Gli uomini sono strani. Sembra che nella vita inseguano un sogno, un'idea che credono di scovare in ogni donna che incontrano ed ognuna di loro diventa un pezzettino di quel sogno. Non sono delle cattive persone ma cadono spesso nelle menzogne che essi stessi tessono per giocare con la vita.'' Il gatto mosse la coda e colpì un piccolo campanellino d'argento legato ad un cordino che pendeva dalla mensola del camino. L'anziana signora versò il tè nelle tazze e ne porse una a Isabell. Isabell: ''Ti ringrazio Dealan-Dè, sei gentilissima!'' Bevve a piccoli sorsi. ''Metti un pò di miele sarà più buono te l'assicuro,'' le disse l'anziana 66
porgendogli il piccolo mestolino di legno. Isabell intinse il mestolino e lasciò cadere il miele nella tazza. Con un cucchiaino d'argento mescolò il tè e ne bevvè un sorso. ''E' fantastico, veramente buono, un gusto divino!'' ''Già …..come se si accendesse una favola davanti agli occhi,'' le rispose l'anziana sorridendo bonariamente. Dopo qualche minuto Isabel si sentì leggera come un uccello che plana sulle onde del mare. Aveva la sensazione di volare e come se i suoi occhi si aprissero su meravigliosi giardini fioriti dove l'aria era dolce e profumata. Dealan-Dè la guardò dolcemente. Battè le mani tre volte e decine di farfalle multicolori uscirono da quei battiti e volarono intorno a Isabell. Dalle fiamme del camino uscirono piccoli rami di edera che s'intrecciarono come in una danza e formarono un cancello che si aprì e lasciò passare le farfalle. Isabell si sentì camminare tra quelle fiamme che non bruciavano, tra rami di edera e biancospino con al fianco Dealan-Dè e Caoit. Passarono per una piccola cascata d'acqua pura intorno ad un torrente e si ritrovarono su una delle due colline dove prima Isabell era seduta a pensare. Al posto del paese in lontananza c'era un villaggio di capanne in legno e pietra. Nel mezzo della collina c'era una grossa pietra con un fuoco che bruciava sopra. Davanti alla pietra, tre uomini vestiti con un'ampia veste bianca ed un cappuccio in testa, le braccia alzate e le mani con i palmi in alto, mormoravano qualcosa. ''Quello al centro è Brian, quello di destra è Luchar e l'altro è Lucharba,'' disse l'anziana indicandoglieli. '' Quello è il villaggio dei Tuatha dè Danann figli di Nemed. Loro custodiscono i quattro tesori dei Tuatha: La spada di Nùada ( la vittoria), la lancia di Lugh ( la gloria), il calderone di Dagda (la saggezza) e la Lìa Fàil, la pietra del destino ( la conoscenza).'' Isabell si avvicinò al fuoco e le parve di vedere una spirale che girava all'interno delle fiamme. Dealan-Dè: ''Quello è l'universo dove tutto fluisce e si consuma. Non c'è niente di permanente, tutto si trasforma nasce e muore per poi rinascere e rimorire.'' Isabell: ''Chi è quella donna che fila al centro della spirale?'' Le chiese. Dealan-Dè: ''Lei è Danu, la Madre Suprema dei Tuatha dè Danann, colei da cui esce la vita e ritorna.'' In quel momento un corvo bianco volò basso posandosi sulla spalla destra 67
di Isabell. I suoi occhi neri e profondi furono come una finestra su un mondo sconosciuto dove il tempo scompariva in un raggio di luna. Dealan-Dè: ''Ti sta dicendo di imparare dalla profonda delusione che ti fa tanto soffrire e di lasciarla andare per sempre. Ormai non ti serve più. Ti dice di imparare dalle lezioni del passato ma senza aggrapparti ad esse. La vita è l'eterno conflitto tra gioia e dolore, vita e morte ed è inutile cristallizzarsi in una delle due parti perchè tutto si compenetra e passa oltre. Chiudi gli occhi, apri le braccia e immagina di volare con lui verso la luna. Lascerai il tuo fardello in basso facendolo cadere nel fuoco. Non aver paura di farlo andare.'' Isabell aprì le braccia, respirò profondamente e chiuse gli occhi. Immaginò di volare con le ali del corvo bianco. Le sue braccia diventarono piume morbide e sentì il vento accarezzargli il viso mentre saliva in alto. Delle lacrime scesero dai suoi occhi chiusi, ma quanto più scendevano più si sentiva leggera e felice. Sentiva le stelle brillare accanto a se e le voci di Brian, Luchar e Lucharba che la guidavano in antico gaelico negli abissi della notte. Sentiva suoni di cristalli e profumi di acacia sul suo viso. Poi niente più. Una voce la chiamava da lontano. Sentiva il suo nome riecheggiare nelle orecchie. Qualcuno la stava chiamando, sentiva....Isabell.....Isabell....sempre più vicino. Tre battiti di mano e si svegliò sulla poltrona color acero. ''Ti sei svegliata allora, dormigliona,''le disse dolcemente Delean-Dè. Isabell aprì gli occhi e vide il bel viso rugoso della vecchietta che la guardava con un sorriso gentile proprio davanti a se. Isabell: ''Ma cosè successo? Dove sono?'' Chiese confusa. Dealan-Dè: '' Sei a casa mia! Ti sei addormentata sulla poltrona e non ti ho voluta svegliare per non disturbarti. Dormivi così bene!'' Isabell: '' Ma che ore sono?'' Dealan-Dè: ''Sono le nove e un quarto del mattino. Hai dormito come un angioletto per ben undici ore. Niente male direi.'' Isabell si sentiva stranamente felice, il suo cuore non aveva più nessun macigno che l'opprimeva. Si toccò al centro del petto e le venne da ridere di gioia, era felice. Dealan-Dè. ''Sorridi mia cara ragazza, sei così bella e l'amore aspetta ancora il tuo cuore. Fa che sia un sole caldo e bellissimo.'' Le due donne si guardarono per un istante, tra di loro c'era una grande 68
magia, un filo magico che le univa come un ponte segreto. Isabell ringraziò la vecchia signora abbracciandola e baciandole le guance. La salutò promettendole di venirla a trovare presto. Erano diventate amiche e la sua compagnia le dava un'immensa gioia. Lasciò la casa di Dealan-Dè con l'anima colma di freschezza e s'incamminò verso il paese. Ormai era giorno, ma un giorno diverso dagli altri che aveva vissuto prima.
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LA SIGNORA DELLE VOLPI
Giorni solitari nelle campagne scozzesi. Notti misteriose dalle Highlands fin gi첫 alle pianure. I boschi sulle pendici delle montagne, i laghi incantati di natura selvaggia. Il silenzio scivola come velluto sui prati verdi e sulle rocce coperte di muschio e licheni. Le amate betulle dai tronchi argentati sembrano riflessi di luna trattenuti sulla terra, mentre i raggi del sole diventano pirite e quarzo ialino tra nelle vallate. Le chiese di paese suonano i vespri, nell'alone celtico dell'antica religione pagana dei druidi e delle fate. Bride la signora del fuoco, Beira la madre dell'inverno intente a preparare le stagioni per dare nuovi colori alla vita. Nelle terre del nord, antiche fortificazioni di pietra a testimonianza del passato, diventano il simbolo di un'unione collettiva, anima del paese. 70
Gàidhealtachd ( Gàidhlig) letteralmente lingua gaelica scozzese, è la regione in cui ci sono ancora radicate le tradizioni celtiche che richiamano i celti d'irlanda. L'oceano picchia forte le sue onde sulle coste frastagliate dove si narra di naufraghi comparsi durante la notte e dissoltisi all'alba. I fantasmi della Scozia legati alle loro dimore, i castelli stregati, i luoghi dove si dice che uno spirito abbia danzato tutta la notte sul corpo di un uomo addormentato. Sionnach abitava in una vecchia torre una volta utilizzata come fortezza, poi come piccionaia e per l'occorrenza ristrutturata per gli uomini. Si era trasferita in Scozia per lavoro come insegnante di fisica. Era stata sposata un tempo. Il suo matrimonio durò trent'anni prima che Logan, suo marito, volasse in cielo. Si erano amati tanto in uno slancio totale, perchè il vero amore riconosce l'altra sua metà e la ama fino in fondo. Ogni tanto Sionnach apriva i cassetti dove teneva le cose personali di Logan, le prendeva e le teneva tra le mani come per sentire ancora il calore di suo marito dentro di sè. La gente non ama la compagnia delle persone malinconiche. La gente non vogliono ascoltare i silenzi degli altri, nè guardare dentro gli angoli del cuore, quelli dove si nascondono lacrime e dolore. Così Sionnach preferiva frequentare poco e starsene più tempo da sola a scrivere storie per bambini. Aveva lasciato l'insegnamento da anni ed ormai si dedicava solo alla cura del suo orto che coltivava intorno alla torre. Le facevano compagnia i suoi gatti e le galline. La solitudine era la sua vera amica che divideva nelle notti di luna piena quando tutto l'oceano diventava una grande distesa d'argento. I corvi nidificavano tra le merlature ed i gufi le cantavano dolcissime ninne nanne. Le stagioni si alternavano passando dalla neve dell'inverno, ai colori brillanti della primavera, al sole ridente dell'estate. Una volta alla settimana scendeva ad Inverness risalendo il fiume Ness che guardava dal finestrino della sua utilitaria. Immaginando di volare come un'aquila sfiorando le acque freschissime del fiume e bagnare le piume delle sue ali da rapace. In quelle occasioni si fermava e prendere il tè con le amiche, sempre più indaffarate nei pettegolezzi e nei vezzi che una città offre agli spiriti femminili particolarmente loquaci. Malina era una sua vecchia amica di Edimburgo, anche lei trasferitasi da 71
quelle parti per lavoro e trapiantatasi in città per esigenze di famiglia. Loro due erano andate sempre d'accordo, avevano litigato giusto una volta per la marca di un pacco di caffè ma per il resto erano quasi identiche. Erano passati tanti anni, la sua bellezza era sfiorita ma rimaneva ancora una donna molto piacente. Sionnach vestiva in maniera pratica ma curata, non amava l'eccesso, come non amava i gioielli e le civetterie. Non era mai riuscita ad avere fede in Dio. Si considerava maledettamente atea, però l'affascinavano le credenze di strani spiriti nei boschi, vicino le fonti e lungo i fiumi. Una notte non riusciva a prendere sonno. Si alzò dal letto dalla spalliera in ferro batturo verde chiaro, si avvolse in un ampio scialle di lana color muschio e scese giù a prendere un bicchiere di latte in cucina. Lo scacciaspiriti tintinnava forte fuori dalla porta, si stava scatenando un temporale mentre l'oceano ruggiva in una tempesta violenta. La torre di Sionnach era in cima ad una rupe su un'alta scogliera. Si raccontava che in quella torre un giovane soldato s'innamorò di una fata e per lei divenne pazzo andando a cercarla tra le onde del mare. Accese due candele in sala e una in cucina. Si preparò il bicchiere di latte. ''Domani pioverà a dirotto tutto il giorno,'' disse ad alta voce tra sè. ''Grigetto! Vieni a fare compagnia alla mamma,'' disse rivolgendosi al suo gatto preferito disteso sul tappeto marrone, davanti alla stufa accesa. ''Come sei bello piccolino mio!'' Disse prendendolo in braccio strofinandosi una guancia sul muso del gatto. Grigetto lo aveva raccolto lungo la stradina che portava giù in pianura ed era piccolo come un topolino. Lo aveva allattato prima con una siringa e dopo con un piccolo biberon. ''Semolaaaa!'' Chiamò Sionnach con sguardo furbò. Semola era il suo cagnolino dal pelo corto color semola per l'appunto, Il cane aveva l'abitudine di nascondersi sotto la poltrona della padrona e rimanere in ascolto per poi saltarle addosso all'improvviso. ''So che sei qui sotto, esci sù!'' Disse in tono di scherzoso rimprovero. Semola uscì lentamente con la coda tra le gambe e la testa bassa, era seccato che lo aveva scoperto. ''Vieni qua Semolino che ti stropiccio un pò.'' Gli fece delle carezze sulla testa e sulle spalle. Gli altri due gatti preferiva tenerli fuori in una casetta di legno dalla porticina ruotante. Una piccola costruzione a due metri dalla torre, 72
sempre pulitissima e calda per l'inverno con tanta paglia dentro e soffici coperte di lana. Si chiamavano Scricciolo e Pupetta. Sentì un lamento provenire da fuori, sembrava un urlo di dolore umano confuso con i fischi del vento e il rumore dell'oceano che sbatteva contro la scogliera sottostante. Gli animali drizzarono le orecchie rivolgendosi verso il rumore percepito. Semola andò vicino alla porta abbaiando. Sionnach lo chiamò a sè mentre si avvicinava alla porta. ''Mi è sembrato di sentire un lamento d'uomo, lo avete sentito anche voi?'' Chiese ironicamente ai suoi amici. Spostò la tendina della finestrella della porta e sbirciò fuori. Non si vedeva nessuno, era tutto buio. Aveva cominciato a piovere forte ed il vento emetteva dei fischi che sembravano voci umane. ''State buoni è il nostro amico vento, ci sta raccontando le storie del mare. Il vento conosce tante cose e nelle nottate di tempesta le racconta a noi che non sappiamo niente o molto poco degli altri paesi.'' Una forte folata di vento spalancò la porta sbattendola contro il muro rivestito di legno chiaro. ''Oh Maria,'' disse Sionnach,'' è proprio forte questa bufera!'' Si avvicinò alla porta e oltrepassò la soglia uscendo fuori sul pianerottolo della scala in pietra che scendeva giù al pianterreno. Guardò in basso e le sembrò di vedere un qualcosa di piccolo che si muoveva tutto bagnato con gli occhietti fosforescenti. ''Pupetta! Scricciolo siete voi?'' chiamò ad alta voce. ''Ma no, sono dentro casa, li ho fatti entrare io stessa prima di andare a letto, ''disse a se stessa. Guardò meglio, la cosa si era nascosta sotto la parte retrostante della scalinata. Si vedevano solo gli occhietti che luccicavano. ''Oh Gesù, e se fosse qualche animaletto del bosco che si è perduto? Devo andare a vedere!'' Prese un ombrello e scese di corsa. Andò a vedere sotto la scalinata e trovò un cuccioletto tutto bagnato che si era raggomitolato su se stesso. Tremava dal freddo e sembrava affamato. Sionnach lo prese in braccio ma questi si dimenava per sfuggirle. ''Ma sei un cucciolo di volpe! Sei bellissimo!'' Decise di prenderlo e tenerlo in casa almeno per quella notte. Lo prese da dietro al collo e risalendo le scale, entrarono in casa 73
chiudendosi la porta alle spalle. ''Figlioli, abbiamo un ospite del bosco stanotte! Vi presento un volpacchiotto,'' poi guardando meglio,''Asp, una volpachiotta!'' Semola le si avvicinò scodinzolando mentre i gatti le soffiarono e se ne andarono nell'altra stanza. La volpacchiotta ringhiò e si mise sulla difensiva. Sionnach: ''Non ti devi innervosire, loro sono amici, io ti sono amica.'' L'animale si diresse verso la porta dando testate per uscire. Sembrava avesse paura di essere chiusa li dentro. Dopo qualche minuto si calmò e si distese sul tappeto marrone davanti alla stufa. Sionnach: ''Devi essere affamata, ora ti porto un pò di latte e del prosciutto.'' Riempì una scodella di latte ed un piattino con del prosciutto ed avanzi di carne della cena e li lasciò a distanza, sul pavimento. La piccola volpe si avvicinò circospetta, molto lentamente. Sentì l'odore del cibo e mangiò di buona lena. Da quella notte la volpe diventò una abituè della torre. Gli altri animali non legavano particolarmente con lei, soprattutto i gatti. Sionnach chiudeva bene le galline nel pollaio sapendo quanto se le filano le volpi. Nacque una bella amicizia tra Sionnach e la volpe, che cresceva a vista d'occhio. Un giorno la volpe la attirò nel bosco, e avanzando davanti a Sionnach, la portò in un punto del bosco inoltrato in mezzo a rocce alte e alberi fittissimi. Dopo qualche minuto vide tanti musetti spuntare da piccole cavità sotto i tronchi e nelle rocce. Erano altre volpi e tane ben nascoste. Sembrava un piccolo villaggio di volpi sparse in una radura selvaggia lontano dagli occhi degli uomini. ''Ed io vi ho tenute sotto il naso per tutto questo tempo e non me ne sono mai accorta?'' Disse felicemente sorpresa a tutte loro. Alcune volpi erano reticenti a si nascosero di nuovo, altre la osservavano a distanza. Quando Sionnach provava ad avvicinarsi a loro, queste scappavano nascondendosi dietro ai tronchi. Passò l'intero autunno. La natura cominciò a prendere i colori scuri dell'inverno. La neve aveva coperto la terra col manto soffice e bianco. I biancospini erano rigogliosi vicino alla torre. Le volpi non erano nient'affatto aggressive con gli animali di Sionnach. Sembrava che lei 74
avesse meritato la loro fiducia. Andavano a trovarla spesso e lei andava a trovare loro nel bosco portando da mangiare. Adorava guardarle mentre giocavano con i volpacchiotti o mentre litigavano tra loro facendosi le lotte, poi tutto ritornava normale. Aveva notato che la saggezza delle volpi andava al di là del puro istinto animale. Era qualcosa di più profondo legato alla libertà, alla mancanza di vincoli e di forzature. Gli animali le avevano insegnato molte cose. Le avevano insegnato il vero rispetto per la vita e il significato profondo dell'amore universale. L'inverno era molto duro, era arrivato in anticipo. Anche quella notte l'oceano era in tempesta. Faceva dei ruggiti come un leone inferocito, ma Sionnach amava quelle voci intense, le voci della natura. Chiuse bene le finestre e mentre stava per chiudere la porta, Semola scappò passandole da sotto le gambe. 'Semola!'' gli urlò dietro Sionnach,''vieni qui testone di un cane stupido!'' Il vento era fortissimo e stava piovendo a raffica. ''Cavolo!'' Disse stizzita. Prese una mantellina e uscì per andare a prendere il cane. Semola si era allontanato dalla torre ed era andato verso la fine della rupe. ''Semola, porca miseria vieni qui non ti buttare di sotto!'' Il cane si fermò un attimo a fissarla. Girò la testa dall'altra parte e cominciò a scendere la scogliera. ''Semolaaaa!'' Urlò di rabbia e paura Sionnach. ''Quando ti prendo ti sculaccio!'' Sbottò. Corse verso la fine della rupe e cominciò a scendere la scogliera. Ogni tanto si fermava per vedere Semola dove era finito. Il cane spariva e appariva in mezzo alle rocce. ''Semola!'' Continuava a chiamarlo. L'oscurità le impediva di vederlo bene, riusciva a scorgerlo attraverso i lampi dei fulmini che squarciavano il cielo illuminandolo improvvisamente. ''Semolino se ti prendo ti metto con le patatine nel forno ed un limone su per il culo!'' Disse in un moto di stizza. Le onde dell'oceano erano violentissime e si infrangevano sulla scogliera come se volessero spaccarla. Il cane si fermò ad una certa distanza dall'acqua ed abbaiava fissando un punto nell'oscurità. ''Che cazzo ti abbai che non c'è niente, che ti abbai stupido!'' 75
Gli si fece vicino e si curvò per prenderlo. Lui si divincolò e ricominciò ad abbaiare fissando un punto invisibile nell'oscurità nel punto in cui le onde sbattevano sulla scogliera. ''Dobbiamo stare qui tutto il tempo? Dobbiamo prenderci la pioggia tutta la notte? Guarda, non c'è niente!'' Disse rabbiosa al cane. Ad un tratto sollevò lo sguardo e una figura con gli occhi splancati e la bocca aperta lo stava fissando. La strana figura emise un urlo agghiacciante come se provenisse dalle viscere dell'oceano. Sembrava un uomo, lo spettro di un uomo. Sionnach si senti gelare il sangue. Rimase immobile per un tempo che le sembrò infinito con gli occhi sbarrati ed il cuore che le batteva velocemente. La figura la fissava attraverso le onde che si scagliavano attraverso schiantandosi sugli scogli. Gli occhi erano vitrei e senza vita ma la guardavano come se fossero dei fari impietosi. Semola si nascose dietro Sionnach mentre lo spettro avanzò verso di loro senza distogliere lo sguardo. Sionnach sentì un freddo d'oltretomba entrarle nelle ossa inchiodate al suolo incapace di muovere un passo. Si dice che le anime delle persone morte in mare quando appaiono vanno via solo se riescono a prendere un essere vivo e portarselo nelle acque per sempre. La donna prese Semola e lo strinse nelle sue braccia. Una strana forza spingeva sia lei che il cane verso il fantasma che continuava ad emettere urla terrificanti guardandoli fissi. All'improvviso qualcosa saltò da dietro le spalle di Semola e Sionnach. La volpe che prima dell'autunno era andata a trovarla in una notte di tempesta, si getto rabbiosa ai piedi dello spettro. Ringhiavano entrambi come se l'uno riconoscesse l'altro e non si toglievano gli occhi di dosso. A sionnach sembro di vedere una donna accovacciata per terra al posto della volpe ed un bellissimo soldato al posto dello spettro. Vide il soldato che piangeva in cima alla scogliera e chiamava un nome che riecheggiava nelle notti solitarie. Lo vide vagare per i boschi e poi gettarsi dalla rupe non lontano dalla torre. Lo spettro non guardava più lei ed il cane ma solo la donna accovacciata tra loro due ed il fantasma. Sionnach ebbe il tempo di vedere la volpe che la guardava dolcemente poi spicco un salto verso il fantasma e con un urlo lacerante sparirono entrambi nelle onde per sempre. La donna rimase atterrita da quello che aveva visto. La sua piccola volpe 76
si era sacrificata per salvare lei e Semola. Le lacrime le scesero calde sul viso, girò le spalle con il cane in braccio e lentamente s'incamminò verso casa.
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ELFI
Il druido della notte, prese il bastone appoggiato al muro. Lo guardò a lungo. L'edera d'oro intrecciata lungo l'asta, la testa di cervo alla sommità ed in mezzo alle corna un grosso smeraldo incastonato a forma di sfera. Uscì dalla sua capanna di legno. Le stelle si erano versate nella notte. Gli antichi frassini sussurravano i segreti del tempo mentre tra le foglie spuntavano i nuovi germogli della vita. Si fermò a due passi dalla porta per godersi l'aria fresca. Dilatò le narici per respirare l'odore delle felci e del bosco. Sentiva l'universo scorrergli dentro come se l'anima si nutrisse del vento e del silenzio. Si inginocchiò sulla terra nuda. L'erba cresceva sotto le sue gambe. Baciò le tenere foglioline che uscivano alla vita come se fossero figlie della stessa madre. 78
La primavera esplodeva di giorno in giorno su prati, colline, montagne e pianure. Ogni piccolo particolare assumeva una sfumatura nuova d'ineguagliabile bellezza. Attraversò il piccolo ponticello di pietra che sovrastava il ruscello. Il muschio aveva coperto il dorso delle pietre grigie con piccole macchie di licheni argento e giallo bruciato. Madre Natura si prendeva cura di tutte le sue creature dalla più piccola alla più grande, senza eccezzione alcuna. Il druido allargò le braccia per abbracciare tutta l'armonia che il suo sguardo copriva riempiendosi il cuore di dolce beatitudine. Una civetta ed una lepre s'inseguirono tra i tronchi saltellando sotto ai cespugli dei biancospini. Le robinie si cullavano alla tenerezza della melodia notturna nell'immobilità apparente della sera.. ''Miei cari fratelli, mie amate sorelle,'' disse il druido sfiorando la corteccia degli alberi. Le sue mani si appoggiavano come carezze delicate percependone le vibrazioni del mondo vegetale. ''Mie cari germogli, dolcissimi fiori,'' sospirò. Era andato via dalle città di vetro, ferro e cemento, così assurde e fredde. Aveva scelto una vita ritirata nei boschi sulle montagne per stare a contatto con gli elementi, puri e naturali nella loro divina bellezza. ''Graziose fanciulle bagnate di rugiada,''disse toccando ciuffi di lavanda con la punta delle dita. Non riusciva a pensare in quelle case di mattoni e plastica. Nella sua capanna mancava l'elettricità, non c'era la televisione, nè l'acqua calda, ma aveva tutto quello che gli serviva, la natura. Recitò la formula di ringraziamento della sera. Si abbandono nella preghiera come un mantra dal suono pieno d'amore. L'acqua dei ruscelli gli rispondeva, la terra gli era madre, il fuoco ardeva dentro di sè, l'aria vibrava nei suoi polmoni. Una notte aveva sentito bisbigliare durante il sonno. Li sentiva presenti anche durante il giorno ma non gli si mostravano ancora. Forse non si fidavano abbastanza di lui, ma sapeva che prima o poi sarebbe successo. I piccoli esseri dal berretto verde, bellissimi incantatori dal visetto buffo. Gli elfi. Erano nati dai raggi del sole e dalle lacrime della luna. Si nascondevano nei boschi e nelle foreste, dentro i tronchi degli alberi e tre le rocce, ma 79
non li aveva ancora incontrati. Il loro regno fatato si chiamava Alfheimr, dove sorge il sole. Esseri di luce pura, dall'anima dolce come il miele. Alfheimr, regno dei segreti dell'amore come petali di milioni di fiori che si lasciano andare alla poesia dello spirito della natura. Oramai la sua giovinezza era andata via tra studi e ricerche, rotoli e pagine di libri, ingialliti dal tempo. Non aveva mai disperato di incontrarli, i graziosi figli dei fiori e dei cespugli. Guardiani degli elementi sempre pronti a curare e proteggere ogni singola pianta, ogni radice, con la sapienza della magia, insita nel loro soffio vitale. Mormorò degli incantesimi per cullare le piante anziane nel dolce mondo dell'oblio. ''Vecchi saggi,'' disse rivolgendosi ai centenari alberi dall'aspetto dignitoso e rugoso.'' Sapienti demiurghi della conoscenza e della pazienza.'' Toccò i nodi e i punti doloranti dei forti tronchi possenti. Diede loro sollievo e serenità nella vecchiaia. Parlò con l'edera innamorata dei frassini e degli abeti. Arrampicatasi fi sui rami in cima alle fronde. '' Non essere possessiva cara edera! I nostri amici apprezzano il tuo amore per loro.'' Le falene volavano intorno ai fuochi fatui sprigionati dalla terra umida. Centinaia di lucciole verdi illuminavano i passi del druido come in un bosco fatato. ''Le Signore dell'acqua rinfrescheranno radici ed arbusti. Nuovi semi si preparano a germogliare. Il cuore della vita pulsa sotto il manto umido della Madre, tutto procede.'' Sussurrò Due occhi fosforescenti fecero capolino da dietro un agrifoglio. Il vecchio saggio percepì la gradita presenza ma fece finta di ignorarla. ''Nel paese degli elfi c'era uno gnomo brontolone puntò il dito contro il vento si sentì tirare per un calzone. Chiese chi fosse il furfantello non rispose nessuno dalle spalle gli volò il mantello inseguendo una scia di fumo.'' 80
''Non ci sono gnomi tra gli elfi, non ci sono gnomi!'' Sentì una vocina che ripeteva sdegnata. ''Se ne accorse dopo un pezzo di aver sbagliato strada lo gnomo prese una piuma di struzzo e la intinse nella cioccolata. Chi mi ha preso per il naso? Urlò al vento alle sue spalle che sembrava non farci caso giocando a dadi con le stelle.'' Continuò il druido fingendo di non sentire. ''Non ci sono gnomi tra gli elfi....non ci sono gnomi!'' Ripeteva qualcuno nascosto tra le piante. L'uomo si sedette su una roccia per riposarsi dalla stanchezza. 'Ahh sono troppo vecchio per andare nei boschi di notte!'' Si tocco la fronte e si strinse nella tunica, tirandosi sulla testa l'ampio cappuccio marrone. I grilli cantavano nelle piccole tane, le ranette gracidavano più in là, vicino allo stagno. Il vecchio riprese in mano il bastone e lo smeraldo si accese di un verde sfavillante. ''C'è un folletto vicino a me,'' pensò. I folletti sono bravi a nascondersi alla vista degli uomini, in virtù delle arti magiche di cui sono maestri. Prese una nocciola caramellata dalla tasca della tunica e fingendo distrazione, la fece cadere sulla roccia davanti a se. Fece finta di chiudere gli occhi lasciandoli socchiusi e tra le ciglie vide qualcosa di estremamente veloce che rubò la nocciola da sotto il suo naso. Attraversarono la radura delle lepri. L'odore della linfa delle querce secolari lo mandava in estasi. Si fermò sotto ''L'anziana,'' la quercia più vecchia del bosco, a riprendere fiato. Il folletto tirò la manica del druido incappandola velocemente ad un ramo, ma così facendo fece cadere a terra il suo copricapo. Il vecchio lo vide e lo raccolse col bastone. Si dice che se si riesce a togliere il copricapo di un folletto, costui pur di riaverlo rivelerà qualsiasi segreto gli si chieda. '' Mi fai vedere il tuo grazioso faccino,'' disse l'anziano signore. 81
Il folletto non rispose. ''Bello questo berrettino, ne farò un sacchetto per le mie erbe,'' sghignazzò il vecchio. ''Non ci pensare neanche per scherzo. Ridammi il mio copricapo!'' Rispose sdegnato il folletto. Druido: '' A patto che tu risponda a qualche mia domanda, il copricapo ti sarà restituito.'' Folletto: '' E se io non lo facessi?'' disse rimanendo nascosto. Druido: '' Il sacchettino per i semi di betulla l'ho già bell'è pronto!'' Ridacchiò. Il folletto uscì da dietro una foglia di felce, parandosi davanti impettito. ''Provaci e io lego i ciuffi della tua barba, l'uno con l'altro!'' Druido: '' Ah ma sei carinissimo, tutto pelatino con due ciuffi sulla testa ed il pizzetto caprino!'' Disse guardandolo stupito. Folletto: '' Sono diversamente bello, ecco tutto!!!'' ''Gli occhietti grandi e obbliqui, il nasino con le efelidi, la bocca di susina e le mani di un pulcino,''continuò il vecchio. Folletto: '' Ti ci vogliono le lenti, non ci vedi bene, di sicuro. Io sono piccolo ma ben fatto, un figlio dei boschi dal muso duro.'' Druido: '' Io me ne vado a dormire.'' Folletto: '' No aspetta,'' disse tremante.'' Non puoi lasciarmi senza berretto diventerei lo zimbello del bosco, non aver fretta.'' Druido: '' Fammi vedere il sentiero nascosto, illuminato di stelle e raggi di luna. Portami nel regno con passo lesto, tra mille fiammelle della fortuna.'' Folletto: '' Butta tre nocciole ai piedi del tasso ed una noce a tre cerchi sulle radici dell'anziana. Dei ciottoli del ruscello prendine un sasso, insegui il volo della falena.'' Detto questo il folletto saltellò sui rami di un nocciolo e ne fece cadere i frutti. Salì velocissimo su un noce e ne raccolse una a tre cerchi. Sparì per un istante e ricomparve con un sasso bianco di ruscello. Druido: '' Bravo compagno della selva, un giro intorno al frassino tiene distante qualsiasi belva.'' Il vecchio fece come le aveva detto il folletto. Arrivato davanti alla grande quercia, buttò la noce sulle radici. Si aprì una fessura al centro del tronco, grande come un passaggio segreto. Apparve una valena d'oro che volò dentro l'insenatura facendo da 82
guida. ''Stelle, stelle magiche fiammelle lucciole del destino nella notte ancor più belle.'' Cantò il druido attraversando il passaggio. Il folletto gli era saltato sulla spalla destra e brontolando tra un passo e l'altro, cercava di riprendersi il copricapo di soppiatto. Camminarono sotto al letto del fiume, ne sentivano scorrere l'acqua limpida al di sopra delle loro teste. Arrivarono in fondo al passaggio e videro un giardino immenso aprirsi dentro una nuvola di luce rosata. ''Questa è la porta dell'Aurora, rosea fanciulla dal seno di rugiada,''indicò il folletto. I salici ondeggiavano in una brezza freschissima, i villaggi degli elfi erano su dolci colline di margherite e soffioni. Tra un villaggio e l'altro c'erano dei ponti di cristallo che li univano e uccelli dalle piume multicolori e d'argento volavano su torri d'avorio. Una statua di Isha, la Grande Madre elfica risplendeva in mezzo a campi di grano dorato e tre lune ruotavano nel cielo alternando i giorni e le notti. ''Grazie Madre della Natura, mi inginocchio a te, tuo devoto servo,'' disse emozionato il druido. Da bambino stava per cadere in un burrone quando sentì dietro la schiena una mano che lo sorresse. Gli sembrò di udire una dolcissima risata che svaniva nel vento. Si ritrovò poco lontano dal crepaccio disteso sull'erba. Quel giorno vide un libro in biblioteca che parlava degli elfi. Ne era sicuro, erano stati loro a sorreggerlo per non farlo cadere. Da allora studiò la natura delle erbe, i modi d'impiego delle proprietà, il ciclo delle stagioni e i misteri della vita e della morte. Pregava la Madre Terra per i buoni raccolti e la luna, sorella della notte. Suo padre le aveva regalato una bacchetta di nocciolo intagliata per lui durante la festa di Samhain. Se ne andava spesso nei boschi fuori dalla città per sentire le vibrazioni del mondo. Appoggiava l'orecchio per terra per ascoltare i germogli che uscivano dai semi. Contemplava il volo degli uccelli, il silenzio dei serpenti, la saggezza del gufo e l'astuzia del lupo e della volpe. La sua camera era piena di conchiglie raccolte sulla spiaggia, barattoli di erbe essiccate, radici e alambicchi di vetro. Sua madre morì tra 83
le sue braccia, era una donna molto vecchia ma visse felice con la sua famiglia. Ricordò quella notte che vide cadere una stella tanto grossa che sembrava un pallone e da dietro le spalle sentì una vocina che gli disse: '' Esprimi un desiderio mentre c'è ancora la scia.'' ''Ero io,''disse il folletto seduto su una roccia davanti a lui che lo osservava leggendo i suoi pensieri.'' Ti ho sempre tenuto d'occhio e per dispetto ti nascondevo le cose per farti arrabbiare, ma poi te le restituivo. '' Il druido lo guardò ma era talmente grande la sua gioia di essere ad Alfheimr che niente gli sembrava più importante di questo. Il vecchio avanzò verso le strade deserte dei villaggi. Osservava le case che sembravano dipinte tra gli alberi, le fontane, i giardini, ogni cosa disposta secondo un perfetto ordine divino. ''Dove stai andando? Cosa cerchi?'' Gli chiese curioso il folletto. Druido: '' La rosa mistica, avevo promesso che se fossi entrato a Alfheimr l'avrei colta e messa nelle mani della Grande Madre.'' ''Cosa avevi espresso nel tuo desiderio di quella notte?'' Chiese impaziente il curiosone. Il vecchio non gli rispose e continuò a camminare estasiato in mezzo a quel miracolo di raggi di sole e luna insieme. Scorse i cespugli delle rose mistiche davanti all'altare di Asuryan. Il vecchio si fermò ad ammirare la bellezza dell'arte elfica. Un'arte raffinata d'enorme intensità, nata dalle mani di esseri semi-divini. Colse una rosa dai petali scintillanti e la portò sulla collina di Isha. Quando arrivò in cima la posò sull'altare della Madre elfica mormorando antichi incantesimi ancestrali. La rosa scomparve dalla lastra piatta dell'altare e ricomparve in mano alla Dea. ''Cosa avevi espresso nel tuo incantesimo, dimmelo almeno per gentilezza visto che ti ho consigliato di formularlo nel tempo dovuto,'' disse stizzito il folletto tirando giù il berretto con sdegno. Il druido si voltò a guardarlo. Il suo volto era bagnato di lacrime di felicità. Il sogno di lunghissimi anni si era avverato grazie al piccolo folletto curioso che gli aveva fatto dispetti per tutta la sua vita. Si distese sulla lastra di pietra levigata e appoggiò il bastone sacro alla sua destra. Chiuse gli occhi per un momento per calmare la sua emozione. Il folletto gli si avvicinò guardandolo stupito ed in quell'istante decine di elfi bellissimi 84
apparvero intorno alla pietra del druido. Il vecchio aprì gli occhi e vedendo quelle figure dolcissime vicino a sè tirò un profondo sospiro di felicità. Osservò i lineamenti nobili e fini, le fattezze perfette dei loro volti, gli occhi dolcissimi di un violetto intenso e surreale. Distese la mano verso il viso di uno di loro e tocco quella pelle di seta, i capelli scintillanti, morbidi come piume di cigno. ''Questo è Alfheimr, caro amico,'' gli disse uno di loro dagli occhi verdi come giada. Un'elfa le diede un bacio sulla fronte e prendendogli la mano tra le sue, gli cantò una ninna nanna, la canzone di Alfheimr che nacque dalla luce dell'anima. Il druido chiuse gli occhi e la sua anima volò via verso la luna. Il suo desiderio era quello di poter morire nel regno degli elfi di luce, Alfheimr, e poter volare via con le ali della felicità come un vecchio falco che trova la sua dimora tra le stelle.
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CLIFFS OF MOHER
Prese una manciata di fiori di campo tra le mani. La portò al petto e le diede la sua anima. Vedeva il sole luccicare sulle onde in basso, in superficie. Ne gettò i petali al vento, e si sparpagliarono nell'aria calma del mattino. Si posarono dolcemente sull'acqua che li vide scendere dall'alto come farfalle colorate. Il suo nome ricordava il suono di una lira, Bran dagli occhi dolci e dal passo silenzioso. Nel suo cuore c'era un prato fiorito ma dentro di sé si agitava la tempesta. Bran con gli albatros nella testa ed il canto dei gabbiani nei capelli. Il sapore del legno sulla pelle e l'aroma del miele in ogni sua parola. Bran dal viso triste che aspettava l'alba per vedere nascere il giorno. Si mise a suonare la sua cornamusa mentre le nuvole passavano sulla sua testa. Una di esse lo abbracciò nella sua bambagia densa per non lasciarlo solo con i suoi pensieri che andavano dove il sole non batte più da un pezzo. Le note della cornamusa scivolavano nell'aria profumata, sopra i trifogli e l'erba fresca dietro alle sue spalle. Bran si sentiva come una goccia d'acqua che voleva raggiungere il mare. Ricordò la prima volta che lo vide camminare per le strade di Doolin. 86
Andava a prendere delle reti nuove al negozio dei pescatori. I suoi occhi verde muschiato ed i capelli corvini, la determinazione del suo passo, l'avevano dolcemente colpito. Shaun era figlio di una famiglia di pescatori. Ogni mattina all'alba prendeva la sua barca di legno ed andava a pescare tra le isole Aran, Galway e Rossaveal. Li si pescavano dei buonissimi pesci che davano sostentamento e guadagno all'intera famiglia. Shaun era sposato con una ragazza di nome Mairead che nel giorno di Beltane aveva preso in moglie nella parrocchia del villaggio. La sera Shaun rincasava tardi, il mare gli prendeva molto tempo della giornata. Il mare era suo padre e sua madre, era il cielo e la terra e tutto ciò che aveva di più grande e meraviglioso nel cuore. Il suo alito secco di sale gli rapiva l'anima e lo faceva sognare. Gli dava la forza di esistere e sentirsi un uomo nelle difficoltà dell'esistenza. Lo amava al mattino presto quando l'alba tingeva di rosa i suoi fianchi d'acqua. Lo amava a mezzogiorno nelle mani dorate e luccicanti del sole e lo amava la notte quando la luna distendeva il suo crine d'argento sulle onde dell'Atlantico facendolo sobbalzare d'emozione. Voleva aggiustare alcune assi della sua barca che si erano rotte in una tremenda tempesta.Quella notte credeva di morire tra quelle braccia impetuose e dure. Ma Dio lo condusse salvo alla riva, infilandolo nella corsa di una corrente che si avvicinava alla costa. Lo rivide durante una festa a Roadford, uno dei tre pub del villaggio. Bran era seduto davanti al bancone a bere la sua birra, mentre Shaun siedeva da solo davanti al suo boccale, lasciandosi andare alle note di un gruppo che suonava dal vivo musica folk irlandese. Quella notte Bran era appena uscito dal pub per tornare a casa. Aveva imboccato una strada senza lampioni, quando due ladri gli piombarono addosso e se non fosse stato per Shaun che uscendo dallo stesso pub e sentendo le sue urla, andò in suo aiuto, non gli sarebbe rimasto niente nelle tasche e forse neanche la vita. ''Ti ringrazio amico,'' disse Bran a Shaun, pieno di gratitudine. ''Ah niente ringraziamenti, era un mio dovere da buon cristiano aiutare un'uomo in difficoltà!'' Gli rispose dandogli una pacca sulle spalle. I ladri se l'erano data a gambe quando avevano visto arrivare un' uomo dal corpo atletico e forte, dirigersi verso di loro in aiuto del malcapitato. Shaun seppe che Bran faceva il falegname, così gli propose che accettava 87
i suoi ringraziamenti in cambio di due assi nuove per la sua barca che era stata sballottata dalla tempesta e se n'era tornata a riva con qualche costola rotta. Il giorno dopo Shaun portò le misure delle assi a Bran e dopo tre giorni si andò a prendere le assi nuove per la sua barca che aveva già dormicchiato troppo a lungo, dentro al porto. Shaun: '' Ti ringrazio di cuore Bran. Senza queste assi, prenderei acqua a torrenti.''Disse. Bran: '' Grazie a te per avermi aiutato. Se tu non fossi venuto a darmi una mano mi avrebbero portato via tutto quello che avevo guadagnato durante la settimana.'' Da quel giorno i due uomini si incontrarono spesso per le strade di Doolin, ed ogni volta si salutavano e parlavano come vecchi amici. Una notte Shaun, pensando a Bran, si accorse che quello che sentiva per il suo nuovo amico, andava al di là della semplice amicizia. Provava qualcosa di più profondo, ma si volle convincere che non fosse amore. Quando era nella sua barca, il mare gli portava la voce di Bran, gli portava l'immagine dei suoi occhi, del suo viso. Shaun si soffermava a contemplare queste visioni, ma poi i sensi di colpa e di peccato lo facevano diventare triste, e la solitudine lo afferrava nei suoi artigli di bronzo e piombo fuso. Cominciò a sentire il bisogno di vederlo più spesso. Si inventava mille scuse per andarlo a trovare nel suo negozio di falegname. Bran era sempre molto contento quando lo vedeva. Gli andava incontro e lo abbracciava come fossero fratelli. Shaun si lasciava abbracciare e quando l'altro non se ne accorgeva, tuffava le narici nei suoi capelli per riempirle del suo odore. La domenica si vedevano nella bella navata della parrocchia ad assistere alla messa. Shaun con sua moglie e i suoi genitori, Bran da solo seduto in terza fila dall'altro lato. E quando Shaun tornava a casa, prendeva la barca e, da solo se ne andava in alto mare a calmare gli impeti del suo cuore che sbattevano forti come le onde dell'oceano contro le alte scogliere. Bran andava spesso nei boschi a tagliare alberi gia morti per farne legname. Passava spesso davanti alla sorgente della Madonna dove la maggior parte del villaggio andava a prendersi dell'acqua ritenuta benedetta dalla Signora dei cieli. Un giorno si sedette sul'orlo della fonte e guardando dentro l'acqua limpida, gli venne in mente Shaun e provò una dolcezza mai sentita prima. Erano già cinque mesi che si conoscevano. 88
Avevano spesso cenato insieme con la famiglia di Shaun nella loro casa di pietra e legno, col camino acceso e i lumi ad olio che illuminavano il salone. ''Dio,''pregava ogni volta Shaun,'' fa che io abbia la forza di non rovinare niente e di controllare la mia passione.'' Bran cominciò ad incidere con la sgorbia, il nome di Shaun su qualsiasi cosa aveva a portata di mano. Su tronchi d'albero e pezzi di legno, su pietre liscie e rami spezzati. ''Signore, perchè non posso fare a meno di pensare a lui? Perchè mi stai dando questo dolore? Ma è un dolore che io cerco perchè mi dà la gioia che non ho mai avuto.'' Diceva Bran dentro di sé, a volte con tristezza a volte pieno d'amore. L'inverno era passato da un pezzo, la primavera stava per diventare estate quando una mattina Shaun bussò alla porta di Bran. ''Buongiorno, ti andrebbe di fare una nuotata in alto mare? Prendiamo la mia barca e ci volatilizziamo nel blu.'' Disse Shaun con un sorriso ed un'allegria che non potevano avere un rifiuto. Bran si vestì. Andarono verso il porto, presero la barca e se ne andarono al largo da soli, con un cesto di roba da mangiare. Remarono dalle parti delle Scogliere della Rovina, le Cliffs of Moher in irlandese ''Aillte an Mhothair,'' e si fermarono a prendere il sole. L'acqua luccicava di sole e schiuma bianca. Era dolcissimo farsi cullare dall'oceano. ''Perchè non facciamo il bagno?!'' Propose Bran. Shaun: ''Chi si tuffa per ultimo è un codardo!'' Disse togliendosi in fretta i vestiti. Si tuffarono nudi nelle acque azzurre che sembravano dipinte dalle mani di un pittore. Le onde carezzevoli li avvolgevano, li accarezzavano li sostenevano, come petali di una rosa galleggianti. Si inseguirono giocando nell'acqua come adolescenti. Risalirono sulla barca con i loro corpi nudi e bagnati di sole e mare. La voglia di toccarsi era tanta e faceva aumentare la salivazione, ma fecero finta di niente e si distesero uno a prua e l'altro a poppa. ''La conosci la storia di Tir-nan-Og?'' Disse Bran evitando di guardarlo per non cadere nella rete del desiderio. Shaun: '' No, di cosa parla?''Chiese. Bran: '' Ma come un irlandese che non conosce Tir-nan-Og?!'' Disse ironico e sorpreso. 89
Shaun: '' Mi sono perso qualche cosa o per questa mancanza devo essere punito con i ceci sotto al culo?'' Rispose ridendo. Bran: ''No e che tutti gli irlandesi la conoscono. Anche i bambini di sei anni conoscono questa storia!'' Shaun: '' Vuol dire che io ne ho cinque e non me l'hanno ancora raccontata. Dai raccontamela tu!'' Disse grattandosi il pube con una mano. Bran: '' Ok! Tir-nan-Og è la terra della felicità, dove crescono alberi altissimi, fiori di grande bellezza e spiagge con sabbia finissima. Ci sono frutti meravigliosi ed il tempo non esiste su quest'isola. Nelle notti di luna piena, quando il vento si alza improvvisamente e la tempesta impazza nell'oceano, una spinta magica rapisce l'imbarcazione del naufrago che si è perso tra le onde tenebrose e lo fa arrivare su quest'isola di pace e calma. Si racconta che un ragazzo stava prendendosi il sole sulla sua barca mentre pescava. Ad un tratto le correnti lo portarono in alto mare e la tempesta scoppiò all'mprovviso. Un forte vento lo trascinò con tutta la barca su una riva sconosciuta. Il ragazzo quando mise piede sulla terra, sentì la sabbia finissima accarezzargli i piedi. Una voce di fanciulla lo chiamò da sopra una roccia e lui si innamorò perdutamente di lei e non se ne andò più da lì. Passarono molti anni, ma il ragazzo non se ne accorse. Quando d'un tratto i ricordi della sua terra natia gli vennero in mente. Così convinse la sua amata a seguirlo per ritornare a casa. Lei non disse niente, si mise sulla barca insieme a lui che remava forte staccandosi dalla riva. Mentre si allontanavano da Tir-na-Og, lei si sentiva perdere le forze e la sua giovinezza svaniva man mano, fin quando l'altra riva comparve da lontano. Quando il ragazzo si voltò verso di lei vide davanti a sé una vecchia che stava per morire. Allora capì il segreto di Tir-nan-Og, la terra felice dove qualsiasi cosa vi approdi, non potrà mai più farne ritorno. Girò direzione della barca e tornarono indietro verso l'isola felice con uno stormo di corvi bianchi che li scortarono fino a riva.'' Concluse. Shaun: '' E che se ne fece della vecchia?'' Chiese incuriosito. Bran: '' La vecchia ritornò ad essere la giovane fanciulla che era prima di allontanarsi da lì. E vissero in eterno insieme amandosi teneramente.'' Shaun: '' Sarebbe bello vivere a Tir-nan-Og, a te non piacerebbe? Gli chiese. Bran: '' Si sarebbe bello se non rappresentasse il luogo dei morti. Praticamente è l'isola dell'aldilà.'' 90
Shaun: '' Aldilà, aldiquà …...sempre postò è! E se viene chiamata la terra della felicità vuol dire che la pena di andarci comunque ne varrebbe.'' Disse con gli occhi chiusi mentre il suo corpo nudo si asciugava al sole. ''Affinchè il mio corpo non abbia più da patire affinchè la mia anima si vesta della luce del sole. Affinchè il mio cuore dopo aver scoperto l'amore non soffra arrampicandosi ai sospiri della luna. Di te mi giunge il tuo profumo e l'oblio che mi prende e fa sognare i miei occhi è bagnato dalle tue acque oh Tir-nan-Og. Il vento più non soffia sui miei pensieri la paura è scomparsa dalla mia mente. Dei tuoi frutti ne ho mangiato l'essenza polposa fragranza di un eterno svanire. Ed ora più non conosco il dolore.'' ''Bella! Sei un poeta?'' Chiese Shaun sorpreso. Bran: '' No, ma lo scritta io e volevo recitartela.'' Il tramonto dipinse di vermiglio la loro pelle color del miele e mentre le prime stelle facevano il loro ingresso nel cielo, decisero di tornare indietro verso la costa. Seguitarono a vedersi per tutta l'estate, frenando l'impulso di saltarsi 91
addosso ogni volta che si trovavano l'uno di fronte all'altro. La domenica si ascoltavano quei tremendi sermoni che aborrivano l'amore tra uomini dello stesso sesso condannandoli come peccatori contronatura. In quei momenti sentivano grandi sensi di colpa ed il fuoco del peccato, gli bruciava l'anima. Ma non riuscivano a non amarsi, pur non dichiarandoselo per paura di perdersi. Una notte Bran si alzò dal letto febbricitante. Nella sua mente c'era solo l'immagine di Shaun. Si vestì in fretta e correndo per le strade deserte del villaggio, arrivò davanti all'abitazione di Shaun. Dentro sembrava che dormissero tutti. Bran prese un sassolino e lo lanciò contro il vetro della finestra della camera da letto di Shaun e della moglie. Dopo qualche minuto si aprì e Shaun apparve in camicia da notte aprendo la finestra. Guardò intorno e sotto un tasso vide Bran che lo guardava muto. Shaun scese dalla camera, aprì la porta di casa, uscì fuori e si diresse verso l'amico. Quando gli fu vicino lo abbracciò forte facendogli perdere l'equilibrio contro il tronco dell'albero e baciandolo appassionatamente lo strinse a sé con tutta la sua forza. Non riusciva più a frenare i suoi istinti, si trascinarono verso il fienile e si amarono a lungo sul fieno con grande passione. ''Bruceremo all'inferno,'' disse Bran piangendo, dopo che si erano amati fino allo sfinimento. ''No, questo è l'inferno! Quello che stiamo vivendo qui sulla terra. Dove l'amore viene visto come colpa e peccato. Dove i sensi di colpa scavano la fossa sotto i piedi e la gente si fa traviare da falsi moralismi ed ipocrisie. E' questo l'inferno amore mio! Quello che sentiamo l'uno per l'altro e quello che Dio ci ha dato a piene mani.......l'amore.'' Disse abbracciandolo teneramente. Bran: ''Nessuno saprà mai niente di noi. Nessuno immaginerà mai che siamo peccatori. Noi non siamo effeminati, su di noi non si vede nulla, non traspare niente.'' Disse con gli occhi sbarrati. Shaun: '' No Bran, non è questo il punto. Effeminati o meno, il rispetto per la persona e per il suo modo di amare va oltre i comportamenti esterni che siano o meno da orso o da libellula. Sono i dannati pregiudizi che uccidono più dei coltelli affilati. Sono le menti degli uomini a vedere il male ed il peccato ovuque, anche dove non c'è. Non ha importanza che si veda o meno di essere gay. Ha importanza il rispetto e la comprensione 92
degli altri verso una natura diversa dell'amore che non è peccato o contronatura ma solo un'altra faccia dell'amore. E' solo amore, solo amore.'' Disse con l'amaro in bocca sapendo che la natura umana è ben lontana dal comprenderlo. ''Forse saremo felici su Tir-na-Og,'' disse sospirando abbracciandoselo stretto al cuore. ''Allora dovremmo aspettare di morire per essere felici,'' gli rispose Bran malinconicamente, appoggiandogli la testa sul petto. Arrivò l'autunno con la melodia della stagione del vento. Shaun era diventato sempre più triste e non riusciva più a tenere il suo segreto chiuso dentro. Si vedevano tutte le notti a fare l'amore, mentre durante il giorno cercavano di far intendere che tutto scorresse normale. Bran percepiva il disagio di Shaun, il suo tormento. Gli parlava dolcemente cercando di distrarlo con antiche leggende celtiche o storie sentite in giro per farlo ridere. Un giorno Shaun gli propose di prendere la barca e andarsene da quel mondo di sbarre mentali e crudeltà. Non sopportava più di vedere gli altri felici con le loro famiglie, mentre loro due dovevano nascondersi come animali braccati dalla società. Voleva che se andassero in qualche isola felice.....nella terra della felicità..........a Tir-nan-Og e non importa se questo volesse dire non tornare mai più indietro. ''Amore, è solo una vecchia leggenda!'' Disse Bran quando lo vide sconvolto dal suo tormento. '' E' una favola antica, non esiste in nessun luogo umano.'' Shaun: '' Vieni con me! Andiamocene insieme questa notte. Ti aspetterò davanti alle scogliere di Moher. Questa notte c'è la luna piena, la corrente ci porterà al largo e raggiungeremo l'isola della felicità, anche se si dovesse morire.'' Disse tra le lacrime. Non sopportava più l'orrenda tortura che le cosiddette ''persone normali'' fanno ogni giorno su coloro che hanno una diversa natura, una diversa sensibilità e modi d'amare. Non voleva più nascondere questo grande amore che gli bruciava le vene fino a fargli scoppiare il cuore. ''Cos'hanno di meglio o in più gli altri a dover decidere cosa è giusto o sbagliato. Non l'ho fa Dio, non vedo come si permettano di farlo loro! Sbottò in un accesso d'ira.'' Bran: '' Calmati Shaun, loro non sanno niente di noi!'' Gli disse per 93
rassicurarlo. Shaun: '' No amore, pensa solo se dovessero saperlo! Uno scandalo, persecuzioni continue, insulti, aggressioni. Ci isolerebbero come lo si fa con gli appestati. Un inferno!!!'' Si sedette con la testa tra le mani.'' Vieni con me, andiamocene via da qui. Prendiamo la barca e troviamo quest'isola.'' Bran: '' Non esiste mio caro, non c'è. E' solo una leggenda!'' Shaun cominciò a piangere singhiozzando e nella sua follia non riusciva più a vedere niente. '' Vieni con me ti dico, riusciremo a trovarla. Vieni con me.....o non mi ami più?'' Gli chiese con uno sguardo pieno di dolore. Bran prese la testa di Shaun tra le mani e lo bacio sulla fronte. ''Ok,'' rispose. Quella notte Shaun disse a Mairead che aveva visto un banco di pesci vicino la costa e che andava a vedere se li tirava su con le reti. Uscì di casa e si diresse al porto. Prese la barca, buttò a mare le reti e remò fino alle scogliere della rovina. Bran si vestì, aprì la porta e si diresse verso la fonte della Madonna delle acque benedette. ''Fa si che non ci succeda niente dolce Signora. E se proprio dobbiamo morire, fa che sia tutto in un baleno, senza dolore.'' Si diresse verso le scogliere maledette. Provò a scendere a piedi, ma la pietra dove aveva messo il piede cedette e Bran cadde picchiando la testa. Shaun l'aspettò per quasi tutta la notte. Poi pensando che Bran l'avesse lasciato solo non volendo più seguirlo, prese i remi e remò da solo verso il largo. Scoppiò una tempesta ed il vento si alzò all'improvviso. La barca sparì in una nebbia fitta di onde e schiuma salata. Quando Bran si svegliò era già mattino. Si ritrovò sull'erba con un po' di sangue tra i capelli. ''Shaun!!'' Urlò disperato. Shaaaaaaun!'' Discese le scogliere come un fulmine. Rotolò più volte per terra ma continuò a correre in basso. Quando arrivò davanti alla spiaggia, di Shaun neanche l'ombra. Trovò solo un remo galleggiare sull'acqua sospinto dalla corrente. La tempesta l'aveva preso con sè e forse ora stava camminando sulle rive di Tir-nan-Og. Perchè quello stupido sasso lo aveva fatto cadere. Perchè non era con lui a camminare su quelle spiagge di silenzio ed oblio. Tornò a casa e prese la sua cornamusa. La gente che lo vide, pensò che 94
fosse uscito di senno. Lo guardarono avanzare verso l'uscita del villaggio. Nessuno lo seguÏ, nessuno disse niente. Le note della cornamusa scivolavano nell'aria profumata, sopra i trifogli e l'erba fresca dietro alle sue spalle. Bran si sentiva come una goccia d'acqua che voleva raggiungere il mare. Uno stormo di corvi bianchi venne a fargli compagnia, posandosi ai suoi piedi come una carezza del cielo. Poi si alzarono di nuovo in volo e coprirono la sua figura che si lasciò andare nel vuoto scomparendo tra ali bianche e onde del mare. ''Shaaaun,'' si sentÏ sibilare nell'aria, ''Shaun ha il sapore del sale. La sabbia fine la sua anima nel tramonto i suoi baci dolci ‌.......... tutto il mio amore.''
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DI CHI S'INNAMORO' LA LUNA
Avrebbe voluto nuotare nell'oceano immenso che aveva davanti. Non c'erano onde, una calma piatta che sembrava un lenzuolo d'acqua e argento. Tutte le stelle della notte vi si erano tuffate dentro, danzando sulle increspature, sulle piccole pieghe in superficie. Si lasciò andare come una foglia che s'immerge piano. Dalla spiaggia man mano, la corrente lo portò al largo. Il corpo nudo colore del miele, i suoi capelli corti biondo scuro. Si lasciò andare sui baci di una corrente che lo volle per sé anche solo per un istante. Gli arrivarono dapprima gli odori della terra, la sabbia bagnata, l'erba fresca, il profumo dei cespugli sulla riva. Poi sentì l'acre odore delle alghe che dal fondo gli giungevano alle narici. Aprì gli occhi e guardò la luna candida, così grande, intensa, maledettamente magnetica. Le sue mani sfiorarono il sesso che prese l'essenza del corallo. Ogni tanto, il vento accarezzava le guance bagnate. Era delicato e sublime come l'alito delle rose nei giardini di una ninfa. Respirò a lungo quel profumo intenso, gonfiò il torace di prodondità marine. Si dondolò nella schiuma salata, frizzantina sulla pelle. Sentì il canto delle stelle addosso, 97
come sussurri silenziosi. La luna lo guardò a lungo. Le sembrava così dolce il suo abbandono. Trasportato dall'ondeggiare lento dell'oceano enigmatico. Allungò una mano nascosta dietro ad un raggio bianco, lo toccò con la punta delle dita come un frutto succoso da assaporare lentamente. Era diventata acqua la sua carne, acqua il suo sangue e le sue ossa. Galleggiava e sprofondava a ritmo dei battiti del cuore. Ascoltava le vibrazioni che venivano dal fondo, salendo sul suo corpo rilassato. Le raccoglieva dentro di sé come in uno scrigno prezioso, segreto. La luce lunare illuminava tutto lo spazio circostante. Un velo di purezza con tutte le sfumature del bianco e dell'avorio lo avvolgeva dolcemente, facendo ruotare i suoi pensieri come sogni dorati e petali di sale. Un delfino gli passò accanto, balzò per schizzarlo di giochi ed allegria. Gli nuotò passandogli da sotto, emergendo più in là continuando la sua rotta. Era bello lasciarsi avvolgere da quel meraviglioso incanto. Ogni contorno svaniva dentro confini di sogno dilatati dal liquido oceanico che diluiva ogni cosa. La notte diventava un tappeto volante su cui prendere il volo in un viaggio fantastico pieno d'emozioni. La luna allungò tutte e due le sue mani, lo prese e lo portò in alto, sempre più in alto attraverso l'etere, lo spazio il tempo. Lo portò a sé adagiandolo sul suo seno. Lo posò delicatamente su un letto di luce e cristalli. Un cuscino di morbide conchiglie raccolte dall'oceano, gli regalava sogni profondi e magici. Avvicino il suo viso divino a quello di lui per aspirarne l'odore, il tiepido respiro. Accarezzò il suo corpo con l'unguento delle stelle, per renderlo eternamente giovane e felice. Lo chiamò figlio, padre, amante. Lo coccolò di baci e tenerezza. ''Endimione mio dolce amato ho seguito le tue rinascite seguendo i fili del destino. Ti ho cercato ti ho aspettato aprendo i cancelli del tempo ti ho ritrovato. 98
Non svaniranno i colori della tua anima di miele. Ne prendero il profumo per farne un cielo magnifico. Del sapore delle tue labbra darò fecondità ai frutti affinchè l'eternità conosca la bellezza del tuo cuore. Mio Endimione mio caro fiore mio raro gioiello che batte sul mio seno. La notte è una magia che avvolge i sogni più belli li vivremo insieme …....per sempre..... …...eternamente....... per sempre. Distese su di lui il velo d'argento e della fresca rugiada ne fece perle e lacrime di gioia. Danzò davanti a lui con passione sciogliendo i suoi capelli come note d'arpa che incantano l'universo. Scrisse il suo nome sulle comete curiose che gli passavano accanto, affinchè il cosmo intero sapesse del loro amore. Nel giardino delle Esperidi, colse le mele dell'infinito, i pomi dell'eterna giovinezza dal succo d'ambrosia e idromele. Dalla costellazione del cigno prese le piume della felicità, ne fece ornamento sul loro letto d'amore. La lira suonò le melodie arcane, mentre Sirio riscaldò le loro membra sudate d'amplessi e desiderio. Chiamò a sé le Pleiadi, le antiche sette sorelle ed il cacciatore Orione per renderli testimoni di una gioia così grande. Chiamò la rosea Aurora per portare sulla terra la poesia dei loro baci. Il silenzio della sua anima spazzo via la solitudine di milioni di anni ed al suo posto vennero le fate a tessere la tela del firmamento. Mentre l'oceano ondeggiava lentamente, un'onda bagnò i vestiti di lui abbandonati sulla spiaggia. Qualcuno passò di lì e vedendoli pensò che fossero caduti dallo zaino di uno sconosciuto viaggiatore. Il giorno 99
cancellò le tracce, i segni sulla sabbia e nessuno mai seppe........ di chi s'innamorò la luna.
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NATHAIR
Quanto tempo era trascorso da quando aveva lasciato il suo corpo sul letto dalle lenzuola di lino. La sua anima girava in tondo come in un cristallo riflettendo le immagini del suo passato. Era rimasto a guardare se stesso disteso inerme, mentre il giorno pian piano affondava il suo viso nella notte. Non sentiva il fiato del tempo sul collo. Era come se tutto fosse rimasto uguale a parte il fatto di non sentire più né caldo né freddo, né gioia, né dolore. Passava attraverso i muri chiedendosi come avesse fatto. Il profumo dei fiori del giardino gli riportava alla mente scene di quando rideva rotolandosi sull'erba in compagnia del suo scoiattolo, amico sincero che non lo aveva mai tradito. I giorni di pioggia gli ricordavano le lacrime, quando la solitudine colorava tutto di grigio. Non capiva come fosse successo che il corpo avesse vomitato la sua anima. Uscita fuori come un getto d'acqua, come quando si apre un rubinetto per lavarsi il 101
viso. Vide paesaggi che gli si paravano davanti solo con la forza del pensiero. Bastava che pensasse ad un luogo ed era già lì a camminarci dentro. Un'ape gli passò accanto, si fermò su un ramo e lo fissò incredula. Una signora lo sfiorò ma non lo vide, non lo senti affatto. Questo voleva dire essere morto? Rimanere nascosto agli occhi della gente. Essere come aria che si sposta senza lasciare traccia, senza far rumore. Non trovando più la sua ombra, capì che nessuno poteva più vederlo. Ed ora cosa avrebbe fatto in questa situazione che non conosceva, di cui non era pronto? Lasciò che i pensieri si spegnessero uno dopo l'altro. Ogni volta era un cambio di scena, ma solo quando avvertiva una forte emozione. Aspettò che la paura facesse il suo corso, non permettendole di prevaricare il suo già fragile autocontrollo. ''Sono tornato ad essere niente,'' pensò. ''Il mondo non mi vede, non sono neanche fumo che si amalgama con il resto.'' Lo specchio non riflettè nessuna immagine mentre le sue mani affondavano nel muro. Era come se tutto si fosse staccato immergendosi in una realtà sconosciuta. Non sentiva il bisogno di mangiare, né di bere, né di dormire. Ogni tanto delle figure apparivano per poi scomparire, ma le sembravano distanti, con la mente, col cuore. Ognuno in un suo mondo personale, un viaggio privato che s'intrecciava a volte con quello di qualcun' altro per poi riprendere individualmente il suo corso. Quando la sua anima si staccò dal corpo, la prima sensazione, o miraggio che ebbe, fu quello di sprofondare come se la terra crollasse sotto i suoi piedi. Sentì il rombo terribile di un terremoto che lo spaventò facendolo tremare. Poi un senso di prosciugamento. Le sue labbra divennero secche e la lingua gli si accorciò. Il calore del corpo diminuì fino a farlo diventare freddo e duro come marmo. Molteplici scintille si misero davanti al suo sguardo. Nelle orecchie aveva la sensazione di sentir bruciare il fuoco, il suo crepitio. Sua moglie, con una mano gli tirò un ciuffetto di capelli sulla zona della fontanella, affinchè la sua anima uscisse dalla porta giusta per non causargli traumi nel bardo, nel regno dell'aldilà. Nel momento della morte l'anima esce dal corpo, ed è per questo che non deve assolutamente essere toccato dai vivi per non farla uscire dalla parte sbagliata. Il corpo ha nove porte per far uscire l'anima, ma solo quella superiore che si trova sulla 102
sommità della testa è quella giusta. Le altre provocano danni e tormenti una volta lasciata la materia. Per almeno tre giorni non si dovrebbe toccare il defunto affinchè la sua energia psichica e spirituale si possa organizzare uscendo lentamente dalla direzione giusta. Se proprio lo si deve toccare allora è meglio pizzicare la pelle sulla fontanella, per inviare lo stimolo come indicazione alla sua anima. Lui era sempre stato un ateo convinto. Non ci fu nessuna forma spirituale ad attenderlo, nessun angelo, nessun demone, nessun Dio. Come in tutti coloro che lasciano la vita, gli si pararono davanti i tre abissi della paura. Riuscì a rimanere imperturbabile pensando giustamente che non avendo più il corpo, niente poteva fargli del male. Erano solo miraggi, illusioni, proiezioni. Si ritrovò a camminare un lungo tunnel buio e solo la forza del suo cuore lo guidò nell'oscurità, diventando una lucciola che gli fece luce. Un pensiero gli attraversò la mente. '' Chissà cosa staranno facendo i miei amici, giù in città?'' Si ritrovò in un bar in mezzo alla folla. Poteva sentire gli odori e i suoni in maniera ovattata. C'erano molte persone che parlavano, bevevano, flirtavano. Ognuna di loro aveva di fianco, o sopra la sua testa, uno o più esseri mostruosi che li guidavano a seconda dei loro vizi esistenziali. Coloro che erano schiavi dell'alcool avevano molte di quelle creature alle loro spalle che gli davano la sete che non si spegneva mai. Essi bevevano continuamente, mentre le creature divoravano lentamente l'energia pulita della loro psiche, lasciandoli spossati, sfiniti. Altre persone giocavano d'azzardo, altri amoreggiavano, schiavi del sesso. Altri resi schiavi dell'egoismo, della superbia, dell'invidia, della menzogna erano tutti circondati di mostri invisibili ai loro occhi, che alimentavano smisuratamente i vizi, mentre si cibavano delle loro anime, indebolendole. Una di queste creature si accorse di lui e guardandolo con i suoi terribili occhi vitrei, stava per avvicinarglisi, quando un colpo d'ala lo allontanò da questa orribile visione, trasportandolo in un luogo tranquillo. L'uomo vide una civetta posata su una roccia, ed ancora tremante di paura la fissò incredulo. ''Chi sei?'' Le chiese. ''Sono Cailleach! '' Gli rispose.'' Molte notti ho cantato sui tetti, sui campabili, vicino alle tombe di tante persone per spazzare via quelle orrende creature.'' 103
Uomo: '' Ma chi sono quei mostri?'' Cailleach: ''Sono coloro che si trovano su un piano più sottile dell'esistenza. Coloro che negativamente influenzano la dimensione umana e si cibano delle vostre energie vitali. Sono delle manifestazioni del male, dell'oscurità nati dal ventre dell'abominio. Tutti gli uomini ne sono soggetti. Nel momento in cui c'è un vizio che predomina in un essere vivente, vuol dire che c'è ne uno, o più di uno che lo schiavizza, cibandosi di lui giorno e notte. Essi spingono gli esseri umani alle colpe più aberranti e quando muoiono si vanno a prendere quello che ne è rimasto.'' Uomo: '' Io sento di averti già incontrata da qualche parte.'' Le disse avvertendo dentro di sé una sensazione amica. Cailleach: '' Sono stata un gatto, una quercia, un trifoglio, un cane, un delfino, un gabbiano ed innumerevoli volte ho camminato con piedi umani sulla terra. Ci siamo incontrati spesso come amici, come nemici e come amanti, ed ogni volta è stato intenso, avvolgente.'' Uomo: '' Quand'è l'ultima volta che ci siamo amati?'' Cailleach: ''Eravamo sull'isola di Man. Il tuo nome era Nathair ed il mio Eala. Il nostro villaggio era lungo le coste, tra meravigliosi boschi di querce e betulle. L'alito di Manannan Mac Lir, il Dio degli oceani, rinfrescava la terra, la natura, le piante. Mentre i gabbiani della Dea Cliodna sfioravano le onde in cerca di cibo.'' ''Allora io mi chiamo Nathair!?'' Disse l'uomo tra sé. Cailleach: ''In quel periodo della tua esistenza sulla terra, si.'' Nathair si sedette sulla roccia di fronte a quella della saggia civetta. In quel momento vide le onde del mare bagnargli i piedi, mentre il sole riscaldava le sue membra e faceva luccicare l'acqua. I gabbiani volavano bassi ed ogni tanto si tuffavano riemergendo con un pesce nel becco. Alle sue spalle c'erano le capanne di legno e paglia del suo villaggio. I fuochi erano accesi davanti ad ogni abitazione. Le donne cuocevano, lavavano, conciavano le pelli, districavano i fili dei telai per filare indumenti. Alcune di loro, vestite di bianco, mettevano fiori freschi sull'altare della Dea della natura, la madre di tutte le cose, della nascita e della morte, della luna e delle stelle.......... Cerridwen. C'erano delle navi all'orizzonte. Nathair si volse chiedendo a Eala chi fossero, visto che lei aveva il dono della profezia. ''Sono coloro che distrussero la gente della nostra isola. Coloro che uccisero i nostri Dei coprendo le nudità delle statue della Dea Madre, con 104
un mantello per celare la verità che cammina nuda e non ha bisogno di vestiti né di orpelli. I cristiani venuti dall'Europa uccisero, distrussero, trasformarono in un'inferno la nostra bellissima isola. Stuprarono e torturarono le nostre donne, schiavizzarono i nostri uomini più forti e valorosi. Uccisero tutti i bambini per purificare la vita umana dal seme dei pagani. Questo fecero i cristiani. Portarono il peccato dove non c'era, il senso di colpa e la morte nel cuore.'' Rispose Cailleach. Il vento spazzò via dei cespugli d'erba secca, facendoli rotolare nella desolazione di un villaggio fantasma, abitato solo da corpi riversi sul terreno coperto di sangue. Le capanne che prima aveva visto addobbate con fiori e colori vivaci si erano trasformate in roghi ormai quasi spenti. Il fumo acre si diffondeva in tutta l'isola, ed una donna si trascinava lungo la costa col ventre squarciato. '' Manannan ti prego, portami nel tuo castello di pace, fa si che il dolore si fermi ed io possa riposare.'' Disse con gli occhi bagnati di pianto riuscendo a gettarsi in mare. Nathair si sentì il cuore stretto in una morsa di tristezza. Cercò se stesso camminando tra i corpi senza vita nel villaggio. Si trovò abbracciato a Eala con una lancia che li trapassava da parte a parte entrambi. I suoi occhi erano aperti e guardavano il cielo e dentro ci vide l'ultimo volo del suo spirito ed il volto dell'uomo che li uccise.....suo padre. Nathair: '' Ma come è possibile che mio padre abbia fatto questo? Chiese piangendo?'' Cailleach: '' In quell'esistenza lui non era tuo padre, era un cavaliere cristiano e non ti conosceva affatto. E' diventato tuo padre nella tua ultima esistenza, e tu lo sai, lui ti ha amato molto. Le cose, i ruoli, cambiano contunuamente e quelli che in una vita ti erano nemici, possono essere i tuoi migliori amici nell'altra o i tuoi genitori, tua moglie, tuo marito i tuoi figli. Ma portandosi dentro i nodi da sciogliere che hanno forgiato la crescita o l'involuzione della propria anima.'' Nathair: '' Io sento di averti amata tanto!'' Disse guardandola dolcemente. Cailleach: ''Si, lo, so. Siamo stati felici nel nostro piccolo paradiso. Ma la felicità sulla terra è un fiore che dura poco, come la vita che si perde giusto in un soffio di vento.'' Nathair indugiò ancora un po' di tempo su quella meravigliosa isola. Ritornò ai giorni belli, quando tutto andava bene. Le feste di Beltane, gli equinozi, i solstizi festeggiati nella piazza con tutti gli abitanti, 105
allegramente. I canti, le danze, i racconti degli antenati davanti ai fuochi sacri. Tutto gli donava grande armonia. ''Ora andiamo via di qui, non creare catene con il passato, non servono più a niente.'' Gli disse Cailleach volandogli su una spalla. L'uomo ripensò al corpo che aveva lasciato di recente e lo trovò in una bara di legno sotto una lapide di pietra. Stava già decomponendosi. Cailleach: ''Sbagli a guardarlo ancora, oramai non ti appartiene più. E' come un guscio secco che sta sciogliendosi. Al momento della nascita i sei elementi si aggregano e si forma la vita mentre il corpo prende forma nel grembo materno. Alla morte si disgregano e la vita va via, rimanendo solo il guscio che gli ha ospitati. Guardare il proprio corpo decomporsi è una grande sofferenza per l'anima, una cosa che si può evitare dimenticandolo. Molte persone quando muoiono di morte violenta, non si accorgono di essere morte e continuano a fare illusoriamente quello che facevano da vivi. Inseguono i loro parenti, ma questi non li vedono, non li sentono ed allora si intristiscono e soffrono, ostacolando il percorso che dovrebbero fare trovando la loro luce. Altre riescono a staccarsi dalla materia accorgendosi di essere morti, capendo che tutto quello che succede da quel momento in poi, sono solo miraggi delle loro stese paure. In questo modo si affidano alla luce che li porta ai livelli superiori di beatitudine e pace. Avere una fede, qualsiasi essa sia, aiuta molto, perchè materializza una guida che conduce verso una fonte sicura. Non ci sono fedi sbagliate e fedi giuste. Tutte loro sono un'emanazione della Grande Anima di cui noi stessi ne facciamo parte. Non si può dare un nome, un sesso o una forma ad essa, perchè non è concesso a nessun mortale di vederla, ma la si sente dentro, nella natura, nel cuore.'' Nathair sentì delle lacrime che le scendevano sul viso. Con una mano si toccò la guancia e quando guardò le sue dita, vide delle perle bianche che luccicavano. ''Cosa sono queste?'' Chiese. Cailleach: '' Sono delle perle dell'oceano. In questo momento un tuo ricordo ha preso il sopravvento e loro ti sono apparse. Lasciati andare per un momento a questa nuova emozione e ricordala con amore.''Gli rispose. Pianta il tuo seme spargilo al vento 106
tu puoi morire ma la forza della vita resta. Il flusso delle correnti ti aiuterà o viaggiatore. Si vide a bordo di un waca, una canoa che sfrecciava sulle onde oceaniche. Da lontano vedeva la sua isola immersa in un tramonto stupendo. I suoi capelli neri, lunghissimi fino ai fianchi volavano al vento fresco, salato. Una collana di corallo e conchiglie gli oscillava sui seni. La pelle ambrata, arrossata dal sole morente, era liscia e femminea come petali di un fiore esotico. Era andata a cercare le perle rare per adornarsi il capo ed il collo per la notte del suo matrimonio. ''Dolce Hina fa che io possa trovare le perle più belle dell'oceano affinchè la mia unione sia benedetta dalle tue dita d'argento.'' Pregò dentro di sé. ''Chi è questa donna? '' Chiese sorpreso. ''Sei tu! E' il ricordo di una tua esistenza molti secoli fa, in un isola dell'oceania. In quel momento qualcosa si materializzò dal nulla. Un Bambino uscì da dietro un albero spoglio e avvicinandosi a loro, gli portò una ghirlanda di fiori esotici. ''Questa è per te mamma,'' Gli disse mettendogliela al collo. Il bambino aveva una collanina di corda con tre denti di squalo legati ad essa. ''Chi è?'' Chiese interdetto alla civetta. Cailleach: '' Lui è tuo figlio, Tawhiri. Tu sei colei che gli ha dato la vita.'' Gli rispose. ''Le tue perle ti portarono lontano dalla tua isola. Lui venne a cercarti e quelli sono i denti dello squalo che lo uccise.'' Nathair lo strinse al suo petto e provò una profonda malinconia tanto che si sentì scuotere dal pianto. 107
Cailleach: '' Lui ti vede com'eri nel suo tempo, vede la madre che lo ha partorito, amato. Quei tre denti sono il suo tormento, non gli danno pace, sono gli ostacoli nel suo cammino. Spezzaglieli e togliglieli dal collo in questo modo lui si libererà dai suoi ceppi.'' Nathair allungò la mano, prese i tre denti di squalo tra le dita. Vide la donna che spingeva la sua canoa con la pagaia affondata in acqua. La notte del suo matrimonio era stata bellissima. Avevano aspettato il momento della luna piena per consacrare l'unione. Lei era splendida con le sue perle meravigliose tra i capelli acconciati divinamente con fiori, conchiglie e fili di perle bianche. ''Hi'iaka,'' si sentì chiamare da sinistra,'' sei la donna più raggiante e dolce dell'isola.'' Disse Teororo, il suo giovane marito. La luna splendeva intensa negli occhi dei due innamorati. Una magia sensuale avvolgeva i loro corpi rendendoli docili all'amore. Dopo nove mesi nacquè il loro bambino. Decisero di chiamarlo Tawhiri come il dio del vento, tanto era bello e candido. Profumava di fiori e acqua di mare e la sua voce sembrava un sussurro sulle onde dell'oceano. Hi'iaka era solita allontanarsi con la sua canoa, prendendo velocemente il largo. Amava pescare le sue perle nelle parti più profonde dell'oceano in punti nascosti non molto lontano dall'isola. Erano passati ormai dieci anni da quando Tawhiri era nato e lei era rimasta bella e giovane come il primo giorno del suo matrimonio. Hi'iaka aveva deciso di regalare una perla nera al suo bambino. Una perla rara che si poteva trovare solo in un punto dell'arcipelago dove vivevano. Una perla che dava forza e coraggio a chiunque la possedesse. Ma doveva spingersi oltre le braccia di Na-maka-o-kaha'i la Signora dell'oceano, che nella sua ira mangiava la terra. Nel tardo pomeriggio, quando la Grande Madre Pele dormiva nelle profondità del vulcano, prese la sua canoa e andò al largo. Erano scese già le ore della sera, oltre il tramonto, e Hi'iaka non era tornata ancora sull'isola. Teororo allarmatosi, affidò il bambino alla vecchia saggia del villaggio. Ma Tawhiri di nascosto fuggì dalla capanna e prendendo una piccola canoa, pagaiò versò il largo. Le correnti avevano spinto Hi'iaka dalla parte opposta delle coste dell'isola. Aveva trovato la sua perla rara, ma ora doveva pagaiare più forte per raggiungere la costa vicina al suo villaggio. Una serie di onde alte capovolsero la piccola imbarcazione del bambino e Tawhiri si ritrovò 108
nell'acqua a nuotare verso la costa. Hi'iaka si accorse da lontano, e pagaiando più forte che poteva, stava per avvicinarglisi quando vide spuntare la pinna di uno squalo. Lei lottò con tutte le sue forze contro la paura e contro le onde che la allontanavano da Tawhiri, ma lo squalo arrivò prima ed il suo bambino scomparve nel buio dell'abisso. Da quel giorno Hi'iaka non riuscì più a perdonarsi questa colpa e andandosene sotto le pendici del vulcano, si lasciò morire di fame e di sete per espiare il suo peccato. Nathair vide tutto questo come in un sogno, ritornando a vivere quelle scene come allora. I denti dello squalo diventarono polvere tra le sue dita. Una perla nera si staccò dal suo cuore cadendo a terra come una goccia di pioggia. Lui si sentì sollevato da un dolore che l'opprimeva, mentre un raggio di luce pura rischiarava tutt'intorno. Si era liberato dal peso di una grave sofferenza. Tawhiri gli sorrise ringraziandolo con gli occhi e diventanto una farfalla volò in una spirale bianca che si creò, non molto lontano da lì. ''Dove sta andando?'' Chiese a Cailleach. ''Si sta preparando a rinascere. La spirale bianca annuncia la sua prossima esistenza e lui si sta dirigendo nel grembo della sua nuova mamma.''Gli rispose la civetta. Ogni volta che uno spirito si libera da uno dei pesi che lo tengono ancorato al livello più basso di esistenza spirituale, la luce diventa sempre più intensa dando più chiara consapevolezza del cammino da compiere per raggiungere la propria destinazione. Passò un tempo imprecisato dove Nathair rimase da solo, senza la compagnia della sua amica civetta. Si sentì molto solo, vagando in posti e luoghi creati dai suoi pensieri, dai ricordi delle innumerevoli vite passate. In uno di questi, scorse molte donne che piangevano. Una di loro lo vide e cominciò a tirarli delle pietre guardandolo con odio. Le altre se ne accorsero e si unirono alla lapidazione urlandogli improperi e bestemmie. ''Cailleach!!'' Urlava disperato,''Cailleach dove sei, perchè mi hai lasciato qui da solo!'' La sua amica civetta non gli venne in aiuto. Le donne continuavano a buttargli addosso grosse pietre, mentre i loro occhi iniettati di sangue sembravano gli occhi di furie assassine che colpivano senza pietà. Una di queste pietre lo colpì in mezzo alla fronte e lui cadde all'indietro disteso lungo per terra. Quando si rialzò vide una figura maschile riflessa 109
in un grande specchio con una spessa cornice di bronzo. I suoi lineamenti erano belli e delicati. Una morbida peluria virile gli ombraggiava le guance. Sul labbro superiore aveva dei sottili baffetti e un pizzetto al mento lo rendeva molto attraente. Il suo sguardo era profondo ma i suoi occhi azzurri avevano uno scintillio malvagio e crudele. L'uomo si alzò dal letto, prese un mantello color porpora con ricami in oro tempestato di diamanti, e se lo mise sulle spalle coprendo il suo bellissimo corpo nudo. Uscì dalla stanza e avviatosi in un corridoio scuro, incontrò un uomo più anziano seduto su una poltrona d'oro, con in mano un bastone di legno di noce. ''Dove stai andando figliolo?''Gli chiese il vecchio. ''Vado ad ammazzare la noia padre!'' Rispose. ''Maksimil'yan, figlio mio. Un giorno i tuoi peccati divoreranno la tua anima!'' Disse il padre con sguardo pietoso. Maksimil'yan: '' Sta zitto vecchio pazzo!!!'' Gli rispose passadogli davanti, ignorandolo. L'uomo scese l'ampia scalinata di marmo, dove alle pareti vi erano affissi enormi quadri con i ritratti dei suoi antenati. Le grandi famiglie nobili dell'antica Russia ,erano molto orgogliosi dei loro avi, incorniciati in ritratti giganteschi e sfarzosi. Maksimil'yan attraversò alcune sale del suo immenso castello. Scese altre tortuose scale e s'inoltrò come un lupo affamato nei sotterranei oscuri del dolore e del suo piacere. Delle guardie gli aprirono le porte facendolo scivolare oltre. Entrò in un'enorme sala illuminata da torce, dove passava gran parte delle sue notti, tra godimenti e crudeli giochi. C'erano lunghi pali di legno piantati a terra, dove vi erano incatenate donne nude rapite da villaggi lontani. Le più belle ed avvenenti ragazze nel fiore della giovinezza. C'erano bellissimi efebi legati a ruote di ferro dove sotto veniva acceso il fuoco in una caldaia, ed i poveretti venivano atrocemente torturati, facendoli girare lentamente sulle fiamme mentre Maksimil'yan copulava con le sue schiave, tassativamente scannate con le sue stesse mani, durante i suoi orgasmi. Bambole in ferro ad altezza umana si aprivano in due per ospitare le poverette nude, obbligate ad entrarvici dentro. Con un marchingegno si chiudevano lentamente infilzandole in decine di aculei posti sui punti vitali del corpo. Le vittime spiravano tra atroci dolori. Alcune di loro erano sospese in aria con ganci infilati nei seni. Venivano 110
lasciate dissanguarsi, mentre delle tinozze sotto ai loro piedi si riempivano di sangue che serviva a dissetare i maiali per renderli più forti e gustosi da mangiare. Amava ascoltare i lamenti e le urla di dolore delle vittime mentre venivano squartate nel suo mattatoio di piacere. Una notte una giovane serva stuprata da Maksimil'yan, a cui egli stesso mentre la violentava aveva strappato un occhio mangiandoselo, riuscì a passare inosservata sotto gli occhi delle sue guardie ,sempre vigili fuori dalle porte della lussuosa dimora. Entrò di nascosto mentre l'uomo ormai trentunenne, dormiva nel suo letto, dopo aver preso piacere con delle giovani ragazze nobili e perverse, nude al suo fianco. Estrasse un pugnale affilatissimo dalla lama unta di letale veleno e glielo piantò nel cuore, lasciandolo agonizzante mentre le ragazze atterrite scappavano dalla stanza. Arrivarono le guardie chiamate dalle urla delle concubine. Legarono la serva, la torturarono e la uccisero, ma per Maksimil'yan non ci fu più niente da fare. Morì quella stessa notte dopo quindici anni di crudeltà efferate, su uomini e donne, commesse per il proprio piacere. Nathair -Maksimil'yan vide riflessa la sua immagine nello specchio d'acqua che apparve improvvisamente sotto ai suoi piedi. Il suo corpo si riempì di pustole, diventando sempre più macilento, sempre più cianotico. Pezzi di carne si staccarono dalle ossa cadendo a terra dandogli sensazioni di grande dolore, tanto che impazzì strappandoseli di dosso lui stesso. Quando rimase solo lo scheletro completamente spolpato, cadde sul suolo con un tonfo secco. Sentì il cuore esplodergli dentro. Ma come faceva a sentire il cuore se ormai non aveva più il corpo? Allora ricordò le parole di Cailleach: '' Quelle che ti si pareranno davanti sono scene delle tue vite passate, ma sono solo miraggi perchè i morti non hanno più il corpo per sentire il dolore.'' Si sentì profondamente triste, cercò il perdono da tutte loro che lo circondavano come animali demoniaci affamati. Esse lo guardavano gemere e piangere, videro nei suoi occhi cavi e vuoti, il vero pentimento, l'abisso che lui toccò con una contrizione così profonda che non si poteva andare più in basso. I loro occhi si ingentilirono, i visi si distesero e ringiovanirono. Allungarono le mani per aiutarlo ad alzarsi da terra. Una di esse si fece avanti e gli disse: ''Ora puoi andare, il tuo nodo si è sciolto.'' Era Rozaliya, la serva che lo 111
uccise quella notte lontana nei secoli. Gli indicò un raggio di luce che stava nascendo in lontananza avvicinandosi verso di lui. ''Seguilo,'' disse Rozaliya,'' ti guiderà lui verso la tua fonte.'' Nathair si sollevò da terra. Si sentiva così leggero che sembrava volasse su due ali colorate. Volò per un bel pezzo verso la meravigliosa luce bianca che formava una spirale. Sentì una voce femminile che piangeva di gioia davanti al viso di uno sconosciuto. Volò ancora per un tempo che non seppe dire quanto, fin quando la luce troppo forte lo stordì facendogli perdere i sensi. Gli sembrava di dormire sognando confusamente. Vedeva quella donna che vedeva stelle luccicanti nel cielo. La vedeva mentre leggeva pagine di un libro, la sentiva emozionarsi, piangere, sorridere. La sentiva allegra e malinconica, triste e felice. Un giorno la donna si fermò davanti ad un nome che incontrò nel suo libro. Era un nome celtico che gli piacque molto. '' Nathair, mi piace molto questo nome. Vuol dire serpente e nella mitologia celtica il serpente è simbolo di saggezza, intelligenza e protezione. '' Esclamò. ''Voglio che mio figlio sia forte come un toro e saggio come un serpente.'' Quando si svegliò dal sonno confuso, aprendo gli occhi vide il volto di quella donna in lacrime per la felicità. ''Benvenuto piccolo mio,'' disse sua madre.'' Sei la gioia della mia vita, il sole della mia esistenza, ed io ti amerò con tutta me stessa. Benvenuto mio dolce Nathair.'' Lo strinse a sé e lo baciò sulla fronte. ''Mio piccolo angelo la tua anima è candore un desiderio venuto dal cielo un seme germogliato dal mio amore. Mio amato raggio di paradiso il tuo viso sono petali di un fiore sarà la luce di una luna splendida a diventare latte 112
che nutrirà il tuo cuore. Tu il seme diventato frutto tu la gioia infinita che mi è nata dentro. Farò si che la vita ti sia dolce farò si che il destino diventi zucchero ed ali di colomba. Caro il mio bambino felicità che esplode nel seno della sua mamma. Inventerò per te uno splendido sole e tu per lui sarai la sua meravigliosa fiamma.'' Questa fu la sua prima ninna nanna.
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IL CANTO DEL CIGNO
Ci sono cose sulla terra che non si possono spiegare. Si nascondono, vivono all'ombra senza dare nell'occhio ed intanto scrutano, analizzano e vivono indisturbate evitando di farsi vedere o di mostrare la diversità che le contraddistingue dagli altri esseri umani. Di notte si possono ascoltare versi strani, suoni e crepitii che durante il giorno è difficile sentire per colpa dei rumori troppo forti che coprono tutto. Caer amava ascoltare la pace della notte. Aveva scoperto che quel silenzio non era in realtà un vero silenzio ma un brulicare infinito di suoni che a volte potevano anche stordire. Fin da piccola aveva scoperto di avere una sensibilità fuori dal normale. Lei percepiva tutto ciò che gli altri non vedevano, non sentivano. Mentre tutti dormivano, lei era sveglia ad ascoltare rumori che gli altri nemmeno immaginavano esistessero. Una notte si alzò dal letto e andò in cucina per prendersi un bicchiere d'acqua, quando un rumore attrasse la sua attenzione. Si avvicinò alla finestra che dava sul giardino e vide una piccola lucina che si spostava da un cespuglio all'altro. Poi le lucine diventarono due, tre, quattro, venti, spostandosi in gruppo come in una danza. Lei prese un bicchiere d'acqua, 114
ci mise dentro due gocce di miele e lo lasciò sul davanzale della finestra, andandosi a nascondere in un angolo buio della stanza. Dopo qualche minuto, una di quelle piccole lucine si avvicinò furtivamente al bicchiere volandogli intorno. Si abbassò sulla superficie dell'acqua, ne aspirò l'odore con un piccolo trillo di soddisfazione. Dopo un pò vennero anche le altre e fecero la stessa cosa. Caer rimase colpita da quella scena tanto che voleva scoprire se quelle lucine erano semplici lucciole o qualcosa di diverso, vista l'intelligenza e la circospezione con cui si avvicinarono all'acqua. Sembrava che capissero cos'èra e ne assagiassero la dolcezza della fragranza del miele. La notte dopo fece la stessa cosa, ma le lucine non vennero. Quando ormai aveva perso le speranze di rivederle, una notte fu presa di sopresa nel vedersele nella sua stanza, volare intorno tra la finestra ed il letto. Lei fece finta di dormire lasciando che le si facessero più vicine. Aveva socchiuso un occhio per vederne i movimenti. Ad un certo punto una di loro, con una bellissima sfumatura violetto, le si avvicinò sfiorandole il naso. Caer starnutì stropicciandoselo velocemente. Sentì una risata argentina risuonare nella stanza come suoni di cristalli che tintinnano al vento. Non riusciva a credere ai suoi occhi e alle sue orecchie. Non aveva più dieci anni per credere alle fate e agli gnometti delle favole. Ora era una ragazza di ventidue anni e per quanto cercava di rimanere razionale, non si spiegò l'accaduto. Aprì la bocca per prendere fiato, quando la piccola lucina gli ripassò davanti al naso spruzzandogli sulla lingua un liquido verde intenso che non fece in tempo ad evitare, inghiottendolo. ''Ma che schifo, cos'era era quel coso verde, blueahhh!'' Disse stravolta dal ribrezzo. Intanto ne sentiva le sensazioni sul palato. Aveva il gusto dei fiori e qualcosa di vagamente marcio di sottofondo, però profumava di violette. '' Ma dico, mi ha cagata in bocca questa lucina?'' Disse ad alta voce più a se stessa che a qualcun'altro. Si precipitò in bagno a sciacquarsi la lingua. Bevve dell'acqua, fece dei gargarismi, ma quel sapore strano le rimase ancora. ''E se fosse tossico?'' Pensò. ''No dico, altri punti per fare i tuoi bisognini non ce n'erano? Sbotto davanti allo specchio. Ad un tratto qualcosa attirò la sua attenzione verso il finestrino del bagno. Delle piccole lucine avevano disegnato un cuore 115
sospeso nell'aria. 'Alloraaaa!'' Disse ad alta voce accompagnandola col gesto della mano. Si mise una caramella alla mente in bocca e andò a dormire. Quella notte fece uno strano sogno. Era inseguita da un corvo che le gracchiava dietro, mentre lei correva nascondendosi tra le tombe di un cimitero. Era notte e aveva corso per molto tempo. Si fermò davanti ad una croce celtica che spuntava dal terreno. Si guardò in giro per la paura, con la speranza che spuntasse qualcosa di amico, di conosciuto nei paraggi. Niente, non si vedeva niente se non il maledetto corvaccio che le volava sulla testa cercando di beccarla. Riprese a correre, quando si trovò sul bordo di un fiume. Il corvo stava per raggiungerla e beccarla, lei con un salto si tuffò in acqua. Riemerse dopo aver nuotato in apnea, per riprendere fiato.Vedeva il corvo in alto poi ad un tratto scomparve. Caer si ritrovò a nuotare nel fiume ma si accorse di non nuotare come aveva sempre fatto. Le sembrava di muovere solo i piedi mentre il resto del corpo rimaneva immobile. Guardò nell'acqua, e alla luce della luna vide la sua immagine riflessa, o meglio vide qualcosa che doveva essere lei, un cigno bianco. Si svegliò di soprassalto. ''Eh! Ma che è! Oh mio Dio cos'ero un pollo, una gallina? Una specie di anatra con le piume bianche?'' Disse nell'agitazione. ''No, eri un cigno!'' Rispose una voce poco distante da lei, con distacco. Caer guardò nella direzione della voce e con sua sorpresa vide una ragazza seduta sulla sua poltrona rosa. La ragazza aveva un viso bellissimo e luminoso. Tutta la sua figura emanava raggi di luce sfumata, perlata. ''Oh madonna sto dormendo ancora!'' Disse allarmata. Ragazza: '' No, non stai dormendo. Vuoi che ti dia un pizzicotto, magari ti accorgi di essere sveglia!'' Le rispose. Caer: '' Hey, alzati dalla mia poltrona. Chi ti ha detto di entrare nella mia stanza. E poi, tu chi sei?'' Le chiese risentita. Ragazza: '' Ah, questa è una poltrona?'' Rispose ironica. Caer: '' Senti io ho poca pazienza, ora ti alzi e te ne vai, ok?!'' Le urlò in faccia. Ragazza: ''Va bene, va bene, Madre Natura, che caratterino. Si deve usare la dolcezza con le fate'' Caer: ''Fate?'' 116
Fata: ''Si, fate!'' Le rispose guardandola ironicamente. Caer: '' Mah.....ti sei fatta di qualcosa?'' Disse mormorando. ''Guarda che ti ho sentita sai!'' Le rispose la fata alzando la voce con tono di rimprovero. 'Si alzò dalla poltrona e andò lentamente atteggiandosi sinuosamente verso di lei. '' Io so che tu ci senti'' Le disse con un filo di voce sottile, muovendo appena le ali. ''A volte sento delle cose, ma non ho mai capito cosa siano,'' le rispose Caer con un sorriso. Fata: ''Io ti ho fatto un dono.'' Caer: ''Il tuo dono era quella cosa verde sparata nella mia bocca per caso?'' Fata: ''Si era una pozione, un incantesimo.'' Caer: '' Ah però!'' La fata si allontanò da Caer dandole le spalle. Si fermò davanti alla finestra della camera e restò in silenzio per qualche minuto. Caer: '' Perchè lo hai fatto?. Fata: ''Per renderti partecipe di un mondo di purezza.''. Caer: ''Io non credo più alla purezza. Non credo più alle favole da molto tempo.'' Passò un quarto d'ora nel silenzio totale, una sul letto a fissarla e l'altra di spalle davani alla finestra. Caer: '' Cosa mi hai donato?'' Fata: ''Ti ho dato il potere di trasformarti in un bellissimo cigno. Il potere della lira e dell'arpa. Il tuo canto sarà l'incanto dello Side. Sotto quella forma tu puoi entrare dalla porta astrale del tempo e raggiungere le colline degli spiriti puri! Caer: ''Ah.......hemm..... in che modo?'' Le chiese incredibilmente sorpresa per quelle parole che le risuonarono nella testa come una campana d'argento in piena attività. Fata: ''Questo dovrai scoprirlo da sola, io non posso aiutarti.'' Caer: '' Ma no aspetta, scusa ti prego. Se non mi dici tu come posso fare a capirlo, che dono è scusami. Aspettaaaaa! Disse inseguendola mentre la fata si volatilizzava allontanandosi. Dopo quell'episodio molto bizarro, passarono alcuni mesi in cui tutto 117
sembrava andare come al solito. Una volta, Caer si trovò a passare davanti ad un laghetto dove nuotavano tranquillamente dei cigni candidi, bellissimi. ''Trasformarmi in un cigno, bah.......quella si faceva di qualcosa di pesante!'' Pensò ridendo sommessamente. Una signora la sorprese ridere guardandola di sbieco. Caer non ci fece caso. Tornando a casa fece per aprire la porta della cucina, quando un puzzo terribile le prese la gola. ''Oh mio Dio, che fetore! Ma cos'è successo?'' Disse scappando fuori da dove era venuta. Sua madre uscì dalla cucina inseguendola nel villino. ''Buongiorno!'' Come che fetore, ti ho fatto il montone al forno che ti piace tanto!'' Le rispose sorpresa. Caer: ''Il montoneeee? Bleaaaaah, no ti prego mamma, buttalo via!'' Urlò con gli occhi sbarrati per il disgusto. Uscì il padre dalla cucina: '' mmmmmmm mia cara Dòbhran, che profumino meraviglioso. Hai preparato il montone al forno per oggi?'' Madre: '' Si ma Caer per poco non vomita anche la lingua per il fetore. Non so....dice che sente cattivo odore. Forse non mi è venuto bene.'' Esclamò preoccupata. Caer: ''No mamma il tuo montone è buonissimo! E che non riesco più a mangiare la carne. Non lo so, non mi piace più!'' Disse mortificata, con dolcezza per rassicurarla. Madre: '' Dimmi cosa vorresti mangiare allora!'' Caer: '' Andrebbe benissimo dell'insalata, o delle verdure cotte. Anche dell'avena, del pane inzuppato con il latte. Della crusca, alghe tenerissime!'' Rispose in visibilio. Padre: '' Alghe? Crusca? Avena? Ma sei diventata un'anatra?'' Caer: '' Anatra? Boh....qua....qua....qua!''Gli rispose facendo il verso. Padre: '' Dòbhran ma cos'ha nostra figlia! C'è qualcosa che non so? Sembra matta!'' Disse con lo sguardo attonito. Dòbhran: '' Non saprei, avrà le sue cose. A quell'età le ragazze sono un po' irascibili.'' Caoit: '' Se lo dici tu!'' L'estate passò con tranquillità. Caer sembrava che non potesse stare lontana dall'acqua. Faceva il bagno anche di notte nel fiume dietro casa. 118
Dòbhran: '' Mia cara, prenderai freddo nel fiume di notte. L'acqua è gelata!'' Caer: '' No mamma è caldissima, io adoro l'acqua limpida che scende cristallina passando per le nostre meravigliose colline!'' Le rispondeva contenta. Caoit: ''Ma sei sempre in acqua. Se continui così ti spunteranno piume e pinne!'' Le urlava ironico suo padre. Caer: '' Non sai cosa ti perdi papà. E' bellissimo fare il bagno nel fiume.'' Caoit: ''SSSSSEH, di notte magari!'' All'università andava tutto bene. Caer era diventata sempre più silenziosa. Apriva bocca solo quando qualcuno le rivolgeva la parola o le chiedevano qualcosa. Lei che di solito era abbastanza chiassosa, si era come dire......azzittita. L'autunno entrava trionfante col suo carro di colori caldi ed il fascino malinconico del suo incedere lento. Caer continuava a fare i suoi bagni di notte, soprattutto con la luna piena. Una notte mentre i suoi dormivano, ormai abituati alle stranezze notturne della figlia, lei uscì per andare dietro casa. Discese la collinetta dove era ubicata l'abitazione, raggiungendo il fiume che in quel punto, per una trentina di metri era abbastanza profondo ma tranquillo. Si tolse tutti i vestiti rimanendo nuda. Avanzò verso l'argine entrando nell'acqua piano piano. Le prendeva quasi una frenesia di gioia quando sentiva il fresco dell'acqua a contatto con la pelle, ma voleva immergersi piano per gustarsi quelle meravigliose sensazioni. Vedeva la sua immagine riflessa in superficie. Ogni giorno i lineamenti del suo viso diventavano sempre più delicati e luminosi, il suo corpo snello e ben fatto. Tutto in lei emanava pace e dolcezza, una trasformazione notevole dalla ragazza rotondetta e un po' scialba di come era prima. Dolcemente si immerse per intero nuotando in apnea a pelo d'acqua, quando emerse aprì gli occhi per guardare le stelle dondolarsi sul fiume, ma ciò che vide la fece rimanere a bocca aperta. Tutto intorno a lei era luminosissimo. L'aria frizzante e delicata, il cielo rosa intenso e rosa chiaro. La luna di un bianco abbagliante illuminava il paesaggio come se fosse un sole bianchissimo. C'era un profumo di fiori che variava odore a seconda dei cespugli fioriti che s'incontravano lungo le rive verde smeraldo. I prati erano così luminosi e pieni di fiori di campo che lei non aveva mai visto prima. C'erano delle ninfee giganti e 119
fiori di loto galleggianti sull'acqua chiara come cristallo. Le rocce avevano colori splendidi come quarzo citrino, topazio, celestina e lapislazzulo. Nuotando arrivò davanti ad una cascata che sembrava uno specchio d'acqua limpido e trasparente. Vide l'immagine riflessa di un bellissimo cigno davanto a sé. Si guardo addosso e vide che lei era quello splendido cigno bianco. In quel momento capì il dono della fata: ogni volta che lei nuotava a pelo d'acqua pensando al suo dono, attraversava la porta astrale del regno delle fate diventando un cigno, la sua anima guida. Si avvicinò alla riva e vide con sua immensa sorpresa che da una parte della collina si estendeva un fantastico campo di fiori dai petali d'oro. Il loro profumo sembrava quello delle tuberose ma molto più intenso e delicato. Dall'altra parte invece c'erano dei fiori dai petali d'argento con sfumature giallo bruciato ai bordi mentre i pistilli lunghissimi sembravano cristalli luminosi dal profumo inebriante che dondolavano nell'alito di una leggera brezza. Altri fiori coloratissimi rivestivano l'intera collina che si specchiava nel grande fiume placido in cui lei stava nuotando, lasciandosi trasportare da una leggera corrente. Ad un tratto i fiori colorati si animarono svolazzando nell'aria come fossero una fitta nuvola di petali in movimento. Si riunirono tutti insieme formando una figura umana, una figura di donna bellissima dal viso più dolce che Caer avesse mai visto. La sua pelle era del colore delle perle chiare, i suoi occhi lilla come il glicine. Silfidi di luce volavano in gruppo producendo note d'arpa ogni volta che si muovevano da un punto all'altro. Un nugolo di piccoli pettirossi si avvicinarono alla bellissima Signora creata dai fiori. ''Benvenuta nello Side, dolcessima Caer!'' Disse la Signora. Le sue vesti color della pietra di luna e adularia si muovevano insieme al venticello. Un lungo velo d'arcobaleno le copriva le spalle scendendo fino a terra. ''Io sono Blodeuwedd, l'essenza di tutti i fiori.'' La sua voce sembrava una lira che suonasse, producendo parole dal suono incantevole. Caer aveva timore davanti a quella bellissima Donna. Le si avvicinò timidamente restando in acqua. '' Buongiorno Signora, o buonasera. Non le saprei dire, perchè prima che m'immergessi sott'acqua era notte fonda e un minuto dopo, cioè ora 120
sembra giorno. Il giorno più bello e luminoso che io abbia mai visto.'' Disse estasiata. Blodeuwedd: '' Vieni ragazza, voglio mostrarti una cosa che ti piacerà molto.'' Caer uscì dall'acqua, e mentre usciva vide che il suo corpo tornava ad essere umano ad eccezione delle ali che rimasero grandi e candide dietro le sue spalle. Blodeuwedd le porse la mano dandole il benvenuto sulla terra dello Side mentre si avviavano lungo un sentiero che si snodava tra due colline. Nel frattempo uscirono dal niente nove essenze femminili alate. ''Sono le mie compagne, coloro che allietano la mia luce. Bardana, Regina dei prati, Primula, Fiore di fagiolo bianco, Biancospino, Ginestra, Ippocastano, Quercia e Ortica.'' Disse indicandole ad una ad una. Caer le salutò con un inchino, le nove essenze le risposero allo stesso modo sorridendo. Salirono per pendii rivestiti di morbido muschio e piante dalle foglie magiche. Bastava prenderne una per volare in un'altra dimensione. C'erano fiori talmente fragili e delicati da sembrare veli caduti dalla luna. Arrivarono in una radura dove crescevano nove alberi sacri. Otto erano in circolo, il nono era al centro del cerchio. Le sue fronde erano rosa chiaro con sfumature violette man mano che si andava verso le punte. Avevano l'aspetto di grandi salici, ma meno cascanti. Le foglie davano riflessi e sfumature dorate e ad ogni alito di vento, che muoveva i rami urtandogli l'un l'altro, produceva suoni di finissimi cristalli. Blodeuwedd: '' Questi sono gli alberi della profezia, del destino, della riemersione. Mangiando le sue bacche d'oro, ci si mette in contatto col proprio sé interiore, con la più intima, vera identità. Voglio che tu ne prenda alcune e le mangi. Hanno il sapore del miele caldo che si scioglie in bocca. Ma nell'immediato futuro, dovrai prepararti ad una prova molto importante di cui tu sarai la chiave della sua riuscita.'' Caer prese alcune bacche dorate. Nel palmo della mano sembravano delle piccole perle della grandezza di quasi un centimetro e della durezza del vetro ma una volta messe in bocca si scioglievano da sole. Ne mangiò nove, le altre le mise in un sacchettino di pelle di daino che le diede la Signora dei fiori. Blodeuwedd: ''Avrai bisogno di questi frutti. Dovrai essere molto coraggiosa e non farti sconfiggere dalla paura e dalla violenza.'' Le disse 121
guardandola seriamente, ma con dolcezza. Io e le mie nove fanciulle ti aiuteremo nell'impresa.'' Caer la guardò spaventata. ''Ma di cosa si tratta?'' Chiese intimorita. Blodeuwedd: '' Lo saprai presto, ma tu non dovrai aver paura. Sei un cigno, un animale molto coraggioso.'' Schioccò le dita e un meraviglioso unicorno bianco scese dal cielo da dietro una nuvola color arancio dorato. L'unicorno volò verso di loro e quando toccò terra diventò un bellissimo ragazzo adulto dall'aspetto nobile e dolcissimo. ''Briabhall, mio caro servitore. Lei è Caer, la ragazza di cui ti ho parlato. Dovrai seguirla e starle accanto tenendo tu i frutti dell'albero del destino. Ogni volta che le serviranno ne farai apparire uno.'' ''Va bene, Signora,'' rispose umilmente Briabhall. Blodeuwwed si avvicinò a Caer, le prese la testa tra le mani e le diede un bacio sulle labbra con gran stupore della ragazza. ''Questo ti darà il profumo dell'ambrosia ovunque tu sarai e ti proteggerà dal male.'' Le disse. Battè tre volte le mani e Caer riemerse dal pelo dell'acqua nel fiume dietro casa. Quando riaprì gli occhi, vide intorno a sé il buio della notte. Era immersa nel silenzio totale. Un gufo emise il suo verso facendole venire un brivido di soprassalto. Uscì dall'acqua e si trovò al collo una collana di piccole palline d'oro, centotrenta in tutto. Prese i vestiti e ritornò dentro casa. Una settimana dopo l'accaduto, da quella strana notte, Caer era nel giardino dell'università a leggere su una panchina quando una ragazza passandogli vicino le urtò i piedi facendo finta di niente. ''Hey,'' le urlò Caer, ''guarda dove cammini!'' La ragazza fece finta di non averla sentita abbozzando un sorriso di dispetto. ''Lasciala perdere,'' le dissero alcune ragazze che erano alle sue spalle.''Quella ragazza è matta, parla come uno scaricatore di porto e non socializza con nessuno.'' Caer: '' Ma perchè si comporta così?'' Disse sorpresa. Ragazze: '' E' matta! Ha un carattere terribile, bestemmia e se ne sta sempre da sola.'' 122
Caer: '' Peccato, è una bellissima ragazza. Ha un viso splendido!'' Ragazze: '' E' matta, lasciala perdere. Noi quando passa facciamo finta che lei non esista.'' Le risposero compiaciute della loro indifferenza. Nel pomeriggio, Caer andò a farsi una passeggiata intorno al laghetto deserto che c'era dietro l'università. Mentre camminava pensando a quella meravigliosa esperienza di quella magica notte, sentì dei sassi che rimbalzavano sull'acqua. Si voltò e vide la stessa ragazza di prima che di spalle che gettava piccoli sassi nel laghetto facendoli rimbalzare. ''Spaventerai le papere che vi nuotano dentro!'' Le disse tenendosi a distanza. Ragazza: '' Sono buone anche in padella con le patate di fianco se è per questo.'' Caer: '' Tu ti vorresti in padella?'' Le chiese divertita. Ragazza: '' No ma loro fanno più figura, soprattutto in un bel piatto di porcellana stile inglese,'' rise. Caer: '' Peccato, io non mangio carne!''Le disse provocatoria. Ragazza: '' E chi te lo ha chiesto!'' Le rispose l'altra indifferente. ''Io mi chiamo Caer.'' Disse. Ragazza: '' Tanto piacere, ti ho forse chiesto come cazzo ti chiami?'' Caer: '' No, ma dato che stiamo parlando è bello sapere anche con chi si sta interloquendo.'' Ragazza: '' Tu stai parlando, io lancio sassi nel lago.'' Le rispose rimanendo sempre di spalle. Caer: '' Sei sempre così aperta e socievole con tutti tu?'' Ragazza: '' Hai una spina nel culo che ti da noia? Perchè non te la vai a togliere da un'altra parte?'' Le disse indifferente. Caer rimase scioccata da quelle parole ma si riprese subito dissimulando bene. '' Ok scusa, non sapevo che ti avessero allattata con latte di vipera!'' Stava per andarsene quando sentì dietro alle sue spalle. ''Lolair, il mio nome è Lolair,'' le disse avvicinandosi senza guardarla. Caer rimase sorpresa da questo risvolto. ''Perchè sei così scorbutica quando qualcuno ti rivolge la parola? Le chiese perplessa. Lolair: '' Perchè mi stanno sul cazzo quelle facce di sterco che fanno le santarelle e sono una più falsa e ipocrita dell'altra.'' Rispose ridendo di 123
gusto. Caer: '' In effetti devo dire che facce di sterco non sono proprio degli angeli!'' Disse ironicamente ridendo anche lei. Lolair: '' Diciamo che sono angeli caduti di faccia e mentre atterravano avevano appena cagato un branco di vacche in piena attività intestinale.'' Caer: '' Sei una ragazza dal linguaggio colorito vedo?'' Lolair: '' Dico sempre quello che penso e a chi non gli va bene si attacchi pure a questo,'' così dicendo alzò il dito medio verso l'alto, ben in vista. Caer: '' Ti va un tè insieme?'' Le propose. Lolair: '' Un tè? Che ci faccio col tè i clisteri per sturarmi le tubazioni? Propongo una birra! Suona meglio e prepara dei rutti divini!'' Le rispose ridendo ironicamente. Caer: '' Ok dove andiamo a berla?'' Lolair: '' In un bar! Sennò fare i rutti mentre la si sorseggia dove non c'è nessuno, che senso ha!'' Caer la guardò incuriosita. Non le sembrava una cattiva ragazza, forse un pò sopra le righe. Voleva vedere se era vero quello che dicevano di lei. Caer: '' Ok tra due isolati c'è ne uno, andiamo li? ''No,'' le ripose,'' andiamo dove dico io e come dico io altrimenti niente.'' Le disse con un sorrisino di quelli che la sanno lunga. Caer: '' Va bene, dove?'' ''Seguimi,'' le disse la ragazza. Presero la macchina di Lolair e andarono a casa sua. Entrarono in una bella casa antica, con mobili pregiati e tende fantastiche. Caer rimase a bocca aperta quando vide quelle meraviglie davanti ai suoi occhi. Caer: '' Hai una casa fantastica!'' Disse guardandosi in giro. Lolair: '' Perchè pensavi che vivessi nel culo di qualche orso?'' Rispose con un sorriso tra l'ironico e l'indifferente. Caer notò che quando Lolair sorrideva, gli si illuminava tutto il viso ed uscivano due fossette tenerissime sulle guance. ''Vieni su,'' le disse la ragazza. La portò nella sua camera. ''Ah , em , ah....non sono lesbica Lolair,'' disse allarmata Caer. Lolair: '' Neanch'io, non preoccuparti mi piace troppo il pisello per diventare ad un tratto lesbica.'' Aprì un grande armadio a muro e davanti a loro si aprì il paradiso. ''Mah....mah questi vestiti sono fantastici, divini, meravigliosi. 124
Mah...come fai ad averli?'' Disse Caer con un filo di voce mentre il respiro le si spezzava per l'emozione. Lolair: '' Me li ha regalati quel caprone di mio padre quando mi porta ai suoi ricevimenti del cazzo. Provati quello secondo me ti starebbe benissimo.'' Disse indicandogli un Versace color crema scintillante. Caer: '' No aspetta non è possibile, non posso. Non sono miei, sono così agitata! Lolair: '' Spara una scoreggia. Su dai spara! Lo so che ce l'hai lì e la trattieni per non farla sentire. Quando ci si emoziona troppo può capitare.'' Caer: '' Ma Lolair, cosa dici!! !Non c'è nessuna scoreggia nella mia pancia.'' Le rispose arrossendo. Lolair: ''FAMMI SENTIRE QUESTA CAZZO DI SCOREGGIA TI HO DETTO. Lo so che sta li. La voglio sentire come se ti stesse esplodendo il culo.....vai! 'Da dentro i jeans di Caer si sentì salire un tuono che sconvolse la povera ragazza che l'aveva appena emessa,'' ppprrremmm!!! ''OOOOHHH e che cazzo! Senti che musica. Ora ti sei rilassata. Giusto!'' Le disse in tono complice. ''Mmmhh.....emmmm..... si, diciamo di sì!'' Le rispose Caer rossa in viso. Lolair: ''Ne hai un'altra? Sparala, senza timore, senza paura....vai!'' ''Nono, non ne ho più. Ti giuro che sono vuota ora.'' Disse Caer ancora più rossa. Lolair: ''Mmmm profumata proprio eh! Che cazzo ti sei mangiata a paranzo? Ti eri seduta in un campo di cipolle e le hai falciate tutte con i denti? Sbottò a ridere. ''Brava così sono più gustose. Creano l'atmosfera e riscaldano d'inverno sotto le lenzuola hahahaha.'' Rise. '' Dai provati quelli che ti piacciono. Io sceglierò il mio preferito....un ARMANIIIII! Dietro quelle porte ci sono borse e borsette da abbinare e una valanga di paia di scarpe.'' Disse indicandole delle porte scorrevoli con specchi grandi sulla superficie. Caer optò per un Valentino mentre Lolair indossò il suo Armani preferito. Si truccarono perfettamente e misero un profumo buonissimo sui polsi e sul collo. Presero la Bentley del padre di Lolair e si avviarono verso uno dei pub più esclusivi della città. ''Oh mio Dio lì no!'' Disse Caer quando vide dove si stavano dirigendo. Lolair: '' Paura? Io per niente, non devi averne ci sono io con te. E con noi 125
le carte di credito del caprone.'' Arrivarono davanti all'entrata del locale, parcheggiarono la macchina in uno degli stalli ed entrarono. Erano bellissime e irraggiungibili in quei vestiti favolosi. Alte snelle con un corpo scolpito nel marmo. Acconciature meravigliose ed un trucco da star. I camerieri le accolsero gentilmente e le accompagnarono ad un tavolo libero, uno dei migliori del locale. Tutti gli uomini si voltavano a guardarle tanto erano splendide. Le donne le guardavano ma con un certo veleno. Una di loro disse ad un altra mentre le due passavano. '' Ma quella non è la figlia del diplomatico, la pazza! Quella che diede fuoco alla macchina del sindaco.'' Altra donna: '' Oh mio Dio, si è vero! Con che coraggio si presenta in posti così esclusivi, dopo quello che ha fatto.'' Disse indignata. Le due ragazze si sedettero ad un tavolo con vista su un boschetto di larici dove vi era un laghetto naturale e dei piccoli ponti di legno che collegavano i canaletti. I camerieri facevano a gara per andare a prendere le loro ordinazioni. ''Buona sera signorine, benvenute nel nostro locale. Cosa desiderate prendere da bere? Abbiamo del ottimo champagne, dello squisito brandy, dei cocktails esotici fatti dai nostri migliori barmen.''Disse un cameriere in livrea scura, molto tirato e visibilmente colpito dalla bellezza delle due ragazze. ''Birra grazie, dieci boccali.'' Ordinò Lolair. Cameriere: '' Birra??? Dieci boccali???'' Disse come un automa. ''Potrei consigliarv....''Stava per proporre qualcos'altro quando Lolair lo interruppe. ''Si grazie, dell'ottima birra scura. Dieci boccali ma ce li porti a due a due così rimane fresca e spumosa.'' Ripetè concisa, con garbo. Il cameriere un po' in imbarazzo. '' Abbiamo dei fantastici cocktail esotici fatti da....'' Lolair: '' Si abbiamo capito non ci piacciono quelle diarree che preparate. Vogliamo la birra, va bene. Cos'è, hai i tappi di cerume nelle orecchie o dobbiamo andare in un altro locale per bere un po' di birra?'' Disse risoluta. Cameriere: '' Nono signore, abbiamo dell'ottima birra scura, birra irlandese !'' 126
Lolair: '' Quella! Vorremmo bere proprio quella. Ci porti qualcosa d'accompagnamento, delle patatine, noccioline, tortillas, olive quel che cazzo vuoi, basta che ci porti sta benedetta birrozza!'' Disse alzando volutamente un pochino la voce per attirare l'attenzione dei presenti. Il cameriere con i brividi di paura addosso si ritirò nelle spalle come una lumaca nel guscio. ''Va bene signore, vi porterò dell'ottima birra.'' Lolair: '' Ecco bravo, comincia a pedalare sulla sinistra che ch'arrivi prima.'' Guardò ridendo Caer irrigidità dal ghiaccio dell'aria tesa, mentre lei si divertiva da matti. Dopo cinque minuti tornò il cameriere con il vassoio e le prime due birre. In un angolo del vassoio c'erano dei contenitori di cristallo con noccioline salate, tortillas e olive snocciolate. Lolair: '' Se aspettavi ancora un po' mi cresceva l'orzo addosso e la birra me la facevo io direttamente.'' Disse apposta per metterlo a disagio. Cameriere: '' Scusate signore, abbiamo fatto il più velocemente possibile.'' Rispose mortificato. ''Si va beh va beh, metti tutto sul tavolo e togliti dai coglioni!'' Disse accompagnando la frase col gesto della mano. Il cameriere mise tutto sul tavolo quanto più velocemente possibile dileguandosi in fretta e furia. ''Perchè lo tratti così?'' Le chiese Caer quando il ragazzo si allontanò. Lolair: ''Non sto trattando lui in particolare così, ma tutto il sistema bigotto, stronzo ed ipocrita di questa fascia della società. Mi divertirò ancora di più quando verrà qui da noi il proprietario hahahaha. Vedrai come verrà!'' Rispose entusiasta. Caer: ''Hem....Lolair io non so se riesco a sopposrtare questi atteggiamenti. Non so se riuscirò a tenere duro fino in fondo. Io sono molto timida.'' Disse con un filo di voce. Lolair: '' Lascia fare a me e fai quello che faccio io quando faccio finta di schiarirmi la voce.'' Disse questo facendole un'occhiolino. Si misero a sorseggiare le loro birre parlando dell'università e di tante altre cose. Ad un certo punto, le tre ragazze che le avevano viste entrare poco prima e di cui Lolair ne aveva sentito i commenti acidi, si avvicinarono al loro tavolo con espressioni ciniche. La prima ragazza: '' Toh, guarda chi c'è, la figlia del diplomatico. Ma come stai mia cara e da tanto tempo che non ci si vede.'' 127
'' E meno male,'' le fece coda l'altra ragazza. ''Cosa ci fai qui, hai smarrito quel poco di ragione che ti era rimasta?'' Le disse con tono soave ma acido. La terza ragazza: '' Non vorrai dare fuoco anche al locale spero! Con te non si sa mai, bisogna camminare con l'estintore nella borsetta avendoti vicino.'' Dicendo questo si toccò una spalla facendo il gesto di pulirsi da polvere inesistente. Lolair che nel frattempo stava bevendo la sua birra, mentre le guardava negli occhi con sguardo candido, staccò le labbra dal bicchiere tirando un rutto da far impallidire le rose rosse che erano nei portafiori in cristallo sui tavoli. ''Oh, questa birra è ottima mia cara amica, dovresti berla anche tu ti sgonfierebbe un pochino quelle tette...rifatte vero? Rifattissime direi. Non è che si può passare dalla prima alla quarta in due mesi senza neanche una botta di vento nei paraggi! Rivolgendosi alla sua amica di bevuta: '' Caer ti presento Wiber, la figlia del governatore. Un tipino così dolce ed educato che già il nome è un biglietto da visita. Si perchè devi sapere mia cara Caer che Wiber in gallese vuol dire vipera, e lei di questo tenero animale ha preso solo la faccia ed il veleno.'' Si schiarì la voce. Caer aprì la bocca e tirò fuori un altro rutto che sembrava le si aprisse lo stomaco a ventaglio. ''Molto piacere Wiber, le altre due chi sono cip e ciop cadute dal pero?'' Wiber: '' Sembrate uscite da un circo con quelle acconciature da passeggiatrici lungo i muretti del porto.'' Disse con aria di sfida cercando di non far vedere il nervosismo. Lolair tirò un altro rutto rumoroso da far rizzare i capelli alle persone dei tavoli vicini. '' Dio santo questa ragazza ha il potere di farmi digerire anche le pietre. No Caer non sono cip e ciop cadute dal pero. Una è una specie di coda di lucertola di Wiber e l'altra è il suo buco del culo. Stai attenta quando ti da le spalle perchè potrebbe lasciarti il bisognino.'' Disse asciugandosi finemente le labbra col tovagliolo. Caer: '' Senti Wiber, mi dici dove sono questi muretti vicino al porto, potrebbero essere interessanti visto che li conosci così bene. Cosa sono le tue postazioni preferite? Concluse con un rutto sonoro. Wiber: '' Vi siete proprio trovate voi due eh! Che orrore. Andiamo 128
ragazze, questo non è posto per noi, c'è puzza di stalla intorno a questo tavolo.'' Disse con aria di superiorità.'' Lolair: '' E tu di stalla te ne intendi vero, visto che la verginità l'hai persa proprio in una di quelle così profumate, facendoti sbattere dal professore di filosofia nella sua tenuta davanti al mare. '' Dicendo questo si mise in maniera molto fine dei salatini in bocca, con un cucchiaino d'argento. Wiber la guardo con un tale odio che gli occhi gli si diventarono stretti come due fessure. Caer: ''Non ti concentrare troppo altrimenti ti esce l'uovo marcio dalle mutande.'' Disse bevendo una sorsata di birra. Lolair: '' Non ne porta, lei usa nature. Le piace farsi accarezzare i peli in mezzo alle chiappe dal vento. Ciao Wiber …....ssssssssssssssss! Concluse facendo il verso del serpente, ma lo fece talmente forte da spruzzarle addosso un po' di salatini masticati che aveva ancora in bocca. Le tre serpi se ne andarono isteriche di rabbia. Quasi non riuscivano a respirare per il nervosismo che le strizzava come polpette in un imbuto. Lolair: '' Sei stata fantastica. Quella dell'uovo marcio che le cade dalle mutande non mi sarebbe venuta in mente neanche a me! Bravissima.'' Caer: '' Quella si è fatta sbattere in una stalla?'' Le chiese con gli occhi sbarrati. Lolair: '' Si, guarda caso è stata proprio la sua migliore amica a sputtanarla durante una lite tra tutte e due nel bagno delle ragazze della scuola, dopo che la stessa amica aveva fatto collegare un piccolo microfono agli altoparlanti in filodiffusione. Pensa un po' te quanto sono vipere l'una con l'altra.'' I boccali di birra erano arrivati a sei quando il proprietario cordialmente si avvicinò al tavolo delle due ragazze. Proprietario: '' Buonasera ragazze, vi state divertendo? Volevo augurarvi una piacevole serata e magari chiedervi gentilmente di abbassare i toni perchè alcuni clienti si stanno lamentando.'' Lolair: '' Ciao Rocas, come va la vita! Bello il tuo locale, così chic, mondano, in prima linea col lusso.'' Rocas: '' Ti ringrazio Lolair, spero che godiate di tutto questo splendore messo a disposizione di tutti i miei clienti.'' Lolair: ''Ah ma noi ne stiamo godendo alla grande direi, vero Caer.'' Rivolta alla sua amica. Caer annui tirando di pancia un altro di quei bei rutti. 129
Rocas rimase esterefatto. Lolair: ''Anzi io avrei un'idea. Ora ti siedi e ti unisci a noi e alla nostra gara di rutti. Altrimenti sputtano tutto mettendomi sul tavolo.'' Rocas: '' Non ci penso minimamente. Sputtanare tutto cosa? Io non ho niente da nascondere.'' Disse alzando un sopracciglio.'' Lolair: ''Niente, niente?''Gli chiese ironicamente,''neanche di aver dato fuoco alla macchina del sindaco perchè non ti dava le concessioni per aprire il tuo locale. Per aver abusato del figlio minorenne di un certo assessore, portandolo nella villa di campagna lontano da occhi indiscreti? Guarda caso il ragazzino è venuto a piangere e sfogarsi proprio da me ed io ho filmato tutto con una sua dichiarazione firmata. Mentre nel primo caso ti sei fregato da solo perchè la macchina del sindaco era parcheggiata davanti al cancello di casa mia e le telecamere di sorveglianza hanno ripreso tutto compresa la tua faccia da Vespasiano in un bagno pubblico. Lo sai che il sindaco aveva chiesto a mio padre se poteva lasciarla lì perchè quel giorno la sua macchina lo aveva lasciato per strada e tu, stronzo, bastardo, hai dato la colpa a me per il fatto dell'incendio nel fienile i cui neanche li avevo colpa. Hai fatto si che io passassi per pazza in tutta la città e tu ti sei vendicato uscendone pulito dal misfatto. Ora ti siedi, ti scoli tante birrozze, e fai dei rutti di pancia da far rivoltare anche le fogne sennò ti rigetto addosso tutta la merda che hai buttato su di me, davanti a tutte queste personcine con la puzzetta sotto il naso.'' Rocas: '' Lolair, non potremmo parlarne a quattr'occhi. Sistemeremmo la faccenda in modi molto più convenienti?'' La pregò con i nervi tesi. Lolair: '' No caro, siamo venute apposta per vederti pisciare nei boccali dopo che te li sei svuotati tutti, davanti al tuo pubblico di cristallo. Siediti e ordina fino a scoppiare!'' Rocas: '' Sei una pazza, una stronza bastarda!'' Lolair: '' Sono tua cugina. Sicuramente abbiamo molto in comune! Siediti ti ho detto!'' Gli disse fissandolo.'' Non te lo ripeterò più.'' Rocas si sedette al tavolo con le ragazze e ordinò una birra dopo l'altra. Lolair: '' Slacciati la cintura e stravaccati. Rutta come se si stessero aprendo le acque davanti al porto, mio caro!'' Rocas: '' Ti prego non farmi fare queste figure.'' Lolair si alzò in piedi, prese un cucchiaino e cominciò a picchiare su un bicchiere richiamando l'attenzione degli altri presenti. ''Avrei qualcosa da dirvi miei cari signori,'' disse risoluta con un sorriso 130
lindo sulla faccia. ''No no aspettaaaaa! Va bene va bene,'' disse stringendo i denti. Bevve tutto d'un fiato un boccale grande di birra e mentre lo posava sul tavolo, tiro un rutto che per poco non si ribaltava la tovaglia. Le signore lo guardarono disgustate. Una di loro si mise una mano davanti alla bocca come per frenare un conato. Qualcuno si alzò e se ne andò imboccando la porta d'uscita. Lolair: '' Volevo dirvi solo che oggi il signor Rocas O' Gallagher ha deciso di dare in beneficenza tutto quello che incasserà a fine serata evolvendo il ricavato alla mensa dei poveri. Un applauso per il signor Rocas per favore.'' Sottolineo queste parole alzando un boccale di birra e ruttando così forte da far venire la pelle d'oca a tutti i presenti. Caer la seguì a ruota e Rocas dovette farlo ancora più forte incalzato dalla pedata sotto il tavolo che gli diede Lolair. Quella sera la reputazione di Rocas andò in frantumi. Ad un certo punto ormai sbronzo e privo di freni inibitori, cosa che Lolair sapeva benissimo visto che Rocas non reggeva assolutamente l'alcol, l'uomo si calò giù i calzoni ballando seminudo sui tavoli di alcune clienti che scapparono schizzando come formiche. E per chiudere in bellezza, urinò nelle vasche degli acquari dei favolosi pesci angelo, tra un tavolo e l'altro. La gente uscì dal locale disgustata e determinata a non metterci più piede li dentro. La cosa finì sui giornali del giorno dopo con tanta di fotografia di Rocas mezzo nudo col puledrino di fuori, intento ad urinare davanti agli occhi strabuzzati di alcune signore che lo guardavano orripilate. Caer non si era mai divertita tanto anche se in certi momenti le sembrava che il cuore partisse da solo per uscirle dalla gola per la paura. I giorni seguenti le due ragazze si frequentarono spesso. Nel pomeriggio prendevano le biciclette e se ne andavano a pedalare lungo le dolcissime colline irlandesi fuori dalla città. In uno di quei giorni stavano giusto andandosene tranquille in bicicletta. '' Hai letto di quella ragazza che è scomparsa?'' Chiese Caer a Lolair. ''Si, e non è l'unica. Ne sono scomparse anche delle altre. Scompaiono bambine e ragazze adolescenti ma anche della nostra età.'' Le rispose Lolair. Caer: '' Credi che se ne siano andate di casa?'' Lolair: '' Credo che sotto ci sia qualcosa di orrendo invece! Caer tu non immagini quanta gente malata di mente c'è nel mondo. Soprattutto tra gli 131
strati sociali alti, c'è gente capace di tutto dietro le mura di casa. Dietro un aspetto rispettabilissimo fanno delle cose terribili e nessuno le vede perchè questi sono abilissimi nel nascondere la merda che hanno dentro.'' Caer: '' A cosa alludi Lolair?'' ''Niente lascia perdere!'' Le rispose evitando il discorso. Davanti incotrarono tre uomini in un auto scura. Questi si erano messi al centro della strada e non le facevano passare. ''Hey potreste spostarvi un po' più sul lato della strada invece di mettervi in mezzo?'' Gli urlò dietro Lolair. Gli uomini non si voltarono rimanendo al centro. ''Allora!!!'' urlò anche Caer. Lolair: '' Ma guarda questi, un po' più al centro no!'' Sbotto innervosita. La macchina rallentò ancora di più quando arrivarono in una curva stretta, molto isolata. Era talmente stretto il passaggio che poteva passare solo una macchina. Lolair: ''Ma se vi infilassi due dita nel culo andreste più veloce?'' Urlò con tutto il fiato che aveva dentro. Caer: '' Macchè, magari gli piace pure!'' La macchina si fermò del tutto bloccandole. Lolair scese dalla bicicletta e si avvicinò all'auto dal alto del guidatore. ''Hey testa di cazzo ti vuoi togliere di mezzo!!!!'' Gli urlò sul finestrino. Due tipi uscirono dagli sportelli posteriori, si avvicinarono rapidamente a Lolair, uno la bloccò da dietro mettendogli un panno di cloroformio in faccia e l'altro le tenne le gambe che cercavano di divincolarsi. Nel frattempo, da dietro gli alberi uscirono altri due uomini che si avventarono su Caer bloccandola. Uno le mise un'altro panno con il cloroformio e l'altro la inchiodava con le braccia. Caer e Lolair persero i sensi dopo qualche minuto. Tutto diventò nero sfumando nel niente. Quando si svegliarono si ritrovarono legate mani e piedi e al collo un cerchio di ferro con una catena fissata al muro. Erano distese su un tavolaccio in una stanza buia e umida. '' Oh Dio dove sono,'' esclamo terrorizzata Lolair,'' Caer dove sei?'' Qualcosa gemeva non molto lontano da lei. ''Caer sei tu? Rispondimi ti prego!'' Disse Lolair. Anche Caer si svegliò in quel modo. ''Lolair, dove siamo? Cos'è questo posto?'' Disse presa dalla paura. Lolair: '' Ci dev'essere qualcun altro qui dentro Caer, sento dei gemiti 132
come se qualcuno stia piangendo.'' Passo un po' di tempo prima che delle fioche luci illuminassero il luogo. Davanti a loro videro molti corpi di ragazze nude legate a delle catene fissate ai muri, come lo erano anche loro. Molte delle ragazze piangevano, altre dormivano, altre ancora avevano il volto tumefatto da lividi di percosse. Lolair: '' Cosè questo l'inferno?'' Disse a mezza voce. Caer: '' Ma dove siamo, cosa sta succedendo?'' Una ragazza che era legata vicina a loro due accese una candela su una pietra. '' Siamo nella cantina di qualche posto sperduto.'' Disse con un filo di voce. Lolair: '' Cosa ci facciamo qui? Perchè siamo qui?'' Ragazza: '' I primi tempi me lo chiedevo anch'io. Ora lo so cosa ci facciamo! Aspettiamo di morire come vogliono loro.'' Disse tristemente. Caer: ''Morire come vogliono loro? Loro chi? Ragazza: '' Quelli che ci hanno rapite. Quelli che ci compreranno per i loro criminali capricci. Quelle che non verranno comprate saranno stuprate e uccise o lasciate morire di fame nei giochetti sadici dei lupi.'' Lolair: '' I lupi? Chi sono questi lupi?'' Ragazza: '' Loro si considerano dei lupi, i migliori, quelli che contano. Quelli che possono tutto col denaro e si permettono qualsiasi cosa. Hanno già prelevato venti ragazze in questa settimana. Le hanno vendute tutte a dei maniaci psicopatici che amano dare la morte per il loro piacere per sentirsi come Dio.'' Caer: '' Ma chi sono questi pazzi?'' Disse rabbrividendo. Ragazza: '' Sono gente comune, ma con un sacco di soldi. Gente malata di protagonismo. Gente che pensa di essere la cosa più importante dell'universo. Non avete idea di quanti ce ne siano sparsi in tutto il mondo.'' Lolair: '' Ma le ragazze che fine fanno? Dove vanno a finire?'' Ragazza: '' In luoghi e situazioni diverse ma la fine è sempre quella, la morte. C'è moltissima gente che pratica il cannibalismo in segreto e per divorare vive le prede pagherebbe qualsiasi cifra. Si riuniscono in ville di campagna, o di montagna, molto isolate. Si chiamano attraverso siti internet molto segreti, attraverso annunci criptati, codici, linguaggi prestabiliti. Non hanno niente a che fare con i satanisti. Sono persone che 133
all'apparenza sembrano come tutti gli altri ma con questi orrendi vizi che li trasformano in mostri. Ci sono coloro che credono di essere dei vampiri e si nutrono dando dei banchetti segreti sempre riunendosi nello stesso modo in posti molto isolati. Dissanguano le vittime fino a farle morire. Altri ancora invece si divertono a torturarci, e chiuderci in celle piccolissime senza darci da mangiare, fino a quando muoriamo di stenti mentre loro si masturbano guardandoci morire.'' Caer: '' Mio Dio che malvagità, che orrore!'' La ragazza si mise a ridere di una risata isterica, piena di terrore. '' Lascia perdere il tuo Dio perchè da questi inferni se ne tiene molto alla larga mi pare. Sai cosa fanno ad altre? Gli strappano gli organi, gli occhi, e tutto ciò che può servire, per venderli a peso d'oro di nascosto a persone molto corrotte, molto influenti, in un mercato tenuto segreto con diramazioni in tutto il mondo. Ho ascoltato i discorsi di alcuni di loro delle volte, quando credevano che dormissi o non sentissi. Dov'è in questi casi il tuo Dio? Va a nascondersi?'' Urlò inferocita. Lolair: '' Ma perchè tutto questo,'' disse tra le lacrime. Ragazza: ''Perchè questo è uno dei lati oscuri degli uomini, il dolore e la malvagità.'' ''Come ti chiami?'' Le chiese Caer. ''Il mio nome è Feòrag, sono di Belfast. Qui dentro ci sono ragazze portate via da tutte le parti del mondo. Di solito le europee le portano in America, in messico o in Oriente, mentre quelle di questi posti le portano in Europa sparse nelle varie nazioni, nei sotterranei di qualche tenuta segreta. Noi verremo trasferite non so dove, prima di essere vendute come pezzi di carne sul bancone del macellaio.'' Lolair: '' Da quanto tempo sei qui? Feòrag: '' In questo posto da due settimane. Prima mi avevano portata in qualche luogo oscuro della Germania. Me ne ero resa conto dal modo di parlare di alcuni uomini e donne che venivano ad esaminarci per le loro scelte.'' Caer: '' Vengono a scegliere loro di persona?'' Feòrag: '' No ci sono degli addetti dell'organizzazione locale che attraverso le richeste avute dai clienti, selezionano le ragazze ed anche i ragazzi che verranno inviati come un pacco postale alle destinazioni. Molte volte vogliono solo il particolare del corpo di questo o di quella.'' Lolair: ''Mi sembra di vivere un incubo. Non può essere vero!'' Disse 134
piangendo. Feòrag: '' Anch'io pensavo questo fin quando mi son trovata legata di fianco ad una ragazza in una grande stanza davanti a tante persone che avevano pagato tantissimi soldi per vedere uno spettacolo da brivido. Alla ragazza di fianco a me legata ad una poltrona di ferro, misero gocce di acido negli occhi e questi le scoppiarono all'istante. Ai due ragazzi invece li denudarono, gli misero della speciale colla all'ano che li saldo l'uno con l'altro. Gli fecero bere tre litri di purgante potentissimo e dopo neanche due ore di dolori lancinanti gli scoppio la pancia ad entrambi mentre questi balordi, uomini e donne vestiti firmati, ingioiellati, e seduti su poltrone d'oro davanti a cocktails raffinatissimi, applaudivano divertiti, estasiati. Ha me hanno tagliato le mani.'' Così dicendo, mostro i due monconi. Caer: '' Non capisco, ma la polizia non fa niente per rintracciare questi siti, per bloccarli, prenderne i partecipanti e farli marcire in galera?'' Feòrag: ''Credo che i soldi e la corruzzione comprino proprio tutto. Sono dei siti apparentemente innocui dove per entrarci si deve accedere a rigidissime selezioni o attraverso membri che vi sono già dentro. Sembrano innocui ma quando viene data la speciale password, si aprono in tutto il loro orrore con una precisione professionale meticolosissima. Hanno un costo altissimo che ogni membro versa dalla sua carta di credito. Ci sono dei gradi, gerarchie, livelli speciali che vengono raggiunti man mano. Questo permette più potere decisionale nell'organizzazione e nelle scelte, nelle prelibatezze da scegliere, nei posti di privilegio. Ne fanno parte milioni di psicopatici uomini e donne provenienti da tutte le parti del mondo. Nel momento in cui si decide un raduno, l'organizzazione camuffa i viaggi dei membri con wee- end di piacere, d'arte o altro. A volte anche di studio o di lavoro scientifico ed invece non sono altro che crimini orrendi diventati spettacoli per gente malata di mente. Non avete idea di quanti siano. Pensano di essere una razza privilegiata solo perchè hanno miliardi nei conti correnti depositati nelle banche più prestigiose di tutto il mondo.'' Lolair: '' Come sei arrivata qui?'' Feòrag: '' Era Aprile, mi sembra che sia passato così tanto tempo come se facesse parte di un'altra vita. Stavo camminando per le strade di Belfast, andavo a casa di un'amica quando entro in un bar per comprare le sigarette. 135
Un tizio molto affascinante mi si è avvicinato facendo finta che fosse casuale. Mi ha offerto un caffè, abbiamo parlato un po' del più e del meno, ci siamo scambiati i numei di telefono. Era un bel tipo giovane, vestito bene. Mi piaceva come parlava, come mi guardava, mi sentivo corteggiata. Ci siamo rivisti dopo qualche settimana, siamo andati a cena insieme, abbiamo fatto sesso a casa sua. Tutto sembrava andare meravigliosamente. Mi aveva regalato dei fiori, poi un piccolo anellino d'oro, sembrava che stessimo per metterci inseme ed invece mi stava solo preparando per quello che è successo dopo.'' Caer: '' Cosa è successo?'' Feòrag: '' Mi ha invitata a passare un week-end a Londra con lui. Me lo ha proposto un venerdì sera quando eravamo andai a ballare insieme. Uscendo dal disco-pub, mi propose a bruciapelo di staccare i telefoni, non dire niente a nessuno e farci due giorni di sesso a Londra in un bellissimo appartamento di sua proprietà. Era così tenero, dolcissimo e convincente. Còsì premuroso e accorto che mi convinse a seguirlo senza avvertire nessuno. Quando siamo arrivati lì, mi ha piena di attenzioni, abbiamo fatto l'amore tutto il giorno. La notte ho preso sonno e quando mi sono svegliata ero legata ed imbavagliata come una salamella in un posto come questo. Mi aveva messo qualcosa nel bicchiere dove stavo bevendo ed io non me ne ero accorta. Ecco come sono arrivata qui. Lui era solo una pedina di questa mastodontica organizzazione criminale che cresce sempre più tra reclute e prede.'' Caer: '' Sembra un film dell'orrore.'' Feòrag: ''No invece, è proprio realtà cruda e nuda. Sotto la superficie apparente delle vita normale si muove tutto un colossale mondo di intrighi, organizzazioni e criminalità spaventose. Questo è il liquame che nutre i vertici più alti della società mondiale. Molti sanno benissimo ma i soldi ed il prestigio chiudono facilmente la bocca. Quando non la si riesce a chiedere, si ricorre all'omicidio fancendo si che sembri invece un suicidio per non dare nell'occhio e rimanere puliti e nell'ombra.'' ''Io sono Lolair e lei è Caer,'' disse Lolair a Feòrag indicano l'amica. La luce della candela intanto si era diffusa un po' di più. Apparvero molte ragazze emergendo dall'oscurità. Tutte legate con catene di ferro e collari al collo. Vennero degli uomini incappucciati con dei propulsori a scosse eletriche. Allontanarono alcune e ne presero altre portandole in un altro 136
livello, mettendole in delle celle d'attesa rinchiuse dietro sbarre d'acciaio. Quattro di loro si avvicinarono a Caer e Lolair. Caer: '' Lolair, stai ferma e zitta non fare e non dire niente.'' Le presero e le portarono su per delle scale mettendole in due celle una vicino all'altra per tenerle separate. Quella sera ci fu la scelta per una vendita. Vennero prelevate dodici ragazze tra: svedesi, cinesi, russe e italiane. Con dei diffusori messi in alto sui muri, propagarono un gas che le addormentò affinchè non avessero difficoltà a spostarle. Quando tutte loro erano prive di sensi, le prescelte furono prelevate e portate via. Il tempo sembrava fosse sparito in quel posto oscuro e torbido. Non si vedeva mai la luce del sole, l'aria entrava da alcuni condotti che arrivavano in tutti gli ambienti illuminati da luci fioche per non far vedere chiaramente alla vittime dove fossero. Quando Caer si svegliò vide qualcosa di bianco per terra fuori nel corridoio che divideva le cellette. Con non poca difficoltà riuscì a prenderlò. Con l'accendino che aveva in tasca riuscì a leggere quello che vi era scritto. Era spagnolo, una lingua che lei conosceva benissimo. Vi lesse il numero delle ragazze contenute in quel luogo '' BLOCCO 9917'' voleva dire che nel mondo c'erano ben 9916 altri luoghi di terrore come quello in cui stava lei e Lolair in quel momento e chissà quante altre vittime che aspettavano di essere uccise. C'erano piu di duecento ragazze rinchiuse in quel posto infame. I vari livelli, in tutto undici disposti su undici piani diversi collegati da ascensori. Posti di controllo con guardie armate, pronto soccorso ad ogni livello e camere di isolamento. Praticamente era una mappa del luogo caduta dalle tasche di qualcuno che era passato di lì quando erano prive di coscienza. C'erano i vari percorsi segnati con colori diversi e le freccie direzionali per arrivare in superficie. Chiunque avesse perso quella mappa non doveva essere molto pratico della zona e si era riportato tutto in maniera minuziosamente particolareggiata per evitare di perdersi. C'erano segnati in giallo anche i bagni, dieci ad ogni livello, con docce separate per gli addetti. ''Lolair,''chiamo a basa voce Caer. ''Dimmi sono qui di fianco a te dall'altra parte del muro,''rispose. Caer: ''Ho trovato una mappa del posto. Gli sarà caduta a qualcuno di 137
loro. Ci sono dei numeri su un altro foglietto che non riesco a capire cosa siano.''Disse. Lolair: '' Allunga il braccio e passamela. Sono qui alla tua sinistra.'' Caer allungò il braccio e gli passo i due fogli piegati, insieme all'accendino. ''Non farlo cadere altrimenti non avremo nient'altro per farci luce.'' ''Ok,'' le rispose La ragazza studiò attentamente la mappa. ''Sembrano dei codici, delle password. Ogni codice e separato da una barra e dopo la barra c'è una lettera e dei numeri.'' Caer: '' Si lo so, ma non riesco a capire a cosa si riferiscano.'' Lolair: '' Azzo organizzati proprio bene eh! Mancano solo le ballerine di Pole-dance e poi stanno da Dio.'' Disse stupita. Caer: ''Quelle siamo noi mia cara. Balleremo quando ci metteranno a cuocere su qualche graticola.'' Lolair: '' Vaffanculo Caer! Non mettermi paura più di quella che già ho addosso!'' Caer: '' Va bene scusa.'' Ad un certo punto Caer vide qualcosa davanti alla sua cella. Due lettere con tre numeri. Gli occhi di Caer si erano abituati all'oscurità e come per un particolare dono riuscivano a vedere bene al buio. ''Lolair,'' chiamò. '' Vedi se su uno dei fogli c'è scritto FX115.'' Lolair: '' Cos'è?'' Chiese. Caer: '' Zitta e fai quello che ti dico.'' Lolair: '' Uh madonna non metterti a fare l'isterica proprio ora!'' Caer: '' Potresti guardare per cortesia?'' Lolair: ''Va bene va bene, un momento!'' Passarono dei minuti di silenzio che sembravano interminabili. Caer: '' Quanto ti dura il minuto? Stai guardando?'' Lolair: '' Che c'è hai un impegno. Se hai l'appuntamento con l'estetista mi sa che devi disdirlo!'' Caer stava per mandarla a quel paese quando la senti dire. ''E' qui, è il numero codificato di una cella. Come hai fatto a saperlo?'' Caer: '' Non certo guardando in una palla di cristallo! C'è l'ho di fronte a me.'' Lolair: '' Caer io non vedo niente è troppo buio. Come hai fatto a vederlo?'' Chiese stupita. 138
Caer: '' Non lo so, riesco a vederlo! Lolair: '' E' il numero di una cella e ad ogni numero corrisponde una password. Allora c'è un posto sulle sbarre o di fianco alla cella dove digitare il codice per farle aprire!'' Disse a bassa voce. Caer: '' Già, lo penso anch'io.'' Si misero a cercare con le mani cercando di sentire attraverso il tatto. Sbarre, pavimento, muri ,niente. Alla fine trovarono una placca in rilievo sulla parte alta del muro con superficie in quarzo. Lolair: '' E qui, l'ho trovata! Ma come facciamo a digitare i numeri e le lettere giuste!?'' Disse sconsolata. Caer: '' Non so, dobbiamo pensarci su, ma molto velocemente.''Rispose. Si ricordò delle parole di Blodeuwedd. Dovrai essere molto forte e non farti sconfiggere dalla paura e dalla violenza. Sei un cigno, un animale molto coraggioso.'' ''Sono un cigno, un cigno. Sono molto coraggiosa è ho ricevuto un dono dalla Signora dello Side.'' Penso ripetutamente nella sua mente. '' Come posso usare questo dono? Come riuscirò a farne un buon uso?'' Ad un tratto si ricordò del ragazzo unicorno. ''Briabhall,'' pensò. 'La Signora disse che mi sarebbe stato sempre accanto per proteggermi.'' Pensò intensamente a lui. ''B R I A B H A L L.'' Ripetè nella mente. Sentì nelle mani qualcosa di freddo e corposo. Sembrava una pallina di vetro. Aprì gli occhi e guardò bene. Era uno dei frutti dell'albero del destino. '' Si scioglierà in bocca come miele caldo,'' si ricordò. ''Lolair, sei lì?'' Chiese. ''E dove vuoi che vada, a fare shopping?'' Rispose l'altra. Caer: '' Ascolta leggimi la password che c'è sulla cella di fronte al numero FX115..'' Lolair: '' Cosa vuoi fare?'' Caer: '' Tu leggi e non fare domande, ok!'' '' Va bene, azzo meno male che sono io l'acida! Allora.....dov'è....aspetta un secondo che questo cazzo di accendino non si accende. Ah ecco, FX56 è la tua cella e la password è JK927548CHS.'' Caer. '' Ok ridimmi la password un'altra volta.'' ''JK927548CHS,'' ripetè. Caer si voltò dalla parte di Lolair, mise in bocca la pallina. 139
''Dormi Lolair, dormi fino a quando non verrò a toccarti il centro delle sopracciglia.'' Mise la mano sulla placca di metallo pensando alla password.......''Click.'' La porta a sbarre si aprì. Uscì dalla sua celletta. Lolair dormiva profondamente. Lei si sentiva leggerissma come fosse diventata aria, ed in effetti era trasparente e leggera come l'aria. Si poteva infilare ovunque. Prese la mappa che scomparve nelle sue mani e seguendo i percorsi sottolineati dai differenti colori, seguì le direzioni salendo scale, penetrando muri, salendo e scendendo livelli differenti. Vide una gran moltitudine di vittime preparate per i vari trasferimenti di destinazione. Vide tantissimi uomini e donne addetti al BLOCCO. La sua mente era come guidata da qualcosa di sapiente che la faceva muovere nelle direzioni giuste senza perdere molto tempo. Entrò in una grande stanza protetta da porte rotonde in acciaio. Dentro c'erano computers potentissimi, monitors che controllavano le cellette dei vari livelli. La sua celletta risultava chiusa con lei dentro che dormiva distesa su un fianco. Vide le disposizioni dei vari impianti. Lei che studiava ingegneria capì subito cosa fossero e come erano collegati. Gli addetti a quella stanza stavano dormendo. Era il suo effetto occulto ogni volta che entrava in un sito da vedere. Girò in lungo e in largo tutto il vastissimo BLOCCO 9917. Era enorme, sembrava una piccola città dentro una montagna. Espanse il suo spirito al di là del perimetro del blocco e sentì acqua e correnti che avvolgevano il tutto. ''Siamo su un'isola o su una costa dove si parla spagnolo,''pensò. Però senti che gli addetti al blocco avevano nazionalità diverse: russi, svedesi, tedeschi, americani, arabi, cinesi. Tutti mischiati insieme per controllare minuziosamente. Passò più di sei ore a girovagare mentre tutti dal primo all'ultimo erano caduti in un sonno profondo. Scoprì che al di sotto di tutti i livelli c'erano i depositi di armi e soprattutto combustibile ed esplosivi. Intanto aveva già fatto fuori 6 frutti dell'albero del destino. Al settimo frutto rivolse il suo pensiero alle nove fanciulle della Signora chiedendo il loro aiuto. Le nove essenze si diffusero rapidamente sorvolando il mare. Arrivarono ai posti di polizia e fecero si che apparissero sui monitor dei 140
loro computer delle gravi esplosioni su quel punto di costa dove vi era situato il BLOCCO 9917. Caer attraverso gli strumenti di comunicazione computerizzati, parlò ai poliziotti di orribili luoghi di reclusione segreti in questo posto nascosto sotto la crosta terrestre. Di esplosioni di gas letali che si diffondevano nei vari livelli uccidendo molte persone tra cui gli addetti. Mandò l'allarme a molti posti di polizia tra cui anche quelli della vicina Francia. Prese il l'ottavo frutto e appoggiò le mani sui quadranti dei bottoni automatici che riguardavano tutte le celle di tutti i livelli, che si aprirono tutti contemporaneamente. Mandò un impulso di fuoco che sciolse tutte le catene e i collari facendoli cadere a terra. Era rimasto solo un frutto. Doveva fare presto se voleva liberare tutte le ragazze imprigionate. Corse velocemente attraversando muri e pavimenti entrando in tutte le celle. Toccò tutte le ragazze ad una ad una in mezzo alle sopracciglia, compresa Lolair. Le guidò mentalmente verso l'uscita del blocco, fino a farle uscire fuori in superficie facendole allontanare quanto più potevano. Sentiva le forze che la abbandonavano, la stanchezza soprattutto della mente stava sfibrandola. Tenne duro e rientrò dentro al BLOCCO alla stanza centrale di comando. Bloccò tutte le uscite dal di fuori con le misure di sicurezza e fece si che tutti i video di sorveglianza tra cui le torture, le percosse, gli esperimenti e le malvagità esercitate dagli addetti sulle ragazze fossero al sicuro lontano da chiunque volesse occultarle. Mise in evidenza su alcuni monitor tutti gli indirizzi, i nomi e le generalità dei vari membri dell'organizzazione, le provenienze, i collegamenti con gli altri BLOCCHI e i siti dove questi si trovavano. I traffici criminali per cui erano stati creati ecc. I polizziotti sarebbero arrivati a momenti ma non voleva lasciare quei criminali nelle mani della giustizia, perchè si sa, i soldi accecano chiunque e ben presto ci sarebbe stata la possibilità di vedere questi criminali protetti da corrotti avvocati, camminare liberi per le strade delle città del mondo. Vide che nel quadrante dei depositi c'erano degli enormi serbatoi di gas Cyanogen Bromide. Ai serbatoi vi erano collegati molti tubi che si ramificavano per tutti i livelli. Degli speciali diffusori erano collocati 141
nella parte alta dei corridoi. Questa precauzione era stata presa delle organizzazioni nel caso ci fosse stata una rivolta o comunque delle spiacevoli sorprese. In quel caso tutto si sarebbe risolto aprendo le condutture e sterminando testimoni e vittime in un colpo solo affinchè non ci andassero di mezzo i pezzi grossi. Aprì tutte le condutture e prese il via in una corsa contro il tempo Il gas usciva come fiumi di veleno mentre tutto il personale del BLOCCO si stava vegliando man mano. Caer inghiottendo l'ultimo frutto dell'albero, riuscì ad arrivare in superficie, gettarsi in acqua e prendere sembianze umane. Il personale del BLOCCO si svegliò come da un sonno profondo. Avvertirono un puzzo acre che diventava sempre più forte, e trovando tutte le porte chiuse dal di fuori e non potendo uscire, perirono tutti dal primo all'ultimo. Caer si tuffò in acqua e con uno sbuffo riemerse in superficie. Vide Lolair sulle rocce della costa poco distante. Si avvicinò a nuoto mentre tutte le ragazze si erano riunite in un punto sotto gli alberi. Lolair le andò incontro aiutandola a salire, quando uscì dall'acqua la abbracciò piangendo. ''Cara amica mia,'' disse Lolair sollevata di vederla viva,''ero così in pensiero per te. Non ti vedevo più e avevo paura che ti avessero uccisa.'' Caer le sorrise esausta. Si sentiva molto debole, non aveva più forze. Svenne tra le braccia di Lolair. La polizia spagnola e quella francese arrivarono chi da terra e chi per via mare. Trovarono tutte le ragazze salve fuori dal BLOCCO. Le aiutarono a coprirsi e con elicotteri ed ambulanze le misero in salvo. Quando entrarono dentro alla struttura con le maschere antigas e le tute di protezzione, trovarono tutti i membri di quel luogo criminale morti asfissiati. Circa un centinaio in tutto, armati fino ai denti. Scoprirono tutte le informazioni che servivano a fare delle serie indagini e a sgominare i BLOCCHI segnalati dalle informazioni, mettendo nelle mani della giustizia internazionale tutti i membri appartenenti a quelle organizzazioni. Ci fu uno scandalo senza eguali in tutto il mondo. Almeno una fetta di male era stata tolta, anche se il male si rigenera a dismisura rapidamente grazie alla cattiveria degli uomini. Caer fu portata in uno dei migliori ospedali della zona, curata e rimessa in sesto. Dopo un mese di trattamenti medici, potè tornare a casa sua in 142
Irlanda. Lolair rimase con lei tutto il tempo. Una mattina Caer si svegliò nella sua camera, a casa sua. La prima persona che vide davanti al suo letto fu Lolair. ''Buon giorno mia cara amica, come ti senti?''Disse. Caer: '' Buongiorno Lolair, mi sento stordita. Come se stessi tornando dal mondo dei morti. Mi sento senza forze, senza più energia.'' Rispose. Lolair: '' Ti rimetterai presto vedrai.'' Le disse abbracciandola. Caer: '' Cosa è successo alle ragazze del BLOCCO?'' Chiese ansiosa. Lolair: '' Sono tutte salve, non devi preoccuparti per loro. Sono ritornate nelle loro case, nelle vite a cui erano state strappate.'' Caer: '' E tutti quei pazzi! Che fine hanno fatto?'' Chiese, Lolair: '' Sono morti tutti dal primo all'ultimo. Sembra che ci sia stata una fuga di gas letale che li ha decimanti tutti. Noi siamo state fortunate a scappare in tempo. E' stato un miracolo, mia dolce amica, un vero miracolo.'' ''Si un miracolo,'' ripetè Caer automaticamente. I genitori della ragazza si presero cura di lei affettuosamente. Ogni giorno Caer si sentiva sempre meglio ed ogni giorno spariva come per incanto una delle palline d'oro della sua collana. Quando sparì l'ultima, lei era perfettamente in salute. L'ultima pallina svanì davanti ai suoi occhi ed al suo posto apparve Briabhall seduto sul suo letto. ''Ora andrà tutto bene. La vita riprende il suo corso, dolce Caer,'' disse il ragazzo. Caer lo guardò felicemente sorpresa. ''Ciao Briabhall, sono contenta di vederti. So che il tuo aiuto è stato fondamentale. Sei stato tu ha darmi tutto quel potere e quella saggezza necessaria a porre fine a quella crudeltà.'' Briabhall: '' Noi dello Side da soli non potevamo fare niente. Avevamo bisogno della forza e della determinazione di un essere umano per agire. Tu sei stata fantastica.'' Disse abbracciandola. '' Ora sei tu a decidere se tenerti il dono o rinunciare al suo potere continuando a vivere la tua vita su questo meraviglioso pianeta. '' Le disse dolcemente. Caer: '' Vi ringrazio ma il mio compito l'ho già svolto. Se riterrete opportuno potete ripredervelo e donarlo ad altri quando ne sarà necessario.'' 143
Briabhall: '' Sei una ragazza molto saggia Caer ma ricorda in qualsiasi momento tu voglia venire nello Side sai come fare. Noi ti aspettiamo. In te rimarrà per sempre il seme della magia.'' Dicendo questo le diede un bacio sulle labbra un raggio di luce purissima da Caer passò dentro Briabhall come il volo di una farfalla. ''Tu sei una ragazza speciale e per questo voglio farti un regalo. Potrai essere un cigno tutte le volte che vorrai e in quella forma sentire il canto delle fate e la dolcezza più profonda della natura.'' Briabhall si alzò dal letto, la salutò con un inchino e svanì. La vita ricominciò come prima, università, studio, la famiglia e gli amici. Ora c'era una nuova amicizia che le riempiva la giornata, Lolair. Le due amiche erano sempre unite in tutto. Una notte d'autunno Caer uscì da casa sua e andò vicino al fiume. Si tolse i vestiti, entrò in acqua e si immerse nuotando a pelo appena sotto la superficie. Quando riemerse era uno splendido cigno bianco. Sentiva un canto dolcissimo. Sentiva le voci delle sue nove amiche e la bellissima voce di Blodeuwedd che la salutavano cantando per lei. Il profumo dei fiori era così intenso da diventare quasi tangibile. Lentamente nuotò verso l'immagine della luna piena che si cullava come un dipinto d'argento sulla superficie dell'acqua.
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STREGHE
Il passo svelto sul ponte di legno che scricchiolava sotto le assi ormai marce. Le ombre della sera cominciavano ad apparire da dietro le momtagne. Qualche stella brillava già nel cielo tra i rami di pioppi scuri e cipressi che si urtavano nelle raffiche di vento improvvise. Arrivò vicino alla fontana della madonnina celeste, entrò dentro la piccola cappella dal cancelletto di ferro arrugginito. Si sedette stanca sulla panchina di legno davanti all'altare, accese un cero e lo mise ai piedi della Santa. Un uomo entrò come se fosse stato il braccio di un uragano. La guardò duramente come si guarda un animale che sta per morire. Le si avvicinò tappandole la bocca con una mano, la tenne bloccata fino a farla desistere da ogni resistenza. Era uno del paese, un balordo da bar. Uno di quei gradassi che lavorano e si vantano di portare il pane a casa e quando sono con gli amici parlano continuamente di avventure erotiche mai avute con donne inventate. Aveva la testa rasata, la croce celtica tatuata sul braccio destro. Indossava 145
calzoni corti in jeans e camicia da lavoro sbottonata. Aveva parcheggiato il suo camioncino dietro il muro che costeggiava il ponte di legno, i suoi compari aspettavano un segnale per intervenire nel loro progetto di grand'uomini contro una ragazza sola in un posto isolato. Ognuno di loro aveva chi una moglie, chi una ragazza ad aspettarli a casa ma si sa, gli uomini son cacciatori e quando escono di casa non si sa dove vanno. Si creano un branco per sostenersi a vicenda, coprendo l'uno le malefatte dell'altro pur di sentirsi fieri di una virilità che getta solo fango su dignità svendute nei circoli e nei bar con le bottiglie in mano. L'uomo la spinse contro il muro tenendole la testa schiacciata con una mano. Con l'altra fece un fischio e subito dopo gliela mise intorno alla schiena tenendole le braccia bloccate dietro per non farla muovere troppo. Arrivarono gli altri due come lupi affamati. Si abbassarono i pantaloni tenendola ferma, mentre uno di loro le ficcò in bocca una pezza, la stuprarono per ore, uno dopo l'altro. Lei gli riconobbe tutti guardandoli come una vittima guarda il suo carnefice mentre violavano la sua purezza picchiandola senza pietà. Le sbatterono la testa più volte contro l'altare di pietra tanto che perse i sensi e sprofondò nel nulla. Aveva la faccia coperta di sangue, sperma e lividi mentre il suo corpo giaceva a terra sul pavimento di cemento levigato, davanti alla statua della Vergine. La lasciarono lì con i vestiti strappati addosso, credendo che fosse morta per le violenze e le percosse subite. Si misero a ridere tirandosi su la lampo dei calzoni mentre uno di loro si pulì il membro con le ciocche dei capelli della vittima. Uno di loro le sentì il polso. Uomo: '' Cazzo ragazzi, questa è andata!'' Disse spalancando gli occhi. Secondo uomo: '' Ma no sarà stordita dai calci e dai pugni che ha avuto. Secondo me stava godendo come una troia!'' Rispose ridendo. Il terzo uomo avvicinò l'orecchio al petto della ragazza. Terzo uomo: '' Non ci sono i battiti, e proprio morta la vacca.'' Disse mettendosi una mano dietro al collo. Uno di loro andò verso il camioncino, prese un telo scuro che serviva ad avvolgere i tubi in ferro del lavoro e ritornò dentro la cappella guardandosi intorno per vedere se arrivava qualcuno. Uomo: '' Mettiamola qua dentro ed andiamo a seppellirla in un posto fuori mano.'' Disse freddo e determitato. Uno di loro faceva la guardia sulla porta, nel caso passasse qualcuno. Gli 146
altri due avvolsero la ragazza nel telo nero e la legarono con delle corde. ''Non c'è nessuno,'' disse quello che stava sulla porta. Gli altri due uscirono con il corpo sulle spalle, corsero verso il retro del camioncino e lo buttarono dentro. ''Puttana, vacca!'' InveÏ uno di loro.'' Quella stronza non ha mai goduto cosÏ tanto come stasera hahahaha'' Rise. Salirono in cabina e misero in moto inoltrandosi verso alcune stradine nel bosco. Dopo alcuni chilometri scelsero un posto isolato dietro il pendio della montagna. Scesero tutti e tre, presero delle pale da lavoro e scavarono una fossa dietro delle rocce ai piedi di alcuni alberi di noce. Gettarono il corpo nudo dentro la buca sputandoci e pisciandoci sopra. ''Che dite le recitiamo una preghierina alla verginella?'' Disse uno di loro ridendo come gradasso. '' Se la recita da sola quella ciucciacazzi!'' Rispose un' altro. Riempirono la fossa di terra e pietre e quando fu completamente piena, diedero dei colpi di pala sulla superficie per appiattire. Poi presero delle grosse pietre e le disposero in modo che sembrasse tutto casuale. Uno di loro, quello con la testa rasata che era entrato per primo all'interno della cappella, sputò un'altra volta sopra la sepoltura. ''Dormi bene piccola, oggi hai avuto l'onore di assaggiare la carne di tre veri uomini. Ora vai a cercarti marito tra i morti.'' Disse con disprezzo pulendosi la bocca. Salirono sul camioncino facendo battute sulla prestazione di poco prima e mentre continuavano a ridere come se niente fosse successo, decisero di andare in un bar a bere una birra. Ormai era scesa la notte. I familiari della vittima aspettarono invano il suo ritorno. Si misero a cercarla telefonando a parenti ed amici. Il giorno dopo sia il padre che il marito di lei, chiesero sue notizie sul posto di lavoro, nessuno sapeva niente. Denunciarono la scomparsa alla polizia, passarono alcuni giorni ma di lei nessuna traccia. Una troupe di giornalisti televisivi fece delle interviste in giro per sapere se qualcuno avesse visto niente della scomparsa della donna. Un tipo con la testa rasata e una croce celtica tatuata sulla parte destra del collo, disse al giornalista che l'aveva vista andar via con due extracomunitari. Era entrata in una macchina, avevano messo in moto e scomparsi dietro l'angolo del viale di dove stavano in quel momento. 147
Descrisse vagamente i due extracomunitari ed i vestiti che quella sera indossava la vittima: un maglioncino leggero color rosa e una gonna grigio scuro. Disse che l'aveva vista scendere dal suo motorino che le si era fermato all'improvviso, così aveva chiesto soccorso a questi due uomini uno di colore, l'altro probabilmente un marocchino. Si erano infilati in macchina e se n'erano andati tutti e tre nella direzione opposta al motorino abbandonato. Nessun'altro aveva visto niente, nessuno sapeva cosa fosse successo. Erano trascorsi alcuni giorni da allora, era notte fonda, un grupo di civette si posò sui rami degli alberi di noce sotto cui era sepolta la ragazza. Un vento fortissimo piegò i rami scrollando le fronde come se volesse strapparle per qualche mezz'ora, poi tutto ritornò calmo come prima. Un gruppo di cagne nere di grossa taglia, si avvicinarono silenziose verso la solitaria sepoltura. Una di loro si accucciò a terra mentre le altre giravano intorno in tondo. La cagna nera cominciò pian piano a prendere delle fattezze umane e come in uno strano prodigio diventò una donna nuda distesa su un fianco con il viso rivolto verso terra. ''Melissa!.......Melissa......Melissa!'' Chiamava la donna, prima sussurrando poi a voce più alta fin quando quel nome divennero urla strazianti che facevano tremare l'anima degli alberi. '' Melissa!'' Continuò a chiamare. La donna nuda si dispose distesa di pancia contro il suolo, divaricò le gambe strofinando la vagina ed i seni per terra mantenendosi con le mani ben puntate sul terreno. ''Melissa!'' Ripeteva. Ormai quel nome era diventato un urlo lacerante. La donna inarcò il dorso soffiando con forza sul suolo tanto che le pietre ammassate schizzarono via come palline di polistirolo. Sputò per terra e con l'indice ed il medio tracciò i segni del sentiero oscuro. ''Per la sacra Hekates colei che vive nelle regioni più oscure e cammina nelle zone di confine. Per colei che impugnando il pugnale lacera la notte liberando la luce. 148
Per la torcia che regge nella sua mano destra guidando le anime dei morti che non trovano pace..... rispondimi....... dimmi se nel tuo cuore c'è il seme della vendetta.'' Da sotto il terreno giunse un urlo straziante che fece rabbrividire la notte. La strega continuò: ''Posso darti l'oppurtunità di vendicare la tua morte. Posso far si che tu diventi qualsiasi cosa e piegare il destino sotto i tuoi artigli di sangue. Posso restituirti una vita che si nutrirà di silenzio ed oscurità. Dimmi se lo vuoi Melissa.'' Un altro urlo straziante giunse dalle profondità della terra. La strega si inginocchio sul suolo battendo forti i pugni contro le rocce tanto da ridurle in polvere. Le altre cagne si disposero in cerchio formando cinque punte con lei in mezzo. Si trasformarono anch'esse in forma umana, nude come la prima. I loro occhi neri e penetranti come la notte diventarono rossi come il sangue. La strega che era al centro del pentacolo scavò velocemente con le mani nude che sembravano degli artigli d'acciaio. Tolse tutte le pietre e tutta la terra arrivando la corpo martoriato di Melissa, sporco e nero dai lividi e dallo stato della morte. La prese tra le braccia mettendola supina su una lastra piatta. Le altre donne le si disposero attorno esattamente come prima. La prima strega le mise una mano sul cuore e glielo estrasse dal torace, con l'altra mano si tagliò un polso ed il sangue che colava copioso, scuro e denso, lo verso dentro al buco dove prima vi era il muscolo cardiaco. Con un unghia incise sul cuore i segni del passaggio ed i segni del ritorno dal mondo dei morti. Ci soffiò sopra tre volte, una civetta ci volò intorno posandovisi sopra. Dalla sua bocca uscì un liquido giallo e vischioso che penetrò fino al centro. Dopo averlo innalzato verso il cielo scuro lo rimise al suo posto nel corpo della defunta. Pronunciò una serie di incantesimi 149
che rimarginarono la ferita e pian piano il colore cianotico della pelle sparì lasciando il posto al colore rosa e bianco originario. Tutte e sei le donne ritornarono in forma di cagne nere, latrando e correndo in cerchio intorno al cadavere della donna. Corsero ad una velocità incredibile formando un anello nero in movimento fino a quando gli occhi di Melissa si aprirono ed il petto sobbalzò a ritmo del respiro. Si fermarono davanti a lei sedute sulle zampe posteriori osservandola attentamente. Melissa venne presa da violenti spasmi e convulsioni. Il corpo le si inarcò innaturalmente verso l'alto formando un arco a sesto acuto con i piedi e la testa appoggiati al suolo. Con uno scatto rapido prese posizione eretta con i piedi ben saldi sul terreno. Le streghe ritornarono in forma umana con i capelli appiccicati sulla pelle sudata del corpo. La prima strega: '' Ogni volta che la luna diventerà calante fino alla luna nuova, tu potrai uscire dal buio e cercare ad uno ad uno i tuoi carnefici. Potrai farne quello che vorrai dei loro corpi ma l'anima dovrai inchiodarla al suolo con uno spillone d'argento e lasciare che diventi cibo per le Empuse. Ora sei una cagna di Hekates, una creatura della notte che non ha età nè fine. Noi ti proteggeremo e ti guideremo se ne avrai bisogno.'' Melissa aprì la bocca per parlare ma non uscì nessun suono umano se non qualcosa di confuso e animalesco. Strega: '' Non puoi ancora farlo, il tuo corpo è stato nelle regioni fredde del nulla ed ha assorbito la sostanza dei morti che ha congelato tutti i tuoi fluidi vitali. Man mano che ti abituerai a questa nuova condizione si creeranno nuovi fluidi e nuovi suoni nelle tue corde vocali.''Le disse guardandola fissa con occhi vitrei e spaventosi. ''Vieni con noi ora,'' concluse. Tutte e sette fecero un balzo di qualche metro, tuffandosi in avanti sulle mani prendendo immediatamente forma canina. Corsero su fino in cima alle montagne latrando alla notte profonda come l'abisso dell'inferno. Ora Melissa si trovava in uno stato particolare di condizione vitale. Un posto tra la vita e la morte dove l'oscurità produce le sue forme larvali che si nutrono delle energie della materia grezza e di quelle umane. Una specie di ponte tra la dimensione terrena e quella dell'aldilà dove gli strati più bassi e marginali dello spirito possono interferire nel mondo umano, entrando ed uscendo da porte segrete dimensionali a seconda della loro 150
origine e della loro fonte. Per Melissa la sua fonte era l'energia della parte più inquietante e tenebrosa della luna e dell'oscurità. Era morta violentemente ed il suo spirito confuso e triste vagava nelle regioni del bardo in mezzo a spaventose apparizioni e abissi di paura. Era stata attirata dalla voce della strega che per lei risultò un segnale, un raggio di luce nera che la guidò verso la superficie, la parte più vicina allo strato della dimensione vitale. L'odore della strana donna l'aveva guidata verso un varco scavato dal suono delle sue parole e dal suo sguardo che la vedeva avvicinarsi sempre più col suo grande dolore dentro l'anima terrorizzata. La vita del paese scivolava tranquilla con le solite scene e mollezze quotidiane, volgarità e ipocrisie, tradimenti e santità delle realtà di provincia mai uscite da un magma quasi medioevale dove la mente sembra intrappolata in un reticolo di stupide superstizioni, maldicenze, falsità e bigottismo che fanno dei piccoli centri quei paradisi per pochi mentre per alcuni dei veri inferni. Anche la vita dei tre uomini continuava tranquilla come se niente fosse successo. Le loro famiglie erano all'oscuro di tutto ma anche se avessero saputo, li avrebbero protetti con omertà assoluta e ottuso orgoglio tipico dei paesi di montagna. Anche se si combinavano disastri e squallidi vandalismi, preferivano dare la colpa agli extracomunitari o a gente di passaggio pur di non apparire per quello che in effetti erano, delle persone molto chiuse e mentalmente poco elevate. Si rifugiavano in una tetra nebbia di maldicenze mettendo le mani avanti contro chiunque, pur di sentirsi protetti e voltare le spalle a qualsiasi forma di apertura verso il mondo. In questo modo si sentono al di fouri da chissà quale minaccia che potrebbe alterare equilibri marci ma ben radicati tra falsità e oratori. Flavio, l'uomo dalla testa rasata e il tatuaggio sul collo, era un tipico esemplare di paesano nevrotico, lavoratore, maschilista e autoritario, fiero di far parte di una razza montanara ritenuta eletta nei confronti delle altre parti d'Italia. Faceva parte di un gruppo di estremisti con ideali poco democratici, il cui intento era quello di creare una grande onda rivoluzionaria separatista, che staccasse quel quarto di nazione. Il loro ideale era quello di creare un territorio autonomo rispetto a tutto il resto d'Italia, discriminando chiunque non fosse del posto. Si ritrovava iniseme a tutti gli altri adepti del gruppo, provenienti da varie parti delle provincie del nord, in delle cascine in mezzo a boschi di montagna, lontano da occhi 151
ed orecchie indiscrete per dare sfogo al loro rituale di violenza davanti a tenebrose reliquie come un pezzo d'orecchio o una mano del Duce o un dito appartenente ad Hitler. Avevano adottato simbologie celtiche come distinzione del gruppo e rituali richiamanti echi di lontane barbarie. Di solito indossavano degli elmetti con due corna ai lati come i contadini delle Gallie e nei loro ritrovi inneggiavano inni più in odor di manicomio che di esseri senzienti. Questi raduni venivano organizzati via internet almeno due volte al mese affinchè i folli frustrati che vi partecipavano si ricaricassero attraverso le loro ideologie ottuse e cavernicole. Fabrizio, il secondo dei carnefici di Melissa, era un giovane reclutato da Flavio, sul posto di lavoro. Insieme erano quasi inseparabili amici di sbornie pazzesche, atti di spavalderia e corse notturne in macchina fino allo sfinimento. Il terzo uomo si chiamava Kerim, anch 'esso del posto ma di un paesino situato un po' più in alto sulla montagna. La loro condotta durante il giorno sembrava normalissima anzi, falsamente coperta da gentilezza e mutevole bonarietà. Dopo le prime otto bottiglie di birra, cambiava drasticamente rivelando la loro vera anima autoritaria e poco duttile, proprio come le tempestose montagne su cui vivevano. Un giorno qualcuno li senti vantarsi boriosamente di alcuni degli ideali a cui di solito inneggiavano nei loro ritrovi segreti. Quest'uomo rivolgendosi loro disse: '' Ma se non voltete essere considerati italiani e volete far parte di nazioni come la Germania o l'Austria, perchè non prendete tutta la vostra roba e ve ne andate in quelle nazioni rinunciando però a qualsiasi sovvenzione italiana come pensioni, stipendi, indennità varie ecc? Sarebbe più giusto no, invece di rompere i coglioni facendo tutto questo fracasso e disprezzando il resto degli altri vostri stessi connazzionali! Vi giuriamo che non sentiremmo assolutamente la vostra mancanza, la vostra come quella di tutti quelli che vi seguiranno, sia per inciso.'' Lo guardarono con un odio ed una freddezza proprio come un branco di lupi ottusi e malvagi guardano un essere umano che ha detto qualcosa a cui brucia loro dentro. Aspettarono che se ne andasse e lo seguirono per vedere la strada che faceva tutte le volte che veniva dalle loro parti. Dopo qualche tempo, una sera, si appostarono in sei dietro degli alberi con la macchina messa di traverso. Si misero in testa dei cappucci che 152
nascondessero tutta la testa compreso il viso, lasciando giusto due buchi per gli occhi. Quando L'uomo arrivò li, dovette fermarsi per via della macchina che bloccava la strada. Scese per vedere se trovava il conducente della vettura per dirgli di spostarla. Improvvisamente i sei uomini uscirono da dietro gli aberi con catene e mazze da baseball. Lo picchiarono a sangue lasciandolo tramortito e ferito per terra. Se ne andarono senza neanche chiamare un'ambulanza prima di sparire. Le loro donne erano fiere di avere uomini così, uomini veri, duri, rudi si ma veri maschi con dei sani ideali che difendevano il loro territorio con onore e sprezzo del pericolo. E di uomini così......beh ne sono piene le costole delle montagne comprese le valli e le colline, con la bellezza che quanto più si va in alto, più il cervello sembra non avere speranza di vedere la luce e connettersi neurone con neurone. La sera del nuovo raduno cadde la prima notte di luna calante. Erano andati con due macchine In una c'era Flavio, Fabrizio e altri compari. Nell'altra c'erano Kerim e tre donne che sarebbero servite per il dopo meeting, in uno squallido hotel-rifugio. Kerim le aveva reclutate su internet ed era andato a prenderle lui stesso alla stazione per nasconderle, dagli occhi delle loro donne, quelle che li aspettavano a casa, in un hotel a bassissimo prezzo sull'autostrada. La macchina di Flavio precedeva quella di Kerim. Fecero una quarantina di chilometri prima di imboccare la strada che s'inerpicava sulla montagna dove si sarebbe tenuto il raduno. Ci sarebbero stati più di cento persone, quasi tutti uomini, ma loro avevano le tre donnette ad attenderli nella baita di uno degli uomini che si erano portati dietro. Tre donne sarebbero bastate a soddisfare sette uomini, dopo aver bevuto vino e grappa come torrenti in piena. Il raduno fu il solito uragano di voci deliranti che sparavano slogan e ideali da camicia di forza. Un tipo salì su palco preparato apposta quello stesso giorno. Parlò di quanto dovevano essere fieri di appartenere ad una razza eletta cresciuta sulle montagne all'ombra degli antichi celti ( che per quanto si possa mai dire dei celti, rimarranno sempre un popolo alquanto barbaro, violento, poco solidale tra tribù e tribù della stessa specie e assolutamente guerriero, visto che gli omicidi e i capi-tribù si succedevano con la rapidità del fulmine). Due ore di raduno dove il delirio saliva vertici davvero altissimi. Al ritorno una strana nebbia divise le due macchine. Flavio chiamò al 153
cellulare Kerim dicendogli che loro sarebbero andati avanti per accompagnare a casa un membro che si erano caricati in più e che si sarebbero trovati alla baita tutti insieme dopo una mezz'ora. Kerim, per accorciare la strada, prese una scorciatoia che conosceva bene, che costaggiava una parte del un fiume abbastanza ampio e profondo. Dopo una decina di minuti si accorse che forse aveva sbagliato strada visto che si trovava sperduto tra alberi e pendii di montagna. Fece manovra di retromarcia per tornare indietro ma la macchina si spense all'improvviso. ''Oh no! Non resteremo qui nel buio pesto spero! Io ho paura!'' Squittì istericamente una delle tre donnine. Le altre le fecero coda con quelle vocine che danno ai nervi solo a sentirle. Kerim: '' Hey, non vi rendete conto con chi siete allora!'' Disse tronfio e borioso.'' Avete di fronte a voi un vero uomo e tra poco assaggerete le mazze più toste che avete mai assaggiato, mazza di uomini veri, uomini forti e coraggiosi!'' Disse guardandole con un sorrisino idiota sulla faccia. ''Uomo vero allora vedi di far partire la macchina perchè noi abbiamo paura per favore!'' Disse l'altra già con la follia negli occhi. Kerim scese dalla macchina. ''Kerim: '' Vado a dare uno sguardo al motore, magari manca solo l'acqua nel serbatoio.'' Appena scese dala vettura, lo sportello si chiuse da solo e s'inserirono le sicure bloccandosi come fossero state cementate. Kerim tornò indietro cercando di aprire la portiera ma sembrava saldata come se la macchina fosse diventata un pezzo unico. Le ragazze cominciarono ad urlare terrorizzate. Kerim bestemmiava e inveiva contro di loro perchè pensava che gli stessero facendo uno scherzo. Tra gli alberi, nell'oscurità più totale, qualcosa prese forma alzandosi dalle foglie morte sul terreno. Il corpo nudo di Melissa, il suo viso, gli occhi nerissimi, vitrei con i capelli sciolti scarmigliati, attaccati alle spalle. Era a quattro zampe sul terreno. Ad un tratto avanzò verso la macchina prendendo forma di cagna nera. Avanzò silenziosamente verso l'uomo che era di spalle. Quando era praticamente dietro di lui, gli ringhiò ferocemente tanto da farlo saltare terrorizzato, cadendo per terra. Kerim guardava la cagna che ringhiandogli, sbavava inferocita. Gli occhi 154
dell'animale erano crudeli, rosso sangue e pazzi di furia assassina. Kerim strisciò velocemente dietro la macchina, riuscì ad alzarsi e si mise a correre nel bosco urlando come un ossesso dalla paura con dietro la cagna che lo distava apposta di qualche metro. L'uomo provò a girarsi verso l'animale spezzando un grosso ramo per difendersi. Mentre lui si difendeva col ramo cercando di darle addosso, la cagna prese il ramo tra le fauci e guardandolo fisso negli occhi, stritolò quiel pezzo di ramo come se fosse stato pan di Spagna. ''Cazzoooooo! Vai via troiaaaaaaaa!'' Urlò kerim correndo e pisciandosi addosso per lo spavento. La folle corsa finì quando l'uomo non sentì più il terreno sotto i suoi piedi. Aveva incontrato la fine del pendio che dava sul fiume e ci era caduto dentro. Era sommerso dall'acqua e provava a nuotare per arrivare a riva. Melissa acquisendo forma umana scese dal pendio velocemente come un ragno. Tuffo la testa dentro l'acqua e con gli occhi spalancati nel buio, telepaticamente chiamò tutte le grosse biscie del posto, ordinando loro di attaccarlo. Tutti i serpenti della zona furono velocissimi. Il fiume diventò un rettilaio crudelissimo. Alcune biscie si intrecciarono ai piedi dell'uomo tirandolo giù, altre alle mani mentre tutti gli altri serpenti gli strappavano lembi di carne a morsi da tutte le parti del corpo. Melissa vedeva tutto con i suoi occhi che bucavano l'oscurità più fitta. Nel momento in cui l'uomo stava per morire facendo uscire la sua anima, Melissa, con una spinta potentissima dei piedi conto la riva, partì come un missile verso quel raggio di luce che usciva dal cuore della vittima. La infilzò con la punta dello spillone d'argento e la portò verso l'altra riva inchiodandola su una roccia piatta. Il cadavere dell'uomo scese giù verso il fondo ormai spolpato fino alle ossa dai morsi dei rettili che dopo averlo ucciso si dileguarono in tutte le direzioni. Melissa si sedette poco distante dalla roccia dove giaceva il fascio di luce che si muoveva come una piuma inchiodata al suolo. In quel momento il suo udito fu attratto da lamenti orribili che partivano da una zona d'oscurità totale dietro la roccia. Da lì uscirono una decina di figure mostruose, figure femminili dai seni cadenti e dal viso orribile, piene di vesciche purulente che si aprivano sia sul viso che in ogni parte del corpo lasciando uscire liquidi fetidi e immondi. Melissa arretrò di una ventina di metri. Queste figure si avvicinarono con versi lancinanti verso l'anima dell'uomo e la divorarono azzuffandosi tra 155
di loro come degli spettri affamati. Quando ebbero finito di divorarla, Melissa sentì una grande gioia che le riempì il petto. Una risata agghiacciante le uscì dalla bocca facendo fuggire le figure mostruose che aveva davanti. La ragazza si tuffò nel fiume e raggiunse il corpo orrendamente mutilato dell'uomo. Ne prese i resti e li portò in superficie. Se li mise sulle spalle ancora sanguinanti e in battibaleno si trovò su un grosso ramo che pendeva sulla macchina dov'erano rinchiuse le tre donnine. Lasciò cadere quello che restava del corpo, direttamente sul cofano con la faccia consumata e senza occhi rivolta verso il parabrezza. Le sicure scattarono aprendo le portiere. Le donne impazzirono di paura e scendendo dalla macchina, schizzarono via come schiegge urlando come sirene. ''Il grande uomo............il vero uomo lui!'' Disse Melissa con voce cavernosa, ridendo piena d'odio. Il solo alito di lei ,fece appassire le foglie che le stavano davanti facendone seccare anche i rami. Gli amici di Kerim lo aspettarono invano nella baita di Vincenzo, uno dei compomenti del gruppo che non vedeva l'ora di scatenarsi in un orgia da fargli tremare le budella. Non vedendolo arrivare, si misero in macchina e andarono a cercarlo. Verso l'alba arrivarono sul punto dove si era fermato Kerim con l'auto. Videro la macchina dalla parte posteriore. Quando scesero per vedere dov'era, lo trovarono sul cofano orrendamente mutilato. Lo riconobbero dall'orologio che Flavio e sua moglie le avevano regalato per il suo complenno, l'anno prima. Rimasero sconvolti da quella vista. Flavio e Fabrizio furono presi da una tale rabbia che giurarono di vendicarlo a prezzo delle loro stesse vite. S'inginocchiarono e lo piansero, chiamandolo per nome più e più volte. ''Come faremo a dirlo a sua moglie e alla sua famiglia?''Chiese Fabrizio a Flavio con la voce rotta dai singhiozzi e dalla paura. Fabrizio: '' Non lo so, in qualche modo faremo.'' Dopo qualche ora, decisero di dare una versione unanime alla polizia che avrebbero chiamato subito. Un branco di lupi avevano attaccato il loro amico che si era perso da solo nel bosco, nel tentativo di raggiungerli alla festa di un loro conoscente. Quando arrivò la polizia, mise tutto sul verbale e chiamò in 156
commissariato tutti i componenti di quel gruppetto che erano presenti sul posto tra cui anche il presunto conoscennte, improvvisato da uno di loro. La famiglia di Kerim fu informata dalla polizia. Una vera tragedia sconvolse la vita di quelle persone. Era passato un mese intero da quell'episodio macabro. I due amici erano sconvolti ed inaspriti dal dolore per la perduta del compare. Da qualche giorno Fabrizio aveva delle strane allucinazioni. Ogni tanto aveva l'imnpressione di essere seguito quando tornava a casa di notte, oppure sentiva come una presenza sinistra vicino a sé quando era da solo. Cominciava a dormire poco per via di mostruosi incubi che lo tormentavano e soprattutto di una figura femminile che gli si metteva addosso a cavalcioni sul petto non facendolo respirare durante la notte, nel dormiveglia. Era visibilmente dimagrito, sua moglie era preoccupata e ne parlò con Flavio. Voleva sapere cosa era successo veramente a Kerim e a cosa suo marito alludesse, visto che ogni tanto Fabrizio delirava urlando una frase che diceva -che non avrebbero dovuto lasciarlo andare da solo con quelle puttane-. Chi erano queste donne e dove erano andati quella notte. Flavio la rassicuro dicendole che erano andati ad uno dei loro raduni e che Kerim stava accompagnando le mogli di tre loro compagni verso la stazione, quando la nebbia gli aveva fatto perdere di vista la direzione giusta. Le loro mogli sapevano benissimo dei raduni e degli ideali completamente condivisi con i loro uomini. Ne erano fiere ogni volta che questi tornavano a casa e le scopavano infoiati e ubriachi come ''i veri maschi'' riscendenti dagli antichi celti! A volte Fabrizio sentiva un cattivo odore che gli toglieva il respiro ed andava ad aprire la finestra per far cambiare l'aria. Chiedeva a sua moglie Vanna, da dove venisse quel fetore ma la donna lo rassicurava dicendogli che non c'era nessun puzzo dentro casa. A volte invece aveva l'impressione di sentirsi addosso le impronte e gli artigli di un cane rabbioso, impronte che gli bruciavano la pelle ed anche in quel caso, Vanna lo rassicurava dicendogli che la sua pelle era fresca e liscia come sempre e senza bruciature. La moglie lo portò dal medico perchè vedeva in lui qualche accenno di depressione, evidentemente dovuta alla morte di Kerim. Il medico gli prescrisse degli psicofarmaci e gli consigliò qualche settimana di assoluto riposo. Vanna lo costrinse a prendersi due settimane 157
di ferie sul lavoro. Non intendeva assolutamente lasciarlo andare al lavoro in quelle condizioni. Da un momento all'altro cominciava a tremare ed un freddo glaciale si impossessava delle sue membra. Flavio di tanto in tanto, andava a trovarlo a casa. Lo vedeva sempre più scavato con gli occhi cerchiati. ''Flavio, l'ho vista!'' Disse Fabrizio all'amico,'' l'ho vista, io l'ho vista! Mi segue ovunque, non mi lascia dormire!'' Flavio: '' Chi hai visto?'' Gli chiese. Fabrizio: ''Quella puttana della cappella è qui ti dico. L'ho vista.'' Ripetè terrorizzato. Flavio: '' Non dire stronzate e abbassa la voce che possono sentirti. Cosa dici …..la troia è morta!'' Fabrizio: '' No che non è morta, l'ho vista l''altro giorno dietro la finestra della mia camera da letto. Io era sveglio mentre Vanna dormiva. Mi ha guardato da dietro il vetro della finestra. Era nuda, livida, con ferite alla testa che sanguinavano. Mi guardava e potevo sentire la sua voce che chiamava il mio nome. Mi diceva se ora non avessi voglia di leccarle la passera! Mi diceva che voleva godere avendomi dentro di lei. Io ero terrorizzato ed eccitato contemporaneamente, non capivo come mai mi sentivo così. Ero talmente eccitato che ti giuro non l'ho mai avuto duro come l'altra sera. Mi sono buttato su Vanna e l'ho scopata, l'ho scopata come una furia. Le ho fatto del male perchè lei stava dormendo e l'ho svegliata così all'improvviso. Poverina ha dovuto stare zitta e lasciarmi fare per non svegliare i bambini nell'altra stanza ma sono stato un animale, un pazzo. Io non riuscivo a staccare gli occhi di dosso da quella puttana dietro al vetro che si toccava e mi guardava fisso come un diavolo....capisci!!! La mia Vanna........la donna più pura e meravigliosa che ci sia sulla faccia della terra!'' Flavio: '' Calmati Fabrizio. Ti sarai svegliato da un incubo ed eri eccitato. Sai gli psicofarmaci provocano allucinazioni su persone ipersensibili!'' Fabrizio: '' Io non sono pazzo, mi sta facendo impazzire lei.....lei....quella li! CAPISCI!!!!'' Flavio: '' Non preoccuparti di lei, non può fare assolutamente niente. E' morta ricordi, è mortà! L'abbiamo sepolta insieme con Kerim!'' Fabrizio: '' Si l'abbiamo sepolta ma lei non è lì, in quella dannata fossa. E' uscita, si sta vendicando di noi. Ha ucciso kerim, io lo so che è stata lei!'' Disse scoppiando a piangere come un bambino indifeso. 158
Flavio: '' Fabrizio calmati, non è niente. Stai sicuro che quella è la sotto. Magari se la son mangiata gli stessi lupi che si sono mangiato il povero Kerim!'' Disse abbracciandolo per confortarlo. Fabrizio: '' No Flavio, non sono stati i lupi a farlo fuori. Quello lo abbiamo inventato noi, ricordi? Lei mi ha fatto vedere come lo ha ucciso. Mi ha fatto rivivere tutto quanto in un incubo. Sono stati serpenti, centinaia, migliaia di serpenti guidati dalla sua mente. Lo hanno ucciso in acqua mentre kerim cercava di nuotare per uscire da dove lei lo aveva fatto cadere.'' Esplose urlando di paura. Flavio diventò freddo come il ghiaccio. Gli venne la pelle d'oca e una rabbia impotente lo invase togliendogli il respiro. Flavio: '' E' solo un incubo Fabrizio non preoccuparti. E' morta, non può fare niente.'' Uscì di casa di Fabrizio sconvolto per averlo visto peggio delle volte precedenti. Gli risuonavano nelle orecchie le parole del sogno e delle allucinazioni che l'amico aveva avuto. Decise che sarebbe andato sul luogo della sepoltura per controllare se la puttana dormiva beata sotto quel cumulo di pietre ma lo avrebbe fatto nei giorni della settimana seguente, ora aveva troppo da fare per organizzare il prossimo raduno. Prese il calendario che aveva nel cruscotto per dare un'occhiata quando cadeva la luna piena. Aveva promesso a sua moglie che sarebbero andati a vederla su un terrazzo sul pendio della montagna da dove potevano vederla riflettersi nel lago. Diede un'occhiata. ''Cazzo! '' Esclamò accorgendosi che la luna piena era stata giusto tre giorni fa. '' Ora è diventata calante, porca puttana! Va beh, sarà per il prossimo plenilunio.'' Disse gettando il calendario nel cruscotto. Il pomeriggio era stato calmo e tiepido. Ormai l'estate stava finendo e settembre avrebbe portato l'aria fresca e le giornate più corte. Il caldo afoso di agosto se ne stava andando ma non il dolore della perdita di Kerim. Tutto il paese aveva partecipato al suo funerale. Gli era stata fatta una sepoltura dignitosa e molta gente lo compiangeva parlando di lui come una bravissima persona, un angelo, un bravo ragazzo che doveva sposarsi di li a poco. La casa di Fabrizio era sulla piazza centrale, dove tutti i migliori ristoranti e bar della zona erano sempre pieni di gente soprattutto nei week-end. 159
Quella sera era appunto un sabato ed i tavolini dei bar all'aperto erano pieni di persone che parlavano e bevevano. Vanna era uscita un attimo per andare a casa dei suoi a lasciare dei vestiti che aveva stirato durante il pomeriggio, per sua madre. Fabrizio era in sala a guardare la televisione quando si accesero tutte le luci della casa, tutti i lampadari e tutte le lampade comprese quelle a muro. La televisione cominciò a distorcere le immagini sul monitor mentre un fetore incredibile invase la stanza, tutta la casa intera. Fabrizio andò a spegnere alcune luci ma non appena le spegneva queste si riaccendevano. Passò davanti ad uno specchio e vide un'immagine che non corrispondeva alla sua. Ritornò indietro a vedere meglio, guardandoci dentro e vide Melissa nuda, emaciata ed ammiccante che con sguardo fisso e crudele lo guardava con occhi di brace. Si allontanò dalla visione dicendo a se stesso che era solo un'allucinazione. Indietreggiando urtò contro qualcosa, si girò a vedere e vide un'altra Melissa che lo stava per abbracciare. Si mise ad urlare di paura buttandole addosso tutto quello che aveva a portata di mano, scappando nell'altra stanza ma dal letto si inarcò un'altra Melissa che lo aspettava con la vagina aperta invitandolo a fare l'amore con lei. A Fabrizio sembrava che gli scoppiassero le meningi. Urlava e cadeva fuggendo in qualunque direzione trovasse una via d'uscita. Imboccò la cucina e davanti al tavolo vide ancora un altra Melissa con il coltello per tagliare la carne in mano, sporco di sangue. Sul tavolo c'era il corpo di sua Moglie Vanna fatta a pezzi mentre con l'altra mano estraeva un occhio dalla faccia della moglie gettandoglielo addosso. ''Vieni.....non vuoi scoparmi? Vieni a farmi sentire quanto ce l'hai grosso.....tu sei un uomo duro, non è vero?'' Gli disse sorridendogli fredda e spietata. Fabrizio si fece addosso dalla paura. Provò a gettarle addosso qualsiasi cosa ma tutte le altre figure di Melissa lo stavano per raggiungere. Una lo afferrò per i capelli. Un'altra lo morse ad un braccio staccandogli il muscolo. Lui riuscì a scappare, imboccando la scala del terrazzino della stanza di sopra. Arrivò su sanguinante e con un pezzo di cuoio capelluto in meno sulla sua testa. Si mise ad urlare chiedendo aiuto. La gente che aveva sentito le urla provenire dalla casa, chiamò la polizia. Intanto sia dalla porta chiusa che dai muri, passavano le altre figure di Melissa che nessuno poteva vedere 160
se non Fabrizio. L'uomo impazzendo di terrore, provava a raggiungere i muri per calarsi sulla strada ma ogni volta che si avvicinava ai bordi, spuntava fuori da dietro il muro una figura di Melissa che rideva diabolicamente. La polizia era errivata in quel momento, cercando disfondare la porta dalla sua baitazione. Fabrizio era talmente preso dalla paura che impazzì del tutto. Con le sue stesse mani si strappò la carne del viso delle braccia e della pancia, tirandosi fuori tutte le budella. Cadde a terra privo di vita mentre Melissa infilzò l'anima di lui con lo spillone d'argento, scomparendo nello stesso istante in cui tutte le luci della casa si spensero. I poliziotti riuscirono ad entrare, salirono al piano di sopra e videro la moglie fatta a pezzi sul tavolo della cucina mentre l'uomo smembrato dalle sue stesse mani davanti all'orrore di tutti i presenti giù in piazza, giaceva a terra in un lago di sangue. La gente correva per le strade terrorizzata, cercando di togliersi dalla mente quella scena orrenda. Ci fu chi svenne, chi stette male e chi fu portato in ospedale in preda a crisi di terrore ed angoscia. L'impatto fu così violento che per più di una settimana nessuno voleva andare in piazza. Flavio seppe dell'accaduto il giorno dopo quando rientro dal raduno. Sua moglie Elvira gli corse incontro abbracciandolo in lacrime. Nelle indagini risultò che Fabrizio in preda ad un attacco di follia aveva dapprima ucciso la moglie tagliandola a pezzi con un coltello-ascia che si usa per tagliare le ossa nei pezzi grandi di carne e poi era uscito sul terrazzino della stanza superiore, uccidendosi davanti a tutti. Un'ondata di puro terrore si abbatte si Flavio. ''E se quello che gli aveva raccontato Fabrizio fosse vero? E se era stata veramente Melissa ad uccidere Kerim, Vanna e il suo caro amico?''Pensò. Prese il suo fucile, si mise in macchina e guidando come un pazzo si diresse verso il luogo della sepoltura di Melissa. Erano le 11:00 di mattina, arrivò davanti al bosco dove cominciava la strada che portava giusto davanti a quel luogo maledetto. La imboccò e seguì i tornanti ma dopo aver guidato per ore si ritrovava sempre al punto di partenza. Sembrava stesse in una spirale oscura che attirandolo verso il centro lo risputava fuori all'esterno partendo dall'inizio. La sua rabbia cresceva col passare del tempo che se ne andava insieme al tramonto. Ormai era arrivata la sera e Flavio aveva guidato 161
come un pazzo per tutto il giorno senza mai uscire da quel cerchio diabolico. La notte era scesa in tutta la sua impenetrabile oscurità. Finalmente la macchina si fermò nel posto giusto a dieci metri dal luogo in cui era stata sepolta Melissa. Flavio scese madido di sudore e livido di rabbia. Imbracciava il fucile con lo sguardo di un folle. ''Esci troia! Urlava con tutto il fiato in gola. '' Esci ti ho detto baldracca da quattro soldi!'' Una cagna nera era su una roccia molto in alto e lo osservava muoversi da un punto all'altro cercando di scavare la buca perfettamente coperta, la stessa buca in cui avevano seppellito la loro vittima. Flavio scavò in profondità per ben due metri, non trovando assolutamente niente quando all'improvviso vide un ombra stagliarsi sul bordo tra la fossa ed il nero della notte. Guardò in alto e vide una cagna nera di grossa taglia che lo osservava con sguardo crudele. Sparò un colpo dietro l'altro ma l'animale era così veloce da schivare tutti i proiettili. Fece fuori tutto il caricatore e ne mise un'altro, subito dopo. Era l'ultimo che aveva con se. Apparve Melissa sul bordo della fossa, nuda e cianotica. Flavio la guardò fissa, poi preso da paura e follia le sparò addosso quanti più proiettili riuscì a tirare fuori dalla canna del fucile. Il corpo di Melissa cadde crivellato per terra ai suoi piedi ridotto a brandelli da quella pioggia di proiettili. Flavio vedendo il corpo di lei ridotto a pezzi sotto di sé, cominciò a ridere forte urlandole degli insulti feroci. Dopo qualche istante quei brandelli cominciarono a scioglersi diventando un liquido dal puzzo insopportabile che lo circondò raggiungedogli i piedi e fondendoglieli completamente. Flavio cercò a mani nude di togliersi di dosso quel magma che gli corrodeva le carni con dolori lancinanti ma si fusero anche quelle rimanendo solo i monconi sia delle caviglie che dei polsi. Dall'oscurità del lato di fronte a lui all'interno della fossa, apparve Melissa in piedi mentre ora lui era per terra a contorcersi dal dolore. Lo guardava in modo sprezzante e crudele con un ghigno sul viso che paralizzò l'anima dell'uomo. ''Perdonami, perdonami ti prego, non uccidermi ho una famiglia, una moglie e dei bambini. Perdonami!'' Urlava Flavio piangendo e supplicandola, contorcendosi dal dolore. Melissa: '' Ma io non voglio ucciderti, voglio solo darti un bacio. Un 162
ultimo bacio e poi andrò via.'' Lo prese per i capelli mentre lui cercava di divincolarsi da quell'abbraccio infetto. Lei si sedette a cavalcioni sul ventre di lui inchiodandogli la gambe con le sue e le braccia schiacciandogliele dietro la schiena. Melissa tirò così forse i capelli che si poteva sentire il cuoio capelluto di lui staccarsi lentamente. Nel frattempo Flavio, non resistendo al dolore aprì la bocca urlando come un ossesso. Lei aprì la sua a pochissima distanza a quella dell'uomo e ci versò dentro un liquido vischioso che gli scese in gola, facendoglielo inghiottire. Melissa si alzò da sopra il corpo dell'uomo e indietreggiò di qualche passo. ''Non voglio morire, non voglio morire, non farmi morire ti prego, ti prego!'' Le urlava piangendo ininterrottamente Flavio. Dopo un po' si accorse che non riusciva più ad aprire la bocca. La sua lingua si era fusa con il palato, le gengive ed i denti in un tutt'uno. Melissa: '' Ma io non ti sto uccidendo. Ti ho solo fatto un dono che ti corroderà giorno dopo giorno, fin quando di te non rimarrà che un ammasso di carne putrida e vischiosa. Non piangere più per i tuoi amici. Vi rincontrerete presto.......o tardi non si sa.....dipende dal tuo organismo e dalla tua voglia di vivere. Ma sarà una vita atroce, molto atroce!'' Prese il cellulare di lui dalle tasche dei suoi pantaloni compose il numero della polizia. La sua voce divenne quella di una donna spaventata. ''Pronto polizia,'' Rispose un'agente di servizio. Melissa: '' Pronto, vi prego venite, presto c'è un uomo mutilato ancora vivo sotto ad un precipizio all'uscita dell'autostrada per la montagna.'' Poliziotto: '' Può darmi informazioni più esatte per favore. Dove si trova precisamente. '' Dall'altra parte non rispose nessuno. Poliziotto: '' Pronto, signora è ancora lì. Mi dia informazioni più dettagliate per favore. Pronto!'' Melissa prese Flavio ormai svenuto e se lo mise sulle spalle. Salì rapidamente i lati della fossa, corse sui fianchi della montagna con una velocità incredibile ed abbandonò il corpo sul ciglio della strada all'uscita dell'autostrada. Quell'uomo doveva vivere e provare tanto di quel dolore che solo quello bastava a farlo morire goccia a goccia. 163
La polizia lo trovò riverso su un fianco, svenuto ma ancora vivo.....non si poteva immaginare ancora per quanto. Melissa stava sulla punta della montagna a guardare la notte che urlava nell'oscurità. ''Non voglio diventare come quegli spettri affamati che divorano le anime dei morti. Vivere in eterno ma a che condizione!'' Pensava tra se in un barlume umano che gli era rimasto in qualche angolo della sua anima. Se ne stette ancora un po' sulla cima della montagna a repsirare l'oscurità poi si alzò e con scatto animale scese i fianchi della montagna ad una velocità fulminea. Si ritrovò a passare per la piccola cappella della Vergina, il luogo in cui era stata stuprata ed uccisa. Un raggio di luce intensa uscì dalla cappella tagliando il buio come una lama. Melissa sentì dentro di sé una specie di richiamo che la attirava lì dentro. Stava per entrare nella cappella quando senti righiare dietro le sue spalle. Erano le cinque streghe in forma di cagne che le ringhiavano dietro rabbiosamente. ''Se entri morirai,'' disse una delle cagne acquisendo forma umana. Anche le altre presero sembianze umane. Melissa le guardò con i suoi occhi neri come l'abisso dell'inferno. ''Non voglio essere come voi!''Disse fredda. Strega: '' Dovevi pensarci prima,'' ora è troppo tradi. Noi ti abbiamo dato la possibilità di vivere in eterno. Ti abbiamo dato l'arma per vendicarti attraverso il potere della notte. Perchè vuoi rinnegare tutto questo?'' Melissa: '' Io non sono come voi! Voglio essere libera, non voglio diventare come le Empuse, spettri affamati di anime umane.'' Disse ringhiando lei stessa. Strega: '' Se varcherai quella soglia saremo costrette ad ucciderti!'' Le disse come una lama ghiacciata che attraversa la notte. Lei girò loro le spalle ed entrò dentro la cappella. Le streghe le si avventarono addosso colpendola e strappandole pezzi di carne dal suo corpo smembrandolo in pochi minuti. Melissa morì per la seconda volta. Un braccio fiammeggiante passò sopra le loro teste spaventandole e scaraventandole fuori dal luogo sacro. Le streghe inveirono e sputarono veleni viscidi e corrosivi sui muri della cappella con l'intenzione di distruggerli ma i loro sputi ritornavano indietro. Rabbiose e impazzite di violenza si abbatterono sul cancello ma 164
questo si chiuse e sbarrò loro il passaggio rigettandole indietro. Ustionate dalla luce potentissima che ne scaturì dall'impatto, si dileguarono nel buio. I resti del corpo di Melissa erano immobili sotto l'altare della Madonna. Lentamente si riunirono e si saldarono l'un l'altro ritornando a formare l'intera sua figura. Dal suo cuore uscì un urlo terribile con una nube nera e fetida a forma di serpente che si dileguò anch'esso nel nulla. Pian piano la sua pelle divenne chiara come fosse viva. Aprì gli occhi guardando il viso della Madre dei cieli. Dentro di sé sentì una grande pace che le dava conforto per tutto il dolore provato, subìto. Aprì le labbra e riuscì a dirle solo ''grazie'' per l'aiuto ricevuto. Chiuse gli occhi mentre la sua anima usciva dal suo petto come una colomba di luce che svanì dentro al raggio intenso che avvolgeva la Vergine come una nuvola di salvezza ''Quando arriverò davanti al varco dove il buio finisce e la luce comincia il suo ciclo eterno sentirò i tuoi passi camminarmi a fianco e finalmente potrò vedere il tuo volto mio amico angelo. La tua voce era un sussurrò ed io non riuscivo a sentirlo. Il tuo tocco era l'alito del vento ed io non l'ho riconosciuto. Quando salirò i gradini del cielo saprò che ti ho amato tanto perchè dentro al mio cuore avevo tutto quello che mi serviva e tu eri li a darmi consiglio.''
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POESIE ELFO BIANCO
POESIE 1. Il mulino delle favole. 2. Un bicchiere di jazz. 3. La canzone del soldato. 4. La luna delle pantere. 5. Hai vinto tu. 6. La perla della sera. 7. L'amore di una stella. 8. Ninna nanna per un bambino morto. 9. Amore immenso. 10.Amore disperato. 11.Andiamo a dormire.
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12. Il miele degli angeli. 13. La lacrime di Galadrhiel. 14.Canto di luna. 15.Il profumo del mare. 16.Gli occhi dell'amore. 17.Libellule. 18.Il pino solitario. 19.Angelo. 20.Blodeuwedd. 21.Nessun dolore.
IL MULINO DELLE FAVOLE Quando si alza il vento mi sembra di sentire il suono di un torrente che scorre lento acqua pura di cristallo. Quando s'alza il vento mi sembra di vedere un vecchio mulino dal tetto d'oro un ponte di pietra coperto di muschio ed un carretto che va oltre il bosco. Le stelle diventano un villaggio nel cielo con case e giardini come fuochi d'artificio gnomi e folletti saltare ad un incrocio dove la via lattea diventa una carovana di comete. Le finestre del mulino illuminate da candele con fiammelle che danzano sullo stoppino una spirale di favole si innalza dal camino sbuffando colori ed allegria come una pioggia d'argento. Macina la fantasia sotto la pietra del mugnaio sbattendo mani infarinate in nuvole di zucchero a velo; una musica fatata lo fa sentire meno solo giusto il tempo di un valzer che dura un sospiro.
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UN BICCHIERE DI JAZZ Giro lo sguardo intorno a me angoli d'ombra di uomini catapultati in poliritmie e blu note improvvisazioni vellutate. I cubetti di ghiaccio galleggiano nel Whisky giallo intenso i pensieri si tuffano dentro onde di piacere e marjuana onde di pelle profumata coperta di seta e cachemire. Tracce di discorsi vibrano nel contrabbasso bruno mentre il passo seduttivo della cantante si lascia andare su armonie vocali rotte da fumo d'oboe e malinconica armonia. Occhi socchiusi labbra dal sapore trasgressivo truccate di rosso peccato su raso nero parole suadenti sfumano note di tromba e sigari cubani arzigogoli cotonati d'arte noiosi intellettualismi versi scimmiottati. Storie platoniche dentro ammiccamenti solitari sotto strobica pioggia di mozziconi e cenere lasciati bruciare su tavolini e scotch. Un altro bicchiere prima di andare come un gatto randagio per strade tinte di facili illusioni e sogni di latta.
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LA CANZONE DEL SOLDATO Corri soldato corri lontano in terre straniere lascerai la tua impronta. Imbraccia il fucile salta la trincea i cannoni sparano sulla tua anima che trema come canne al vento. Porta con te il cuore ed una foto sorridente porta con te il coraggio sotto una pioggia di bombe. I proiettili fischiano sulla tua testa rasata non sono i baci di lei che hai lasciato sul suo seno. Corri bambino corri uomo ormai cresciuto notti ed albe di paura contro il sangue di un tuo fratello. Non fidarti del buio il silenzio spesso nasconde il respiro della morte ed una bandiera può diventare un inutile sudario. Le guerre le decidono gli altri tu ne affronti i pericoli tra gli stupri e le torture vedi i sogni infrangersi. Il pianto dei bambini la disperazione delle madri l'impotenza della compassione piegata dalle leggi del piÚ forte. Corri e non ti fermare potrebbe essere l'ultima notte 169
e quelle stelle che ora vedi son lacrime cadute dai tuoi occhi.
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LA LUNA DELLE PANTERE Si alzò dal trono di teschi umani manto nero lucente velluto incisi i segni argento brunito sulle unghie avorio affilate come rasoi. Le ancelle ai suoi piedi distesi desideri dagli occhi gialli voluttuose forme dallo scatto fulmineo sornioni piaceri dal gusto effimero. Il fuoco bruciava sull'altare della notte ed i pianeti oscurati dalla pallida luna fiati caldi alitati sui deserti di silice e sabbia fina dalle morbide dune ondeggianti delirio. Lingue rosse sulle labbra scarlatte voraci baccanti di peccati e delizie sinuose carni di sensuali aromi selvagge occhiate e raffinate spezie. Dal profondo abisso riemerse l'ombra nuda minaccia dall'erotico incanto delinea i contorni con passo lento come uno spietato amplesso affamato di stelle.
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HAI VINTO TU Pensavo fosse facile poter voltare le spalle andarsene senza girarsi e proseguire. Pensavo che l'amore giocasse con i fili derba e lasciasse in pace il mio cuore nel suo angolo solitario. Questo mio pensiero galleggiante su un lago catturato dai riflessi dei tuoi occhi immensi. Questo mio pensiero naufragato nelle tue braccia inchiodato, affisso, cesellato di passione. Per quanto io abbia corso per quanto sia sfuggito per quanto ho menato il dito da saccente coglione. Sono schiavo del tuo respiro piegato da un bacio che ha strappato l'anima fuso in un dolce sospiro che mi porta fino a te. Pensavo fossi libero di scalare montagne e scendere abissi lasciandomi guidare da un desiderio cangiante. Sono qui come un fiore agonizzante che ha bisogno della tua linfa...... sono qui teneramente 172
e non me ne voglio piÚ andare. LA PERLA DELLA SERA Silenziosa nei veli della notte la polposa carne profumata come una conchiglia misteriosa nasconde il suo tesoro di pelle ambrata. Levigata luce d'argento lucida madreperla solitaria gravitando tra le brune ombre fascinosa musa della sera. Luna il tuo nome è incanto madre dell'anima che cerca ancora l'amore mentre la natura dorme tu seduci il mare ipnotica onda sapore intenso di piacere. Mani invisibili sfiorano la superficie tonda luminosa mammella di bellezza feconda sugge il nettare l'universo levitando attraversa il cielo intero miele caldo d'amplesso. Schiudendo le valve frangiate succo del desiderio scivola tra le stelle nei gemiti del vento risuonano le lamelle nella notte sussurra il tuo cuore oh luna. 173
L'AMORE DI UNA STELLA Com'era dolce stare a guardare con lo sguardo in alto fissando puntini di luce nel firmamento. Il mio cuore era un libro ogni pagina un desiderio che inseguivano le scie nelle notti d'estate. Quanta magia negli occhi dell'infinito su quelle ciglia scure brillavano le stelle. Ognuna scintillava brillando nella notte come un cuore che batte e batte per amore. Nei miei tanti sospiri nei miei sogni da bambino s'accendevano e scendevano sulle mie labbra innocenti. Com'era dolce ascoltare il silenzio dentro l'anima mi parlava delle stelle che nascondevo in me.
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NINNA NANNA PER UN BAMBINO MORTO Tu che sei nato in un giglio di luna posa il tuo capo sul palmo della mia mano. Conta le stelle cadute nel fango dove crescono fiori di mille fiammelle. Tu che sei volato con le ali del cielo, sono gocce di miele i tuoi sogni limpidi. Il mio respiro riscalderà le tue mani fredde su un ruscello di montagna dei tuoi occhi umidi. Ninna nanna mio dolce amore per te che hai chiuso gli occhi al mondo inseguendo il sorriso degli angeli, mi hai guardato per un istante. Correndo tra i verdi prati salterai sulle nuvole scivolando su arcobaleni nati dal mio pianto. Delicate farfalle ti canteranno poesie su margherite d'azzurro e passerotti di sole. Ninna nanna piccolo cuore sul tuo bel viso il mio lamento, nei tuoi occhi di rugiada sospira dolce il vento. La tua culla è una nave 175
che naviga su un fiume di latte dove petali di rosa ti regalano il loro profumo. Ninna nanna, a te che t'amo e come una madre scende la luna, come un padre ti prende per mano e le lucciole s'illuminano piano piano. Raccogli i colori dei giardini che la luce ha rubato alle fiabe; ninna nanna quando piove, seduto su colline di zucchero filato. Dormi ancora tra le mie braccia che ti cullano come onde del mare, quando la notte non vuol finire e l'alba si nasconde davanti alla tua faccia. Ninna nanna dai versi d'argento d'infinita tenerezza avvolge il tuo sonno; in un girotondo di piccoli angeli s'accende la luna e come un soffio svanisce il mio canto.
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AMORE IMMENSO Se la mia anima potesse parlarti del mio cuore, se il mio cuore potesse parlarti dei tuoi occhi, se i tuoi occhi potessero parlarti dei miei silenzi l'ombra non avrebbe motivo di esistere, il pianto non bagnerebbe piĂš le tue guance, il cielo non avrebbe piĂš bisogno di ali. In questa nostra breve esistenza sospinti da un vento che gioca con i suoni dei nostri segreti, abbiamo vele che prendono il largo, abbiamo piume che accarezzano le nuvole, ed ogni giorno diventa una festa con te vicino con me al tuo fianco. Amore immenso su ogni ostacolo ha vinto, scavalcando limiti dell'ottusa ignoranza sempre pronta a distruggere la bellezza che in noi affiora ogni volta il sentimento fa crescere dentro riflessi d'eternitĂ che si nutrono d'amore.
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AMORE DISPERATO Sette lacrime amare son scese sulle guance, sette anni di tristezza piombati all'improvviso, sette rovi nel cuore a farmi sanguinare, sette parole d'amore che non potrò mai dimenticare. Sette lune di dolcezza tra le tue braccia di passione, sette versi di una poesia per la mia ossessione, sette cieli da dove son caduto come un angelo a cui si son spezzate le ali, sette lamenti sette ombre dietro fragili veli. Disperato amore mio tormentato sogno nel petto un pugno di briciole sparse intorno ad una ferita aperta. Sette erano le stelle, sette furono le rose sette baci sette muse disegnarono il tuo viso.
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ANDIAMO A DORMIRE Ed intanto piango mentre qualcuno ride e gioca ed intanto sta per spegnersi la mia unica speranza. Quando una porta si chiude un'altra si apre ma non ci sono più porte davanti al nostro destino. Spero che tu dorma bene stanotte nel tuo letto di lago e possa sognare gli angeli che hai sempre amato. Ed intanto penso ma vorrei spegnere i pensieri perché sto morendo pensando di poterti raggiungere. Per noi non c'è mai stata una scelta sempre sul filo del rasoio a stringere i denti e correre per non perdere il respiro. Per noi che la vita dimentica come lacrime asciugate in fretta io seguirò i tuoi passi se cadranno nel buio. Abbiamo avuto un unico raggio di sole un unico raggio di luna ed una stella che vacilla dal suo cielo instabile. Mio dolce grande amore il tramonto si avvicina sarà il sudario che coprirà il nostro ultimo addio.
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IL MIELE DEGLI ANGELI Sulla bocca dischiusa sorge l'alba del giorno il profumo dell'anima si espande intorno. Il segreto dell'universo prende forma nel cuore mentre cammina al tuo fianco un pensiero divino. Dolce suono il tuo lamento una lacrima di rugiada essenza di fiori caduta da occhi di luce. E le mani invisibili si fan sentire piene d'amore chiudendo ferite che bruciavano come scottature amare. Gocce di miele son le parole corde di una lira antica vibrano nel profondo pizzicate dallo spirito. Gocce di miele la coscienza risvegliata dalla comprensione assopita nella materia del vivere quotidiano. Quando il dolore è piÚ vicino quando la gioia scintilla come una stella quando l'amore si sceglie il volo perfetto il cielo riconosce i suoi angeli.
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LE LACRIME DI GALADRHIEL E rimase a guardare l'aurora che nasceva sulle colline di Valinor dipinte di smeraldo mentre la luna lentamente si ritirava con gli occhi assonnati ed un lungo sbadiglio. Rimase ad ascoltare l'ultimo canto delle stelle immerse nelle luci di mille scintille come le leggende di fantastici amori che svaniscono all'alba di un cielo infinito. Non seppe cosa dire dei suoi silenzi profondi le foglie cadevano sui piedi dell'autunno. Avrebbe innaffiato la speranza con le lacrime del suo pianto pur di ascoltare ancora il suono della sua voce. Perchè l'amore tace quando il sentimento è immenso ma non smette di sperare di stringerlo ancora al suo seno. L'avrebbe portato con sÊ nel cuore fino alla fine dei suoi respiri fino alla fine del tempo fino alla fine di tutti gli amori.
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CANTO DI LUNA Venne il tempo di nascere un seme posto nel ventre germogliò nella terra dell'oblio e sbocciò in quella del pianto. Venne il tempo di crescere tra i boschi e le strade d'asfalto la pioggia benedì i piedi che corsero sul mondo. Ogni notte un silenzio diverso ogni notte un bacio sul collo come la pioggia che scende e rinfresca i sogni son rugiada che vengono giù dal cielo. Un canto di luna sincero coglie gli attimi persi in paradiso lega gli ormeggi di una barca che naviga nella via lattea del cuore più profondo. Luna candida, sinfonia della sera uno spartito che danza su note di dolcezza e nel buio ti cerco ti sento come una carezza mentre tocca i miei capelli come un desiderio.
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IL PROFUMO DEL MARE Dimenticherò mai il tuo odore? Alghe e corallo nelle vene sale e miele sulla pelle cielo e sole sul tuo corpo d'acqua. Potro mai non amarti compagno delle mie solitudini? I miei pensieri diventano velieri fantasma che solcano rotte incomprensibili e persi tra le tue dita si lasciano travolgere da onde maliziose. Cosa farebbe la mia anima senza di te? Non potrebbe più parlare col silenzio non potrebbe più sognare isole sperdute dove nascondere i suoi segreti. Oh mare, il tuo profumo è un universo che trasporta in un mondo d'introspezione. Un'immensa emozione che rapisce il cuore mentre tra le tue braccia nuota nudo l'amore come un delfino libero dalle catene del destino.
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GLI OCCHI DELL'AMORE Intensi come le notti d'agosto calmi come il mare a mezzogiorno profondi come il cielo terso leggeri di vento e nuvole volubili. Gli occhi dell'amore intraprendenti ed irriducibili bucano il cuore col sapore del miele scavano l'anima senza badare al dolore lasciano i segni come artigli di un rapace. Mistico tocco carnale brace forte e delicato nell'amplesso dei desideri una cavalcata furiosa di possenti destrieri un volo di farfalle sui seni di Venere. Splendono i riflessi dentro onde di piacere baci e carezze avvolgono di tenerezza un po' prigione, un po' leggerezza con sbarre di sospiri su un letto di piume e morbida dolcezza.
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LIBELLULE Eravamo giovani un tempo eravamo angeli che si nutrivano di petali siedevamo su steli di comete e corolle di stelle scivolando sulle illusioni che s'accendevano nelle sere dolci. Come foglie cadute dalla luna come polline scrollato dal paradiso come pioggia di felicità che bagnava il viso guardavamo in faccia l'amore senza paura di sbagliare. E poi con le ombre del crepuscolo dopo che il tramonto tirava su le coperte chiudendo i cancelli dei sogni dentro riccioli di fuoco...... eravamo scie che si perdevano nel vuoto attirate da silfidi innamorate della notte. In fondo ad ogni respiro un briciolo divino un soffio di quell'infinito che è legato al vento. Eravamo satelliti gravitanti in un cielo scoperto pagine di un libro scritto dall'eternità ; liberi di diventare suono e luce e volare intorno al mondo come fantastiche libellule.
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IL PINO SOLITARIO Qui scorrono i fiumi del paradiso sotto le radici vengono a dormire gli angeli dispersi. Mentre cadevano li ho raccolti erano feriti e non sapevano dove andare. Qui si sentono le preghiere di chi ha pianto le mie foglie nascondono lacrime amare. Ogni volta che il dolore afferra l'anima il sangue diventa resina e brucia forte come il sale. Ma l'universo ne ha sempre una e sotto la mia corteccia cerca le tracce del suo destino. Tra gli anelli della mia carne il tempo ha nascosto bene le sue impronte. Solitario è il mistero che avvolse ogni mia parola e nel profondo della terra spinse il ripudio del cielo. Qui vengono a danzare le anime di chi è vissuto cercando se stesso dimenticando quella scintilla che aveva fatto di sÊ un uomo.
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ANGELO Guardami dalla linea che separa il cielo dalla terra ci sono cose sbagliate in questo mondo ed il sole brilla dentro anche se si ha voglia di piangere. Guardami ti prego ed ascolta i miei pensieri son precipitati dentro spirali che si attorcigliano attorno a desideri vuoti. C'è tanta gente che odia e uccide mentre il cuore sanguina e le ferite fanno così male. C'è tanta voglia di un briciolo di paradiso e quando la notte scende è così dolce lasciarsi andare dentro il sospiro di un sogno. Un angelo per credere ancora all'amore irraggiungibile ed umano su pezzi di cielo che sussurrano versi d'anima e salvezza. Un angelo come il tocco di una carezza quando asciuga lacrime che bruciano gli occhi. Stammi accanto senti il mio cuore vicino il buio potrebbe farmi paura inciampando nelle falle della vita. Mentre pulisco le mie piume doloranti 187
logorate da insulti e cattiverie umane prendi pure la mia mano e dimmi che sarò forte davanti al ghigno del destino.
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BLODEUWEDD Sia l'essenza dei fiori a svegliare la mia anima confusa. Sia la luce dell'aurora a dare la vita al mio cuore. Sia la mano dell'amore a prendermi mentre cado nel buio. Sia il tuo calore il desiderio di vivere la voglia d'amare. Quando il vento spargerà i miei sogni lontano dividendo le illusioni dai raggi di luna...... sia lo stelo ed una foglia a mostrarmi i segni delle mie lacrime inaridite, seccate in cristalli di speranza appoggiati sul cuscino del giorno. Capirò mai la natura della mia essenza? E l'essenza di ogni cosa legata ai fili dell'universo che vibrano di luce ed oscurità. Capirò mai il perchè di tanti affanni? E come mai il dolore dev'essere maestro di ogni gradino per salire verso l'alto. Riemergerò nelle tue mani di petali profumati come il nettare che cercando il bacio delle api s'affaccia 189
guardando per la prima volta il cielo. Lascia che io ti guardi ancora un po' e mentre sento la felicitĂ riempirmi l'anima dimmi che era solo un lembo rubato al tuo fantastico velo.
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NESSUN DOLORE Ogni minuto che passa ogni giorno vissuto ogni istante perduto hanno lasciato un segno sulla pelle dell'universo. Le folli corse in auto dopo aver stordito la mente dopo aver ucciso la luciditĂ ...... le mani che si alzano violente strappando in un ultimo respiro la gioia che il cielo ci da. Cone se la morte fosse una sfida cercando di fregarla con gli artigli della paura. Come se l'esistenza fosse solo un capriccio e dopo tutto il bene un colpo secco per finire. Il fascino straziante del male inebriante da riempire vuoti di tristezza scavando abissi ancora piĂš profondi diventando spettri affamati di noi stessi. Ogni goccia di sangue versato ogni sorriso spento sulle labbra di un innocente diventa fumo, cenere, niente mentre dopo il corpo e l'anima...... nessun dolore.
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